Informazione

Otvoreno pismo Crnogorcima

Dragi "moji" Crnogorci,
krsten sam u pravoslavnoj crkvi u crnogorskom selu Peroju kraj Pule.
Samo toliko da vam se predstavim i da pokazem da nisam zaboravio moje
porjeklo. Samim tim, kao Jugoslaven, pratio sam sa velikim uzbudjenjem
i brigom sve ove tragicne dogadjaje koji su se desili u vezi rusenja
nase Jugoslavije. Poslije svega toga koncentrirao sam se na ono sto je
ostalo od (velike) Jugoslavije i daljeg postojanja naziva Jugoslavija.
Nazalost po posljednjim dogadjajima vidim da srljate u jos vecu
propast i veci ponor, iduci slijepo za raznim plemenskim vodjama.
Upravo kao sto Kurdi slijedili svoje vodje i time izgubili svoju
zemlju. A tako ce proci uskoro i Makedonci. Pa ko ce vas izvuci vise
iz tog ponora!
Sta vam smeta konacno i Srbija gdje zivi polovina Crnogoraca!? A
posljednja glupost, nazalost tragicna koju sam ovih dana cuo je, da se
crnogorski jezik proglasi kao zaseban jezik, a mogu zamisliti onog
raspopa od Mirasa Dedajica koji u tome likuje i stvara svoju
crnogorsku pravoslavnu crkvu.
Ako nista drugo imat cete prevodilaca na milijune, (ukljucujuci ovdje
sve Srbe i Crnogorce). Zvuci glupo, ali istinito! Zar niste i vi
Crnogorci "Srbi sa imenom i prezimenom"?! Austrijancima, recimo, ne
pada napamet da "govore austrijanski".
Istina je, nazalost (opet) u onoj izreci da "flasa sto uze grlo
(misleci na glavu)ima, tim vecu buku stvara, kad se prazni".
Poigravate se sa svim i svacim, pa cak i sa historijskom prosloscu.
Zar nije tragicno da se odricete jednog crnogorskog Dantea, Petra
Petrovica Njegosa, koja je jedna od najvecih vrijednosti kojom se
mozete prepoznati i pohvaliti u svijetu?!
Da vas podsjetim i malo na vasu nedolicnu historiju, obzirom da se
cesto cuje i na ovim prostorima (Italiji), da ste izgubili vasu
samostalnost 1918. godine, a zaboravili ste da ste koju godinu prije
potpisali kapitulaciju sa Austrijom!
Ipak vjerujem da vecina naroda ne misli kao njihove "zapadnjacke
podvorice" (svih bivsih Ju-republika). Ne samo kao "jugonostalgicar"
vec i kao "jugorevolucionar" (koje li "uzasne" rijeci...), s obzirom
na minimalne razlike medju nasim juznoslavenskim narodima, drzim da
trebamo razgovarati i boriti se za istinsku saradnju medju nasim
narodima, a u buducnosti ne moze izostati i jedna zajednicka drzava.
Da nisam usamljen u ovim razmisljanjima daje mi povoda interesiranje
cak i mladih talijana koji su na posljednjoj velikoj manifestaciji u
Rimu prosle subote, pokazali zivo odusevljenje za Jugoslaviju,
vidjevsi jugoslavenske zastave (bilo ih je barem desetak) sa crvenom
zvijezdom...

Ivan

Roma 15/2: le sindacaliste jugoslave sul palco a P.za S. Giovanni

1. L'intervento fatto dal palco da Ruzica e Rajka, in nome dei
lavoratori della Zastava di Kragujevac, bombardata dalla Nato nel 1999

2. Kragujevac-Roma, dalla Zastava per dire pace ("Liberazione"
15/2/2003)


=== 1 ===


Subject: da ALMA - Vi invio per conoscenza
Date: Thu, 20 Feb 2003 15:12:07 +0100
From: "alma" <alma@...>


Manifestazione nazionale contro la guerra - Roma 15 febbraio 2003

L'intervento fatto dal palco da Ruzica e Rajka, in nome dei
lavoratori della Zastava di Kragujevac, bombardata dalla Nato nel 1999



I lavoratori di tutto il mondo condannano la guerra.

Dobbiamo essere uniti e decisi a respingere l'idea che sia possibile
per una potenza economica imporre a tutto il mondo le sue leggi ed i
suoi interessi.

Non ci sono guerre giuste o umanitarie. Ci sono solo guerre per
l'egemonia territoriale, politica ed economica. Per il controllo delle
terra e delle sue risorse.

Porto qui oggi a tutti voi il saluto dei tanti lavoratori della
Jugoslavia.

Dico questo ricordando i tanti feriti e morti, lavoratori, vittime
innocenti di una guerra che non aveva nulla di intelligente ma che ha
portato solo miseria, che ha ucciso l'aria, l'acqua ed il suolo con un
inquinamento senza precedenti, che ha condannato le giovani
generazioni ad un futuro di malattie e di tristezza.

La guerra alla Jugoslavia ha portato solo miseria, nuovi profughi,
nuova emigrazione.

Ha distrutto case, ponti, ospedali, scuole. Ha distrutto sotto i
bombardamenti 950.000 posti di lavoro condannando alla miseria intere
città e territori.

Siamo testimoni del bombardamento della nostra fabbrica.

La Zastava produceva automobili e occupava 36.000 lavoratori.

Hanno detto che era un obiettivo militare ma mentivano.

Era in realtà un obiettivo civile, un obiettivo voluto e deciso
coscientemente a tavolino dai generali e dai politici che hanno voluto
quella guerra.

Gli stessi che oggi, sulle macerie da loro prodotte vogliono
conquistare anche le nostre libertà ed i diritti di noi lavoratori.

Prima hanno bombardato le nostre fabbriche. Ora ci chiedono sacrifici.

Come in Italia anche da noi chiedono più libertà di licenziamento, più
flessibilità. Ci impongono salari bassi e nessuna tutela sindacale,
nemmeno per le lavoratrici in maternità.

Ecco cosa hanno voluto produrre con questa guerra.

Hanno perseguito con lucida coscienza il controllo di un territorio
distruggendo la sua economia per arrivare a conquistare un serbatoio
di manodopera senza diritti ed a basso prezzo.

Se la guerra alla Jugoslavia e' stata la prova generale di una nuova
politica egemonica che aveva bisogno di far saltare le regole del
diritto internazionale, ora con la messa in crisi dell'Onu si vuole
affermare con ancora maggiore arroganza la totale libertà delle
economie forti di disporre di tutto il territorio, di tutte le
risorse, di tutto il mercato che a loro serve per rafforzare la loro
egemonia.

Ma la solidarietà dei lavoratori sconfiggerà questo progetto.

Il nostro e' un progetto di pace. Una pace gridata in questa piazza,
oggi a Roma come in tante altre città del mondo.

Una pace per cui sarà necessario lottare ancora, con decisione, con
convinzione.

Una pace che ha nei lavoratori una forza insostituibile, decisiva e
forte.

Una forza che vince perchè come ha dimostrato la nostra esperienza, la
solidarietà tra i lavoratori può essere più forte di qualsiasi
cannone.

Nessuno ci coinvolgerà in questa guerra,

Viva la pace, viva l'unita' dei lavoratori,



Alma Rossi: indirizzo email - alma@...
Coordinamento Rsu: http://www.ecn.org/coord.rsu/


=== 2 ===


http://www.liberazione.it/giornale/030215/archdef.asp

da "Liberazione" 15/2/2003

Quelli che le bombe le hanno subite: «In Jugoslavia dopo i raid è
iniziato l'attacco ai diritti»

Kragujevac-Roma, dalla Zastava per dire pace

Fabio Sebastiani

Ci saranno anche loro alla manifestazione contro la guerra.
Sono i sindacalisti della Zastava, la fabbrica di automobili di
Kragujevac che le bombe della Nato rase al suolo nel '99.
Sono venuti a gridare il loro No al nuovo massacro del
neoliberismo. Un No che faranno sentire a milioni di persone
direttamente dal palco.

«Dopo i bombardamenti e la discoccupazione, l'avvio della
politica di privatizzazione selvaggia avviata dal Governo ha
prodotto una impennata dei prezzi insostenibile dagli attuali
salari e pensioni», raccontano a Liberazione. Una
privatizzazione che, ovviamente, come sta accadendo in
occidente, non porta alcun sviluppo e che arricchisce solo una
piccola classe di ceti medi usciti indenni dalla guerra.
«Assieme alla privatizzazione (che ha interessato l'energia, la
scuola, la sanità e le stesse farmacie, ndr) subiamo -
raccontano - un pesante attacco allo stato sociale in generale
ed alle normative sul lavoro. Come in Italia anche in
Jugoslavia si sta mettendo mano ad un quadro di diritti
contrattuali e di leggi che hanno l'obiettivo di ridurre le tutele
in materia di licenziamento, maternità, flessibilità diritti in
generale. Se sommiamo tutto questo all'instabilità politica,
alla precarietà prodotta dalla guerra, il pesante livello di
disoccupazione (950.000 senza lavoro) si può immaginare i
timori e le preoccupazioni che pesano sul futuro dei lavoratori.
La guerra ha prodotto ferite profonde. A Pancevo, tanto per
fare un esempio, hanno addirittura dovuto raddoppiare l'area
del cimitero per far posto all'impennata di morti per malattia
di questi ultimi due anni, e ciò, in misura diversa è quanto
succede un po dappertutto.

Purtroppo quello che impedisce la definizione di un percorso
verso la ricostruzione è la perdita di credibiltà da parte dei
partiti. E' questa la causa principale del fenomeno delle urne
deserte. «Quelli al Governo, dopo tante promesse (sostenute
dagli attesi e mai arrivati aiuti dall'occidente) sono ormai visti
come subalterni, incapaci di politiche attive, subordinati ai
dettati che l'occidente assegna. I Partiti di opposizione sono
divisi e deboli, sopratutto perchè manca una base sociale in
grado di sostenere attivamente una possibilità di
rinnovamento e di iniziativa sociale. La Classe lavoratrice è
debole».

Quali sono i motivi della vostra partecipazione alla
manifestazione? «Perchè come tutti anche noi siamo contro la
guerra come strumento per dirimere le questioni tra le nazioni.
Anzi noi veniamo alla manifestazione per testimoniare anche
quanto avevamo cercato di gridare durante i bombardamenti
sulla Jugoslavia.

La guerra non è stato un incidente, un fatto temporanero, nè
come ovvio non è stato nulla di umanitario. I bombardamenti
sulla Jugoslavia sono stati l'inizio di un processo che mirava,
su interesse delle economie capitalistiche più forti, a
conquistare una efficace egemonia politica, economica e
territoriale per il controllo delle risorse naturali e delle zone di
interesse strategico. Ma per fare ciò l'America doveva liberare
la propria azione dai vincoli che lo stato del diritto
internazionale (Onu) uscito dall'ultima guerra mondiale gli
imponeva».

L'aiuto dei lavoratori italiani, come sta andando avanti e che
benefici vi ha portato? «Un grande aiuto a sostenere quella
che potremmo chiamare (nel caso della Zastava) una delle
poche esperienze di resistenza operaia alla guerra ed alle sue
conseguenze. Grazie alle adozioni a distanza ed ai tanti naiuti
che centinaia di fabbriche e lavoratori italiani ancora ci
mandano noi siamo riusciti tenere unita la fabbrica anche in
assenza di lavoro. Un risultato splendido che ancora fa
rimanere la fabbrica un punto di incontro, di discussione e di
aggregazione. Se non fossimo riusciti a produrre ciò oggi la
Zastava sarebbe vuota. Molto lavoratori avrebbero emigrati e
la nostra capacità di resistenza sarebbe fallita. La situazione è
grave comunque e difficile, ma riusciamo a resistere e questo,
dopo 4 anni, è un risultato fantastico di ciò che la solidarietà
operaia può produrre». Entro aprile, grazie alla collaborazione
con associazioni e lavoratori italiani verrà aperto in fabbrica
un forno per fare il pane da distribuire a prezzo politico ai
lavoratori della Zastava e non solo. Non risolveremo i
problemi economici delle famiglie ma faremo diventare la
fabbrica ancora di più di quanto è ora un punto di riferimento,
un luogo di solidarietà. Ma altrettanto importante è la
manifestazione di canzoni per bambini «Non bombe ma solo
caramelle» che grazie ad una rete di solidarietà che coinvolge
anche comuni come quello di Roma e Venezia si terrà a Roma
il prossimo giugno. Ci saremo anche noi a questa
manifestazione, assieme ad una classe elementare di Kragujevac.

[Invitiamo tutti coloro i quali condividono l'indignazione per le
parole pronunciate da Rugova a Terni a scrivere lettere di protesta al
Sindaco di quella citta'. CNJ]


Subject: Rugova dal Sindaco di Terni
Date: Thu, 20 Feb 2003 19:06:41 +0100
From: Jugoistrijan
To: aldo.bernocco@..., Jugocoord@...



Sig. Paolo Raffaelli, Sindaco di Terni

Ho provato un disgusto nell'apprendere
che Lei Sindaco, ha conferito
l'onoreficenza di cittadinanza onoraria
e il premio "San Valentino un anno
d'amore" al tale Ibrahim Rugova. E' un
indecenza e per i credenti cristiani
di buona volontà dovrebbe rappresentare
un vero affronto, una blasfemia:
Ringraziare dio per i bombardamenti
NATO! (Ma non è uno dei comandamenti:
"Non invocare Dio invano"?). Mai un popolo
avevano fatto cadere tanto in basso
da applaudire quelli che gli hanno
bombardato il proprio paese. Lo hanno
fatto si, coi "bei grappolini di bombe
colorate, per il piacere di grandi e
piccini", arrichite di uranio impoverito,
avvelenando tutto, distruggendo
il bene più grande, la vita!
"Finalmente" questo individuo con la sua
camarilla, l'UCK, sostenuti coi
dollari, hanno ottenuto quel tanto
agognato Kosovo (e Metohija) "libero" ed
etnicamente pulito - dai rom, dai gorani,
dai turchi, dagli slavi-musulmani ed
in primis dai serbi cattivi e
"occupatori" delle proprie terre.
Allietando ora il tempo libero dei soldati
occupatori americani (e non solo
americani) nella loro bella, la più grande
base in Europa, la "Bondsteel", con
"bulli e pupe", cioé: prostituzione,
droga e contrabando.
Come non bastasse l'onorificenza, lo fate
parlare con gli studenti delle superiori
in un incontro in cui invoca le guerre
giuste e "sante". Non basta la
disapprovazione di questo suo intervento,
che credo sia stata espressa da Lei
Sindaco e dal vescovo. Non ci sono
meriti di questa persona tali da
giustificare una onorificenza.
Sa quanto gliene può fregare della vostra
disapprovazione, intanto ha la sua bella
"medaglietta"... Sarebbe stato meglio avergliela
tolta subito.
Dite che ha avuto meriti antecedenti
dei bombardamenti NATO!
Rispolvero allora un po' nel tempo, tra le
dichiarazioni del Rugova:

- A Pristina, 1992: "Gli albanesi
(prima si dichiaravano shipetari per
distinguersi dai loro coetnici in
Albania) non accetteranno la divisione
del Kosovo" (La divisione proposta in
base alla demografia - dunque lo
volevano tutto!)

- A "Danas" settimanale di Zagabria,
1992: "Per gli albanesi del Kosovo,
la migliore soluzione è ottenere una
propria repubblica per poi unirsi
all'Albania" (E così arrivare ai fasti e
nefasti della "Grande Albania"
mussoliniana!)

- A Pristina, dopo l'incontro con Milan
Panic (premier jugoslavo venuto
dall'America): "Per noi il minimo è un
Kosovo neutrale e indipendente, e
questo significa che esso sarà aperto
sia alla Serbia che all'Albania".

- A "Le Monde", Parigi 1993: "La Lega
Democratica del Kosovo ha definito
tre possibili soluzioni per il Kosovo:
1. Kosovo neutrale e indipendente,
2. se cambiano le frontiere interne
della Jugoslavia, formazione di uno
Stato albanese comprendente anche gli
albanesi della Macedonia, 3. se
cambiano le frontiere esterne,
annessione all'Albania."

- A Pristina nel 1994: "Presso le
istituzioni legittime della Repubblica
(!) di Kosovo, la parte serba non
troverà interlocutori per l'autonomia."

- A "Der Spiegel", 1996: "Ogni
confronto armato sarebbe un suicidio. Una
soluzione provvisoria, il protettorato
internazionale. Obiettivo finale:
Stato sovrano."

Ecco questo sarebbe il "Gandhi kosovaro",
appoggiato da chi?! Non è difficle
da indovinare: dai camerati radicali,
cioé dal tandem Pannella-Bonino.

Saluti,
Ivan, nato in Istria

---

IRAQ: RUGOVA, SE A FAVORE PACE GUERRA PUO' ESSERE MORALE

(ANSA) - TERNI, 13 FEB - ''La guerra e' sempre il mezzo estremo, ma
quando e' a favore della pace e non della distruzione, allora puo'
essere considerata morale'': lo ha detto il presidente del Kosovo,
Ibrahim Rugova, che e' in visita ufficiale a Terni, dove gli sono
stati conferiti oggi il premio ''San Valentino un anno d' amore'' e la
cittadinanza onoraria. Stamani Rugova ha incontrato un centinaio di
studenti delle scuole superiori della citta'. Presenti il vescovo,
mons. Vincenzo Paglia, e il sindaco, Paolo Raffaelli. Rispondendo alle
domande dei ragazzi, il presidente del Kosovo ha aggiunto che ''oggi
per quel che riguarda l' Iraq, il mondo civile sta facendo tutti gli
sforzi per evitare la guerra, ma purtroppo questa puo' essere un
impegno per evitare che armi pericolose per tutta l' umanita' vengano
lasciate nelle mani di persone irresponsabili''. E ha anche paragonato
Milosevic e Saddam Hussein: ''Hussein e Milosevic - ha detto - in
quanto dittatori si assomigliano. Il problema che si pone il mondo
civile e' quello di annullare le potenzialita' dei dittatori, per
andare sempre piu' verso la democrazia''. Ad un' altra domanda, Rugova
ha risposto: ''Noi kosovari dobbiamo ringraziare Dio per l'intervento
della Nato che e' servito a salvare un popolo e una civilta'''.
(ANSA). YMT-PE
13/02/2003 15:00

http://www.ansa.it/balcani/kosovo/20030213150032473255.html

[In Slovenia, il 23 marzo prossimo, si terra' un referendum
sull'adesione alla NATO. L'opinione pubblica e' largamente contraria
all'adesione, soprattutto adesso che tirano forte i "venti di guerra":
ma il governo ha stanziato la bellezza di 650mila euro per la
propaganda a favore del "si". I comitati per il "no" non beccheranno
un centesimo...]


SLOVENIA, MARCH 23: REFERENDUM ON JOINING NATO.

1. An important letter from Slovenia
2. Iraq crisis dampens Slovenian support for joining NATO


=== 1 ===


Subject: Democracy in Slovenia in aspect of EU & NATO referendums ?
Date: Wed, 19 Feb 2003 14:49:53 +0100
From: "Bla¾ Babiè" <blaz.babic@...>


Dear friends,

I'm writing this as an independent observer of Slovenian situation
before EU and NATO referendum on 23th of March.

I've translated and e-distributed 10 criteria of TEAM
[http://www.teameurope.info/%5d for a fair
referendum campaign, but no journalist nor politician is much
"concerned" about it. An important push could come only from
outside - criticism from EU or other "more democratic" countries.

Primary questions to citizens of EU and NATO countries are those:
Do you want for your country to be closely associated with a state
that "convinced" it's people to join those organisations through such
an enormous propaganda machinery? Can you rely on long-term
satisfaction of the people in such a country? If government is using
such methods towards it's people, which methods would they be
prepared to use against other countries or against alliance and union
itself?

I can't translate all 3 articles below at once. If there'll be any
interest, I'll do it for you.

Simple message is: Government is spending far more than 150 mil
SIT ( 232 SIT = 1 EUR ..... 650.000 EUR) on EU and NATO
referendum campaign. Only in this period of campaign, mind you!

NO FUNDS are intended to go to any kind of sceptic or critical
organisations.

Out of 8 parties in parliament (I like to call it eight-party
democracy) all but two support NATO, and all but 1 EU
membership. These two aren't serious critics, but more or less
exploit the situation.

NO TEAM referendum criteria out of 10 is fulfilled here in Slovenia.

Since Slovenia will be first in the row of referendums... please, be
concerned :)

Present leader of Governmental Office of Information is Gregor
Krajc(round 30 years young). He is lawyer by education, worked in
Bruxelles as a journalist for national radio and later was employed at
Studio 3S - marketing company (known to some as a company with
a lot of personal connections to past regime). After he got the
position in UVI (GOI), Studio 3S quickly got also a contract for
round 9.000 EUR. Noone is making a fuss out of that.

Also Krajc explained that since referendums are so soon,
"unfortunately" no funds will be available for critics - there has to
be a "proper public tender" you know... creepy tricks of the trade.

Of course I don't need to explain that no serious opposition to EU
exists. Group Neutro closed down and the rest is simply
under-informed and not capable of producing serious and efficent
contra arguments. Out of parliamentary parties are not funded and
no new democratic movements are capable of growing.

There are a bunch of anti NATO organisations, but when it comes to
serious debate, most of them want to stay in anonimity... could
explain why, but it's a bit too complicated.

Best wishes for now,

Blaz



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http://www.finance-on.net/show.php?id=39618

Propaganda za EU in Nato za 150 milijonov

Jo¾e Bi¹èak
joze.biscak@...

objavljeno 26.1.03 22:00

Toliko bi si ¾elel direktor vladnega urada za informiranje Gregor
Krajc, vendar ne ve, koliko bo za medijsko kampanijo za
referenduma v resnici dobil


"Za medijsko kampanjo v podporo pozitivnemu
izidu na referendumu za prikljuèitev Slovenije
Evropski uniji in Natu bi potrebovali okoli 150
milijonov tolarjev," je dejal Gregor Krajc,
direktor vladnega urada za informiranje
[http://www.finance-on.net/lex.php?tip=p&item=UVI].
In dodal: "Toliko si ¾elim, koliko
mi bodo dali, pa ¹e ne vem."

Po besedah Gregorja Krajca bo kampanja, ki je
pravzaprav vladni projekt, pripravljena ¹e ta
teden, temeljila pa bo na dejstvih o Evropski uniji
in Natu. Poudarek bo na regionalnih medijih,
saj je namen vlade, da gre med ljudi. Na
vpra¹anje, ali bo ¹lo za plaèane oddaje in prispevke, je Krajc
odgovoril: "Ne. Ta vpra¹anja bodo lokalni elektronski mediji vezali
na svoje oddaje. Mi bomo poskrbeli za goste, oddajo strokovno
podprli, plaèali pa ne bomo niè. Nekateri so sicer hoteli plaèilo,
vendar sem to zavrnil."

Do referenduma bodo v ¹estih veèjih slovenskih mestih organizirali
okrogle mize, na katerih bodo sodelovali strokovnjaki razliènih
ministrstev. Na pripombo, ali ne bo propagandna akcija, v kateri
bodo sodelovali tudi èlani Slovenske vojske, preveè militantno
naravnana, je Gregor Krajc odvrnil, da bodo sicer nastopile "voja¹ke
osebe, vendar tako strokovno, da ne bodo posegale na civilno
podroèje".

Posebnih publikacij v podporo prikljuèitvi Evropski uniji ali Natu ne
bo, bodo pa natisnjeni samo podatki o obeh organizacijah na papirju
formata A4. "Sicer pa obe najveèji televiziji tako ali tako
pripravljata svoje oddaje o teh vpra¹anjih," je ¹e povedal Krajc.



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http://www.finance-on.net/show.php?id=40197

Prek dvesto milijonov za promocijo Nata in EU

Katarina Matejèiè
katarina.matejcic@...

objavljeno 3.2.03 22:00

Udele¾bo na referendumih bo krojila tudi informacijska strategija,
ki jo bo vodil kar vladni urad za informiranje




Veèino informacijske strategije za podporo vstopu Slovenije v Nato
[http://www.finance-on.net/lex.php?tip=p&item=Nato]
in EU bodo v vladnem uradu za informiranje
[http://www.finance-on.net/lex.php?tip=p&item=UVI] izvajali in
usklajevali kar sami, nam je povedal njegov direktor Gregor Krajc.
Strategija bo temeljila na treh stebrih.

V agenciji Futura DDB
[http://www.finance-on.net/lex.php?tip=p&item=Futura%20DDB] so del
promocijskih dejavnosti za referenduma o vstopu v Nato in EU izvedli
¾e lani, vendar jih bodo poslej nadaljevali le del. Ogla¹evanje bodo
opustili.

Javna razprava in publikacije

Informacijska strategija se bo zaèela ta teden in bo temeljila na treh
stebrih. Prvi je ¹iroka javna razprava, ki jo bodo vodili prek
mno¾iènih medijev, in sicer tako na lokalni kot nacionalni ravni.
"Ker je èasa malo, bo za nas odloèilna predvsem televizija. Vendar
pa ne gre za plaèane oddaje in prispevke," razlaga Krajc. Za drugi
steber so predvidene publikacije o EU in Natu, in sicer ponatis
priroènika z naslovom Kako smo se pogajali.

Ministri in sekretarji kot promotorji

Nosilki zadnjega stebra bosta skupini, in sicer bo prva delovala na
ministrski ravni, vanjo bo vkljuèen tudi predsednik vlade, druga pa
na ravni dr¾avnih sekretarjev. Ministri se bodo sestajali tedensko,
ocenjevali bodo minulo delo ter bili predvsem nekak¹ni promotorji,
in sicer s posredovanjem argumentov in gesel za vstop v Nato
oziroma EU.

Skupina dr¾avnih sekretarjev pa se bo najverjetneje sreèevala vsak
dan in tekoèe spremljala dejavnosti.

Dobrih 200 milijonov za propagando

V podporo vsemu na¹tetemu bodo tudi infobus, natovske dopisnice,
felix kartice EU, Nato- in EU-fon, plaèanih oglasov pa ne
predvidevajo. Kot smo ¾e pisali prej¹nji teden, je vlada za
vkljuèevanje Slovenije v Nato in EU odobrila dodatnih 128
milijonov, ¾e prej pa je bilo zagotovljenih 78 milijonov tolarjev.

Preprièani o uspehu referendumov

"Prièakujemo, da bo volilna udele¾ba vi¹ja, kot je bila na zadnjih
predsedni¹kih volitvah," razlaga Krajc. Dodaja, da veèina Slovencev
namreè ¹e vedno podpira vstop v EU in Nato, z omenjenimi
dejavnostmi pa ¾elijo to podporo obdr¾ati in utrditi. Na na¹e
vpra¹anje, ali lahko predviden napad na Irak vpliva na izide o
prikljuèitvi Natu, je sogovornik odgovoril, da po njegovem mnenju
ne, ¹e posebej, èe se na gro¾njo z napadom pravilno odzovejo.
"Ljudem je treba namreè razlo¾iti, da Nato in posredovanje v okviru
Zdru¾enih narodov nista ista stvar," pojasnjuje Krajc.

©tevilo vpra¹anj raste

Na uradu za informiranje vsak dan odgovarjajo tudi na vpra¹anja,
povezana s tematiko EU in Nata. Kot pravi Krajc, trenutno prejmejo
po elektronski po¹ti, Nato- oziroma EU-fonu in na brezplaènih
natovskih dopisnicah od 10 do 15 vpra¹anj na dan, po promociji pa
naj bi to ¹tevilo zraslo na 70, morda celo 80 vpra¹anj na dan.


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http://www.finance-on.net/show.php?id=40193


Studio 3S dela za vladni urad, ampak ne zaradi Krajca

Ksenija Gerovac
ksenija.gerovac@...

objavljeno 3.2.03 22:00

Direktor urada vlade za informiranje zavraèa govorice, da je Studio
3S, s katerim je prej sodeloval, dobil posel na uradu z njegovo
pomoèjo

Studio 3S [http://www.finance-on.net/lex.php?tip=p&item=Studio%203S],
s katerim je pred prihodom na urad vlade za informiranje
[http://www.finance-on.net/lex.php?tip=p&item=UVI] pogodbeno
sodeloval Gregor Krajc, je dobil naroèilo
za oblikovanje plakata v okviru projekta
za podporo vstopa na¹e dr¾ave v EU.
Sli¹ati je, da je Studio dobil ta posel
samo zato, ker je Gregor Krajc postal
direktor urada za informiranje, ki je
naroènik posla.

Gregor Krajc je potrdil, da je Studio 3S
dobil omenjeni posel in dodal, da je to
podjetje ¾e pred njegovim prihodom na
urad sodelovalo pri projektih obve¹èanja
javnosti o Natu in EU. Pojasnil je, da je
posel vreden 1,8 milijona tolarjev, zato
za izbiro izvajalca ni bilo treba izvesti
javnega razpisa. Krajc je zatrdil, da je
urad k sodelovanju povabil deset
oblikovalcev oziroma agencij, ¹est med
njimi pa se je vabilu tudi odzvalo.
"Komisija je med prispelimi ponudbami
izbrala Studio 3S kot najbolj¹ega
ponudnika, saj je zbral najveè toèk pri
predpisanih merilih," je povedal Krajc.
Komisija je ponudbe ocenjevala na
podlagi ¹tirih meril: cene, roka izdelave,
kreativne zasnove in referenc. Kot je povedal Krajc, je Studio 3S
zbral 65 toèk od sto mo¾nih, drugi najbolj¹i ponudnik, oblikovalka
Polona Zupanèiè, pa 60 toèk. Ponudba Polone Zupanèiè je bila
najcenej¹a, vendar je Studio 3S dobil veè toèk za oblikovanje in pri
roku za izdelavo.

Prekratki roki

Poklicali smo ¹e enega izmed povabljenih oblikovalcev. Na agenciji
Imelda so potrdili, da je urad povabil k sodelovanju njihovo
oblikovalko Jasno Andriè, ki pa se vabilu ni odzvala. Matja¾
Potokar iz Imelde je povedal, da so bili roki za oddajo ponudbe
prekratki, da bi njihova oblikovalka lahko oddala resno in
kakovostno ponudbo. Na vladnem uradu za informiranje so potrdili,
da so roki bili res kratki, in pojasnili, da so ¹ele 15. januarja
dobili navodila za izvedbo plakatov in publikacij za obve¹èanje
javnosti o vstopu Slovenije v EU, odpiranje ponudb pa je bilo ¾e 24.
januarja.


=== 2 ===


http://www.ptd.net/webnews/wed/bl/Qslovenia-nato-eu.RFDj_DJR.html

Iraq crisis dampens Slovenian support for joining NATO




LJUBLJANA, Jan 27 (AFP) - Public support in Slovenia
for joining NATO slipped to 44 percent in January,
from 50 percent in December, and could fall more if
the United States attacks Iraq, Ljubljana's University
Research Center said Monday.

Slovenia is to hold a referendum on joining NATO on
March 23.

If a referendum on NATO was held next Sunday, 44
percent of Slovenians would back membership while 39
percent would vote against.

A total of 17 percent are still undecided, according
to the results of a poll of 1,000 respondents carried
out by the Center between January 20 and 22.

"A positive trend in support could be seen since March
last year," professor Niko Tos, director of the Social
Sciences Public Opinion Research Center.

Slovenia along with other six former communist states
were invited to join NATO at an Alliance summit in
Prague in November.

"It is possible that if a war in Iraq is taking place
when the referendum is held, it could favour a
negative choice (among voters)," Tos said.

The survey also showed that while doubtful on NATO
membership, Slovenians support joining the European
Union.

Slovenia is among 10 candidate countries, mainly from
eastern Europe. slated to join the EU in 2004.

According to the poll, 65 percent of Slovenians back
EU membership while only 18 percent oppose.

Slovenia votes also on EU membership on March 23.

http://www.glas-javnosti.co.yu/

Glas Javnosti, Februar 2003
LIČNI STAV
Piše: Kosta Čavoški

1. Maloletna zemlja
2. Anomija

=== 1 ===

Maloletna zemlja

Kada neko isuviše često istupa, pa izgubi preko potrebnu sabranost i
opreznost, tada mu se otme i poneka reč zbog koje bi kasnije ugrizao
vlastiti jezik. To se upravo desilo Zoranu Đinđiću 13. febru=
ara
2003, prilikom posete vatrogasnoj jedinici Beograda.

Tada je rekao da mi više nismo "maloletna zemlja" o čijoj se
strategiji odlučuje na nekom drugom mestu, iako se to doskora
činilo. Time je, a da to uopšte nije želeo, pokrenuo pitanje ko je
to do sada odlučivao o našoj zemlji kao da je maloletna, i kako je
te svoje odluke sprovodio.

Samo retki pojedinci iz vrhuške DOS-a znaju da je u proleće 2000,
kada je već bilo jasno da će se septembra iste godine održati
presudni savezni izbori, Zoran Đinđić negde u inostranstvu z=
aključio
nagodbu (za Amerikance je to bio deal) s nekim od predstavnika novih
gospodara sveta o finansiranju predizborne kampanje DOS-a.

Prema onome što je do sada otkriveno, izgleda da je DOS za ovu svrhu
dobio 30 miliona dolara (oko 70 miliona maraka prema ondašnjem
kursu), od kojih je za samu kampanju utrošeno oko 40 miliona maraka,
dok za preostalih 30 miliona nema valjanog pokrića.

No, kao što to uvek biva kada stranci daju pare, Đinđić je t=
om
prilikom preuzeo odgovarajuće obaveze koje su se ticale buduće
spoljne i unutrašnje politike koju će DOS voditi kada dođe na vla=
st.

U prvom trenutku Vojislav Koštunica nije učestvovao u sklapanju ove
nagodbe sa strancima, a verovatno nije znao ni sve njene
pojedinosti. Kada je, međutim, pristao da bude DOS-ov predsedničk=
i
kandidat, Svetozar Stojanović je, kao njegov lični izaslanik,
otputovao u Budimpeštu da bi u razgovoru s Amerikancima,
najverovatnije s Vilijamom Montgomerijem, potvrdio da DOS-ov
kandidat za predsednika preuzima sve obaveze koje su ranije
uglavljene.

Već sada znamo da će neko od pomenutih pokušati da javno opovrgne=

ove naše navode. U ovoj stvari mi se, međutim, držimo Rusoovog
upozorenja da "ako hoćemo da poznamo ljude, moramo ih videti na
delu. U svetu ih čujemo samo gde govore; u svojim govorima oni,
istina, istupaju javno, ali sakrivaju svoje radnje. U istoriji, pak,
oni izlaze pred nas otkriveni, te ih prosuđujemo po njihovim
delima".

Pa, šta, na osnovu onoga što su DOS-ovi čelnici do sada učinili, =

možemo reći o obavezama koje su u proleće 2000. usmeno preuzeli
prema svojim stranim finansijerima? Po našem sudu, oni su se tada
obavezali:
- da odustanu od kontinuiteta sa SFRJ i zatraže prijem SRJ u UN kao
nove, tek stvorene države;
- da Slobodana Miloševića i druge optužene uhapse i isporuče Hašk=
om
sudu;
- da pod vidom reforme VJ sa njenih čelnih položaja uklone generala
Nebojšu Pavkovića i druge proslavljene kosmetske ratnike;
- da promenom Ustava Srbije, pod vidom regionalizacije Srbiju
uistinu federalizuju i iznutra razbiju.

Prvu obavezu lično je izvršio Koštunica odmah po dolasku na položaj
saveznog predsednika, iako za to po Ustavu nije bio nadležan, i
uprkos podrobno obrazloženom savetu koji mu je pismeno uputila
Smilja Avramov, doajen našeg međunarodnog prava.

U izvršenju druge obaveze svi su učestvovali, iako su prethodno
pismeno potvrdili da Milošević neće biti izručen Hagu. Jedin=
o je u
trenutku izručenja Koštunica pokušao da bude "neobavešten", kako bi
na Đinđića prevalio odijum za ovaj sraman čin.

Treću obavezu je opet izvršio sam Koštunica tako što je simulovanim
aktom - ukazom o penzionisanju - smenio Pavkovića s položaja
načelnika Generalštaba, pošto mu čak dva puta nije pošlo za rukom=
da
za takvu smenu dobije saglasnost Vrhovnog saveta odbrane. Konačno, i
pored ogromnih razlika između DSS-a i ostatka DOS-a, obe strane
nastoje da pod vidom asimetričnog regionalizma federalizuju i
ubogalje Srbiju, tako što će od Vojvodine napraviti državu u državi,
ostatak Srbije podeliti na četiri nove Vojvodine, a naposletku
problematizovati i položaj Raške.

Zahvaljujući ovakvoj "politici", o sudbini naše zemlje, uključuju=
ći
i sudbinu Kosmeta, ne odlučuje se u Beogradu, nego u Vašingtonu i
Briselu, što znači da smo "maloletna zemlja" pod starateljstvom. To
nam je upravo saopštio Đinđić kada je poverovao da, zahvalju=
jući
svojoj mudrosti i državničkom umeću, to više nećemo biti.

=== 2 ===

Anomija

Protekle dve godine su pokazale da ljudi koji sada predvode ovu
zemlju ne samo da ne znaju pravo nego ga bacaju pod noge i kada ga
dobro znaju.
Njihovo notorno neznanje, ako veæ nije posredi i zla namera, dovelo
je najpre do povlaèenja protivtu¾be u sporu sa BiH pred Meðunarodnim
sudom pravde u Hagu u pustoj nadi da æe to uèiniti i druga strana, a
potom i do poku¹aja da se providnom pravnom smicalicom ospori veæ
utvrðena nadle¾nost ovog suda.

Kada je zatim ovaj sud glatko odbio na¹ zahtev da iznova razmotri
svoju nadle¾nost u ovom sporu, glavni pravni zastupnik SRJ Tibor
Varadi, umesto da odmah podnese ostavku, smelo je izjavio da ta
odluka ne dira u su¹tinu spora, dok je Vojin Dimitrijeviæ jo¹ dodao
"da politièari SRJ i BiH treba da se dogovore i odustanu od spora".
Jedino je propustio da objasni zbog èega nije savetovao svojim
pulenima u jugoslovenskoj diplomatiji, koje inaèe dr¾i na kratkom
lancu, da ratifikovanje Dejtonskog sporazuma, priznanje BiH,
uspostavljanje redovnih diplomatskih odnosa i razmenu ambasadora
uslove prethodnim povlaèenjem tu¾be BiH protiv na¹e zemlje.

Najnoviji primer ga¾enja va¾eæeg Ustava Srbije predstavlja odluka
Nata¹e Miæiæ, predsednika Narodne skup¹tine i vr¹ioca du¾nosti
predsednika Republike, da uop¹te ne raspisuje ponovljene
predsednièke izbore dok se ne donese novi ustav Srbije. Pri tom se
nije pozvala na sam Ustav, niti na bilo koji zakon, nego
na "preovlaðujuæe mi¹ljenje" politièkih stranaka da ove izbore treba
odlo¾iti. Uz to je, kao da uistinu zna ¹ta je to dr¾avni razlog
(ratio status), izjavila da bi "raspisivanje predsednièkih izbora...
bilo necelishodno i ¹tetno po dr¾avne interese". Tako je ispalo da
je za dr¾avu lo¹e kada se po¹tuje va¾eæi ustav, a dobro kada se taj
ustav gazi.

Jo¹ je gore ¹to je prilikom dono¹enja pomenute protivustavne odluke
postupala pro domo suo - u vlastitom interesu, a mo¾da i u
samoljublju. Jer, odlaganjem predsednièkih izbora samoj sebi je
obezbedila nièim zaslu¾en polo¾aj ¹efa dr¾ave, valjda u varljivoj
nadi da svojim nogama mo¾e odigrati i tu ulogu.

Pored malobrojnih pobornika ustavnosti i istinske vladavine prava,
protiv ovog protivustavnog èina Nata¹e Miæiæ ustali su i oni kojima
takva odluka politièki ne odgovara. Meðu njima bio je i Vojislav
Ko¹tunica, jalovi pobednik na trima neuspelim predsednièkim izborima.
I to je upravo povod da postavimo dalekose¾no pitanje - da li se
ustavnost i zakonitost mogu krèmiti na parèe.

Prilikom preuzimanja svojih ustavnih zvanja, dosada¹nji zvaniènici,
poèev od Ko¹tunice preko Zorana Ðinðiæa do poslednjeg ministra,
javno su se zakleli da æe po¹tovati savezni odnosno republièki
ustav. A potom su svi do jednog u ovoj ili onoj prilici kr¹ili ove
ustave. Pristali su, recimo, na izruèenje domaæih dr¾avljana jednom
stranom sudu, iako su dobro znali da oba ustava to zabranjuju. Zatim
su i Ko¹tunica i Ðinðiæ svojim potpisima od 14. marta 2002. ukinuli
SR Jugoslaviju i uspostavili nekakav provizorijum, iako se za
ove "osnove" u Skup¹tini SRJ izjasnila obièna, a ne dvotreæinska
veæina.

A veæ sada Ko¹tunica podrazumeva da novi ustav Srbije treba doneti na
protivustavan naèin - dvotreæinskom veæinom u Narodnoj skup¹tini bez
ustavnog referenduma - dok Ðinðiæ takoðe odbacuje ustavni
referendum, a jedino izbegava da veæ sada ka¾e koja æe veæina za to
biti potrebna, po¹to nije u stanju da predvidi koliko æe poslanika u
tom odluènom èasu moæi da kupi.

Sve su to razlozi ¹to kod nas ga¾enjeva¾eæih ustava nije sporadièno i
popravljivo, nego smi¹ljena i postojana politika. U nas ustave
sistematski gaze kljuèni ustavni èinioci, i to je stanje potpune
anomije koje bri¹e svaku razliku izmeðu ispravnog i izopaèenog,
dopu¹tenog i zabranjenog. A takvi anomièni ljudi prebivaju u zoni
sumraka, bez pro¹losti i bez buduænosti.

[Una facile ricerca internet sul "Pane di Sant'Antonio" ci ha consentito di risalire ai seguenti documenti, tuttora leggibili online. Li riportiamo all'attenzione di tutti, credendo di fare cosa utile anche ai tanti cattolici e religiosi onesti, che insieme a noi condividono il ripudio della guerra senza "se" e senza "ma". CNJ]

---

http://www.diario.it/cnt/articoli/INVIATI/articolo33.html

"Diario" da mercoledì 19 a martedì 25 maggio 1999

I Nostri Inviati tra gli «Amici» dell'Uck


La Caritas modello bresciano

Una storia in cui, incredibilmente, convivono veri frati, falsi volontari e incalliti mercanti d'armi. Tutti vecchie conoscenze

di Luca Rastello
Milano

Pane amaro, marcio pane di sant'Antonio. Strano che nessuno ricordi questa sigla: «Il pane di sant'Antonio», nota copertura di traffici mortali nella guerra di Bosnia. Di solito la si trova in calce a un simbolo apparentemente pacifico con la croce e le spighe, già macchiato di sangue italiano: il
sangue di Guido Puletti, Sergio Lana e Fabio Moreni, assassinati il 29 maggio del 1993 sulla strada che da Gornji Vakuf porta a Novi Travnik, nella Bosnia centrale. Eppure ancora oggi, quando «Il pane di sant'Antonio» si ripresenta sulle banchine del porto di Ancona con il suo consueto carico di morte,
sembrano cadere tutti dalle nuvole, a cominciare dai volontari della Caritas, che manifestano sorpresa e indignazione per l'uso indebito delle loro insegne da parte dei trafficanti.
Anche l'usurpazione del nome Caritas, però, non è una assoluta novità, come sanno molto bene dalle parti di Brescia, capitale italiana della produzione d'armi e, nello stesso tempo, degli aiuti umanitari.
I fatti, quelli recenti: il 12 aprile scorso, tre grandi camion con le insegne Caritas, provenienti da Sarajevo e diretti a Scutari, in Albania, vengono fermati dalla guardia di finanza italiana al porto di Ancona. È un controllo casuale, dovuto in larga parte al ritardo nelle operazioni di carico della motonave diretta a Durazzo su cui i Tir devono essere imbarcati: i militari italiani quasi non credono ai loro occhi davanti all'arsenale che salta fuori sotto le merci, peraltro avariate, catalogate come aiuti umanitari. Due dei tre camion sono stati modificati per nascondere in appositi tramezzi uomini e armi, e dietro le patate in germoglio e il mangime per polli scaduto, spuntano cose come missili anticarro e antiaereo, mortai, lanciagranate, un cannone senza rinculo, ma anche valigette per puntamento e innesco di ordigni elettronici a distanza: trenta tonnellate di sofisticatissime attrezzatur per la produzione di morte che viaggiano con i documenti dell'associazione «Il pane di sant'Antonio», organo
esecutivo per gli aiuti umanitari della Caritas francescana di Sarajevo.
«Siamo stati ingannati», dice Silvio Tessari, uno dei responsabili Caritas che dall'Albania aveva telefonato al porto di Ancona sollecitando lo sdoganamento del convoglio: «Il marchio su quel camion è solo un'imitazione. Se qualcuno se ne appropria commette un atto illegale di cui non siamo responsabili».
Solo che non è la prima volta.

LA BRAVA GENTE E I FRATI.
I fatti, quelli antichi: «Il pane di sant'Antonio» è l'organizzazione diretta dal frate croato Bozo Blazevic
che si occupa di smistare gli aiuti umanitari in Bosnia centrale nel corso della guerra croato-musulmana del 1993. Centro logistico delle operazioni di Blazevic e compagni è la Caritas francescana di Spalato, diretta da padre Leonard Orec, dove arrivano i convogli dall'estero, in massima parte dall'Italia. «Il pane di sant'Antonio» ha un suo agente di collegamento in Italia: la signora Spomenka
Bobas, residente a Modena. Proprio Spomenka viene in contatto con un gruppo di preghiera costituitosi a Ghedi (Brescia) intorno alla figura di Giancarlo Rovati, industriale di grande prestigio nella zona che si pone il problema di intervenire in soccorso delle vittime di guerra. È la fine del 1992, il gruppo di Rovati conta cinque o sei membri, ma la volontà è forte e i mezzi non mancano: il contatto con Spomenka e i francescani d'Erzegovina fornisce l'occasione per il salto di qualità: «Grazie all'appoggio dei frati», raccontava Rovati, «eravamo in grado di servire, viaggiando ogni settimana, oltre sessanta località in Bosnia centrale». È l'inizio della primavera del 1993, le Nazioni Unite
considerano la Bosnia centrale «zona instabile», eufemismo che copre i più spaventosi massacri di quegli anni, e hanno sospeso i loro convogli in quell'area.
Rovati e compagni con il pane di sant'Antonio viaggiano invece al ritmo di venti Tir la settimana. L'associazione si chiama «Caritas di Ghedi». Attenzione: non Caritas, sezione di Ghedi ma, come se fosse tutto attaccato, «Associazione Caritas di Ghedi».
«No», dice don Alberto Nolli, allora responsabile della Caritas di Brescia, «non erano Caritas, ma era brava gente e permettevamo loro di usare quel nome. Sa, a quel tempo era un po' come un lasciapassare, aiutava...». Ecco come fu che il nome dell'associazione di Rovati dovette cambiare. Il 29
maggio del 1993 un piccolo convoglio di un gruppo di volontari bresciani viene contattato a Spalato da Spomenka Bobas e padre Orec. Poiché vanno in Bosnia centrale, i religiosi li pregano di consegnare quattro pacchi a Vitez: con questa scusa li forniscono di documenti con il marchio del pane di
sant'Antonio, un po' come se firmassero l'ignara spedizione dei bresciani. A fare da garante è
Fabio Moreni, che collabora con Rovati da qualche settimana e ora accompagna i bresciani nel loro viaggio. Poche ore dopo, appena transitati da Gornji Vakuf, i cinque bresciani vengono intercettati da una banda di irregolari bosniaci che sequestra il carico e i documenti e uccide a freddo Moreni insieme a Sergio Lana e Guido Puletti.
Stranamente è presente in zona proprio padre Blazevic, il capo dell'organizzazione francescana che si trova a Gornji Vakuf per contrattare con il comandante bosniaco Goran Cisic il rilascio di un altro convoglio marcato pane di sant'Antonio, ben più consistente di quello bresciano, da un paio di
giorni sotto sequestro. Blazevic non si fa vedere dai volontari che ha segnato con il proprio marchio mentre vanno alla morte. Ma non si turba più di tanto: sei mesi dopo, alla testa di un grande convoglio, viene fermato su quella stessa strada, nello stesso punto dove erano stati intercettati i bresciani, al canyon di Opara. È il 22 dicembre 1993, a fermare il convoglio è il comandante Goran Cisic, l'interlocutore di padre Blazevic: la vecchia trattativa è andata a buon fine, dato che Cisic non si scompone quando sotto i generi alimentari chiamati «aiuto umanitario» saltano fuori i soliti lanciarazzi, mortai a treppiede eccetera. Si limita ad arrestare i due giornalisti italiani involontariamente testimoni dei traffici in corso - sono Ettore Mo ed Eros Bicic - e lascia ripartire
il carico verso la zona controllata dai croati a cui era diretto. La morte dei tre ignari volontari italiani era probabilmente un segnale nel linguaggio tipico di questo tipo di trattative, un messaggio in codice fra soci in affari che non si sono ancora messi bene d'accordo e forse vogliono alzare il prezzo.

LE VIE DELLA CONNIVENZA.
Guido, Sergio e Fabio sono morti, padre Blazevic, amico personale del presidente Tudjman, è parroco a Okucani in Slavonia e minaccia in nome della sicurezza nazionale croata chi prova a tirarlo in ballo, Rovati è una potenza intercontinentale degli aiuti umanitari e spedisce convogli in tutto il mondo, dal Perù al Burundi alla Romania: è comparso alla televisione italiana, a Pinocchio, dove è stato definito
«il volto pulito dell'Italia, quello che ci piace guardare». Ha continuato anche a lavorare con i frati d'Erzegovina, ed è tornato a Gornji Vakuf, per progetti di ricostruzione e per portare il suo perdono agli assassini di allora. Ovviamente la sua associazione non si chiama più Caritas di Ghedi: il nome nuovo è «Associazione 29 maggio», i nomi delle tre vittime compaiono sui teloni dei Tir in partenza per i cinque continenti.
Strana storia, quella del pane marcio di sant'Antonio, e triste storia, quella della leggerezza con cui si instaurano relazioni pericolose quando a legittimare i gesti avventati è la ragione umanitaria. L'interesse per il volontariato non sempre risponde a nobili ragioni, e l'uso strumentale delle azioni di pace da parte di strateghi e profittatori di guerra è ormai la regola, non più l'eccezione. In queste condizioni l'ingenuità è semplicemente un placido modo della connivenza. Anche se, magari, sulle strade dello sforzo di pace si verificano formidabili conversioni, come quella dell'ex maresciallo Germano Tessari, ben noto ai lettori di Diario della settimana (1999, numero 15) per il suo coinvolgimento nei processi sui traffici d'armi del Sisde in Val di Susa. Proprio a Scutari, centro della
missione in Albania della Diocesi di Susa, Tessari si è recato in passato a portare aiuti umanitari e mezzi da trasporto. Se lo ricorda bene una suora della Fondazione Monsignor Rosaz, a Susa. La polizia italiana segnala, fra l'altro, il transito a Valona di mezzi pesanti recanti, magari abusivamente, il marchio della Sitaf, la società delle autostrade del Fréjus, di cui l'ex maresciallo è stato a lungo consulente per la sicurezza, negli anni degli attentati e dei miliardi pubblici intascati
da comitati d'affari in vario modo legati all'azienda. Come si convertono gli individui si convertono anche le grandi aziende.
Ma di quando in quando qualche pecorella smarrita si fa cogliere in flagrante, sulle banchine di Ancona, intenta ai vizi d'un tempo.

©diario della settimana

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http://www.lapadania.com/1999/maggio/04/040499p02a3.htm

Per i servizi segreti americani l'Uck è legato alla mafia albanese e autofinanzia la guerriglia con il traffico di eroina

La via della droga passa per il Kosovo

Intanto i "basisti" dell'Esercito di liberazione hanno trasformato Bari nel loro quartier generale

di Elisa Carcano

Non c'è nessun nuovo indagato nell'inchiesta condotta dal sostituto procuratore della Repubblica di Ancona Cristina Tedeschini sui tre tir bloccati dalla Guardia di Finanza e dalla dogana nel porto di Ancona lo scorso 12 aprile (ma la notizia del sequestro è stata data solo l'altro giorno): seppur carichi d'aiuti umanitari per i profughi del Kosovo, i camion trasportavano nei doppifondi un enorme carico d'armi diretto all'Uck. Al centro dell'interesse del magistrato ci sarebbe per ora la figura di un prete, probabilmente coinvolto nella vicenda. I tre tir viaggiavano sotto le insegne dell'organizzazione
umanitaria "Kruh Svetog Ante" (Il pane di Sant'Antonio) di Sarajevo ed erano diretti, secondo la bolla d'accompagnamento, alla "Caritas" di Scutari (che però si è chiamata fuori dicendo "quei camion non sono nostri"). Il religioso potrebbe essere o l'ultimo destinatario, in Albania, dell'ingente quantitativo
di armi ritrovato sui tre tir o il penultimo intermediario, sempre albanese, in grado di indicare a chi, nel territorio controllato dall'Uck, avrebbe dovuto essere consegnato alla fine le armi. Un vero e proprio arsenale, con armi anche sofisticate, di cui facevano parte fra l'altro cinque valigette per puntamento e innesco elettronico a distanza di ordigni, missili anticarro e antiaereo, armi con puntamento laser, bazooka, mortai, munizioni, esplosivi - in gran parte dell'ex Urss e dell'ex Jugoslavia - mitragliatrici belghe, cinesi e americane e un gran numero di granate Usa. Il presidente dell'organizzazione umanitaria mittente, padre Stipo Karajica, ha già dichiarato, attraverso il proprio procuratore legale ad Ancona, che la "Kruh Svetog Ante" è totalmente all'oscuro delle armi e che ha
solamente provveduto alla raccolta degli aiuti affidandone l'invio a terzi. Quanto ai tre autisti, bosniaci (ma uno di loro ha un cognome tedesco), sono ancora in carcere ad Ancona.

Da Ancona spostiamoci a Bari, diventata importante snodo di guerriglieri dell'Uck. Nel porto della città pugliese sono infatti dislocati i basisti dell'Esercito di liberazione del Kosovo che assistono i combattenti, acquistano per loro i biglietti di viaggi, forniscono cibo e acqua, provvedono al trasporto dei volontari dalla stazione ferroviaria al porto. Un'organizzazione, si direbbe, svizzera.
Come svizzera è l'originaria appartenenza dei trenta camion militari bloccati dalla Guardia di Finanza a Bari. Guidati da autisti kosovari, gli automezzi sono in attesa dell'autorizzazione necessaria alla partenza per Durazzo: trasportano sì generi alimentari ed altri aiuti umanitari, ma una volta in Albania
non sarebbero più utilizzati come spola per gli aiuti e rimarrebbero invece a disposizione dell'Uck a scopi militari. Finora, nel giro di quattro settimane, sono passati dal porto di Bari tremila combattenti kosovari: si imbarcano su traghetti di linea diretti a Durazzo, da qui poi raggiungono il confine con il Kosovo per combattere contro i serbi. Secondo la Guardia di Finanza il flusso è molto cambiato negli ultimi giorni: da una fase caratterizzata da una "chiamata alle armi" per certi versi spontanea, si è passati ad un vero e proprio viaggio verso il fronte organizzato nei minimi particolari. Nei primi giorni, per esempio, decine di uomini si presentavano già in tuta mimetica nel capoluogo pugliese, ora invece per non destare eccessivamente l'attenzione delle forze di polizia, proprio i "basisti" hanno disposto che i volontari dell'Uck vengano in borghese.
Intanto in America mostra la corda il fronte pro guerriglieri: ai due parlamentari Usa che vorrebbero armarli e finanziarli con i soldi dei contribuenti (il repubblicano Mitch McConnell e il democratico Joseph Lieberman), il "Washington Post" replica, citando documenti dell'intelligence statunitense e di altri paesi, con un articolo in prima pagina secondo cui l'Uck "è un'organizzazione terroristica che trae gran parte delle sue risorse dal traffico di eroina". Secondo questi documenti, agenti antidroga di cinque nazioni (tra cui gli Usa) ritengono che l'Uck abbia stretti legami con il crimine organizzato albanese, responsabile del traffico di eroina e cocaina verso i mercati europei occidentali e, in misura minore, verso gli Stati Uniti. La "mafia albanese", scrive ancora il giornale, è legata ad un'organizzazione per il narcotraffico con base a Pristina in Kosovo, e ha tra i suoi capi diversi responsabili del Fronte nazionale
del Kosovo, il braccio politico dell'Uck. Questo cartello sarebbe oggi uno dei più potenti del mondo, e gran parte dei suoi proventi servirebbero a finanziare le armi dell'Uck.
La "rotta" dell'eroina gestita dagli albanesi del Kosovo attraversa Grecia, Jugoslavia, Turchia e Bulgaria, è chiamata dagli agenti dell'antidroga, "la strada dei Balcani". Il 75% dell'eroina sequestrata in Europa lo scorso anno ha seguito questa rotta. "Un anno fa erano semplici terroristi ed ora,
per politica, sono diventati combattenti per la libertà", ha dichiarato al quotidiano un agente antidroga americano.

DOPO AVERE SPACCATO TUTTO, VOGLIONO RICOSTRUIRE LA "FEDERAZIONE BALCANICA"

Ma stavolta sulla bandiera, anziche' un'unica stella (rossa) potrebbero metterne 12 (gialle), o forse piu' di cinquanta (bianche). Su sfondo blu.

IDEA TO SET UP BALKAN FEDERATION IS RESURFACING - PAPANDREOU

BRUSSELS, Jan 5 (Tanjug) - Greek Foreign Minister George Papandreou told the German daily Sueddeutsche Zeitung in an interview that an old idea to create a federation of Balkan states is being mentioned in Greece again and has been received well by the European Union.
The Greek EU Presidency quoted Papandreou as saying that there were no more black holes in the Balkans and that many Balkan countries were striving to enter the European Union, which he said would happen very soon.
Papandreou failed to specify what "very soon" meant, but said that Balkan countries must have a future in Europe and that Greece, as the EU president, would do its best to speed up the process of accession of the Balkan countries to the European Union.
The Greek presidency of the EU will be crowned by a summit of EU and Balkan countries in Thessaloniki in June.

RITORNO DALLA ZASTAVA DI KRAGUJEVAC
Viaggio del gennaio 2003
(resoconto di viaggio a cura di Gilberto Vlaic del gruppo ZASTAVA
Trieste)

Questa relazione e' suddivisa in tre parti:
A) Cronaca del viaggio
B) Le ultime informazioni sulla Zastava.
C) Conclusioni

Cronaca del viaggio

Vi inviamo un resoconto del viaggio appena concluso alla Zastava di
Kragujevac e ad altre realta' in Serbia.
Siamo partiti in macchina da Trieste venerdi' 31 gennaio 2003 a
mezzanotte.La delegazione era formata da 3 persone: Lino in
rappresentanza del coordinamento RSU, Maurizio a nome della
associazione "Il nido del cuculo" di Rimini e Gilberto del gruppo
ZASTAVA Trieste. Le spese di viaggio sono state come al solito
sostenute direttamente dai partecipanti, senza incidere quindi sul
denaro raccolto per le varie iniziative in corso.
Avevamo con noi alcune scatole di regali per famiglie di Kragujevac,
soprattutto provenienti da Brescia.

La prima sosta e' stata a Belgrado, sotto un leggero nevischio, dove
verso le 8 del mattino abbiamo consegnato una ventina di costosissimi
flaconi di chemioterapici e materiale per trapianti di midollo osseo,
dono di un sottoscrittore di Trieste, al reparto di oncologia
pediatrica dell'Ospedale pediatrico "Maiku i Dete" di Belgrado, per un
valore di circa 10.000 euro.
L'incontro con la direttrice del reparto e' stato particolarmente
toccante.
Questa struttura e' pubblica, ma riceve dallo Stato finanziamenti
assolutamente insufficienti per le terapie a cui questi sfortunati
bambini devono essere sottoposti, e le famiglie, di norma poverissime,
dovrebbero supplire con farmaci comprati soprattutto tramite il mercato
nero.
Vi sono casi in cui le terapie costano anche 300 euro al giorno.


Siamo arrivati a Kragujevac verso le 11, senza alcun problema durante
il viaggio, se si eccettua il freddo intenso e una buona quantita' di
ghiaccio sulle strade di Kragujevac. Il pomeriggio del sabato e parte
della domenica sono stati impiegati per la discussione del "progetto
forno" a cui si e' gia' accennato in relazioni precedenti e per
raccogliere ulteriri informazioni sulla situazione occupazionale e
produttiva.

Nel pomeriggio di domenica abbiamo fatto visita a due famiglie, tra le
piu' sfortunate tra quelle che seguiamo.

Inoltre abbiamo discusso con i responsabili dell'ufficio adozioni come
si potra' distribuire nel prossimo viaggio una cifra abbastanza
importante ricevuta dalla provincia di Biella per onorare la memoria di
un operaio ancora giovane improvvisamenete deceduto.

Per quanto riguarda il progetto forno, sono stati identificati i locali
in cui installarlo e definiti gli interventi elettrici, idraulici ed
edili per mettere questi locali in condizione di ricevere questo forno.
Ricordiamo che le potenzialita' di produzione sono di 24 quintali di
pane al giorno.
Si spera quindi di poterlo trasportare da Rimini dove attualmente si
trova a Kragujevac in un futuro assai prossimo.

Il lunedi' mattina siamo partiti per Belgrado; li' abbiamo passato
tutto il pomeriggio in visita all'Istituto per ragazzi con difficolta'
nello sviluppo mentale.
Si tratta di una struttura pubblica che ospita 350 ragazze e ragazzi.
Mancano di tutto.
L'associazione "Il nido del cuculo" aveva gia' preso contatti con loro
a novembre scorso, e aveva gia' portato un carico di vestiario
invernale.
Tra la direzione dell'Istituto e l'associazione riminese e' stata
discussa la continuazione della collaborazione; "Il nido del cuculo"
mettera' a disposizione dell'Istituto un altro forno di panificazione,
piu' piccolo di quello che verra' inviato a Kragujevac; inoltre ha gia'
a disposizione per il laboratorio artigiano dell'Istituto una macchina
professionale per la lavorazione del legno e un gabinetto odontoiatrico
per l'infermeria. Verso aprile inoltre, in una logica di scambio
culturale, si prevede di organizzare una serata musicale con artisti
italiani e serbi, tra cui la No Smoking Band, di Nelle Karajilic; per
intenderci quelli che lavorano alle colonne sonore dei film di Emir
Kusturica.

La sera in centro a Belgrado abbiamo incontrato Nelle Karajilic, che ha
confermato la sua presenza all'iniziativa. L'incontro e' avvenuto nel
grande viale in cui hanno sede le ambasciate e diversi ministeri. Devo
dire che sono rimasto assai impressionato nel vedere i vari palazzi
completamente sventrati che disseminano il viale.
Particolarmente impressionante e' il grande complesso del ministero
della difesa totalmente distrutto, che occupa due angoli di una piazza,
di fronte alla sede del governo.
La notte tra lunedi' e martedi' siamo rientrati a Trieste; in Slovenia
abbiamo incontrato una vera e propia bufera di neve che ci ha
rallentato molto.
Alle 8 del mattino ci siamo salutati.


I resoconti di tutti i viaggi precedenti sono reperibili su diversi
siti.
Il piu' completo e' il sito del coordinamento RSU, all'indirizzo:
http://www.ecn.org/coord.rsu/
seguendo il link Solidarietà con i lavoratori della Jugoslavia:
http://www.ecn.org/coord.rsu/guerra.htm
dove sono anche descritte in dettaglio tutte le iniziative in corso, e
riportati i resoconti anche di altre associazioni.
I resoconti dei viaggi di ottobre e dicembre 2002 sono particolarmente
ricchi di notizie sulla situazione dei lavoratori della Zastava.

Gli stessi resoconti sono presenti anche sul sito del Coordinamento
Nazionale per la Jugoslavia, all'indirizzo:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/messages
che contiene inoltre centinaia di articoli sulla situazione nei Balcani
difficilmente reperibili sulla stampa nazionale.




Le ultime informazioni sulla Zastava.

Ricordiamo innanzitutto che i dati ufficiali affermano che circa i 2/3
della popolazione serba spende meno di 1 euro al giorno pro-capite, e
che un terzo spende meno di mezzo euro al giorno; il 60% della spesa e'
per il cibo. La disoccupazione dilaga ed interessa centinaia di
migliaia di lavoratori, su circa undici milioni e mezzo di abitanti a
cui vanno sommati circa un milione di profughi.

Per quanto riguarda la Zastava si deve segnalare una importante
vittoria del Sindacato. La mensa aziendale, che era stata posta tra le
unita' da privatizzare, e' stata riconosciuta come bene sociale
patrimonio dei lavoratori, e quindi non e' piu' al momento
privatizzabile.

Per quanto riguarda la produzione la previsione per il 2003 segna un
incremento rispetto al 2002, quando si erano prodotte 12.000 vetture.
Sono previste 7.000 automobili con motore Peugeot con rispetto delle
normative anti-inquinamento Euro3 per l'esportazione e circa 20.000 per
il mercato interno, con motore Zastava che attualmente e' a livello
Euro2, e quindi non esportabile.
Cio' ha significato il richiamo di 400 lavoratori dall'ufficio
collocamento della Zastava ZZO (Zastava Zaposljvanje i Obrazovanje);
per intenderci meglio questo ufficio gestisce i lavoratori in cassa
integrazione a zero ore, che percepiscono una indennita' di 50 euro al
mese..
Ricordiamo che al luglio 2001 essi erano 9200; circa 1800 si sono
allontanati ricevendo una cifra di 100 euro per ogni anno di anzianita'
lavorativa; rimangono quindi a zero ore 7.000 lavoratori circa.

Il faccendiere Malcom Brikin, che annuncio' in pompa magna l'acquisto
di Zastava automobili nell'ottobre 2002 ha speso per ora solo parole.
Sembra che abbia promesso di farsi vivo nel prossimo aprile e di voler
conquistare i mercati latino-americani e africani. Sembra che nessuno
creda piu' a questo individuo e ai suoi fantasmagorici piani
industriali.




Conclusioni

Riporto come conclusioni esattamente le frasi gia' scritte nella
relazione di dicembre, in quanto nulla sostanzialmente e' cambiato

La cosa che cambiera' dalla prossima relazione e' che non scrivero'
probabilmente piu' Jugoslavia per identificare la regione del mondo
dove cerchiamo di portare solidarieta' e fratellanza, in quanto anche
questo nome verra' dimenticato e cancellato dalla storia.

La situazione sindacale in Jugoslavia è ovviamente molto problematica.
Oltre alla Zastava sono centinaia le fabbriche bombardate e sono oggi
oltre 600.000 i lavoratori licenziati a causa delle bombe della NATO.
La Classe lavoratrice Jugoslava è quindi oggi in condizioni di
oggettiva debolezza e deve fare i conti con la necessità di una
ricostruzione post-bombardamenti che assume ormai una chiara direttrice
iper-liberista.
Lo Stato, governato da una coalizione di centro destra e fortemente
allettato e subordinato alle promesse di aiuto occidentali, ha lasciato
al libero mercato ogni decisione. Così i prezzi aumentano, le scuole e
la sanità diventano prestazioni disponibili solo per i più ricchi, le
fabbriche, le zone industriali sono all'asta di profittatori
occidentali che comprano tutto a prezzi bassi e ponendo condizioni di
lavoro inaccettabili.


Non possiamo e non dobbiamo lasciare soli, abbandonati e invisibili, i
lavoratori e le lavoratrici jugoslavi e le loro famiglie.
Dobbiamo intensificare i nostri sforzi affinche' giunga a loro la
nostra solidarieta' e fratellanza materiale e politica.

IRAQ: RUGOVA, SE A FAVORE PACE GUERRA PUO' ESSERE MORALE

(ANSA) - TERNI, 13 FEB - ''La guerra e' sempre il mezzo estremo, ma quando e' a favore della pace e non della distruzione, allora puo' essere considerata morale'': lo ha detto il presidente del Kosovo, Ibrahim Rugova, che e' in visita ufficiale a Terni, dove gli sono stati conferiti oggi il premio ''San Valentino un anno d' amore'' e la cittadinanza onoraria. Stamani Rugova ha incontrato un centinaio di studenti delle scuole superiori della citta'. Presenti il vescovo, mons. Vincenzo Paglia, e il sindaco, Paolo Raffaelli. Rispondendo alle domande dei ragazzi, il presidente del Kosovo ha aggiunto che ''oggi per quel che riguarda l' Iraq, il mondo civile sta facendo tutti gli sforzi per evitare la guerra, ma purtroppo questa puo' essere un impegno per evitare che armi pericolose per tutta l' umanita' vengano lasciate nelle mani di persone irresponsabili''. E ha anche paragonato Milosevic e Saddam Hussein: ''Hussein e Milosevic - ha detto - in quanto dittatori si assomigliano. Il problema che si pone il mondo civile e' quello di annullare le potenzialita' dei dittatori, per andare sempre piu' verso la democrazia''. Ad un' altra domanda, Rugova ha risposto: ''Noi kosovari dobbiamo ringraziare Dio per l'intervento della Nato che e' servito a salvare un popolo e una civilta'''. (ANSA). YMT-PE
13/02/2003 15:00

http://www.ansa.it/balcani/kosovo/20030213150032473255.html


---------- Initial Header -----------

From : "Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia" <jugocoord@...>
Date : Mon, 17 Feb 2003 15:30:52 -0000
Subject : [JUGOINFO] Iraq, Jugoslavia, di nuovo Iraq / 9 BIS


CON QUESTA "SINISTRA" LA GUERRA NON LA FERMEREMO MAI...

La posizione del giornalista kosovaro-albanese Veton Surroi -
favorevole ad una aggressione militare USA contro l'Iraq - e' stata
da questi espressa anche in un articolo su "Le Monde" che
riproduciamo di seguito.

Si noti che Surroi e' uno dei leader kosovaro-grandealbanesi dei
quali la "nuova sinistra" occidentale ha tessuto sperticate lodi
negli anni passati. In particolare, la "guru" dei balcanologi di "Le
Monde Diplomatique" Catherine Samary - recentissimamente al centro
di una accesa polemica con Michel Collon attorno a queste questioni -
ha dichiarato che Surroi e' uno di quei kosovaro-albanesi dei quali
ha grande stima, insieme ad Adem Demaci (gia' leader politico dei
tagliagole assassini dell'UCK).

All'indomani delle oceaniche manifestazioni contro la guerra in
tutto il mondo, dobbiamo purtroppo registrare la mancata presa
d'atto di tutte queste incongruenze ed il persistere di una
ipocrita "rimozione" della vicenda jugoslava e "kosovara" in tutta
la "sinistra" non-antimperialista. Se continuiamo ad affidarci a
questa "sinistra" sciovinista filo-occidentale le guerre, stiamone
certi, non le fermeremo mai.

Italo Slavo

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Les tyrans ne tombent que sous les bombes

par Veton Surroi
Le Monde du samedi 15 février

J'étais membre de l'opposition irakienne contre Saddam Hussein
aujourd'hui, je ressentirais ce que j'ai ressenti il y a cinq ans en
écoutant les arguments, émanant surtout des Européens, expliquant
pourquoi il ne fallait pas utiliser la force militaire contre la
Serbie de Slobodan Milosevic.

Les arguments sont similaires dans les deux cas. Dans les deux cas,
ils sont devenus partie intégrante de la tactique pour gagner du
temps avant les bombardements. La litanie est la suivante : "Il faut
donner une chance à la paix." "Les bombes ne peuvent pas apporter la
démocratie." "Une attaque militaire menacerait la stabilité de la
région." "Les Etats-Unis utilisent la puissance militaire pour
établir leur domination."
Tous ces arguments se sont révélés faux dans le cas du Kosovo.

Dans ce cas, le désir européen de gagner du temps n'a pas tenu
longtemps. Milosevic n'a pas saisi la dernière chance d'un accord de
paix lors des négociations de Rambouillet, et la France et
l'Allemagne ont été contraintes de rejoindre l'alliance américano-
britannique, très déterminée, pour faire cesser le génocide au
Kosovo.
Bien que, grâce aux négociations parrainées par l'Europe, il y ait
eu une chance de paix, Milosevic s'est servi de ces discussions pour
consolider sa position au Kosovo. Finalement, seul le bombardement
de la Serbie de Milosevic a arrêté le génocide des Kosovars, inversé
le processus de nettoyage ethnique et permis le retour chez eux de
près de 1 million de réfugiés.

Les bombes seules, naturellement, n'ont pas amené la démocratie, mais
elles étaient une condition préalable : le Kosovo a eu l'occasion,
pour la première fois dans son histoire, de mettre en place des
institutions démocratiques.
La débâcle qu'a apportée la pluie de bombes de l'OTAN sur la Serbie
a été le début de la fin pour Milosevic. Aujourd'hui, la Serbie
construit péniblement et patiemment un état démocratique.

Les Etats-Unis n'ont pas établi leur domination. En fait, ils ont
plus ou moins laissé la zone sous la responsabilité de l'Union
européenne et des Nations unies par le biais de leur protectorat au
Kosovo.

Comment la situation d'alors est-elle comparable avec la période
préparatoire qui précède une éventuelle guerre contre l'Irak ? Les
raisons majeures pour s'opposer à la guerre contre l'Irak ont changé
au fil des semaines.
D'abord, les principales autorités européennes ont insisté sur le
fait qu'elles s'opposeraient à une action unilatérale américaine et
demanderaient l'aval des Nations unies. Maintenant que la résolution
1441 du Conseil de sécurité, approuvée par les Européens, autorise
de facto toute action nécessaire contre le régime de Saddam Hussein,
elles soulèvent d'autres arguments allant de "il n'y a pas de
preuves" à "on ne peut pas bombarder tous les régimes qu'on n'aime
pas" ou "toute cette affaire revient au fait que l'Amérique veut
avoir la mainmise sur les gisements de pétrole irakiens".
Mon expérience au Kosovo avec Milosevic laisse penser que l'argument
devrait être retourné : quelqu'un espère-t-il avec réalisme que
Saddam Hussein quittera le pouvoir de son plein gré ou par un
processus électoral démocratique ? S'il n'abandonne pas le pouvoir
de l'une de ces deux manières, existe-t-il une autre façon d'arrêter
le mal qu'il inflige, en particulier à son propre peuple ? Saddam
Hussein est un tyran et constitue une menace contre la loi
humanitaire internationale, la stabilité de la région et la paix
mondiale au même titre que Milosevic. Pourtant, alors que le boucher
des Balkans est jugé pour crimes contre l'humanité à La Haye, on
accorde le bénéfice du doute au tyran de Bagdad.

C'est là que la guerre entre en jeu. La plus terrible des activités
humaines, la guerre, est sur le point de commencer. Si mon
expérience peut servir de guide, cette guerre abattra malgré tout le
régime de Saddam et créera les conditions d'une démocratie pour le
peuple irakien. Saddam étant du même acabit que Milosevic, nous
savons une chose sur eux : seule une pluie de bombes leur fera
lâcher leur emprise sur le pouvoir.

Quand cela se sera produit, de nouvelles questions émergeront
néanmoins.
Qu'arrivera-t-il dans l'Irak de l'après-Saddam ? Quelle sera la
nature de l'autorité internationale ? Quel genre de transition vers
la démocratie peut se faire dans un Irak souverain ? Et comment ce
genre d'autorité va-t-il affecter l'équilibre régional des Etats
voisins qui ne sont pas des démocraties, mais des retombées de la
fin de l'Empire ottoman ainsi que de la pax britannica ?

Si j'étais membre de l'opposition irakienne, ou encore une partie
concernée appartenant à l'Occident ou à la région, je commencerais
alors à m'inquiéter.
Au cours des derniers mois, un débat a eu lieu sur l'opportunité de
faire la guerre contre Saddam. Il est désormais clos pour
l'essentiel, car les forces présentes sur le théâtre des opérations
ont atteint un point de non-retour.

Je sais par mon expérience au Kosovo que les lendemains arrivent
beaucoup plus tôt qu'on ne les attend. L'opposition doit être prête
à embrasser la cause pour laquelle la bataille a été gagnée.

Le monde doit se rappeler comment la guerre au Kosovo s'est déroulée
et comment les peurs sans fondement qui inquiétaient tant les
Européens ne se sont jamais matérialisées. Il doit tirer la leçon du
cas Milosevic : il faut une puissance militaire pour renverser les
tyrans lorsque tout, y compris les négociations ou les inspections,
a échoué. Le changement ne viendra que lorsque les bombes
commenceront à pleuvoir.


Veton Surroi est rédacteur en chef et éditeur de Koha Ditore au
Kosovo.


--- In crj-mailinglist@...., "Coord. Naz. per la
Jugoslavia" ha scritto:

Iraq, Jugoslavia, di nuovo Iraq / 9: Kosovaro-albanesi al fianco
degli USA contro l'Iraq

Il noto "giornalista indipendente" albanese-kosovaro Veton Surroi -
uno di quelli legati al carrozzone dei media jugoslavi antiMilosevic
stipendiati dalla CIA attraverso la Fondazione Soros e presentati in
Italia come simboli della "lotta per la democrazia" - ha dichiarato
recentemente tutto il suo appoggio agli USA in caso di aggressione
all'Iraq. Sull'"International Herald Tribune" Surroi ha fatto un
parallelo esplicito tra l'intervento "umanitario" del 1999, che
avrebbe "fermato il genocidio in atto nella Kossova", ed il
paventato intervento USA contro l'Iraq.

http://www.rferl.org/newsline/2003/02/4-SEE/see-110203.asp

Radio Free Europe/Radio Liberty
February 11, 2003

KOSOVAR LEADER CALLS FOR MILITARY STRIKE ON IRAQ

Veton Surroi, who is Kosova's best-known journalist
and a highly respected political figure, wrote in the
"International Herald Tribune" of 11 February that the
current Western debate on Iraq reminds him of the
discussion regarding Kosova at the start of 1999.
Surroi argues that "though peace was given a chance
through European-sponsored negotiations, [President
Slobodan] Milosevic only used those talks to entrench
his position in Kosova. In the end, it was only the
bombing of Serbia that stopped genocide of Kosovars
and ultimately allowed the return of almost a million
refugees to their homes." He added that "since Saddam
is of the same ilk as Milosevic, we know something
about them both: Only falling bombs will shake them
from their hold on power.... I know from my experience
in Kosova that the day after comes far earlier than
you expected. The [Iraqi] opposition must be prepared
to take up the cause for which the battle was won."
Surroi concluded, "The world ought to recall how the
war for Kosova unfolded and how Europe's unfounded
fears never materialized. One should remember from the
case of Milosevic that it takes military might to
topple tyrants, after everything else has failed." PM

--- Fine messaggio inoltrato ---



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--- In Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli., "Miroslav Antic" wrote:

<http://www.freerepublic.com/focus/news/841600/posts>

NATO Split Opens Window for Tensions in Kosovo
STRATFOR


NATO Split Opens Window for Tensions in Kosovo
Feb 12, 2003



Serbian authorities put police and army units patrolling the border
with Kosovo on a state of alert Feb. 12. Belgrade said the move was
in response to reports claiming that "terrorists" in Kosovo are
planning to move into southern Serbia, and it follows the recent
arrests of seven ethnic Albanians in that area.

However, Serbia's order is more likely a politically motivated
response to the Kosovar parliament debate over a sovereignty and
independence declaration during the past week. The declaration
reportedly has the support of at least one-third of parliament
members. Although the assembly speaker took the motion off the
parliamentary agenda Feb. 12, sources told Belgrade's Radio B92 that
it could be put back on very soon.

As the motion was being debated, Serbian Prime Minister Zoran
Djindjic said that his country's forces should return to Kosovo. But
that possibility was discounted as unworkable by Fabio Mini,
commander of KFOR, the NATO-led international force responsible for
establishing and maintaining security in Kosovo.

The growing tension between Serbia and Kosovo coincides with a
widening split within the NATO alliance and inside the U.N. Security
Council over Iraq. With NATO and the United Nations distracted and
divided, Albanian nationalists in Kosovo and perhaps Macedonia -- as
well as the government in Serbia -- have an opportunity to make
incremental gains in their positions. Both sides are also patient,
however, so the tensions are unlikely to break out into conflict
soon. Nevertheless, they will create an unneeded distraction for
Europe on its southern flank.

--- End forwarded message ---

---------- Initial Header -----------

From : "Maurizio Dotti"
Date : Mon, 17 Feb 2003 12:55:26 +0100
Subject : Vespa su Foibe e Porzûs

Vespa su Foibe e Porzûs


ROMA - Dell'esodo degli italiani costretti a lasciare l'Istria e la Dalmazia, del dramma delle foibe, della strage di Porzûs si parla a «Porta a porta» in onda oggi, alle 23.30, su Raiuno. Nel corso della trasmissione si parlerà, inoltre, della crisi irachena all'indomani della riunione Nato a Bruxelles. Tra gli ospiti di Bruno Vespa: Gianfranco Fini, Luciano Violante, Arrigo Petacco, Ottavio Missoni e Abdon Pamich.

IL PICCOLO

http://www.dedefensa.org/article.php?art_id=96

(...2/2)

Comment les « Top Guns de la communication » sont arrivés à
Bruxelles pour sauver la campagne

Certes, l'OTAN/Shea n'était pas prête. La raison est très simple :
l'OTAN tant vantée, qu'on embrasse constamment pour mieux la tenir
enfermée, est un fameux bouc-émissaire. Quand les choses vont mal,
comme à Evere-Kosovo au printemps 1999, tout le monde dira en finale
que c'est de la faute de l'OTAN. La malheureuse OTAN n'a rien
d'autre à faire qu'à subir, car elle n'a pas les moyens de faire
autre chose. Dans la logique de cette situation, tous les membres
qui ne cessent de lui tresser des lauriers lui mesurent chichement
ses moyens. Il faut voir l'ébahissement du poids lourd (au moins un
quintal) Joe Lockhardt, porte-parole de Clinton, lorsqu'il
rapporte : « J'ai 30 personnes qui travaille dans mon groupe
[services du porte-parole], ici, à la Maison-Blanche. Alors, j'ai
été choqué d'apprendre que Jamie Shea n'avait que 4 ou 5
personnes ... » [Cette position initiale de Shea est d'une
importance fondamentale. C'est à cause de ces difficultés initiales
que le porte-parole de l'OTAN s'empara du thème du "génocide" dès
que les premiers réfugiés se précipitèrent sur les routes du Kosovo.
Cette idée de génocide, totalement outrancière, absolument démentie
par les constats que l'on fit ensuite, allait influencer la
stratégie, la politique, obliger à certaines décisions, amener à
accroître décisivement certains soutiens (à l'UCK notamment) et
finalement installer la situation si dommageable qui a suivi la
guerre et dont on subit les conséquences aujourd'hui.], Vis-à-vis
des militaires du quartier-général SHAPE — c'est-à-dire vis-à-vis
des Américains — Shea et l'OTAN ne sont pas mieux lotis. Ainsi le
porte-parole de l'OTAN apprend-il en regardant la télévision de
Milosevic, au 21e jour de l'offensive, qu'il y a eu une "bavure"
majeure de l'OTAN (le train attaqué sur un pont). Il s'informe
auprès de SHAPE, pour obtenir, après beaucoup de réticences, une
confirmation partielle ; puis, un peu plus tard, un document
prétendument décisif (un film dans un cockpit d'avion américain) qui
s'avérera être un faux. Même désordre, mêmes réticences des
militaires pour la deuxième bavure majeure (un convoi de Kosovars
attaqué par erreur). Shea est en grande difficulté. Il l'est à cause
du système lui-même, qui se sert de l'OTAN mais ne ménage pas les
chausse-trappes à l'Organisation. C'est alors qu'on décide de
renforcer Shea. Les termes employés sont martiaux, comme si nous
étions sur le théâtre des opérations : « Tony Blair et Bill Clinton
décident d'envoyer des renforts à Bruxelles » Et le commentateur de
Canal +, suivant le chemin tracé, commente : « En 48 heures, trente
Top Guns de la communication débarquent à Bruxelles ». Bref, Evere,
c'est là que tout se passe, c'est là qu'on fait la guerre. Mais,
certes, c'est une guerre très particulière. Le commentateur de Canal
+ observe que « pour Allistair Campbell, une bonne image vaut mieux
que toute action politique ». Allistair Campbell, conseiller en
communication de Tony Blair, est en effet déplacé à la tête des «
Top Guns de la Communication ». Plus tard, en juillet, Campbell
expliquera, résumant parfaitement l'enjeu d'Evere contre l'enjeu du
Kosovo, que la bataille pour le Kosovo était gagnée d'avance, et que
la vraie bataille, la plus indécise, c'était celle qui se livrait
pour les esprits et les coeurs des citoyens des pays occidentaux
engagés dans la guerre, pour ou contre la guerre. Le document nous
montre aussitôt les spin doctors. Il faut faire court, — des phrases
courtes, des phrases-chocs, que Shea est prié de lâcher durant sa
conférence de presse ; un thème chaque jour, si possible simple,
frappant, bouleversant, avec un peu de folie sadique (des viols
collectifs, des Kosovars forcés de donner leur sang). Un conseiller
de Clinton, Jonathan Price, expédié sur place (à Bruxelles) : «
Trouver le mot juste, qualifier ces exactions, constamment diriger
les journalistes vers ces sujets, exposer ces faits du mieux que
nous pouvions alors que nous n'étions pas sur le terrain. » Et la
réalité ? Le commentateur de Canal : « Ces affirmations sont basées
sur des témoignages de réfugiés, invérifiables, elles ne seront
jamais confirmées. » Aujourd'hui, bien entendu, la réalité est à peu
près connue. On sait que ces rêcits relevèrent pour l'essentiel du
phantasme, de la rumeur, de l'erreur humaine et ainsi de suite. Mais
seul compte l'instant et ce qui est dit dans l'instant, et l'effet
obtenu dans l'instant. « Les vendeurs de guerre ont réussi leur
coup », explique le commentateur. Le mot de la fin, sur ces
activités et sur les techniques employées, on le tient de Jamie
Rubin, porte-parole d'Albright. Il est interrogé sur le résultat des
frappes au Kosovo : 14 chars détruits confirmés, alors qu'on en
avait annoncé plus de 100, peut-être 150. Constat intéressant :
Rubin ne nie pas (au contraire du Pentagone, par exemple) que le
véritable "score" soit de 14 chars détruits. Et alors ? Semble-t-il
dire. Il conclut : « But it works ! » Autrement dit : les gens ont
marché, ils y ont cru, l'affaire est bouclée. Le maître-mot de
Rubin, c'est « créativité » : les spin doctors doivent en montrer,
tout comme les journalistes eux-mêmes. Nous ne sommes plus dans le
monde de l'information (journalistes), nous sommes dans le monde
des "créateurs d'événements" (publicitaires). Dans son livre Dans
les griffes des humanistes, Stanko Gerovic, dissident serbe et
journaliste à Radio France International, remarque : « Les médias
occidentaux savent désormais si habilement occulter la réalité
qu'ils créent l'illusion qu'on peut mener une politique tout en la
niant. » Gerovic nous rappelle opportunément que les spin doctors ne
sont pas seuls. La situation n'est pas si simple qu'elle le serait
s'il s'agissait simplement de propagande, avec le rapport du fort
(l'État autoritaire) au faible (la presse aux ordres). « C'est bien
plus subtil que de la propagande », disait-on plus haut ; nous
nuancerions : c'est bien plus compliqué que de la propagande.

Tentative de dissection et d'anatomie de la campagne stratégique de
la "guerre d'Evere"

Comment peut-on synthétiser et classifier l'analyse de cette période
de la "guerre d'Evere", au travers du documentaire que nous avons
détaillé ? Nous avons déterminé trois tendances, trois attitudes
différentes et complémentaires, et l'ensemble devrait effectivement
tracer le tableau dans lequel les événements d'Evere ont évolué. Ces
trois attitudes sont les suivantes :


Le front et l'arrière.

L'indifférence pour la réalité : cloisonnement et professionnalisme.

L'esprit critique dans les bornes du conformisme. Le premier point
est la question du front et de l'arrière. Lors de la Grande Guerre,
à cause de la stratégie d'un front quasiment immobile avec ses
tranchées, la distinction et l'identification entre le front et
l'arrière pouvait aisément être faite et c'est de ce temps-là que
date la distinction. Dans le cas de la guerre du Kosovo, on reprend
cette distinction, mais en l'inversant. Allistair Campbell nous le
laisse clairement entendre lorsqu'il dit, en juillet 1999, que la
guerre que menait l'OTAN au Kosovo ne pouvait être perdue, qu'en un
sens elle était jouée d'avance, presque comme s'il eût été inutile
de la faire, parce que la puissance de l'OTAN ne pouvait évidemment
souffrir le moindre soupçon de défaite face à la Serbie ; que la
vraie guerre, finalement, c'est bien la "guerre d'Evere". Ainsi le
front s'est-il déplacé à Evere, et l'"arrière" de la guerre, c'est
le Kosovo. Il y a une transformation psychologique remarquable qui a
certainement contribué à donner à ce conflit cette impression
d'irréalité si remarquable. La décision extraordinaire pour les
alliés de tout faire pour éviter la moindre victime du côté allié,
la tactique du zéro-mort, participe également à cette démarche :
cette décision a évidemment pour but de renforcer, dans la "guerre
d'Evere", le parti des spin doctors. Ce phénomène est marqué dans le
documentaire de Canal +, notamment dans les commentaires qui
l'accompagnent. Il est éclatant dans le tournant de cette "guerre
d'Evere", lorsque le commentateur décrit comme pathétique l'état de
la communication de l'OTAN et annonce la décision du "haut
commandement" de la guerre de la communication : « Tony Blair et
Bill Clinton décident d'envoyer des renforts à Bruxelles. » Les
termes sont complètement militaires, dans ce cas comme dans nombre
d'occasions (les « Top Guns de la communication »), et c'est
d'ailleurs dans la logique de la démarche constante des milieux de
la communication, qui raisonnent effectivement en termes militaires
(la "stratégie" d'une "campagne" publicitaire). La guerre au Kosovo
devient secondaire. Elle tend à prendre une place annexe, une place
complémentaire. On en vient à se demander s'il s'agit vraiment de la
guerre. On en vient à s'interroger, comme le poilu de 1914 dans sa
tranchée, qui s'interrogeait plutôt sarcastiquement : « tiend- ront-
ils ? » C'est-à-dire, transcrit en termes militaires : effectueront-
ils leurs missions selon ce qu'on en attend, zéro-mort du côté
allié, pas de "bavures" médiatiquement désastreuses (c'est-à-dire,
pas d'incidents collatéraux avec présence de la TV pour en faire la
publicité ; on ne parle pas ici en termes humanitaires, pour éviter
trop de pertes à l'adversaires ; on parle en termes d'efficacité et
d'image : il ne faut pas d'incidents médiatisés allant contre le
plan prévu). Ce phénomène qui transporte le front à l'arrière et
fait du front l'arrière, entraîne sur le nouveau "front", à Evere,
l'esprit même de la guerre en train d'être menée, et c'est l'esprit
absolument, totalement partisan, on dirait même : l'esprit
vitalement partisan (quand on doit gagner une guerre, on se trouve
devant une fonction vitale). Il s'ensuit le deuxième point, qui est
l'indifférence totale pour la réalité, ce qui fait en général le
principal matériel pour déterminer la vérité : la recherche de la
vérité, démarche nécessairement objective, n'a pas sa place
puisqu'on est par nature partisan. Il n'y a pas là, en aucune façon,
la moindre détermination, le moindre plan, encore moins, le moindre
machiavélisme (on n'est pas contre la réalité/la vérité, on y est
indifférent). Il n'est d'ailleurs plus question du fond (qui a
raison ? Que nous enseignent les informations venues de la guerre ?
Pourquoi cette guerre ? Est-ce la bonne façon de faire cette
guerre ? Et ainsi de suite). Il n'est plus question que des moyens,
de la méthode, du "comment" : comment faire passer ce message,
comment illustrer le plus favorablement ce que fait l'OTAN (pour les
spin doctors) ; comment débusquer l'erreur de la communication,
comment prendre le porte-parole en flagrant délit d'approximation
(pour les journalistes). L'enquête habituelle, le constat et le
rapport de la réalité, le commentaire qu'on en fait, qui sont les
activités habituelles du journaliste, sont remplacés par le
professionnalisme et le cloisonnement du travail : il s'agit, pour
les journalistes, de surveiller le travail des spin doctors et
éventuellement de les prendre en flagrant délit de faiblesse
professionnelle (comment ils ne sont pas assez convaincants, comment
il ne nous vendent pas assez bien leur salade, etc) ; il s'agit de
s'attacher à chaque détail du jour, celui que nous servent les spin
doctors, et de jauger leur professionnalisme dans ce cadre. Il y a
longtemps que la réalité du monde (de la guerre) n'est plus le
problème central, naturellement, et si on la rencontre, c'est
accidentellement, "professionnellement". Ainsi distingue-t-on déjà
le troisième point parce qu'il est inévitable, et il est essentiel, —
car, finalement, c'est ce qui distingue la guerre du Golfe de la
guerre du Kosovo : la complicité des journalistes. En s'installant à
Evere, les journalistes ont accepté les règles des spin doctors,
c'est-à-dire les règles du conformisme, nullement en témoins trompés
mais en acteurs complices. Ils suivent la performance de Shea avec
le coup d'oeil professionnel, plutôt critique (« Jamie est un
universitaire », s'exclame Rozensweig, et cela dit tout, notamment
le manque de souplesse et de vigueur de Shea) ; ils apprécient les
performances des nouveaux-venus, les spin doctors de la bande à
Campbell, qui leur vendent enfin la salade qu'ils attendent, et ils
la vendent, comme on dit, et le terme est bienvenu, — sans bavures.
Lorsqu'un journaliste (anglais, sans aucun doute, pour avoir ce ton
péremptoire) s'adresse à Jamie Shea pour lui dire (c'est au moment
de la deuxième bavure, celle du 23e jour de l'offensive, celle du
convoi kosovar attaqué par erreur) : « Désolé Jamie, mais, cette
fois, vous ne vous en tirerez pas comme ça. Nous comprenons que vous
vouliez laisser cela, cet échec, derrière vous, mais il n'y a qu'un
moyen : nous dire tout ce que vous savez. » (Le paradoxe tragi-
comique est que Shea ne sait rien, les militaires de SHAPE jouant le
jeu de leur côté.) En fait, on a moins l'impression d'un enquêteur à
la recherche de la réalité d'un point particulier pour parvenir à la
vérité générale, que d'un censeur (de lycée) réprimandant l'acteur
(l'élève) qui a laissé la pièce transgresser ses rêgles (c'est la
bavure), et ainsi déranger l'agencement général. La dénonciation de
la bavure ne sert en aucun cas à établir (rétablir) une réalité au
service de la vérité, elle sert à rappeler les règles qui régissent
l'appréciation conformiste du monde à laquelle les journalistes sont
totalement, professionnellement, et, l'on dirait encore plus,
moralement partie prenante. Les journalistes sont, encore plus que
les spin doctors, les principaux combattants de cette "guerre
d'Evere". Au contraire de la guerre du Golfe où ils avaient été
manipulés, ils ont été, en cette occurence, du côté des tireurs de
ficelle.
Conclusion : comment, finalement, il s'agit des mêmes Bouvard et
Pécuchet at war

Maintenant (en guise de conclusion disons), il s'agit d'être
sérieux. Lorsque le commentateur très style-Canal, voix métallique,
banalités péremptoires, commente l'arrivée de Tony Blair à l'OTAN,
Tony venu « remettre de l'ordre dans la communication de l'OTAN »,
il faut finalement en arriver à se pincer. Ainsi, on devrait
réaliser où l'on est et de quoi l'on parle, et ce qui est dit. Le
présentateur-Canal nous parle et nous présente les choses en termes
pompeux, enthousiastes et sourcilleux, c'est selon, comme s'il
décrivait le comportement de Napoleon à Austerlitz, — c'est-à-dire,
que l'on aime ou pas Napoléon, le comportement du génie stratégique.
Dans le cas de Blair et compagnie, c'est au niveau de la parole
qu'on nous invite à reconnaître ce qui semble un comportement
assimilable au génie stratégique de Napoléon à Austerlitz.
Justement, il y a les paroles, c'est-à-dire le contenu. Ce que nous
dit Blair, finalement, c'est le mensonge plus court, plus
péremptoire en un sens (voilà ce que nous montre le documentaire,
tous comptes faits). Du coup, le regard plus clair, l'on comprend à
qui l'on a à faire. (L'on se prend à noter que Campbell pourrait
aussi conseiller à Blair, pendant qu'il y est, de changer, et de
tailleur, et de chemisier et de coiffeur). Alors, quel est le gênie
de Blair ? Le mentir-court, le mentir-Fleet Street ? Il ment plus
court que les autres, donc il distance les autres ? (Et le plus
fort, et cela situe l'esprit de nos dirigeants et la confusion où
ils évoluent, notre certitude est que, lorsqu'il parle et qu'il est
emporté par l'atmosphère, Blair ne doit pas se voir mentir, il a
l'impression de parler vrai. « Our cause is just » : effectivement,
une phrase si courte ne laisse guère de place au mensonge.) Pour
autant, le lieu commun reste le lieu commun. Nous dire que « our
cause is just » et que « nous faisons cette guerre et nous allons la
gagner » (Blair dixit), cela n'a pas vraiment de quoi bouleverser,
et cela ne distingue pas de façon décisive notre époque de celles
qui ont précédé ; un truc comme « la route du fer est coupé », ou
bien « nous gagnerons parce que nous sommes les plus forts », ou
bien encore « la mobilisation n'est pas la guerre », aurait eu
certainement sa place à Evere. Non, ce qui nous inquiète, c'est que
ces 400, 500 journalistes écoutent cela, presque religieusement, et
semblent y croire, et y croient finalement, et, un an ou deux ans
plus tard, vous font des émissions qu'ils ponctuent d'un : «
chapeau », ou d'un : « Bien joué ». Nous allons devoir vivre avec ce
doute formi- dable concernant cette profession si importante des
journalistes. Nous devons aussi nous rassurer. Finalement, la guerre
d'Evere n'a pas été une intense machination, une formidable machine
de désinformation, une incroyable campagne de propagande subtile, «
quelque chose de bien plus subtil que la propagande », non. Ces
explications sont plus accessoires qu'on croit, même si elles ont
leur place et si l'on doit en tenir compte. C'était simplement la
traditionnelle, l'habituelle, la lourde et légère à la fois, la
sottise bien-connue, multipliée par les moyens fantastiques de la
technologie et de la communication. C'était « Bouvard and Pécuchet
at war », mais en moins bourgeois, en moins flaubérien, en plus high
tech, plus hip hop. Rassurez-vous, c'est toujours Bouvard et
Pécuchet. Il y a quelque chose comme la constance et la continuité
de la tradition.


(1) Nous avons donné un nom à ce phénomène, que nous tendons à
considérer comme une sorte de doctrine, d'idéologie : le
virtualisme. (Voir Analyse, Volume 15, n°01, du 10 septembre 1999.)



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