Informazione

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La responsabilità degli intellettuali:
Cuba, gli Usa e i diritti umani

di James Petras
1/5/2003


Ancora una volta gli intellettuali sono stati al centro del dibattito;
questa volta sulla questione dell'imperialismo statunitense e dei
diritti umani a Cuba. "Quant'è importante il ruolo degli
intellettuali?", mi sono chiesto mentre camminavo attraverso Puerto del
Sol a Madrid in un assolato sabato pomeriggio (26 aprile 2003) e
sentivo gli slogan contro Castro di poche centinaia di dimostranti
echeggianti nella piazza vuota. Nonostante le dozzine di articoli e
colonne di opinionisti di noti intellettuali nei maggiori quotidiani
madrileni, le ore di propaganda radiotelevisiva e il sostegno dei più
importanti burocrati sindacali e boss di partito, soltanto 700-800, per
la maggior parte cubani esiliati, hanno attaccato Cuba. "È chiaro",
pensavo, "gli intellettuali anti-cubani riescono a chiamare poca gente
in piazza, almeno in Spagna". Ma l'impotenza politica degli scrittori
anti-castristi non significa che in generale gli intellettuali non
giochino un ruolo importante; né la mancanza di un seguito popolare
vuol dire che sono senza risorse, specialmente se hanno l'appoggio
della macchina propagandistica di guerra statunitense, che amplifica e
diffonde le loro parole nel mondo. Al fine di venire a capo del
dibattito che si è scatenato tra gli intellettuali sulla questione dei
diritti umani a Cuba e l'imperialismo statunitense è importante fare un
passo indietro ed esaminare il ruolo degli intellettuali, il contesto e
le principali questioni che fanno da cornice al conlitto Usa-Cuba.

Il ruolo degli intellettuali

Il ruolo degli intellettuali è di chiarire le principali questioni e
definire le principali minaccie alla pace, alla giustizia sociale,
all'indipendenza nazionale e alla libertà in ogni periodo storico così
come identificare e sostenere i maggiori difensori degli stessi
principi. Gli intellettuali hanno la responsabilità di distinguere tra
le misure difensive prese dalle nazioni e dai popoli sotto attacco
imperiale e i metodi offensivi delle potenze imperiali conquistatrici.
È il colmo dell'ipocrisia impegnarsi nell'equivalenza morale tra la
violenza e la repressione delle nazioni imperiali conquistatrici con
quella delle nazioni del Terzo Mondo sotto l'attacco militare e
terrorista.
Gli intellettuali responsabili esaminano criticamente il contesto
politico e analizzano le relazioni tra il potere imperiale e i suoi
agenti locali pagati che vengono descritti come "dissidenti"; essi non
emettono decreti morali sulla base dei loro scarsi lumi e dei loro
imperativi politici. Gli intellettuali impegnati che pretendono di
parlare con autorità morale, specialmente coloro che pretendono di
essere critici dell'imperialismo, hanno la responsabilità politica di
demistificare il potere e la manipolazione statale e mediatica,
particolarmente in relazione alla retorica imperiale della violazione
dei diritti umani da parte degli stati del Terzo Mondo indipendenti.
Abbiamo visto negli ultimi tempi molti autoproclamati intellettuali
occidentali "progressisti" sostenere o restare in silenzio rispetto
alla distruzione della Jugoslavia da parte degli Usa, alla pulizia
etnica di oltre 250.000 serbi, zingari e altri gruppi in Kosovo, dando
a bere la propaganda statunitense dell'"intervento umanitario". Tutti
gli intellettuali statunitensi (Chomsky, Zinn, Wallerstein, ecc.)
appoggiarono la violenta rivolta in Afghanistan dei fondamentalisti
finanziata dagli Usa contro il governo laico appoggiato dall'Unione
Sovietica; con il pretesto che l'Unione Sovietica aveva "invaso" e che
i fanatici fondamentalisti arrivavano nella nazione da tutto il mondo
erano diventati i "dissidenti" che difendevano l'"autodeterminazione".
All'epoca, una palese manovra propagandistica eseguita con successo
dall'arrogante ex Consigliere per la sicurezza nazionale Zbignev
Breszinski.
Come allora prestigiosi intellettuali esibiscono le loro passate
credenziali quali "critici" della politica estera statunitense per
conferire credibilità alla loro disinformata denuncia della presunta
colpa morale di Cuba, paragonando gli arresti da parte di Cuba di
agenti pagati dal Dipartimento di stato statunitense e l'esecuzione di
tre terroristi dirottatori con i crimini di guerra genocidi
dell'imperialismo statunitense. I professionisti degli equivalenti
morali applicano un microscopio a Cuba e un telescopio agli Usa, il che
conferisce loro una sicura accettabilità tra i settori liberali
dell'impero.

Imperativi morali e realtà cubane: la moralità come disonestà

Gli intellettuali sono divisi riguardo al conflitto Usa-Cuba:
Benedetti, Sastre, Petras, Sanchez-Vazquez e Pablo Gonzalez Casanova e
molti altri difendono Cuba; gli intellettuali di destra inclusi Vargas
Llosa, Savater e Carlos Fuentes si sono prevedibilmente prodotti nei
loro usuali attacchi contro Cuba, mentre una piccola schiera di
intellettuali per altri aspetti progressisti – Chomsky, Galeano,
Saramago, Sontag, Zinn e Wallerstein – si sono uniti al coro di coloro
che condannano Cuba, ostentando le loro passate posizioni critiche
nello sforzo di distinguersi dagli oppositori cubani della
destra/Dipartimento di stato.
È quest'ultimo gruppo "progressista" che ha causato il danno maggiore
tra il nascente movimento anti-imperialista ed è a costoro che sono
dirette queste osservazioni critiche. La moralità basata sulla
propaganda è una miscela mortale, in particolare quando i giudizi
morali provengono da prestigiosi intellettuali di sinistra e la
propaganda proviene dall'amministrazione di estrema destra di Bush.
Molti dei critici "progressisti" di Cuba riconoscono in generale che
gli Usa sono stati degli ostili aggressori nei confronti di Cuba e
"generosamente" riconoscono il diritto di Cuba all'autodeterminazione,
poi si lanciano in una serie di accuse non provate e di travisamenti
privi di qualsiasi particolare contesto che possa servire a chiarire le
questioni e fornire delle basi ragionevoli per gli … "imperativi
morali".
È meglio cominciare con il fatto fondamentale. I critici di sinistra,
sulla base delle etichette del Dipartimento di stato statunitense,
denunciano il governo cubano per la repressione di individui,
dissidenti, inclusi giornalisti, proprietari di librierie private e
membri di partiti politici impegnati in attività politiche
non-violente, i quali tentavano di esercitare i loro diritti
democratici. Ciò che i "progressisti" mancano di riconoscere o non sono
disposti ad ammettere è che coloro che sono stati arrestati erano
agenti pagati dal governo statunitense. Secondo l'Agency of
International Development (AID, Agenzia per lo Sviluppo
Internazionale), la principale agenzia federale statunitense che si
occupa delle concessioni e dei prestiti per il perseguimento della
politica estera statunitense, con l'USAID Cuba Program (come risulta
dal Helms-Burton Act del 1996) ha destinato oltre 8,5 milioni di
dollari agli oppositori cubani del regime di Castro sin dal 1997 per
pubblicare, organizzare incontri, fare propaganda in favore del
rovesciamento del governo cubano, coordinandosi con una diverse ONG
statunitensi, università, fondazioni e altri gruppi di facciata. (Il
profilo dell'USAID Cuba Program è sul sito web dell'AID).
L' U.S.AID program, diversamente dalla pratica usuale, non indirizza i
pagamenti al governo cubano, ma direttamente ai suoi clienti cubani
"dissidenti". I criteri per ottenere i fondi sono chiaramente
formulati: per ricevere i pagamenti e i contributi bisogna aver
dimostrato un chiaro impegno per il "cambiamento di regime" diretto
dagli Usa verso il "libero mercato" e la "democrazia", senza dubbio
simile alla dittatura coloniale statunitense in Iraq. La legge
Helms-Burton, il U.S.AID Cuba Program e i loro agenti pagati, come il
manifesto progressista statunitense, " condannano la mancanza di
libertà a Cuba, l'arresto di dissidenti innocenti e chiedono un
cambiamento di regime a Cuba".
Strane coincidenze che richiedono alcune analisi. I giornalisti cubani
che hanno ricevuto 280.000 dollari dal Cuba Free Press – una facciata
dell'AID – non sono dissidenti ma agenti pagati. I gruppi cubani per i
"diritti umani" che hanno ricevuto 775,000 dalla "Freedom House", una
facciata della CIA, non sono dissidenti, specialmente quando la loro
missione è quella di promuovere una "transizione" (rovesciamento) del
regime cubano. La lista di contributi e finanziamenti ai "dissidenti"
(agenti) cubani da parte del governo statunitense per il perseguimento
della politica statunitense è lunga e dettagliata e accessibile a tutti
i critici morali progressisti.
Il fatto è che gli oppositori imprigionati erano agenti pagati dal
governo statunitense, pagati per mettere in atto i fini
dell'Helms-Burton Act sulla base dei criteri dell'U.S.AID e sotto la
guida e la direzione dei vertici Usa. La Interest Section ad Havana.
Tra il 2 settembre 2002 e il marzo 2003 James Cason, capo dalla
statunitense Interest Section, ha tenuto dozzine di incontri con i suoi
"dissidenti" cubani a casa e in ufficio, fornendo loro istruzioni e
linee guida su cosa scrivere, come reclutare, mentre pubblicamente, nel
modo meno diplomatico, predicava contro il governo cubano.
Gli agenti cubani di Washington sono stati riforniti dall'USAID di
attrezzature elettroniche e altri strumenti per la comunicazione, di
libri e soldi per finanziare "sindacati" filo-statunitensi attraverso
l'"American Center for International Labor Solidarity" (una facciata
statunitense). Questi non erano "dissidenti" ben intenzionati ignari di
chi li pagava e del loro ruolo di agenti statunitensi, dal momento che
il documento di USAID dichiara (nella sezione intitolata "Il contesto
istituzionale statunitense"): "Il Programma Cubano è finanziato
attraverso l'Economic Support Fund, il quale è finalizzato a sostenere
gli interessi economici e politici esteri degli Stati Uniti fornendo
assistenza finanziaria agli alleati (sic) e alle nazioni in transizione
verso la democrazia".
Nessuna nazione al mondo tollera o classifica i propri cittadini che
sono pagati e lavorano per gli interessi imperiali di una potenza
straniera come "dissidenti". Questo è vero specialmente per gli Usa: al
capitolo 18, paragrafo 951 del Codice statunitense, si legge: "chiunque
operi all'interno degli Stati Uniti sotto la direzione o il controllo
di un governo o di funzionari stranieri sarà soggetto al procedimento
penale e alla condanna a dieci anni di prigione". A meno che,
naturalmente, non siano registrati come agenti o lavorino per il
governo israeliano. Gli intellettuali "progressisti" statunitensi
abdicano alle loro responsabilità come analisti e critici e accettano
così come viene presentata la descrizione di agenti pagati dagli Usa
come dissidenti che lottano per la "libertà".
Alcuni difensori dei dissidenti pagati dagli Usa sostengono che questi
hanno ricevuto "delle condanne scandalosamente lunghe". Ancora la
miopia empirica si mescola al moralismo mendace. Cuba è ad un passo
dalla guerra. Il governo Bush ha dichiarato che Cuba è nella lista
degli obiettivi militari soggetti a guerra e distruzione di massa. E
nel caso i nostri intellettuali moralisti non lo sappiano: ciò che
Bush, Rumsfeld e i sionisti guerrafondai nell'amministrazione dicono,
quello fanno. La totale mancanza di serietà degli imperativi morali di
Chomsky, Zinn, Sontag, Wallerstein consiste nel fatto che essi mancano
di riconoscere l'imminente e massiccia minaccia, annunciata in
anticipo, di una guerra statunitense con armi di distruzione di massa.
Questo è particolarmente grave visto che molti dei detrattori di Cuba
vivono negli Usa, leggono la stampa statunitense e sanno come
prontamente le dichiarazioni militaristiche sono seguite dalle azioni
genocide. Ma i nostri moralisti non si preoccupano per nulla del
contesto, delle minacce immediate o prossime a Cuba, essi ignorano
facilmente tutto ciò per dimostrare al Dipartimento di stato che essi
si oppongono alla politica statunitense, ma si oppongono anche alle
nazioni indipendenti, sistemi o leader che si oppongono agli Usa. In
altre parole, signor Ashcroft quando prendi delle misure contro gli
"apologeti" del "terrore" cubano, ricorda che noi siamo differenti,
anche noi chiediamo un cambiamento di regime.
I critici di Cuba ignorano il fatto che gli Usa hanno una strategia a
doppio binario, militare e politica, per mettere sotto controllo Cuba
già operativa. Washington fornisce l'asilo per i terroristi che
dirottano gli aerei, incoraggiando gli sforzi per destabilizzare
l'economia cubana che si basa sul turismo; inoltre essa lavora in
stretta collaborazione con la terrorista Cuban American Foundation
impegnata nel tentativo di assassinare i leaders cubani. Nuove basi
militari statunitensi sono state stabilite nella Repubblica Dominicana,
Colombia, El Salvador ed inoltre c'è un campo di concentramento in
espansione a Guantanamo, tutto per facilitare l'invasione. L'embargo
statunitense sta per essere rafforzato con l'appoggio dei regimi di
destra di Berlusconi e Aznar in Italia e Spagna. L'attività aggressiva
e apertamente politica di James Cason dell'Interest Section in linea
con i suoi seguaci tra gli agenti pagati/"dissidenti" è parte di una
strategia interna diretta a minare la lealtà dei cubani al regime e
alla rivoluzione.
L'interconnessione tra le due tattiche e la loro strategica convergenza
è ignorata da i nostri prestigiosi critici intellettuali che
preferiscono concedersi il lusso di emettere imperativi morali riguardo
alla libertà dovunque e per chiunque, anche quando gli psicotici di
Washington mettono il coltello alla gola a Cuba. No grazie, Chomsky,
Sontag, Wallerstein, Cuba ha tutte le ragioni per dare un calcio nelle
palle a chi la vuole attaccare e spedirlo a tagliare canna da zucchero
per guadagnarsi onestamente da vivere. La pena di morte per i tre
terroristi del traghetto è una misura dura, ma così è stata la minaccia
alla vita dei quaranta passeggeri cubani che hanno rischiato la morte
nelle mani dei dirottatori. Ancora i nostri moralisti dimenticano di
discutere le azioni avventate di pirateria aerea e gli altri complotti
che sono stati scoperti.
I moralisti non capiscono perché questi disperati terroristi hanno
cercato di lasciare Cuba con mezzi illegali. L'amministrazione Bush ha
praticamente eliminato i permessi per gli emigranti cubani che
desiderano partire. I permessi si sono ridotti da 9000 per il primo
mese del 2002 a 700 nel 2003. Questa è un'abile tattica per
incoraggiare le azioni terroristiche a Cuba e poi denunciare la durezza
delle condanne, evocando il coro delle lamentazioni dei progressisti
statunitensi e dell'establishment intellettuale europeo. È la pura
ignoranza che informa questi pronunciamenti morali contro Cuba o vi è
dell'altro (ricatto morale?), per spingere la controparte cubana a
rivolgersi contro il proprio regime o siamo di fronte all'obbrobio di
prestigiosi intellettuali, che temono di diventare ulteriormente
isolati e stigmatizzati come "apologeti di Castro".
Minacce esplicite da parte di Saramago di abbandonare i suoi amici
cubani e di abbracciare la causa degli agenti pagati dagli Usa. Minacce
di non visitare più Cuba e di boicottare le conferenze. È la codardia
morale che spinge a raccogliere il manganello imperiale e tirarlo in
testa a Cuba quando si trova di fronte alla minaccia delle distruzioni
di massa rispetto alla libertà di agenti pagati, soggetti a
procedimento giudiziario in qualsiasi nazione del mondo? Ciò che è
fortemente disonesto è ignorare totalmente i vasti risultati della
rivoluzione nel lavoro, educazione, salute, eguaglianza e l'eroica
opposizione di principio di Cuba alle guerre imperiali – l'unica
nazione a dichiararlo – e la sua capacità di resistere a quasi
cinquant'anni di invasione. Ciò non conta nulla per gli intellettuali
statunitensi, ciò è scandaloso!! Questa è una disgrazia, una ritirata
in cerca di rispettabilità dopo aver "osato" di opporsi alla guerra
statunitense insieme a 30 milioni di persone in tutto il mondo. Non è
il momento di "bilanciare" le cose, condannando Cuba, chiedendo un
cambiamento di regime, appoggiando la causa degli agenti/dissidenti
cubani "orientati al mercato".
Ricordiamo che gli stessi intellettuali progressisti hanno appoggiato i
"dissidenti" nell'Europa dell'Est e nell'Unione Sovietica finanziati da
Soros e dal Dipartimento di stato statunitense. I "dissidenti" hanno
consegnato la nazione alla mafia russa, l'aspettativa di vita è
diminuita di cinque anni (oltre 10 milioni di russi sono morti
prematuramente con lo smantellamento del sistema sanitario nazionale),
mentre in Europa dell'Est i "dissidenti" hanno chiuso il cantiere
navale di Danzica, si sono arruolati nella Nato e hanno fornito i
mercenari per la conquista statunitense dell'Iraq. E mai tra questi
attuali sostenitori dei "dissidenti" cubani c'è stata una riflessione
critica degli esiti catastrofici prodotti dalle loro diatribe
anticomuniste e dai loro manifesti in favore dei "dissidenti" che sono
diventati i soldati dell'impero statunitense del Medio Oriente e
dell'Europa Centrale. I nostri moralisti statunitensi mai, ripeto, mai
hanno riflettuto criticamente del loro fallimento morale, passato o
presente perché, come potete vedere, essi sono per la "libertà
dovunque", anche quando le persone "sbagliate" prendono il potere,
mentre milioni muoiono di malattie curabili e le catene della schiavitù
si espandono.
La replica è sempre la stessa: "Questo non è quello che volevamo – noi
siamo per una società indipendente, libera e giusta – è accaduto
soltanto che chiedendo un cambiamento di regime, appoggiando i
dissidenti, non abbiamo mai sospettato che l'Impero avrebbe 'preso
tutto', sarebbe diventato l'unica superpotenza impegnata a colonizzare
il mondo". Gli intellettuali morali devono accettare la responsabilità
politica per le conseguenze e non nascondersi dietro gli astratti
luoghi comuni morali, né per la loro passata complicità con la
costruzione dell'impero né per i loro attuali scandalosi pronunciamenti
contro Cuba. Essi non possono pretendere di non conoscere le
ripercussioni di ciò che stanno dicendo e facendo. Non possono
pretendere l'innocenza dopo tutto quello che hanno sentito e letto
riguardo ai piani statunitensi contro Cuba.
La principale autrice e fautrice della dichiarazione contro Cuba negli
Usa (firmata da Chomsky, Zinn e Wallerstein) è Joanne Landy,
un'auto-dichiarata "socialista democratica", sostenitrice da sempre del
violento rovesciamento del governo cubano. Essa è adesso un membro del
Council on Foreign Relations (CFR, Consiglio per le relazioni estere),
una delle maggiori istituzioni che forniscono consulenza al governo
statunitense sulle politiche imperiali da oltre mezzo secolo. Landy ha
appoggiato l'invasione statunitense dell'Afghanistan, della Jugoslavia
e l'Uck, il gruppo terrorista albanese – chiedendo pubblicamente
l'appoggio militare aperto – responsabile dell'assassinio di 2000 serbi
e della pulizia etnica di centinaia di migliaia di serbi e altri in
Kosovo. Non sorprende che la dichiarazione di questa camaleontica
estremista di destra non contiene riferimenti alle realizzazioni
sociali e all'opposizione all'imperialismo di Cuba. Per la memoria,
bisognerebbe notare che Landy è stata un'oppositrice viscerale tra le
altre della rivoluzioni cinese, vietnamita nella sua scalata ai posti
di influenza nel CFR. Con il tutto il loro vantato intelletto critico,
gli intellettuali "progressisti" trascurano la disgustosa politica
dell'autrice che ha promosso la polemica contro Cuba.

Il ruolo degli intellettuali oggi

Molti critici di Cuba parlano di "principi" come se vi fosse un'unica
serie di principi applicabile a tutte le situazioni, indipendentemente
da chi è coinvolto e dalle conseguenze. Affermare "principi" come la
"libertà" per coloro che sono implicati nel complotto per rovesciare il
governo cubano in complicità con il Dipartimento di stato
trasformerebbe Cuba in un altro Cile – dove Allende fu rovesciato da
Pinochet – e porterebbe ad un annullamento delle conquiste popolari
della rivoluzione. Ci sono principi che sono più basilari della libertà
per gli agenti cubani, cioè, la sicurezza nazionale e la sovranità
popolare.
C'è, in particolare tra la sinistra progressista statunitense, una
certa attrazione per le vittime del Terzo Mondo, coloro che hanno
patito la sconfitta, e un'avversione per i rivoluzionari che hanno
avuto successo. Sembra che gli intellettuali progressisti statunitensi
trovino sempre un alibi per evitare l'impegno per la rivoluzione. Per
alcuni è sempre lo stesso ritornello "stalinismo", se lo stato gioca un
ruolo di primo piano nell'economia; o per la mobilitazione di massa,
che definiscono "dittatura plebiscitaria", o per le attività di
sicurezza che prevengono con successo le azioni terroristiche che essi
chiamano "polizia repressiva di stato". Vivendo nella nazione del mondo
meno politicizzata con uno dei più corrotti e servili apparati
sindacali dell'Occidente, con nessuna influenza politica al di fuori di
poche città universitarie, gli intellettuali statunitensi non hanno
nessuna conoscenza pratica o esperienza della minacce e violenze
quotidiane che pendono sulla testa degli attivisti e dei governi
nell'America Latina.
Le concezioni politiche, i criteri che tirano fuori per condannare una
qualsiasi attività politica, esistono solo nella loro testa e nel loro
congeniale e progressista ambiente universitario dove godono di tutti i
privilegi della libertà capitalistica e nessuno dei rischi da cui i
rivoluzionari del Terzo Mondo devono difendersi. Un po' di modestia,
cari prestigiosi e critici intellettuali che predicate la libertà.
Chiedetevi se vi farebbe piacere sedere in un caffé di uno dei maggiori
hotel per turisti dell'Avana quando esplode una mortale bomba.
Immaginate di vivere in una nazione che è in cima alla lista del più
violento regime imperiale dal periodo della Germania nazista, e allora
forse la vostra sensibilità morale potrebbe risvegliare il bisogno di
attenuare la vostra condanna delle politiche di sicurezza cubane e
contestualizzare le vostre norme morali.

Voglio concludere con lo stabilire i miei "imperativi morali" per gli
intellettuali critici.

1. Il primo dovere per gli intellettuali statunitensi ed europei è di
opporsi ai dominatori imperiali del proprio paese impegnati a
conquistare il mondo

2. Il secondo dovere è di chiarire le questioni morali che concernono
la lotta tra il militarismo imperiale e la resistenza nazionale e
popolare e respingere le posizioni ipocrite che paragonano il terrore
di massa dell'uno con le giustificate, anche se a volte eccessive,
misure di sicurezze dell'altra.

3. Stabilire dei modelli di integrità personale e politica tenendo
conto dei fatti e delle problematiche prima di effettuare giudizi
morali.

4. Resistere alla tentazione di diventare un "eroe morale dell'impero"
rifiutandosi di appoggiare le lotte popolari vittoriose e i regimi
rivoluzionari che non sono perfetti e mancano di tutte le libertà
disponibili per gli impotenti intellettuali incapaci di minacciare il
potere, per cui i lori incontri, discussioni e critiche vengono
tollerati

5. Rifiutare di porsi come Giudici, Pubblici Ministeri e Giurie che
condannano i progressisti che hanno il coraggio di difendere i
rivoluzionari. L'esempio peggiore è lo scurrile attacco di Susan Sontag
allo scrittore vincitore del Premio Nobel Gabriel Garcia Marquez,
accusato di mancanza di integrità e di essere un sostenitore del
terrore cubano (sic). Sontag ha fatto le sue sanguinose e diffamatorie
accuse a Bogota, in Colombia. Le squadre della morte colombiane che
lavorano con il regime e i militari hanno ucciso più sindacalisti e
giornalisti che in qualsiasi altro posto del mondo, e lo fanno, per
molto meno dell'essere un "apologeta" del regime di Castro. Questa è la
stessa Sontag che è stata un'entusiasta sostenitrice dell'invasione e
bombardamento imperiale statunitense della Jugoslavia, e una
sostenitrice del regime fondamentalista bosniaco e che è stata una
testimone silenziosa dell'uccisione e della pulizia etnica dei Serbi e
degli altri gruppi in Kosovo. Proprio l'integrità morale! Il prezioso
senso di superiorità morale che si trova tra gli intellettuali
newyorkesi permette alla Sontag di additare Marquez agli squadroni
della morte e sentire di fare una dichiarazione di grande spessore
morale.

Gli intellettuali europei e statunitensi non dovrebbero confondere le
proprie posizioni incoerenti e la proprià futilità politica con quella
della propria controparte tra gli intellettuali latino-americani
impegnati. C'è posto per il dialogo costruttivo e il dibattito, ma mai
per gli assalti personali che avviliscono persone che devono far fronte
a minacce quotidiane alla propria vita.
È facile per gli intellettuali critici essere "amici di Cuba" nei
periodi buoni, durante le celebrazioni e le conferenze, quando le
minacce sono minori. È più difficile essere un "amico di Cuba" quando
un impero totalitario minaccia l'eroica isola e usa la mano pesante con
i suoi difensori. È in periodi come questo, di guerra permanente,
genocidio e aggressione militare che Cuba ha bisogno della solidarietà
degli intellettuali critici, cosa che sta ricevendo da tutte le parti
dell'Europa e in particolare dall'America Latina. Non è il momento che
noi, negli Stati Uniti, con i nostri illustri e prestigiosi
intellettuali progressisti, con tutta la nostra grande sensibilità
morale riconosciamo che c'è una rivoluzione eroica, vitale che lotta
per difendere se stessa contro il carro di Juggernaut statunitense e
che mettiamo con umiltà da parte le nostre dichiarazioni, sosteniamo la
rivoluzione e ci uniamo al milione di cubani che hanno celebrato il
Primo Maggio con il proprio leader Fidel Castro?

Dal sito www.italia-cuba.it

SCATOLE CINESI

Il Ministro montenegrino dell'educazione si oppone al progetto di una
scuola per insegnanti in lingua albanese, che il suo collega Ministro
"per le minoranze etniche", invece, vuole aprire ad Ulcinj.
Ulcinj e' al confine con la repubblica di Albania, in un'area con una
forte componente albanese, che secondo alcuni progetti in futuro
potrebbe entrare a far parte della Grande Albania.
Il Ministro montenegrino dell'educazione si oppone al "segregazionismo
etnico" ed alla secessione dell'area di Ulcinj; tuttavia, egli fa parte
di un governo di secessionisti, quelli che si stanno inventando una
identita' etno-culturale artificiale "montenegrina" per poter spaccare
il loro paese, e che sono dunque corresponsabili dello squartamento
della Jugoslavia.
Ancora una volta, da quelle parti, chi di secessionismo ferisce, di
secessionismo perisce.
(I. Slavo)


www.b92.net
Beta News Agency, Belgrade
August 3, 2003

Montenegrin ministry opposes Albanian schooling

PODGORICA -- Sunday -- The Montenegrin Education Ministry is opposing a
proposal to establish an Albanian-language teacher-training faculty in
either town of Ulcinj or Tuzi, both of which have majority Albanian
populations.

Education Minister Slobodan Backovic told journalists that the move
would not be in accordance with the recommendations of the EU, as "it
looks like segregation".

He recalled that an Albanian-language study section was opened at the
Niksic Philosophical University two years ago and no one was
interested. NGO's and political parties started dealing with this
"problem", but "no one asked the universities or the government for
their opinions".

Albanian national parties, backed by the ministry for ethnic
minorities, are pressing for a teacher-training facility to be opened
in one of the towns, as well as calling for the Montenegrin authorities
to train Albanian-language teachers to educate in Pristina, Skadar and
Tirana.

http://www.resistenze.org/sito/te/pe/im/peimlenin.htm

www.resistenze.org - pensiero resistente - sull'imperialismo

Gocce di LENIN sull'imperialismo

da: L'imperialismo fase suprema del capitalismo, (1916)

Cap. 1
[..] Ma la nostra rappresentazione della forza reale e dell'importanza
dei moderni monopoli sarebbe assai incompleta, insufficiente e
inferiore alla realtà, se non tenessimo conto della funzione delle
banche.

Cap. 2
[..] Pertanto l'inizio del XX secolo segna il punto critico del
passaggio dall'antico al nuovo capitalismo, dal dominio del capitale in
generale al dominio del capitale finanziario.

Cap.3
[..] Concentrazione della produzione; conseguenti monopoli; fusione e
simbiosi delle banche con l'industria: in ciò si compendia la storia
della formazione del capitale finanziario e il contenuto del relativo
concetto.[..]

Cap. 4
[..] L'esportazione di capitali influisce sullo sviluppo del
capitalismo nei paesi quali affluisce, accelerando tale sviluppo.
Pertanto se tale esportazione, sino a un certo punto, può determinare
una stasi nello sviluppo nei paesi esportatori, tuttavia non può non
dare origine a una più elevata e intensa evoluzione del capitalismo in
tutto il mondo.[..]

Cap. 5
[..] E a misura che cresceva l'esportazione dei capitali, si
allargavano le relazioni estere e coloniali e le sfere d'influenza
delle grandi associazioni monopolistiche, naturalmente si procedeva
sempre più verso accordi internazionali tra di esse e verso la
creazione di cartelli mondiali. [..]
[..] I capitalisti si spartiscono il mondo non per la loro speciale
malvagità, ben si perché il grado raggiunto dalla concentrazione li
costringe a battere questa via, se vogliono ottenere dei profitti. E la
spartizione si compie « proporzionalmente al capitale », « in
proporzione alla forza », poiché in regime di produzione mercantile e
di capitalismo non è possibile alcun altro sistema di spartizione. Ma
la forza muta per il mutare dello sviluppo i economico e politico. Per
capire gli avvenimenti, occorre sapere quali questioni siano risolte da
un mutamento di potenza; che poi tale mutamento sia di natura «
puramente» economica, oppure extra-economica~ (per esempio militare),
ciò, in sé, è questione secondaria, che non può mutar nulla nella
fondamentale concezione del più recente periodo del capitalismo.
Sostituire la questione del contenuto della lotta e delle stipulazioni
tra le leghe capitalistiche con quella della forma di tale lotta e di
tali stipulazioni (che oggi può essere pacifica, domani bellica,
dopodomani! nuovamente pacifica), significa cadere al livello del
sofista.
- L'età del più recente capitalismo ci dimostra come tra le i leghe
capitalistiche si formino determinati rapporti sul terreno della
spartizione economica del mondo, e, di pari passo con tale fenomeno e
in connessione con esso, si formino anche tra le leghe politiche, cioè
gli Stati, determinati rapporti sul terreno della spartizione
territoriale del mondo, della lotta per le colonie, della « lotta per
il territorio economico ». [..]

Cap. 6
[..] Il mondo appare completamente ripartito sicché in avvenire sarà
possibile soltanto una nuova spartizione,[..]
[..] E' quindi fuori discussione il fatto che al trapasso del
capitalismo alla fase di capitalismo monopolistico finanziario è
collegato un inasprimento della lotta per la ripartizione del mondo.[..]
[..] Quanto più il capitalismo è sviluppato, quanto più la scarsità
delle materie prime è sensibile, quanto più acuta è in tutto il mondo
la concorrenza e la caccia alle sorgenti di materie prime,[..]

Cap. 7
[..] dobbiamo dare una definizione dell'imperialismo, che contenga i
suoi cinque principali contrassegni, e cioè:
1. la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto
un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione
decisiva nella vita economica;
2. la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il
formarsi, sulla base di questo «capitale finanziario », di
un'oligarchia finanziaria;
3. la grande importanza acquistata dall'esportazione di capitale in
confronto con l'esportazione di merci;
4. il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di
capitalisti, che si ripartiscono il mondo;
5. la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze
capitalistiche.[..]
[..] «Dal punto di vista strettamente economico -  scrive Kautsky
-  non può escludersi che il capitalismo attraverserà ancora una nuova
fase: quella cioè dello spostamento della politica dei cartelli nella
politica estera. Si avrebbe allora la fase dell'ultra- imperialismo » ,
cioè del super-imperialismo, della unione degli imperialismi di tutto
il mondo e non della guerra tra essi, la fase della fine della guerra
in regime capitalista, la fase «dello sfruttamento collettivo del mondo
ad opera del capitale finanziario internazionalmente coalizzato »[..]
[..] I cartelli internazionali, considerati da Kautsky come germi
dell'« ultra-imperialismo» (cosμ come la produzione delle pastiglie
nutritive nei laboratori può essere proclamata il germe
dell'ultra-agricoltura!), non ci offrono forse l'esempio della
spartizione e nuova ripartizione del mondo, del passaggio dalla
ripartizione pacifica alla non pacifica e viceversa? Forse il capitale
finanziario americano e d'altra nazionalità, che riparti già il mondo
in via pacifica con la partecipazione della Germania - per esempio col
sindacato internazionale delle rotaie e col trust internazionale della
marina mercantile - non ripartisce ora di bèl nuovo il mondo intero
sulla base di nuovi rapporti di forza che vanno modificandosi in
maniera nient' affatto pacifica? [..]

Cap. 8.
[..] L'imperialismo è l'immensa accumulazione in pochi paesi di
capitale liquido [..]. Da ciò segue, inevitabilmente, l'aumentare della
classe o meglio del ceto dei rentiers, cioè di persone che vivono del
«taglio di cedole», non partecipano ad alcuna impresa ed hanno per
professione l'ozio. L'esportazione di capitale, uno degli essenziali
fondamenti economici del- l'imperialismo, intensifica questo completo
distacco del ceto dei rentiers dalla produzione e dà un 'impronta di
parassitismo a tutto il paese, che vive dello sfruttamento del lavoro
di pochi paesi, e colonie d'oltre oceano. [..]
~ La prospettiva della spartizione della Cina dà origine al seguente
apprezzamento economico di Hobson: - « La più grande parte dell'Europa
occidentale potrebbe allora assumere l'aspetto e il carattere ora
posseduti soltanto da alcuni luoghi, cioè l'Inghilterra meridionale, la
Riviera e le località del- l'Italia e della Svizzera visitate dai
turisti e abitate da gente ricca. Si avrebbe un piccolo gruppo di
ricchi aristocratici, traenti le loro rendite e i loro dividendi dal
lontano Oriente; accanto, un gruppo alquanto più numeroso di impiegati
e di commercianti e un gruppo ancora maggiore di domestici, lavoratori
dei trasporti e operai occupati nel processo finale della lavorazione
dei prodotti più avariabili. Allora scomparirebbero i più importanti
rami di industria, e gli alimenti e i prodotti base affluirebbero come
tributo dall'Asia o dall'Africa... Ecco quale possibilità sarebbe
offerta da una più vasta lega delle potenze occidentali, da una
Federazione europea delle grandi potenze. Essa non solo non spingerebbe
innanzi l'opera della civiltà mondiale, ma potrebbe presentare il
gravissimo peri- colo di un parassitismo occidentale, quello di
permettere l'esistenza di un gruppo di nazioni industriali piu
progredite, le cui classi elevate riceverebbero, dall'Asia e
dall'Africa, enormi tributi [..]
[..] L'imperialismo tende a costituire tra i lavoratori categorie
privilegiate e a staccarle dalla grande massa dei proletari.[..]
[..] In una lettera a Kautsky del 12/9/1882, Engels scriveva: « Ella mi
domanda che cosa pensino gli operai della politica coloniale. Ebbene:
precisamente lo stesso che della politica in generale. In realtà non
esiste qui alcun partito operaio, ma solo radicali, conservatori e
radicali-liberali, e gli operai si godono tranquillamente insieme con
essi il monopolio commerciale e coloniale dell'Inghilterra sul mondo
».[..]

Cap. 9
[..] Da un lato le gigantesche dimensioni assunte dal capitale
finanziario, concentratosi in poche mani e costituente una fitta e
ramificata rete di relazioni e di collegamenti, che mettono alla sua
dipendenza non solo i medi e piccoli proprietari e capitalisti, ma
anche i piccolissimi, dall'altro lato l'inasprirsi della lotta con gli
altri gruppi finanziari nazionali per la spartizione del mondo e il
dominio sugli altri paesi; tutto ciò determina il passaggio della massa
delle classi possidenti, senza eccezione, dal lato dell'imperialismo.
Entusiasmo « universale » per le prospettive offerte dall'imperialismo;
furiosa difesa ed abbellimento di esso: ecco i segni della nostra età.
L'ideologia imperialista si fa strada anche nella classe operaia, che
non. è separata dalle altre classi da una muraglia cinese. Ché se a
ragione i capi della cosiddetta « socialdemocrazia » di Germania
vengono qualificati « social-imperialisti », cioè socialisti a parole,
imperialisti a fatti, [..]
[..] Kautsky chiama ultra-imperialismo o super-imperialismo ciò che,
tredici anni prima di lui, Hobson chiamava inter-imperialismo, A parte
la formazione di una nuova parola erudita per mezzo della sostituzione
di una particella latina con un'altra, il progresso del pensiero «
scientifico..» di Kautsky consiste soltanto nella pretesa di far
passare per marxismo ciò che Hobson descrive in sostanza come ipocrisia
dei pretucoli inglesi. Dopo la guerra contro i boeri era del tutto
naturale che questo reverendissimo ceto si sforzasse soprattutto di
consolare i piccoli borghesi e gli operai inglesi che avevano avuto non
pochi morti nelle battaglie dell' Africa del Sud e .che assicuravano,
con un aumento delle imposte, più alti guadagni ai finanzieri inglesi,
E quale consolazione poteva essere migliore di questa, che
l'imperialismo non era poi tanto cattivo, che esso si avvicinava
all'inter- (o ultra-) imperialismo capace di garantire la pace
permanente? Quali che potessero essere i pii desideri dei pretucoli
inglesi e del sentimentale Kautsky, il senso obiettivo, vale a dire
reale, sociale, della sua « teoria » è uno solo: consolare nel modo più
I reazionario le masse, con la speranza della possibilità di una pace
permanente nel regime del capitalismo, sviando l'attenzione dagli
antagonismi acuti e dagli acuti problemi di attualità e dirigendo
l'attenzione sulle false prospettive di un qualsiasi sedicente nuovo e
futuro «ultra-imperialismo ».Inganno delle masse: all'infuori di
questo, non v'è assolutamente nulla nella teoria «marxista ». di
Kautsky. [..]
[..] Pertanto, nella realtà capitalista, e non nella volgare fantasia
filistea dei preti inglesi o del « marxista » tedesco Kautsky, le
alleanze «inter-imperialistiche» o «ultra-imperialiste» non sono altro
che un « momento di respiro » tra una guerra e l'altra, qualsiasi forma
assumano dette alleanze, sia quella di una coalizione imperialista
contro un 'altra coalizione imperialista, sia quella di una lega
generale tra tutte le potenze imperialiste. Le alleanze di pace
preparano le guerre e a loro volta nascono da queste; le une e le altre
forme si determinano reciprocamente e producono, su di un unico e
identico terreno, dei nessi imperialistici e dei rapporti dell'economia
mondiale e della politica mondiale, l'alternarsi della forma pacifica e
non pacifica della lotta [..]

Cap. 10
[..] I capitalisti di uno dei tanti rami industriali, di uno dei tanti
paesi, ecc., raccogliendo gli alti-profitti monopolistici hanno la
possibilità di corrompere singoli strati di operai e, transitoriamente,
perfino considerevoli minoranze di essi, schierandole a fianco della
borghesia del rispettivo ramo industriale o della rispettiva nazione
contro tutte le altre. Questa tendenza è rafforzata dall'aspro
antagonismo esistente tra i popoli imperialisti a motivo della
spartizione del mondo. Cosμ sorge un legame tra l'imperialismo e
l'opportunismo; [..]
[..] la lotta contro 1'imperialismo se non è indissolubilmente legata
con la lotta contro l'opportunismo, è una frase vuota è falsa.[..]
[..] Da tutto ciò che si è detto sopra intorno all'essenza economica
dell'imperialismo risulta che esso deve esser caratterizzato come
capitalismo di transizione, o più esattamente come capitalismo morente.
A tale riguardo è molto istruttivo il fatto che le espressioni correnti
degli economisti borghesi, che scrivono intorno al moderno capitalismo,
sono: «intreccio », «mancanza d'isolamento » e cosi via; [..] «
Casualmente si vanno intrecciando » i possessi delle nazioni, i
rapporti tra i proprietari privati. Ma il substrato di questo
intreccio, ciò che ne costituisce la base, sono le relazioni sociali di
produzione che si vanno modificando. Quando una grande azienda assume
dimensioni gigantesche e diventa rigorosamente sistematizzata e, sulla
base di un' esatta valutazione di dati innumerevoli, organizza
metodicamente la fornitura della materia prima originaria nella
proporzione di due terzi o di tre quarti dell'intero fabbisogno di una
popolazione [..] quando un unico centro dirige tutti i successivi stadi
.di elaborazione della materia prima, [..]allora diventa chiaro  che si
è in presenza di una socializzazione della produzione e non già di un
semplice «intreccio»; che i rapporti di economia privata e di proprietà
privata formano un involucro non più corrispondente al contenuto,
involucro che deve andare inevitabilmente in putrefazione qualora ne
venga ostacolata artificialmente l'eliminazione, e in stato di
putrefazione potrà magari durare per un tempo relativamente lungo
(nella peggiore ipotesi, nella ipotesi che per la guarigione del
bubbone opportunistico occorra molto tempo!) ma infine sarà fatalmente
eliminato.[..]

da: L'autodecisione delle nazioni

[..] Alla rissa nazionalistica tra i diversi partiti borghesi, la
democrazia operaia oppone, come sua istanza, l'unità incondizionata e
la completa fusione degli operai di tutte le nazionalità in tutte le
organizzazioni operaie, sindacal-cooperative, di consumo, culturali,
ecc., in antitesi a qualsiasi forma di nazionalismo borghese. Solo
questa unità e fusione può tutelare la democrazia, difendere gli
interessi degli operai contro il capitale - che è già diventato e
diventa sempre più internazionale - garantire lo sviluppo dell'umanità
verso un nuovo modo di vita, a cui sia estraneo ogni privilegio e ogni
sfruttamento [..]

U.S. JEWS AND THE BALKAN SITUATION

Alvin Dorfman and Heather Cottin

Jewish Currents, April 1996

There is at present widespread support in American public opinion for
the policies of the U.S. government in the Balkans. It is a striking
and dark paradox that Jewish opinion has played an important role in
helping to mobilize that support.

U.S. policy in the Balkans has now carried the United States into
direct intervention in two civil wars, one between Croatian Serbs and
the new proto-fascist state of Croatia, and one between the Bosnian
Serbs and a Bosnian Muslim government which has become increasingly
fundamentalist. In the first case, the U.S. helped the new Croatia to
plan, organize and carry out the invasion of the Krajina region in
Croatia, which led to the uprooting of more than a quarter of a million
Serbs and the slaughter of thousands who tried to remain in their
ancestral homes there. In the second case, the U.S. used NATO, against
the advice of many of its allies, to destroy the military
infrastructure of the Bosnian Serb army and to shift the balance of
power in favor of a minority Muslim government in Bosnia-Herzegovina.
This, too, has led to the flight of well over 100,000 Bosnian Serbs.

In intervening in this manner, the U.S. has not just taken sides in an
internal European war; it has allied itself with the most reactionary
elements in Europe, including a newly expansionist, racist and
increasingly militaristic German government. Worse still, the U.S., in
order to create what it thinks will be a more favorable atmosphere for
the re-election of Pres. Bill Clinton, is now seeking to impose an
unworkable overall peace "settlement" in Yugoslavia and to enforce it
with a 60,000-man NATO task force, which will include some 25,000 U.S.
troops. Even Richard Holbrooke, the Assistant Secretary of State for
European Affairs, admits that this could well lead to another Vietnam.

To anyone who lived through World War II and who still understand the
meaning of Nazism - and this applies especially to Jews - all of this
should be not just astonishing, but repulsive. The United States, in
alliance with the German government, is now pursuing policies very
similar to those pursued by the Nazis who wished to splinter the
Balkans in order to dominate the area. It was the Nazis who unleashed
clerical fascism in Yugoslavia during World War II. And it was the
Nazis who displayed a pathological hatred of the Serbs, as well as of
Jews and Gypsies.

It is difficult to understand how U.S. policy toward the Balkans could
have taken such a turn in any reasonably democratic country.
Unfortunately, a large part of the explanation is that public opinion
in this matter has been driven into something like a frenzy by what
seems to be an officially inspired and large-scale campaign of
propaganda. No foreign policy can succeed without public support. And
U.S. policy in the Balkans is clear testimony to that fact. Although as
recently as four years ago, the American public did not even know the
location of the regions known as Serbia, Bosnia-Herzegovina, Croatia,
the Krajina and Montenegro - and perhaps many Americans still don't -
key individuals and groups in this country were targeted for a
propaganda barrage designed to demonize the Serbs, to hide the reality
of Croatian fascism and to canonize the Bosnian Muslims.

Several groups received special treatment by the government and the
media in the course of this propaganda campaign. Since they, like many
other Americans, were for the most part ignorant of the history of the
region, they were relatively easy to convince. The groups which were
singled out were liberals, women and Jews. And government spokesmen
and the media have been hammering at them for years now.

To take but one example: in Washington the public relations firm of
Ruder/Finn mounted a campaign to get American Jews to associate the
civil war in Bosnia-Herzegovina with the Holocaust. This campaign,
according to Justice Department documents, was paid for by the
governments of Croatia and Bosnia-Herzegovina, although the head of
Ruder/Finn later explained these governments had not paid for all the
costs of the campaign. What other governments were passing money to
Ruder/Finn?

Was the C.I.A. helping to subsidize the campaign through traditional
means, the usual kinds of "front" companies, or "proprietaries," as
insiders like to call them?

Every effort was made by Ruder/Finn to reach the leading Jewish
organizations in the United States at an early stage. Facts were
distorted. Lies were reiterated so many times that they became "facts."
In an interview with the well- known French TV journalist Jacques
Merlino, James Harff, director of Ruder/Finn Global Affairs, boasted
that the achievement he was most proud of was "to have put Jewish
opinion on our side." He said, "We out witted three Jewish
organizations - the Anti-Defamation League, the American Jewish
Committee and the American Jewish Congress..." Harff called getting
these organizations to publish a pro-Bosnian Muslim ad in the N.Y.
Times, and to organize demonstrations outside the United Nations "a
tremendous coup." He crowed, "By a single move we were able to present
a simple story of good guys and bad guys which would hereafter play
itself...We won by targeting the Jewish audience..." He explained, "Our
work is not to verify information, our work is to accelerate the
circulation of information favorable to us. We are not paid to be
moral."*

It should be remembered that Jews have also been singled out as targets
of official propaganda in the not-too-distant past. When the Reagan
administration was secretly trying to overthrow the Sandinistas
government in Nicaragua, it used the same techniques that Ruder/Finn
used in demonizing the Serbs. And some Jewish leaders allowed
themselves to be used to discredit the Nicaraguan government. They
helped to promote the idea that the Sandinistas were anti-Semetic.
There was not a grain of truth to the claim. But some Jewish leaders
signed a full-page ad in The N.Y. Times, The Washington Post and The
L.A. Times which referred to the Contras as the moral equivalent of
American revolutionaries and as "freedom fighters."

Today American Jewish organizations are being used in a similar way.
It is important to contrast what has happened in America with what has
happened in Israel. The Israeli public has proved much harder to
deceive than the American public.

Jews are people of the Book, and very aware of their place in history.
Israelis are, not surprisingly, much more aware of history in general
than American Jews, and especially of European history. Israeli
Yugoslav Jews were therefore more immune to media manipulation during
the world-wide campaign against the Serbs. American Jews jumped on the
anti-Serb bandwagon rolling through the American media. In Israel,
Yugoslav Jews knew very well that the Serbs had been their strongest
allies during the Holocaust, carried out in Yugoslavia primarily by
Croatian fascists. They remembered that the Croatian Ustashi had
murdered hundreds of thousands at the Jasenovac death camp. They
remembered that the Croatian president, Franjo Tudjman, had declared
that "only 1,000,000 Jews had died in the Nazi Holocaust." They knew
that Tudjman had proclaimed proudly that his wife "was neither a Serb
nor a Jew."

Israel may have recognized Croatia - under pressure. But it is no
secret that Israeli arms have ended up in Serb hands. Israel has still
not recognized Bosnia-Herzegovina. It would be a near-suicidal step
for any Israeli government to support a Bosnian Muslim regime whose
president (Izetbegovic) has written that "There can be no peace or
coexistence between the Islamic faith and non-Islamic societies..."

In the United States, the process of rehabilitating Croatia has been
incredibly successful. Croatian fascists, who still provide the model
of ideal nationalism for the Croatian government today, killed 60,000
Jews in World War II. They recently destroyed Jewish synagogues as
well as Serbian churches. If one can ignore such things, it is hardly
surprising that there was little international protest in August, 1995
when 250,000 Serbs living in the Krajina region of Croatia were driven
off the land on which their families have lived for 300 years. How
could such "ethnic cleansing" have been carried out without
international opprobrium? The Croatian campaign in the Krajina was the
largest and most violent attack on European soil since the end of World
War II. And much of it, because the Croatian Serb Army was quickly
shattered, was directed at unarmed civilians. The international media
called the Serbs "rebels" even though this region was recognized as
Serb by the Croatian government during World War II. No CNN horror
films catalogued the Croatian air force strafing of Serb refugees, the
destruction of their churches, the cold-blooded assassination of old
people, the burning of more than 16,000 homes and other properties. No
American refugee organization concerned themselves with the hundreds of
thousands of Serbs, from Croatia and Western Bosnia, streaming into
Yugoslavia. And since, by the summer of 1995, American Jews had been
properly brainwashed and made anti-Serb, no Jews spoke out about a
horror which should been chillingly familiar. Somehow the fact that
Croatia expelled more than 40,000 Serbs when it declared its
independence in 1991 has been ignored. Somehow the fact that Croatia
has denied its population basic human rights such as freedom of speech
and freedom of the press and that it operates a repressive police state
has been hidden. In fear of their lives and livelihoods, some Croatian
Jews extol the virtues of the Croatian government. When Croatian
fascists commit atrocities, people seem to respond with the familiar
refrain, "We didn't know."

Things have not been very different with respect to Bosnia-Herzegovina.
In the U.S. media and among senior American officials, Bosnian Muslim
spokesmen are taken at their word where Serbs are not. Jewish leaders
have been trotted out to make condemnatory anti-Serb pronouncements.
Even when UNPROFOR (UN Protection Force) spokespersons denied or raised
doubts about stories of questionable veracity, the Bosnian Muslim
position or claim has been taken as truth.

Feminists in the U.S. were treated to a propaganda blitz about rapes
allegedly carried out by Serbs. It had an electrifying effect. In the
end, the radical group "Madre," which previously supported Central
American women, launched an emotional campaign to save thousands of
Bosnian Muslim women allegedly raped by Bosnian Serb soldiers. Gloria
Steinem lent the story respectability in Ms. Magazine. The N.Y. Times
wrote that 20,000 to 50,000 Bosnian women had been raped, despite the
fact that there was no substantiation for such numbers - except, of
course, from the Bosnian Muslim "Ministry of Information." Despite
doubts expressed by Helsinki Watch, Human Rights Watch and respected
individuals such as Simone Weil, the president of the European
Parliament, the American media relied on the Bosnian War Crimes
Commission and Caritas, the Catholic charity connected to the Croatian
government, for verification of these outrageous claims. The German
media promoted the rape hysteria for their own reasons, which British
historian Nora Beloff ascribed to the German need "to Satanize the
Serbs in order to cover their own responsibility for pitching
Yugoslavia into war."

In the U.S., from the beginning of the conflict, there was never any
attempt to see the civil wars in Yugoslavia from a position of
neutrality. Croatia and Bosnia-Herzegovina were simply "new states"
welcomed into the brotherhood of nations, with seats quickly obtained
for them at the UN. They were never pictured, as any briefing on
history and politics would demand, as the fruits of the most extreme,
exclusivist nationalism, the kind of nationalism which turned Central
Europe upside down in the 1930s and led to World War II. But Yugoslav
Jews in Israel, understanding what was really happening in the Balkans,
actively opposed any government support of Croatians or Muslims,
despite Croatian public relations efforts directed at Israel. Jews in
Israel knew that Hamas members trained in Bosnia. They remembered that
the Grand Mufti of Jerusalem organized two Bosnian Muslim divisions for
Hitler's army during World War II.

It is distinctly peculiar that so many Americans, and more curious
still that so many American Jews, should have taken the side of the
Bosnian Muslim government. Of course, the USA has backed Muslim
fundamentalism before, in Afghanistan, for instance, where it was a
useful tool for ending Russian aid to the Afghan government. But these
are European Muslim fundamentalists. That is perhaps why the
theocratic ideas of Mr. Izetbegovic and his colleagues have received so
little attention here. Jews might wince if they learned that the
Bosnian president has said, "The struggle for Islamic order and the
fundamental reconstruction of Muslim society can be successfully waged
only by battle-tested and hardened individuals...The Islamic order
should take power as soon as it is morally and numerically strong
enough not only to overthrow non-Islamic rule but to develop new
Islamic rule." Are these the heroes of the West? It is strange that
Americans and American Jews, as a people who believe in multicultural
diversity and freedom of religion, have embraced the Bosnian Muslim's
struggle as their own.

The Horror of the last four years was brought upon the Balkans
primarily by Germany and the United States for geopolitical reasons.
Yugoslavia might already in 1991 or 1992 have begun to break up as a
result of internal disagreements. But, in the absence of German and
U.S. interventions, it is unlikely that there would have been civil
wars there. By the end of 1992, however, Germany, throwing its weight
around as an economic power, was able to force the international
community to recognize Croatia, Slovenia and Bosnia-Herzegovina as
independent states. It was quietly but effectively assisted by the
Bush administration, which, almost immediately after the Yelstin
takeover of 1991 in the Soviet Union, publicly abandoned its support
for the territorial integrity of Yugoslavia. By their joint
maneuvering the two great powers created a situation which reduced the
stature of more than two million Serbs outside Serbia and Montenegro to
that of "ethnic minorities" in hostile states.

When Croatia denied Serbs all political standing, the Krajina Serbs
declared their independence from Croatia - with as much right as the
Croatians had in declaring their independence from Yugoslavia. In
Bosnia, where under Izetbegovic Serbs were denied all political and
economic rights, the Bosnian Serbs also embarked on a struggle for
self-determination. They had no wish to be dominated by a repressive
fundamentalist regime.

But Germany and the U.S. were determined to succeed in their efforts to
break up Yugoslavia. Germany poured millions of deutschemarks into the
Croatian military, and it trained and armed Bosnian Muslims, with help
from Saudi Arabia, Iran, Turkey and other Islamic governments.
Weapons, money and men poured into Bosnia for the jihad. And the
Muslim government opposed every peace agreement that would have given
anything of value to the Bosnian Serbs. The U.S. has provided finance,
political support and covert military assistance to both the Bosnian
Muslims and the Croatians.

Thus, there had to be a battle to win the hearts and minds of the
American people. Their support was needed if these policies were to
succeed. The support of American Jews became a key to moving public
opinion. Their major organizations carried weight, both in terms of
resources and in terms of moral leadership. Jewish support underwrote
the morality of the German-American policies in the Balkans.

It also followed that a great deal had to be hidden. Germany's pursuit
of divisive and expansionist policies in the Balkans for the third time
in the century had to be hidden. The fundamentalist values of
government leaders in Bosnia had to be kept hidden. And the role of
Germany and the U.S. in building up extremist nationalist movements so
that Yugoslavia could be torn apart had to be hidden: Widespread
information about any of these would have made it very difficult to win
the prize of Jewish opinion.

The time has come to question our position on this issue. Progressives
in the country, and Jews especially, have been inundated by a tidal
wave of poisonous falsehoods. We must ask ourselves, "Since when were
aggressive, anti-democratic foreign policies worthy of support?" We
need to establish why Yugoslavia broke up. We need to understand the
meaning of the U.S. German alliance after the Cold War. And we need to
question why we have deserted the Serbs, our only friends in
Yugoslavia, the only people who stood with us against the Nazis and who
died with us at the death camp Jasenovac. Serbs in Belgrade, to whom we
have spoken by phone, are appalled by what American Jewish
organizations have done. Jews of Yugoslav origin in Israel are
mortified. One has only to read the Israeli press to realize that. We
must see our shame. If it comes from not knowing, or being misled, we
need to atone for it. Jews have nothing to gain and everything that we
morally stand for to lose by continuing to turn our backs on the
Serbian people.

Reproduced with the permission of the authors.

Alvin Dorfman is a contributor to Jewish Currents and as had a long
association with the magazine.

Heather Cottin is a new contributor. She is a public high school
social studies teacher.

END

This article does not have permission of the copyright by owner, but is
being offered for comment, criticism and research under the "fair use"
provisions of the Federal copyright laws.