Informazione

Le ong italiane, tra pornografia del dolore e nuovo umanitarismo
 
Sabato 29 novembre si è tenuto a Lucca il convegno "Dove va l’aiuto
umanitario? Ascesa e crisi dell’aiuto umanitario tra ambiguità e
solidarietà". Molte le organizzazioni non governative italiane
presenti. A parlare di sé. 
Sintesi a cura di Andrea Rossini, Osservatorio sui Balcani.


Dove va l’aiuto umanitario? Nell’epoca delle organizzazioni non
governative (ong) “embedded”, cioè al seguito delle truppe nelle guerre
– per l’appunto – “umanitarie”, è questa la impegnativa domanda che ICS
(Consorzio Italiano di Solidarietà), Provincia di Lucca e Scuola per la
Pace hanno posto al mondo della cooperazione italiano. Al centro del
dibattito la crisi – finanziaria e di legittimità – delle ong, e le
relazioni pericolose venutesi a creare tra politica, media, militari e
interventi umanitari. Punto di partenza della discussione – come
affermato nel documento introduttivo di Giulio Marcon, presidente di
ICS - la ricerca di un nuovo fondamento etico e politico dell’operare,
di un nuovo codice di condotta che abbia la autonomia come principio
guida, la affermazione di un intervento che sappia sempre coniugare il
legame tra effetti e cause delle crisi nelle quali le ong si trovano ad
operare.

Il convegno di Lucca riprende un dibattito avviato due anni or sono da
Osservatorio Balcani (v. Dieci anni di cooperazione con il sud est
Europa: bilancio, critiche, prospettive), arricchito in questa nuova
fase dagli elementi introdotti dopo il Kosovo dalle crisi in
Afghanistan e Iraq. Sabato a Lucca sono intervenuti in molti, proviamo
ad articolare una sintesi della discussione attorno ai punti che hanno
attraversato tutti gli interventi dei relatori.

Indipendenza

Indipendenza (Carlo Garbagnati, Emergency) politica e finanziaria
coincidono, ma l’autofinanziamento è possibile solo quando i media
accendono i riflettori su di una data situazione. Sul campo, la
indipendenza si ottiene solo con la opposizione alla guerra. In caso
contrario sei per uno dei due contendenti. L’aiuto umanitario (Raffaele
Salinari, Terre des Hommes)è entrato in crisi non per la perdita di
indipendenza, ma perchè è entrato in crisi il diritto internazionale,
sotto il fuoco incrociato di nuova destra Usa e terrorismo. Le
convenzioni internazionali non sono più applicate, e chi cerca di
praticare l’aiuto umanitario risulta schiacciato. Negli ultimi dieci
anni (Loris de Filippi, Medici Senza Frontiere Italia) ci sono stati
tre tipi di crisi: quelle in cui la comunità internazionale è
intervenuta; quella nella quali è stata coinvolta; quelle dalle quali
si è astenuta. Quante ong sono intervenute in questi anni in crisi del
terzo tipo, come in Cecenia o in Algeria? Neutralità ed indipendenza
devono essere criteri che guidano anche la valutazione delle aree in
cui intervenire. L’indipendenza si persegue (Toni Vaux, Oxfam, autore
de “L’altruista egoista”) ponendo un limite ai fondi che si ricevono da
un governo (max 30%); avendo principi chiari, sulla base dei quali
prendere le decisioni rispetto alle proposte dei donatori; mantenendo
la imparzialità tra le parti in conflitto. Imparzialità non significa
neutralità o distacco, ma essere dalla parte delle vittime e non
intervenire solamente dove ci sono i soldi. Tra ong e ditte private i
confini si stanno assottigliando: entrambi sono “contractors” di
governi. La crisi delle ong (Paolo Dieci, Cisp) è dovuta alla
sovraesposizione mediatica e politica, e alla assunzione di compiti
impropri. La nostra legittimità (Giorgio Cardone, Ics) non consiste
nella capacità di raccogliere fondi o nell’essere in televisione, ma
nella onestà intellettuale nostra e dei nostri dirigenti, nell’essere
forse meno presenti nei vari Paesi in giro per il mondo e più presenti
nel nostro. Non è sufficiente raccogliere aiuti in forma privata per
affermare la propria indipendenza (Carlo Malavolti, Cospe): i fondi –
privati o pubblici – sono sempre condizionati, e si raccolgono
solamente su argomenti di attualità. E’ necessaria invece una battaglia
perché i fondi pubblici siano gestiti democraticamente. Tutte le
raccolte fondi (Fabio Alberti, Un ponte per)sono orientate dalla
televisione.

Neutralità o politica

Le ong sono portatrici di progetti politici. Per la neutralità c’è la
Croce Rossa (Fabio Alberti, Un ponte per). Rivendichiamo il nostro
operare tra nord e sud del mondo, che ha favorito la nascita di
movimenti ed esperienze come quella di Porto Alegre. Chi in Iraq non ha
accettato di cooperare con le forze militari non lo ha fatto per una
pretesa neutralità, ma perché con gli occupati contro gli occupanti. Le
ong devono essere neutrali (David Rieff, giornalista, autore de “Il
paradosso umanitario”), che legittimità hanno per fare politica? Se non
c’è neutralità non può esserci aiuto umanitario, può esserci
qualcos’altro. Dobbiamo chiederci perché oggi in Iraq (Joe Washington,
Università di Pisa) le ong sono diventate target. Noi non siamo né
neutrali né imparziali (Eugenio Melandri, Campagna Chiama l’Africa),
lavoriamo nel nostro settore con un progetto globale di cambiamento.
Basta con gli aiuti e basta (Carlo Malavolti, Cospe), bisogna fare
chiarezza tra emergenza e cooperazione. Noi facciamo parte del Cocis,
gruppo di ong intenzionate a rimanere aderenti ad un concetto di
cooperazione come fatto politico, modo di stabilire relazioni
internazionali che comprenda la volontà di cambiare, siamo contro
approcci assistenziali che non si sforzino di avviare processi endogeni
che affrontino le cause dei problemi.

Le risorse umane e il fascino delle ong

Le ong si comportano al proprio interno secondo le stesse modalità che
affermano di voler combattere (Gianni Rufini, Fields). I problemi non
sono solo fuori ma anche dentro (Edoardo). Da 10 anni cerco di far
capire a chi me lo chiede che non sono un volontario (Giorgio Cardone,
Ics), ma che questa attività per me è un lavoro. La competizione sul
campo tra le ong per accaparrare fondi è oscena (Angela Mackay,
Fields). Bisogna fare qualcosa di buono ma anche in condizioni buone
dal punto di vista delle risorse umane, avere un buon management,
salari e un ambiente professionale, mantenendo attenzione alla
questione di genere. Sono più di 3000 (Gianluca Antonelli – Vis,
Volontari per lo Sviluppo) gli studenti che oggi in Italia seguono
masters e corsi di laurea sulla cooperazione allo sviluppo. Il nostro
settore è al centro dell’attenzione. Cosa faranno tutte queste persone
dopo l’università? [Voce dal pubblico: niente.] Per una posizione
all’interno di Amnesty (Marco Bertotto, Amnesty Italia, Ics) abbiamo
ricevuto in questi giorni più di 800 curriculum di persone che
provengono anche dal profit e sono pronti a vedere ridotto il proprio
stipendio attuale anche dei 2/3.

Dove va l’aiuto umanitario?

Dove ci sono i soldi (Gianluca Antonelli, Vis).

Lo stato delle cose

Il nuovo umanitarianesimo deve essere più legato alle esperienze locali
e al tempo stesso più assertivo sul piano politico generale,
sull’esempio di associazioni come Greenpeace. Il sistema
dell’intervento umanitario (Claudio Bazzocchi, autore de “La
balcanizzazione dello sviluppo") per come si è venuto configurando
negli ultimi anni ha avuto come obiettivo quello di porre fine alla
sovranità degli Stati e di rendere l’aiuto pubblico allo sviluppo uno
strumento per imporre piani di aggiustamento strutturale, sostituendo
ad una società civile “luogo dove le classi subalterne creano gli
strumenti per trasformare la situazione” una asfittica “classe media
dell’aiuto umanitario”. Le crisi non vanno interpretate unicamente come
prodotto di un deficit di sviluppo e ricchezza, laddove le nuove guerre
possono essere lette come progetti politici e sociali per resistere
alla globalizzazione e affermare un nuovo comunitarismo. Le ong hanno
avuto una grande responsabilità in quanto agenti del neoliberismo e
delle privatizzazioni, anche noi abbiamo contribuito a distruggere
quelle società. I poveri (Tony Vaux) e le donne lavoratrici dei Paesi
nei quali ci troviamo ad operare hanno comportamenti guidati da analisi
più scientifiche delle nostre. Senza le ong (Gianni Rufini, Fields)
staremmo ancora a parlare di apartheid, di mine antiuomo o di Tribunale
Penale Internazionale. Oggi però le ong hanno perso la parola, sono
affogate nei progettifici. Dobbiamo tornare a chiederci perché siamo
nati e al tempo stesso produrre metodologie nuove e creative.

Comunicazione, ricerca

Le ong devono dotarsi di strumenti di analisi adeguati per poter agire
nei contesti delle nuove guerre, cui partecipano non solo gli eserciti
ma anche la gente, e nelle quali la povertà gioca un ruolo fondamentale
(Tony Vaux). L’unica comunicazione che sembra funzionare (Andrea Segre,
Ics, Unità di Comunicazione Creativa) è quella che alimenta lo
spettacolo, la pornografia del dolore o la compassione sui bambini,
mente l’elemento critico deve essere la distanza: dobbiamo ridurre la
distanza tra coloro i cui racconti raccogliamo e gli spettatori,
coinvolgendo i primi nel racconto come autori e dando la parola
(“attiva”) ai secondi, rompendo un meccanismo di spot che prevede come
unico strumento di relazione il dono. In un mercato della comunicazione
occupato da poche grandi ong, noi siamo incapaci di agire(Marco
Bertotto, Amnesty Italia, Ics), così come siamo incapaci di fare
politica e lobby seriamente, uscendo dalla mera affermazione di slogans.

E’ Giulio Marcon, alla fine, a sottolineare come il disordine del
dibattito rifletta la situazione del mondo della cooperazione oggi:
“Siamo parte del movimento contro la globalizzazione neoliberista e in
certi momenti ne siamo (o rischiamo di esserne) strumenti. Scopo della
giornata era anche quello di far emergere questo problema. Tenendo a
mente tuttavia che in Italia esistono oggi circa 1450 gruppi e
associazioni che fanno solidarietà internazionale e che non hanno
niente a che vedere né con il business né con il parastato. Questi sono
il nostro riferimento.” Proprio una rappresentante di questi gruppi
(Laura Cocci, Lodi per Mostar) aveva preso la parola nella parte finale
di una discussione quasi completamente maschile: “Siamo nati durante il
conflitto in ex Yugoslavia per creare ponti di pace e solidarietà tra
comunità locali: mi sento estranea a questo dibattito, noi non ci
sentiamo in crisi e continuiamo con le nostre attività come in passato.”

Il circo umanitario è tale anche perché sia gli spettatori che, in
qualche modo, gli attori, tendono a costruire un immaginario unico e
indistinto di persone e gruppi occupati a “fare del bene”. Il convegno
di Lucca ha contribuito su questo a fare chiarezza, presentando uno
scenario ancora molto diversificato tra ong “embedded”, chi si occupa
di emergenza e chi di sviluppo o di relazioni tra comunità. Sul campo,
tuttavia, le recenti crisi internazionali tendono sempre più ad
affermare un modello unico, per ciò stesso ambiguo, di aiuto
umanitario, basato sulla emergenza, lontano dalle istanze della
cooperazione allo sviluppo modello anni ’60 e ’70 – peraltro già in
crisi - che recava nel proprio dna un chiaro progetto di trasformazione
del mondo, o dalle nuove forme di cooperazione decentrata affermatesi
nei Balcani. Con questo modello unico dovrà confrontarsi in futuro in
maniera sempre più stringente il mondo della cooperazione. Partendo
dalla ricerca e affermazione di un linguaggio e di forme di
comunicazione nuove. Lontane dalla pornografia del dolore. E anche da
categorie ormai inutilizzabili. Come quella dell’umanitario.

 
» Fonte: © Osservatorio sui Balcani
 
www.osservatoriobalcani.org
NEWSLETTER SETTIMANALE DELL'OSSERVATORIO SUI BALCANI n.   48/2003

il manifesto - 04 Dicembre 2003

«Vittime delle armi all'uranio»

Uno studio rivela: metalli pesanti nei soldati italiani impegnati in
Bosnia e Kosovo
ANGELO MASTRANDREA
ROMA

Mercurio, antimonio, zirconio, tungsteno, piombo, titanio, acciaio,
cobalto. Sono loro i responsabili di tumori, linfomi, malformazioni
genetiche e aborti spontanei che stanno colpendo militari e civili
impegnati in zone di guerra come la Bosnia e il Kosovo. E l'uranio? Non
c'è materialmente ma è ugualmente responsabile, in quanto queste
sostanze trovate nei linfonodi come nei polmoni o nello sperma dei
malati si liberano nell'aria solo ad altissime temperature, «3 mila
gradi centigradi» come spiega la dottoressa Antonietta Gatti
dell'università di Modena, che ha curato un progetto europeo nel quale
sono stati esaminati diversi soldati impegnati nei Balcani e in seguito
ammalatisi. Dunque sono state con ogni probabilità respirate o ingerite
attraverso il cibo in seguito a bombardamenti con proiettili all'uranio
impoverito o al tungsteno, gli unici capaci di raggiungere queste
temperature. I risultati dello studio, illustrati ieri a Montecitorio,
ribaltano le conclusioni della commissione Mandelli, istituita
dall'allora ministro Mattarella, che per la verità nella terza e ultima
relazione raccomandava ulteriori indagini, e riaprono la questione
dell'inquinamento postbellico nei Balcani, ma anche in altre zone di
guerra come la Somalia, l'Afghanistan e l'Iraq. Inquinamento
fondamentalmente da metalli pesanti, di cui stanno facendo le spese i
militari impiegati, ultimo in ordine di tempo il generale Fernando
Termentini, impegnato in particolare con l'ong Intersos nello
sminamento nei Balcani come in Afghanistan. Ma soprattutto le
popolazioni civili, come testimonia un reportage sulla Bosnia di
Sigfrido Ranucci trasmesso ieri mattina da Rainews24 e Rai3, «Vittime
di pace», che mostra come molti bambini nati con malformazioni o malati
di tumori e linfomi siano inviati a curarsi anche in Italia e come nei
dintorni di Sarajevo siano aumentati in maniera consistente i casi di
linfoma di Hodgkin. I motivi li spiega la dottoressa Gatti: «L'aerosol
respirato, così come ciò che si mangia, finisce nel sangue e da qui nel
fegato e in altri organi, dove i metalli pesanti, non biodegradabili,
si depositano. I linfonodi possono essere considerati un po' la
spazzatura dell'organismo, per cui accumulano più particelle e sono
maggiormente a rischio».

Solo in Bosnia, nel `95 sono stati sparati 10.800 proiettili
anticarro, ognuno dei quali con un rivestimento di 300 grammi di uranio
impoverito, e 13 missili Tomahawk, si sospetta con diversi chili di
uranio visto che nei dintorni del cratere è stata riscontrata una certa
radioattività. Solo ad Hadzici, alla periferia di Sarajevo, sono stati
sparati 3.400 proiettili, e in cinque anni i tumori sono aumentati del
70 per cento. Dei militari tornati dai Balcani, dal `95 in poi, se ne
sono ammalati 263, 23 dei quali sono morti. Il padre del caporal
maggiore Luca Sepe, tornato dal Kosovo con un linfoma e la cui ragazza
ha avuto un aborto spontaneo, denuncia l'assenza dello stato «che non
ha alcun rispetto per questi drammi». Salvatore Antonacci, un figlio
sottufficiale in Bosnia morto per tumore, racconta: «Il 4 novembre del
2000 ho scritto una lettera al procuratore militare di Roma Intelisano.
Non ho ancora ricevuto una risposta». E ancora: «Non chiediamo
risarcimenti. Vogliamo che i nostri figli vengano ricordati come i
morti di Nassiriya».

Uno schieramento trasversale che va dal leghista Eduard Ballaman,
questore della Camera, al senatore di Rifondazione Luigi Malabarba,
passando per l'ex generale e senatore diessino Lorenzo Forcieri, ora
chiede l'istituzione di una commissione parlamentare d'inchiesta,
sostenuto dall'Osservatorio creato dal maresciallo Domenico Leggiero
per raccogliere materiale e assistere anche legalmente le vittime. «In
Italia c'è una catena di depistaggi e di omertà vergognosa che fa
letteralmente a pugni con la retorica patriottarda sui nostri "ragazzi
eroi"», dice Malabarba, che accusa il ministero della Difesa di
rifiutarsi di «fornire al Parlamento i dati sui militari italiani
ammalati di leucemia dopo le missioni di guerra». Per questo o si
istituisce immediatamente una commissione d'inchiesta oppure «Martino
si dimetta».

http://www.balkans.eu.org/article3842.html

FERAL TRIBUNE

Croatie : après les élections, nouvelles inculpations ?

TRADUIT PAR JEAN-ARNAULT DÉRENS
Publié dans la presse : 22 novembre 2003
Mise en ligne : mardi 25 novembre 2003


Le TPI préparerait trois nouvelles inculpations contre des responsables
croates de haut rang. Le Premier ministre sortant, Ivica Racan, en
était probablement informé. Ces inculpations vont représenter le
baptême du feu pour Ivo Sanader, le dirigeant du HDZ, qui a déclaré
durant la campagne électorale qu’il était prêt à coopérer avec la
juridiction internationale.

Par Ivica Djikic


Ivo Sanader, président du HDZ et futur Premier ministre, va très vite
avoir l’occasion de démontrer s’il était sincère quand il se
prononçait, ces derniers jours, en faveur de la coopération avec le
Tribunal pénal international de La Haye (TPI) : Carla del Ponte tient
sous le coude trois nouvelles accusations contre des citoyens croates,
qui devraient être envoyées à Ivo Sanader dès qu’il aura pris ses
fonctions. Une sorte de cadeau de félicitation pour son succès
électoral. Si Ivica Racan restait Premier ministre, d’ailleurs, les
choses se passeraient de la même manière. Il semble bien que Racan
était au courant de ce scénario, et il a profité de l’inculpation de
Milan Babic, le chef de l’insurrection serbe en Krajina, pour déclarer
que « le Tribunal de La Haye est impartial ». Il s’agissait de préparer
l’opinion publique à ces inévitables nouvelles inculpations de
« chevaliers » croates.

La Chambre d’accusation du TPI a achevé la rédaction d’inculpations
contre le général de police Mladen Markac, ancien chef des unités
spéciales de la police croate, contre Tomislav Mercep, actuel président
du marginal Parti populaire croate (Hrvatska Pucka Stranka, HPS) et qui
avait en 1991 de larges compétences sur une grande part de la Croatie.
Le dernier inculpé est le général Damir Krsticevic, ancien commandant
de la IVe brigade de la Garde de l’armée croate.

Selon les sources de Feral à La Haye, Mladen Markac serait inculpé des
crimes de guerre commis par les forces croates lors de l’opération de
la « poche de Medak », en Slavonie occidentale, au printemps 1993. Dans
cette opération, le général a mobilisé les forces spéciales de la
police, aux côtés de la IXe brigade de la Garde, commandée par le
général Mirko Novac. L’opération s’est soldée par la mort de dizaines
de civils serbes. Le livre du général Janko Bobetko, « Toutes mes
batailles », témoigne du rôle de Mladen Markac dans la poche de Medak.
Bobetko cite élogieusement le général Markac qui, lors de courts
entretiens avec les enquêteurs du TPI, a essayé, mais sans succès, de
rejeter sa responsabilité dans ces événements.

Mais le procès du général Markac n’épuiserait pas le dossier de la
poche de Medak. L’accusation pourrait également impliquer le général
Mirko Norac (le procès de celui-ci, dans ce cas, se poursuivrait hors
de Croatie), et pourrait finalement arriver jusqu’à Ivan Jarnjak,
ancien ministre de la Police.

L’accusation contre Tomislav Mercep ferait état de meurtres et de
mauvais traitements contre les civils serbes de Vukovar à l’été 1991.
Alors chef du HDZ dans la ville de Vukovar, Tomislav Mercep a ensuite
été rappelé à Zagreb où il est devenu ministre-adjoint de la police. Il
est considéré comme le principal responsable des dizaines de corps qui
ont été retrouvés dans le Danube, et des dizaines de maisons et de
commerces serbes incendiés ou détruits à Vukovar. Le TPI a entendu
beaucoup de témoins serbes, mais aussi croates, de Vukovar à propos des
activités de Mercep dans cette ville : particulièrement importante est
la déposition de Ferdinand Jukic, principal chef de la police de
Vukovar en 1991, qui accuse Mercep de la majorité des crimes commis
durant cet été dans la ville.


Le massacre de Mrkonjic Grad

Le général Damir Krsticevic serait accusé de crimes contre les civils
serbes durant l’opération « Coup au sud » à Mrkonjic Grad, en
Bosnie-Herzégovine. En raison de cette implication des troupes croates
en Bosnie en octobre 1995, l’accusation contre le général Ante Gotovina
pourrait rapidement être élargie. Le général Krsticevic commandait la
IVe brigade de la Garde, qui est entrée le 10 octobre 1995 dans la
ville de Mrkonjic Grad, et dont l’ancien commandant Andrija Matas Pauk
est mort ce jour même dans les violents combats qui ont eu lieu dans
les faubourgs de la ville. Les soldats de Krsticevic se sont vengés par
un bain de sang : ils ont tué 181 personnes, dont les corps ont été
exhumés au début de l’année 1996 du cimetière orthodoxe de Mrkonjic
Grad. Les examens ont démontré que les Serbes de Mrkonjic Grad, parmi
lesquels se trouvait un homme âgé de 90 ans, ont été tués par des armes
à feu, des couteaux, et des balles tirées à bout portant dans la tête.

Damir Krsticevic a participé à ce massacre, et il ne lui était jamais
passé par la tête de remettre à la justice les soldats responsables de
cette tuerie placés sous ses ordres. Ante Gotovina, qui commandait
l’opération « Coup au sud » depuis les positions de Sipovo, où étaient
assiégés les généraux Zeljko Glasnovic et Ljobo Cesic Rojs, n’a jamais
témoigné contre Damir Krsticevic, alors qu’il savait - ou qu’il devait
savoir - ce qui s’était passé à Mrkonjic Grad.

Ante Gotovina pourrait donc être également inculpé pour ne pas avoir
empêché la sanglante vengeance de la IVe brigade de la Garde, pour ne
pas avoir diligenté d’enquête et pour ne pas avoir puni les coupables.
Il n’existe aucune trace suggérant qu’Ante Gotovina aurait pu
s’inquiéter à ce sujet, et ses avocats devraient très prochainement
recevoir des informations sur cet élargissement de l’acte d’accusation.
Les seules traces écrites de ces opérations sont le livre « Les
attaques et les opérations de l’armée croate et du HVO », publié en
1996 qui, comme d’ailleurs tous les livres écrits par les généraux
croates, offre une excellente base pour rédiger une inculpation contre
son auteur.


© Tous droits réservés Feral Tribune
© Le Courrier des Balkans pour la traduction

Les opinions exprimées
sont celles des auteurs et ne reflètent pas nécessairement
les opinions du Courrier des Balkans.

Da: ICDSM Italia
Data: Mer 10 Dic 2003 20:14:21 Europe/Rome
A: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Oggetto: [icdsm-italia] War criminal Wesley Clark to testify against
Milosevic


> War criminal Wesley Clark to testify against Milosevic (by John
> Catalinotto)
> http://www.workers.org/ww/2003/milosevic1211.php


War criminal Wesley Clark to testify against Milosevic


By John Catalinotto

News item: Gen. Wesley Clark, NATO commander during the 1999 war
against Yugoslavia and current U.S. presidential candidate, will
testify for the prosecution in closed hearings on Dec. 15-16 in The
Hague, Netherlands, at the war-crimes trial of former Yugoslav
President Slobodan Milosevic.


This news is like a nightmare with ingredients that even the Czech
writer Franz Kafka would have been incapable of inventing. A kangaroo
court without fixed rules. A war criminal bearing secret witness. A
head of state charged with war crimes for attempting to keep his
once-socialist and independent country from becoming a colony.

But this absurd trial was manufactured to cover the crimes of the
invaders of the Balkans and rewrite the history of that region's latest
wars.

After World War II, the overturn of capitalist property relations in
most of Eastern Europe came about through reliance on the Soviet Red
Army, which had overthrown the Nazi-collaborator governments there.
With the fall of the USSR more than four decades later, these countries
quickly reverted to capitalism and were penetrated by Western
investments and takeovers.

Not Yugoslavia. Yugoslav partisans had liberated the country from
German imperialism in 1945. The Communist Partisans then succeeded in
uniting the six republics that made up the new Yugoslavia and overthrew
capitalism at the same time. The 1989-1991 Soviet collapse left Yugo
slavia exposed and vulnerable, but still with an army and party loyal
to independence and to what remained of socialist property relations.

This army and party resisted 10 years of subversion, intervention in
Yugoslavia's internal affairs, economic sanctions, NATO military
intervention in 1995 in Bosnia and a 78-day bombing campaign of
civilian targets in 1999. Finally the United States and the Western
European imperialist powers were able to tear apart Yugoslavia. Blatant
financial subversion of the September 2000 elections combined with
military threats overthrew Milosevic and left what remained of Yugo
slavia--Serbia and Montenegro--open to the current U.S.-German takeover.

German capital owns Serbia's newspapers and magazines. U.S. Steel
recently bought the state-of-the-art Sartid steel complex in Smederevo,
Serbia, for a mere $23 million, paying its 9,000 skilled workers the
equivalent of 50 cents an hour.

Meanwhile, Yugoslav workers are trying to resist the ongoing
privatization of industry in their occupied country. And President
Milosevic, much different from a confused Kafka character, is defending
himself before the so-called International Criminal Tribunal for the
Former Yugoslavia. Through his determined self-defense, he has become a
symbol of Yugoslav resistance to U.S.-NATO rule.

Kangaroo court rewrites history

After overthrowing him, the imperialist powers wanted to punish
Milosevic and all Serbs for the resistance they put up for 10 years.
Their instrument was the NATO-created court, the ICTY, operating under
United Nations auspices. By putting Milosevic and hundreds of others
from the Balkans, mostly Serbs, on trial in The Hague, NATO leaders
placed blame on the Serbs for the Balkans tragedy they themselves
caused.

But the tribunal is inherently illegal. The UN has no authority to
create international tribunals. The ICTY is by definition unjust and
unequal because it is a one-time, one-issue court and only Yugo slavs
can be brought before it.

In Milosevic's case, the ICTY brought charges against him in May
1999--during the 78-day NATO bombing campaign--with the express purpose
of pressuring him to concede.

It is a star-chamber court.

Over 200 prosecution witnesses have testified since Feb. 12, 2002, when
the trial opened. The ICTY's star-chamber character is most apparent
with the appea rance of Gen. Clark. The Bush administration allowed him
to testify only under strict limitations.

According to a Nov. 19 ICTY announcement, the public gallery of the
ICTY will be closed during the course of Clark's testimony. In
addition, "the broadcast of the testimony [will] be delayed for a
period of 48 hours to enable the U.S. government to review the
transcript and make representations as to whether evidence given in
open session should be redacted in order to protect the national
interests of the U.S."

In other words, Clark's testimony and Milosevic's cross-examination
will be censored.

But Clark already published his observations in his 2001 book, "Waging
Mod ern War." The Kosovo war, he writes, "was coercive diplomacy, the
use of armed forces to impose the political will of the NATO nations on
the Federal Republic of Yugoslavia, or more specifically, on Serbia.
The NATO nations voluntarily undertook this war."

Interviewed in the Nov. 29 Junge Welt, a Berlin daily newspaper, key
Milosevic aide Vladimir Krsljanin said, "I consider these conditions
the Bush regime set as a sign of fear."

Given his skills in cross-examination, the Yugoslav leader could easily
expose Clark as a war criminal of the worst sort. Clark, along with
Bill Clinton, Tony Blair, Gerhardt Schroeder and other Western leaders,
committed a "crime against peace" by plotting the war and pillage of
Yugoslavia. An open session with Clark would make this clear.


Reprinted from the Dec. 11, 2003, issue of Workers World newspaper

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distribute verbatim copies of this document, but changing it is not
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intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC