COORDINAMENTO NAZIONALE PER LA JUGOSLAVIA ITALIJANSKA KOORDINACIJA ZA JUGOSLAVIJU |
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siete nella sezione dedicata all'irredentismo pan-albanese |
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KOSMET: Il patrimonio artistico-religioso e la sua distruzione da parte degli irredentisti pan-albanesi Vedi anche, più in generale, la |
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- Un saggio di Valentino Pace (Università degli Studi di Udine): CHIESE E MONASTERI DEL KOSOVO: ALTRE
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E LINK: VIDEO: Kosovo: A Moment In Civilization (by Boris Malagurski, 2017) I
materiali della iniziativa Kosovo-Serbia-Jugoslavia. UN
TESORO IN PERICOLO (Milano
10 maggio 2014) L'affresco della
Vergine Ljeviska a Prizren, Kosmet, Poesia: GRAČANICA (Desanka Maksimović) http://www.salvaimonasteri.org/ Dalla
nostra pagina della
CULTURA, la sezione su architettura e arti figurative
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BRUCIATE
TUTTE LE CHIESE, CAZZO! >> |
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Valentino
Pace
(Università degli Studi di Udine) CHIESE E MONASTERI DEL KOSOVO: UNA TESTIMONIANZA DELLA CIVILTA’ CRISTIANA IN PERICOLO “La pupilla del mio occhio in Te si annida”
Graffito in lettere arabe con i versi del poeta persiano Hafiz (“La pupilla del mio occhio in Te si annida / Onorami di entrare, questa è la Tua casa”) posti all’ingresso della Bogorodica Ljeviška, di Prizren, a lode della sua bellezza, allora ancora in uso al culto ortodosso Gli avvenimenti del marzo 2004 a Prizren e altre località del Kosovo hanno anche inferto gravissimi danni, talora irreversibili, ai monumenti della civiltà artistica serba. In questa regione si trovano alcune delle più alte testimonianze del patrimonio artistico della nostra civiltà, in particolare della storia medievale della Serbia e dell’arte bizantina. Purtroppo sconosciuti al grande pubblico, sorattutto al di fuori dei suoi confini nell’Europa occidentale, è opportuno che se ne abbia almeno una sintetica informazione per capirne l’importanza, ben aldilà di un contesto locale o regionale. Monumenti esemplari ne sono le chiese di Peć, Gračanica, Prizren, Dečani. Esse ci trasmettono con la piena evidenza delle loro forme architettoniche e dei loro programmi figurativi ad affresco, oltre che delle loro icone portatili e dei loro manufatti liturgici, la grandezza di un passato che fra la fine del XIII secolo e lungo il XIV secolo fece di questa regione una delle più signficative dell’Europa balcanica e orientale. Fu soprattutto il re Milutin (1282 – 1321) che vi impresse il segno della sua fede e della sua volontà di rappresentarvi la gloria propria e della dinastia dei Nemanjidi cui apparteneva. E’ pertanto a questi quattro centri ecclesiali e monastici che dedicherò qui la mia preliminare attenzione, per poi occuparmi dei danni inferti a questo patrimonio nel marzo 2004. Per essere sede ufficiale del Patriarcato serbo dal 1346, il monastero di Peć ha il ruolo preminente. Sin dagli anni ’30 del XIII secolo tuttavia (la sede arcivescovile si trovava a Žiča) grande fu la sua importanza nella vita spirituale e artistica del tempo e la chiesa dei SS. Apostoli, allora eretta, per volontà di s. Sava secondo un’antica tradizione, ne è esplicito segno monumentale. Avendone già fatto riferimento Rosalba D’Amico in altra parte di questo libro, mi limito qui a dire che il nucleo dell’edificio, come si era configurato lungo il Duecento, venne a costituire il cuore di tutto il complesso ecclesiale del Patriarcato, comprensivo della chiesa dei SS. Apostoli e delle due chiese adiacenti, di San Demetrio sulla sinistra (a nord), della Madre di Dio (“Bogorodica”) alla destra (a sud) con l’annesso dell’oratorio di San Nicola, oltre che di un monumentale nartece che le ingloba tutte e tre. La fase costruttiva trecentesca, fra gli anni ’20 e ’30 (al tempo degli arcivescovi Nikodim e Danilo II) venne ad essere sigillata, intorno al 1345 (al tempo dell’arcivescovo Joannikje) dagli affreschi nella chiesa di San Demetrio, fin ad allora unica ad esserne restata priva. La sacralità della chiesa dei SS. Apostoli sta in primissimo luogo nella presenza delle tombe dei suoi arcivescovi (fra gli altri, del suo primo committente l’arcivescovo Arsenije (1233-1263) al suo prima patriarca, Joannikje II) che spiegano la stessa scelta del tema absidale della Deesis (il Cristo fra gl’intercessori della Salvezza eterna: la Vergine e il Battista). Ma sono naturalmente gli affreschi, che ne tappezzano interamente l’interno a dare tono figurativo allo spazio. Dopo gli affreschi di metà XIII secolo del naos, abside e cupola in primissimo luogo, fu intorno al 1300 (e poi ancora nel XVII secolo) che venne eseguita una prima parte degli affreschi della navata, per i quali fu all’opera la stessa bottega di pittori già presenti a Ocrida (odierna Rep. di Macedonia) nel 1295 e in futuro in altre committenze, legate al re Milutin (1282-1321). Indimenticabili sono le immagini monumentali della Madre di Dio e di s. Nicola . Come sempre un posto di rilievo, aldilà del ciclo cristologico della Passione, hanno le immagini di regalità, inscindibilmente connessa nella tradizione serba non solo con la sacralità del potere, ma alla stessa conversione alla vita religiosa di molti dinasti alla fine della loro vita. Figurano dunque ad affresco le immagini di Stefano Primo Coronato e di re Uroš I. come monaco; nel 1633 / 34 vi verranno aggiunte di fianco le immagini di Stefan Nemanja, anch’egli come monaco, del principe Lazar , ancora di Stefano Primo Coronato, dei re Milutin , Stefan Dečanski e Dušan, vera galleria della stirpe regale serba. Altri affreschi erano stati nel frattempo fatti eseguire a metà Trecento al tempo del patriarca Sava IV (1354-1375). Questi fu sepolto, come il suo fondatore l’arcivescovo Nikodim e altri, nell’adiacente chiesa di San Demetrio, anch’essa, come ricordato, ricoperta di affreschi di metà XIV secolo. Le rappresentazioni di personaggi coevi, del neoconsacrato patriarca Joannikje, di Dušan, adesso imperatore, e di suo figlio Uroš, affiancati significativamente da s. Sava in eleganti veste liturgiche (s. Sava, figlio minore del fondatore della dinastia regnante, Stefan Nemanja, era divenuto nel 1219 il primo arcivescovo della chiesa serba autocefala) , sottolineano e siglano gli anni della proclamazione dell’impero serbo e del suo patriarcato. Fra i temi di carattere sacro spicca qui per importanza e singolarità il ciclo di s. Demetrio, ma affascinanti sono soprattutto le straordinarie immagini dei santi militari, silhouettes longilinee e di vivaci colori, di scattante eleganza. La terza delle tre principali chiese, dedicata alla “Madre di Dio Odigitria”, fu fatta costruire dall’arcivescovo Danilo II, e da lui fatta completamente affrescare. Danilo è ricordato, aldilà della sua committenza, per aver scritto sull’Athos, dove fu igumeno (abate) nel monastero serbo di Chilandar, le “Vite dei re e degli arcivescovi serbi”, testo fondamentale per la storia dinastica e religiosa della Serbia. L’arcivescovo (+ 1337) ha ricevuto la sepoltura in un bel sarcofago di marmo rosso ed è ricordato visivamente da due affreschi: l’uno che lo mostra, accompagnato dal profeta Daniele, in atto di offrire il modello dell’edificio alla Vergine, sulla controfacciata d’ingresso;l’altro sulla navata, abbigliato delle vesti arcivescovili, orgogliosamente appaiato a s. Nicola, in atteggiamento di preghiera presso l”Odigitria” col Figlio. Danilo, come ricordato, fece anche costruire il monumentale nartece, giunto peraltro a noi con alterazioni dei secoli successivi. Era questo il luogo dove sedevano in cattedra gli arcivescovi, poi patriarchi, per presiedere i concili della chiesa. Di grande rilevanza storica e ideologica è l’affresco con la “Genealogia dei Nemanjidi” nel quale sono raffigurati (come già era peraltro avvenuto a Gračanica) i dinasti serbi, sull’asse verticale di centro dal fondatore Stefan Nemanja fino a Milutin (fiancheggiato dall’allora re Stefan Dečanski e dal futuro successore Dušan), sovrastati da una grande immagine di Cristo benedicente accanto al quale due angeli in volo recano le corone regali, a significarne l’investitura divina. Con gli affreschi dei SS. Apostoli delle due fasi trecentesche, questi della chiesa della “Madre di Dio” e poi quelli di San Demetrio, le chiese di Peć costituiscono una straordinaria e insostituibile testimonianza di un cinquantennio di pittura bizantina dell’età paleologa, irradiata da Salonicco e Costantinopoli nei territori dell’ortodossia, pur se talora modulata in Serbia con varianti e specificità proprie. L’arte bizantina della Serbia trova agl’inizi del Trecento un altro prezioso monumento nella cattedrale della “Bogorodica Ljeviška” (Chiesa della Madre di Dio di Ljeviša) di Prizren, committenza del sovrano serbo Milutin, la cui opera di ktitor (“fondatore”) viene ricordata da un’iscrizione sul muro absidale esterno, che riferisce la data 1306/1307, valida per quella zona orientale dell’edificio, sul quale si seguitò a lavorare ancora negli anni seguenti. La preesistente basilica a tre navate era divenuto il fulcro di un ingrandimento che la trasformò in edificio a cinque navate, largamente ricoperto da affreschi. Nell’esonartece della cattedrale un’iscrizione ad affresco ci informa, in un contesto relativo agli obblighi di distribuzione caritativa di cibi e bevande, che i suoi protomastri (cui anche spettavano precise quantità di cibo) erano stati Nicola e Astrapas “che avevano costruito e affrescato la chiesa”. Sia il primo che il secondo nome si ritrovano documentati altrove e se il primo, piuttosto comune, può lasciare perplessi, o incerti, sull’identità del Nicola attivo anche a Dečani, Astrapas è nome di famiglia che comunque collega il pittore qui presente con l’opera prima a lui epigraficamente riferibile, la chiesa della Perivleptos di Ocrida, affrescata nel 1294/95. Nella cattedrale di Prizren una imponente e suggestiva immagine del fondatore della dinastia Stefan Nemanja accoglie il visitatore sopra la porta d’ingresso: veste l’abito monastico indossato all’Athos dove si ritirò a conclusione della sua vita; è fiancheggiato alla sua destra dal figlio s.Sava in sontuosi abiti arcivescovili, alla sua sinistra dal re Stefano Primo Coronato, cui segue il futuro re Stefan Dečanski. Vicino all’ingresso Milutin campeggia a figura intera, oggi solo, ma una volta accompagnato dalla perduta immagine della moglie Simonida, del padre Uroš (il fondatore di Sopočani) e della madre, la regina Elena d’Angiò. Simonida era la figlia dell’imperatore bizantino Andronico II da lui sposata nel 1298 in quarte nozze, a sigillo dell’alleanza con l’impero. Fu proprio questa politica di alleanza con Costantinopoli, seguita a un’iniziale ostilità, ad essere decisiva per cambiare le sorti stesse dell’architettura e dell’arte in Serbia, d’ora in poi fortemente modellate sulla capitale dell’impero, come d’altronde esplicitamente mostra lo stesso regale abbigliamento del sovrano. Questo fu evidente sin dai suoi tempi, tanto che in una celebre corrispondenza del logoteta imperiale Teodoro Metochita si legge, a proposito di Milutin, che “Il re stesso era assai ben ornato di gioielli. Attorno al corpo aveva numerosi gioielli di pietre preziose e di p erle, quante potevano starcene, e scintillava tutto d’oro. L’intera sua corte brilla (...) tutto rifletteva il gusto dei Romani [intesi come i cittadini di Costantinopoli, la “nuova Roma”!] e il cerimoniale della corte imperiale” [traduzione tratta dal volume di G. Subotić, Terra sacra, cit.] Gli affreschi trecenteschi dell’interno, dal largo e denso programma iconografico, testimoniano (non si vorrebbe dire, dopo i recenti danni, che “testimoniavano”) l’attività di questa scuola pittorica originaria di Salonicco, inglobando qualche prezioso frammento della fase precedente al rinnovamento. Tale è la venerata immagine del “Cristo nutritore”, del Bambino in braccio alla Madre, che tiene un cestello di cibo che il Figlio distribuisce, un’immagine che ha poi determinato lo stesso appellativo di “Cristo nutritore” quale è stato iscritto accanto ad altra icona murale trecentesca. Al lettore italiano (e non solo) può interessare che questa immagine del Cristo-Bambino abbia poi trovato, chi sa per quali vie, una sua ripresa in una chiesa rupestre del nostro meridione, nella cd. “cripta della Candelora” a Massafra, nel Salento pugliese. Con la Bogorodica Ljeviška di Prizren è la chiesa dell’Annunciazione di Gračanica a testimoniare al massimo livello qualitativo la committenza di Milutin. Anzi, in questo caso, la chiesa monastica ha un’importanza ancora maggiore per quanto riguarda la sua architettura, perché si tratta qui di un’edificio eretto tutto ex novo. Conclusa, architettura e decorazione, nel 1321, essa fu verosimilmente progettata da un architetto proveniente da Salonicco, con l’aiuto di maestranze tessale ed epirote, che introdusse nel nel regno serbo un’originalissima e straordinaria versione dell’architettura tardo-bizantina. E’ spettacolare il suo geometrico aggregato di cappelle estradossate dall’incalzante ritmo ascendente, caratterizzato da una corona di cupolette e siglato dalla cupola alta sul tamburo finestrato. All’interno, sulle cupole, sulle volte, sugli arconi e sulle pareti si distende l’usuale manto pittorico nel quale ancora una volta un sofisticato programma teologico si accompagna alla glorificazione del sovrano: ma di un sovrano che mostra espliciti i segni dell’età e non è un’icona senza tempo. Il confronto con la Bogorodica Ljeviška di Prizren è in proposito più che eloquente. Fra le scene del programma sacro,siglato come usuale da un Pantocratore sull’altissima cupola, di grande bellezza sono le scene cristologiche. Fra di esse mirabile quella con le Nozze di Cana, precisa e attenta nel racconto di un banchetto, quasi specchio della vita “di corte”, mentre di grande coinvolgimento emotivo sono quelle della Passione, come il Lamento sul Cristo deposto, o la processione funeraria della Madre di Dio. Oltre che nelle chiese già ricordate, è qui, a Staro Nagoricino e nella chiesa reale di Studenica che il Trecento “bizantino” della Serbia mostra la più alta alternativa alla pittura che negli stessi anni glorificava la committenza civica ed ecclesiale in Italia, ad Assisi, a Siena, a Firenze, a Padova, a Napoli e altrove. La chiesa ospita anche un vasto Giudizio Universale, quasi “un’alternativa” a quello che da pochissimo era stato dipinto nella Kahrie Djami di Costantinopoli, con la celebre personificazione del Mare , immagine assolutamente indimenticabile. Fu il figlio maggiore di Milutin a promuovere la costruzione dell’altro insigne monastero della regione, quello di Dečani, tanto che da questa fondazione trasse il suo epiteto: Stefan Dečanski. Quando questo sovrano fu detronizzato, nel 1331, fu suo figlio Dušan, a farne continuare i lavori, conclusi nel 1334. La chiesa principale del monastero, dedicata al Cristo Pantocrator, ancor oggi il centro e il cuore del sito monastico, segue un modello architettonico completamente diverso da quello bizantino di Gračanica. Ne diverge infatti sia per diversità del parato murario, con sottolineatura di fasce di pietra da taglio bicroma senza interstizi di laterizio, sia per la sostanziale longitudinità basilicale impressa all’esterno, pur se caratterizzata anche qui da un’alta cupola sulla crociera, sia infine per il ruolo della scultura su portali e finestre. E’ soprattutto per questa che si è infatti parlato di relazioni artistiche con l’arte pugliese. L’iscrizione, che ce ne riporta la data di conclusione dopo otto anni di lavori, ne riferisce la costruzione a un frate francescano di Cattaro (oggi Kotor, in Montenegro) di nome Vita. Destinata a ospitare le spoglie del suo fondatore la chiesa sovrasta e quasi prevarica le possibilità devozionali e percettive dei fedeli e dei visitatori, per la straordinaria ampiezza del suo parato di affreschi, dipinti in un decennio fra 1348 e 1347. Vi si vedono scene del Vecchio e Nuovo Testamento, dagli Atti degli Apostoli, del Giudizio, l’Albero di Jesse, il Menologio e un ciclo di s. Giorgio, la rappreentazione dei Concili ecumenici, i ritratti della famiglia reale, dignitari ecclesiastici e la genealogia dei Nemanjidi. A questi affreschi la chiesa unisce anche la presenza di icone, di arredi liturgci, di libri che rendono anche il suo “tesoro” di particolare importanza, estetica e storica. ******
Tutto questo patrimonio corre adesso il rischio di danni, se non addirittura di distruzione. Ma in parte, nel marzo del 2004, ciò è già avvenuto. Testimonianza particolarmente drammatica ne è la chiesa della Vergine Odigitria nel villaggio di Mušutište datata epigraficamente al 1314-15, prima vandalicamente danneggiata tra il 15 e il 20 giugno del 1999, poi fatta saltare in aria con esplosivi nel luglio del 1999 (quando, bisogna tristemente sottolinearlo, l’area era già sotto „controllo“ delle truppe tedesche della Kfor). Circola in proposito la voce che i suoi affreschi, preliminarmente staccati, siano in vendita, al costo di 5.000 Euro per ciascuna testa di Santo (un destino analogo a quello sofferto dai mosaici paleocristiani della Panaghia Kanakaria di Cipro, oggi nella zona amminstrata dai turco-ciprioti). Per l’importanza del monumento ancor più grave quanto avvenuto alla Bogorodica Ljeviška di Prizren, città che, oltretutto, aveva avuto la fortuna di aver subito poche distruzioni durante la guerra jugoslava e i disordini del 1999 Qui la protezione della comunità serba e dei monumenti cristiani era (e tuttora è) affidata alle Forze armate tedesche, che si sono fidate della loro sola presenza e di recinzioni con filo spinato. E’ così successo che nella notte del 17 e del 18 marzo 2004 (e nei giorni immediatamente successivi) è avvenuto il peggio, temuto dal clero ortodosso e denunciato con ripetute richieste di adeguata protezione ai Rappresentanti delle Nazioni Unite in Kosovo. Disordini fomentati da estremisti albanesi hanno infatti condotto, fra l’altro, all’assalto dei monumenti cristiani della città e dei suoi dintorni. Ne è conseguita la distruzione delle due chiese cattedrali, sia quella della comunità ortodossa che di quella cattolica, ambedue del XIX secolo, con la perdita, in quella ortodossa, di una bella iconostasi del tempo e dell’intera collezione di icone; altresì distrutte le chiese tardo-medievali, con affreschi del tempo, del Salvatore, di S. Nicola e di S. Giorgio. Ma, soprattutto, è stata gravemente danneggiata la celebre Bogorodica Ljeviška, chiesa la cui bellezza era stata addirittura lodata da un visitatore musulmano quando essa, secoli dopo la conquista ottomana del 1455, non era stata ancora trasformata in moschea. Lo documentano i versi posti qui in epigafe. La fanatica violenza sul sacro edificio si è sviluppata appiccando con bottiglie incendiarie il fuoco a copertoni di auto introdotti e sparsi nell’edificio, conseguendone bruciatura e distruzione delle parti lignee, come le scale d’accesso al piano superiore del nartece, parziale distruzione degli affreschi nelle parti più esposte o loro annerimento col fumo in aree più distanti. La torre campanaria sul fronte ha subito i danni peggiori ed è stata fortemente indebolita nelle sue strutture, minacciando di crollare alla minima scossa. Adesso scoperchiati gli affreschi sottostanti dell’endo- e dell’esonartece rischiano di essere ripetutamente lavati dalle future piogge. Gli affreschi dell’esonartece non hanno subito danni, ma quelli dell’endonartece purtroppo sí, perché proprio sulla porta d’ingresso è stato appiccato il fuoco che ha annerito, fra l’altro, il celebre ritratto dei Nemanja. All’interno la navata centrale e la navata di sinistra non hanno subito danni irreversibili, salvo l’affumicamento apparentemente non grave degli affreschi. Diversamente la navata di destra ha subito più devastanti conseguenze dal fuoco e gli affreschi vicino alla scala di legno hanno subito alterazioni irreversibili del colore. Sull’affresco della Vergine di Ljeviša, annerito dal fumo, sono state inferte scalpellature che ne hanno prodotto una vasta lacuna che dal basso giunge fino ai piedini del Bambino e al simbolico cestello che tiene in mano. I frammenti dell’affresco sono stati ritrovati sul pavimento e depositati su un vicino ripiano, con la speranza di una sua reintegrazione. Dalla documentazione fotografica emerge evidente la responsabilità delle truppe tedesche di protezione della Kfor per ‘non’ essere adeguatamente intervenute. L’area scalpellata dell’affresco è infatti totalmente pulita e ‘non annerita’ come l’affresco stesso, a dimostrazione che questo atto vandalico è stato eseguito a distanza di tempo dall’incendio, appunto uno, due, o tre giorni dopo i tumulti, quando la chiesa era stata lasciata aperta e senza protezione alcuna –tanto che suona ironica, oltre che di di cattivo gusto, l’espressione di „ausgezeichnete Arbeit“ usata con vanto dal responsabile della Kfor tedesca, il generale Holger Kammerhoff. Dispiace invece di dover in proposito dire che i danni sarebbero di certo essere stati assai minori se non solo la Kfor tedesca avesse offerto una maggiore forza di dissuasione, ma, ancor più, se non avesse lasciato gli edifici senza assoluta protezione nei giorni immediatamente successivi, come la stessa stampa tedesca ha denunciato (v. qui in bibliografia la citazione dell’art. dello Spiegel del 3 maggio 2004). Come si è detto, la “Bogorodica Ljeviška” non è stato purtroppo l’unico edificio ad essere danneggiato. Tra gli altri di particolare valore artistico (per importanti che siano stati non è qui il caso di trattare degli edifici di pura valenza cultuale) i maggiori danni sono stati subiti dal monastero di Devič, saccheggiato e incendiato, con gli affreschi anneriti dal fumo, mentre quello dei Santi Arcangeli (1343-52), pure saccheggiato e in parte incendiato, non ha avuto danni nella sua parte medievale, del XIV secolo (per esempio non risulta danneggiata la lastra tombale del suo fondatore, l’imperatore Stefan Dušan [1331-55]). Nella chiesetta di S. Giorgio, vicino alla cattedrale, i begli affreschi tardomedievali sono oggi talmente evanescente da dar l’impressione, come ci ha detto la restauratrice Donatella Zari, che li ha visti nel 1999, che si tratti di impronte conseguenti a un loro strappo. Non documentate, ma in questa circostanza plausibili, circolano anche voci sulla vendita clandestina delle icone già appartenute a questi e altri edifici. Non sono stati invece danneggiati gli affreschi, peraltro in non buono stato di conservazione, della chiesa della Presentazione della Vergine a Lipijan. Fortunatamente indenni sono rimasti invece il “Patriarcato” di Peć, il monastero di Dečani e la chiesa di Gračanica, protetti –con carri armati e non da una semplice recinzione di filo spinato- dalle truppe italiane della Kfor i primi due, da quelle delle Forze armate svedesi la terza. Se questo significa, tristemente, che non solo l’entrata e l’uscita da questi luoghi, ma gli stessi spostamenti della popolazione monastica e dei pochi civili avviene tuttora con la scorta di militari, almeno la loro protezione è adeguatamente assicurata.. I monumenti della Serbia cristiana, come d’altronde ogni altromonumento eretto a devozione o impegno civico, lungo i passati secoli, meritano rispetto e attenzione, perché, indipendentemente dalla “fede religiosa” o dall finalità civiche, sono monumenti che riflettono storia e cultura della propria società. Questi del Kossovo hanno anche una fortissima valenza artistica ed estetica, oltre che storica, che ne fa la loro testimonianza ancora più preziosa. Dobbiamo solo augurarci che essi vengano preservati anche nei tempi a venire. Bibliografia specifica sui
monumenti del Kosovo:
1) Testi e saggi scientifici a) in italiano -C. Bertelli (a cura di), Medioevo e Rinascimento in Kosovo. Monumenti ortodossi e ottomani sulle rive della Bistrica, Milano 2001. -S. Petković, Serbia, in: Enc. dell’Arte medievale, X, Roma 1999, s.v., 555- 563. -G. Subotić , Terra Sacra”, Milano (Jaca Book) 1998. -G. Subotić, “I monumenti medievali del Kosovo“, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, classe di lettere e filosofia, s. IV, vol. V/1, Pisa 2000, pp. 253-265, con introduzione e bibliografia di M. Bacci, alle pp. 251-252 e 266-273).[testo di una conferenza, tenuta nel 2001 alla Scuola Normale Superiore di Pisa]. b) in altre lingue occidentali -Dj. Bošković, Medieval Art in Serbia and Macedonia. Church Architecture and Sculpture, Belgrado, s.d. -S. Ćurčić, Gračanica. King Milutin’s Church and Its Place in Late Byzantine Architecture, University Park-London 1979 -Dečani et l’art byzantin au milieu du XIVe siècle. Á l’occasion de la célèbration de 650 ans du monastère de Dećani (sept. 1985), Academie Serbe des Sciences et des Arts. Colloques Scientifique, XLIX. Classe des Sciences Historiques, 13, a c. di V. J. Djurić, Belgrado 1989 [articoli in diverse lingue] -V. Djurić, Byzantinische Fresken in Jugoslawien, Monaco di Baviera 1976. -R. Hamann McLean, H. Hallensleben, Die Monumentalmalerei in Serbien und Makedonien vom 11. bis zum frühen 14. Jh., Giessen 1963-1976. -D. Milošević, Gračanica Monastery, Belgrado 1989 (The Institute for the Protection of Cultural Monuments of the Socialist Republic of Serbia, Belgrade. Monographs, 26). -S. Petković, Das Patriarchat von Peć, Belgrado 1982. -S. Radojčić, Geschichte der serbischen Kunst von den Anfängen bis zum Ende des Mittelalters, Berlino 1969. -Br. Todić, Serbian Medieval Painting: The Age of King Milutin, Belgrado 1999. 2) Altra bibliografia di generale riferimento: -L’Art medieval yougoslave’, catalogo della mostra, Parigi 1950 ( in particolare S. Radojcić, ‘Les fresques dans les eglises du Moyen Age en Serbie, au Montenegro et en Macedoine’) -S. Cirkovic, I Serbi nel medioevo, Milano 1992. - S. Ćurčić, Art and Architecture in the Balkans. A annotated bibliography, Boston / Ma. 1984. -V. Korać, T. Velmans, M. Šuput, Bisanzio. Lo splendore dell’arte monumentale, Milano 1999. -V. Lazarev, Storia della pittura bizantina, Torino, 1967. - G. Millet, ‘La peinture du Moyen Age en Yougoslavie: Serbie, Macedoine et Montenegro’, Paris 1957 -Serbs in European Civilization, a c. di R. Samardžić e M. Duškov, Belgrado 1993. -Tra le due sponde dell’Adriatico: la pittura nella Serbia secolo e l’Italia, cat. della mostra (Venezia e altrove, 1999), coord. edit. di R. D’Amico, Ferrara 1999. 3) Pubblicazioni e articoli diversi di attualità a) in italiano: -F. Maniscalco, Kosovo e Metohja 1998-2000. Rapporto preliminare sulla situazione del patrimonio culturale, Napoli 2000). -F.Maniscalco (a cura di), ‘Memoria storica e tutela:perla conoscenza la salvaguardia del patrimonio culturale della Serbia, in ‘Mediterraneum - Tutela e valorizzazione dei beni culturali ed ambientali ’ , II, La tutela del patrimonio culturale in caso di conflitto, Napoli 2002, pp. 181- 190. -V. Pace, Kosovo: Passato, presente e futuro dei suoi monumenti cristiani in pericolo, in Kunstchronik, 57, 2004, pp. 561-568. -S. Pratali Maffei ( a cura di), Guerra e Beni Culturali, Atti del convegno (Venezia 2000), Torino 2002. -S. Settis, “Memoria chiusa per restauro”, in Il Manifesto, del 18 aprile 2001, p. 12. b) in altre lingue
occidentali
-Crucified Kosovo. Destroyed and Desecrated Serbian Orthodox Churches in Kosovo and Metohia (june – october 1999), a cura del “Center of Raska and Prizren Orthodox Eparchy”, 1999 [con ed. Internet: decani.yunet.com/destruction.htm]. -Cultural Heritage of Kosovo and Metohija, a cura dell’Institute for the Protection of Cultural Monuments of the Republic of Serbia, Beograd 1999. “Die Hasen vom Amselfeld”, in Der Spiegel , 3 maggio 2004, n. 19. - Final Report Project. Protection of Natural and Cultural Heritage in Metohija, july 2001 –june 2002, a cura di “Mnemosyne” e “Intersos”, Belgrado 2003). - March Pogrom in Kosovo and Metohija (march 17-19, 2004), with a survey of destroyed and endangered Christian cultural heritage, a cura del Ministry of Culture of the Republic of Serbia , and Museum in Priština (displaced), Belgrado 2004). -Monuments of Kosova, a cura dell’Institution for the Protection of Kosova Monuments, Prishtinë 1999. 3) Notizie in siti Web (da ricontrollare) -www.unesco.org/venice -www. salvaimonasteri.org -www.kosovo.com - www.spc.org.yu - www.heritage.org.yu - www.kc.gov.yu - www.suc.org
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Coordinamento
Nazionale per la Jugoslavia - onlus
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