Informazione
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8720
Il parlamento di Kiev ha votato un emendamento legislativo per l’adesione ufficiale dell’Ucraina alla Nato. Mossa pericolosissima: se l’Ucraina entrasse nella Nato gli altri 29 membri, in base all’Art. 5, dovrebbero andare in guerra contro la Russia. Il “merito” dell’iniziativa va al presidente del parlamento Andriy Parubiy, famigerato neonazista (ricevuto con tutti gli onori a Montecitorio dalla presidente Boldrini), uno dei capi del colpo di stato sotto regia Usa/Nato che ha trasformato l’Ucraina in «vivaio» del rinascente nazismo nel cuore dell’Europa...
È NATO il neonazismo in Europa
Manlio Dinucci
La sua ammissione nella Nato non sarebbe solo un atto formale. La Russia viene accusata dalla Nato di aver annesso illegalmente la Crimea e di condurre azioni militari contro l’Ucraina. Di conseguenza, se l’Ucraina entrasse ufficialmente nella Nato, gli altri 28 membri della Alleanza, in base all’Art. 5, dovrebbero «assistere la parte attaccata intraprendendo l’azione giudicata necessaria, compreso l’uso della forza armata». In altre parole, dovrebbero andare in guerra contro la Russia.
Il merito di aver introdotto nella legislazione ucraina l’obiettivo di entrare nella Nato va al presidente del parlamento Andriy Parubiy. Cofondatore nel 1991 del Partito nazionalsociale ucraino, sul modello del Partito nazionalsocialista di Adolf Hitler; capo delle formazioni paramilitari neonaziste, usate nel 2014 nel putsch di Piazza Maidan, sotto regia Usa/Nato, e nel massacro di Odessa; capo del Consiglio di difesa e sicurezza nazionale che, con il Battaglione Azov e altre unità neonaziste, attacca i civili ucraini di nazionalità russa nella parte orientale del paese ed effettua con apposite squadracce feroci pestaggi di militanti del Partito comunista, devastando le sue sedi e facendo roghi di libri in perfetto stile nazista, mentre lo stesso Partito sta per essere messo ufficialmente fuorilegge.
Questo è Andriy Parubiy che, in veste di presidente del parlamento ucraino (carica conferitagli per i suoi meriti democratici nell’aprile 2016), è stato ricevuto il 5 giugno a Montecitorio dalla presidente della Camera, Laura Boldrini. «L'Italia - ha sottolineato la presidente Boldrini - ha sempre condannato l'azione illegale avvenuta ai danni di una parte del territorio ucraino». Ha così avallato la versione Nato secondo cui sarebbe stata la Russia ad annettersi illegalmente la Crimea, ignorando il fatto che la scelta dei russi di Crimea di staccarsi dall’Ucraina e rientrare nella Russia è stata presa per impedire di essere attaccati, come i russi del Donbass, dai battaglioni neonazisti e le altre forze di Kiev.
Il cordiale colloquio si è concluso con la firma di un memorandum d'intesa che «rafforza ulteriormente la cooperazione parlamentare tra le due assemblee, sia sul piano politico che su quello amministrativo». Si rafforza così la cooperazione tra la Repubblica italiana, nata dalla Resistenza contro il nazi-fascismo, e un regime che ha creato in Ucraina una situazione analoga a quella che portò all’avvento del fascismo negli anni Venti e del nazismo negli anni Trenta.
Il battaglione Azov, la cui impronta nazista è rappresentata dall’emblema ricalcato da quello delle SS Das Reich, è stato incorporato nella Guardia nazionale, trasformato in unità militare regolare e promosso allo status di reggimento operazioni speciali. È stato quindi dotato di mezzi corazzati e pezzi d’artiglieria. Con altre formazioni neonaziste, trasformate in unità regolari, viene addestrato da istruttori Usa della 173a divisione aviotrasportata, trasferiti da Vicenza in Ucraina, affiancati da altri della Nato.
L’Ucraina di Kiev è così divenuta il «vivaio» del rinascente nazismo nel cuore dell’Europa. A Kiev confluiscono neonazisti da tutta Europa, Italia compresa. Dopo essere stati addestrati e messi alla prova in azioni militari contro i russi di Ucraina nel Donbass, vengono fatti rientrare nei loro paesi. Ormai la Nato deve ringiovanire i ranghi di Gladio.
(il manifesto, 13 giugno 2017)
Heil mein Nato! L’Ucraina «vivaio» del rinascente nazismo in Europa (M. Dinucci, 5.1.2016 – testo e video)
TESTO: https://ilmanifesto.it/ucraina-heil-mein-nato/
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=UTuVZwvLlco
Manlio Dinucci sull'euro-NATO-nazismo ucraino (rassegna JUGOINFO 15 set 2015)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8388
I neo-nazisti ucraini addestrati dagli Usa (Manlio Dinucci, 9.2.2015)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8256
Come la Nato ha scavato sotto l’Ucraina (Manlio Dinucci, 25 febbraio 2014)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7904
L’arte della guerra
Democrazia NATO in Ucraina
Manlio Dinucci
«Storica» visita del segretario generale della Nato Stoltenberg, il 21/22 settembre, in Ucraina, dove partecipa (per la prima volta nella storia delle relazioni bilaterali) al Consiglio di sicurezza nazionale, firma un accordo per l’apertura di un’ambasciata della Nato a Kiev, tiene due conferenze stampa col presidente Poroshenko.
Un decisivo passo avanti nell’integrazione dell’Ucraina nell’Alleanza. Iniziata nel 1991 quando, appena divenuta Stato indipendente in seguito alla disgregazione dell’Urss, l’Ucraina entra nel «Consiglio di cooperazione nordatlantica» e, nel 1994, nella «Partnership per la pace». Nel 1999, mentre la Nato demolisce con la guerra la Jugoslavia e ingloba i primi paesi dell’ex Patto di Varsavia (Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria), viene aperto a Kiev l’«Ufficio di collegamento Nato» e formato un battaglione polacco-ucraino per l’operazione Nato di «peacekeeping» in Kosovo.
Nel 2002, il presidente Kuchma dichiara la disponibilità a entrare nella Nato. Nel 2005, sulla scia della «rivoluzione arancione» (organizzata e finanziata da Washington attraverso «Ong» specializzate e sostenuta dall’oligarca Poroshenko), il presidente Yushchenko viene invitato al summit Nato a Bruxelles. Ma, nel 2010, il neoeletto presidente Yanukovych annuncia che l’adesione alla Nato non è nella sua agenda.
Nel frattempo la Nato tesse una rete all’interno delle forze armate ucraine e addestra gruppi neonazisti (come prova una documentazione fotografica di militanti di Uno-Unso addestrati nel 2006 in Estonia da istruttori Nato). I neonazisti vengono usati come forza d’assalto nel putsch di Piazza Maidan che rovescia Yanukovych nel febbraio 2014, mentre il segretario generale della Nato intima alle forze armate ucraine di «restare neutrali».
Subito dopo va alla presidenza Poroshenko, sotto la cui guida – dichiara la Nato – l’Ucraina sta divenendo «uno Stato sovrano e indipendente, fermamente impegnato per la democrazia e il diritto».
Quanto sovrana e indipendente sia l’Ucraina lo dimostra l’assegnazione di incarichi ministeriali a cittadini stranieri scelti da Washington e Bruxelles: il ministero delle finanze è affidato a Natalie Jaresko, cittadina statunitense che ha lavorato al Dipartimento di Stato; quello del commercio e dello sviluppo economico al lituano Abromavicius, che ha lavorato per gruppi bancari europei; quello della sanità all’ex ministro georgiano Kvitashvili. L'ex presidente georgiano Saakashvili, uomo di fiducia di Washington, viene nominato governatore della regione ucraina di Odessa. E, per completare il quadro, Kiev affida le proprie dogane a una compagnia privata britannica.
Quanto l’Ucraina sia impegnata per la democrazia e il diritto, lo dimostra il fatto che i battaglioni neonazisti, rei di atrocità contro i civili di nazionalità russa nell’Ucraina orientale, sono stati inquadrati nella Guardia nazionale, addestrata da istruttori statunitensi e britannici. Lo dimostra la messa al bando del Partito comunista ucraino e della stessa ideologia comunista, in un clima persecutorio simile a quello dell’avvento del fascismo in Italia negli anni Venti. Per evitare testimoni scomodi, Kiev ha deciso il 17 settembre di impedire l'ingresso nel paese a decine di giornalisti stranieri, tra cui tre della Bbc, definiti «una minaccia alla sicurezza nazionale».
L’Ucraina di Poroshenko – l’oligarca arricchitosi col saccheggio delle proprietà statali, del quale il premier Renzi loda la «saggia leadership» – contribuirà anche alla nostra «sicurezza nazionale» partecipando come partner all’esercitazione Nato Trident Juncture 2015 che si svolge in Italia.
(il manifesto, 22 settembre 2015)
«Da vecchio militante ho una certa esperienza di assemblee, in questa c’era un po’ di estremismo. A partire dall’introduzione di Tomaso Montanari», spiega a chi gli chiede un giudizio.
C’è dell’ironia. Ma la questione è seria.
D’Alema era in prima fila, a un passo dal palco, quando il combattivo giovane studioso ha elencato le colpe del vecchio centrosinistra. E, nel lungo elenco, ha scandito «la guerra illegale in Kosovo». D’Alema, che era il presidente del consiglio in quel marzo ’99, non ha mosso ciglio.
Ma ora replica: «Vorrei spiegare a Montanari che di questo fui accusato da un gruppo di giuristi. Poi la Cassazione emise una sentenza che archiviò tutto riconoscendo la piena legittimità del mio agire». Perché, spiega, l’art.11 della Costituzione dice che «l’Italia ripudia la guerra» eccetera, «ma poi anche che consente alle limitazioni di sovranità necessarie agli obblighi derivanti dai trattati internazionali». La conclusione è tagliente: «L’accusa è decaduta, se lui la rilancia è una calunnia».
Non che intenda passare alle carte bollate, l’ex presidente del consiglio. Ma «il mondo è complesso, prima di parlare meglio informarsi, non ci si aspetta da un illustre storico dell’arte una sortita inutile e dannosa. Non si fanno battute a caso, tanto più se si lavora ad unire la sinistra».
Segue racconto dei suoi ritorni in Serbia, dei giovani che lo hanno ringraziato perché quella guerra fu l’inizio «del ritorno alla libertà». Ma questa sarebbe un’altra storia.
D’Alema sostiene che Montanari, critico d’arte, certe cose non le capisce e che meriterebbe una denuncia per calunnia che lui, bontà sua gli risparmierà. Esiste infatti una sentenza della Corte costituzionale che stabilisce che quella guerra non fu anticostituzionale. Anche se l’art.11 della Costituzione sostiene che l’Italia ripudia la guerra, poi consente, dice D’Alema “limitazioni di sovranità necessarie agli obblighi derivanti dai trattati internazionali” come, evidentemente, quelli legati alla nostra presenza nella Nato.
Ha ragione: il giovane e inesperto Montanari ignorava che per “limitazioni di sovranità” si potessero intendere i bombardamenti sulle popolazioni civili. Non è il solo, ma si è sbagliato.
A dire il vero Montanari è incorso pure in un’altra disattenzione minore, non passibile di calunnia, di cui però l’attento D’Alema non si è accorto: ha parlato di guerra in Kosovo. L’Italia, sotto la premiership di D’Alema fece da rampa di lancio per aerei che per molti giorni andarono a bombardare Belgrado, Novi Sad, Nis e molte altre città che dal Kosovo distano kilometri e kilometri.
Un’imprecisione di termini in cui molti sono soliti cadere. In fondo, se Montanari anziché di guerra illegale in Kosovo avesse parlato di bombardamenti della Nato, Italia compresa, sulla popolazione civile della Jugoslavia nessuno lo avrebbe potuto accusare di imprecisione e nessuno lo avrebbe potuto denunciare per calunnia. Un’altra volta ci dovrà stare più attento.
Peraltro, per quanto riguarda D’Alema, anche lui è uscito in un’affermazione che avrebbe richiesto qualche chiarimento politico in più, quando ha citato il suo ritorno in Serbia ai tempi in cui era Ministro degli Esteri del Governo Prodi tra il 2006 e il 2008.
Dice che i giovani lo hanno ringraziato perché quella guerra fu l’inizio “del ritorno alla libertà”.
Personalmente non nutro pregiudizi, quando si tratta di stabilire la verità dei fatti e i fatti di quegli anni li conosco discretamente, anche se può essermi sfuggito qualcosa. Per esempio non ho problemi a riconoscere che a Belgrado, D’Alema, come Ministro degli esteri del governo Prodi, fece un intervento che ricevette applausi. Solo che non riguardava tanto “il ritorno della libertà” in Jugoslavia grazie alle bombe della Nato. Piuttosto riguardava un progetto di possibile cooperazione economica tra Italia e Serbia che conteneva elementi di interesse per il governo locale.
Nessun problema a riconoscerlo, ma le due cose mi sembrano parecchio diverse.
Naturalmente, per Massimo D’Alema come per tutti, fino a prova contraria, vale la sua parola a proposito di quei giovani serbi che l’avrebbero ringraziato per le bombe. Però, ci faccia un piacere. Ci mostri un documento, una registrazione, uno straccio di attestazione che confermi questa sua affermazione. E che magari metta in risalto il numero e la rilevanza politica dei soggetti che si erano complimentati con lui. Altrimenti saremmo nostro malgrado portati a formulare cattivi pensieri sul suo conto. Magari che lui non sia quel modello di attendibilità che dichiara di essere.
Qui mi fermo: nessun processo alle intenzioni.
Ma nemmeno nessuna disponibilità a farmi prendere in giro dalle giravolte dialettiche del politico di turno, indipendentemente dal fattore generazionale.
Le Premier ministre monténégrin Duško Marković et son prédécesseur Milo Đukanović ont cru parler au Président et au Premier ministre d’Ukraine. Il s’agissait en fait des imitateurs russes Lexus et Vovan. Milo Đukanović a notamment promis au faux Petro Porochenko de l’aider à implanter une usine de chocolats au Monténégro...
The North Atlantic Alliance intends to use its newest member, Montenegro, to militarize the Balkan Peninsula, political activist and one of the leaders of the Resistance to Hopelessness movement Marko Milacic told Sputnik Serbia...
--- ITALIANO
ITA.- APPELLO AL MOVIMENTO PER LA PACE A SOSTEGNO DEL MONTENEGRO
Il Montenegro sta affrontando una situazione pericolosa. Il parlamento ha recentemente preso la decisione, contro la volontà della maggioranza dei cittadini, di aderire alla NATO, benché l'84% della popolazione del Montenegro sia a favore di un referendum, in base a fonti governative.
Si dovrebbe comprendere che costringere il Montenegro a entrare nella NATO, da parte della stessa NATO e dei suoi partner, la cricca in stile mafioso al potere nel paese, può solamente destabilizzare la società, e – cosa ancor più importante – questo è proprio ciò che sta avvenendo adesso. Questa è una aggressione politica da parte della NATO contro il Montenegro.
La decisione sull'entrata del Montenegro nella NATO non è valida, poiché non è sostenuta dal popolo del Montenegro. Essa è sostenuta da un regime antidemocratico che è rimasto sempre lo stesso per quasi tre decadi.
Noi facciamo appello a tutte le forze progressiste presenti sia nei paesi NATO che nei paesi non aderenti alla NATO, affinché sostengano il popolo del Montenegro nella sua lotta contro questo processo illegittimo e illegale.
Noi facciamo appello al governo del Montenegro perché rispetti il volere del popolo.
Inoltrate questa pagina con la vostra firma, precisando il vostro nome, indirizzo email, il nome eventuale della vostra organizzazione, a: milacici2007@...
--- ENGLISH
ENG.- APPEAL TO THE PEACE MOVEMENT TO SUPPORT MONTENEGRO
Montenegro is facing a dangerous situation. The parliament recently took the decision, against the will of the majority of citizens, to join NATO, although 84% of the population of Montenegro, according to government sources, is in favour of a referendum.
It should be understood that forcing Montenegro into NATO, by NATO and its partners, the mafia style clique in power in the country, can only destabilize the society, and more importantly that is happening right now. This is political aggression by NATO against Montenegro.
The decision about Montenegro entering NATO is not valid, because it is not backed by the people of Montenegro. It is backed by an undemocratic regime that hasn’t change for almost three decades.
We call on progressive forces in NATO and non-NATO member states to support the Montenegrin people in their struggle against this illegitimate and illegal process.
We call on the government of Montenegro to respect the will of the people.
par Marko Milacic, responsable du Mouvement pour la Neutralité du Monténégro
FR - APPEL AU MOUVEMENT DE LA PAIX POUR SOUTENIR LE MONTENEGRO
Le Monténégro affronte une situation dangereuse. Récemment, le parlement monténégrin a pris la décision d'adhérer à l'OTAN, alors que la majorité des citoyens s'y opposent et que, selon les propres sources gouvernementales, 84% de la population est favorable à l'organisation d'un referendum.
Par cette adhésion imposée par l'OTAN et ses partenaires, la clique mafieuse actuellement au pouvoir au Monténégro ne fera que déstabiliser gravement la société, comme cela est en train de se produire actuellement. C'est une agression politique de l'OTAN envers le Monténégro.
Cette décision d'adhésion du Monténégro à l'OTAN n’est pas légitime, car elle n'est pas acceptée par sa population. Elle a été imposée par un régime anti-démocratique au pouvoir depuis près de trente ans.
Nous appelons les forces progressistes des pays membres et non-membres de l'Otan à soutenir le peuple monténégrin dans sa lutte contre ce processus illégal et illégitime.
***
Renvoyez cette page avec votre signature, en précisant votre nom, adresse mail, nom éventuel de votre organisation à milacici2007@...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=-hquxihADio
L’arte della guerra
Il «disarmo» nucleare di Gentiloni
Manlio Dinucci
La scena della folla presa dal panico in piazza San Carlo a Torino, con drammatiche conseguenze, è emblematica della nostra situazione. La psicosi da attentato terroristico, diffusa ad arte dall’apparato politico-mediatico in base a un fenomeno reale (di cui si nascondono però le vere cause e finalità), ha fatto scattare in modo caotico l’istinto primordiale di sopravvivenza. Esso viene invece addormentato col black-out politico-mediatico, quando dovrebbe scattare in modo razionale di fronte a ciò che mette in pericolo la sopravvivenza dell’intera umanità: la corsa agli armamenti nucleari.
Di conseguenza la stragrande maggioranza degli italiani ignora che sta per svolgersi alle Nazioni Unite, dal 15 giugno al 7 luglio, la seconda fase dei negoziati per un trattato che proibisca le armi nucleari. La bozza della Convenzione sulle armi nucleari, redatta dopo la prima fase negoziale in marzo, stabilisce che ciascuno Stato parte si impegna a non produrre né possedere armi nucleari, né a trasferirle o riceverle direttamente o indirettamente.
L’apertura dei negoziati è stata decisa da una risoluzione dell’Assemblea generale votata nel dicembre 2016 da 113 paesi, con 35 contrari e 13 astenuti.
Gli Stati uniti e le altre due potenze nucleari della Nato (Francia e Gran Bretagna), gli altri paesi dell’Alleanza e i suoi principali partner – Israele (unica potenza nucleare in Medioriente), Giappone, Australia, Ucraina – hanno votato contro.
Hanno così espresso parere contrario anche le altre potenze nucleari: Russia e Cina (astenutasi), India, Pakistan e Nord Corea.
Tra i paesi che hanno votato contro, sulla scia degli Stati uniti, c’è l’Italia. Il governo Gentiloni ha dichiarato, il 2 febbraio, che «la convocazione di una Conferenza delle Nazioni Unite per negoziare uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari, costituisce un elemento fortemente divisivo che rischia di compromettere i nostri sforzi a favore del disarmo nucleare».
L’Italia, sostiene il governo, sta seguendo «un percorso graduale, realistico e concreto in grado di condurre a un processo di disarmo nucleare irreversibile, trasparente e verificabile», basato sulla «piena applicazione del Trattato di non-proliferazione, pilastro del disarmo».
In che modo l’Italia applica il Tnp, ratificato nel 1975, lo dimostrano i fatti. Nonostante che esso impegni gli Stati militarmente non-nucleari a «non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente», l’Italia ha messo a disposizione degli Stati uniti il proprio territorio per l’installazione di armi nucleari (almeno 50 bombe B-61 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre), al cui uso vengono addestrati anche piloti italiani.
Dal 2020 sarà schierata in Italia la B61-12: una nuova arma da first strike nucleare, con la capacità di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando. Una volta iniziato nel 2020 (ma non è escluso anche prima) lo schieramento in Europa della B61-12, l’Italia, formalmente paese non-nucleare, verrà trasformata in prima linea di un ancora più pericoloso confronto nucleare tra Usa/Nato e Russia.
Che fare? Si deve imporre che l’Italia contribuisca al varo del Trattato Onu sulla proibizione delle armi nucleari e lo sottoscriva e, allo stesso tempo, pretendere che gli Stati uniti, in base al vigente Trattato di non-proliferazione, rimuovano qualsiasi arma nucleare dal nostro territorio e rinuncino a installarvi le nuove bombe B61-12.
Per quasi tutto il «mondo politico», l’argomento è tabù. Se manca la coscienza politica, non resta che ricorrere all’istinto primordiale di sopravvivenza.
(il manifesto, 6 giugno 2017)