Informazione
Montée de l’intolérance, suppression des aides à la presse et enfin nouvelle loi électorale qui rendra virtuellement impossible l’élection de députés slovènes. L’année 2019 s’annonce très difficile pour la minorité slovène d’Italie, qui compte de 70 000 à 100 000 membres...
https://ilmanifesto.it/presidente-negazionista-a-chi-trieste-nel-giorno-del-ricordo/
... Con il contributo della storica e saggista Alessandra Kersevan, una delle più attive ed esperte in questo campo, analizzeremo tutta la storia che viene taciuta, se non addirittura negata, quando si parla di foibe e confine orientale; in modo da avere una visione più completa ed ampia della vicenda aldilà di quella che è ormai la narrazione di questa giornata, quasi totalmente a senso unico, che ci viene offerta dagli organi d'informazione e comunicazione.
L'Iniziativa comincerà alle 18.30 in forma di relazione supportata da immagini e diapositive per rendere più scorrevole l'esposizione.
All'incirca intorno alle 20:30 verrà servita l'usuale apericena-buffet della Domenica, al termine della quale sarà possibile intervenire al dibattito con domande ed osservazioni.
Roma, domenica 24 febbraio 2019
presso il Teatro di Porta Portese, Via Portuense 102
RESISTENZA JUGOSLAVA: FOIBE O FRATELLANZA?
Una conferenza di Sandi Volk e la pièce teatrale DRUG GOJKO. Per contrastare il revisionismo ed il negazionismo di chi getta fango sulla Lotta Popolare di Liberazione dei partigiani e sul suo carattere internazionalista
ore 16:30 Conferenza
– Andrea Martocchia: "Giorno del ricordo", dove sta il problema?
– Sandi Volk: "Giorno del ricordo", un bilancio
ore 17:45 Discussione
ore 18:30 Teatro
DRUG GOJKO di e con Pietro Benedetti
Monologo ispirato alle vicende di Nello Marignoli, partigiano nell'Esercito popolare di liberazione jugoslavo
Promuove: Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS
ENTRATA A SOTTOSCRIZIONE LIBERA
LE REALTA' INTERESSATE AD ADERIRE E INTERVENIRE POSSONO CONTATTARCI FINO AL 20 FEBBRAIO: jugocoord@...
Eventuali aggiornamenti saranno riportati anche sulla pagina della iniziativa
Dalla Slovenia richieste di scuse e dimissioni. Novelli (Fi): «Attacchi inaccettabili»
e Tajani andrà a San Sabba
UDINE. Un invito via Twitter rivolto al presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, dalla commissaria europea ai Trasporti, Violeta Bulc, a visitare insieme a lei l'ex campo di concentramento alla Risiera di San Sabba a Trieste. Invito accettato. È questa l'evoluzione della rovente polemica esplosa in seguito alle dichiarazioni di Tajani che domenica, a Basovizza, durante le celebrazioni della Giornata del Ricordo, aveva esaltato «l'Istria italiana» e «la Dalmazia italiana». Parole mal interpretate, secondo il presidente del Parlamento Ue, che ha in seguito precisato che il riferimento andava «agli esuli istriani e dalmati di lingua italiana, ai loro figli e nipoti, molti dei quali presenti alla cerimonia», respingendo le critiche di irredentismo e di rivendicazioni territoriali. Spiegazioni «insufficienti» per il rappresentante della minoranza italiana al Parlamento di Zagabria, Furio Radin, «perché anche noi che siamo rimasti, apparteniamo alla cultura italiana di Fiume e dell'Istria». Una dichiarazione che conferma il clima acceso in Slovenia rispetto alla vicenda che ha registrato prima le prese di posizione del presidente Borut Pahor e del governo guidato da Marjan Sarec, e ieri anche quella del presidente del Consiglio delle organizzazioni slovene Walter Bandelj. «Un politico del livello di Tajani non dovrebbe andate a Basovizza senza sapere quale sia la storia» ha ribadito, definendo offensive le parole del parlamentare italiano. Il ministro degli Esteri sloveno Miro Cerar chiede inoltre «scuse chiare e una presa di posizione netta a favore dei valori europei. Non sono sufficienti le spiegazioni fornite a Strasburgo, la Slovenia aspetta, oltre alle scuse, anche un vero e proprio riconoscimento dell'errore e una condanna della tendenza al revisionismo», ha concluso Cerar. Non bastasse, i Socialdemocratici, Sd, e Nuova Slovenija, Nsi, partito di ispirazione cattolica, invocano senza mezzi termini le dimissioni di Tajani.Ieri il governatore del Fvg Massimiliano Fedriga, rifuggendo la polemica, ha richiamato «l'intervento molto lucido del presidente della Lega Nazionale Paolo Sardos Albertini che ha sottolineato i drammi vissuti dai cittadini italiani nel confine orientale» e il fatto che «anche croati e sloveni sono stati perseguitati da un regime comunista titino che non guardava in faccia a nessuno se non alla gestione del potere utilizzando, sporcando e umiliando le vite umane». Sull'intervento poi del vicepremier Matteo Salvini, con riferimento ai bambini morti nelle Foibe («e ce ne sono stati diversi», ha sottolineato Fedriga) e ad Auschwitz, il presidente del Fvg ha aggiunto: «C'è stata una persecuzione purtroppo drammatica alla stessa maniera, non penso che i morti si misurino in numeri o in serie A o serie B. Questo è un discorso responsabile penso condiviso da tutti». Definisce «incredibili e inaccettabili gli attacchi dei governi sloveno e croato al presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani» il deputato di Forza Italia Roberto Novelli. «Vale la pena forse ricordare che se fosse stato per il maresciallo Tito nelle nostre terre avremmo portato per decenni la stella rossa sul berretto. Non è solo la storia a rendere inaccettabili le reazioni scomposte di questi giorni, è anche l'attualità - aggiunge Novelli - che racconta di un tentativo subdolo di slovenizzare, grazie alle concessioni della legge 38 del 2001, zone del Friuli, come ad esempio le valli del Natisone e Resia».«Dove fortunatamente ha fallito Tito con la forza delle armi - rincara il parlamentare azzurro - vogliono riuscire loro forzando la storia e sfruttando i benefici di una legge che, per un gravissimo errore, ha inserito le Valli del Natisone e Resia e la "romana" Forum Iulii, all'interno delle zone di tutela della minoranza linguistica slovena. Un falso storico - conclude - questo sì grave, altro che le dichiarazioni di Tajani».
Reakcija na skandalozni završetak govora predsjednika Europskog parlamenta
PRSTE K SEBI ANTONIO TAJANI!
Predsjednik Europskog parlamenta Antonio Tajani govorio je na Danu sjećanja na žrtve fojbi u Bazovici i govor završio usklikom “Živio Trst, živjela talijanska Istra, živjela talijanska Dalmacija!”
Ideja da su Istra i Dalmacija dijelovi Italije bila je jedna od temeljnih ideja talijanskog fašizma. Iako je prepuštanje Istre i Dalmacije Italiji počelo Rapalskim ugovorima, kao dio ratnog plijena iz 1. svjetskog rata, dokrajčeno je još sramotnijim Rimskim ugovorima o razgraničenju između Italije i NDH koje je potpisao Pavelić.
Zemaljsko antifašističko vijeće narodnog oslobođenja Hrvatske, pozivajući se na pravo naroda na samoopredjeljenje, svojom je »Odlukom o priključenju Istre, Rijeke, Zadra i ostalih okupiranih krajeva Hrvatskoj« od 20. rujna 1943. godine potvrdilo već ranije donesenu Pazinsku odluku o sjedinjenju. U tom su dokumentu ništavnim proglašeni prethodni ugovori Kraljevine Jugoslavije i tzv. Nezavisne Države Hrvatske s Italijom, kojima su Istra, Dalmacija i otoci pripali Italiji.
U Italiji (kao i kod nas!) postoje snažne revizionističke struje, ali ovo je prvi put da je jedan visoko pozicionirani čelnik EU-a kazao nešto ovako sramotno.
Najoštrije osuđujemo imperijalističku i profašističku izjavu gospodina Tajanija koja nije dostojna funkcije koju obnaša. Istra i Dalmacija su svoju slobodu i priključenje matici zemlji krvavo izborile u Narodnooslobodilačkoj borbi. Revidiranje povijesti neće proći!
NO PASARAN!
Anche la ministra degli Esteri croata, Marija Pejcinovic Buric, ha condannato le parole di Tajani, parlando di "revisionismo storico inaccettabile, soprattutto perché proviene da un alto funzionario che rappresenta il Parlamento europeo", una delle istituzioni dell'Ue, che, ha ricordato, "è stata fondata con l'intenzione ch in Europa non si ripetano mai più le guerre". "Tali dichiarazioni sono assolutamente inappropriate, soprattutto se espresse dal presidente del Parlamento europeo", ha aggiunto.. Per Pejcinovic Buric simili messaggi possono giovare solo a coloro che vogliono un'Europa diversa da quella che da sempre viene costruita dall'Unione europea. "Sono contrari allo spirito della riconciliazione, della convivenza e di tutti i valori della civiltà su cui è stata costruita l'Ue", ha detto.
Il presidente del Parlamento europeo si è difeso nel corso della seduta plenaria a Strasburgo: "Nel corso del mio intervento di ieri ho voluto sottolineare il percorso di pace e di riconciliazione tra i popoli italiani, croati e sloveni e il loro contributo al progetto europeo - ha detto Tajani - Il mio riferimento all'Istria e alla Dalmazia italiana non era in alcun modo una rivendicazione territoriale. Mi riferivo agli esuli istriani e dalmati di lingua italiana, ai loro figli e nipoti, molti dei quali presenti alla cerimonia". E ha concluso: "Mi spiace se il senso delle mie parole sia stato mal interpretato. Non era mia intenzione offendere nessuno. Volevo solo inviare un messaggio di pace tra i popoli, affinché ciò che è accaduto allora non si ripeta mai più".
Dopo la cerimonia di ieri a Basovizza, in occasione della Giornata del Ricordo, non si sono fatte attendere le reazioni slovene
11/2/2019 14:09:16 | Capodistria | Radio Capodistria
Dura reazione anche del premier sloveno Marjan Šarec che in un tweet ha parlato di falsificazioni e revisionismo storico senza precedenti, messo in atto da alti politici e persino da funzionari dell’Unione europea. Šarec ha anche aggiunto che il fascismo aveva come obiettivo quello di distruggere il popolo sloveno.
Pronta risposta del leader dell'opposizione Janez Janša che con un altro tweet ribattuto a Šarec dicendo che è lui a travisare la storia e aggiungendo che il fascismo ed i suoi crimini orribili sono stati smascherati, mentre Mussolini è stato impiccato dagli stessi italiani. "In Slovenia - ha aggiunto Janša - i comunisti sloveni in pochi mesi hanno ammazzato più sloveni che i fascisti in vent'anni".
In una nota il Ministero degli esteri ha parlato di un’interpretazione unilaterale e selettiva della storia, non in linea con lo spirito europeo. Nella missiva si esprime preoccupazione per quelle che sono definite “affermazioni che vanno sulla via del revisionismo storico e non sono in linea con i fondamenti dell’Unione europea, definiti nella Carta di Helsinki sulla sicurezza e la stabilità in Europa”. Per il Ministero degli esteri la base per la comprensione di quanto accaduto durante la guerra ed il dopoguerra sta nella relazione della Commissione storica italo slovena, che ha analizzato i rapporti tra italiani e sloveni dal 1880 al 1956..
Il ministro degli esteri, Miro Cerar, ha precisato che la retorica di Tajani è assolutamente inaccettabile, ma ha anche auspicato la questione si chiuda e non si ripeta più. Nodo del contendere le dichiarazioni sull’Istria e la Dalmazia italiana del presidente del parlamento europeo.
L’eurodeputata socialdemocratica Tanja Fajon ha accusato di revisionismo Tajani, che assieme al capo dello stato Sergio Mattarella e al ministro dell’Interno Matteo Salvini sono stati additati di “risvegliare il fascismo”. La Fajon, insieme all’europarlamentare del Partito dei pensionati Ivo Vajgel, se l'è presa anche contro la mostra sull’esodo organizzata all’europarlamento nei giorni scorsi. Vajgel non mancato nemmeno di protestare vibratamente per la parole di Salvini e Tajani.
ll vicepresidente dei socialdemocratici, Matjaž Nemec, tornando alla cerimonia di Basovizza, ha detto che i rappresentanti italiani hanno parlato di “fatti irreali” presentati in “una luce diversa”. Per Nemec oggi come cent’anni fa si sta rinfocolando il fascismo. Il presidente del partito Dejan Židan invece ha parlato di dichiarazioni che turbano la serenità ed ha invitato, per il bene dei rapporti reciproci, ad interpretare i fatti in linea con il rapporto della Commissione storica mista italo – slovena.
Il deputato capodistriano della Sinistra, Matej Tašner Vatovec ha chiesto al governo di inviare una nota di protesta per le parole di Salvini e Tajani, per i manifesti di CasaPound di fronte alle scuole Slovene di Gorizia e di agire per la tutela della minoranza slovena in Italia.
Alle reazioni dei politici si sono aggiunte anche quelle di personaggi più o meno influenti sui social. A finire nel mirino, fin da venerdì scorso, anche il film Red Land, che narra la vicenda di Norma Cossetto, bollato come una mera operazione di propaganda fascista e di revisionismo storico. Più di un appunto è piovuto anche su Unione Italiana e sulla Comunità autogestita della nazionalità italiana di Isola che il 22 ed il 23 febbraio prossimo organizzeranno una proiezione privata della pellicola.
Stefano Lusa
A dicembre 2016 il Comitato Nazionale ANPI approvava il documento “Il confine italo-sloveno. Analisi e riflessioni”, sintesi di un seminario interno organizzato per dipanare le questioni, nel quale però non si affronta la questione dei “premiati” né si contesta l’istituzione del GIORNO DEL RICORDO...
In tal senso la scesa in campo dell’alfiere dell’imperialismo francese (forte del Trattato di Aquisgrana tra la Merkel e Macron) attiva una dinamica da seguire con attenzione.
Francesco Santoianni, 22/01/2019
Proprio quando senti in giro dire “ma a che serve più la filosofia?”, ecco che arriva un arrogante intellettuale imperialista – uno che addirittura può raccontare di aver partecipato ad assemblee del ‘68 – a dimostrare che in effetti serve. Ed anche a molto. Ovviamente, non era questa la sua intenzione…
Bernard-Henri Lévy è così abituato a dare spettacolo di sé che, alla fine, ha messo su uno spettacolo vero e proprio con cui si appresta a girare per il Vecchio Continente, intitolato proprio «Looking for Europe» (In cerca dell’Europa). Scopo dichiarato: “ rinnovare un’idea romantica dell’Europa, un’idea che porta speranza”. Si vede che la realtà. In questi ultimi decenni, ne ha fatto vedere e toccare una molto diversa, e quindi vai con la propaganda “romantica” per stendere cerone sulle lacerazioni dovute all’austerità…
Ma che c’entra la filosofia con uno spettacolo? Per un verso andrebbe chiesto a lui, che si inserisce nella tendenza a “spacciare pillole filosofiche” in piazze più o meno improbabili, dove si volgarizza alla meglio il pensiero teorico che ha per sua natura bisogno di scrittura e dialogo, invece della modalità broadcasting…
Per un altro verso, invece, Bernard-Henri Lévy va quasi ringraziato per aver infilato, in un profluvio di parole abusate, un concetto di filosofia politica che nessun pensatore liberaldemocratico aveva fin qui osato proporre: “In Europa, il popolo non deve essere l’unico sovrano!”.
I pensatori reazionari dell’Ancien Régime settecentesco, ovviamente, erano stati assai più drastici (“il popolo non deve essere sovrano”), ma a partire dal 1789, relativa presa della Bastiglia e successiva decapitazione dei monarchi, e con la ben più contrastata affermazione della democrazia liberal-borghese moderna il popolo è diventato lentamente l’unico legittimo titolare della sovranità entro un determinato spazio geografico; nazionale, sovranazionale o internazionale che fosse.
Dunque, stupisce a prima vista un’affermazione del genere in bocca a un liberal-liberista che ha fatto della forma della democrazia parlamentare l’architrave fondamentale del suo discorso in pubblico. Un pensiero violento, interventista, imperiale da punto di vista culturale e antropologico, che arroga alle – appunto! – democrazie occidentali il potere di decidere se un certo assetto politico-istituzionale di un certo paese rientra nei parametri della “democrazia” oppure in quelli della “dittatura”. E, nel secondo caso, di intervenire militarmente per imporre un assetto diverso, magari anche altrettanto anti-democratico…
Posizione interventista diventata “pensiero unico” a partire dal crollo del Muro, infiocchettata nella definizione di “ingerenza umanitaria” con il corollario ossimorico della “guerra umanitaria”. Bosnia, Iraq (due volte), Libia, ecc. Henri Lévy non ha mancato mai un appuntamento di guerra, elaborando ogni volta un’apposita narrazione giustificativa. Allegrotta e sgangherata sul piano concettuale, ma utilissima al giornalista medio che ha bisogno di frasi precotte da infilare come mantra nei suoi “pezzi”.
Solo questa affermazione sulla sovranità che non deve appartenere solo al popolo è in effetti una vera novità. Per lo meno, lo è il fatto che venga detto con questa nettezza, davvero “quasi filosofica”… da Bignami, insomma. Wolfgang Schaeuble, ex ministro tedesco più portato per l’economia, l’aveva detto in modo più indiretto: “non si può assolutamente permettere ad un’elezione di cambiare nulla” (con una certa enfasi su quell'”assolutamente”, che lascia spazio zero a qualsiasi ipotesi di “superamento dei trattati”).
Il giornalista di Le Temps, come spesso accade davanti a certi “mostriciattoli sacri” che non vanno contraddetti, non pone la domanda che sarebbe ovvia: ma se la sovranità – il potere politico di decidere – non deve appartenere solo al popolo, quali altri soggetti o istituti ne debbono essere titolari?
Non si tratta di una curiosità intellettuale, ma della questione fondamentale che distingue – appunto – le democrazie (comprese quelle popolari, presenti e passate, che Bernard-Henri invece odia) dalle dittature, dalle monarchie, e da altre forme ibride oligarchiche che non sono ancora classificate con chiarezza.
Bernard-Henri non ci dice dunque chi siano questi altri “condomini” della sovranità – e ci deve essere un motivo non nobile, diciamo – ma una cosa la dice proprio fuori dai denti: “smettiamo di sacralizzare la gente.. […] La democrazia ha bisogno della trascendenza”.
Ossia di un “ente” da rispettare quasi religiosamente perché sa “meglio del popolo” cosa è bene fare e cosa no (“ Se ripetiamo: il popolo, il popolo, il popolo… andiamo dritti a una crisi di civiltà”). E chi sarà mai questo fantozziano Megadirettore Galattico che deve sostituirsi alla sovranità del popolo? Ma l’Unione Europea, ovvio! L’unica struttura che contiene le competenzetecniche per esaudire la volontà dei “mercati”.
Non c’è molto altro da commentare, potere leggere l’intervista tramire il link.
C’è solo da ringraziarlo, ripetiamo, per la sua involontaria chiarificazione: chi tuona contro “i sovranismi” sta semplicemente dicendo che la democrazia deve finire, in Europa, perché ci sono poteri molto più potenti e “razionali” dei popoli. Che in fondo, si sa, sono “come un bambino…”.
Benvenuti nel piccolo mondo dell’intellettuale macroniano…
Johnathan Cook | globalresearch.ca
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
01/02/2019
Un gruppo di 30 rispettati intellettuali, scrittori e storici ha pubblicato un manifesto lamentando l'imminente collasso dell'Europa e dei suoi presunti valori illuministici di liberalismo e razionalismo. L'idea di Europa, avvertono, "sta cadendo a pezzi davanti ai nostri occhi", mentre la Gran Bretagna si prepara alla Brexit e i partiti "populisti e nazionalisti" sembrano pronti a incassare ampi successi nelle elezioni in tutto il continente.
Il breve manifesto è stato pubblicato nelle riviste europee dell'élite liberale, in giornali come The Guardian.
"Dobbiamo ora combattere per l'idea di Europa o perire sotto le ondate del populismo", si legge nel documento. Fallire significa che "il risentimento, l'odio e una pletora di infelici passioni ci circonderanno e sommergeranno".
A meno che non si possa cambiare la situazione, le elezioni in tutta l'Unione europea saranno "le più calamitose che abbiamo mai conosciuto: una vittoria per i sabotatori, la disgrazia per coloro che credono ancora nell'eredità di Erasmo, Dante, Goethe e Comenius; il disprezzo per l'intelligenza e la cultura; esplosioni di xenofobia e antisemitismo ovunque; il disastro".
Il manifesto è stato scritto da Bernard-Henri Levy, il filosofo francese devoto ad Alexis de Tocqueville, un teorico del liberalismo classico. Tra i firmatari figurano i romanzieri Ian McEwan, Milan Kundera e Salman Rushdie, lo storico Simon Shama e i premi Nobel come Svetlana Alexievitch, Herta Müller, Orhan Pamuk e Elfriede Jelinek.
Sebbene non nominati, i loro eroi politici europei sembrano essere l'Emmanuel Macron di Francia, attualmente impegnato nel tentativo di schiacciare le proteste popolari contro l'austerità dei Gilet gialli e la cancelliera tedesca Angela Merkel, a presidio delle barricate per l'élite liberale contro una rinascita dei nazionalisti in Germania.
Mettiamo da parte, in questa occasione, la strana ironia che molti dei firmatari del manifesto - non ultimo lo stesso Henri Levy - hanno una ben nota passione per Israele, uno stato che ha sempre respinto i principi universali apparentemente incarnati nell'ideologia liberale e che invece si schiera apertamente per un nazionalismo etnico simile a quello che ha squassato l'Europa nel secolo scorso.
Concentriamoci invece sulla loro affermazione secondo cui "il populismo e il nazionalismo" sono sul punto di uccidere la tradizione liberale democratica dell'Europa e gli stessi valori più cari a questo illustre gruppo. La loro speranza, plausibilmente, è che il loro manifesto serva come un campanello d'allarme prima che le cose prendano una svolta irreversibile in senso peggiorativo.
Il crollo del liberalismo
In un certo senso, la loro diagnosi è corretta: l'Europa e la tradizione liberale si stanno sgretolando. Ma non perché, come insinuano con forza, i politici europei assecondano gli istinti più bassi di una marmaglia insensata, vale a dire la gente comune verso la quale hanno così poca fede. Piuttosto perché il lungo esperimento nel liberalismo ha finalmente fatto il suo corso. Il liberalismo ha chiaramente fallito, e ha fallito catastroficamente.
Questi intellettuali si trovano, come ognuno di noi, su un precipizio dal quale stiamo per saltare o cadere. Ma l'abisso non si è aperto, come dicono loro, perché il liberalismo viene respinto. Piuttosto, l'abisso è l'inevitabile risultato della reiterazione del modello liberista come soluzione alla nostra attuale situazione, anche da parte di questa élite sempre più ristretta e contro ogni evidenza razionale. È la tenace trasformazione di un'ideologia profondamente viziata in religione. È l'idolatria verso un sistema di valori che ci distrugge.
Il liberalismo, come la maggior parte delle ideologie, ha aspetti positivi. Il suo rispetto per l'individuo e le sue libertà, il suo interesse nel coltivare la creatività umana e la promozione dei valori universali e dei diritti umani rispetto all'approccio tribale, con alcune conseguenze positive.
Ma l'ideologia liberale è stata molto efficace nel nascondere il suo lato oscuro o più precisamente, nel persuaderci che questo lato oscuro è la conseguenza della rinuncia del liberalismo piuttosto che un fattore inerente al progetto politico liberale.
La perdita dei tradizionali legami sociali - tribali, settari, geografici - ha lasciato le persone oggi più sole, più isolate di quanto fossero in qualsiasi precedente società umana. Possiamo sostenere a parole i valori universali, ma nelle nostre comunità atomizzate, ci sentiamo alla deriva, abbandonati e arrabbiati.
Sottrazione di risorse umanitarie
La professata preoccupazione liberale per il benessere degli altri e per i loro diritti ha, in realtà, fornito una copertura cinica per una serie di sottrazioni di risorse sempre più sfacciate. Lo sfoggio di credenziali umanitarie del liberalismo ha permesso alle nostre élite di lasciare una scia di massacri e macerie nel loro passaggio in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e presto, a quanto pare, in Venezuela. Abbiamo ucciso "con gentilezza" e poi rubato l'eredità delle nostre vittime.
L'inconfondibile creatività individuale ha forse favorito l'arte, seppur feticizzata, e anche i rapidi sviluppi meccanici e tecnologici. Ma ha anche incoraggiato la concorrenza sfrenata in ogni ambito della vita, sia utile all'umanità o meno, e comunque con un enorme spreco di risorse.
Nel peggiore dei casi, ha letteralmente scatenato una corsa agli armamenti, che - a causa di un mix della nostra libera creatività, della nostra mancanza di Dio e della logica economica del complesso militare-industriale - è culminata nello sviluppo di armi nucleari. Abbiamo escogitato i modi più completi ed efferati inimmaginabili per ucciderci a vicenda. Possiamo commettere un genocidio su scala globale.
Nel frattempo, la priorità assoluta dell'individuo ha sancito un'auto-concentrazione patologica, un egoismo che ha fornito terreno fertile non solo per il capitalismo, il materialismo e il consumismo, ma per fondere il tutto in un super-neoliberismo. Ciò ha permesso a una piccola élite di accumulare e sottrarre la maggior parte della ricchezza del pianeta e porla al di fuori della portata del resto dell'umanità.
Peggio ancora, la nostra creatività sfrenata, il nostro autocompiacimento e la nostra competitività ci hanno reso ciechi a tutte le cose più grandi e più piccole di noi stessi. Ci manca una connessione emotiva e spirituale con il nostro pianeta, con gli altri animali, con le generazioni future, con l'armonia caotica del nostro universo. Quello che non possiamo capire o controllare, lo ignoriamo o lo deridiamo.
E così l'impulso liberale ci ha portato sull'orlo di estinguere la nostra specie e forse tutta la vita sul nostro pianeta. La nostra spinta a esaurire i beni, ad accumulare risorse per il guadagno personale, a saccheggiare le ricchezze della natura senza rispettare le conseguenze è così travolgente, così folle che il pianeta dovrà trovare un modo per riequilibrarsi. E se continuiamo, quel nuovo equilibrio, che va sotto il nome di "cambiamenti climatici", richiederà di rinunciare al pianeta.
Nadir di una pericolosa arroganza
Si può plausibilmente asserire che è un po' che gli umani si trovano su questa sozza strada. La concorrenza, la creatività, l'egoismo, dopotutto, precedono il liberalismo. Ma il liberalismo ha rimosso le ultime restrizioni, ha schiacciato qualsiasi sentimento contrario come irrazionale, incivile, primitivo.
Il liberalismo non è la causa della nostra situazione. È il nadir di una pericolosa arroganza verso la quale noi, come specie, abbiamo indugiato per troppo tempo, dove il bene dell'individuo supera qualsiasi bene collettivo, definito nel senso più ampio possibile.
Il liberale ossequia il suo piccolo e parziale campo di conoscenze e competenze, eclissando le saggezze antiche e future, quelle radicate nei cicli naturali, nelle stagioni e nella meraviglia per l'ineffabile e sconosciuto. L'attenzione incessante ed esclusiva del liberale è sul "progresso", la crescita, l'accumulazione.
Per salvarci è necessario un cambiamento radicale. Non armeggiare, non riformare, ma una visione completamente nuova che rimuova l'individuo e la sua gratificazione personale dal centro della nostra organizzazione sociale.
Questo non è contemplato per le élite che pensano che la soluzione stia in una maggiore, e non minore, dose di liberalismo. Chiunque si allontani dalle loro prescrizioni, chiunque aspiri a essere più di un tecnocrate addetto a correggere i difetti minori dello status quo, viene presentato come una minaccia. Nonostante la modestia delle loro proposte, Jeremy Corbyn nel Regno Unito e Bernie Sanders negli Stati Uniti sono stati insultati da un'élite mediatica, politica e intellettuale pesantemente investita nel perseguire ciecamente il sentiero dell'autodistruzione.
Sostenitori dello status quo
Di conseguenza, ora abbiamo tre chiare tendenze politiche.
La prima è quella dei sostenitori dello status quo, quella degli scrittori europei del più recente - e ultimo? - manifesto sul liberalismo. In ogni passaggio del manifesto dimostrano quanto siano irrilevanti, quanto incapaci nel fornire risposte alla domanda su come dobbiamo andare avanti. Si rifiutano categoricamente di guardare all'interno del liberalismo per capire cosa è andato storto e di osservare l'esterno per comprendere come salvarci.
Irresponsabilmente, questi guardiani dello status quo raggruppano la seconda e la terza tendenza nella futile speranza di preservare la loro presa sul potere. Entrambe le altre due tendenze sono derise indiscriminatamente come "populismo", come politica dell'invidia, politica della folla. Queste due tendenze alternative e opposte sono considerate indistinguibili.
Ciò non salverà il liberalismo, ma aiuterà a promuovere il peggio delle due alternative.
Chi nelle élite ha capito che il liberalismo ha fatto il suo tempo, sfrutta la vecchia ideologia predatoria del capitalismo: mentre cercano di distogliere l'attenzione dalla loro avidità e dalla difesa dei loro privilegi, seminano discordia e insinuano minacce oscure.
Le critiche dell'élite liberale formulate dai nazionalisti etnici suonano convincenti perché poggiano sulle verità del fallimento del liberalismo. Ma sono ingannevoli, non offrono soluzioni a parte il loro avanzamento personale nel sistema esistente, fallito, destinato all'autodistruzione.
Il nuovo autoritarismo [la seconda tendenza] sta tornando ai vecchi e fidati modelli del nazionalismo xenofobo, offrendo gli altri come capro espiatorio per sostenere il proprio potere. Stanno abbandonando la sensibilità ostentata e coscienziosa del liberale per continuare il saccheggio sfrenato. Se la nave affonda, rimarranno al buffet finché le acque non raggiungeranno il soffitto della sala da pranzo.
Dove può risiedere la speranza
La terza tendenza è l'unico posto in cui risiede la speranza. Questa tendenza, dei "dissidenti", comprende che è necessario un nuovo pensiero radicale. Ma dato che questo gruppo è attivamente schiacciato dalla vecchia élite liberale e dai nuovi autoritarismi, ha poco spazio pubblico e politico per esplorare le sue idee, per sperimentare, per collaborare, come è urgentemente necessario.
I social media forniscono una piattaforma potenzialmente vitale per iniziare a criticare il vecchio sistema fallito, per sensibilizzare su ciò che è andato storto, per contemplare e condividere idee radicali e mobilitarsi. Ma i liberali e gli autoritari vivono la critica come una minaccia ai loro stessi privilegi. Sotto l'isteria delle "fake news", stanno rapidamente lavorando per spegnere anche questo piccolo spazio.
Abbiamo così poco tempo, ma la vecchia guardia vuole bloccare qualsiasi possibile via per la salvezza: anche se i mari sono pieni di plastica, se le popolazioni di insetti scompaiono in tutto il mondo e il pianeta si prepara a tossire un grumo di muco infetto.
Non dobbiamo essere ingannati da questi progressisti liberatori del manifesto: i filosofi, gli storici e gli scrittori - l'ala delle pubbliche relazioni - del nostro status quo suicida. Non ci hanno avvertito della bestia che giaceva in mezzo a noi. Non hanno visto il pericolo incombere e il loro narcisismo li acceca ancora.
Non dovremmo ascoltare i guardiani del vecchio, quelli che hanno trattenuto le nostre mani, che hanno indicato un sentiero che porta l'umanità sull'orlo della sua stessa estinzione. Dobbiamo evitarli, chiudere le orecchie al canto delle loro sirene.
Ci sono piccole voci che lottano per essere ascoltate al di sopra del ruggito delle elite liberali morenti e del barrito dei nuovi autoritarismi. Devono essere ascoltate, aiutate a condividere e collaborare per offrire visioni di un mondo diverso. Un mondo dove l'individuo non è sovrano. Dove impariamo modestia e umiltà e come fare ad amare nel nostro angolo infinitamente piccolo dell'universo.
* Jonathan Cook ha vinto il Premio speciale Martha Gellhorn per il giornalismo. I suoi libri comprendono Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East (Pluto Press) e Disappearing Palestine: Israel Experiments in Human Despair (Zed Books). Il suo sito web è www.jonathan-cook.net. È un frequente collaboratore di Global Research.
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