Bianca Bracci Torsi

Rendiamo omaggio a una compagna che ci ha voluto bene... Ciao Bianca!

 


 

Roma. E' morta Bianca Bracci Torsi, partigiana e comunista (di Redazione Contropiano - Lunedì, 15 Dicembre 2014)

E' morta domenica sera a Roma la compagna Bianca Bracci Torsi, ex partigiana e dirigente politica prima nel Pci e poi nel Prc. Bianca è stata una presenza costante in questi anni anche tra i compagni più giovani, per dare continuità alla memoria storica dell'antifascismo. Ma Bianca era anche una compagna che non faceva sconti sulla politica. Non era una figura consolatoria di una ex partigiana ma un dirigente politico, fino all'ultimo. Chi l'ha conosciuta non può dimenticarla. La camera ardente per Bianca si terrà oggi, lunedi, in via Flaminia 53 a Roma dalle 17.00 alle 23.00. I funerali si svolgeranno invece martedi al tempietto egizio nel cimitero del Verano alle ore 10.00.
I compagni e gli antifascisti romani salutano la compagna Bianca Bracci Torsi, la Rete dei Comunisti invia un abbraccio al figlio Marco.



La Recensione di Bianca Bracci Torsi al nostro libro "I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana" sulla rivista "Essere Comunisti" (giugno 2011)

da sinistra: A. Martocchia (autore), B. Bracci Torsi (ANPI Roma), Giacomo Scotti (autore), Claudio Del Bello (editore). Roma, libreria Odradek, 18 maggio 2011

Alla presentazione de "I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana", Roma, libreria Odradek, 18 maggio 2011, da sinistra: A. Martocchia (autore), Bianca Bracci Torsi (ANPI Roma), Giacomo Scotti (autore), Claudio Del Bello (editore).

 

Alla presentazione de "I partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana", Roma, BiblioTrulloTeca, 2 marzo 2013, da sinistra: G. Scotti, S. Bartolini, Bianca Bracci Torsi, A. Martocchia.

 



VIDEO: Le Letture resistenti di marx21: "A te, mia Dolores. Nella tempesta della guerra col fucile e lo stetoscopio"
Bianca Bracci Torsi, della Direzione nazionale del PRC, ci parla del libro "A te, mia Dolores. Nella tempesta della guerra con il fucile e lo stetoscopio" di Saša Božovic (a cura di Giacomo Scotti, ed. ODRADEK): un diario-racconto dall'aprile 1941 all'estate 1945 di una donna che ha avuto il coraggio di diventare una partigiana, combattendo al fianco dei comunisti jugoslavi, dalle piazze di Belgrado alle montagne del Montenegro, della Lika, della Bosnia e dell'Erzegovina.

VIDEO: Alla presentazione di "Eugenio Curiel", di Gianni Fresu
Roma, Lunedì 2 Dicembre 2013. Presentazione del libro di Gianni Fresu: "Eugenio Curiel": ne discutono insieme all'autore Bianca Bracci Torsi e Aldo Tortorella.

 


"Mio padre mi fece interrompere l'università perché non voleva pagare gli studi a una comunista". Bianca si racconta



In questa intervista Bianca Bracci Torsi racconta un pezzo importante della sua vita: la resistenza, le prime esperienze politiche, la scelta di andar via di casa giovanissima e . L'intervista è del febbraio 2013. Autore: Alex Höbel.

Hai spesso ironizzato sulla tua partecipazione alla Resistenza: essendo giovanissima, hai potuto fare “soltanto” la staffetta. Che cosa rimane oggi del patrimonio dell’antifascismo?

Rimane poco perché è stato trascurato, le scuole ne parlano poco, deve esserci qualche insegnante ben informato e convinto perché altrimenti non passa; però io ho notato nelle scuole un cambiamento deciso; parlo di scuole superiori: c’è un nuovo antifascismo che nasce, ai giovani bisogna spiegare innanzitutto il fascismo per poi arrivare all’antifascismo. Oggi il problema è ancora vivo, basta pensare a Grillo, ai suoi atteggiamenti: dice “le fabbriche a chi lavora”, ma senza i sindacati: è la proposta di Mussolini del ’27, non ci sono più i contratti nazionali, il sindacato è uno solo e “si risolve” fabbrica per fabbrica. Per le scuole era lo stesso, c’erano le scuole differenziali, e anche oggi per i bambini disadattati o u po’ troppo vivaci si ricomincia a pensare alle scuole differenziali. E così per la sanità: quando ero giovane, chi andava all’ospedale andava a morire, mentre i ricchi andavano in clinica. Quindi spiegare che il fascismo può tornare, in forme nuove, è importante. Ricordiamoci che Mussolini fece tagliare i salari dei lavoratori, c’era la libertà di licenziamento: non è quello che si propone oggi? Marchionne ha studiato bene le leggi sul lavoro di Mussolini, in primo luogo bisognava tenere conto delle “necessità dell’azienda”. Quindi oggi lavorare su questo è importante. A Roma ormai i fascisti sono stati respinti dalle scuole e anche dai cortei studenteschi, il clima è cambiato. Io credo che oggi tra i giovani e giovanissimi l’antifascismo è tornato a essere un discrimine importante: sono ragazzini ma hanno ben chiara l’importanza di questo aspetto. Hanno imparato nella pratica che cosa sono i fascisti. A questo punto puoi parlare loro della Resistenza e fare la battaglia contro il revisionismo storico che mette sullo stesso piano i partigiani e i repubblichini: certo in guerra si spara da entrambe le parti, ma c’è una bella differenza tra chi combatteva per far tornare la democrazia e chi lottava per lasciare le cose com’erano, far sopravvivere il fascismo e prolungare la tremenda occupazione nazista, con le sue torture, i suoi massacri. Quelli che facevano parte delle SS avevano tre specializzazioni: quelli che sparavano in testa, quelli che sparavano al petto e quelli che colpivano i bambini con le madri. Ma in molti casi i loro complici erano italiani, i fascisti che paese per paese indicavano quali erano gli antifascisti che dovevano prendere, e quelli presi sarebbero stati fucilati. Sono cose tremende, per cui è inutile cercare di cancellarle. C’è una frase di Dimitrov molto bella: “Non esistono popoli barbari, ma popoli imbarbariti: dove c’è il fascismo i popoli si imbarbariscono”.


Ti eri licenziata dall’azienda paterna perché non volevi smettere di difendere i lavoratori e promuovere lotte assieme a loro. Dopo qualche tempo ti sei trasferita a Roma, dove hai lavorato per molti anni come giornalista a Paese Sera. Puoi dirci qualcosa di questa esperienza?

B: Mio padre mi fece interrompere l’università perché “non voleva pagare gli studi a una comunista”. Dovendo andare a lavorare, andai in fabbrica da lui e cominciai a fare le lotte assieme ai lavoratori, mi ricordo che le donne che si sposavano venivano licenziate e questa era una cosa assurda. Allora dissi loro che la cosa migliore era aspettare di essere incinte per sposarsi perché così non potevano essere licenziate. Mio padre mi disse che era mia la colpa se queste donne sarebbero state dannate… Alla fine me ne sono andata. Sono arrivata a Roma a 21 anni, anche perché da minorenne non potevo andare a vivere col mio fidanzato. Sono venuta a Roma nel ’52, ho fatto vari lavori e poi sono andata a Paese Sera. Qui ho fatto tutta la trafila, facendo intanto anche altri lavori. E a Paese Sera ho fatto molte cose, ho lavorato tanto sulle borgate e i loro problemi e poi sulla cronaca nera: una cronaca che però era sempre molto legata al sociale: c’erano i figli venduti, le ragazze recluse dalla monache, e io riuscii a parlare con diverse di loro che mi raccontarono le loro storie: erano ragazze irrequiete con famiglie difficili, e spesso erano proprio le famiglie a chiuderle lì. Cominciai a pubblicare queste cose e le suore organizzarono subito una veglia di preghiera perché mi venisse un cancro per punirmi. E molte altre cose di questo tipo: ho seguito le vicende dei dormitori pubblici, e poi la storia di questo ragazzo su cui Pasolini ha fatto un film, che muore in carcere, sul letto di contenzione, morto per una polmonite. Erano inchieste fatte dal vivo, belle, con quelli che uscivano dal carcere ecc.; poi cominciarono a essere loro a rivolgersi al giornale per raccontare le loro storie. Poi ho lavorato al supplemento libri di Paese Sera il primo in Italia. Intanto facevo politica nella zona di Subiaco-Arsoli, una zona dove c’erano tre conventi che avevano anche la proprietà dei territori. Ci fu la legge per la divisione dei prodotti, e il clero iniziò a protestare perché si toglieva l’olio alle madonne, e anche lì facemmo un gran lavoro, andando sulle montagne coi carabinieri a far applicare la nuova legge; ma poi i carabinieri non vennero più, ci andavo da sola. Furono cose molto belle, come i comizi nei paesi, mi sono anche molto divertita. Poi non ce la feci più a reggere questi ritmi, a fare questo doppio lavoro, e allora diventai funzionaria del Partito: guadagno un po’ meno, ma posso fare meglio il lavoro politico. Così lavorai prima agli Amici dell’Unità con Pajetta, come tutti sanno un carattere terribile: però aveva un grande pregio, che chi lavorava e non aveva paura di lui, stabiliva un rapporto tranquillo, senza nessun problema. Poi passai alla Commissione femminile, su richiesta di Adriana Seroni che aveva bisogno di un aiuto per le regioni meridionali, che io avevo già seguito per gli Amici dell’Unità. E anche negli anni successivi ho conservato un legame molto stretto col meridione d’Italia. Poi a un certo punto sono cominciati i problemi. Sono cominciati dagli attacchi mossi a Natta, un grande compagno, che però sbagliò a obbedire al diktat di dare le dimissioni che gli avevano posto Occhetto e gli altri. E da lì è cominciata tutta la storia… Io ero d’accordo con Cossutta, ma ero frenata dal rifiuto delle correnti organizzate.

Facciamo un salto di qualche anno. Nel 1991, di fronte alla maggioranza del gruppo dirigente del Pci che decide di sciogliere il Partito, assieme a Sergio Garavini, Armando Cossutta, Lucio Libertini, Ersilia Salvato, Rino Serri e Guido Cappelloni sei tra i dirigenti che “non ci stanno” e promuovono il Movimento per la Rifondazione comunista, la cui prima iniziativa al teatro Brancaccio vede la partecipazione di migliaia di compagni e compagne. Come commenti la scelta di allora? C’è qualcosa che non ha funzionato o poteva essere fatto diversamente nel percorso della rifondazione?

Era una scelta che doveva essere fatta. Oggi non ci sarebbe più nulla, solo gruppetti sparsi, non dei partiti. Ma certo qualche errore è stato fatto. Non abbiamo tenuto conto che in Rifondazione comunista sarebbero venuti tanti compagni di diversa provenienza, ognuno con la sua idea di partito, e non c’è stato un dibattito approfondito, di massa, che consentisse di chiarire un po’ le cose, chiarire quali erano le cose ancora valide e quali quelle da superare. Non è un questione di chi veniva dal Pci e chi no. Io credo che il miglior segretario che Rifondazione abbia avuto è Paolo Ferrero, che pure non veniva dal Pci, viene da Dp, gli altri non sono stati alla stessa altezza. Quindi non bisogna vedere da dove un comunista viene, ma dove pensa di andare.

Oggi i comunisti e le comuniste stanno convintamente all’interno delle liste di Rivoluzione Civile e sono tra i protagonisti di questa nuova coalizione. Come valuti questa esperienza? Quali elementi di novità può portare nella politica italiana?

Non è un’aggregazione della sinistra anticapitalista come esiste in Francia, in Grecia o in Spagna. Ma è il principio di un raggruppamento di partiti, gruppi, movimenti, cittadini, che sono contrari al neoliberismo. Almeno questo c’è, chiaro in tutti, ed è un punto di partenza importantissimo. Siamo in difesa della Costituzione, che è a rischio e che invece rappresenta un baluardo essenziale conto il fascismo e i tentativi di riportare il paese a tempi bui, innanzitutto tagliando i diritti dei lavoratori, mettendo all’obbedienza il proletariato. Ingroia da magistrato ha condotto inchieste tutte condivisibili, non solo sulla mafia, per le quali oggi viene attaccato. Credo sia stato un magistrato che guardava le cose non solo leggendo le leggi ma anche confrontandole con la realtà sociale e politica del paese; certo sempre applicando e rispettando le leggi, ma con uno sguardo rivolto anche al di là dei codici. Tra le componenti di Rivoluzione Civile, ci sono varie forze, alcune più vicine, altre più lontane da noi, ci sono i partiti e c’è la cosiddetta società civile. Un’espressione che non condivido: quella incivile allora qual è? Io un’idea ce l’avrei. Parlerei invece di movimenti, rappresentanti di lotte sociali, lotte del lavoro e lotte territoriali, e questa lista può servire anche a questo, a collegare battaglie diverse per far sì che non ci siano focolai dispersi, ma che da tante fiamme si produca un incendio generale.

 

Fonte: Controlacrisi.org, 16/12/2014