Informazione

Juergen Elsaesser, auteur allemand et rédacteur du quotidien « Junge
Welt » de Berlin, signe son œuvre des mensonges de la guèrre contra la
Jugoslavie
(« LA RFA DANS LA GUERRE AU KOSOVO »)

Samedi prochain, 14ième février, 16.30

à Paris

Librairie Les Alizés
74 avenue du Cardinal Lemoine
75005 Paris
Métro Monge oder Cardinal Lemoine

************************************************************

La critique du livre dans « Le Monde diplomatique »

LA RFA DANS LA GUERRE AU KOSOVO

Jürgen Elsässer; Traduit de l'allemand par Pauline Massey et Edouard
Reczeg.

L'Harmattan, Paris, 2002, 260 pages, 22 euros.

Lors d'une confiance tenue en février 2003 à Munich; M Joschka Fischer;
ministre allemand des affaires étrangères, avait rappelé la
détermination de l'engagement militaire de Berlin; il y a qutre ans,
lorsque' il s'était agi de "faire barrage à Milosevic au Kosovo". M
Fischer sétait alors addressé au ministre américain de la défense, M
Donald Rumsfeld; en ces termes; "Pourquoi cette soudaine priorité pour
l'Iraq? Je ne suis pas convaincu; et je ne peux pas convaincre le
peuple allemand si je ne suis pas moi-même convaincu. Vous promettez
une démocratie florissante en Irak, je n'y crois pas.". L'incrédulité -
justifiée - de M. Fischer ne saurait faire oublier qu'il fut lui-même;
en mars-avril 1999, au centre de la plus extraoridinaire opération de
désinformation qu'ait connue l'Allemand depuis 1945. C'est cette
"chronique d'une manipulation" que Jürgen Elsässer relate dans ses
moindres détails, dans un livre de référence enfin traduit en français."
(J.M. Coppo)

[Nota: Il documentario Fascist Legacy e' stato proposto in Italia in
una iniziativa pubblica per la prima volta a Torino il 4/5/2002 dal
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia e dalle RSU dell'Universita'.
Il resoconto di quella iniziativa ed una Scheda filmografica sul
documentario sono leggibili su:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1796%5d


L’EREDITA’ DEL FASCISMO

con la proiezione del documentario della BBC:

"FASCIST LEGACY"

...si debbono conoscere questi fatti e se ne deve comprendere la
gravità, perchè un popolo che non conosce la propria storia, e
costruisce la propria politica estera sulla falsa coscienza,
è destinato a commettere gli stessi errori e crimini, o a commetterne
di ancora più gravi.

QUANDO SI VA AD OCCUPARE UN PAESE, SI METTE NEL CONTO L'IMPOSIZIONE
VIOLENTA DELLA PROPRIA VISIONE DEL MONDO E  TERRORIZZARE LA POPOLAZIONE
È CONSIDERATO UN MEZZO NATURALE,  MENTRE LA RESISTENZA DIVENTA
DELINQUENZA E TERRORISMO CHE L'OCCUPANTE SI SENTE LEGITTIMATO A
STRONCARE IN OGNI MODO: ACHTUNG BANDITEN!

L'IMPORTANTE È VINCERE PER POTERSI SCRIVERE LA STORIA.


NE DISCUTIAMO CON: 

FILIPPO FOCARDI – Docente di storia presso l’Università di Roma

MASSIMO SANI – Autore della versione italiana di "Fascist Legacy"


Giovedì 12 febbraio 2004  alle ore 20,30

presso la sala dell'Angelo di via S. Mamolo 24 – Bologna


Partito della Rifondazione Comunista Federazione di Bologna
Tel 051311690  Fax 051381376   E-mail: prcbologna@...

Con la colaborazione di ALJ-Aiutamo la Jugoslavia
Tel. 051955069 E-Mail: aljug@...

Nazionalismo italiano, irredentismo italiano, espansionismo italiano


Il PCI "non avvertì le tragiche conseguenze dell'espansionismo slavo,
che nel vivo della lotta antifascista si era manifestato in
comportamenti e linguaggi propri delle contese territoriali e
nazionalistiche, presenti da decenni in quelle aree. Lo schema della
lotta fra fascismo e antifascismo si mostrò inadeguato..."

Chi lo ha detto?


1. «Il Pci con gli esuli istriani sbagliò» (da L'Unita', 06.02.2004)
2. Il commento di A. Kersevan


=== 1 ===

L'Unita', 06.02.2004

Fassino: «Il Pci con gli esuli istriani sbagliò»

di Gianni Marsilli

«Anche la sinistra deve assumersi le proprie responsabilità e dire con
chiarezza e definitivamente che il Pci, in quegli anni, al confine
orientale sbagliò»: sono venuti a dire anche questo, ieri, Piero
Fassino e Luciano Violante nella città giuliana. L'occasione sono i
cinquant'anni trascorsi dall'esodo dei profughi istriani, fiumani e
dalmati dalla Jugoslavia, anche se la dolorosa migrazione si compì in
verità in diverse ondate, a partire dal 1947.

In parlamento giacciono tre proposte di legge per istituire un "giorno
della memoria", presentate dai Ds, da Alleanza nazionale e dalla Lega.
I primi avrebbero voluto che si scegliesse il 20 marzo, come quel
giorno del '47 in cui il piroscafo "Toscana" fece il suo ultimo viaggio
con il suo carico di esuli, salpando da Pola verso le coste italiane.
Le associazioni degli esuli insistono invece perché la scelta cada sul
10 febbraio, data dell’anniversario del Trattato di Pace di Parigi.
Fassino e Violante hanno spiegato di non aver alcuna intenzione di
lanciarsi in una disputa di calendario. Ha detto il presidente dei
deputati ds: «Il parlamento deve votare in modo il più unitario
possibile, affinché non si ripetano antiche divisioni. La legge non
deve rispecchiare una visione di parte, dev'essere unitaria e
nazionale». E Fassino: «Il nostro vuol essere un contributo a
considerare la storia del Paese come patrimonio comune, perché ne siamo
tutti figli». In questo spirito ognuno deve assumersi le sue
responsabilità, ed è quanto sta facendo la sinistra, localmente e
nazionalmente. Bene quindi per la data del 10 febbraio, tanto che già
martedì prossimo delegazioni diessine parteciperanno alle cerimonie di
ricordo.

In che cosa sbagliò il Pci dell'epoca? Così ha scritto Fassino nella
lettera che ha indirizzato a Guido Brazzoduro, presidente delle
associazioni degli esuli: «Sbagliò perché pesarono sui suoi
orientamenti e sulle sue decisioni il condizionamento dell'Urss e della
Jugoslavia di Tito, in particolare negli anni della guerra fredda.
Sbagliò perché non avvertì le tragiche conseguenze dell'espansionismo
slavo, che nel vivo della lotta antifascista si era manifestato in
comportamenti e linguaggi propri delle contese territoriali e
nazionalistiche, presenti da decenni in quelle aree. Lo schema della
lotta fra fascismo e antifascismo si mostrò inadeguato...». Una
rielaborazione storica che a sinistra ha già un suo lungo percorso, che
oggi approda a questo contributo per "una memoria condivisa". Anche
perché oggi questo confine, per tanti anni simbolo di divisione e
sofferenza, ha l'occasione - con l'allargamento dell'Unione europea -
di diventare "crocevia strategico" tra due Europe che tornano ad
incontrarsi. L'Italia ha quindi l'opportunità non solo di riconoscere
un "debito di memoria", ma anche di promuovere il carattere plurale di
queste terre. Ma perché questo avvenga, il dramma di così tanti
istriani e dalmati non dev'esser più dimenticato né rimosso dalla
memoria nazionale.

C'è un ostacolo all'approvazione della legge, sollevato dall'on.
Roberto Menia, deputato triestino di Alleanza nazionale. Vorrebbe, con
un emendamento proposto all'ultimo momento, che la giornata da
celebrare non fosse solo dell'esodo, ma anche "delle foibe".

Due drammi diversi, per quanto scaturiti dalla stessa guerra. Luciano
Violante non erige barricate, ma ha fatto capire la sua contrarietà:
"Io credo che il dramma delle foibe vada piuttosto collegato all'intera
vicenda del confine orientale, e non solo all'esodo. Tant'è vero che in
parlamento nessuno ha mai parlato di accoppiare esodo e foibe". La
proposta di legge ha insomma una filosofia e un riferimento storico
precisi, difficili da stravolgere attraverso un emendamento
dell'ultim'ora. Se ne discuterà ancora, proprio per l'esigenza di non
piegare quella tragica vicenda ad una "visione di parte". Dice Fassino:
«Il nostro atteggiamento non è certo quello di chi sta cercando nuove
ragioni di divisione». Insiste Violante: «Il punto politico è questo:
dobbiamo riproporre una visione lacerante, oppure una lettura storica
in cui tutti possano riconoscersi? Connettere esodo e foibe è solo una
parte della verità, solo una parte». Aggiunge il deputato diessino
Sandro Maran: «Riteniamo di dover mantenere una distinzione. Ho visto
l'invito inviato da Francesco Storace, governatore del Lazio, per le
celebrazioni del 10 febbraio. E' già chiamata "giornata dei martiri
delle foibe”, l'esodo è scomparso».

Ma da queste parti, in particolare, Alleanza nazionale ha ancora
bisogno di mettere a punto la sua rielaborazione storica. La tendenza è
di assolvere il fascismo da ogni colpa, mettendo tutto sulle spalle di
nazismo e comunismo. Lo si può vedere dalle linee programmatiche
dell'assessorato alla cultura del Comune di Trieste, dove si parla di
Risorgimento per passare direttamente ai misfatti dei nazisti e degli
occupatori titini, saltando a piè pari il ventennio mussoliniano,
compreso il discorso che qui tenne Mussolini nel settembre del '38 per
annunciare le leggi razziali. Lo si può vedere anche nella cittadina di
Muggia, a ridosso del confine con l'Istria slovena, dove mani ignote
avevano sfasciato la targa che ricordava Libero Mauro, resistente
"assassinato dall'occupatore nazifascista".

L'amministrazione comunale di centrodestra ne aveva rimessa una nuova:
Libero Mauro "assassinato dall'occupatore nazista". Il fascismo, che
qui lavorò molto coscienziosamente con i nazisti, si era volatilizzato.
E si deve all'Anpi e alla sinistra se quella lapide ha finalmente
ritrovato la dizione originaria e corretta.


=== 2 ===

Un commento

Ho letto con sgomento il resoconto della conferenza stampa dell’on.
Fassino sulla proposta di Giornata dell’Esodo e la sua lettera al
presidente delle associazioni degli esuli.
Mi ha colpito il ribaltamento della storia e delle responsabilità delle
tragedie vissute in questa zona d'Europa e il tono oggettivamente
“revisionista”, incentrato sulle “tragiche conseguenze
dell’espansionismo slavo”, a imitazione in tutto e per tutto, nei
concetti e nel linguaggio, della propaganda fascista di sempre.

Penso che l’on. Fassino dovrebbe guardarsi un po’ di cartine storiche,
su qualche atlante, per capire quale sia stato il nazionalismo che ha
imperato in queste terre per decenni e quale espansionismo le abbia
sconvolte. Vedrebbe da che parte è avanzato il confine dello Stato
italiano, a più riprese, con la violenza della guerra, sempre più a est
fino ad inglobare nel 1918 oltre 500.000 sloveni e croati. Dopo il
1941, con l’occupazione e l’annessione di altri territori jugoslavi in
cui non abitava neppure un italiano, furono comprese entro i nuovi
confini altre centinaia di migliaia di jugoslavi, il cui trattamento da
parte dello Stato italiano fu la repressione più spietata, le
fucilazioni, gli incendi di villaggi, la deportazione in campi di
concentramento di decine di migliaia di donne, vecchi, bambini, e la
morte di parecchie migliaia di essi. Questi i risultati
dell’“espansionismo italiano”, argomento assolutamente rimosso, mai
diventato “memoria collettiva”.

L’on. Fassino dovrebbe anche guardarsi una cartina etnica di queste
terre, consiglio quella redatta nel 1915 da Cesare Battisti (un nome
che dovrebbe essere una garanzia) in “La Venezia Giulia. Cenni
geografico-statistici”, pubblicato nel 1920 dall’Istituto Geografico De
Agostini. Battisti attribuiva per il 1910 alla Venezia Giulia, nel suo
complesso, la seguente composizione nazionale, in percentuale:
Italiani: 43,09
Sloveni: 32,23
Croati: 20,64
Tedeschi: 3,30
Dunque gli “slavi” erano il 52,87 per cento.
Per quanto riguarda l’Istria in particolare:
Italiani: 35,15
Sloveni: 14,27
Croati: 43,52
Tedeschi: 3,51
Dunque gli “slavi” erano il 57,79 per cento.
Come si vede i territori rivendicati durante la seconda guerra mondiale
dall’“espansionismo slavo” era abitati in maggioranza da “slavi”. Sotto
la dominazione italiana, sotto il fascismo, vissero un periodo di
“lacrime e sangue” e dunque per essi liberarsi da quella dominazione
diventò un imperativo categorico. Sui modi anche molto drammatici in
cui questo è avvenuto si deve sicuramente discutere, ma dopo, non
prima, di aver chiarito finalmente a tutti gli italiani le
responsabilità primarie.

Il dramma degli Esuli, on. Fassino, è colpa della politica aggressiva
del fascismo e del nazionalismo italiano nei confronti dei popoli
slavi. L’on. Fini, che è così in vena di chiedere scusa per le colpe
del fascismo, dovrebbe venire qui a chiedere scusa quale rappresentante
dello Stato italiano, prima di tutto a Sloveni e Croati (potrebbe
andare ad Arbe o a Gonars...) e poi anche agli esuli.

Gravissimo, mi sembra, che l’on. Fassino abbia accettato come giornata
della memoria dell’esodo la data del 10 Febbraio, anniversario del
Trattato di Pace. Spero che ai militanti e simpatizzanti DS non sfugga
il significato revanscista intriso di revisionismo storico di una
simile scelta.

Gravissimo è ancor di più il neoirredentismo di cui Fassino si fa
portavoce, secondo il quale è ingiustificabile la “perdita di
territori” imposta dal trattato di pace. Immagino che il passo
successivo può essere solo la rivendicazione della restituzione delle
terre così ingiustamente perse. Mi vengono i brividi.

Io mi chiedo che senso abbia tutto questo, nel momento in cui, fra
l’altro, stiamo per superare i confini e ritornare finalmente a una
situazione in cui i popoli di questa parte d'Europa che si sono sempre
mescolati, torneranno a farlo, pacificamente, come fu per secoli. Come
fu per secoli, on. Fassino, prima che il nazionalismo italiano,
l'irredentismo italiano, l'espansionismo italiano sconvolgessero queste
terre.

Alessandra Kersevan

Da: ICDSM Italia
Data: Lun 9 Feb 2004 13:10:21 Europe/Rome
A: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.
Oggetto: [icdsm-italia] SLOBODA Protest Warning to ICTY, UN, US and UK


[Una lettera di protesta della sezione belgradese dell'ICDSM al
presidente del "Tribunale ad hoc" dell'Aia, signor Theodor Meron... Si
noti che questo signore fu prima ambasciatore di Israele in Canada, poi
negoziatore (= boicottatore ufficiale) di Clinton a Roma alla
conferenza per la costituzione del Tribunale Penale Internazionale
(1998)... ]

SLOBODA | FREEDOM
udruzenje | association
Member of the World Peace Council
YUGOSLAV COMMITTEE FOR THE LIBERATION OF
SLOBODAN MILOSEVIC
Belgrade,Rajiceva 16,tel./fax +381 11 630 549

---

Belgrade, 22 January 2004                              

To: Mr. Theodor Meron, President,
ICTY, The Hague, The Netherlands

Cc: H.E. Kofi Annan,
Secretary General,
UN, New York, USA

H.E. George W. Bush,
President of the USA
Washington, USA

Her Majesty Queen Elizabeth II,
Queen of the United Kingdom
London, UK


           Mr. Meron,

           The ICTY Trial Chamber presided by Mr. Richard May adopted
on 5 February 2004 the Order Scheduling Hearings to the Close of the
Prosecution Case in the process of President Slobodan Milosevic. By the
Order, it was decided that the daily length of all the hearings in the
next two weeks shall be prolonged, so that hearings will be held also
in afternoon hours.

           It is apparent that by ordering the prolongation of the
hearings, the Chamber violates its own, earlier decisions and orders
determining that the hearings shall be held in morning hours only,
adjourning not later than 01:45 p.m. We remind that these earlier
orders were adopted after several specialist medical examinations of
President Milosevic as a consequence of the clear physicians’ warnings
about the serious character of his health condition and about the risks
for his health and life produced by the process itself. Moreover, the
physicians explicitly recommended that the length of the hearings shall
be shortened.

           You are certainly aware that during the whole this week
President Milosevic was ill from flu and that at the time when the
Order was adopted, he has not been recovered yet.

           The situation in which, in spite the several medical reports
and warnings and in spite the current deterioration of Mr. Milosevic’s
health (when it is uncertain whether and when he will be able to
participate in the hearings), without consulting the medical
specialists and severely violating its own decisions, the Chamber
arbitrarily prolongs the length of the hearings, one can characterize
no other way but as direct threat to President Milosevic’s life.

           Therefore we warn you that as the ICTY President you have a
duty to instruct the Chamber to review and abolish this inhumane Order
or to reverse it yourself.

 
On behalf of the Freedom Association Managing Board

Bogoljub Bjelica, President

 
---


STRUGGLE FOR FREEDOM AND TRUTH ABOUT THE SERBIAN PEOPLE AND YUGOSLAVIA
IS IN THE CRUCIAL PHASE. NATO AND ITS SERVICES IN BELGRADE AND THE
HAGUE HAVE NO INTEREST TO SUPPORT IT.

SO IT TOTALLY DEPENDS ON YOU!

A SMALL TEAM OF PRESIDENT MILOSEVIC'S ASSISTANTS, WHICH IS BECOMING
INTERNATIONAL, HAS TO HAVE CONDITIONS TO WORK AT THE HAGUE IN THE TIME
OF INTENSIVE PREPARATIONS FOR THE FINAL PRESENTATION OF TRUTH AND
DURING THAT PRESENTATION.

TO DONATE, PLEASE CONTACT SLOBODA OR THE NEAREST ICDSM BRANCH, OR

find the instructions at:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm
 
To join or help this struggle, visit:
http://www.sloboda.org.yu/ (Sloboda/Freedom association)
http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend Slobodan
Milosevic)
http://www.free-slobo.de/ (German section of ICDSM)
http://www.icdsm-us.org/ (US section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)



==========================
ICDSM - Sezione Italiana
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27
00043 Ciampino (Roma)
email: icdsm-italia@...

Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC

Da: "Vladimir Krsljanin"

EKSKLUZIVNO: BIVSI DIREKTOR RTS DRAGOLJUB MILANOVIC, ZATOCENIK
KAZNIONICE U ZABELI, OBRATIO SE JAVNOSTI POVODOM ISTUPA GENERALA KLARKA
I SUDJENJA BIVSEM HOLANDSKOM PREMIJERU ZA BOMBARDOVANJE RTS-a

Vredjanje casti i same duse

. Klark o bombardovanju, vidimo, nije obavestio ni svoje saveznike, ali
tvrdi da jeste svoje ratne neprijatelje . Zasto se, pored hiljada
drugih ubijenih civila u bombardovanju Srbije, celnici NATO-a toliko
trude da opravdaju bas ubijanje civila u zgradi RTS . Tvrdnja da je RTS
deo vojnog aparata je najobicnija izmisljotina . Kako god se
interpretiralo, bilo je to
hladnokrvno ubistvo 16 civila, a ta opstepoznata cinjenica im ne da
mira . Zasto se danas stidim drzanja svojih kolega isto onoliko koliko
sam se njihovim drzanjem i radom ponosio u ratu . NATO je te noci
nedvosmisleno hteo da ubije ljude, a ne da tehnoloski onesposobi RTS .
Pretnja je glasila da ce Srbija biti sravnjena sa zemljom, pa mi ipak
nismo evakuisali Srbiju

Bivsi generalni sekretar NATO Dzordz Robertson i bivsi holandski
premijer i ministar vojni, suoceni sa sve glasnijim i neprijatnijim
optuzbama da su odgovorni za ratne zlocine pocinjene u bombardovanju
Jugoslavije 1999. godine, pokusavaju da se brane i ubede sopstvenu i
svetsku javnost da je NATO javno upozoravao da ce bombardovati RTS, cak
i pijacu u Nisu (?!). Sada i glavni bombarder, bivsi glavnokomandujuci
general, penzioner Vesli Klark, u jeku svoje kampanje za stranacku
nominaciju u trci za predsednika SAD, tvrdi da je on licno bio taj
dobri covek, human, plemenit, koji je upozorio Milosevica - kako
prenose RTS i drugi nasi mediji - da ce zgrada RTS biti bombardovana.
Objasnjava i kako je to mudro i vesto izveo, tako sto je dozvolio da ta
informacija procuri posto ju je saopstio novinaru Si-En-En.

Na stranu to sto Klark pokusava, u nuzdi, da diskredituje novinare
najvece svetske globalne TV mreze tvrdnjom da se nisu bavili samo
svojim profesionalnim poslom, nego i poslom tajnih agenata i spijuna,
jer pokusava da uveri svet da je Si-En-En preneo Milosevicu ili nekom
drugom zvanicniku u Srbiji vest koju je smatrao toliko pouzdanom da
nije mogao da je objavi
makar u jednoj svojoj informativnoj ili bilo kojoj drugoj emisiji.
Zanemarimo i to sto o tome nije ni tajno obavestio svoje saveznike,
poput holandskog premijera, koji pred komisijom tvrdi da nije unapred
znao, da nije bio obavesten da ce RTS biti bombardovan. Zanemarimo cak
i pitanje zasto je Klark morao da pusta da curi vest koju je znao ceo
svet, kako to tvrdi holandski ministar vojni, braneci se navodima da je
NATO vise puta javno upozoravao da ce zgrada drzavne televizije u
Beogradu biti bombardovana.

Zapitajmo se samo zasto se Klark i svi drugi toliko trude da opravdaju
bas ubijanje civila u zgradi RTS kod hiljada drugih pobijenih civila u
bombardovanju nase zemlje? Pre svega, zato sto ovaj zlocin nikako nisu
mogli da proglase kolateralnom stetom, pa su odmah priznali da su to
ucinili
namerno i pokusali, kao i sada Klark, da se opravdaju tvrdnjom da je
RTS "srce Miloseviceve propagandne masinerije" i cistom izmisljotinom
da je deo vojnog aparata. No, kako vreme prolazi, sve je vise onih koji
u Americi i Evropi nece vise da beze od puke, cemerne istine: kada bi,
naime, sve to sto Klark i njegovi kompanjoni tvrde i bilo tacno, opet
se ne moze nikako pobeci od cinjenice da je to bilo hladnokrvno
ubijanje nemocnih i neduznih civila!
Stavise, neke od tih civila, radnika RTS, mogli su i da gledaju na
ekranu dok su na njih pucali (Bobana Kovacevica, voditelja, koji je
ranjen dok je citao vesti, recimo)! A kako ratni zlocin nikad ne
zastareva, ta istina im ne da mira, visi im nad glavama kao Damoklov
mac i preti da ih, kad-tad, posece. Zbog toga po svaku cenu nastoje da
svoj zlocin opravdaju. Kad su vec priznali ubistvo 16 civila samo
jednom bombom, moraju i lazima i najgorim nepodopstinama da ga
pravdaju, nema im druge.

ODMAZDA ZBOG OTPORA SRBIJE

RTS je, porucuje Klark i sada sa bezbedne daljine, morala da pobegne iz
svoje poslovne zgrade, da se zabije u neku misju rupu i svoj narod
ostavi na cedilu, bez informacija, u vreme kada mu je nacionalna
televizija najpotrebnija zbog prenosenja istine o njegovom herojskom
stradanju.

Gotovo osam hiljada radnika RTS i njihov direktor nisu to mogli, znali
i hteli da ucine i zato su doziveli strasnu odmazdu. A da je to bilo
nedopustivo, anticivilizacijsko izivljavanje nad nemocnim civilima,
dovoljno govori i sama cinjenica da je nasuprot jedne male RTV stanice
sa svih strana napadnute malene zemlje, osiromasene dugogodisnjim
sankcijama i svakodnevno razarane u dotadasnjem toku rata, nasuprot
njene istine i, ako bas hocemo, propagande, stajala neverovatno mocna
medijska i propagandna masinerija pedesetak zemalja NATO i njihovih
pomagaca i saveznika, sa vise globalnih TV mreza.

Da li je mogucno da tako snazna i, kako vole sami da kazu,
profesionalno superiorna medijska masina nije mogla da izadje na kraj
sa tako malom i slabo opremljenom televizijom? Naravno, to ne bi nikako
bilo moguce da se RTS bavila pukom propagandom. Ali, izgleda da nije
bilo nemoguce da NATO medijska ratna propaganda izgubi medijski rat
zbog toga sto RTS nije nista izmisljala, vec samo prenosila istinu o
stradanju svog naroda i razaranju svoje zemlje i sto su tu istinu, u
ovom ili onom vidu i obimu, preuzimali cak i mediji NATO zemalja koji
su iole drzali do sebe i istine. I to je najvise uznemiravalo Klarka i
njegove sefove.

Zato je puko prenosenje svakakvih opravdanja i lazi kojima zvanicnici
NATO pokusavaju da ucine legitimnim ubijanje civila u zgradi RTS
neoprostiv greh ne samo prema pobijenima, nego i prema svim drugim
zrtvama (hiljadama)
agresije na nasu zemlju u prolece 1999. I prema istini. I ne samo to,
vec i amnestiranje ubica i optuzivanje zrtava da su same krive za svoju
pogibiju, kao da su same bacale bombe na sebe.

Tuzno je da tuznije ne moze biti da nasi mediji, oni koji misle da je
toliko vazno da prenose pravdanja onih koji su nas bombardovali (cast
izuzecima), nece da se prisete cak ni notornih cinjenica koje
opovrgavaju Klarka i sve one koji i dalje pljuju po nasoj zemlji i
narodu, okrivljujuci zrtve za zlocine koje su nad njima pocinili.

Samo jedna od takvih neporecivih cinjenica i istina je obecanje koje je
tadasnji generalni sekretar NATO Havijer Solana javno dao predsedniku
Svetske federacije novinara dan-dva pre bombardovanja RTS - da NATO
nece raketirati sediste srpske televizije! Tu vest su preneli svi nasi
i svetski mediji.

KLARKOVO UBIJANJE ISTINE

A sta tek da se kaze o neverovatnoj cinjenici da pred ovakvim
skrnavljenjima istine i profesionalne i nacionalne casti cutke prelaze
novinari i hiljade radnika RTS kojima su celog proleca 1999. godine
bombe danonocno letele iznad glava i sejale pustos i smrt u njihovom
dvoristu, kao i u celoj zemlji? Stidim se danas zbog ovakvog njihovog
ponasanja isto onoliko koliko
sam se ponosio njihovim drzanjem, profesionalizmom, hrabroscu i
rodoljubljem u toku rata.

Priznajem da mi nije nimalo lako da to kazem, ali ne smem vise da o
tome cutim, jer Klark i zbog takve njihove ravnodusnosti, pored
ostalog, misli da i dalje moze lagodno da ubija istinu i zrtve svojih
zlocina. Za razliku od nekih zapadnih novinara koji mu ne daju mira
zbog toga, makar da bi lecili svoju savest, za novinare RTS danas
postoji samo Klarkova istina, a onu pravu, svoju, duboko su zatrpali
ispod rusevina njegovih bombi.

Ni istorija, ni zrtve nece oprostiti takvo drzanje. Tim pre sto svaki
radnik RTS, posebno inzenjeri, tehnicari i novinari dobro znaju ono sto
je i NATO znao - da glavni centar svih telekomunikacionih veza RTS nije
u Aberdarevoj ulici, vec u zgradi na Kosutnjaku. Da je hteo da izbegne
zrtve, Klark nije
morao da salje nikakva upozorenja, nego bi gadjao zgradu u Kosutnjaku,
gde je te kobne noci, kao i svake druge, bilo samo nekoliko dezurnih
radnika i verovatno niko ne bi stradao. A pricinio bi nam mnogo vecu
tehnicku i tehnolosku stetu i na duzi rok nas izbacio iz etra nego
bombardovanjem zgrade u Aberdarevoj. Na kraju, da je bio iole voljan da
izbegne ubijanje
civila, Klark je mogao da bombarduje stari deo zgrade u kome u casu
raketiranja, kao i drugih noci, nije bilo radnika i gde su sva svetla
bila pogasena. Ni u tom slucaju najverovatnije ne bi bilo zrtava.
Na zalost, hteo je krvavu odmazdu zbog stete koju je srpska TV svojim
radom, slikom i reci, nanosila svakodnevno agresoru i, ujedno, da
posalje poruku Srbima i svetu koliko je daleko NATO spreman da ide u
bestijalnosti - istraju li Srbija i njeni gradjani u odbrani svoje
zemlje i slobode. Zar o tome isto tako ubedljivo ne govore i pretnje
pod kojima je sklopljen mirovni
sporazum, kada su mirovni posrednici Ahtisari i Cernomirdin,
mrtvi-hladni, preneli poruku agresora: Srbija ce biti sravnjena sa
zemljom ako ne prihvati ultimatume i ucene, ako se ne odrekne velikog
dela svoje teritorije i vitalnih nacionalnih interesa! I to pred ocima
celoga sveta. To je taj najjaci argument, pred kojim su pognule glavu i
Ujedinjene nacije - argument sile. Ipak, moze li to biti razlog da
casni i hrabri ljudi, novinari u RTS-u i drugim nasim medijima, od
kojih mnoge kao takve licno poznajem i sa kojima sam zajedno radio i
delio dobro i zlo, i dalje cute i uzmicu pred lazima kojima im
samozvani svetski mocnici i siledzije vredjaju cast i samu dusu?

PRAVO JACEG NA ZLOCIN

Ne mogu stoga da prezalim sto Klark nije mene ubio, mene a ne moje
radnike, jer da sam stradao od neke od hiljada tih bombi kojima smo
bili zasuti - bio bih postedjen ne samo bola zbog njihove pogibije i
svih potonjih ponizenja, progona i maltretiranja, vec i surovog, ne
manje bolnog, saznanja da u
narodu i zemlji kojima pripadam, cijem se otporu NATO agresiji divio
citav slobodarski svet, postoje i oni koji, uprkos svemu sto su
doziveli, danas hoce da veruju da su im bliskiji i covecniji ljudi koji
su nas 78 dana zasipali tonama bombi - od sugradjana i sunarodnika sa
kojima su zdusno, kako je ko znao i umeo, branili zemlju od samozvanih
usrecitelja i gospodara sveta.

Posle ove najnovije Klarkove izjave, koje nema cak ni u njegovoj knjizi
o bombardovanju Jugoslavije, treba li se uopste vise icemu od njega i
njemu slicnih cuditi? U svakom slucaju ona je samo jos jedan dokaz da
najvece dostignuce NATO bombardovanja Jugoslavije nije spasavanje ove
vojne alijanse, vec inaugurisanje i legalizovanje prava (jaceg) na
zlocin i agresiju, cime se glavesine NATO sapatom uveliko hvalisu,
ohrabreni cinjenicom da ostatak sveta na kraju pocinje da se miri s
tim, uljuljkujuci se nadom da se zlo nece njemu dogoditi, da se dogadja
samo drugima... Boje se, ipak, sudeci bar po ovako nevestim i nemustim
pravdanjima zlocina, da to
tako nece ici beskonacno.

A moj odgovor bombarderu Klarku bio bi kratak: da je imao imalo
vojnicke casti, ne bi poubijao tako hladnokrvno 16 radnika televizije
ciji sam direktor u to vreme bio. Moj problem je bio sto sam verovao da
on i njegovi sefovi imaju bar minimum te vojnicke casti. I sto nisam
imao nijedno sigurno
mesto na koje bih poslao radnike da rade svoj posao; od njegovih bombi
nije bilo zastite za radnike srpske televizije. Da, mogli smo da ne
radimo, znali smo da je za NATO tako najbolje, ali bi za Srbiju to bilo
NAJGORE. Uz to, ni onda ne bismo bili bezbedniji mnogo, mogli smo
poginuti na bilo kom drugom mestu. I mi smo radili, nismo ugasili RTS.
Nije to mogao ni NATO bombama.
Zato neka je vecna slava i hvala kolegama koji su zivotima platili
Klarku danak u krvi zbog nemoci ratne masinerije kojom je komandovao da
ih ucutka i pomraci i potpuno sakrije istinu o masakriranju jednog
naroda i jedne zemlje sa bezbednih visina i daljina.


POSLEDNJA OPOMENA NOVINARIMA SVETA
Ubilacko disciplinovanje medija

Ipak, nije to jedini razlog sto ubijanje radnika RTS najodgovorniji u
NATO pokusavaju posto-poto da proglase legitimnim. Sada je, naime,
svakom iole obavestenom i razumnom jasno da na taj nacin hoce da
zastrase novinare i
medije na svakom mestu na planeti da ce doziveti istu, tragicnu sudbinu
ukoliko se drznu da se ozbiljnije suprotstave surovostima i interesima
najmocnije ratne masinerije na svetu, ako se usude da iznose istinu o
ratnim zlocinima koje cini ili ce ciniti pod najrazlicitijim
izgovorima. Ako na prvu ozbiljniju pretnju ne zacute i zatvore oci pred
istinom, ili odmah ne pobegnu i dignu ruke od posla, moze ih zadesiti
sudbina radnika RTS. Tako se, u planetarnoj medijskoj tisini, u miru i
spokoju, najlakse mogu ubijati i okupirati zemlje i narodi. Prosto,
hoce da legalizuju ubijanje neposlusnih medija, da ih legalizuju kao
legitimne mete.

Eto, to je poruka Veslija Klarka i njemu slicnih medijima sirom sveta,
posebno onima koji uporno kopkaju po rusevinama RTS i pitaju hoce li se
neko bar izviniti zbog tog zlocina.


MILANOVIC PITA KLARKA
Zasto niste evakuisali Pentagon i Svetski trgovinski centar

Mozda bih ipak i ja mogao nesto da priupitam Klarka i njegove sa ove
moje bezbedne daljine, iza visokih zidina i 77 brava:

Sta bi bilo kada bih ja, ne daj boze, pokusao da trazim bilo kakvo
opravdanje za one koji su Klarka, Pentagon i ko zna koga sve u SAD
upozoravali da ce napasti Svetski trgovinski centar, Pentagon i stosta
u Americi ako ne prestanu sa svojom imperijalistickom i neokolonijalnom
politikom na Bliskom i Srednjem istoku i u arapskom svetu?

Sta bi se dogodilo kada bih, stavise, makar i u naznakama priupitao da
li su Amerikanci i hiljade zrtava teroristickog napada 11. aprila krivi
sto nisu napustili trgovinski centar kad su bili upozoreni da ce biti
napadnuti?
Najbolje sto bi mi se moglo dogoditi bilo bi, verovatno, da me proglase
ludim. Jer, naravno, nicim se ne moze i ne sme pravdati ubijanje
civila, kako izricito nalazu sve medjunarodne konvencije.


MOLBA KOLEGAMA IZ RTS-a
Recite istinu, makar i bojazljivo

A kolegama novinarima, posebno u RTS, uputio bih samo jednu malu molbu:

Molim vas, recite javno bilo gde, bilo kako, Klarku i njegovima da u
zgradi RTS 23. aprila 1999. godine, u dva sata i sest minuta nisu
jednom bombom poubijali 16 glavesina Milosevicevog rezima, nisu ubili
direktora Milanovica, vec 16 vasih kolega, nenaoruzanih, koji su radili
svoj uobicajeni posao, i ranili su desetine drugih radnika, civila.
Recite to, makar i bojazljivo, snishodljivo, izvinjavajuci se, ali
recite da su to bili civili kao i vi, koji nikakve veze nisu imali sa
vojnim aparatom. I da nikakvo opravdanje za taj zlocin ne postoji,
mozda nekad samo oprostaj.
Recite tako nesto, pa posle slobodno ospite paljbu na rezim, na
Milanovica, na koga god hocete... Samo ne dajte vise da pljuju po vama
i zrtvama koje su, kao i vi sami, uprkos raznim "upozorenjima" odbijale
da se odreknu posla od koga su ziveli i za koji su ziveli i u najtezim
trenucima za njih i njihov narod.


Napomena:
Tekst je objavljen u Srpskim novinama «OGLEDALO» broj 17 od 4.
februara 2004. godine

Gli sloveni, questi inguaribili infoibatori !

1. Foibe, Ciampi scrive a Storace: "Tragedia nella memoria di tutti"
(La Repubblica online, 9/2/2004)
2. Foibe, in Slovenia un tetris web ripropone l'orrore
(La Repubblica online, 9/2/2004)


=== 1 ===

http://www.repubblica.it/2004/b/sezioni/politica/valonazionali/
valonazionali/valonazionali.html
POLITICA

Nel Lazio oggi la Giornata dei valori nazionali, che ricorda anche gli
esuli istriani, fiumani e dalmati vittime dei partigiani di Tito


Foibe, Ciampi scrive a Storace
"Tragedia nella memoria di tutti"

Martedì alla Camera due pdl per istituirla a livello nazionale
Divisioni nella sinistra: scontro tra Ds e Comunisti italiani
 


ROMA - Francesco Storace aggiunge un'altra tappa
importante nella battaglia che sta portando avanti, istituire una
"Giornata dei valori nazionali" che si celebra oggi e domani nella
Regione che amministra, il Lazio, e che presto potrebbe diventare
nazionale. Il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli ha
inviato un messaggio: "La Giornata dei valori nazionali, istituita
dalla Regione Lazio, ricorda oggi la firma del trattato di Parigi con
cui l'Italia, risalendo dall'abisso della guerra, pose le premesse per
rientrare nel consesso dei popoli governati dai principi della
democrazia e della pacifica convivenza".

Ma il passaggio che segna il vero punto a favore della battaglia di
Storace riguarda il ricordo delle Foibe che il governatore del Lazio ha
unito nella stessa ricorrenza. Un capitolo della storia italiana da
sempre delicato. Il 10 febbraio è il giorno della firma a Parigi del
Trattato di pace che comportò per il nostro paese la cessione
dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia alla Jugoslavia. E il
conseguente esodo di migliaia di italiani costretti ad abbandonare le
loro case e che subirono le violenze dei partigiani del maresciallo
Tito.

Centinaia di italiani furono giustiziati nelle Foibe.

Scrive Ciampi a Storace: "La tragedia delle Foibe fa parte della
memoria di tutti gli italiani. La Repubblica, consapevole dei valori
universali di libertà e democrazia che le istituzioni nazionali ed
europee hanno saputo costruire, ricorda quegli eventi con dolore e
rispetto".

Storace sottolinea che il messaggio del capo dello Stato è "un
riconoscimento a ciò che sta facendo la Regione Lazio sul valore della
memoria condivisa". E la vittoria dell'esponente di An potrebbe
diventare ancora più ampia se il Parlamento dovesse raccogliere due
proposte di legge (una di An e una dei Ds) per l'istituzione della
ricorrenza che saranno discusse domani alla Camera dei deputati.

Tra maggioranza e opposizione c'è accordo sull'iniziativa della
Giornata, ma non sul legame con le Foibe. Commemorare i due eventi
nello stesso momento suonerebbe, secondo la sinistra, come una
celebrazione di parte.

Per non parlare delle divisioni all'interno della sinistra. Il
segretario dei Ds Piero Fassino si è detto d'accordo sull'istituzione
della giornata della memoria per gli esuli istriani, fiumani e dalmati,
per superare "ogni forma di reticenza e rimozione di una tragedia che
ogni italiano deve considerare parte della storia del Paese".

Dichiarazione che ha subito suscitato la reazione di Armando Cossutta
dei Comunisti italiani: "Tra i massimi dirigenti dei Ds siamo non solo
di fronte a un inaccettabile revisionismo storico ma ad una forma vera
e propria di abiura".

(9 febbraio 2004)


=== 2 ===

http://www.repubblica.it/news/ired/ultimora/rep_nazionale_n_607475.html
Milano, 17:19

Foibe, in Slovenia un tetris web ripropone l'orrore

Fojba 2000. Si chiama così il gioco web - proposto con un link
dal giornale online sloveno Mlandina - il cui scopo è quello di
far cadere persone nelle cavità del Carso. Mentre in Italia si
commemorano le vittime delle foibe in Slovenia ecco una
versione particolare del famoso gioco Tetris, dove i
quadrettini da far cadere ed eliminare sono disegni animati di
persone gettate nelle cavità carsiche. Il gioco si chiama
appunto Fojba 2000.

La segnalazione è del consigliere regionale della Lombardia,
Silvia Ferretto, eletta nelle file di An. Ferretto da tempo ha
proposto in una mozione di istituire una giornata della memoria
dedicata alle vittime delle foibe il 10 febbraio, giorno in cui
nel 1947 l'Italia firmò il trattato con cui rinunciava a Istria
e Dalmazia. E ha anche inviato al presidente del Consiglio
lombardo, Attilio Fontana, una lettera firmata anche da altri
esponenti della maggioranza per chiedere che nella seduta di
domani le vittime delle foibe siano ricordate con un minuto di
silenzio.

Secondo Ferretto Fojba 2000 "è un gioco di pessimo gusto che
offende profondamente la memoria di tanti italiani che nelle
foibe hanno trovato la morte

[Una dettagliata analisi in due parti, pubblicata dalla berlinese
"Junge Welt", illustra per filo e per segno gli effetti devastanti di
tre anni di regime liberista in Serbia. Nomi e cifre della svendita
completa di un paese. Di tutto questo e' rigorosamente vietato scrivere
su "Liberazione" ed "Il Manifesto"...]


Junge Welt (Berlin)
http://www.jungewelt.de/

04.02.2004

Thema
Hannes Hofbauer

Ökonomische Kolonisierung

Serbien – zerbricht das Land? Neuordnung am Rande Europas (Teil 1)

Das ganze Elend Serbiens und der Serben zusammenfassend, sagt der
bekannte Belgrader »Politika«-Kommentator und Kirchenjournalist Zivica
Tucic: »Ich lebe in einem Land und weiß nicht einmal, wie groß dieses
Land ist. Dieses Land ist seelisch mehr ruiniert, als man es wahrhaben
will. Erniedrigt von innen und von außen, ist unsere Situation
tragischer, als wir es uns selbst eingestehen. Außerhalb interessiert
unser Zustand ohnedies niemanden. Zehn Jahre Sanktionen und 78 Tage
Bombenkrieg haben tiefe Wunden in unser Bewußtsein gerissen. Offen
gesagt: Ich kann nicht mehr ehrlich lachen, mich nicht mehr entspannen.
Die Erfahrungen sind so bitter, die Demütigungen so nachhaltig ...«

Der Theologe erklärt mir, niemals Pessimist gewesen zu sein, auch nicht
in den für ihn schlimmen Zeiten der Milosevic-Ära. Was ihm die
Fröhlichkeit genommen habe, sei die Enttäuschung der vergangenen drei
Jahre. Konnten Intellektuelle seines – oppositionellen – Schlages noch
Ende der 1990er Jahre auf eine bessere, demokratischere, offenere
Zukunft hoffen, so haben sie drei Jahre Wirklichkeit nach der
»Bulldozer-Revolution« im Oktober 2000 eines Schlechteren belehrt. Nun
scheint die ganze politische Kaste vor dem Volk diskreditiert,
westliche Banken und Konzerne regieren über internationale
Finanzorganisationen das Land.

Territorialer Schwebezustand

Serbien lebt in einer Art Wartestellung. Die Parlamentswahlen vom 28.
Dezember 2003 haben – nach mehreren vergeblichen Anläufen für eine
präsidentielle Entscheidung – keine Konsolidierung gebracht. Das Land
befindet sich in der Schwebe. Ungeklärt ist zuallererst der
substantielle Kern jeder Staatlichkeit: die Territorialität. Die von
EU-Europa forcierte Union mit Montenegro hat außer einem pittoresken
internationalen Autokennzeichen – SCG – nichts gebracht. Wer diese
Unklarheit kleinredet, argumentiert mit den viel größeren, weil
näherliegenden Problemen sozialer Verelendung und wirtschaftlicher
Talfahrt, die das Land bedrücken. Die territoriale Frage zu
vernachlässigen, wäre dennoch kurzsichtig, fallen doch ökonomische
Entscheidungen auf Basis eines gesicherten staatlichen Umfeldes, und
auch soziale Sicherheit ist ohne administrative Rahmenbedingungen nicht
einmal mehr im Dorfleben möglich, das auch in Serbien längst mit
großräumiger Arbeitsteilung verwoben ist.

Die territoriale Unsicherheit betrifft indes keineswegs nur die Union
mit Montenegro, daran hängt freilich auch die Statusfrage des Kosovo.
Im Anschluß an den Vertrag von Kumanovo vom 9. Juni 1999, der den Abzug
der serbischen Polizei und der jugoslawischen Volksarmee aus der
Provinz Kosovo-Metochien regelte, machte die UN-Resolution 1244 – fast
unbemerkt von der Weltöffentlichkeit und auch in Serbien kaum zur
Kenntnis genommen – aus der ehemaligen serbischen Provinz offiziell
einen Teil Jugoslawiens. Mit der von der DOS-Allianz und Präsident
Vojislav Kostunica unter tatkräftiger Mithilfe der Europäischen Union
im Februar 2003 zu Grabe getragenen südslawischen Föderation ist der
Status des Kosovo prekärer denn je. Doch auch Serbien selbst ist
territorial nicht gefestigt. Die Autonomiebestrebungen der Vojvodina
wachsen proportional zu den wirtschaftlichen Schwierigkeiten im
Kernland. Bereits unmittelbar nach den NATO-Bombardements meldete sich
eine »Reformistische Koalition Vojvodina« zu Wort, einer ihrer
Wortführer, der Völkerrechtler Dejan Jenca, meinte im Sommer 1999: »Die
Regionalisierung ist die Schlüsselfrage der Opposition«. 1) Er träumte
davon, Serbien in fünf autonome Gebiete zu teilen: die Vojvodina, den
Sandzak, Südostserbien, Nordwestserbien und Groß-Belgrad. Nach der
Machtübernahme durch die Oppositionsparteien im Oktober 2000 mischten
sich offen sezessionistisch argumentierende Gruppen wie die »Liga der
Sozialdemokraten in der Vojvodina« ins politische Geschehen. Ihr
Führer, Nenad Cacak, fordert eine Neudefinition der seit 1974
bestehenden Autonomie.
Von Ungarn aus hat sich der Druck auf Serbien durch das bereits in
Kraft getretene Status-Gesetz erhöht, das Menschen ungarischer Herkunft
aus der Slowakei, Transsilvanien und der Vojvodina u. a. privilegierten
Zugang zu Bildungs-, Gesundheits- und Sozialeinrichtungen in Ungarn
sichert und damit teilweise die staatlichen Hoheitsrechte der einzelnen
Länder untergräbt.

Die ungeklärte Territorialität Serbiens spiegelt sich auch in der
fruchtlosen Verfassungsdebatte wider. Während unter Slobodan Milosevic
– offiziell – eine offene Verfassung dem multinationalen Erbe des
Landes Rechnung trug und jedem Bürger auf dem Territorium der Republik,
gleich welcher Ethnie oder Religion er angehörte, die gleichen Rechte
gewährte, diskutiert man seither in politischen und akademischen
Kreisen über eine Nationalisierung der Bürgerrechte, wonach demnächst
die serbische Nationalität – wie die kroatische in Kroatien – das
Staatsvolk bilden könnte.

Der Schwebezustand kann dauern. Manche haben sich darin eingerichtet.
Nutznießer der staatlichen Provisorien ist vor allem eine
wirtschaftliche Halbwelt, deren Wurzeln meist in die Milosevic-Ära
zurückreichen und die sich im kurzen »Demokratie«-Zeitalter ganze
Wirtschaftszweige untertan gemacht hat. Namen wie Bogoljub Karic und
Maureen Miskovic, die weite Teile der Telekommunikation, des
Automobilimports, eine Bank und viele andere Geschäfte ihr eigen
nennen, bestimmen Serbiens Politik weit mehr, als politische Parteien
dazu in der Lage sind. Folgerichtig betreiben die rasch wechselnden
Parteiallianzen weniger Ideologie als Seelenfängerei, wenn sie mit
sozialen Versprechungen ihre ökonomische und politische Ohnmacht zu
übertünchen trachten.

Diese fatale Geisteshaltung, die das wirtschaftliche und politische
Leben Serbiens prägt und jenen Schwebezustand hervorbringt, ist jedoch
keineswegs »hausgemacht«, wie das die westlichen Medien, die seit
kurzem auch über die Aktienmehrheiten auf dem serbischen Zeitungsmarkt
verfügen, weismachen wollen. Da ist zuerst einmal die militärische
Besatzung des Kosovo im Gefolge eines völkerrechtswidrigen Krieges,
beides hat der Rechts- und Gesetzesgläubigkeit schwer zugesetzt. Wenn
sich die stärkste Militärmacht der Welt ohne jede rechtliche
Legitimation auf ein Land stürzen kann, weil ihr die gewählte Regierung
nicht behagt und sie es versteht, ethnische Konflikte im Kosovo für
sich zu instrumentalisieren, dann darf sich niemand wundern, daß im
täglichen Leben Serbiens Unrecht als etwas Selbstverständliches Platz
greift und der eigene Vorteil zur Moral erhoben wird. Auch die rund um
Serbien stehenden militärischen Einheiten, die das Land förmlich
umzingeln, rauben Staat und Nation das für einen Neustart nötige
Selbstbewußtsein. US- und EU-Truppen im Kosovo, in Bosnien-Herzegowina
und Makedonien demonstrieren nicht nur dort, sondern auch der
Bevölkerung Serbiens, daß die Region unter Fremdherrschaft steht.
Und genau dies ist das eigentliche Problem, mit dem Belgrad zu kämpfen
hat.

Die Naivität der Reformer

Besonders drastisch äußert sich diese Fremdbestimmtheit in der
Ökonomie. »Die Zukunft der Föderativen Republik Jugoslawien ist
überschattet von der niederschmetternden Bürde ihrer Auslandsschulden«,
schreiben Miroljub Labus und Mladjan Dinkic in ihrer Eigenschaft als
Außenwirtschaftsminister bzw. Zentralbankchef im Mai 2001 an den
Internationalen Währungsfonds. 2) Serbien steht Anfang 2004 bei den
internationalen Finanzorganisationen und Banken mit zwölf Milliarden
US-Dollar in der Kreide, das sind etwa vier Milliarden mehr als vor den
UN-Sanktionen im Jahr 1992. Ohne wirtschaftlichen Austausch zwischen
Belgrad und dem Rest der Welt sind die Schulden des Landes in diesen
zwölf Jahren – nur der Zinsen wegen – um ein Drittel gestiegen. Kurz
nach der »Bulldozer-Revolution« hatte der jugoslawische Zentralbankchef
Dinkic im offensichtlich revolutionären Übermut bei der Weltbank um
einen Forderungsverzicht auf jene vier Milliarden angefragt, die in der
außenwirtschaftlich »toten« Ära Milosevic angefallen sind und in diesem
Zusammenhang sogar von »Ansprüchen« gesprochen, die das neue,
demokratische Jugoslawien auf eine Schuldenstreichung hätte. Die
Erwartungshaltung, die Gläubiger würden auf die kapitalisierten Zinsen
der Jahre 1992 bis 2000 verzichten, zeigte die ganze Naivität der
Belgrader Reformer. Weltbank und Internationaler Währungsfonds (IWF)
ließen sie abblitzen. Zwar ist über die Jahre eine Umschuldung und
Teilstreichung von Zinsen im sogenannten Pariser Klub durchgeführt
worden, um eine offizielle Zahlungsunfähigkeit, ein Schuldenmoratorium,
zu vermeiden; Fazit bleibt jedoch: Belgrads Außenschuld beträgt zwölf
Milliarden US-Dollar. Im Jahr 2005, wenn die volle Rückzahlung der
Kreditzinsen wieder aufgenommen werden muß, droht ein finanzielles
Debakel, wie auch der zuständige Experte des renommierten »Wiener
Instituts für Internationale Wirtschaftsvergleiche«, Vladimir Glogorow,
feststellt: »Wenn die Schulden nach 2005 wieder bedient werden müssen,
wird das (staatliche) Defizit ein unerträgliches Niveau erreichen.« 3)
Für das Jahr 2003 betragen die Auslandsschulden übrigens sagenhafte 259
Prozent der Gesamtexporte des Landes, das sind mehr als in Albanien
(141 Prozent) oder in Bulgarien (180 Prozent). 4)

Clanwirtschaft

In der Zwischenzeit hatte sich die alte DOS-Regierung in ihrem »Letter
of Intent« vom Mai 2001 gegenüber den internationalen
Finanzorganisationen als Gegenleistung für die Umschuldungsmodalitäten
verpflichtet, »die Inflation niedrig zu halten«, »Preisverzerrungen zu
reduzieren«, eine »Steuerreform durchzuführen« und vieles andere mehr.
5) Sie folgt damit den scheinbar ewigen Regeln der imperialen
Wirtschafts- und Währungshüter: Durchsetzung einer restriktiven
Geldpolitik sowie Beendigung staatlicher Förderungen für Wirtschaft und
Soziales, was in der Folge das Eindringen (und den nachfolgenden Abzug)
ausländischen Kapitals garantieren soll sowie zu einer größeren
sozialen Ungleichheit führt. »Nach dem Oktober 2000 erfüllte das Land
die Forderungen des IWF auf Punkt und Komma«, meint dazu der frühere
Minister im Kabinett Milosevic und Wirtschaftsprofessor Oskar Kovac mir
gegenüber. 6) Und Mile Jovic vom »Institut für
Wirtschaftswissenschaften« in Belgrad sieht für die Jahre nach 2005 das
wirtschaftliche Chaos heraufziehen. »Um dann den Schuldendienst
begleichen zu können, müßten Serbiens Exporte jährlich um 15 Prozent
wachsen«, was der Fachmann für gänzlich unrealistisch hält. Jovic hält
die »nicht gehaltenen großzügigen Versprechen des Westens« vom Oktober
2000 für die »Basis der Misere im Land«. 7)

Territorialer Schwebezustand und wirtschaftlicher Würgegriff
provozieren geradezu eine Mafiotisierung der politischen Elite. Ohne
eigenständige Handlungsfähigkeit auf nationaler Ebene, die militärisch
von der NATO und ökonomisch von IWF und Weltbank beschnitten wird,
beginnt sich in einem krisengeschüttelten Land die Clanwirtschaft
gegenüber der Volkswirtschaft durchzusetzen. Westliche Medien und
Politiker bzw. deren Spezialisten wie Vladimir Gligorow stellen gerne
die Logik auf den Kopf. Sie sprechen – aus der Innensicht gesehen zu
Recht – von Serbien und Montenegro als einem »gefangenen Staat« in den
Händen der Mafia. »Das serbische Parlament«, so Gligorow über das
nachrevolutionäre Serbien, »war in seinen Möglichkeiten zum Handeln
sehr beschränkt, es war mehr ein unwilliger Agent dieser (mafiotischen,
d. A.) Organisationen als eine Reformkraft für politische
Entscheidungen.« 8) Doch die Hände waren (und sind) dem Parlament nur
scheinbar hauptsächlich wegen der internen gesellschaftlichen
Strukturen gebunden; eine entscheidende Rolle spielen jene
westeuropäischen und nordamerikanischen Kräfte, die eigenständige
Politik auf nationaler Ebene erst gar nicht zulassen und damit der
Clanwirtschaft Vorschub leisten.


1) Dejan Jenca in der Neuen Zürcher Zeitung, 14.7.1999
2) »Letter of intent« der Bundesrepublik Jugoslawien an den IWF. Siehe:
www.imf.org:80/external/np/loi/2001/yug/01/index.htm.
3) Vladimir Gligorow, Serbia and Montenegro: Transition with Organized
Crime (Current Analyses Nr. 19, Juli 2003) Wien, S. 33
4) Ebenda, S. 42
5) vgl. »Letter of intent« Jugoslawiens an den IWF.
6) Gespräch mit Oskar Kovac, Belgrad, 18.12.2003.
7) Gespräch mit Mile Jovic, Belgrad, 17.12.2003.
8) Vladimir Gligorow, Serbia and Montenegro, S. 4


05.02.2004
Thema
Hannes Hofbauer

Freibrief für Ausverkauf

Serbien – zerbricht das Land? Neuordnung am Rande Europas (Teil II und
Schluß)

Ein wesentlicher Schritt hin zur ökonomischen Kolonisierung Serbiens
gelang im Gefolge der »Bulldozer-Revolution« vom Oktober 2000. Damals
koordinierte der IWF-geeichte Miroljub Labus die überall im Lande
auftretenden sogenannten Krisenkomitees, die die Führungsetagen von
Fabriken und Büros von Anhängern der Milosevic-Zeit säuberten. Dieser
politisch motivierte Personalaustausch funktionierte indes nicht. Zwar
wurden Tausende Fachkräfte aus alten Tagen auf die Straße gesetzt, es
rückte aber kein entsprechend geschultes Personal nach. »Die ganze
Sache war dumm, weil sie ungeduldig und enthusiastisch verlief, ohne
einen sinnvollen Übergang zu schaffen«, meint Mile Jovic vom »Institut
für Wirtschaftswissenschaften« rückblickend. »Manager auszutauschen und
sie durch Leute ohne Erfahrung zu ersetzen, das war ein Fehler.« Was
Jovic volkswirtschaftlich als Fehler einschätzt, hatte indes politisch
eine nicht zu unterschätzende Bedeutung. Denn auch im Zusammenhang mit
der rasch einsetzenden Privatisierung waren diese ohnedies aus
Milosevic-Zeiten bereits maroden Betriebe nach drei, vier Monaten unter
Leitung der Krisenkomitees gänzlich heruntergewirtschaftet und billig
zu haben. Freunde der alten DOS-Allianz sowie internationale Investoren
konnten sich ohne großes Risiko bereichern; wo es lukrativ schien,
taten sie es.

Das Privatisierungsdekret

Das Privatisierungsdekret vom Mai 2001 komplettierte den Ausverkauf der
serbischen Ökonomie. Es war bereits der vierte oder fünfte Anlauf zur
Zerschlagung des gesellschaftlichen Eigentums, und diesmal schien es zu
klappen. Bereits zuvor waren unter der letzten gesamtjugoslawischen
Regierung von Ante Markovic 1990 ca. zehn bis 20 Prozent der in
Arbeiterselbstverwaltung befindlichen Betriebe privatisiert worden.
1991 versuchte dann Slobodan Milosevic sein Glück, Geld aus dem
Volksvermögen zu requirieren. 1994 wurden Privatisierungen in Serbien
wieder zurückgenommen, um 1997 – unter dem serbischen
Vizeministerpräsidenten (und anschließenden Privatisierungsgewinner)
Bogoljub Karic – die Betriebe erneut zum Verkauf an Privatinvestoren
freizugeben, Bereicherungen der damals herrschenden Schicht inklusive.

Im Mai 2001 setzte die DOS-Allianz schließlich, ähnlich dem kroatischen
Vorbild, den Verkauf allen gesellschaftlichen Eigentums durch. Das kam
faktisch einer Verstaatlichung gleich, um die entsprechende Behörde
überhaupt erst in die Lage zu versetzen, das formal in den Händen von
Arbeitern und Managern befindliche Eigentum Privaten anbieten zu können.
Über das entsprechende Dekret ließ man lapidar verlauten, daß die
Regierung jedes Unternehmen verkaufen dürfe, das sich nicht in privater
Hand befindet.
Das Verfahren soll bis 2007 abgeschlossen sein.

Diesem Freibrief zum Ausverkauf gesellschaftlichen Eigentums folgte
eine Phase der Desorientierung, war doch der Wert der Unternehmen noch
nicht festgesetzt. Über Ausschreibungen für große und Versteigerungen
für kleinere Betriebe hofften die Liberalen um Miroljub Labus und
Meadjan Dinkic, Geld für das nationale Budget zu bekommen. Allein: Bis
Ende 2003 flossen aus diesen Privatisierungen – laut Auskunft von Dusan
Pavlovic, einem Ökonomen des liberalen G17-Instituts, – magere 1,2 Mrd.
US-Dollar ins Staatsbudget, was einem Zehntel der serbischen
Auslandsschuld entspricht. Der schwache Erlös ist auch auf die vielen
ungeklärten Forderungen der einzelnen Firmen zurückzuführen, die
gegenüber den großen, mittlerweile von Staats wegen geschlossenen
jugoslawischen Banken bestehen. Investoren schrecken vor massiven
Unsicherheiten in den Bilanzen zurück.

Wirklich zugegriffen haben multinationale Konzerne wie die
Zigarettenunternehmen Philip Morris (z. B. Marlboro) und British
American Tobacco/BAT (z. B. Lucky Strike), die sich die führenden
serbischen Fabriken von »Dunavska Industrija« in Nis und Vranje teilen,
der französische Bauriese Lafargue sowie der deutsche Chemiemulti
Henkel, die die serbischen Marktführer erworben haben, und der
US-Stahlgigant US Steel, der die größte und wichtigste Schmiede
Serbiens in Smederevo erstand. An diesem »Kauf« von US-Steel kann der
Eigentümerwechsel in der Phase der Tranformation übrigens idealtypisch
studiert werden. Für lediglich 23 Millionen US-Dollar erwarb der in
ganz Osteuropa (z. B. im slowakischen Kosice) aktive US-Konzern 2001
das Sartid-Werk in Smederevo.

Die Schulden des Werkes wurden im Verein mit der serbischen Regierung
elegant aus den Bilanzbüchern gestrichen, indem der Stahlkocher formal
zuerst geteilt wurde und damit jenes Unternehmen, das US Steel kaufte,
schuldenfrei übergeben werden konnte. Weil aber deutsche,
österreichische und britische Gelder im alten Sartid-Werk steckten, kam
es zu Streitigkeiten, die nun vor Gericht verhandelt werden. Wären es
keine Schulden bei ausländischen Investoren – unter Führung der
österreichischen Bank-Austria – gewesen, sondern bloß beim Volk von
Jugoslawien bzw. bei den Arbeitern der betreffenden Firma, hätte es
sicher keinerlei Empörung über diese Art der Privatisierung gegeben.

Wohl einzigartig in der osteuropäischen Wendezeit verlief die
Neuerrichtung eines privaten Bankensystems in Serbien. Die vier größten
Banken – Beobanka, Beogradska Banka, Jugobanka, Investbanka – wurden
per staatlichem Dekret mit einem Schlag aus dem Verkehr gezogen, indem
man ihnen einfach – wie im Januar 2002 geschehen – die Lizenz entzog
und so den Markt für Private freiräumte. Von liberalen Ökonomen wird
behauptet, die großen alten jugoslawischen Banken seien ohnedies nur
mehr »leere Schalen« gewesen, die seit dem Einfrieren der Devisenkonten
in den früheren 1990er Jahren kein Vertrauen in der Bevölkerung mehr
genossen hätten.

Das mag stimmen, erklärt aber nicht, warum die vom Staat übernommene
Haftung für die Konten heute einen lebhaften Kapitalmarkt geschaffen
hat, auf dem in Form von »Bonds« mit diesen Schuldverschreibungen
gehandelt wird. Der Staat ist also für die offenen, meist eingefrorenen
Forderungen an die Banken eingesprungen und hat dafür Bonds in der Höhe
von insgesamt 2,8 Milliarden US-Dollar emittiert. Diese Bonds werden
wie Staatsschuldscheine gehandelt und machen einen Gutteil des
Kapitalmarktes in Serbien aus. Auch die Banken leben von dem Geschäft.
So leer können also die Schalen nicht gewesen sein.
Das Vertrauen in diese »Bonds«, die sich letztlich aus Sparguthaben aus
alten, besseren Tagen speisen, wird freilich nur mühsam
aufrechterhalten – solange der IWF weitere Umschuldungen erlaubt und
damit die Liquidität des Staatssäckels aufrechterhält.

In die Bankenlandschaft Serbiens haben seit dem Regimewechsel 2000
neue, global agierende Unternehmen aus dem Ausland eingegriffen. Das
erfolgreichste unter ihnen ist die österreichische
Raiffeisenzentralbank (RZB). Bereits unmittelbar nach der Oktoberwende
des Jahres 2000 war sie vor Ort, und im März 2001 erhielt sie als erste
Auslandsbank eine staatliche Lizenz. Anfang 2004 betreibt sie mit 500
Angestellten bereits 18 Filialen im Land. Ihr Aufschwung beruht im
wesentlichen auf drei Säulen: dem reichlich vorhandenen ausländischen
Kapital, der staatlichen Auflösung potentieller Konkurrenten und der
Einführung des Euro.

Von der Schließung der großen Banken profitierte die RZB schon deshalb,
weil mit einem Schlag Tausende geschulte Bankangestellte auf der Straße
standen, aus deren Reihen sie sich die besten aussuchen konnte. Und die
Euro-Einführung am 1. Januar 2002 trieb der RZB Zigtausende Kunden ins
Geschäft, die ihre unter dem Kopfkissen gehorteten DM in Euro
umtauschen mußten. »Als wir kamen, waren wir extrem liquid, weil wir
wegen der Euro-Umstellung von Privatkundengeldern überschwemmt wurden«,
meldet dazu stolz RZB-Chefmanager Oliver Rögl. In wenigen Monaten
konnte die Raiffeisenzentralbank damit 20 Prozent Kundenanteil in
Serbien gewinnen, wofür unter anderen, normalen Umständen, gibt Rögl
freimütig zu, ein Jahrzehnt nötig gewesen wäre.

Halbdurchlässiger Liberalismus

Aus diesen drei Elementen setzt sich – grob gesprochen – die
Wirtschaftspolitik der unmittelbaren Nachwendezeit zusammen.
Restriktive Geldpolitik ist das Vorzeigeprojekt der Neoliberalen
weltweit. In Serbien hat es zu einer Verknappung der Geldmenge geführt,
die nun, zwei Jahre nach der Euro-Wechseleuphorie, für jedermann
spürbar wird. Dieselbe währungs- und geldpolitische Stabilität war
bereits in den Jahren 1990/91 angestrebt worden, scheiterte damals aber
an der Tatsache, daß Milosevic die Notenpresse in Gang setzen ließ.
Auch der Außenhandel wurde bereits zu Zeiten Markovic’ einseitig, das
heißt bei Importen total, bei Exporten von den EU-Regeln abhängig,
liberalisiert. Die auf nationale Eigenständigkeit bedachte Politik der
Sozialistischen Partei Serbiens (SPS) und die UN-Sanktionen brachten
diese Liberalisierung zum Scheitern. Nach 1999 ging die Schere zwischen
Exporten und Importen wieder extrem auseinander. Zwischen 2000 und 2003
hat sich ein Handelsbilanzdefizit von zehn Milliarden US-Dollar
angehäuft, allein im Jahr 2003 wurden Waren für 4,5 Milliarden
US-Dollar mehr importiert als exportiert.

Die nach dem Euro-Umtausch relativ hohe Liquidität in der Bevölkerung
ist – wegen der von Serbien einseitig erklärten Importliberalisierung –
im Massenkonsum verpufft. Die Exporte, die großteils aus Rohmaterialien
und Nahrungmitteln bestehen, machen wertmäßig gerade ein Drittel der
Importe aus, das höchste Defizit besteht, wie könnte es anders sein,
gegenüber den Ländern der Europäischen Union (vgl.Vladimir Gligorow,
Serbia and Montenegro: Transition with Organized Crime. Current
Analyses Nr. 19, Juli 2003, S. 25). Dorthin dürfen zwar generell 95
Prozent aller Güter zollfrei bzw. mit Präferenzsystem exportiert
werden, die restlichen fünf Prozent stellen allerdings für Länder wie
Serbien 95 Prozent ihrer Exportmöglichkeiten dar. Im Klartext:
High-Tech-Hubschrauber dürfen ohne große Zollzahlungen in die EU
geliefert werden, landwirtschaftliche Produkte, Rohstoffe oder
Textilien aber werden mit hohen Zöllen belegt bzw. dürfen nur mit
niedrigen Quoten in die Brüsseler Union.

Diese Art halbdurchlässiger Liberalismus führte zu drastischen
wirtschaftlichen Problemen. Viele Produktionsbetriebe stehen seit dem
Krieg still, die Industrieproduktion sinkt (um 3,5 Prozent von 2002 auf
2003), die offizielle Arbeitslosenzahl lag Ende 2003 bei 32 Prozent.
Und auch wer einen Job hat, erhält oft monatelang keinen Lohn.
Arbeiterproteste finden immer erst dann statt, wenn es strukturell
bereits zu spät ist. Wenn infolge einer Privatisierung ein Teil der
Belegschaft auf die Straße gesetzt wird, um die niedrige Produktivität
eines Unternehmens auf die einfachste Art und Weise zu erhöhen, dann
kommt es schon vor, daß Arbeiter die Fabrik besetzen bzw. eine
Demonstration vor einem Ministerium oder einem Rathaus abhalten. Ihr
Zorn auf die Privatierung kommt indes Monate bzw. Jahre zu spät, denn
das Gesetz ist bereits im Mai 2001 beschlossen worden. Damals regte
sich dagegen kaum Widerstand.

Was in Serbiens Wirtschaft floriert, ist die graue Ökonomie, der
sogenannte informelle Sektor. Er allein ist es auch, der verhindert,
daß eine Gesellschaft mit einer Arbeitslosenrate von 32 Prozent nicht
kollabiert. Staatsgläubig waren die Serben noch nie, also fällt es
ihnen auch in der neuen Zeit nicht weiter schwer, Arbeit am Fiskus
vorbei zu finden. Der private Sektor im Gewerbe, in der Bauwirtschaft
und im Kleinhandel ist weitgehend informell, grau, und war es schon
lange Zeit. Relativ neu ist ein Phänomen der Lohnfertigung für
ausländische Kapitalgeber, wie es z. B. in Novi Pazar funktioniert.
Dort nähen Frauen für türkische Textilunternehmen – die Produkte werden
anschließend wieder in die Türkei transportiert und von dort entweder
unter Phantasienamen oder auch als gefälschte Markenwaren auf den
Weltmarkt gebracht. Schätzungsweise 500 000 Menschen sind in der grauen
Ökonomie beschäftigt, ihre Löhne betragen oft nur die Hälfte eines
ohnedies äußerst mageren Durchschnittsgehalts von 150 bis 200 Euro pro
Monat. Teile der Region des Sandzak sind durch diese euphemistisch mit
dem deutschen Ausdruck »Lohnarbeit« bezeichnete Produktionsweise zu
einer verlängerten Werkbank für türkische Unternehmer geworden:
Billiglohnland auf niedrigstem Niveau. Wer kann, entflieht dieser
Perspektive; und so ist es nicht verwunderlich, daß die
Bevölkerungszahl von Serbien und Montenegro stetig sinkt. »Wenn heute
ein junger Mensch zu mir kommt«, meinte der bekannte Journalist Zivica
Tucic Ende Dezember 2003 resigniert, »und mich um Rat fragt, ob er
auswandern soll, dann sage ich ihm: Recht hast du! Noch vor fünf Jahren
hatte ich jeden aufhalten wollen, der in die Fremde ging.«

Das Gespenst des Monarchismus

Territoriale Unsicherheit und ökonomische Krise bilden die Grundlage
für ein Gefühl zwischen Demütigung und Resignation, wie es bei einem
Gutteil der im Land verbliebenen Menschen zunehmend um sich greift.
Aufbruchstimmung ist nur einer kleinen städtischen Schicht vorbehalten,
die sich an ausländischem wirtschaftlichen Engagement persönlich
bereichern kann. Politisch drückt sich die ganze Misere Serbiens in der
Unfähigkeit aus, Vertrauen zwischen der neuen, dem Westen zuarbeitenden
Elite und den Massen herzustellen.
In der Parlamentswahl vom 28. Dezember 2003 kam dies deutlicher denn je
zum Ausdruck. Zwei aussichtsreiche Parteien, die rechte Radikale Partei
Serbiens (SRS) und die linke Sozialistische Partei Serbiens (SPS)
traten mit Spitzenkandidaten an, die in Den Haag interniert sind. Mehr
als ein Drittel der Wählerinnen und Wähler machten Ende Dezember 2003
explizit klar, daß sie das Haager Tribunal zu Jugoslawien nicht
anerkennen, im Gegenteil: Sie wollen Slobodan Milosevic und Vojislav
Seselj als Parteiführer im Belgrader Parlament sitzen sehen. Mit diesen
Serben ist kein Staat zu machen, wie ihn sich Javier Solana oder George
Bush vorstellen.

Just in dieser historischen Situation geistert seit Monaten ein neues
Gespenst durch die politische Vorstellungswelt: Es ist die Figur des
Prinzen Alexander II. Karadjordjevic, der durch die kirchliche
Fürsprache des Patriarchen Pavle I. Anfang Dezember 2003 zu einer
politischen Größe geworden ist, nachdem er bereits Anfang der 1980er
Jahre in den Köpfen der Serbischen Erneuerungsbewegung (SOP) von Vuk
Draskovic herumgespukte.

Die Idee, einen Monarchen im krisengeschüttelten Serbien zu
installieren, scheint vordergründig absurd. Zu groß wäre der
gesellschaftliche Rückschritt von der Republik zur Monarchie, als daß
sich – bei aktuellen Umfragen – eine Mehrheit für die Errichtung der
alten Herrschaft aussprechen würde.
Andererseits könnte hinter dem kirchlichen Plazet für die Wiederkehr
des Monarchen auch ein Kalkül stecken, das sich mit den Interessen
westlicher Investoren vereinbaren ließe. Abgesehen davon, daß Alexander
II. bei ausgewiesenen Kritikern jedes monarchistischen Rückfalls als
»britische Investition« (er ist auch Offizier der Royal Army) in die
serbische Politik gilt, hätte ein serbischer König den Vorteil, Staats-
und Nationsidee trennen zu können. Während der Staat weiterhin und
verstärkt von IWF-geführten Liberalen oder – wie in Bosnien – direkt
von fremden Verwaltern betrieben werden könnte, wäre für die Masse des
Volkes eine Struktur aus Monarchie und Kirche aufzubauen, die die
serbische Nation umfaßt. Da spielte es dann keine Rolle, daß es drei
oder mehrere Staaten oder staatsähnliche Gebilde gäbe, in denen Serben
leben (Serbien, die autonome Provinz Vojvodina, Kosovo, Republika
Srpska), sie wären, obwohl staatlich getrennt, durch Patriarchat und
Königtum geeint. Zumindest in der nationalen Fiktion, die allerdings in
Krisenzeiten überall starken Zuspruch erfährt.

Dall'archivio di Zivkica Nedanovska:


1.FONTE: Eko-forum Belgrado
2.TITOLO: Ancora ci sono  rifiuti pericolosi a Bor
3.AUTORE: “Politika”/S.Todorovic”
4.SITO INTERNET: http://www.ekoforum.org.yu/
5.NUMERO DI PAGINE:1
6.DATA: 14.12.2003.

I giornalisti sono stati informati due giorni fa che non è stato
trasportato tutto il piralene pericoloso in Francia, dalla stazione di
trasformatori elettrici “Bor 3”, distrutta durante l’agressione della
NATO, nel maggio del 1999. Nel camion specializzato sono stati
trasportati solo 149 condensatori non danneggiati, impacchettati nei
container e nel perimetro  del Combinato di Bor sono rimasti ancora 140
condensatori danneggiati, contenenti il veleno pericoloso con le
caratteristiche cancerogene. Ai  media di Bor è stato detto che questi
condensatori “saranno trasportati via da Bor nella seconda parte
dell’azione, nel corso dell’anno prossimo” e questo vuol dire che gli
abitanti di Bor ancora non si sono liberati dal veleno pericoloso, come
hanno pubblicato i media.  Loro ancora hanno paura  come quattro anni
fa quando si è ammalato di cancro al cervello uno degli operai che
hanno partecipato alla pulizia della stazione distrutta. Ancora adesso
i 14 operai devono fare le analisi complete, ogni anno, nell’Istituto
di medicina di lavoro “Dr Dragomir Karajovic”di Belgrado, sono cioè
sotto controllo permanente.
Gli esperti dell’UNEP danno un aiuto inestimabile agli operai
nell’immagazzinamento regolare di condensatori danneggiati con il
piralene e nel trasporto in Francia e gli abitanti di Bor ne sono molto
grati.


1.FONTE: Eko-forum Belgrado
2.TITOLO: Gli abitanti di Knjazevac non vogliono i rifiuti nucleari
3.AUTORE: “Politika”/S.Todorovic
4.SITO INTERNET: http://www.ekoforum.org.yu/
5.NUMERO DI PAGINE: 1
6.DATA:11.12.2003.

Nel cuore di Stara planina (la Montagna vecchia) in Serbia , proclamata
cinque anni fa (dalla parte serba e quella bulgara) parco naturale
internazionale, nella miniera abbandonata di uranio a Gabrovnica,
presso Kalne (comune di Knjazevac) qualcuno vorrebbe trasportare di
nuovo i rifiuti nucleari dall’Istituto”Vinca”. Se ne parla molto in
questi giorni e i giornali locali ne sono pieni. Gli abitanti sono
molto inquieti ma non sono passivi. La prima volta, nel 1993, dovettero
reagire perchè l’ispettore ecologico aveva trovato 11 botti “con
rifiuti attivi di bassa radioattività”, provenienti da Vinca. Dopo la
forte reazione nei media locali e sotto la pressione del pubblico, il
problematico carico ha lasciato questo bellissimo posto. Adesso i
montanari insieme alle autorità locali sono decisi a non lasciare
niente al caso e ad  opporsi  a questa idea folle.
“Il territorio di Stara planina è stato proclamato parco naturale
internazionale, dalla nostra parte e da quella bulgara. E’assolutamente
impossibile modificare quella decisione” - dice Milan Petrovic,
direttore della Municipalità di Knjazevac.”E' impensabile un “turismo
radioattivo”, nonchè cancellare il Piano territoriale di Serbia secondo
cui Stara planina ha avuto la priorità nello sviluppo del turismo
invernale di montagna “ - conclude Petrovic. Anche il direttore della
ditta ”Babin zub” che si occupa del turismo sulla Stara planina, dice
che i rifiuti nucleari e il turismo sono due cose completamente
incompatibili e che tutta la regione sarebbe condannata alla rovina se
la miniera abbandonata si trasformasse in un deposito di rifiuti
nucleari.

http://www.danas.co.yu/20040131/hronika2.html#0

DANAS (Beograd)
subota-nedelja, 31. januar-1. februar 2004

Uskoro publikacije o karakteristikama 29 etničkih manjina u Srbiji

Slovenci najstariji, Jevreji najobrazovaniji

Beograd - Pripadnici slovenačke etničke zajednice su najstarija lica u
populaciji stanovništa 29 manjinskih grupa, Jevreji su najobrazovanija
zajednica, najviše nepismenih je iz romske i populacije Aškalija. Među
licima sa nedovršenim osnovnim obrazovanjem najviše je Roma i Vlaha,
poljoprivredom se najviše bave Rumuni i Vlasi, među ženama koje nikada
nisu rađale najbrojnije su pripadnice lepšeg pola bošnjačke
nacionalnosti, a na privremenom radu u inostranstvu najviše je
Albanaca, Turaka i Vlaha. Ovo su samo neki od rezultata istraživanja
"Etnički mozaik Srbije" i "Izbeglički korpus u Srbiji" koje je, na
osnovu rezultata popisa stanovništa iz 2002.godine, uradilo
Ministarstvo za ljudska i manjinska prava SCG uz pomoć Republičkog
zavoda za statistiku i Centra za političku kulturu i obrazovanje.

- Prvi put u istoriji publicistike i statistike pojaviće se publikacija
u kojoj će na jednom mestu biti prezentovani svi kvantitativni podaci o
pripadnicima etničkih zajednica na prostoru Srbije - rekao je na
jučerašnjoj konferenciji za novinare ministar za ljudska i manjinska
prava SCG Rasim Ljajić. Publikacija sa kompletnim i raznovrsnim
podacima o etničkim zajednicama sa našeg područja, kako je najavio,
biće objavljena za desetak dana.
Od 29 etničkih zajednica, koliko ih ima na prostoru Srbije (bez
Kosova i Metohije), pripadnici 20 manjinskih zajednica su dosta stariji
u odnosu na državni prosek, a među najstarijom populacijom su Slovenci.
Prosečna starost pripadnika slovenačke nacionalnosti je 54,8 godina i u
toj etničkoj grupi ima i najviše penzionera. Prema statističarima, ova
populacija stanovništva svrstana je u kategoriju integrisanih lica,
odnosno lica koja zbog starosti teško menjaju mesto prebivališta. Među
najstarijim pripadnicima etničkih grupa su i Šokci sa prosečnom
starošću od 53,9 godina, dok je prosečni starosni vek Nemaca 53,02
godine.
Najmlađi su Egipćani sa prosekom od 26,3 godine, Romi (27,52) i
Aškalije (29). Najviše lica starijihi od 60 godina ima među Šokcima,
6,4 odsto, Slovencima (5,8) i Nemcima (4,5), dok najmanje ljudi
starijih od 60 godina ima u populaciji Egipćana - 0,12 odsto, Roma
(0,17) i Aškalija (0,19). U odnosu na ukupno stanovništvo,
poljoprivredom se najviše bavi rumunska populacija 35,6 odsto, Vlasi
(28,6) i Albanci, dok se tom vrstom delatnosti najmanje bave Egipćani
(0,37 odsto), Goranci i Jevreji.
Jevreja, Grka, Rusa, Slovenaca, Čeha, Cincara, Turaka, Ukrajinaca i
Šokaca nema u kategoriji nepismenih lica, dok su Jevreji
najobrazovanija etnička zajednica od kojih 48,5 od ukupnog broja
pripadnika te manjine ima više ili visoko obrazovanje. Žene koje
pripadaju etničkoj zajednici Bošnjaka, njih 33,6 odsto, nikada nisu
rađale decu, a na taj korak najmanje se odlučuju i žene iz zajednice
Aškalija, Crnogoraca i Albanaca. Sa po jednim detetom najviše ima žena
iz ruske etničke zajednice (32 odsto), vlaške i jevrejske. I. Vušković

--

Na privremenom radu najviše Albanaca

Od ukupnog broja stanovništva koje pripada jednoj nacionalnoj
zajednici, Albanci su populacija koja ima najviše svojih ljudi na
privremenom radu u inostranstvu. Van zemlje radi 26,1 odsto Albanaca,
17 odsto Turaka, 16,9 odsto Vlaha i 16,6 procenata Bošnjaka.

In merito a questo episodio sconvolgente, perfettamente censurato da
tutti i "nostri" mass-media, si veda anche:

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2997
http://resistance.chiffonrouge.org/article.php3?id_article=291
http://groups.yahoo.com/group/decani/message/77934

e le foto su:
http://www.novosti.co.yu/zlocin.htm
http://www.antic.org/KLA
http://www.kosovo.com/kla_decapit.jpg
http://www.kosovo.com/kla_decapit.pdf

---

http://www.resistenze.org/sito/te/po/se/pose4a21.htm

www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 21-01-04

Nuova testimonianza dei crimini  perpetrati dall’UCK in Kosovo

“Così, non temete la gente. Qualsiasi cosa sia ora coperta sarà
scoperta, ed ogni segreto verrà reso noto.” (Mt 10:26)

Il resoconto sconvolgente dei fatti qui descritti, che era stato
pubblicato dal Vecernje Novosti Daily il 3 novembre, era già stato
confermato all’ERP KIM Info Service dai più alti delegati della KFOR e
dell’UNMIK. A causa dell’indagine e della mancanza di informazioni
specifiche (nominativi dei perpetratori, vittime e foto) ERP KIM non ha
pubblicato questa notizia, in attesa del termine delle indagini e della
relazione ufficiale della polizia UNMIK. Tuttavia, pare che i
particolari della vicenda siano trapelati da fonti UNMIK al quotidiano
di Belgrado Vecernje Novosti, che ne ha pubblicato il testo, le
fotografie e altri dettagli specifici. Siccome la vicenda è divenuta
pubblica, giudichiamo importante presentare ai nostri lettori la
traduzione inglese.

Da quanto è stato appreso dall’ERP Kim, in seguito alla ricerca di una
delle case albanesi nel villaggio di Prilep nella municipalità Decani,
il team investigativo della polizia ONU ha rilevato un album di
fotografie del tempo di guerra, in parte risparmiato dalle fiamme di un
incendio. Parecchi fra questi documenti, lasciati intatti dal fuoco,
mostravano crimini perpetrati dall’UCK. Le fotografie-trofeo ritraevano
teste mozzate di serbi e corpi mutilati, la cui modalità di esecuzione
risultava analoga alle fotografie-trofeo dei moujaheddin provenienti da
Bosnia, Cecenia ed altrove. Purtroppo, la decapitazione in quanto
metodo omicida non era infrequente nei conflitti bosniaci e nemmeno in
quelli kosovari. Il corpo di Fr. Chariton Lukic, monaco del monastero
dei Santi Arcangeli rapito dai terroristi dell’UCK nel luglio 1999
nelle strade di Prizren è stato trovato un anno più tardi privo di
testa.

L’Info Service di RP KIM ha appreso che sulla base di tali documenti
fotografici lo speciale team investigativo ha varato un’inchiesta
approfondita, la quale ha condotto all’identificazione di gran parte
degli uomini in uniforme UCK. L’organizzazione per i serbi dispersi è
stata inoltre coinvolta nell’identificazione delle vittime serbe
comparse nelle fotografie. Pare che le fotografie sotto accusa siano
state scattate nei dintorni di Decani (in aprile o maggio 1999).
Secondo le affermazioni rilasciate all’ERP KIM da una fonte
internazionale che ha richiesto l’anonimato, alcuni banditi dell’UCK
apparsi in fotografia occupano tuttora posizioni nei Kosovo Protection
Corps, un’organizzazione capeggiata dal “Generale” Agim Checku, di
recente arrestato in Slovenia sotto mandato di cattura Interpol, ed
inspiegabilmente rilasciato il giorno seguente su istanza speciale del
capo dell’UNMIK Sig. Hari Holkeri.

Nell’area Decani-Pec, le Unità UCK operavano sotto il comando di Ramush
Haradinaj, leader politico in carica del Partito AKK. Suo fratello Daut
Haradinaj, che occupava una posizione di preminenza all’interno
dell’UCK (egli è infatti divenuto un “generale”) è stato condannato lo
scorso anno a parecchi anni di prigione, insieme ad alcuni altri membri
precedenti dell’UCK (il cosiddetto gruppo Dukagjini) per crimini
commessi contro gli albanesi dissidenti del Kosovo. I fratelli
Haradinaj sono anche sospettati di avere sostenuto la ribellione
dell’etnia albanese del 2001 nella confinante Macedonia. Negli ultimi
due anni, numerosi testimoni albanesi del Kosovo che hanno accettato di
cooperare con la polizia UNMIK sul caso Haradinaj sono stati
assassinati o vittime di minacce. Uno dei testimoni chiave è stato
Tahir Zemaj, appartenente ai leaders dell’etnia albanese ribelle e
rivale (FARK), e stretto alleato del presidente del Kossovo Ibrahim
Rugova. Zemaj è stato ucciso nel 2002. Non uno solo fra questi
assassinii misteriosi di potenziali testimoni contro gli “eroi”
dell’UCK è stato mai delucidato dalla polizia.

Non è un segreto che oltre ai numerosi serbi del Kosovo uccisi dall’UCK
nel corso e dopo il conflitto armato del 1999 vi furono anche albanesi
dissidenti del Kosovo, in gran parte sostenitori di gruppi politici
rivali e di clan mafiosi, che furono uccisi oppure rapiti. L’articolo
seguente, pubblicato dal Vecernje Novosti getta un’ulteriore luce sui
nefandi crimini commessi dall’”esercito di Liberazione Kosovaro”. L’ERP
KIM non è riuscito nell’impresa di venire a conoscenza di quanto le
indagini su questo specifico atto criminoso siano progredite, ma
risulta incontestabile che le strutture UNMIK e KFOR possiedono
evidenze e dimostrazioni più che sufficienti riguardo ai crimini
dell’UCK e sul loro successore post-bellico “Corpo di Protezione
Kosovaro”. Come l’Info Service dell’ERP KIM ha appreso da una fonte non
ufficiale dell’UNMIK, la ragione per cui tali informazioni non vengono
rese note è il timore di un possibile conflitto con le strutture
dell’UCK che operano tuttora in Kosovo sotto nomi e modalità differenti.

Rivelare la verità di questo crimine dell’UCK costituisce un’ulteriore
promemoria indirizzato al Tribunale dell’Aia ed alla comunità
internazionale della realtà dei molti crimini bellici e post-bellici in
Kosovo che richiedono indagini urgenti. Tale necessità richiede
particolare sollecitudine, poiché gli iniziatori e  gli ideologi di
questa campagna di terrore controllano tuttora la scena politica in
Kosovo, impedendo qualunque progresso tendente alla costituzione di una
società multietnica e democratica. Se tutto si svolgerà come
auspichiamo, sapremo un giorno la verità circa tutti i 960 serbi che
furono assassinati dopo il termine del conflitto armato, nonostante la
presenza della Missione ONU e la guida dei peacekeepers NATO.

Ufficio redazionale ERP KIM (Kosovo Methoija) - Novembre 2003

Traduzione a cura di Enrico Vigna ( Assoc. SOS Yugoslavia)

1. KFOR VERWEIGERT DEN MÖNCHEN IN PRIZREN LEBENSMITTEL, STROM UND
BEGLEITSCHUTZ

2. Abschied auf Raten: Die serbische Provinz Kosovo auf ihrem Weg in
die Unabhängigkeit (Von R. Göbel, Juni 2003)

=== 1 ===

> -----Ursprüngliche Nachricht-----
> Von: Gordana
> Gesendet: Donnerstag, 5. Februar 2004 19:56
> Betreff: Eilt sehr!
>
> Liebe Freunde,
>
> wie ihr dem beiliegenden Text entnehmen könnt, verschlechtert sich die
> Situation der noch wenigen verbliebenen Serben in Kosovo zunehmend.
> Der Terror nimmt immer perfidere Formen an. Die Friedensstifter aus
> Deutschland, dem Land, das aus aller Kraft mit der Fahne der
> Demokratie weht und auf Einhaltung der Menschenrechte insistiert,
> beteiligen sich rege an der Unterdrückung alles Serbischen.
> Ich weiß, dass ihr alle sehr in euren eigenen Vorhaben eingespannt
> seid. Trotzdem möche ich euch bitten, hier was zu unternehmen.
> Ihr seht, es eilt sehr.
>
> Lieben Gruß an alle,
> Gordana
>
>
> KFOR VERWEIGERT DEN MÖNCHEN IN PRIZREN LEBENSMITTEL, STROM UND
> BEGLEITSCHUTZ
>
> Prizren - Den Mönchen in Prizren und dem naheliegenden Kloster Sv.
> Arhangeli ( Hl. Erzengel ) verweigerte KFOR Lebensmittel, Strom und
> Begleitschutz, weil sie die Öffentlichkeit über den Angriff der
> Albaner, der kürzlich auf sie und eine "ARD"-TV-Gruppe verübt wurde,
> unterrichtet haben, berichtete heute die Eparchie von Ras-Prizren.
> Der Vorfall ereignete sich in Djakovica am 21.Januar dieses Jahres als
> eine Gruppe von etwa 30 Albanern die Fahrzeuge der deutschen KFOR
> überfielen, in denen die Mönche des
> Klosters Sv. Arhangeli und der deutsche TV-Sender "ARD", der die
> Ruinen des orthodoxen Klosters Sv. Trojice ( Hl. Dreifaltigheit ) im
> Zentrum der Stadt filmen wollte, saßen.
> Das Leben der Mönche im einzigen noch in der Verantwortlichkeitszone
> des deutschen KFOR - Kontigents verbliebenen Klosters hat sich "
> zunehmend verschlechtert", mit der sichtlichen Absicht , die Mönche zu
> bestrafen, weil sie die Öffentlichkeit unterrichtet haben, führt die
> Eparchie
> im Bericht an die BETA.
> "Dem Kloster wurde der Begleitschutz der KFOR untersagt mit der
> Erklärung, dass man sich zukünftig für den Begleitschutz an die
> Albaner bei der Kosovo-Polizei wenden muss ".
> Die Mönche sind nicht mehr in der Lage das deutsche militärische
> Aggregat, das zur Zeit genutzt wird zu nutzen und dem
> Bereitschaftspriester im Vladicin Dvor ( Bischofspalast ) in Prizren
> wurde die Nahrung verweigert".
>
> Der Sprecher der deutschen KFOR, Klaus Elers, der beim Überfall
> anwesend war, hat sein Unmut darüber ausgesprochen, dass die Nachricht
> vom Angriff der Albaner in die Öffentlichkeit gekommen ist, und hat
> sogar gegenüber dem deutschen "ARD"- Fernsehen negiert, dass es
> überhaupt zu einem Überfall kam, führte die Eparchie auf.
> Der Abt des Klosters Sv. Arhangeli German Vucicevic hat sich mit einem
> Brief an die Vertreter der deutschen KFOR mit der Bitte gewandt, wenn
> sie schon eine Untersuchung
> bezüglich des Überfalls nicht durchführen wollen, wenigstens eine
> offizielle Erklärung heraus zu geben.
> Vater German sagte, dass die "Antwort" schnell kam und dass "die
> deutschen Soldaten anfingen, sich anders zu benehmen. Sie haben uns
> unterrichtet, dass aus technischen Gründen die Nutzung ihres Aggregats
> nicht weiter erlaubt werden kann", übertrug German. Die Begründung
> war, dass das Aggregat, das bisher regelmäßig die Wache und das
> Kloster versorgte nicht die nötige Kapazität besitzt. Hauptmann der
> deutschen KFOR Maik Stillers hat während seines Besuchs im Kloster den
> Mönchen gesagt, dass sie in
> Djakovica nichts anderes erwarten konnten, in Anbetracht dessen, dass
> "da die Serben viele Albaner ermordet haben". Stillers hat bei dieser
> Gelagenheit Bischof Artemije beschuldigt" auf der Resolution 1244 und
> der Behauptung, dass Kosovo ein Teil Serbiens sei, beharrt zu haben".
> Die Mönche haben Stillers gesagt, dass die Kirche für das, was im
> Krieg passiert ist, nicht verantwortlich ist und dass, seiner Logik
> folgend, allein die Anwesenheit der Serben in
> Kosovo den gerechfertigten Grund zur unbestraften Lünchjustiz der
> unbändigen Massen auf der Straße liefert. Der Bereitschaftsprior im
> Gebäude von Vladicin Dvor in Prizren Benedikt Preradovic teilte mit,
> dass die deutschen Soldaten, die das Gebäude und den benachbarten Dom
> Sv. Djordje ( Hl. Georg ) absichern, ihn nach dem Überfall
> benachrichtigt haben, dass sie ihm nicht mal mehr ein Stück Brot geben
> dürfen, weil das "die geschriebene Anordnung
> des Kommandanten der deutschen Kampftruppe für Prizren, Kai Brinkmann"
> ist.
> Der Bereitschaftspriester kann aus Sicherheitsgründen das Bischofsamt
> nicht verlassen, und bisher haben ihm die deutschen Soldaten
> regelmäßig von ihrer Nahrung abgegeben, weil er sie anders nicht
> besorgen konnte, sagte Vater Benedigt. Vater German teilte mit, dass
> ihm Brinkmann auf seinen Einwand, dass die Einschränkung in Strom,
> Nahrung und Freiheit das Fortbestehen der Mönche gefährdet, gesagt
> hat, dass seine Aufgabe nicht darin bestehe die Mönche, sondern die
> Soldaten zu schützen.

=== 2 ===

Abschied auf Raten

http://www.artel.co.yu/de/izbor/jugoslavija/2003-07-02_1.html

Berlin, juni 2003

Vier Jahre nach dem NATO-Krieg: Die serbische Provinz Kosovo auf ihrem
Weg in die Unabhängigkeit.

Von Rüdiger Göbel

Vier Jahre nach dem Ende des NATO-Krieges gegen Jugoslawien ist das
Kosovo auf dem besten Weg in die staatliche Unabhängigkeit. Aller
Widerrede zum Trotz, nach der Auflösung Jugoslawiens wird nun Serbien
weiter zerlegt. Im Mai verabschiedeten die albanischen Abgeordneten im
Provinzparlament eine Resolution zur Anerkennung des "Befreiungskrieges
für Freiheit und Unabhängigkeit". Überschwenglich würdigten sie den
"gerechten Kampf" der
albanischen Terrorbande UCK und die internationale Unterstützung zur
Befreiung der südserbischen, seit 1999 von der UNO verwalteten Provinz.

Der deutsche Diplomat und Chef der UN-Verwaltung des Kosovo (UNMIK),
Michael Steiner, verurteilte die sezessionistische Entschließung. Seine
harschen Worte waren fürs Protokoll. Die Kritik galt offensichtlich dem
Zeitpunkt der
Resolution, nicht ihrem Inhalt. Obwohl er die Befugnis dazu hätte,
vermied es Provinzgouverneur Steiner, das insgesamt sechs Punkte
umfassende Papier zu annullieren. Im Gegenteil: Der mächtigste Deutsche
im Kosovo ließ es sich nehmen, tags darauf mit der Privatisierung der
über 400 staatlichen Firmen
zu beginnen. Entgegen der Resolution 1244, die im Juni 1999 vom
UN-Sicherheitsrat verabschiedet wurde, wird damit das serbische Staats-
und Volkseigentum geraubt und ausverkauft, wie selbst die prowestliche
Regierung in Belgrad unter Protest feststellte. Doch die serbische
Zentrale ist fern und hat weder die Macht noch den Willen, an den
Zuständen im Kosovo etwas zu ändern. Statt die deutsche Außenpolitik ob
ihrer antiserbischen Grundhaltung zu kritisieren lamentiert man in
Belgrad lieber über die offen bekundete Liaison Steiners mit einer
jungen Albanerin.

Die westliche Gemeinschaft hält derweil hartnäckig an der Illusion
fest, der Angriffskrieg 1999 habe größeres menschliches Elend im Kosovo
verhindert und der Stabilisierung der Balkanregion gedient. Dabei
setzte die wahre Katastrophe mit und nach den Bomben ein. Der
temporären Flucht der Kosovo-Albaner während der NATO-Aggression folgte
der UCK-Terror gegen Serben, Roma, Muslime, Juden und alle anderen
ethnischen Minderheiten in der Provinz. Unter Aufsicht der
NATO-geführten Kosovo-Truppe (KFOR) wurden in den Monaten nach Ende des
Krieges über 300.000 Menschen aus der Provinz vertrieben, systematisch
und effizient - ohne Aussicht auf Wiederkehr. Nur
ein Drittel der Serben ist geblieben, lebt überwiegend in drei
isolierten Regionen des Kosovo sowie in kleinen Ghettos gesperrt.
Pristina ist NATO sei dank bis heute judenfrei.

23.000 Soldaten der multinationalen KFOR-Truppe sind in der Provinz zur
Zeit im Einsatz, ab Oktober wieder unter deutschem Befehl. Unter ihren
Augen wachsen und gedeihen Illegalität und Kriminalität, wie kürzlich
selbst NATO-Generalsekretär George Robertson beklagte. UN-Kosovo ist
der Staat der Menschenhändler und Drogenbarone, subventioniert mit
Hunderten Millionen Dollar und Euro "Wiederaufbauhilfe".

In der internationalen Gemeinschaft spielt das Kosovo kaum noch eine
Rolle. Anhaltender Vertreibungsterror und eine neuerliche Massenflucht
der Serben sind allenfalls eine Randnotiz wert. Immerhin, die
Menschenrechtsorganisation Amnesty International zog kürzlich für das
von der UNO verwaltete Kosovo eine düstere Bilanz. Angehörige der
Minderheiten, Serben vor allem, oder Roma, seien seit vier Jahren
"Gefangene im eigenen Heim". Ihnen werden grundlegende Rechte wie
medizinische Versorgung und
Bildungschancen verweigert, heißt es in der im April veröffentlichten,
aber weitgehend ignorierten 60 Seiten umfassenden Studie "Prisoners in
our own homes".

Vier Jahre nach dem Ende des NATO-Krieges gegen Jugoslawien sind
Angehörige ethnischer Minderheiten noch immer Opfer von Entführung,
Vergewaltigung und Mord. Mitte Mai wurde im Dorf Vrbovac bei Vitina ein
serbischer Lehrer
erschossen. Für Schlagzeilen sorgte Anfang Juni der antiserbischer
Überfall in der Ortschaft Obilic unweit von Pristina. Die dreiköpfige
serbische Familie Stolic wurde nächtens brutal erschlagen. Grund für
die Tat war laut UNMIK "ethnischer Hass". Die Mörder haben ihr Ziel
erreicht. Statt der
geplanten Rückkehr von 23 serbischen Familien wollen aus Furcht vor
weiteren Angriffen nun 400 Serben den Ort verlassen. Sie unterrichteten
bereits die serbische Regierung in Belgrad über den bevorstehende
Massenexodus und baten
darum, man möge ihnen in Serbien eine Zeltstadt errichten!

Vrbovac und Obilic, zwei Beispiele nur im täglichen ethnischen Wahn des
befreiten Kosovo. Auch wenn das Ausmaß gewalttätiger Angriffe auf
Nicht-Albaner im Vergleich zur unmittelbaren Nachkriegszeit im Sommer
1999 deutlich zurückgegangen ist, der Terror gehört weiter zum Alltag -
der
Rückgang ethnisch motivierter Gewalt schließlich lässt sich vor allem
wohl damit erklären, dass der Großteil der potentiellen Opfer schlicht
nicht mehr im Kosovo weilt. Von den mehr als 300.000 Serben, Roma und
Muslimen, die seit 1999 aus dem Kosovo fliehen mussten, sind nur 5800
wieder zurückgekehrt.

Der albanische Terror hat kaum rechtliche Konsequenzen. Amnesty
moniert, dass das Gros der Täter im Kosovo weiterhin straffrei ausgeht
und Opfer vergeblich auf Entschädigung warten. Die Straflosigkeit führe
dazu, dass viele Serben, Bosnier, Roma und andere Angehörige ethnischer
Minderheiten sich nicht frei bewegen können, so ai. Sie seien auf
teilweise ständigen persönlichen Schutz durch die KFOR-Truppen
angewiesen und hätten kaum oder keinen Zugang zu medizinischer
Versorgung und Schulbildung. Sie fänden keine
Arbeit. Schätzungen zufolge seien 90 Prozent der Serben und Roma im
Kosovo arbeitslos. "Mit Straflosigkeit für früheren und andauernden
Missbrauch werden Minderheiten im Kosovo die grundlegenden Rechte
vorenthalten, die heimisches Gesetz und die auf das Kosovo
anzuwendenden internationalen Standards garantieren", so Amnesty.
Außerdem werden die Täter ermutigt, mit ihrem Terror munter
fortzufahren.

Der internationalen Übergangsregierung und -verwaltung (UNMIK) stellt
Amnesty ein miserables Zeugnis aus. Statt wie vom UN-Sicherheit in
Resolution 1244 gefordert Menschenrechtsverletzungen ernsthaft zu
bekämpfen und Minderheiten effektiven Schutz zu geben und ihre sozialen
Grundrechte zu garantieren, herrsche im Kosovo heute Straflosigkeit.
UNMIK habe nur wenig getan, Verantwortliche zur Rechenschaft zu ziehen.
Vor allem aber hat die Steiner unterstehende UN-Verwaltung versagt, den
Vertriebenen eine Rückkehr in Sicherheit und Würde zu ermöglichen.

Vor diesem Hintergrund mutet es einigermaßen absurd an, dass der
ehemalige UCK-Chef Hashim Thaci weiter von den NATO-Mächten hofiert
wird. Am 11. Juni referierte der zum Parlamentarier mutierte albanische
Terrorpate a.D. im honorigen Royal Institute of International Affairs
in London über den "Wiederaufbau der Zivilgesellschaft nach einem
Konflikt: Lehren aus dem Experiment Kosovo".

Trotz eigener PKW-Kennzeichen und Ausweispapieren gehört die
südserbische Provinz formal zu Belgrad. Noch, doch die Salamitaktik
verfängt. Der Internationale Tischtennisverband ITTF nahm im Mai das
Kosovo bereits als eigenständigen nationalen Mitgliedsverband auf. Auf
dem EU-Gipfel in
Thessaloniki spielte man schon mit größeren Bällen. Das Kosovo wurde
dort offiziell von UN-Gouverneur Steiner sowie "lokalen Repräsentanten
vertreten - die kosovo-albanischen Sezessionspolitikern wurden für das
internationale Parkett vom deutschen Statthalter persönlich
handverlesen.

Da: ICDSM Italia
Data: Gio 5 Feb 2004 12:18:52 Europe/Rome
A: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.
Cc: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.
Oggetto: [icdsm-italia] Fermiamo l’organizzazione criminale dell’Aja!


The original english version at:
http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/message/29
SLOBODA: Stop the Hague machinery of crime!

---

Fermiamo l’organizzazione criminale dell’Aja!

Dopo che la Camera dei Ricorsi del Tribunale dell’Aja ha respinto
l’appello che domandava il prolungamento del periodo di tre mesi
assegnato per la preparazione della difesa del Presidente Milosevic,
l’Associazione “Sloboda - Liberta'” ha diffuso la seguente

DICHIARAZIONE

L’Associazione “Sloboda - Liberta'” condanna l’ultima decisione del
falso Tribunale fantoccio dell’Aja che ha rifiutato la possibilità di
prolungare il periodo di tre mesi stabilito in precedenza come termine
ultimo per il Presidente Milosevic per preparare la sua difesa.
Questa decisione conferma il carattere criminale ed illegale del
“Tribunale”. Questo costituisce una minaccia per la vita del Presidente
Milosevic e cancella i suoi diritti fondamentali. La decisione riflette
il panico dei burocrati ben pagati del “Tribunale” che apertamente
hanno posto se stessi al servizio di Wesley Clark e di altri criminali
di guerra.
Per questa decisione, il “Tribunale” tenta di rimanere sordo ai
numerosi appelli di procuratori legali, uomini di stato e dell’opinione
pubblica progressista internazionale.
Ma anche questa decisione non impedirà il trionfo della verità,
dichiarata dal Presidente Milosevic, sul crimine, l’ingiustizia e la
tirannia.
L’Associazione “Sloboda - Liberta'” fa appello a tutta l’opinione
pubblica nazionale ed internazionale, ai governi e alle forze politiche
di responsabilmente agire subito e bloccare l’organizzazione criminale
dell’Aja.

Belgrado, 21 gennaio 2004

(trad. a cura di Curzio Bettio di Soccorso Popolare, Padova)


===


Un interessante documentario televisivo olandese, in due parti, sul
processo-farsa dell'Aia si puo' vedere in internet alla URL:

http://info.vpro.nl/info/tegenlicht/index.shtml?7738514+7738518+8048024


==========================
ICDSM - Sezione Italiana
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27
00043 Ciampino (Roma)
email: icdsm-italia@...

Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC