Informazione
Grottaferrata, sabato 4 febbraio 2012
ore 17.00 – teatro “Sacro Cuore” – via Garibaldi 19
Incontro con Sandi Volk (*)
PER NON DIMENTICARE LE VITTIME DEL RAZZISMO,
DEL NAZIONALISMO, DEL COLONIALISMO FASCISTA
“DALL’OCCUPAZIONE NAZIFASCISTA DEI BALCANI
AL REVISIONISMO STORICO NEL TERZO MILLENNIO”
Mostra fotografica “Testa per dente”e videoproiezioni
Nel 1920, dopo la fine della prima guerra mondiale, i trattati di pace inclusero all’interno del confine italiano circa 500.000 tra sloveni e croati che furono sottoposti a una politica di italianizzazione forzata.
Nel 1941 Italia, Germania, Ungheria e Bulgaria attaccarono e si spartirono la Jugoslavia.
Contro gli occupanti ebbe inizio una lotta di resistenza repressa in maniera durissima: nella “provincia di Lubiana”, annessa all’Italia, il culmine fu raggiunto a partire dal 1942 quando fu nominato comandante della seconda armata italiana e massima autorità militare in Jugoslavia Mario Roatta. Quest’ultimo si è reso responsabile della costruzione di campi di internamento per migliaia di jugoslavi e della stesura di direttive che permettevano di giustiziare ostaggi, deportare famiglie e incendiare abitazioni. Dall’aprile del 1941 al settembre del 1943 interi villaggi furono distrutti in Croazia e Slovenia come rappresaglia alle azioni partigiane e con l’intento di spingere la popolazione locale ad abbandonare i posti in cui viveva.
Nel solo territorio della provincia di Lubiana 9000 persone furono eliminate e 800 paesi distrutti.
La repressione della resistenza ad opera dei fascisti e dei nazisti, con la complicità degli ustascia croati e di altri collaborazionisti, venne portata avanti con ogni mezzo: rastrellamenti, fucilazioni e deportazioni.
Vennero così costruiti molti campi di concentramento per civili slavi e oppositori politici, sia nei territori allora conquistati che nel resto della penisola italiana: il più esteso si trovava sull’isola di Rab (Croazia) e conteneva
circa 15.000 slavi. Almeno 6.000, tra cui 2.000 bambini, finirono rinchiusi a Gonars e altri 3.000 a Visco (entrambi in provincia di Udine). L’elenco è lungo e comprende numerosi campi dove migliaia di slavi venivano condotti tra cui: Padova, Treviso, Alghero, Manfredonia, Isernia, Lanciano, Ariano Irpino, Fabriano, Ancona, Arezzo. Dopo l’armistizio i nazisti costituirono a Trieste il lager della “Risiera di San Sabba” dove agli
slavi si sommarono gli oppositori politici italiani (25.000 internati complessivamente, di cui 3.000-5.000 uccisi nei forni crematori, per fucilazione o con colpi di mazza alla nuca).
In un clima così teso e oppressivo fu forte la collaborazione tra perseguitati politici italiani e partigiani slavi. A testimonianza vi è l’episodio del 1943 della fuga dal campo di Renicci (in provincia di Arezzo, 4.000 civili jugoslavi) e la successiva confluenza degli ex prigionieri nelle brigate partigiane più vicine.
Viviamo in un periodo in cui il revisionismo storico è diventato una potente arma nelle mani di chi ci governa. Con lo scopo di creare false coscienze a tutto vantaggio della “costruzione del consenso” alle attuali guerre “umanitarie” e alle occupazioni coloniali a cui partecipa attivamente anche l’Italia.
Attraverso la falsificazione e l’omissione delle vergognose vicende storiche legate al ventennio fascista, la quasi totalità delle compagini politiche ha portato avanti negli ultimi anni il tentativo di equiparazione tra chi oppresso impugnò le armi per conquistare la Libertà e chi invece scelse di servire Hitler e Mussolini.
E’ necessario ricordare i fatti di quegli anni non come “violenza” di un popolo sull’altro, perché così non fu, ma come legittima resistenza di slavi e italiani uniti contro la pesante oppressione degli eserciti nazifascisti.
La storia va sempre raccontata tutta, dall’inizio alla fine, perché essa è utile solo se serve a comprendere meglio il presente e, nel caso in questione, a non uccidere due volte tutte quelle persone che subirono le violenze di una guerra coloniale che all’epoca dei fatti fu culturalmente motivata su basi razziste ampiamente documentate.
ASSEMBLEA ANTIFASCISTA CASTELLI ROMANI – castelli.antifa@...
(*) Sandi Volk è uno storico, si è laureato in Storia Contemporanea all’Università di Trieste e ha conseguito il master e il Dottorato in Storia Contemporanea presso il Dipartimento di Storia della Facoltà di Filosofia dell’Università di Lubiana. Si occupa di storia contemporanea della Venezia Giulia, in particolare di Trieste e della storia degli sloveni della regione. Pubblica saggi in Italia e in Slovenia e collabora con Istituti e Centri di ricerca. E’ stato membro della commissione consultiva del Comune di Trieste per il Civico Museo della Risiera di San Sabba-Monumento nazionale.
http://www.diecifebbraio.info/2012/02/grottaferrata-roma-422012-incontro-con-sandi-volk/
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(Paper presented at the International Conference “Human Rights with the view to building a Culture of Peace”, held in Sao Paolo, Brazil, on 2nd and 3rd of December 2011)
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presso il Cinema Astra, piazzale Volta
Foibe e fascismo - VII edizione
ore 17:30 - Conferenza: Crimini fascisti in Jugoslavia
con Davide Conti - storico (Fondazione Lelio e Lisli Basso)
ore 18:00 - Proiezione: Pokret!
video-intervista a italiani partigiani in Jugoslavia
con presentazione del regista Giuliano Calisti (ANPI Viterbo)
organizza
Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma
per info: <comitatoantifasc_pr @ alice.it>
scarica la cartolina in formato PDF: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/ParmaCartolina2012.pdf
scarica il manifesto in formato PDF: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/ParmaManifesto2012.pdf
Fascisti, leghisti e destre anticomuniste vorrebbero fosse eliminata l’intitolazione a Tito della piccola strada di Parma esistente dagli anni ’80, e in alternativa introdotta “via martiri delle foibe”.
E’ una richiesta grave e assolutamente inaccettabile, espressione di quel “revisionismo storico” mirante a sminuire il valore della Resistenza antifascista, oscurare i crimini fascisti e nazisti, e rivalutare in qualche modo il fascismo.
Morti delle foibe, nel settembre-ottobre ’43 e nel maggio ’45, furono alcune centinaia di italiani (migliaia aggiungendo dispersi e fucilati in guerra, deportati e morti in campi di concentramento jugoslavi, ecc.) in gran parte militari, capi fascisti, dirigenti e funzionari dell’amministrazione italiana occupante la Jugoslavia, collaborazionisti. Morti per atti di giustizia sommaria, vendette ed eccessi, da parte di partigiani jugoslavi, derivanti dall’odio popolare e dalla rivolta nei confronti dell’Italia fascista. Considerare questi morti indistintamente, accomunarli tutti insieme, non rende giustizia a quella parte di loro che furono vittime innocenti. Vittime, non martiri. La stessa legge statale del 2004 istitutiva del “giorno del ricordo delle vittime delle foibe” non usa mai la parola “martiri”.
Violenza di proporzioni di gran lunga superiori, sistematica e pianificata, e precedente, è stata quella del fascismo a partire dal 1920. Azioni delle squadracce contro centri culturali, sedi sindacali, cooperative agricole, giornali operai, politici e cittadini di “razza slava”, poi, nel ventennio, la chiusura delle scuole slovene e croate, il cambiamento della lingua e dei nomi, l’italianizzazione forzata, infine, nell’aprile del ’41, l’aggressione militare, l’invasione della Jugoslavia da parte dell’esercito del re e di Mussolini, pochi giorni dopo quella da parte della Germania nazista. L’Italia si annesse direttamente alcuni territori (come Lubiana e parte della Slovenia), altri tenne sotto controllo, in condizioni di occupazione particolarmente dure e crudeli, non meno di quelle naziste. Distruzione di interi villaggi sloveni e croati, dati alla fiamme, massacro di decine di migliaia di civili, campi di concentramento.
Di qui la rivolta contro l’Italia fascista, lo sviluppo impetuoso del movimento partigiano delle formazioni repubblicane e comuniste guidate da Tito, la grande lotta antifascista e antinazista nei Balcani.
Enorme è stato il tributo jugoslavo alla guerra contro il nazifascismo: su una popolazione di 18 milioni di abitanti dell’intero Paese, furono al comando di Tito 300.000 combattenti alla fine del ’43 e 800.000 al momento finale della liberazione, 1.700.000 furono i morti in totale, sul campo 350.000 i partigiani morti e 400.000 i feriti e dispersi. Da 400.000 a 800.000, ovvero da 34 a 60 divisioni, furono i militari tedeschi e italiani tenuti impegnati nella lotta, con rilevanti perdite inflitte ai nazifascisti. Una lotta partigiana su vasta scala, che paralizzò l’avversario e passò progressivamente all’offensiva, un’autentica guerra, condotta da quello che divenne un vero e proprio esercito popolare e che fece di Tito più di un capo partigiano, un belligerante vero e proprio, riconosciuto e considerato a livello internazionale.
La Resistenza della Jugoslavia è stata di primaria grandezza in Europa e da quella esperienza la Jugoslavia è uscita come il paese più provato e al tempo stesso più trasformato. La Resistenza jugoslava ancor più di altre è stata più di una guerriglia per la liberazione del proprio territorio, è stata empito universale di una nuova società, ansia di superamento delle barriere nazionali, anelito di pace, libertà e giustizia sociale, da parte di tanti uomini e tante donne del secolo scorso.
Ai partigiani jugoslavi si unirono, l’indomani dell’8 settembre ’43, quarantamila soldati italiani, la metà dei quali diedero la vita in quell’epica lotta nei Balcani; essi, col loro sacrificio, riscattarono l’Italia dall’onta in cui il fascismo l’aveva gettata. A questi italiani devono andare il ricordo e la riconoscenza della Repubblica democratica nata dalla Resistenza.
COMITATO ANTIFASCISTA E PER LA MEMORIA STORICA – PARMA
comitatoantifasc_pr@... – c.i.p. via Testi 4, Parma
NON "VITTIME INNOCENTI" E TANTOMENO "MARTIRI"
- Cossetto Giuseppe, infoibato nel ’43 a Treghelizza, possidente, segretario del fascio a S. Domenica di Visinada, capomanipolo MVSN (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, sottoposta direttamente ai tedeschi), già squadrista sciarpa Littorio;
- Morassi Giovanni, arrestato a Gorizia nel maggio ’45 e scomparso, Vicepodestà e Presidente della Provincia di Gorizia;
- Muiesan Domenico, ucciso nel ’45 a Trieste, irredentista, legionario fiumano, volontario della guerra d’Africa, squadrista delle squadre d’azione a Pirano;
- Nardini Mario, ucciso nel ’45 a Trieste, capitano della MDT (Milizia Difesa Territoriale, sottoposta direttamente ai tedeschi), già XI Legione MACA (milizia fascista speciale di artiglieria controaerei);
- Patti Egidio, ucciso nel ’45, pare infoibato presso Opicina, vicebrigadiere del 2° Reggimento MDT, già MVSN, GNR (Guardia Nazionale Repubblicana), squadrista;
- Polonio Balbi Michele, scomparso a Fiume il 3 maggio ’45, sottocapo manipolo del 3° Reggimento MDT;
- Ponzo Mario, morto nel ‘45 in prigionia, colonnello del Genio Navale, poi inquadrato nel Corpo Volontari della Libertà del Comitato di Liberazione Nazionale (antifascista) di Trieste, arrestato per spionaggio sul movimento partigiano jugoslavo in favore del fascista Ispettorato Speciale di PS (Pubblica Sicurezza, sottoposta direttamente ai tedeschi);
- Sorrentino Vincenzo, arrestato nel maggio ’45 a Trieste, condannato a morte da tribunale jugoslavo e fucilato nel ’47, ultimo prefetto di Zara italiana, membro del Tribunale Speciale della Dalmazia che comminava condanne a morte con eccessiva facilità secondo gli stessi comandanti militari italiani (“girava per la Dalmazia, e dove si fermava le poche ore strettamente indispensabili per un frettoloso giudizio, pronunciava sentenze di morte; e queste erano senz’altro eseguite”, Procuratore Militare in Dalmazia Umberto Maranghini).
(da Le medaglie per gli infoibati di Claudia Cernigoi, sito «La Nuova Alabarda»)
NO all’intitolazione di una via di Parma ai “martiri delle foibe”
SI all’intitolazione di una via di Parma ai partigiani italiani all’estero
COMITATO ANTIFASCISTA E PER LA MEMORIA STORICA – PARMA
comitatoantifasc_pr@... – c.i.p. via Testi 4 , Parma
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»Wir sind mit der Zerstörung des Völkerrechts konfrontiert«
Gespräch mit Klaus Hartmann. Über die Rolle der Bundesrepublik bei der Zerstörung des jugoslawischen Bundesstaates, die völkerrechtliche Anerkennung Sloweniens und Kroatiens vor 20 Jahren und die damit ausgelöste Katastrophe
Klaus Hartmann ist Bundesvorsitzender des Deutschen Freidenker-Verbandes und in der Jugoslawien-Solidaritätsbewegung aktiv und ist Vorstandsvorsitzender des Internationalen Komitees »Slobodan Milosevic«.
Am 15. Januar vor 20 Jahren erkannten die Staaten der damaligen Europäischen Gemeinschaft (EG) auf Drängen der Bundesregierung unter Helmut Kohl und Hans-Dietrich Genscher die jugoslawischen Teilrepubliken Slowenien und Kroatien als unabhängige Staaten völkerrechtlich an. Die Bundesregierung hatte das schon am 23. Dezember 1991 vollzogen. Kohl sprach von einem » großen Erfolg der deutschen Diplomatie«, was in Washington, London oder Paris mit »victory – Sieg« übersetzt wurde. Welche Rolle spielte die Bundesrepublik bei den Prozessen, die zum 15. Januar 1992 führten?
Selbst die USA hatten zumindest verbal wiederholt öffentlich erklärt, die Auflösung Jugoslawiens nicht zu akzeptieren. Frankreich und Großbritannien warnten davor zum Teil vehement bis in den Januar 1992 hinein. Die Bundesregierung nahm offiziell im Sommer 1991 ihren Kurswechsel unter dem Schlagwort »Selbstbestimmung« vor und bestimmte in der EG das Geschehen. Besonders engagierte sich FAZ-Herausgeber Johann Georg Reißmüller, der einen deutschen Alleingang forderte, den es mit der Anerkennung Sloweniens und Kroatiens am 23. Dezember 1991 auch gab.
Auch der Generalsekretär der Vereinten Nationen, Javier Peréz Cuellar, zeigte sich »tief beunruhigt«. Er warnte in einem Brief an Genscher, daß dies zu einer »Ausweitung des derzeitigen Konflikts führen« und eine »explosive Situation insbesonders in Bosnien-Herzegowina und auch in Mazedonien herbeiführen« würde.
Und der damalige US-Außenminister Warren Christopher machte die Bundesrepublik für die Katastrophe in Bosnien-Herzegowina verantwortlich: »Es wurden beim gesamten Anerkennungsprozeß und vor allem bei der zu schnellen Anerkennung schwere Fehler gemacht, und die Deutschen tragen eine besondere Verantwortung dafür.«
Innerhalb seiner Partei brüstete sich Genscher, schon seit Juli 1991 permanent für die Anerkennung der Sezession eingetreten zu sein. Otto Graf Lambsdorff lamentierte am 4.Juli 1991 in Bundestag, »die Spanier haben es mit den Basken zu tun, die Italiener mit den Sarden, die Franzosen mit den Korsen, die Briten mit den Iren«. Deshalb sei die Anerkennungsbereitschaft nicht riesengroß. »Es nutzt ja nichts, wenn der deutsche Außenminister alleine vormarschiert. Er muß die EG-Front schon um sich versammeln.« Und dem vorbestraften Lambsdorff war auch völlig klar, daß das Selbstbestimmungsrecht kein tragfähiges Argument für die Sezession war: »Die liberale Internationale vertritt nicht die legalistische Position, daß das Selbstbestimmungsrecht eines Staates nicht anerkannt werden kann.«
Die Kohl-Genscher-Regierung stand mit ihren völkerrechtswidrigen Umtrieben aber nicht allein. Die Grünen unter Josef Fischer forderten die Anerkennung der Sezessionisten seit August 1991, ebenso und besonders vehement die SPD-Politiker Karsten Voigt und Norbert Gansel.
Kurz nach diesem Datum begannen die Kriege, die zur völligen Auflösung des jugoslawischen Bundesstaates führten und etwa 200000 Menschen das Leben kosteten. Warum konnte sich die Bundesrepublik in einer weltpolitisch wichtigen Frage so durchsetzen – mit katastrophalen Folgen? Wer wollte und warum Jugoslawien spalten?
Im November 1991 besuchte Genscher den Vatikan als traditionelle Schutzmacht des »unabhängigen, katholischen« Kroatien und gewann die Erkenntnis: »Klarer als manche westliche Regierung erkannte die vatikanische Außenpolitik die Gefahr, die sich aus dem serbischen Vormachtsanspruch … ergeben mußte«. Und Prälat Paul Bocklet, im politischen Bonn eine wichtige Figur, äußerte gegenüber dem kroatischen Botschafter, Kroatien habe »außerordentliches Glück« gehabt, da sowohl der Papst als auch die deutsche Regierung und der liebe Gott auf ihrer Seite« gewesen seien.
Der göttliche Beistand kam nicht von ungefähr – der Vatikan verstand sich schon 1941 bis 1945 als Schutzmacht der kroatischen Ustascha-Faschisten, und die brachten ihre geraubten Schätze vor der heranrückenden Roten Armee in Rom in Sicherheit. Nach US-Geheimdiensterkenntnissen soll der Vatikan damals Gold und Bargeld im Wert von Millionen Schweizer Franken erhalten haben, die kroatische Faschisten von Juden, Sinit und Roma und Serben erpreßt und geraubt hatten. Mit dem Geld wurde u.a. die »Rattenlinie« finanziert, auf der Tausende Nazi-Kriegsverbrecher nach Argentinien und in andere südamerikanische Staaten auswandern konnten. Auch der blutrünstige Faschistenführer Ante Pavelic gelangte mit kirchlicher Hilfe als »Pater Gomez« nach Argentinien und später nach Spanien, wo er 1959, vom Papst gesegnet, starb.
Das »Ustascha-Gold« hat aber noch weitere Zinsen getragen, wovon die kroatischen Separatisten 1991 30 Millionen DM als »Kredit« von »Heiligen Vater« erhielten. Und den kroatischen Schutzheiligen der Faschisten, Kardinal Alojzije Stepinac, sprach Papst Paul II. 1998 »selig«.
Seit dieser Zeit behauptet die deutsche Propaganda vehement, Auslöser der Jugoslawien-Kriege sei ausschließlich Serbien unter dem »Diktator« Slobodan Milosevic. Bis auf wenige Ausnahmen hat sich dieser Standpunkt in den deutschen Medien durchgesetzt und gilt als historisches Faktum. Welche Rolle spielte Serbien damals?
Und auf die bekannte Behauptung, der Staat sei nur die Fassade für serbische Dominanz gewesen: »Dieser Staat wurde zu diesem entscheidenden Zeitpunkt von einem aus der Teilrepublik Kroatien entsandten Mitglied des jugoslawischen Staatspräsidiums, Stjepan Mesi, geführt. Der damalige Premierminister des Landes Ante Markovi kam auch aus Kroatien, und auch der Außenminister Budimir Lonar war Kroate. Was die höchsten militärischen Ränge betrifft, so haben wir es hier schon (von Anklagezeugen – K. H.) gehört: unter den höchsten 16 Generalen waren nur zwei Serben. Die Mehrheit bestand aus Kroaten, Slowenen und Leuten anderer ethnischer Herkunft.«
Zur Entstehung der Auseinandersetzung muß man wissen – und die deutsche Außenpolitik wußte es –, daß schon im Januar 1991 der sogenannte Verteidigungsminister Kroatiens in einem TV-Interview von der »unumgänglichen Ausrottung der Serbenhochburg Knin« gesprochen hat. Er hatte dazu 36000 Maschinengewehre aus Ungarn besorgt. Die so Bedrohten widersetzten sich der Sezession, versuchten sich zu schützen, riegelten ihre Siedlungsgebiete ab und riefen ihrerseits die Autonomie aus. Die kroatischen Separatisten liquidierten nämlichen den Status der Serben als zweitem Staatsvolk neben den Kroaten und machten sie zu einer Minderheit mit eingeschränkten Rechten. Milosevic sagte seinerzeit: »Gleiche Methoden in den gleichen Gebieten, in denen 1941 der Völkermord am serbischen Volk durch die Ustascha-Verbände im so genannten Unabhängigen Staat Kroatien begann.«
Zwei Tage nach der Unabhängigkeitserklärung am 25. Juni 1991 begann die JNA mit der bewaffneten Verteidigung der jugoslawischen Grenzen. Dabei wurden die jugoslawischen Soldaten in ihren eigenen Kasernen von der neuen kroatischen Territorialarmee blockiert. Die ersten Toten des Krieges waren Serben.
Dazu Milosevic: »Am 10. Juli 1991 verabschiedete das Europäische Parlament eine Resolution, in der nicht die Rebellen, nicht die Separatisten verurteilt wurden, sondern die ordentlichen Streitkräfte, die JNA. Es wurden also die Rollen von Täter und Opfer verkehrt. …. Von Juli 1991 bis August 1992 wurden 193 serbische Dörfer ethnisch gesäubert.«
Das geschah nicht nur mit der deutschen und dann internationalen diplomatischen Unterstützung, sondern auch mit deutschen Waffen. Ehemalige NVA-Waffen, die angeblich verschrottet worden waren, wurden zur Aufrüstung der kroatischen Separatisten geliefert, auch MiG 21-Flugzeuge, die in der DDR mit NVA-Kennung geflogen waren.
Zur weiteren Entwicklung erinnerte Milosevic: »Am 21. Dezember 1991 sagte (der damalige Präsident Bosnien-Herzegowinas – K. H.) Izetbegovi im Parlament von Bosnien-Herzegowina, daß er bereit sei, für die Souveränität Bosnien-Herzegowinas den Frieden zu opfern.« Seinen Erfolg bei der Slowenien- und Bosnien-Anerkennung wollte Deutschland wiederholen: Bundeskanzler Kohl forderte, mit Erfolg, von den westlichen Verbündeten die Anerkennung Bosnien-Herzegowinas bis spätestens 6.April 1992. Historiker Kohl war sich sicher bewußt, daß dies exakt der Jahrestag von Hitlers Angriff auf Jugoslawien 1941 war.
Welche Strategie verfolgten BND und Bonner Außenamt in den 80er Jahren und nach dem Anschluß der DDR 1990?
Dem gingen aber geheimdienstliche Aktivitäten seit den 1980er Jahren voraus. Der Geheimdienstexperte Erich Schmidt-Eenboom schreibt in seinem Buch »Der Schattenkrieger« über die BND-Aktivitäten des späteren Außenministers und damaligen BND-Chefs Klaus Kinkel, daß schon »unmittelbar vor dem Tode (des früheren Präsidenten Jugoslawiens – K. H.) Titos« in Zagreb »alle Entscheidungen in strategischen Fragen nur noch in Absprache … mit BND-Instanzen und Ustascha-Repräsentanten getroffen wurden«. Das war zu Beginn der 80er Jahre.
Der ehemalige Geheimdienstchef Titos, Antun Duhacek berichtete, daß der BND Ende der 1980er Jahre die direkte operative Führung des kroatischen Auslandsgeheimdienstes zur Zerstörung Jugoslawiens übernahm. Bei einem persönlichen Treffen zwischen Bundesaußenminister Genscher und dem kroatischen Geheimdienstchef Josip Manolic im Februar 1990 hat Genscher 800 Millionen Mark versprochen, die im März 1990 von BND-Leuten in Zagreb übergeben wurden.
Es war der Lohn für ein Geheimabkommen über die Zusammenarbeit des kroatischen Dienstes mit dem BND im Vorgehen gegen Jugoslawien und Serbien. Dafür stellt der BND alle Aufklärungsergebnisse zur Verfügung, die er und befreundete NATO-Dienste in und über Jugoslawien sammelten, zum Beispiel über die Situation in der Jugoslawischen Armee, ihre Truppenbewegungen und anderes. Schließlich unterstellte Manolic einen Teil seiner Informanten und informellen Mitarbeiter, zum Beispiel in Belgrad, direkt dem BND.
Soweit einige Beispiele der Praxis. Was die Strategie betrifft, muß an folgenden Satz erinnert werden: »Deutschland hat mit seiner Geschichte abgeschlossen, es kann sich künftig offen zu seiner Weltmachtrolle bekennen und sollte diese ausweiten«. Das ist keine kommunistische Propaganda, sondern Kohls Regierungserklärung vom 30. Januar 1991.
Klaus Kinkel erklärte 1993: »Zwei Aufgaben gilt es parallel zu meistern: Nach innen müssen wir wieder zu einem Volk werden, nach außen gilt es, etwas zu vollbringen, woran wir zweimal gescheitert sind: Einklang mit unseren Nachbarn zu einer Rolle zu finden, die unseren Wünschen und unserem Potential entspricht. Wir sind aufgrund unserer Mittellage, unserer Größe und unserer traditionellen Beziehungen zu Mittel- und Osteuropa dazu prädestiniert, den Hauptvorteil aus der Rückkehr dieser Staaten nach Europa zu ziehen. »
Seit 1990 erleben wir den Kampf der – sich ungleichmäßig entwickelnden – imperialistischen Hauptmächte um Einflußzonen und die Neuaufteilung der Erde. Diese gesetzmäßige Entwicklung faßte der damalige deutsche Kriegsminister Volker Rühe in die Worte: »Unsere wirtschaftliche, technologische und finanzielle Leistungsfähigkeit lassen eine Selbstbeschränkung deutscher Außenpolitik nach dem alten Muster nicht mehr zu.«
Die USA waren aber damals über den deutschen Alleingang überhaupt nicht erfreut.
Schon 1984 hatte die Administration von US-Präsident Ronald Reagan die jugoslawische Wirtschaft in der Geheimdirektive NSDD 133 ins Visier genommen. Ihr Titel lautete schlicht: »Die Politik der USA in Bezug auf Jugoslawien«. Sie forderte unter anderem fortgesetzte Anstrengungen zur Entfachung von »stillen Revolutionen«, mit dem Ziel der Überwindung kommunistischer Regierungen und Parteien, während die Länder Osteuropas wieder dem Wirkungskreis des Weltmarktes unterworfen werden sollten.
Die USA beeilten sich, die Deutschen auf dem Balkan auszubremsen, und sandten »Militärberater« und Waffen nach Kroatien und an die bosnischen Muslime, sie erzwangen 1994 den Zusammenschluß der »Kroatisch-bosnischen Föderation« als antiserbische Militärformation.
Harilaos Florakis, damals Vorsitzender der Kommunistischen Partei Griechenlands KKE, kommentierte das mit den Worten: » Dieser Krieg ist ein Ergebnis der imperialistischen Strategie des Teilens und Herrschens. Er hat auch mit Widersprüchen zwischen den USA und Deutschland zu tun, Widersprüchen, die jetzt aufgebrochen sind, weil der gemeinsame Gegner von der Weltbühne verschwunden ist.«
Was folgt daraus für die Einschätzung der Gefährlichkeit des deutschen und des US-Imperialismus? Ist die Losung »Der Hauptfeind steht im eigenen Land!« heute noch richtig? Und schließlich: Die Ereignisse liegen zehn bis 20 Jahre zurück. Sind sie heute noch von Bedeutung?
Das Tragische ist, daß die Bedeutung der Zerstörung Jugoslawiens damals von vielen Linken nicht erkannt wurde, und heute auch nicht in den Kontext der Kriege eingeordnet wird, die danach und aktuell geführt werden. Wir haben damals gewarnt, daß die Aggression gegen Jugoslawien einen »Türöffnerkrieg« für folgende Feldzüge darstellt.
Fünf Tage nach der Kroatien-Anerkennung legte die Bundesregierung dem Verteidigungsausschuß erstmals die neue Marschrichtung der Bundeswehr vor: »Aufrechterhaltung des freien Welthandels und des Zugangs zu strategischen Rohstoffen«.
Noch während des Bombenkrieges 1999 verabschiedete die NATO neue Richtlinien, in denen sie sich auf Kriege festlegt, die gegen ihren Gründungsvertrag verstoßen, nämlich auf Kriege außerhalb des Bündnisgebiets. Genau dies konnten wir in Afghanistan 2001, im Irak 2003 und in Libyen 2011 erleben.
Und mit der Aggression gegen Jugoslawien wurde massiv gegen das Völkerrecht verstoßen, völkerrechtswidrige Angriffskriege sind seitdem auf der Tagesordnung. Wir sind mit einer fortschreitenden Zerstörung des Völkerrechts konfrontiert, das mit Propagandaformeln wie der »humanitären Intervention« oder neuerdings der »Schutzpflicht« aus den Angeln gehoben werden soll. Manche Völkerrechtler schrecken nicht davor zurück, sich zu prostituieren, indem sie dabei von einer »Fortentwicklung des Völkerrechts« phantasieren. Das ist gerade so, als wenn Sie und ich beschließen, ab sofort wöchentlich Banken zu überfallen und darauf zu setzen, daß mit der Zeit Bankraub als Straftatbestand gestrichen wird. Der Völkerrechtsnihilismus kennzeichnet die zunehmende Faschisierung der Außenpolitik und ist Teil der grundsätzlichen Tendenz der Barbarisierung des imperialistischen Systems.
Schließlich wurden im Falle Jugoslawiens die Mechanismen der Meinungsmanipulation eingeübt, die inzwischen ständig angewandt werden. Die Behauptung, für unterdrückte Minderheiten und Völker in den Krieg zu ziehen, benutzte zwar schon Adolf Hitler. Inzwischen wurde die Methode perfektioniert, das zum Angriff ausersehene Land zu delegitimieren. Es wird als »gescheiterter« oder »Schurkenstaat« bezeichnet, die politischen Repräsentanten werden als »Diktatoren«, »Machthaber« und »Schlächter« dämonisiert, außerhalb des Rechts gestellt und zum Abschuß freigegeben. Genau das geschieht ja gerade im Moment wieder in den Reaktionen einiger Politiker und Medien auf den Aufruf zur Solidarität mit den Völkern Syriens und Irans (siehe Randspalte), der sich gegen die westliche Kriegsvorbereitung wendet.
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FOIBE: tra storia e mito
promuovono:
Cipec Punto Rosso, Centro Studi A.Gramsci, Resistenza Universitaria
evento Facebook: http://www.facebook.com/events/215063791920781/
locandina: http://www.diecifebbraio.info/2012/01/roma-122012-foibe-tra-storia-e-mito/
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27 gennaio 1944: L'Esercito sovietico rompe definitivamente l'assedio di Leningrado durato circa 900 giorni
http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/storia/882-27-gennaio-1944-la-fine-dellassedio-di-leningrado.html
27 gennaio 1945: I cancelli di Auschwitz aperti dall'Armata Rossa
http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/storia/881-27-gennaio-1945-i-cancelli-di-auschwitz-aperti-dallarmata-rossa.html
Da: Andrea MartocchiaData: 30 novembre 2011 21.25.09 GMT+01.00Oggetto: Appello a Napolitano per il Memoriale italiano di AuschwitzAppello a Napolitano per il Memoriale italiano di AuschwitzPubblicato il 28 Novembre 2011Dopo aver lanciato un appello ai colleghi tedeschi, architetti ed esperti di beni culturali scrivono al Presidente della Repubblica un appello per la riapertura, conservazione e valorizzazione in situ del memoriale italiano di Auschwitz. Nel numero di dicembre, Sapere dedicherà il dossier proprio alla storia di questo monumento e alla Shoah.
Egregio Signor Presidente,
Lo scorso primo luglio il Memoriale italiano nel Campo/Museo di Auschwitz è stato chiuso per unilaterale decisione della Direzione del Museo/KZ di Auschwitz-Birkenau, con la motivazione che si tratta di un’opera non rispondente alle Linee Generali per gli allestimenti delle mostre nazionali adottate in Polonia nel 1990, perché sarebbe “opera d’arte fine a se stessa”, “priva di valore educativo”.
Ricordando che il Memoriale è prima di tutto opera di due testimoni, Lodovico Belgiojoso e Primo Levi, coadiuvati da altri autori ai quali le Accademie Italiane con il Suo Alto Patrocinio hanno riconosciuto nella Giornata della Memoria 2011 le massime onorificenze, e vale pertanto primariamente come opera di testimonianza; che rappresenta anche un monumento Architettonico di valore internazionale, secondo Bruno Zevi; che iniziato nel 1972 e realizzato nel 1979-80 fa parte integrale del Konzentrazionslager di Auschwitz-Birkenau, dichiarato sito Unesco nel 1979; ci rivolgiamo a Lei come garante della storia della Nazione e del rispetto di questa nel consesso internazionale contro la chiusura del Memoriale italiano di Auschwitz.
A quaranta anni dalla ideazione ed a trenta dalla sua realizzazione, il Memoriale italiano di Auschwitz ha guadagnato una storicità che si aggiunge a quella originaria e documentale della testimonianza diretta; e, secondo il principio rivendicato da Elie Wiesel in occasione del recente furto della scritta di ingresso al Museo, deve essere conservato e non può essere sottoposto ad aggiornamenti perché come “tutto ciò che è al di là del filo spinato non è disponibile”.Sia consentito fare presente ancora che
1. il Memoriale costituisce l’unico esempio di allestimento che risponde perfettamente alle Linee Guida di recente formulate per la conservazione di Auschwitz, lasciando intatta la struttura edilizia in cui trova sede, pur legandosi al sito nel modo più confacente e creativo al contempo (certamente entro i limiti delle coordinate del tempo al quale appartiene);
2. non risultano atti specifici di carattere pubblico, di rilevanza statale polacca ovvero internazionale, cioè vidimati dal Comitato Internazionale di Auschwitz, che esprimano un giudizio negativo sul Memoriale italiano;
3. il Governo Italiano non ha mai presentato la proposta di accordo denominata “Progetto Glossa” - approvato dall’ANED nel Congresso Nazionale dell’Ottobre 2008- agli organi nazionali e internazionali di Auschwitz chiedendo alla Direzione del Museo di Auschwitz e al Comitato Internazionale di esprimere specifico e motivato parere;
4. non risulta che l’ANED, come proprietario del Memoriale e soprattutto organismo unitario della memoria della deportazione italiana nei campi di sterminio nazista, abbia mai approvato la possibilità di un trasferimento del Memoriale di Auschwitz nell’ex campo di Fossoli, che risulterebbe “snaturante” così per il Memoriale, concepito “per” Auschwitz e “progettato” per inquadrare “quel” luogo di memoria, palesemente non interscambiabile, come per Fossoli, a sua volta luogo di memoria “propria” e altrettanto non interscambiabile;
5. risulta poco comprensibile che l’Italia accetti di riconoscere il Memoriale come bene culturale “dopo” l’eventuale trasferimento da Auschwitz, poiché trasferimento e riconoscimento sono tra loro incompatibili e si autoescludono.Tutti noi studiosi, studenti, organizzazioni, ordini professionali, istituzioni, università, personalità italiane, polacche e internazionali, confidiamo che la Sua grande capacità di conservare il senso delle cose sopra le parti aiuti a ribadire che il Memoriale italiano di Auschwitz è il contributo che l’Italia Repubblicana nata dalla Resistenza intese offrire alla comunità internazionale nel luogo simbolo della organizzazione dello sterminio nazista e come tale ha contribuito allo stesso divenire della identità di Auschwitz.Confidiamo che la Sua parola riesca a convincere tutti che è interesse nazionale dell’Italia e internazionale del campo-museo di Auschwitz di lasciare il Memoriale come è e dove è, restaurando quanto è malandato (come si sa l’arte contemporanea è deperibile in modo speciale), aggiungendo, senza disturbare in nessun modo il Memoriale, le innovazioni necessarie ed opportune a renderlo “dialogante” con le nuove generazioni, grazie anche a mezzi di comunicazione che erano inimmaginabili al tempo in cui l’opera fu pensata, ma proprio per questo costituente una testimonianza unica e preziosa per Auschwitz. La quantità di questa aggiunta e dei supporti tecnologici a fine didattico-pedagogico può essere discussa bilateralmente con gli organismi del campo-museo e collegialmente tra le varie componenti della deportazione italiana, specialmente quelle ebraiche che lo richiedono con maggior forza e determinazione, ma possiamo stare certi che vada ridotta al minimo indispensabile, perché già oggi i padiglioni rinnovati con grande enfasi ostensiva appaiono omologati ed obsoleti: semplicemente incomparabili con il nostro Memoriale.Le chiediamo intervenire perché al più presto vengano tolti gli offensivi sigilli al Memoriale, ripristinando così il suo stato di patrimonio comune dell’umanità, e perché il Governo Italiano, grazie al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, lo dichiari bene culturale italiano, dando veste al mandato che il Memoriale ha storicamente svolto fino alla chiusura del 1 luglio.[seguono firme]Inizio messaggio inoltrato:Da: Andrea MartocchiaData: 08 agosto 2011 23.53.45 GMT+02.00Oggetto: [storia_e_conflitto] Chiuso il Memoriale degli Italiani ad AuschwitzL'appello che segue ha almeno - a mio avviso - due limiti: il fatto che si rivolge ad una istituzione tedesca, e l'accenno che fa in termini positivi al dibattito sui "due totalitarismi" che ha imperversato proprio in Germania, portando in realtà a scempi criminali quali la distruzione del Palast der Republik a Berlino e di grandi testimonianze dell'antifascismo in tutta la ex DDR. Ciononostante mi sembra indispensabile farlo girare perchè (a) il fatto in questione è pochissimo noto in Italia (b) nell'appello si ricorda il valore storico-artistico dell'opera di cui si impone la chiusura (c) in esso si menziona anche esplicitamente qualche ragione ideologica di questo accanimento.Su quest'ultimo punto credo valga la pena di rincarare la dose... dicendo la mia. Il tentativo di "schiacciare" la memoria del genocidio nazista piegandola tutta esclusivamente sulla componente ebraica è da vent'anni ovunque palese ed ha ragioni politiche chiarissime; esso rischia di arrecare grave danno alla già labile conoscenza storica di massa, laddove le "memorie" non-ebraiche sono obliterate tout court. Per quanto riguarda l'Italia, ad esempio, è sotto agli occhi di tutti il fatto che centomila internati jugoslavi sulla nostra penisola (1941-1945) non "pesano" nella storiografia e nelle coscienze nemmeno una minima frazione di quanto pesano invece i deportati del Ghetto di Roma o in generale gli internati e le vittime ebraiche delle leggi razziali. Allo stesso modo, in Europa pochissimi conoscono la tragedia delle vittime rom, serbe, ucraine non-cattoliche, eccetera, perite nei lager dei collaborazionisti del nazifascismo. Dove si intende arrivare?Non cancellate il Memoriale degli Italiani ad Auschwitz
Per la conservazione integrale del Memoriale Italiano e dell’ex Konzentrationslager di Auschwitz-Birkenau: un appello ai colleghi della Deutsche Denkmalpflege“Il Memoriale in onore degli Italiani caduti nei campi di sterminio nazisti, voluto dall’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti, è stato realizzato grazie alla collaborazione di alcuni importanti nomi della cultura italiana del Novecento. Il progetto architettonico è dello studio BBPR e inserisce nel (…) Blocco 21 di Auschwitz I una spirale (…) all’interno della quale il visitatore cammina come in un tunnel. La spirale è rivestita all’interno con una tela composta da 23 strisce dipinte da Pupino Samonà seguendo la traccia di un testo scritto da Primo Levi. Dalla passerella lignea che conduce il visitatore nel tunnel sale la musica di Luigi Nono, Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz. Nelo Risi contribuì alla realizzazione con la sua competenza di regista”. Il Memoriale (1975-1980) così descritto dalla voce italiana di Wikipedia è stato chiuso lo scorso 1° luglio per unilaterale decisione della Direzione del Museo/KZ di Auschwitz-Birkenau, con la motivazione che esso costituisce opera di “art pour l’art” e che, pertanto, non risponde alle Linee Generali per gli allestimenti delle mostre nazionali adottate in Polonia nel 1991.Sulla prima affermazione: essa è tanto ignorante, quanto inconsistente. Ignora, infatti, che il Memoriale è opera di “testimonianza diretta”, in quanto i committenti raccolti nell’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti - ANED ed alcuni degli autori (l’architetto Lodovico Belgiojoso e lo scrittore Primo Levi) sono sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti. La testimonianza però è data, per scelta unanime e condivisa da tutti i protagonisti di allora (di tutte le fedi e di tutte le appartenenze politiche), nella forma dell’arte, nel caso specifico di “istallazione artistica” multimediale, nei limiti delle possibilità degli anni ’70. L’inconsistenza, invece, deriva dal fatto che questa “testimonianza/opera” è contestuale alla dichiarazione Unesco di Auschwitz patrimonio dell’umanità avvenuta nel 1979.
La seconda affermazione è semplicemente anacronistica, cioè avulsa dal contesto temporale in quanto “retroattiva” e, perciò, decontestualizzante. Le Linee Guida, inoltre, sono talmente generiche che in base ad esse la Direzione può dichiarare la “inadeguatezza” del Memoriale Italiano e salutare al contempo come “esempi” le nuove esposizioni di Ungheria e Francia che contraddicono apertamente le medesime. Infatti: il principio di intangibilità della sostanza materica del Campo è rispettato integralmente dal Memoriale Italiano (con sedici anni di anticipo, dunque, sulla elaborazione di quelle Linee e in virtù di una tradizione architettonica italiana che ha fatto scuola nel mondo) e tradito clamorosamente dai nuovi allestimenti citati.Se si fa eccezione per il comunicato implausibile apparso il primo luglio sul sito ufficiale di Auschwitz, non ci sono atti conosciuti che testimonino una qualche istruttoria della grave decisione.Voi, esponenti, rappresentanti e studiosi della Deutsche Denkmalpflege, conoscete gli estremi della vicenda del Memoriale Italiano, perché ne ho reso conto nella raccolta di scritti in onore di una delle maggiori personalità della disciplina, Georg Mörsch (1).
Voi, per la serietà che vi contraddistingue agli occhi del mondo - e che io conosco per essermi formato presso di voi e con alcuni di voi - siete l’unico Paese, accanto al Sud Africa di Nelson Mandela e ora all’Australia, che si è posto il problema della intangibilità e condivisione della memoria per l’oggi e per le generazioni future. Avete prodotto una documentazione e un dibattito che non ha eguali sulla memoria dei due differenti totalitarismi, il Nazismo e il Comunismo dell’ex DDR.
Tutto ciò, nella evaporazione politica e istituzionale del mio Paese - nella lingua del quale mi rivolgo a voi, che declassata in Europa resta pur sempre la lingua madre della storia dell’arte - è impensabile. Vi chiedo, pertanto, di intervenire nel merito della questione del Memoriale Italiano, in quanto esso “è” Auschwitz, ne fa parte integrante (pur essendo diventato ora, suo malgrado, simbolo di conflitti - del revisionismo di destra e di sinistra dell’Italia di oggi, dell’integralismo che pervade la cultura ebraica, dell’anticomunismo rivendicato dalla politica polacca, della “sindrome degli anni 70” che percorre l’intero pianeta).
Vi chiedo, dunque, se vi sembra accettabile la trasformazione di Auschwitz in una fiera dell’allestimento e delle più strampalate ipotesi museografiche, pertanto anche museologiche, didattiche e pedagogiche.
Vi sembra possibile che mentre i colleghi polacchi -i massimi rappresentanti della conservazione dei due istituti storici di Varsavia e Cracovia- restaurano i Blocchi A2 e A3, finora chiusi al pubblico, come si trattasse della Cappella Sistina, anzi, forse, con maggior “prudenza”, nei blocchi limitrofi il campo si trasformi in un cantiere di produzione di “nuovi scenari” nazionali, che intaccano la sostanza materiale, storica, edilizia che l’Unesco aveva dichiarato “patrimonio dell’umanità”?
Dichiarando guerra al Memoriale Italiano è stata infranta la dichiarazione Unesco. Ora ogni ipotesi diventa plausibile: rimuovere i pali di cemento armato della recinzione postbellica e ripristinarli in legno, ad esempio; aggiungere nuovi vagoni e magari anche una locomotiva e così via. È questa Auschwitz patrimonio dell’umanità o non sembra piuttosto “Schindlerlist”-land, “La vita è bella”-land?
Il Memoriale cessa qui, in questo luogo e come parte del luogo, di essere questione nazionale e pone il problema generale della conservazione integrale di Auschwitz.
Vostro è il Paese che ha prodotto Auschwitz, con l’aiuto di paesi conniventi, il mio prima di tutti. La differenza è che voi avete un catalogo nazionale dei luoghi di Memoria (2). Noi no. Avete fatto convegni nazionali sulla conservazione della scomoda eredità del passato. Io non ne ricordo neanche uno qui da noi, in cui il dibattito degli storici si sia integrato con quello della conservazione.
Il vostro Paese finanzia il Dipartimento di restauro del Campo di Auschwitz, fornendo mezzi indispensabili alla conservazione dei materiali e dei documenti storici. Credo che incomba su di voi la responsabilità di una presa di posizione nel merito della conservazione integrale di tutto l’ex KZ di Auschwitz-Birkenau. Noi difensori dell’integrità del Memoriale Italiano abbiamo prodotto una bibliografia senza uguali per impegno e serietà, il rilievo scientifico e un progetto di conservazione (3). È il nostro contributo alla vostra battaglia, in attesa che l’Unesco riassuma il ruolo istituzionale internazionale che compete ad esso. Oggi, con la chiusura del memoriale Italiano, vistosamente e incomprensibilmente offuscato.
(Qui il Manifesto per la conservazione integrale del Memoriale Italiano di Auschwitz:Note1) Block 21 in Auschwitz. Wie die Kunst der Gegenwart den Denkamlbegriff fördert und neue Denkmalwerte postuliert, in Hans-Rudolph Meier & Ingrid Sheurmann, a cura di, DENKmalWERTE. Bieträge zur Theorie und Aktualität der Denkmalpflege, Deutsche Kunstverlag, Berlin-München 2010, pp. 135-148.2) Gedenkstätten für die Opfer des Nationalsozialismus, 2 voll. della Bundeszentrale für politische Bildung, gratuitamente scaricabili.3) Dossier in Studi e ricerche di storia contemporanea n. 69, 2008: dossier in ‘ANANKE, n. 54, 2008; Il memoriale italiano di Aushwitz e il cantiere blocco 21, Quaderni di “Ananke”, 1, 2009; Il Memoriale italiano di Auschwitz. L'astrattismo politico di Pupino Samonà, a cura di G. Ingarao, Palermo, Kalòs 2010; dossier inStudi e ricerche di storia contemporanea, a cura di E. Ruffini, n. 74, 2010; Ad honorem. Conferimento delle onoreficenze al committente e agli autori del Memoriale degli italiani caduti nei campi di sterminio Auschwitz Blocco 21 (Giornata della memoria, 27 gennaio 2011 - Accademia di Belle arti di Brera, Milano; Accademia di Belle arti, Palermo; Accademia di Belle arti Albertina, Torino), a cura di S. Scarrocchia, Il filo di Arianna, Vilminore di Scalve, 2011. Il Dottorato di Palermo (cit. in nota 1) ha attivato due ricerche monografiche sul Memoriale Italiano, di prossima pubblicazione.Inizio messaggio inoltrato:Inviato da: "zambon" zambon @ zambon.netMar 9 Ago 2011 12:25 pm
Cari compagni,
ricordo che, nell’estate del 1994, mi sono recato al Museo di Auschwitz per raccogliere foto e testimonianze che mi sono state necessarie per la redazione del volume bilingue “Auschwitz – i volti di Abele”.
Ho chiesto ed ottenuto alcune centinaia di brevi biografie e foto di altrettante vittime della barbarie nazista. La mia successiva richiesta di non limitare la selezione delle vittime ai soli funzionari statali ed ai sacerdoti polacchi, e di volermi fornire un campione più rappresentativo delle vittime, aggiungendo per esempio delle biografie di ebrei, di zingari e di comunisti è stata parzialmente accolta per quanto riguardava zingari ed ebrei, ma non per i comunisti perché… “ad Auschwitz non ci sono stati prigionieri comunisti”.
Ma non è tutto. Dopo avermi accompagnato alla visita del “memoriale italiano” mi hanno chiesto cosa ne pensassi.
“Molto bello e istruttivo” –risposi- “perché gli autori dell’opera riescono in modo chiaro a collegare plasticamente la nascita del fascismo con le ragioni sociali che stanno alla base dei suoi misfatti”.
“Ma par carità, per noi questo memoriale italiano è solo un volgare strumento di propaganda comunista…” sentenziò invece il funzionario polacco.
Vi tralascio poi le vicissitudini concernenti la diffusione della prima edizione del libro che la direzione del Museo di Auschwitz ha in un primo tempo tentato di impedirmi, accettando alla fine di permettermi soltanto la distribuzione in Italia, ma non in Germania perché …“non vogliamo indisporci il governo tedesco che ci finanzia generosamente”.
Il pomo della discordia era rappresentato dalla nostra postfazione nella quale si formulavano accuse alla politica della Germania di oggi e identificava nell’anticomunismo e nella disinformazione una costante della politica di questo paese.
Giuseppe Zambon
Editore
zambon@zambon. net
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http://torino.repubblica.it/cronaca/2012/01/26/foto/ferrari_immagini_di_un_ribelle-28790019/1/
In questo Paese sta finendo non solo la democrazia ma anche il senso delle proporzioni.
Claudia Cernigoi
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Croatia: Referendum paves way for EU accession
By Markus Salzmann
25 January 2012
Croatian voters approved joining the European Union in a referendum held on Sunday, but turnout was low. Despite the fact that the entire political elite and all the media campaigned intensively for a yes vote, only 44 percent of eligible voters went to the polls. Two thirds voted in favour of EU membership, with a third voting against.
The low turnout shows that the majority of the population is deeply sceptical regarding the benefits of membership. The fact that the referendum resulted in a yes vote is primarily due to a massive propaganda offensive by all the parties in government, broad sections of the right-wing opposition party, the HDZ, and business lobbies that campaigned massively in favour of the EU in recent weeks.
They stirred up fears that a no to accession would constitute an “economic and political disaster.” Government officials threatened they could not pay out pensions and would have to implement more layoffs if Croatia did not join the EU.
For their part, the opponents of accession, who came mainly from the right-wing spectrum, deplored the sellout of national values. Despite all the scepticism about the EU, this crude nationalism scared off many voters and persuaded them to vote for membership for the lack of a better alternative.
The political and business elite of the country supports the EU primarily because it hopes to get its hands on EU subsidies and encourage foreign investors. The leading European powers are also interested in accepting Croatia into the ranks of the EU. As was the case with the new memberships in 2004 and 2007, the European elite hopes to improve its access to markets and access to cheap labour in the former Yugoslavia.
Germany, Italy and Austria are already the most important trade partners of Croatia. In 2010, 62 percent of all Croatia’s exports and nearly 60 percent of its imports were with the EU. Imports from Austria alone amounted to €1.1 billion in 2010, and Croatian exports to Austria at €522 million.
Leading EU officials accordingly welcomed the result of the referendum. In a joint statement on Sunday evening, EU Commission president Jose Manuel Barroso and EU Council president Herman Van Rompuy stressed that Croatia’s accession to the EU sent a “clear signal to the wider region of south eastern Europe.” It shows “that EU membership is obtainable with political courage and on the basis of decisive reforms.”
The Croatian population has already made its own painful experiences in recent years with such “decisive reforms.” Under pressure from Brussels, all governments—whether social democratic or conservative—have enforced cuts in social standards, forced through privatisations and layoffs, and undermined public infrastructure in order to meet accession criteria.
The decision in favour of membership will lead to an intensification of these attacks on the working population. The newly elected “centre-left” coalition in Zagreb is planning drastic austerity measures to correspond to demands made by the European Union and the International Monetary Fund.
After the national election held in December last year, the new prime minister, Zoran Milanovic, who heads a coalition of the Social Democratic Party, the Pensioners’ Party, the Croatian People’s Party (HNS) and the Istrian regional party (IDS), announced “painful cuts.” To avoid a “Greek” scenario, he argued, Croatia had to slash approximately 9 billion kuna (€1.1 billion)—i.e., the equivalent of 8 percent of the total state budget.
After the defeat of the right-conservative predecessor government of Jadranka Kosor, the new four-party coalition has more than 80 of the 151 seats in the Sabor, the Croatian parliament. Currently, the government is working out a new budget to be voted on in February.
The budget deficit in the country currently stands at €3 billion and the national debt at €47 billion. The central bank governor Zeljko announced that the year ahead would be “very, very tough for Croatia.”
In order to maintain the country’s credit rating, currently just one point above junk status, government officials have agreed to cut public spending and implement tax increases. Job cuts will be especially large in Croatia’s allegedly “overstaffed” civil service. In the near future, 16,000 jobs in state administration are to be axed. Thousands of jobs are also expected to be lost in the country’s previously subsidised shipyards.
Both the public and private sectors have already undergone extensive job cuts in recent years. The previous government had slashed posts in the public sector to meet the required conditions for EU accession.
As a result, unemployment has swelled. Labour Minister Mirando Mrsic recently presented the latest unemployment figures, which list more than 315,000 of the 4.2 million Croats out of work, the highest figure since 2003.
Finance Minister Slavko Linic has proposed an increase in VAT from the current rate of 23 to 25 percent. This hits lower and middle incomes hardest. The price of basic foodstuffs and energy is reported to have risen by up to 40 percent in recent years.
Welfare cuts and layoffs are not confined to the public sector. The free market policies of the 1990s, together with the NATO-led war, caused massive economic destruction. Numerous booming industries have since been shut down. Now, as a result of the international economic crisis, many companies that had survived or were able to find foreign investors have collapsed.
Trade union president Mladen Novosel reported on SETimes that mass layoffs are already on the agenda. The American parent company of the Zeljezara steel mill in Sisak fired more than 900 workers on Thursday.
An employee at Zeljezara, Antonio Lazovic reported on the same site, when he lost his job: “After 35 years, instead of the management and colleagues seeing to it that I get my pension as a man, I was fired and kicked out from the factory like a dog... I now have to go to my relatives and friends and ask them for charity so I can bring home food for my child to eat.”
Lazovic continued: “The employer reduced my salary last year by 10 percent due to anti-crisis measures. The workers expect their salary to be cut by another 10 percent.”
Currently, 200 workers at the Jadran Kamen factory in Split are on strike. The workforce of Dalmacija Vino have announced they intend to take strike action next week.
New Croatian government to implement big business measures
By Ante Dotto
13 December 2011
On December 4, the ruling right-wing Croatian Democratic Union (HDZ) suffered a major defeat in the country’s general election. The opposition Kukuriku coalition led by the Social Democratic Party (SDP) won a majority in the parliament and the right to form a government. While hailed as a “centre-left” or “leftish” alternative to the HDZ by the domestic, regional and international media, the new government will undoubtedly step up the austerity measures demanded by the financial markets.
The Kukuriku coalition is made up of four parties: the SDP, the Pensioners Party, the Croatian Peoples Party (HNS), and a regional party, the Istrian Democratic Assembly (IDS). The SDP has its roots in the former Yugoslav Stalinist League of Communists, while the last two parties of the quartet are neo-liberal parties and members of the European Liberal, Democrat and Reform Alliance. The coalition won 80 of 151 parliament seats, and SDP head Zoran Milanovic will be the next prime minister. The HDZ lost 19 seats, and retained just 47. Out of those 47 seats, 3 were determined by émigré votes—i.e., Croatian citizens living abroad, where only 5 percent voted.
The new government was elected by the votes of just over one quarter of eligible voters, on a turnout of around 60 percent, and lacks any meaningful popular support. In fact, the four parties that make up the coalition failed to garner more votes than in 2007, when they lost to the HDZ. The only difference this time is that they formed an official coalition deal in advance, thus securing more representation for the same vote count, plus the fact that the HDZ vote collapsed by some 300,000.
The HDZ has ruled Croatia consecutively for the last 8 years, and for 17 out of the 20 years of the state’s independence. The party is rife with corruption, with the Guardian describing it as “the wellspring of state-organised corruption and embezzlement on a massive scale.” Illustrating the scope of the corruption, the article continues: “Its former leader and prime minister, Ivo Sanader, is on trial on two sets of corruption charges after being arrested while trying to flee the country. Another former deputy prime minister and other senior party figures have also been charged, while the party itself is at the centre of a slush-fund scandal.”
The ultra-nationalist HDZ was justly punished at the ballot, but the Kukuriku coalition is an undeserving beneficiary of widespread hostility to the outgoing regime.
Both sides tried hard to avoid crucial social issues during the election campaign. Instead, the HDZ tried to pander to the far right with communist scaremongering. “Slowly but surely the ‘Red’ Croatia project is underway and that’s something we cannot accept,” Prime Minister Jadranka Kosor declared in September, taking aim at the SDP. For its part, the SDP sought to exploit the political scandals of the HDZ and posed as defenders of morality in politics, and an opponent of corruption.
However, the lack of any fundamental difference between the two “alternatives” was so obvious it was even the subject of commentaries in the mainstream media. Zdravko Petek, a political science professor in Zagreb, described the campaign as “horribly boring” and said that “political parties in Croatia do not differ by policy, only by ideology. For example, the difference is whether a party is closer to the Catholic Church or not. Nobody mentions how to fix the health system, education and other social issues far more important than ideology,” Petek told the SETimes of December 2.
Zarko Puhovski, a professor at the Faculty of Philosophy in Zagreb, opined toH-alter that his “expectations of the new government are undefined, because they won the elections on moral, and not political promises” and that it “remains to be seen what their programme really is.”
More-astute bourgeois observers are afraid that the failure of the coalition to spell out in advance the measures it plans to take could undermine the legitimacy of the new government when it comes to implementing its policies.
The political analyst Damir Grubisa fears that “for populist reasons, nobody wants to trigger negative reactions and emotions, so politicians choose not to say much [about the economy]. It’s questionable if that is the right choice,” he told Balkan Insight. “The public knows that many things have been kept secret and that the real problems haven’t been discussed, or necessary painful cuts mentioned.”
Analyst Davor Gjenero also warns Balkan Insight that various “veto-wielding groups” could undermine the new government’s efforts to cut spending, because the coalition hasn’t made the case for such changes during the campaign. “Veto-groups like public sector trade unions and war veterans depend on state money.... So if the [former] opposition behave as if everything is normal, and as if they don’t have to dramatically cut spending, they are diminishing their own legitimacy to do what they will have to do”, Gjenero predicts.
During the campaign, Milanovic was trying to balance between opposing opinions within his coalition and broader divisions within the ruling class by issuing equivocal, uncommitted statements. Especially on the question of whether or not the new government will have to turn to the widely despised IMF for loans in the next period, he variously claimed that “it would not rule it out as a last resort” and that “the IMF is not a witch”, implying it could be approached when needed.
At the same time, he sent signals to the financial capital that his government could be entrusted to pass and implement the types of austerity measures advocated by the markets. Slobodna Dalmacija reports him saying that the new government will have only 50 days to prevent the downgrade of Croatia’s credit rating and that continuing to borrow at interest rates of over 7 percent, as is now the case, would be “tantamount to suicide”. Milanovic frequently called for “belt tightening” and “living within our means”, without ever specifying what this meant in practice.
Others in his party, however, spoke out more candidly in support of big business. Slavko Linic, who served as vice-premier in the SDP-led centre-left government of 2000 to 2003, and will almost certainly be the new finance minister, is on record saying that the country will inevitably call the IMF in 2012 to “help balance the budget” and find those areas where savings and “painful cuts” could be implemented. He is quoted in the business magazinePoslovni Puls saying: “The IMF has interest rates far lower than Croatia could ever get in the outside market. We need to be clear about what our economic interests are, and we shouldn’t be afraid of the IMF.”
At a recent expert roundtable on the insolvency problem in the Croatian economy, Linic said the problem could be solved in six months, but only if 20,000 to 30,000 firms went bankrupt first. “It will be a cleaning, quick and efficient,” he said.
Every objective indicator points to Linic speaking for the real intentions of the Kukuriku coalition and the SDP, leaving no room for the vacillations and compromises made up to now by Milanovic. The new government will have to contend with a disastrous economic legacy, with national debt soaring to Italian or Belgian levels, and unemployment of almost 20 percent.
Croatia’s economy has stagnated since the global crisis first made itself felt in 2008. Back in July, Zagreb’s Privredna Banka stated that Croatia was “the only ‘new European’ country that hasn’t yet started economic recovery”. GDP growth this year was at this point estimated at a sluggish 1.0 to 1.5 percent, but Zagrebacka Banka has since calculated the growth of the last two quarters to be only 0.2 to 0.5 percent.
The National Bank closed a small bank last month (Credo banka), and is keeping another four smaller banks “under surveillance”. Apparently, Credo banka was closed not because it was insolvent, but because it was suspected of criminal practices. But the closure fuelled public fears that the whole banking system is in trouble. On November 29, the public broadcaster published unverified but disturbing speculation that savers had shifted “tens of millions of euros” from their bank accounts.
At the same time, a public opinion survey by the Ipsos Puls agency shows that majority of people will have no patience with Kukuriku government, with most expecting “significant changes” within a year, or even six months, and over 60 percent opposing cuts in social spending.
On the other hand, the pressure from capitalist financial circles is relentless. Speaking on behalf of the markets, Goran Saravanja, the main economist from Zagrebacka Banka, said that the “next government will have to present a credible plan for budget deficit reduction, in accordance with the Law of Fiscal Responsibility” and “implement structural reforms...to raise the GDP... if we are to save our credit rating.”
However, Jutarnji List calculated that, even if all public sector wages were frozen, the next budget’s expenditures will increase by 1.1 billion kuna. According to the banker Zeljko Rohatinski, the country’s debt servicing costs will rise by 2 billion kuna next year, which means the budget is burdened from the outset with an additional 3.1 billion kuna, or some €400 million—1.2 percent of GDP.
It is clear that the new government will have to start a wholesale attack on the living standards of the majority of the population with its first budget, just as other Social Democratic parties around Europe are doing, and in line with the austerity policies implemented by the Croatian SDP during its last period in power (2000-2003).
In addition to pressure from the banks, Croatia is also confronted with a host of demands from the European Union to radically revamp its economy. On December 9, Croatian government representatives signed a treaty to join the European Union in 2013. Just two days earlier, the European Bank for Reconstruction and Development’s (EBRD) issued its Transition Report 2011 for Croatia in Zagreb. The main demands raised in the report were the necessity for the intensification of the process of privatising state-run companies and the opening up of the country’s infrastructure to private investors.
At the same time, the EBRD report noted that there had been a marked decline in support for the free-market economy and capitalist democracy in those transition economies (former Stalinist countries that adopted the free-market system two decades ago) that had experienced a deep decline in the latest crisis (e.g., Croatia).
It is this erosion of support for the market economy and parliamentary democracy that lies behind the decision of the Croatian government to beef up its state apparatus. A report in the Jutarnji List on December 2 detailed how the Interior Ministry had ordered €320,000 worth of anti-riot and civil unrest equipment, including batons, shields and tear gas, last year. This is how the incoming government is preparing to deal with a new wave of popular social protest.
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Molti gli appuntamenti in programma nella settimana dedicata alla Shoah:
- 25 gennaio a Magenta, una conferenza organizzata dalla sezione "A. Arioli" dell'ANPI;
- 27 gennaio
- 28 gennaio a Usmate Velate, presso l'Aula Magna Istituto Comprensivo “L. Mandelli”,
- 3 febbraio a Milano, presso il Teatro della XIV, l'evento
"Porrajmos dimenticato", organizzato da Opera Nomadi Milano, dal Museo del Viaggio
Vi aspettiamo!
Per informazioni: museodelviaggio@... - Telefono: *334 5432352*
http://museodelviaggiorom.blogspot.com/p/chi-siamo.html
*** 25 GENNAIO 2012
CASA GIACOBBE (“SALA DEL POZZO”), MAGENTA – ORE 21,00
CONFERENZA
ALLA CONFERENZA PARTECIPERA':
GIORGIO BEZZECCHI, ROM HARVATO, FIGLIO DI DEPORTATI, DA SEMPRE IMPEGNATO PER L’AFFERMAZIONE DEI DIRITTI DEI ROM E DEI SINTI
RELATORE: PROF. GIANCARLO RESTELLI
MOSTRA
ESPOSTA DAL 23 AL 27 GENNAIO 2012, PRESSO CASA GIACOBBE, MAGENTA
INGRESSO LIBERO: DALLE 16,30 ALLE 18,30
PER LE SCUOLE: VISITA SU PRENOTAZIONE
*** 27 GENNAIO - DOPPIO APPUNTAMENTO
MILANO - CS CANTIERE
@ CS Cantiere | Libreria Don Durito
con la partecipazione di:
Cantiere - Via Monte Rosa, 84, 20149 Milano - 02 3651 1380
A FORZA DI ESSERE VENTO
Nel giorno della memoria musica e cultura Rom contro razzismi e fascismi
Ore 18.30 Dibattito: Rom, cittadini d'Europa.
Con Maurizio Pagani, Giorgio Bezzecchi, Opera Nomadi.
Dalle 21.30 spettacoli e reading teatrali: A FORZA DI ESSERE VENTO
presenta:
IVAN IL POETA
con musiche di De Andrè tratte da Ognuno si merita il regime che sopporta.
Con:
DIANA PAVLOVIC poesie Rom
JOVICA JOVIC, MARCO ROVELLI, MOHAMED BA, CAMILLA BARONE
TEATRInGestAZIONE, <http://www.teatringestazione.com/> "PETRU"
Dalle 23.00 BALKAN FEST!
Live Orkestra + dj Set con:
::::: CARAVAN ORKESTRA & Jovica Jovic ::::::
Una allegra e festosa carovana di musica nello stile delle fanfare
balcaniche e con un pizzico di klezmer ebraico!
27 GENNAIO - ARCORE
COMUNE DI ARCORE - AULA CONSIGLIARE
ROM, DISABILI E ALTRI INDESIDERATI...
Dai Campi di sterminio a oggi. Percorso di memoria, percorso di conoscenza.
Saluto delle autorità:
Raffaele Mantegazza, Assessore alla Cultura del Comune di Arcore
Introduce e coordina: Franca Teza, Direttivo A.N.P.I Arcore
Intervengono:
Silvia Pacifici Noja, poetessa
Ugo Pacifici Noja, giurista e storico
Maurizio Pagani (Presidente Opera Nomadi Milano – Museo del viaggio)
Angelo Vailati, allenatore squadra hockey in carrozzina
Info: Ufficio Cultura - Biblioteca, Via Gorizia 20 - Tel. 039 617487 - 616158 -
*** 28 GENNAIO
USMATE VELATE
Aula Magna Istituto Comprensivo “L. Mandelli”, Usmate Velate
ANPI PRESENTA:
CONOSCERE... RICORDARE... NON DIMENTICARE
Partecipano:
Giorgio Pacifici, professore Universitario e sociologo
Goffredo detto Mirco Bezzecchi, Rom Harvato ex deportato dai campi di concentramento italiani
Giorgio Bezzecchi, di Opera nomadi Milano - Museo del viaggio
Albino Morari, ex deportato campo di concentramento di Flossenburg
Info: Biblioteca civica “Alda Merini” - Usmate Velate - tel. 039 68 29 789
*** 3 FEBBRAIO
MILANO
IL PORRAJMOS DIMENTICATO
IN OCCASIONE DELLA GIORNATA DELLA MEMORIA UN INCONTRO CON LA COMUNITA' ROM DI ZONA 4
INTRODUZIONE MUSICALE DI ALESSIO LEGA
PRESENTAZIONE A CURA DI OPERA NOMADI MILANO E DEL MUSEO DEL VIAGGIO FABRIZIO DE ANDRE'
MIRKO BEZZECCHI, GIORGIO BEZZECCHI E MAURIZIO PAGANI INTERVERRANNO SUL TEMA DEL PORRAJMOS
PROIEZIONE DI ALCUNI SPEZZONI DI FILMATI SUL PORRAJMOS OFFERTO DA COMICI ASSOCIATI, VISTO A ZELIG
LUCA KLOBAS INTERVERRA' CON IL SUO SPETTACOLO "VISTI DA EST"
MUSICHE E BALLI DELLA TRADIZIONE GITANA CON
I MUZIKANTI DI BALVAL DIRETTI DAL FISARMONICISTA JOVICA JOVIC
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AUTODIFESA DI SLOBODAN MILOŠEVIĆ dinanzi al "Tribunale ad hoc" dell'Aia, 2004
Deutsche Brandstifter
Vor zwanzig Jahren hat die Bundesrepublik die Anerkennung Kroatiens und Sloweniens durch die EG erzwungen
Von Werner Pirker
Dabei war zum Zeitpunkt der Unabhängigkeitserklärungen Sloweniens und Kroatiens das Eintreten für den Fortbestand des Bundes noch westlicher Konsens. Auch Deutschland machte da keine Ausnahme. Einzig Österreich tanzte – mit deutlich zur Schau gestellter Lust am Untergang Jugoslawiens – aus der Reihe. Denn nicht nur Revanche für Sarajevo war angesagt. Wien hatte sich auch wegen der Nichterfüllung seiner staatsvertraglichen Verpflichtungen gegenüber der slowenischen und kroatischen Minderheit in einem Dauerkonflikt mit Belgrad befunden. Nun ließ sich der »Serbobolschewismus« für alle den Slowenen und Kroaten zugefügten Leiden verantwortlich machen. Die Lostrennung der beiden Teilrepubliken im Juni 1991 erfolgte dann auch unter der Regie des österreichischen Staatsrundfunks ORF, der ein ganzes Heer von Redaktionspraktikanten an die Karawankengrenze beorderte, wo sie einer nach dem anderen ihr Sprüchlein von der unglaublichen Brutalität, mit der die jugoslawische Armee gegen slowenische Freiheitskämpfer vorgehe, aufzusagen hatten.
Bonner Alleingang
Der frühere DDR-Botschafter in Belgrad, Ralph Hartmann, äußert in seinem Buch »Die ehrlichen Makler« die Vermutung, daß der damalige Außenminister Hans-Dietrich Genscher den radikalen Kurswechsel in der deutschen Jugoslawienpolitik nicht aus eigenem Antrieb vollzogen haben dürfte, er sich vielmehr dem Druck, den die etablierten Parteien und meinungsbildenden Medien auf ihn ausgeübt haben, gebeugt habe. Auf dem Balkan sollte die deutsche Großmachtstellung neu konstituiert werden.
Am 18. Juli 1991 war der kroatische Präsident Franjo Tudjman bei Bundeskanzler Helmut Kohl zu Gast, der ihm die diplomatische Anerkennung des Sezessionsgebildes in Aussicht stellte. Der deutsche Anerkennungsaktionismus stieß innerhalb der EG teils auf Skepsis, teils auf offene Ablehnung. Zu offenkundig war das Bestreben Bonns, auf dem Balkan Fuß zu fassen und die Europäische Gemeinschaft zur Geisel seiner Expansionsgelüste zu machen. Der EG-Vermittler Lord Carrington hat in Briefen an Genscher immer wieder auf die Gefahr eines Bürgerkrieges verwiesen, den eine übereilte Anerkennung der abtrünnigen Teilrepubliken auslösen könnte. Denn das Recht auf Selbstbestimmung, das die deutsche Diplomatie den Kroaten einräumte, beanspruchten auch die Serben Kroatiens: das Recht auf Lostrennung von Kroatien, dessen Austritt aus Jugoslawien sie nicht mitvollziehen wollten.
Nicht nur EG-Staaten wie Großbritannien, Frankreich, Spanien (wegen des Basken-Problems) und die Niederlande meldeten ihre Bedenken gegen die deutsche Anerkennungspolitik an, sondern auch die jugoslawischen Republiken Mazedonien und Bosnien-Herzegowina. Dort hatte man die Austrittsoption noch nicht wirklich ins Auge gefaßt und fürchtete deshalb eine verstärkte serbische Dominanz in einem kleiner gewordenen Jugoslawien. Die BRD-Diplomatie mußte vorerst leiser treten. Als sich im August 1991 der französische Präsident François Mitterrand mit Bundeskanzler Kohl traf, war in der abschließenden gemeinsamen Erklärung von einer völkerrechtlichen Anerkennung Sloweniens und Kroatiens noch nicht die Rede. Umso stärker war die veröffentlichte Meinung in Deutschland auf einen Aggressionskurs gegen Jugoslawien und die legitimen Bestrebungen seiner Armee, den sezessionistischen Angriff abzuwehren, eingeschwenkt.
Und wiederum war es die Opposition, die den Anerkennungsdiskurs befeuerte. Am 15. Oktober gab die SPD-Bundestagsfraktion eine Erklärung ab, in der es hieß, daß Jugoslawien aufgehört habe zu existieren und die Voraussetzungen für die Anerkennung Kroatiens und Sloweniens geschaffen seien. Abgesehen davon, daß deutsche Sozialdemokraten den Vielvölkerstaat noch bei lebendigem Leibe zu Grabe trugen, waren die Voraussetzungen für eine Anerkennung Kroatiens in keiner Weise gegeben. Gemäß den Bestimmungen des Völkerrechts muß das nach staatlicher Anerkennung strebende Gebilde die Kontrolle über den Großteil des von ihm beanspruchten Territoriums ausüben, was zum Zeitpunkt der Sezession nicht der Fall war.
Bürgerkrieg ausgelöst
Am 7. November platzte auf dem NATO-Gipfel in Rom eine diplomatische Bombe. Kohl und Genscher gaben bekannt, daß man die Präsidenten Sloweniens und Kroatiens, Milan Kuan und Franjo Tudjman nach Bonn eingeladen habe, um die diplomatische Anerkennung vorzubereiten. Der deutsche Alleingang stand in einem krassen Gegensatz zu den internationalen Bemühungen um eine Entspannung des jugoslawischen Konflikts. In der Resolution des UN-Sicherheitsrates vom 15. Dezember wurde ausdrücklich vor einer voreiligen Anerkennung der beiden abtrünnigen Republiken gewarnt.
Einmal in Fahrt gekommen, war der deutsche Balkan-Express nicht mehr aufzuhalten. Auch nicht von den USA, die mit äußerstem Unbehagen die deutschen Aktivitäten in Südosteuropa verfolgten – »Bonn läßt in der Jugoslawien-Frage die Muskeln spielen, und das ist uns gar nicht recht«, hieß es aus dem US-Außenministerium. Die Schelte aus Übersee war zu verschmerzen, zumal Deutschland auf dem EG-Außenministertreffen am 17. Dezember der Durchbruch gelang. Man kam überein, bis zum 15. Januar 1992 jene jugoslawischen Republiken diplomatisch anzuerkennen, die die dafür vorgesehenen Bedingungen erfüllen.
Der Grund für die Unterordnung der Europäischen Gemeinschaft unter das Bonner Großmachtdiktat lag in der deutschen Wirtschaftskraft. Die BRD hatte ihre Bereitschaft zur Beschleunigung der europäischen Integration, vor allem die Schaffung einer gemeinsamen Währung, von der Durchsetzung ihrer Linie in der Jugoslawienfrage abhängig gemacht.
Der Anerkennung Sloweniens und Kroatiens folgte die gegen den Willen der serbischen Volksgruppe verabschiedete Unabhängigkeitserklärung Bosnien-Herzegowinas, was einen grausamen Bürgerkrieg auslöste. So hat die deutsche Jugoslawien-Politik maßgeblich zur kriegerischen Eskalation des Konfliktes beigetragen. Als Brandstifter in weltmeisterlicher Form war die deutsche Diplomatie völlig überfordert, als die Befriedung des Konflikts anstand. Washington übernahm und verwies die deutschen »Partner in leadership« wieder in die zweite Reihe.
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