Informazione

 
Condoglianze per la dipartita del compagno Svetozar Markanović
 
A 88 anni è morto il compagno Svetozar Markanović, tra i fondatori e leader storico dei Komunisti Srbije (Comunisti di Serbia), formazione con la quale il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia /Jugocoord/ intrattiene un rapporto fraterno.
Nato nel 1931 a Drvar, attuale Bosnia-Erzegovina, molto presto si unì al movimento di Liberazione essendo stato ammesso già nel giugno 1944 nella organizzazione giovanile del Partito Comunista jugoslavo. Nel dopoguerra lavorò nel campo ingegneristico, con incarichi, tra l'altro, alla "Crvena Zastava" ed alla Compagnia per la distribuzione elettrica di Belgrado. Fu sempre attivo nella Lega dei Comunisti.
 
Ai Komunisti Srbije ed alla famiglia rivolgiamo le nostre più sincere condoglianze.
Che la terra sia lieve al compagno Svetozar!
 
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia onlus
 
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Preminuo je, u svojoj 88. godini, drug Svetozar Markanović. Među osnivačima je partije Komunisti Srbije i njen istorijski lider. Nacionalna koordinacija za Jugoslaviju (Jugocoord) održava sa njom bratski odnos. Markanović je rođen 1931. godine u Drvaru (sada Bosna i Hercegovina) i kao veoma mlad se pridružio Oslobodilačkom pokretu, jer je još u junu 1944. godine primljen u omladinsku organizaciju Komunističke Partije Jugoslavije. U posleratnom periodu radio je kao inženjer, između ostalog i u kragujevačkoj Crvenoj Zastavi i beogradskoj Elektrodistribuciji. Bio je vrlo aktivan u Savezu Komunista.
 
Upućujemo naše najiskrenije saučešće Komunistima Srbije i porodici. Neka je laka zemlja drugu Svetozaru!
 
Italijanska Koordinacija za Jugoslaviju
 
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OBAVEŠTENJE O KREMACIJI PREDSEDNIKA NAŠE PARTIJE

Obaveštavamo vas da će se kremacija našeg predsednika druga Svetozara Markanovića obaviti u subotu 12.01.2019.godine u 11.30h u Beogradu na groblju Orlovača.

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IN MEMORIAM

SVETOZAR MARKANOVIĆ

1931. – 2019.

Obaveštavamo sve naše članove i prijatelje da je 06.01.2019. godine Predsednik CK KS, drug Svetozar Markanović posle duge i teške bolesti preminuo. Vreme i mesto sahrane objavićemo naknadno.

Svetozar Markanović je rođen 1.januara 1931.godine u Drvaru (Bosna i Hercegovina) gde je završio osnovnu školu. U NOB (Narodno oslobodilačka borba 1941-1945.godine) je stupio kao dečak od 14 godina. U junu 1944.godine je ubrzo primljen u SKOJ (Savez Komunističke omladine Jugoslavije). Posle rata odlazi u Čehoslovačku gde je izučio mašinbravarski zanat, a u septembru 1948.godine se zaposlio u “Crvenoj Zastavi” u Kragujevcu, gde je u oktobru iste godine primljen u KPJ (Komunistička Partija Jugoslavije). Sredinom 1951.godine dolazi u Beograd gde nastavlja školovanje, završava srednjotehničku školu, elektro smera, a zatim i elektrotehnički fakultet. Zaposlio se u Beogradskoj Elektrodistribuciji 1959. godine, gde je radio sve do penzionisanja 1996.godine. Zvanje magistra tehničkih nauka stekao je 1974.godine. Za vreme radnog veka promenio je više radnih mesta, od mašinbravara u “Crvenoj Zatavi”, preko referenta za opremu i pripremu, šefa kablovske mreže, upravnika pogona gradske mreže, vodećeg inženjera u sektoru za razvoj, direktora OOUR (Osnovne ogranizacije udruženog rada) “Elektroenergetika” i na kraju pomoćnik generalnog direktora EDB (Elektro distribucije Beograd).

U čitavom radnom veku društveno je aktivan u SKJ (Savez Komunista Jugoslavije) i u organima Radničkog samoupravljanja. Nakon penzionisananja 1996. godine, bavi se isključivo društvenim radom. Kako je i sam često imao običaj da kaže: “Posle odlaska u penziju 1996.godine, ja sam po zanimanju isključivo Komunista”. Kao društveno-politički radnik obavljao je razne funkcije počev od sekretara OOSK (Osnovne ogranizacije Saveza Komunista), Predsednika Preduzetnog Komiteta SKJ (Savez Komunista Jugoslavije) u EDB, člana CK Jugoslovenskih komunista, Predsednika CK Jugoslovenskih komunista, Predsednika CK Partije “Komunisti Srbije”, Predsedavajući Koordinacionog odbora komunističkih i radničkih partija sa jugoslovenskog prostora, i do smrti je bio na dužnosti Predsednika Partije “Komunisti Srbije”.

NEKA MU JE VEČNA SLAVA I HVALA


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http://www.idcommunism.com/2019/01/serbian-communist-svetozar-markanovic-dies-at-88.html

Tuesday, January 8, 2019

Yugoslav communist Svetozar Markanovic dies at 88

The Party of "Communists of Serbia" has announced that cde. Svetozar Markanovic, President of the Central Committee, has died at the age of 88.
Svetozar Markanovic was born in 1931 in Dvar (today Bosnia & Herzegovina). At the age of 15 he joined the National Liberation War (NOB) and in June 1944 he was admitted to the Union of Communist Youth of Yugoslavia.
After the war, he went to Czechoslovakia where he studied mechanical engineering. In October 1948 he joined the Communist Party of Yugoslavia (CPY).
From 1959 until his retirement in 1996, Markanovic workers at the Belgrade Electric Power Distribution. He received a Master's degree in Technical Sciences in 1974.
Throughout his life he was active in the League of Communists of Yugoslavia. As a socio-political worker he worked in various posts, including Secretary of the Basic Organization of Communist League (OOSK), member of the Central Committee of the Yugoslav Communists, President of the Central Committee of the Party of "Communists of Serbia".
Svetozar Markanovic had also served as President of the Coordination Committee of the Communist and Workers' Parties for the Yugoslav region.

Source: Solidnet
http://solidnet.org/article/Comunists-of-Serbia-On-the-Death-of-cde-Svetozar-Markanovic/

 

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8981 ]]

 
[Una versione di questo testo corredata di fotografie è reperibile qui: 
 
Inizio messaggio inoltrato:

Da: Enrico Vigna
Data: 3 gennaio 2019 15:12:05 CET
 
Srbija:15.decembar 2018 godine,preminula je Ruzica Milosavljevic,velika sindikalka,velika zena,draga drugarica i sestra, srpkinja i jugoslovenka
 
 

Serbia: il 15 dicembre 2018, Ruzica Milosavljevic , una grande sindacalista, una grande donna, una cara compagna e sorella, serba e jugoslava, è mancata. 


A cura di Enrico Vigna


Con queste righe intendo rendere onore alla memoria di una donna con cui, come Associazione  SOS Yugoslavia, ma anche altre Associazioni di solidarietà con la ex Jugoslavia, abbiamo condiviso un pezzo di strada, riguardante le vicende dell’aggressione nel 1999 della RFJ, da parte della NATO ( ITALIA compresa, tanto per non dimenticare…), e l’avvio di un percorso di solidarietà con Progetti relativi ai figli dei lavoratori della Zastava bombardata, di Kragujevac, ancora in vita oggi. 

Ma soprattutto perché sia un dovere morale, storico e politico non permettere che l’oblio, la falsificazione e distorsione della storia, pratica ben consolidata dei potenti, abbia il sopravvento anche sulle persone o fatti di cui possiamo testimoniare e documentare, è un dovere almeno morale, è un rendere onore alla sua vita e alle sue lotte. Non farlo, anche solo per distrazione o superficialità, è come una dismissione dalla memoria storica dei fatti ma soprattutto da esse come persone. 

Per quanto mi riguarda questa donna, questa compagna, questa sorella è un pezzo del mio percorso di vita e delle mie piccole battaglie per non essere complice di ciò che abbiamo intorno. E poi storie come queste dovrebbero essere conosciute soprattutto dai nostri giovani, sono comunque la si pensi, un messaggio di coerenza, di valori irrinunciabili, se non si vuole far morire la speranza per un futuro diverso e migliore. 

Piccole grandi storie di semplici persone, in questo caso una donna, che, nonostante la marea travolgente di avvenimenti contrari restano in piedi, magari piegate nella vita, ma non si inchinano, non abbassano la testa, perché nulla hanno da rimproverarsi e perché la loro coscienza politica e morale, è pulita e trasparente; come sempre nella storia i corrotti, gli opportunisti, i venduti sono sempre i primi a passare dall'altra parte. Ma questa è un'altra storia.

 

Chi era Ruzica Milosavljievic (Rosina)

Nata nel 1945 nella Jugoslavia, dopo gli studi è assunta alla Zastava. Nel 1999 al momento dei bombardamenti, Ruzica era già da alcuni anni, la segretaria del Sindacato Samostalni dei lavoratori metalmeccanici della Zastava di Kragujevac, oltrechè membro rilevante della direzione nazionale del più potente sindacato della Jugoslavia e dei Balcani, Sindacato Unitario che rappresentava il 92% dei lavoratori Zastava, mentre il Sindacato Indipendente ( …dipendente Nato) aveva circa l'8%.  

 

Una donna eletta e rispettata dagli operai, una lavoratrice infaticabile, una persona modesta, semplice, ma una determinata e onesta rappresentante dei diritti e interessi dei lavoratori.

Il Sindacato, la Zastava i lavoratori erano la sua vita, mi ricordo che, quasi scherzando, mi raccontavano che la sua stanza nella palazzina sindacale era sempre accesa fino a sera inoltrata; sempre attenta e disponibile ad ascoltare le problematiche dei lavoratori che quotidianamente le venivano poste. 

Nel suo ruolo Ruzica affrontò gli anni più duri e difficili del popolo serbo e jugoslavo, dalla fine della seconda guerra mondiale. Dalla disgregazione della Jugoslavia, all’aggressione e ai bombardamenti della RFJ ( la cosiddetta piccola Jugoslavia), i bombardamenti della Zastava a Kragujevac, fino al colpo di stato del settembre 2000. In un frangente di tali situazioni drammatiche, lei restò lucida, coerente ma soprattutto al fianco dei lavoratori. Un fatto su tutti, che può far capire a chi non l’ha conosciuta, chi era questa donna segretaria dei lavoratori: subito dopo la fine dei bombardamenti, in un paese e una società in ginocchio, attraversata da sempre più criticità problematiche,  nel suo ruolo, prima di tutto, di esponente degli interessi dei lavoratori, pretese ed ottenne che il Presidente Slobodan Milosevic, andasse alla Zastava a prendere l’impegno davanti ai lavoratori, di ciò che il governo di unità nazionale aveva deciso in parlamento: e cioè che la ricostruzione della Zastava fosse la priorità basilare nel processo di ricostruzione e di ripresa produttiva dell’intero paese. E così fu, Milosevic accompagnato dai dirigenti sindacali e da Ruzica in prima persona, andò a Kragujevac e di fronte all’assemblea degli operai Zastava, promise solennemente che per la ricostruzione della loro fabbrica, il governo aveva già stanziato 1/6 del Fondo Federale della Repubblica serba per la ricostruzione e la rinascita del paese, una ricostruzione avvenuta per il 30% in solo 11 mesi e con il paese sotto embargo, cioè senza aiuti e con una produzione che per il 2000 era stabilita in 720 camion e 18000 auto, a settembre 2000 erano già stati prodotti 500 camion e 13000 auto, poi dal 26 settembre uscì un solo camion e 3 auto, ma era arrivata la "ricostruzione" NATO.

 

Ma intanto anche la RFJ stava implodendo, l’obiettivo dell’aggressione e dei bombardamenti era quello della destabilizzazione politica completa del paese e del suo popolo, e questo non poteva che passare per il rovesciamento della sua dirigenza politica renitente e non asservibile ai dettami imposti dall’esterno. Così si arriva all’ottobre 2000, con veri propri assalti squadristici e violenze pianificate e mirate contro tutta la dirigenza politica e sindacale e gli esponenti della Jugoslavia intesa come socialismo. Aggrediti, sottoposti a violenze con molti che per evitare  linciaggi fisici dovettero firmare fogli di dimissioni "volontarie", e questo  avvenne reparto per reparto, fabbrica per fabbrica, ufficio per ufficio, scuola per scuola, università per università, ente per ente, ospedale per ospedale, persino nelle scuole materne e negli orfanotrofi. Per questo fu definito anche da molti osservatori internazionali un vero e proprio golpe silenzioso ma scientifico.

 

Anche a Kragujevac le bande pagate e sostenute dall’occidente si scatenano in pestaggi, assalti a sedi ed esponenti del precedente governo, e Ruzica insieme a molti esponenti socialisti e dirigenti sindacali cittadini, divengono un obiettivo. E proprio in questa situazione emerge la sua statura morale e politica, invitata ad andarsene dall’ufficio sindacale, da altri sindacalisti  che avevano visto arrivare una di queste bande verso la sede sindacale, Ruzica con  dignità e fermezza rifiuta di lasciare l’ufficio, quando questi esagitati irrompono spaccando tutto ciò che incontrano per arrivare al piano, lei, sola ma con voce ferma gli intima di smetterla di sfasciare tutto, in quanto quella era la casa di tutti i lavoratori e quello che vi era dentro era dei lavoratori e che probabilmente a loro non interessava perché NON erano lavoratori. Di fronte a questa inaspettata determinazione i sei energumeni si limitano ad aggredita verbalmente e insultarla sprezzantemente, ma non la toccano; poi cercano di costringerla a firmare un foglio preparato in cui si "autodimetteva" dal sindacato; vincendo il terrore della situazione e mantenendo il controllo dei nervi, ella replicava con coraggio e risolutezza che lei era lì perché eletta dai lavoratori e che solo i lavoratori potevano chiederle le dimissioni, fino a quel momento lei sarebbe rimasta al suo posto di rappresentante degli stessi, contro chiunque e qualunque cosa, costringendo i pretoriani della nuova democrazia ad andarsene, minacciandola però in  perfetto stile mafioso con la frase che evidentemente non aveva tanta voglia di vivere… da quel giorno tra i lavoratori girò il soprannome di "dama di ferro".

Alle successive elezioni sindacali di dicembre, non uno dei vecchi delegati si presentarono o furono eletti, il vento della sopraffazione democratica occidentale, andava a pieno regime. 

Ma già pochi anni dopo, molti sindacalisti vecchi furono rieletti dai lavoratori, il crescere dei problemi e l’assenza di risposte concrete, costrinsero anche molti nuovi delegati onesti a richiedere con sempre più forza programmi e proposte di lotta chiaramente connotati contro le politiche governative, fino a far schierare pubblicamente il sindacato, in varie elezioni per la caduta dei  vari governi, nonostante il fatto che la quasi totalità della dirigenza nazionale fosse espressione degli stessi partiti governativi.

Con una scelta politica, mai nascosta, era anche aderente del Partito Socialista Serbo, in quanto da sempre con una profonda coscienza jugoslavista e socialista; ma anche in questo aspetto senza mai accettare candidature parlamentari che le furono sempre proposte. Come diceva lei il suo posto era tra i lavoratori.

Ruzica se l’è portata via un tumore, una malattia dilagante nella Serbia uranizzata dalle bombe all’uranio di cui quella terra è intrisa, uno dei costi per portare la “democrazia” a quel popolo.

 

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Il mio incontro con Ruzica

 

Personalmente conobbi Ruzica nel 1999, subito dopo la fine dei bombardamenti, in una giornata di solidarietà indetta a Mestre, grazie agli sforzi coordinati da Lino Anelli della CGIL Lombardia, che aveva iniziato un lavoro nel nostro paese per lanciare un progetto di solidarietà, attraverso le adozioni a distanza con i lavoratori della Zastava di Kragujevac, ridotti in miseria dai criminali bombardamenti occidentali. Ruzica era in compagnia di un altra eccezionale rappresentante del loro popolo, Rajka Veljovic, anch’essa lavoratrice della Zastava e insostituibile collaboratrice, compagna, sorella di Ruzica nel Sindacato Samostalni; a cui occorre associare la figura di un'altra instancabile collaboratrice del Sindacato, la figura di Miljanka Sakovic, che in questi anni fino al suo pensionamento e allontanamento, ha formato un trio unico di lavoro volontario, al Progetto delle adozioni e della solidarietà per i lavoratori della Zastava, ma non solo. Non si poteva vederne una senza vederne tre, in qualsiasi situazione, momento ufficiale o personale, queste tre meravigliose donne erano inseparabili: Ruzica MilosavljevicRajka Veljovic (ancora oggi dopo vent’anni referente e collaboratrice insostituibile, dei Progetti solidarietà di SOS Yugoslavia – SOS Kosovo Metohija in loco) e Miljanka Sakovic

La nostra conoscenza personale avvenne in una situazione che da subito ci unì: politicamente, solidalmente e umanamente, e a distanza di vent’anni posso confermare che è stato un legame così solido, chiaro, profondo che anche nella mia anima ci sarà sempre un posto per lei, di cui mi onoro aver ricevuto stima, rispetto e amicizia profonda. E ancora oggi porto nel cuore e nell’anima,  il suo viso, i momenti, le tensioni vissute insieme, la sua forza, la sua dignità, la sua autorevolezza, ma anche la sua dolcezza.

 

In quella giornata, che era specchio delle miopi per non dire misere, ma maggioritarie posizioni politiche dei tempi, ci fu una discussione abbastanza vivace sulla possibilità di mettere al tavolo della presidenza, dove dovevano sedere il moderatore e loro tre, come testimoni dei bombardamenti e della situazione devastata dei lavoratori Zastava e anche del loro paese in generale, la bandiera della Repubblica Federale di Jugoslavia, che loro si erano portate, perché in quel momento rappresentavano e avrebbero parlato come testimoni del loro popolo e del loro paese.        

Uno dei funzionari sindacali presenti, più per controllare gli eventi che per solidarietà con i lavoratori bombardati, alla fine decretò senza più margini di discussione che quella bandiera non doveva essere esposta, in quanto simbolo di un “regime” e di un potere politico inaccettabile ( anche se scelto e votato regolarmente da un popolo a maggioranza…), con un Presidente, Slobodan Milosevic inaccettabile e criminale. Oggi sarebbe curioso incontrare questo figuro e illustrargli la differenza tra lui, alto funzionario sindacale, oggi a riposo con una lauta pensione che un operaio si sogna e il “criminale “Milosevic” morto in carcere, per non essersi venduto e aver difeso fino all’ultimo giorno, non sé stesso ma l’onore del suo popolo. 

Ci si può immaginare la situazione imbarazzante, loro invitate per costruire un percorso di solidarietà per i lavoratori, quindi ospiti ma nello stesso tempo umiliate da questa imposizione politica, che le offendeva profondamente. Davanti a questa situazione di miseria politica e di arroganza tipicamente occidentale, presi personalmente una posizione insieme a Flavio e Mauro come delegati della nostra Associazione SOS Yugoslavia; immediatamente tirammo fuori la stessa bandiera che avevamo portato per la giornata, e la esponemmo come Associazione, ed essendo parte del Coordinamento organizzatore, pur tra malumori e mugugni vari, non l’avremmo ripiegata.

Di fronte a questo, mentre Rajka traduceva la discussione tra noi e il figuro parola per parola, alla fine mi abbracciai, con quelle che sarebbero e sono le mie tre compagne e sorelle di Kragujevac. Uniti e indivisibili in tutti questi anni, fino ad oggi. Quando Ruzica, con gli occhi lucidi, mi abbracciò ricordo ancora nell’orecchio quel “hvala” che mi sussurrò; ed io dissi a voce alta con orgoglio, che sentissero tutti: “…grazie a voi, al vostro coraggio, alla vostra resistenza, al vostro popolo che ci ha insegnato e ci insegna la dignità, la forza, la fierezza di un popolo che resiste. Ma quale grazie a me o a noi. Noi siamo in debito con voi…..”.

Da quel giorno il nostro legame, anche di fiducia profonda, è stato indissolubile e anche negli anni a seguire, durante le assemblee con i lavoratori, o nelle interviste alla televisione, il suo nome, anche a dispetto di chi non avrebbe voluto sentirlo, l’ho sempre orgogliosamente pronunciato perché i lavoratori non dimentichino: Ruzica è stata una loro vera e onesta rappresentante, è stata fino in fondo una di loro, che ha vissuto e si è impegnata per difendere i loro interessi, prima di tutto. 

Lei, una “comunista corrotta”, “una sindacalista di partito”, una “fiduciaria di Milosevic” e del “regime”, come fu definita dai golpisti pagati dall’occidente nel 2000, ha vissuto tutta la vita nelle case popolari di Kragujevac, in camera e cucina.. Una delle più donne più potenti, politicamente, della Serbia, come scrivevano sui giornali “democratici”.  Andate a vedere dove e come vivono i nuovi dirigenti “democratici” stipendiati dagli occidentali e forse potreste capire chi era questa donna, questa sindacalista, questa compagna.

Fu da quella situazione che presero avvio i nostri Progetti per i lavoratori della Zastava, in realtà la nostra Associazione era già impegnata in altri Progetti e situazioni in Serbia, ma non a Kragujevac. 

 

In tutti questi anni noi ci siamo sempre sentiti in debito, perchè tutto il Progetto nazionale delle adozioni a distanza, aveva trovato in lei un riferimento sicuro, onesto, chiaro e definito nei minimi dettagli. Con Rajka e Miljanka ogni famiglia veniva, ed ancora oggi tramite Rajka, individuata sulla base delle sue drammatiche condizioni di vita, delle difficoltà reali, spesso della disperazione. 

Non per appartenenze partitiche o ideologiche 

Ed ancora oggi dopo quasi vent’anni, MAI nessuno delle famiglie adottanti italiane, ha perso o non ha potuto verificare, se anche un solo euro dei soldi indirizzati e devoluti, si fosse perso per strada. MAI. E se questo è potuto avvenire, è perché il sistema trasparente e riscontrabile pianificato in quel lontano 1999, tra il Coordinamento RSU, le Associazioni di solidarietà italiane e il Sindacato Samostalni di Kragujevac, fu sotto la responsabilità diretta, politica e morale di Ruzica Milosavljevic.

Chiunque ha operato nei Progetti di solidarietà con Kragujevac, ne è testimone.

Nonostante il silenzio sui media locali, il passaparola tra i lavoratori e i suoi compagni ha fatto sì che al suo funerale erano numerosi a darle l’ultimo saluto e a ricordarla.

 

Così la ricorda Rajka Veljovic 

 

Se ne e andata Ruzica Milosavljevic-Rosina. L’avevo conosciuta 30 anni fa quando mi sono trasferita a Kragujevac per lavorare negli Stabilimenti di Bandiera Rossa-Zavodi Crvena Zastava. 

                                          

 Allora non potevo immaginare che parecchi anni dopo, durante l'aggressione della Nato contro la RFJ, questa conoscenza sarebbe diventata un'amicizia profonda. Essa è stata sindacalista che rappresentava i 36.000 lavoratori della fabbrica più importante del paese, colonna del sindacato negli anni piu difficili, durante l'embargo e nel periodo dei cambiamenti politici.

Tra tanti ricordi di lei, il primo è quello di quando i lavoratori, che venivano a lamentarsi all’ufficio del sindacato perchè i salari non arrivavano, il paese era nel caos generale, ridotto in macerie dopo i bombardamenti e lei scrive al presidente Milosevic e gli disse: “ se entro domani non arrivano i soldi per i lavoratori, io porto in piazza 36.000 lavoratori..”. Ed i soldi arrivarono. Negli anni successivi non serviranno neanche più gli scioperi della fame...La cosiddetta rivoluzione democratica ha portato anche i cambiamenti al sindacato, in modo assai.,,”democratico''. Centinaia di persone avevano circondato la Palazzina del sindacato, la minacciarono, insultarono e poi una decina di loro salirono nel suo ufficio urlando e cercando di cacciarla fuori. Lei stava in piedi e disse: “ Non siete voi a cacciarmi fuori, le dimissioni le posso dare solo a quelli che mi hanno eletto. I lavoratori…''. 

Ricordo anche uno dei nostri viaggi in Italia. Il 15 febbraio 2003 a Roma durante la manifestazione contro la guerra in Irak, lei fu la voce dei lavoratori jugoslavi:  per la pace, il diritto al lavoro e una vita dignitosa, Per l'antifascismo e uguali diritti a tutti.

Se ne e andata una grande sindacalista e compagna, L'ho salutata con una rosa rossa. 

Volevo un garofano ma i garofani non si trovano più qui…. 

 

Addio cara e indimenticabile compagna e sorella, abbiamo attraversato un pezzo lungo delle nostre vite sullo stesso sentiero, con gli stessi valori e uniti nell’impegno di solidarietà e politico, cercando di non farci cambiare, spesso anche con un senso di solitudine, ma niente e nessuno è riuscito a dividerci, anche se lontani.

Come si diceva sui ponti di Belgrado e della RFJ…: 

                                                   “Forse ci vinceranno. Ma non ci convinceranno!”.

Forse hanno vinto, ma certamente non ci hanno convinto.

                                 Ti sia lieve la terra Ruzica!     

 

Enrico Vigna, presidente di SOS Yugoslavia - SOS Kosovo Metohija e 

portavoce del Forum Belgrado Italia

 

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Nelle righe qui sotto si può capire la lucidità, lo spessore politico e di conoscenza dei problemi inerenti i lavoratori, la fabbrica, il paese, che lei denotava e possedeva. Oggi queste riflessioni e analisi sintetiche sono, purtroppo per i lavoratori serbi, drammatica realtà.

 

Manifestazione nazionale contro la guerra - Roma 15 febbraio 2003

L'intervento fatto dal palco da Ruzica Milosavljevic e Rajka Veljovic,
in nome dei lavoratori della Zastava di Kragujevac, bombardata dalla Nato nel 1999

“ I lavoratori di tutto il mondo condannano la guerra.

Dobbiamo essere uniti e decisi a respingere l’idea che sia possibile per una potenza economica imporre a tutto il mondo le sue leggi ed i suoi interessi.
Non ci sono guerre giuste o umanitarie. Ci sono solo guerre per l’egemonia territoriale, politica ed economica. Per il controllo delle terra e delle sue risorse.
Porto qui oggi a tutti voi il saluto dei tanti lavoratori della Yugoslavia.
Dico questo ricordando i tanti feriti e morti, lavoratori, vittime innocenti di una guerra che non aveva nulla di intelligente ma che ha portato solo miseria, che ha ucciso l’aria, l’acqua ed il suolo con un inquinamento senza precedenti, che ha condannato le giovani generazioni ad un futuro di malattie e di tristezza.
La guerra alla Yugoslavia ha portato solo miseria, nuovi profughi, nuova emigrazione.
Ha distrutto case, ponti, ospedali, scuole. Ha distrutto sotto i bombardamenti 950.000 posti di lavoro condannando alla miseria intere città e territori.
Siamo testimoni del bombardamento della nostra fabbrica. 
La Zastava produceva automobili e occupava 36.000 lavoratori. 
Hanno detto che era un obiettivo militare ma mentivano. 
Era in realtà’ un obiettivo civile, un obiettivo voluto e deciso coscientemente a tavolino dai generali e dai politici che hanno voluto quella guerra.
Gli stessi che oggi, sulle macerie da loro prodotte vogliono conquistare anche le nostre libertà’ ed i diritti di noi lavoratori.
Prima hanno bombardato le nostre fabbriche. Ora ci chiedono sacrifici.
Come in Italia anche da noi chiedono più’ libertà di licenziamento, più flessibilità. Ci impongono salari bassi e nessuna tutela sindacale, nemmeno per le lavoratrici in maternità.

Ecco cosa hanno voluto produrre con questa guerra.
Hanno perseguito con lucida coscienza il controllo di un territorio distruggendo la sua economia per arrivare a conquistare un serbatoio di mano d’opera senza diritti ed a basso prezzo.
Se la guerra alla Yugoslavia è stata la prova generale di una nuova politica egemonica che aveva bisogno di far saltare le regole del diritto internazionale, ora con la messa in crisi dell’Onu si vuole affermare con ancora maggiore arroganza la totale libertà delle economie forti di disporre di tutto il territorio, di tutte le risorse, di tutto il mercato che a loro serve per rafforzare la loro egemonia.

Ma la solidarietà dei lavoratori sconfiggerà questo progetto.
Il nostro è un progetto di pace. Una pace gridata in questa piazza, oggi a Roma come in tante altre città del mondo.
Una pace per cui sarà necessario lottare ancora, con decisione, con convinzione.
Una pace che ha nei lavoratori una forza insostituibile, decisiva e forte.
Una forza che vince perchè come ha dimostrato la nostra esperienza, la solidarietà tra i lavoratori può essere più forte di qualsiasi cannone.
Nessuno ci coinvolgerà’ in questa guerra, 

Viva la pace, viva l’unità dei lavoratori”. 

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Questa breve ma precisa analisi, era stata preparata da R. Milosavljevic, in seguito a un incontro che ebbi con lei, sulla situazione dei lavoratori. ( E.V.)  28-10-2003

                   

                              SERBIA: NON SI INTRAVEDE LA FINE DELLA CRISI   

 

Per molti rappresenta probabilmente una sorpresa il fatto che la nostra economia continua a trovarsi in uno stato di profonda recessione, le cui conseguenze sopportiamo con sempre maggiore difficoltà, sia perché la crisi dura da molto tempo, sia perché di essa non si intravede la fine.

 

   E’ stato un approccio evidentemente sbagliato pensare che la stabilizzazione e la liberalizzazione a livello macroeconomico, così come un veloce processo di privatizzazione, avrebbero risolto tutti i problemi. Purtroppo gli euforici annunci di riforme, così come le grandi promesse di un miglioramento del livello di vita, non si sono realizzati. Nemmeno nel terzo anno delle annunciate riforme l’economia si è messa in moto. I risultati economici sono decisamente negativi e né i cittadini né gli operatori economici possono più sostenere la terapia – shock neoliberale. La produzione industriale per i primi sette mesi ha avuto un crollo del 3,5%, quella agricola una recessione del 10%, il deficit del commercio estero per gli scorsi 30 mesi  ha raggiunto i 9.215 miliardi di dollari, il nostro debito pubblico alla fine di agosto ha toccato i 13,5 miliardi di dollari, siamo caduti in uno stato di schiavitù da indebitamento e l’economia stagnante non sarà in grado di far fronte a impegni che hanno superato la somma della produzione nazionale lorda.

 

   Sono disoccupate 968.250 persone, 1.282.049 sono occupate e lavorano in media 3,5 ore, e 194.779 lavoratori lo scorso mese non hanno ricevuto lo stipendio.

  

LO SFRUTTAMENTO DELLE CAPACITA’ PRODUTTIVE

 

   Lo sfruttamento delle capacità produttive è inferiore al 40 per cento, e l’80 per cento delle attrezzature è antiquato. Il tasso di crescita economica anche quest’anno difficilmente supererà l’uno per cento, e secondo il calcolo degli esperti ci saranno necessari 30 anni per raggiungere il livello del 1989. In particolare 34.208 imprese devono cadere in fallimento, ed altri 468.000 lavoratori rimanere senza impiego. Secondo le ricerche degli esperti, il 74 per cento dei cittadini vive con una quota compresa tra l’uno e i due dollari al giorno, e di essi il 32% si trova in uno stato di povertà grave. Sulla Serbia incombe un’esplosione sociale simile a quella avvenuta in Argentina, lodata dai burocrati  internazionali  per dieci anni, finché non è avvenuto il tracollo economico. Al posto di uno sviluppo economico abbiamo ottenuto una recessione da transizione, una drastica caduta degli standard di vita, la crescita dei debiti e del deficit ed un’economia non liquida.

   Lo stato dell’economia è drammatico. Le ricerche mostrano che solo il 17,7 per cento dei giovani vuole rimanere in patria, gli altri vogliono andarsene. Gli esperti continuano ad avvertire che è l’ultimo periodo utile per poter compiere qualcosa di più serio nel  cambiamento di questo stato. Detto in gergo sportivo, quando i risultati non arrivano bisogna cambiare  la squadra e il gioco; significa che bisogna portare a termine due elementi chiave, cioè cambiare il concetto di riforma e cambiare le persone.

   Purtroppo in questo momento non c’è né la possibilità né la voglia di muoversi in questo senso, o perlomeno di raggiungere un consenso nazionale su una propria strada alle riforme, che costruirebbero un sistema economico volto ad uno sviluppo in cui con la privatizzazione si arriverebbe ad una liquidazione delle sostanze. La scena politica cupa e molto instabile è quotidianamente aggravata da controversie tra i partiti, da un lavoro esacerbato del parlamento, da scandali ministeriali, da frequenti scioperi dei lavoratori a causa dell’illegale attuazione della privatizzazione; è un ambiente che non permette alla forze politiche progressiste di preparare una svolta più radicale nella qualità delle riforme e dello sviluppo economico..

 

   E mentre le parti politiche e i sindacati  patteggiano reciprocamente il profitto della propria esistenza, continua lo sfacelo economico, e di questa crisi non si vede la fine.

                                                                                                            

Ružica Milosavljević (ex Segretaria Sindacato Samostalni Zastava Kragujevac), ottobre 2003

                                                                                                                              

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Questo è un estratto con le parole di Ruzica Milosaljevic, di un intervista che le feci nel marzo 2004, sulle sue valutazioni circa la situazione dei lavoratori in Serbia e della Zastava in particolare, cinque anni dopo la guerra umanitaria della NATO.

 

D.:  Qual è la situazione nel paese dal vostro punto di vista e dall’interno del movimento dei lavoratori e alla Zastava in particolare?

R: Milosavljevic: La coscienza tra i lavoratori è ancora confusa e contraddittoria, perchè  le privatizzazioni erano state presentate dal nuovo governo dopo gli avvenimenti dell’ottobre 2000 (n.d.r: l’assalto al parlamento e la destituzione di fatto del precedente governo di unità nazionale, da parte delle forze di opposizione filo occidentali, della DOS), come la soluzione ai problemi del dopo guerra ed embarghi. Una massiccia campagna mediatica aveva di fatto convinto e illuso la gran parte dei lavoratori, che l’unica soluzione stava in questa riforma e che più profonda e spregiudicata fosse stata, avrebbe maggiormente interessato eventuali investitori stranieri, migliorando così le loro condizioni di vita. In una situazione conseguente a 10 anni di embarghi, sanzioni e guerre, le condizioni di vita e morali dei lavoratori erano ormai allo stremo, e questo fu recepito come speranza di un miglioramento o perlomeno come un tentativo che li facesse uscire da uno stato di difficoltà protratto.
Lo scorso anno la produzione industriale in Serbia ha subito un crollo del 5%, quella agricola del 12%; il deficit del commercio estero nei soli due anni tra il 2001 e il 2003 è stato di 9.215 dollari, il debito pubblico a dicembre ha raggiunto i 19 miliardi di dollari. Siamo di fatto caduti in uno stato di schiavitù da indebitamento e l’economia stagnante non è in grado di far fronte a impegni che hanno superato la somma della produzione nazionale lorda. Lo sfruttamento delle capacità produttive è inferiore al 40 per cento e l’80% delle attrezzature è ormai obsoleto. Il tasso di crescita economica del 2003 è stato del 1% e secondo i calcoli degli esperti saranno necessari 30 anni per raggiungere i dati del 1989.
Si parla di 34.000 imprese che devono andare in fallimento con la conseguenza di altri 450.000 lavoratori che resteranno senza lavoro. Sulla Serbia  incombe un’esplosione sociale simile a quella  avvenuta in Argentina, che era stata lodata dai finanzieri internazionali per 10 anni, finchè non è avvenuto il tracollo economico. Al posto di uno sviluppo economico abbiamo ottenuto una recessione da transizione, una drammatica caduta degli standard di vita, crescita dei debiti e del deficit ed una economia senza liquidità.


La situazione in particolare alla Zastava, nonostante scioperi e proteste, è senza reali sbocchi. Il continuo processo di scomposizione dei reparti produttivi, prospettato come necessario per rendere ancora più appetibile la vendita della azienda, non ha prodotto nulla se non disoccupazione, crollo della produzione e smantellamento delle potenzialità strutturali del gruppo. Proprio in questi giorni è stato pubblicizzato l’ennesimo progetto fantasma ( periodicamente ogni stagione si fa trapelare notizie e piani di acquisizione di investitori stranieri, che dovrebbero rilanciare la fabbrica e quindi il lavoro, con l’obbiettivo nascosto di contenere il malcontento e sopire la disperazione e la rabbia) Questo nuovo progetto sarebbe di produrre un nuovo modello di vettura con la Toyota, la quale dovrebbe mettere il motore, mentre le scocche e i pezzi di ricambio sarebbero Zastava. Ennesima notizia fasulla, in quanto le scocche Zastava che dovrebbero essere utilizzate  sono quelle prodotte in questi anni senza motori e la maggior parte di esse non possono più essere utilizzate, in quanto secondo le regolamentazioni internazionali una scocca prodotta da più di due anni, è classificata come scaduta quindi non ha più garanzia e non può essere montata. E la Zastava non ha fondi per produrne di nuove. Il nostro pessimismo sulla situazione del nostro paese è legato ad un dato che fa da specchio per leggere il nostro futuro: se la Zastava chiude, la Serbia perde il 40% della produzione industriale, come lo sprofondare in un abisso  per un paese. Ma purtroppo questo è lo scenario che i fatti ci indicano e se questa prospettiva, ormai evidenziata sia dai fatti che da dati oggettivi anche indipendenti da volontà soggettive, non sarà ribaltato, questi saranno gli scenari futuri per i lavoratori della ex Repubblica Federale Jugoslava.  

D.: Quali sono state in questi mesi, le maggiori proteste e lotte nel paese e qualche esito hanno ottenuto per i lavoratori?

R: Milosavljevic : Praticamente in ogni settore lavorativo vi sono continui scioperi o proteste, dal settore delle telecomunicazioni a quello dei lavoratori postali e delle banche, scesi più volte in lotta contro licenziamenti di massa, per il pagamento dei salari e contro le ristrutturazioni e le privatizzazioni. 
A Smederevo e Sabac lotte nelle fabbriche contro licenziamenti e per aumenti salariali.. Nelle acciaierie di Smederevo, le più grandi del paese, la lotta era contro i nuovi padroni americani, che dopo aver acquisito l’azienda avevano immediatamente licenziato circa 1.000 lavoratori, imponendo una paga oraria di 0,40 dollari all’ora. Dopo uno sciopero generale durato settimane, che ha anche coinvolto la città, i lavoratori hanno ottenuto una grande vittoria per questi tempi: accordo circa i licenziamenti, in parte rientrati e in parte ridefiniti presso l’ufficio collocamento con il sussidio mensile di 60 euro, ottenuto un aumento salariale che ha portato la paga oraria a 1,00 dollaro, la cacciata del manager americano T..Kelly, facente funzione di direttore della fabbrica.


Ma anche una vittoria più profonda e importante per il futuro: la Commissione Anticorruzione dopo le denunce dei lavoratori e del Sindacato ha bloccato il processo di privatizzazione della fabbrica per presunti illeciti, falsi e truffe avvenute nella compravendita. 
(n.d.r.: in sintesi è successo questo, per ristrutturare la Sartik furono spesi tre anni fa 2 miliardi di dollari; lo scorso anno altri 700 milioni di dollari per ammodernarla e poterla vendere…..al prezzo di 35 MILIONIdi dollari, all’acquirente americano. Il quale dopo le denunce e indagini si è rivelato un semplice complice e prestanome di alcuni esponenti del governo DOS. Ora anche le Banche che avevano garantito i prestiti si sono rivolte al Tribunale Internazionale per andare fino in fondo alla vicenda…E.V.).
Scioperi e lotte anche a Nis nelle fabbriche MIN e EI, dove da un totale di 28.000 lavoratori fino al 2000, sono omai rimasti 6500 occupati, di cui solo 700 percepiscono un salario intero, il resto lavora solo a chiamata per alcuni giorni al mese. Qui la protesta ha per ora solo bloccato i piani, ma non si è ottenuto altro, le trattative continuano. Scioperi anche alla fabbrica Zvevda e alla DES, dei lavoratori del consorzio PKB e dei Centri Commerciali e altri.
Si è temporaneamente conclusa la lotta dei minatori dei più grandi centri minerari dei Balcani, che hanno ottenuto aumenti salariali, un miglioramento delle condizioni di lavoro, che erano peggiorate notevolmente dall’ottobre 2000, blocco del processo di privatizzazione ed in alcuni casi addirittura di chiusura di alcuni centri. E’ stata anche ottenuta dal Sindacato una vittoria contro lo scorporo della categoria minatori da quella del settore elettrici, che avrebbe drasticamente indebolito entrambe le categorie favorendo poi così, i successivi piani di smantellamento già previsti, in tutti e due i settori. A livello del paese questa è stata salutata come una grossa vittoria sindacale e di difesa degli interessi generali dei lavoratori.


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D.: La scorsa primavera, in piena fase di emergenza dovuta all’uccisione del primo ministro, è stata varata la nuova “ Legge del lavoro”. Quali sono gli aspetti più marcatamente anti operai e regressivi per gli interessi dei lavoratori?

R: MilosavljevicUno è sicuramente quello, di una di fatto completa liberalizzazione dei licenziamenti, anche questo spacciato come una necessità per favorire gli investimenti stranieri e quindi teoricamente dare lavoro. Un altro che ha già conseguenze disastrose e ridimensiona completamente il rapporto tra le parti sociali, governo-sindacati è quello relativo della abolizione del Contratto collettivo nazionale; questo di fatto significa, che il  sindacato non ha più alcuna possibilità di impedire o influire su decisioni del governo.
Per esempio nella vecchia legislazione dove vigeva il Contratto collettivo nazionale, vi era una clausola dove era sancito, che qualsiasi contratto locale o aziendale poteva avere SOLO condizioni e intese MIGLIORI di quelle stabilite a livello nazionale, se erano peggiori o regressive degli interessi dei lavoratori NON poteva essere ratificato. Tutto questo oggi non esiste più. 
 Su altri aspetti della nuova Legge  facciamo alcuni esempi esemplificativi : nella vecchia Legge la parte riguardante il “diritto della protezione del lavoro” il Sindacato era titolato ha trattare e a poter rifiutare qualsiasi decisione lavorativa presa dalle direzioni aziendali, oggi questo non esiste più.
Nella precedente legge nessun aspetto o controversia riguardante singoli lavoratori, sia economici che disciplinari o produttivi, poteva essere preso senza la presenza e accettazione del Sindacato, oggi il sindacato non è neanche più consultato. E’ sancito legislativamente che è solo più riconosciuto il rapporto tra lavoratore e datore di lavoro soltanto.
Nella precedente legge i licenziamenti erano quasi impossibili se non legati ad aspetti di legislazione penale (azioni illegali) e dovevano essere vagliati e accettati dal Sindacato, che aveva il compito di verificare e garantire che fossero stati applicati  tutti i diritti per la difesa e tutela del lavoratore. Oggi ciascun lavoratore essendo solo nel rapporto con l’azienda è di fatto senza più protezioni sociali e senza più alcun potere contrattuale. Inoltre è stato sancito il “diritto” al licenziamento legato alle esigenze aziendali, in piena politica di liberismo selvaggio, di fatto ogni lavoratore è alla mercè del proprio datore di lavoro..
Le conseguenze dirette e concrete nella vita dei lavoratori si possono vedere in questi due esempi di situazioni di lavoro nella Zastava, che neanche durante embarghi e bombardamenti sono mai accaduti e sarebbero stati considerati illegali anche giuridicamente. Uno riguarda la Zastava automobili dove attualmente sono occupati come dipendenti ancora 3600 lavoratori, e dove ogni mese vengono chiamati dall’ufficio di collocamento 800 lavoratori disoccupati a rotazione, per integrare il sussidio mensile di disoccupazione ( 45% del salario, mediamente circa 60 euro mensili, che tra le altre cose scadrà nel 2005 e quindi da allora questi iscritti al collocamento non avranno neanche più questa minima entrata), essi accettano di lavorare in queste condizioni : senza nessun contratto specifico se non la conoscenza dell’ammontare del salario a fine mese stabilito dall’azienda, nessun diritto sindacale, orario legato esclusivamente alle esigenze aziendali, nessuna paga o retribuzioni ufficiali ma stabilita ciascuna volta, nessuna maturazione di ferie, nessun diritto alla mutua e malattia se un lavoratore si assenta viene sostituito da un altro, nessun diritto ad usufruire delle leggi di protezione della sicurezza.
L’altro esempio esemplificativo riguarda un reparto Zastava che si chiama TER COM, composto da lavoratori invalidi di cui l’80% provengono dall’ufficio di collocamento disoccupati; la maggioranza sono donne e tutte hanno malattie come leucemia e tumori, le condizioni di lavoro sono spaventose ma il ricatto è che se qualcuno protesta perde anche quei pochi soldi e si ritrova di nuovo senza salario. Noi stessi come responsabili sindacali non possiamo fare nulla, pur sapendo come tutti, qual è la situazione perché gli stessi lavoratori ci chiedono di non muoverci per il terrore di perdere anche questo. Un solo esempio, tutti coloro che lavorano hanno problemi di salute o perché invalidi o perché malati accertati, nessuno di essi ha mai presentato finora alcun certificato medico, spesso occultando il proprio stato per paura di non lavorare.

(n.d.r: sono riuscito personalmente a entrare in contatto con una lavoratrice del reparto, che mi ha affidato la lettera che qui riporto come estratto, che penso non lasci spazio ad altre parole nel rendere l’idea della situazione. E..V.)
“…ho deciso di scrivere questa lettera per raccontarle la mia vita. Sono lavoratrice della Zastava automobili e come invalida di 3° categoria, lavoro nell’officina cosiddetta TER COM ( costituita per invalidi ). Lavoro al ritocco dei particolari, siccome a causa della guerra non abbiamo lavorato per lungo tempo, poi abbiamo cominciato a fare qualsiasi  lavoro, anche quelli che non competono agli invalidi. Abbiamo ripulito i reparti bombardati e si sa benissimo che questi sono posti radioattivi; mentre facevo questi lavori parecchie volte ho avuto allergie e sono stata sottoposta a “terapie”. Poi ho lavorato dove vi è il PCB- Piralene lasciato nell’ambiente dalle bombe ed avevo problemi di respirazione. Sono andata dal medico e mi hanno trovato delle cisti nella gola e nel seno. Ma questo non è stato sufficiente ai dirigenti e per l’ennesima volta hanno portato nel nostro reparto altre sostanze chimiche per le lavorazioni, mi hanno poi portata due volte al Pronto soccorso, e così anche altre mie colleghe; l’ultima volta nel mese di febbraio mi hanno salvato la vita per un soffio.
Adesso sono in malattia fino a fine del mese, poi dovrò tornare al lavoro ma sono molto preoccupata, perché so che un giorno mi troveranno morta; l’ambiente di lavoro è disastroso e anche le condizioni di vita in esso sono disastrose. Io devo lavorare per sostenere la mia famiglia, perché mio marito è stato licenziato ed è anche lui malato; una figlia va a scuola e l’altra ha finito di studiare ma è disoccupata perché non c’è lavoro…io la prego di leggere questa mia lettera ad altri, se vuole può verificare tutto quanto ho scritto. Il mio lavoro consiste nella pulizia dei particolari e componenti bombardati , lavaggio pezzi, scelta delle viti da montare e scarto di quelle non più utilizzabili, pulizia dei reparti. Non posso rifiutare di fare questi lavori nonostante sapevamo che erano radioattivi; ci sono anche altre mie colleghe che sono ammalate, io penso che tutto è conseguenza dei bombardamenti. Io sono invalida ma queste malattie le ho avute dopo.. La ringrazio dell’aiuto e la prego, se è possibile, di attivarsi anche tramite qualche organizzazione che lavora nel campo della protezione delle vite umane e di provare ad aiutarci….S.M. “

Questa è la realtà della classe lavoratrice serba nel 2004, solo quattro anni fa nessuno di noi avrebbe neanche lontanamente immaginato che un lavoratore avrebbe potuto conoscere un simile stato di degradazione sociale e di dignità.
Ma questo è ciò che ci hanno portato i cambiamenti del “nuovo corso” e con questo dobbiamo convivere quotidianamente e combattere in una vera e propria lotta per la sopravvivenza.

 

D.: Subito dopo la fine dei bombardamenti a giugno ’99, l’ex governo di unità nazionale, aveva stanziato 1/6 del budget federale della Repubblica serba per il Progetto di Ricostruzione della Zastava, ritenendo prioritario per il futuro del paese il rilancio della fabbrica e della produzione, come condizioni assolutamente improrogabili, insieme alla ricostruzione dei ponti e delle infrastrutture, poi avvenuti.. Il progetto era stabilito in 3 Fasi di ricostruzione, all’ottobre 2000 erano state completate quasi due fasi su tre, da allora a oggi, la ricostruzione è stata terminata?
Cosa è avvenuto e qual è la situazione oggi?

R: Milosavljevic: Per quanto riguarda i lavoratori Zastava vi erano una serie di diritti che contribuivano alla difesa dei salari, per esempio un pasto gratuito al giorno; il 50% delle spese dei trasporti erano rimborsati; i lavoratori che erano in ambiti di lavoro più disagiati, avevano diritto a forniture di alimenti specifici contenenti vitamine e proteine; nel contratto collettivo erano contemplati controlli sanitari periodici e sistematici, da parte del presidio sanitario dell’azienda; nel periodo di malattia il lavoratore percepiva l’80% del salario, ora il 60% ma praticamente nessuno si mette in malattia per timore di essere licenziato; ad ogni lavoratore che veniva assunto, ma che proveniva da un'altra città, gli veniva assegnato una sistemazione nel quartiere delle case operaie Zastava, in legno e ovviamente negli ultimi anni sempre più disagiate, in attesa di un alloggio in città; ogni lavoratore aveva diritto per lui e la sua famiglia ha tutta una serie di attività ricreative, sportive e culturali aziendali praticamente gratuite. Di tutto questo ora non resta più nulla.
Per quanto riguarda misure più generali e sociali come le mense popolari dove si poteva mangiare a costi simbolici, oggi non esistono più; negli ultimi dieci anni le bollette energetiche non erano state riscosse per non affossare le condizioni minimali di vita del popolo, ora con le privatizzazioni alle famiglie è stato imposto il pagamento di tutti gli arretrati, pena la sospensione delle erogazioni, per cui le famiglie si trovano senza salari e con debiti pregressi da pagare in rate mensili per gli anni futuri. Per quanto riguardava prezzi, affitti, sanità , il governo trattava con il Sindacato e stabiliva programmi sociali a costi calmierati contrattati tra le parti sociali. Ora tutto è stato liberalizzato e non c’è più nessun controllo o limite.

D.: Com’è la situazione sanitaria tra i lavoratori?

R: Milosavljevic: Purtroppo i bombardamenti “ umanitari” della Nato oltre alla miseria e al degrado umano e morale, ci hanno anche lasciato una terribile conseguenza : i danni causati dalle bombe all’uranio impoverito, sulle persone e nell’ambiente. Su questo argomento purtroppo i dati ufficiali e le documentazioni precise sono molto carenti se non assenti, questo ovvio per vari motivi, uno perché a livello governativo e dei media, non c’è interesse a rendere pubblici dati che potrebbero dare l’idea della tragedia che incombe sulla vita del popolo serbo, anche e soprattutto per il futuro. Ma su questo vi sono certamente persone più documentate di noi per rispondere, di certo vi è che tra il migliaio di lavoratori volontari, che avevano partecipato alla sgombero delle macerie ( va ricordato che la fabbrica fu quasi distrutta da continui e massicci bombardamenti criminali e devastanti), sono già 63 i deceduti e centinaia di altri sono affetti da tumori e leucemie, nel presidio sanitario della Zastava i farmaci più richiesti sono psicofarmaci, antidepressivi e i medicinali per le malattie di natura epatica. Già questo può essere considerato un dato indicativo.
Così come è ufficiale che l’area della Zastava fu dichiarata nel 2000, ambiente degradato e a rischio da parte dell’ONU.
Un dato ufficiale filtrato negli ultimi mesi dice che nella regione della Sumadija, che ha in Kragujevac il capoluogo, si sono rilevati oltre 1.000 nuovi casi di ammalati di tumori e malattie epatiche.

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D.: Una riflessione finale sulle prospettive e su un futuro che, alla luce della situazione descritta appare molto difficile per il popolo serbo.

R: Milosavljevic: Quanto finora esposto può solo avvicinare coloro che leggeranno, a comprendere qual è la vita quotidiana e le condizioni in cui vivono i lavoratori, la realtà da vivere è sicuramente più difficile.
Già solo il dato ufficiale frutto di un indagine governativa che dice che l’80,3 per cento dei giovani vuole andare via dalla nostra patria e solo il 17,7 per cento ha ancora speranza che qualcosa cambi e gli permetta così di restare, deve far capire quanto è tremenda la situazione del nostro paese, perché la gioventù significa futuro e senza gioventù, nessun paese può avere un futuro. Per questo è diventato drammaticamente urgente pensare e lavorare a un cambiamento, dei programmi economici e politici, e di leadership. Se non accadrà questo il nostro futuro è molto molto difficile, tutti i giorni si parla soltanto di svendite, chiusure, fallimenti, non si parla mai di una qualche soluzione trovata ad un problema.
Si parla di scorpori, che diventano un processo e pezzo per pezzo, gli scorpori rendono ogni situazione sempre più piccola e poi a sua volta diventa parte di una parte e così via. E poi saranno venduti ma in questa progettualità non c’ è futuro, perché significa di fatto cancellare la potenzialità produttiva di uno stato di un paese. Significa per chiunque abbia un minimo di cognizioni economiche o del mondo del lavoro proporre una agonia, magari non cruenta ma una lenta agonia. Negli ultimi mesi sono persino arrivati a ventilare ai lavoratori, un ulteriore scenario futuro architettonico sociale, la Zastava quella che per decenni è stata una grande e immensa fucina di lavoro, di vita, di speranze, di dignità, potrebbe diventare una grande area cittadina, dove non ci saranno più cancelli, inferriate, delimitazioni, solo più una grande area economica, commerciale, di uffici, negozi, magazzini, ma senza più i 36.000 lavoratori e famiglie che l’hanno popolata e resa una fonte di vita e di futuro per mezzo secolo, senza più produzione di nulla. Forse se tutto va bene dicevano, qualche centinaio di posti di lavoro nuovi si creeranno, e gli altri?
Quest’anno la novità ‘ stata la notizia che la Fiat si è rifatta viva dopo anni di disinteressamento e silenzio, ma non per qualche ipotesi di rilancio o investimento, ma per richiedere i debiti pregressi e la valutazione finanziaria del suo pacchetto azionario. Come dire un’altra tegola su qualsiasi ipotesi di trovare acquirenti o investitori che facciano ripartire la fabbrica; di fatto questo rende impossibile immaginare la possibilità, da parte di qualcuno di comprare un azienda che già prima di fare un investimento ha già debiti da saldare. L’insieme delle situazioni dà forse il segno di una situazione talmente attorcigliata attorno a contraddizioni, problemi e dinamiche bloccanti, che riesce veramente arduo NON pensare ad un futuro nero per i lavoratori della Zastava e forse della classe lavoratrice della Serbia, che probabilmente ha ancora davanti a sé, periodi non certo facili. Per impedire tutto questo c’è una sola strada, cambiare le riforme e cambiare i dirigenti, se i lavoratori riusciranno ad imporre questo la speranza ritroverà una ragione di essere.

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A cura di Enrico Vigna – 27 dicembre 2018

 

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8979 ]]

(english / deutsch / italiano)
 
Skopje's Macedonia, NATO's Thirtieth Member?
 
in reverse chronological order:
1) Das dreißigste Mitglied der NATO / NATO's Thirtieth Member (GFP, 09.01.2019) 

2) Washington corrompe parlamentari macedoni per procurarsi l’adesione alla NATO e alla UE / La Macedonia diventa una “democrazia” in stile statunitense (Rete Voltaire, ottobre 2018) 

3) Fallimento del referendum in Macedonia: sconfitta per l'espansione della UE e della NATO (di V. Unkovsky-Korica / Lefteast 1/10/2018)
4) L'adesione della Macedonia alla NATO è un errore con conseguenze (di E. Vigna, V. Kofchegarski, J.. Stoltenberg, Z. Zaev / Sputnik MK, News Front, Euractiv)

 
Sulla questione macedone segnaliamo anche:
 
MACEDONIA: L’ex primo ministro Gruevski è fuggito in Ungheria (Riccardo Celeghini, 13.11.2018)
L’ex primo ministro della Macedonia Nikola Gruevski è scappato in Ungheria per richiedere asilo politico. Gruevski era atteso in carcere il 9 novembre, ma da allora aveva fatto perdere le sue tracce... condannato a due anni di reclusione il 5 ottobre nell’ambito del caso giudiziario denominato “Tank”. Secondo la sentenza, nel 2012 [SIC] Gruevski avrebbe influenzato [SIC] l’allora assistente al ministero dell’Interno Gjoko Popovski e l’allora ministro dell’Interno Gordana Jankulovska per spingerli all’acquisizione di una Mercedes [SIC]...
 
E se a Skopje non volessero né NATO né UE ? (rassegna JUGOINFO 5/10/2018)
 
Einflussverlust in Südosteuropa (GFP 29.06.2016)
Mit empfindlichen Drohungen gegen Skopje reagiert die Bundesregierung auf spürbare Einflussverluste in Mazedonien... Als die mazedonische Regierung jedoch Ende der 1990er Jahre eine eher neutralistische und NATO-kritische Politik zu verfolgen begann, forcierten Deutschland und andere NATO-Staaten eine Intervention, die eine Wende herbeiführte...
 
 
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ORIG.: Das dreißigste Mitglied der NATO (GFP, 09.01.2019) 
Mit ihrem morgen beginnenden Besuch in Athen setzt Bundeskanzlerin Angela Merkel eine Serie außergewöhnlicher Einmischung von NATO- und EU-Staaten in die inneren Angelegenheiten zweier südosteuropäischer Länder fort. Gegenstand der Einmischung ist der Namensstreit zwischen Griechenland und Mazedonien, das aufgrund griechischer Einwände international den Namen Ehemalige jugoslawische Republik Mazedonien trägt. Es soll nun gemäß einem Abkommen vom 17. Juni 2018 in Nord-Mazedonien umbenannt werden. Weil dies die Voraussetzung dafür ist, dass das Land in die NATO aufgenommen werden und EU-Beitrittsgespräche anstreben kann, machen das Kriegsbündnis und die Union Druck, den Prozess der Umbenennung rasch abzuschließen. Dazu wird Merkel in Athen Gespräche führen. Die Umbenennung erfolgt unter massiver Einflussnahme des Westens, der diese mit angeblicher russischer Einflussnahme begründet; sie geschieht gegen das Resultat eines Referendums in Mazedonien und ist bei einer kurz bevorstehenden abschließenden Abstimmung im mazedonischen Parlament auf die Zustimmung von Oppositionellen angewiesen, die mit offensichtlich korrupten Methoden zur Unterstützung des Namenswechsels veranlasst wurden...
https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/7825/
 
 
NATO's Thirtieth Member
01/09/2019

BERLIN/ATHENS/SKOPJE(Own report) - With her visit to Athens, beginning tomorrow, German Chancellor Angela Merkel is continuing a series of unprecedented interference by NATO and EU members into the domestic affairs of two Southeast European countries - this time in a dispute over a name between Greece and Macedonia. Because of Greek objections, Macedonia is known internationally as the Former Yugoslav Republic of Macedonia (FYROM). In line with a June 17, 2018 agreement, the country is to change its name to North Macedonia. Because the renaming is a prerequisite for the country's admission to NATO and its negotiations for EU membership, the NATO war alliance and the European Union are urging that the name change process be sped up. This is also the reason behind Merkel's talks in Athens. The West is exerting massive pressure, and justifying renaming the country with allegations of Russian interference. The renaming is in violation of the Macedonia's referendum results and is dependent upon the votes of the opposition in the Macedonian parliament's forthcoming final vote. Corrupt methods are obviously inducing members of the opposition to vote in favor of changing the name...

 

Unambiguous Demand

In the run-up to the September 30, 2018 referendum on changing the country's name to North Macedonia, the western powers flooded Skopje with waves of unprecedented interference, "unambiguously demanding the Macedonian population to vote 'Yes'," according to a report.[1] During her visit to the Macedonian capital on September 8, Chancellor Merkel declared that the citizens should not miss the "historic opportunity" to rename their country and that she expects a "positive outcome" in the referendum.[2] Just prior, the US President's letter to his Macedonian counterpart was published, wherein Donald Trump praised the change of name and declared that the United States "stands ready to support Macedonia, especially with respect to upcoming discussions on your membership in NATO."[3] Two days before Merkel's visit, the General Secretary of NATO announced in Skopje that the war alliance is "ready to welcome" North Macedonia's admission. The day before Merkel's visit, Austrian Chancellor Sebastian Kurz declared in the Macedonian capital that changing the country's name is a "historic milestone on the road into the EU." This was reiterated by EU Foreign Affairs Commissioner Federica Mogherini on September 13 - during her visit to Skopje..

 

"Russian Interference"

Finally, US Secretary of Defense arrived in Skopje September 17. Mattis declared that the upcoming referendum is "the most important vote in the history" of the country. NATO is of course "ready, to welcome Macedonia ... as its 30th member."[4] The US Defense Secretary also spoke out against "Russian interference" in Macedonia. "We do not want Russia doing here, what it is trying to do in so many other countries." Mattis also alleged that Moscow is promoting "pro-Russian movements," also here in Macedonia, which has him worried. In fact, politicians from the Russian government had not made appearances in Skopje during the run-up to the September 30 referendum. One observer remarked, "Russians say 'if we had called for a 'No' as openly as the West was calling for a 'Yes,' they would be immediately complaining of Russian propaganda and manipulation."[5] The pro-western spectrum in Macedonia is being lavishly financed. Back in January 2017, the US Congress authorized US $8 million to "combat Russian disinformation campaigns." Another US $2 million have been allocated for the promotion of "rule of law."[6]

 

Disastrous for the West

In view of the massive interference by top western politicians, the defeat of the referendum must be seen as a disastrous setback for the EU and NATO. Although, 94.2 percent of those who voted on September 30, had voted in favor of the name change, participation in the referendum was, however, a mere 36..9 percent. Fifty percent participation was needed for the referendum to be valid. The overwhelming majority either followed the opposition's boycott campaign or was not interested enough in NATO and the EU to vote. This means that the western powers can rely on only a third of the population - which, in light of their massive interference, is for Berlin, Brussels, and Washington a disastrous result.

 

Wrangling in Parliament

However, the West has not given up. Macedonia's Prime Minister Zoran Zaev has had parliament legislate the change of name that had been refused by two-thirds of the citizens. Because the change of name is of constitutional significance, it requires a two-thirds parliamentary majority, which the government does not have. For the vote on October 19, Zaev was able to convince nine parliamentarians of opposition parties to vote in favor of the name change. Just prior to that vote, a special prosecutor had opened criminal investigations on more than a dozen parliamentarians of the opposition, accused of having participated in an outbreak of violence in the parliament back in April 2017. With the help of a parliamentary "reconciliation commission," the prime minister had promised an amnesty and it had been understood that that amnesty would be linked to their voting in favor of changing the name to North Macedonia. Of course, Zaev officially denies this - illegal - linkage.[7] Jurists see this procedure as untenable and assume that it will be invalidated by Macedonia's Constitutional Court. Until now, however, it is proving effective for advancing the name change through parliament. A decisive final vote will be held either this or next week. Between today, January 9 and January 15, a constitutional amendment must be passed, requiring another two-thirds majority - therefore at least the support of nine members of the opposition. Should this dubious amnesty maneuver again prove successful, the road will be clear for that country joining the EU and NATO.

 

Merkel in Athens

However, a Greek parliamentary vote is also still pending, which is the main reason for the German chancellor's trip tomorrow to Athens. The government in Athens has, in principle, the necessary parliamentary majority. However, it is uncertain whether the far right-wing ruling coalition party "Independent Greeks" (ANEL) will vote in favor of the name change. It is generally expected that ANEL will leave the government following the vote. According to opinion polls, the conservative Néa Dimokratia (ND) under its president Kiriákos Mitsotákis would win new elections. Mitsotákis and the ND, which, at EU level, are members of the same family of parties as Germany's CDU and CSU - the European Peoples Party (EPP), oppose the name change. Last week, Mitsotákis was on hand at the CSU's closed party conference in Seeon, Bavaria, and will now meet again with Chancellor Merkel for further talks.[8]

 

The Western Community of Values

If Macedonia's renaming process can be successfully completed, North Macedonia probably could be admitted to NATO by mid-2020 - thanks to massive foreign interference - including German - in the domestic affairs of two Southeast European nations, thanks to a violation of the referendum's result, and thanks presumably to illegal wrangling in Macedonia's parliament.

 

[1] Michael Martens: Hochachtungsvoll, Donald Trump. Frankfurter Allgemeine Zeitung 08.09.2018.

[2] Merkel spricht sich für die Umbenennung Mazedoniens aus. faz.net 08..09.2018.

[3] Michael Martens: Hochachtungsvoll, Donald Trump. Frankfurter Allgemeine Zeitung 08.09.2018.

[4], [5] Michael Martens: Sei ein Frosch! Frankfurter Allgemeine Zeitung 18.09.2018.

[6] Marc Santora, Julian E. Barnes: In the Balkans, Russia and the West Fight a Disinformation-Age Battle. nytimes.com 16.09.2018.

[7] Valentina Dimitrievska: Macedonia close to crucial parliament vote on name deal constitutional changes.. intellinews.com 08.01.2019.

[8] Vassilis Nedos: Athens awaits outcome of final name deal vote in Skopje Parl't. ekathimerini.com 07.01.2019.

 
 
=== 2 ===
 
ENG.: Macedonia switches to the US style of Democracy
http://www.voltairenet.org/article203623.html
 
 
La Macedonia diventa una “democrazia” in stile statunitense
RETE VOLTAIRE | 24 OTTOBRE 2018 
 
Il parlamento macedone ha adottato a maggioranza qualificata una modifica costituzionale che autorizza il cambiamento del nome della Repubblica e l’adesione alla NATO e all’Unione Europea.
Il 14 luglio 2018 il governo di Zoran Zaev aveva indetto una giornata di festa nazionale per celebrare l’apertura dei negoziati di adesione alla NATO. I 14 concerti gratuiti organizzati nel Paese non hanno però avuto luogo perché i cittadini macedoni li hanno boicottati.
Nel referendum del 30 settembre 2018 due terzi dei macedoni hanno respinto la proposta di cambiamento del nome della repubblica, negoziato dal primo ministro Zoran Zaev e dall’omologo greco, Alexis Tsipras.
Gli ambasciatori statunitensi a Skopje, Jess L. Baily (che sovrintese all’ingresso della Turchia nelle guerre contro la Libia e la Siria), e ad Atene, Geoffrey T. Pyatt (che organizzò il colpo di Stato in Ucraina del 2014 e la scissione della Chiesa ortodossa ucraina del 2018), hanno pilotato un’operazione mirata a corrompere i deputati. Il dipartimento di Stato USA ha inviato sul posto il direttore per i Balcani, Matthew Palmer.
Le azioni giudiziarie contro otto deputati dell’opposizione sono state improvvisamente archiviate e chi di loro era in prigione è stato liberato. L’“agente Tesla” ha consegnato loro 250.000 dollari in contanti a testa, in cambio di un voto conforme alla volontà di Washington. Così hanno fatto. Considerati traditori della patria, sono stati espulsi dal partito cui appartenevano.
L’ambasciatore Baily e il vice-assistente del segretario di Stato USA erano in parlamento durante il dibattito e il voto.
Al termine della votazione il ministro dell’Interno ha annunciato che sarebbe stata assegnata una scorta ai parlamentari che avevano votato a favore del cambio di nome e dell’adesione alla NATO e alla UE.
Mentre la Macedonia fa il suo ingresso nel «campo della democrazia» (sic!), il ministro greco degli Esteri, Nikos Kotzia, ha presentato le dimissioni.

Traduzione Rachele Marmetti (Giornale di bordo)
 
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ENG.: Washington corrupts Macedonian Parliamentarians to secure Macedonia’s Membership of Nato and the EU
 
 
Washington corrompe parlamentari macedoni per procurarsi l’adesione alla NATO e alla UE
RETE VOLTAIRE | 9 OTTOBRE 2018 
 
Con il referendum del 30 settembre 2018 i macedoni hanno respinto la proposta del primo ministro Zoran Zaev di aderire alla NATO e all’Unione Europea [1]. La sera stessa della votazione il segretario generale della NATO e l’omologo della UE hanno esortato la classe politica a eludere la volontà popolare e a mandare avanti il processo di adesione ricorrendo alla via parlamentare [2].
Secondo Mina Report, il giornalista Milenko Nedelkovski ha rivelato che Washington ha immediatamente avviato un programma per comperare voti dei deputati [3].
Un responsabile del dipartimento di Stato USA, «l’agente Tesla» (alias di Mitko Burceski), ha aperto un ufficio in un lussuoso appartamento di proprietà di Sasho Mijalkov, cugino dell’ex primo ministro macedone Nikola Gruevski, dove i deputati corrotti ricevono 2,5 milioni di dollari ciascuno.
L’operazione è diretta dagli ambasciatori statunitensi a Skopje, Jess L. Baily (che sovrintese all’ingresso della Turchia nelle guerre contro Libia e Siria), e ad Atene, Geoffrey R. Pyatt (che organizzò il colpo di Stato del 2014 in Ucraina).
Per il momento, l’operazione ha ottenuto l’iscrizione, all’ordine del giorno del parlamento, del cambiamento di nome del Paese, condizione sine qua non per l’integrazione nella NATO e nella UE. Il voto è stato fissato per il 16 ottobre, ossia lo stesso giorno del verdetto della magistratura su una decina di deputati nazionalisti, accusati di aver spiato il partito socialdemocratico [4]. Il piano degli ambasciatori consiste nel far togliere loro l’immunità parlamentare e impedirgli così di votare. Tenuto conto del numero di voti comperati, la maggioranza del parlamento si pronuncerà automaticamente a favore della proposta del primo ministro.

Traduzione 
Rachele Marmetti
Il Cronista 

 

[1] “I macedoni si pronunciano contro l’adesione alla NATO e all’Unione Europea”, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 2 ottobre 2018.

[2] « Déclaration de l’Otan et de l’UE sur le référendum en Macédoine », Réseau Voltaire, 1er octobre 2018.

[3] “Mitko Burcevski coordinates Cash offers to MPs – $2.5m in duffel bags”, Marija Nikolovska, Mina Report, October 8, 2018.

[4] Tra il 2011 e il 2014 sono state effettuate registrazioni illegali di personalità politiche. Nessuno sa da chi. Le parti coinvolte si accusano reciprocamente. Il contenuto delle 33 registrazioni pubblicate svela il costume di una classe dirigente in declino.

 
 
=== 3 ===
 
 
Fallimento del referendum in Macedonia: sconfitta per l'espansione della UE e della NATO
 
di Vladimir Unkovsky-Korica, 1 ottobre 2018
 

Il 30 settembre 2018  è stato un disastro per la UE e la NATO nei Balcani. La grande maggioranza dell'elettorato macedone ha boicottato il referendum che chiedeva: "Sei a favore dell'entrata nella NATO e nell'Unione Europea e accetti l'accordo tra la Repubblica di Macedonia e la Repubblica Greca?" Nel momento in cui scriviamo la commissione elettorale statale è in attesa di fornire il risultato finale, tra il 36 e il 37%, ben al di sotto del 50% richiesto perché il risultato sia valido. Mezz'ora prima della chiusura delle urne la percentuale era del 34%. Con l'80% delle schede scrutinate, risultava che il 90% dei votanti erano in favore dell'accordo. Ma nessuno poteva nascondere il disastro della bassa affluenza alle urne.

L'accordo su cui erano chiamati a votare i cittadini macedoni, chiamato Accordo di Prespa, aveva cercato di cambiare il nome del paese in Repubblica di Macedonia del Nord, per placare le preoccupazioni del governo greco che temeva che chiamarlo semplicemente "Macedonia" implicasse future ambizioni territoriali sulla Grecia. Ora la cosa è in discussione.

 

Asimmetria del potere tra Grecia e Macedonia

La Macedonia divenne indipendente dopo la dissoluzione della Iugoslavia nel 1992.. Da allora Atene aveva bloccato l'entrata della Macedonia nelle varie organizzazioni internazionali e aveva fatto pressione perché si chiamasse Ex Repubblica Iugoslava di Macedonia (FYROM).

L'ultima svolta vedeva ancora la Macedonia costretta ad ogni tipo di compromesso: doveva accettare di non chiamarsi come voleva e fare tutta una serie di rinunce, come quella di negare di aver mai avuto alcun legame con l'antica Macedonia ellenica.

Questo riflette una asimmetria di base nel potere. Non soltanto la Grecia è membro dell'Unione Europea e della NATO, ma le sue banche hanno acquisito più del venti per cento di tutto il settore bancario della Macedonia. La Grecia è uno dei più importanti partner commerciali della Macedonia, la Macedonia coi suoi due milioni di abitanti è un nano rispetto agli undici milioni di greci ai suoi confini. Tuttavia risultava chiaro che c'era un interesse fondamentale da parte delle capitali occidentali nel portare la Macedonia all'interno del campo euro-atlantico, per incrementare la rivalità in est Europa contro il nemico geopolitico, la Russia. La caduta nel gennaio 2016 di un governo macedone scomodo e sempre più vicino alla Russia è servita ad avere più possibilità di spostare la Macedonia in modo decisivo nel campo occidentale.

 

L'AGENDA ESPANSIONISTA DELLA NATO E DELLA UE

I potentati occidentali speravano di usare il governo greco di Tsipras come aiutante per realizzare questo voltafaccia della Macedonia. Benché sia stato eletto per contrastarli, Tsipras è completamente asservito ai potentati occidentali dopo aver accettato il programma di austerità imposto dalla cosiddetta Troika, cioè la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale, per risolvere la crisi del debito greco.

Tsipras ha convinto i potentati occidentali, in particolare gli Stati Uniti, che era pronto ad agire secondo i loro desideri – ha persino affossato la storica vicinanza della Grecia ai palestinesi in politica estera e ha partecipato ad esercitazioni militari congiunte con Israele, il cane da guardia degli USA in Medio Oriente.

E' in questo contesto che il nuovo premier socialdemocratico della Macedonia, Zoran Zaev, è giunto a un apparente compromesso per eliminare il veto greco ad entrare nella UE e nella NATO, rinunciando al nome di Repubblica di Macedonia.

 

L'OCCIDENTE E IL REFERENDUM MACEDONE

Quando Zaev ha indetto il referendum sull'accordo, ha reso chiaro che dietro il cattivo compromesso c'era l'obiettivo dell'entrata nella UE e nella NATO. Ciò emergeva chiaramente dalle domande che il referendum poneva.

Facendo un referendum sulla partecipazione alla UE e alla Nato, entrambe organizzazioni con una grande influenza sull'esito dell'accordo, Zaev aveva calcolato che la maggioranza dei macedoni avrebbero soprasseduto ai problemi relativi al nome in cambio della partecipazione all'elite del club imperialista occidentale.

Che Zaev non agiva da solo è stato chiaro quando molti dignitari occidentali hanno puntato le loro carte in favore del referendum. Capi europei e politici USA, come la cancelliera Angela Merkel e il segretario della difesa USA Jim Mattis, visitarono la Macedonia per sostenere Zaev.

Per sottolineare la loro volontà, all'inizio di settembre, il Segretario Generale della NATO, Jens Stoltenberg, stabilì che il Ministro della Difesa macedone avrebbe partecipato al tavolo della Nato dal febbraio 2019, se il referendum avesse avuto successo.

Ancora più drammaticamente, il Commissario per l'Ampliamento della UE Johannes Hahn disse che, se la Macedonia avesse perso "la finestra di questa opportunità", la finestra avrebbe potuto "chiudersi per decenni, se non per sempre".

 

IL FALLIMENTO DELLE ELITE MACEDONIA

Forse non c'è da sorprendersi che la maggior parte del parlamento macedone non abbia fatto una campagna per boicottare il referendum. La coalizione al governo di socialdemocratici e partiti nazionalisti albanesi era in favore del "sì" al referendum, mentre il principale partito di opposizione il VMRO-DPMNE di centro-destra appariva ovviamente diviso e non ha preso una posizione ufficiale.

Sono stati i piccoli partiti che hanno portato avanti, separatamente, il movimento per il boicottaggio. Sebbene vari partiti della destra nazionalista abbiano avuto un ruolo preminente nel sostenere il boicottaggio, l'ala sinistra LEVICA era a favore del boicottaggio da posizioni internazionaliste e ha impedito che la destra avesse il monopolio su questo argomento.

Sembra che questi gruppi fossero molto più in sintonia con i sentimenti della popolazione che non i poteri occidentali e i partiti di maggioranza.

Dopo tutte le pressioni sulla popolazione, la misura della sconfitta del referendum di Zaev non poteva essere più dura. Si tratta di un'importante battuta d'arresto per questo governo, per i partiti di maggioranza e per l'espansione della UE e della NATO.

E' semplicemente chiaro che la maggioranza del popolo macedone ha sentito il bisogno di ribellarsi al comportamento prepotente ed arrogante del proprio governo e dell'Occidente.

 

LA RIBELLIONE DEL POPOLO

E' ancor più degno di nota il fatto che il referendum non sia fallito solo tra gli slavi macedoni, come era previsto dai sondaggi, ma anche tra gli albanesi, che i sondaggi dichiaravano favorevoli all'88 per cento. Avrebbe dovuto essere chiaro che, se la minoranza albanese avesse dovuto spostare l'ago della bilancia, si sarebbe potuto ritornare alla situazione di guerra civile del 2001, quando i nazionalisti macedoni al governo condussero una violenta campagna contro gli insorti tra la popolazione albanese.

Ora un senso di unità popolare ha prevalso, dimostrando che la popolazione ha visto più lontano delle elite interne e occidentali, che hanno continuato e continuano a scherzare col fuoco, come hanno fatto in Ucraina nel 2014.

 

LA POPOLAZIONE E LE ELITE IN CONTRASTO DOPO IL REFERENDUM

Sfortunatamente, anche dopo la chiusura delle urne e l'evidenza sotto gli occhi di tutti del boicottaggio del referendum, Zaev lo ha dichiarato un successo e ha promesso che la Macedonia diventerà nonostante tutto un membro della UE e della NATO.

Incurante del sentimento nazionale e rappresentativo dell'arroganza della classe dirigente, il leader di uno dei maggiori partiti albanesi, l'Unione Democratica degli Albanesi (DUI), ha anch'egli dichiarato che il suo partito ha avuto il mandato di votare in Parlamento per l'entrata nella UE e nella NATO.

Sorprendentemente, elementi esterni come Tsipras e Hahan hanno incoraggiato Zaev a ignorare il fallimento del referendum, sostenendo che il risultato ha dimostrato il favore della maggioranza della popolazione per l'accordo di Prespa.

L'idea che il Parlamento debba approvare ancora l'operazione mostra quanto grande sia ormai la distanza tra le classi dirigenti e la popolazione.

Ciò apre la possibilità a un movimento di sinistra di emergere con una logica differente, che può incanalare lo scontento in direzione della cooperazione e solidarietà tra differenti gruppi nazionali e contro le classi dirigenti.

La posizione di LEVICA Macedonia sul referendum lo ha reso la più importante opportunità, e dovrebbe essere imprescindibile per la sinistra locale e per quella internazionale sostenerlo ed aiutarlo in questo frangente. Se questa formazione dovesse fallire, l'alternativa potrebbe essere il rinnovarsi della guerra civile.

 

LA SCONFITTA DELL'OCCIDENTE APRE UNA PIU' AMPIA GAMMA DI OPPORTUNITA'

Nelle foto sopra i manifestanti agitano bandiere di fronte al Parlamento di Skopje durante una protesta contro il nuovo nome del paese, Repubblica Macedone del Nord. Così la posta in gioco è alta ma non è alta solo per la Macedonia. Il sentimento che ha portato al boicottaggio in Macedonia riflette l'abisso che si è aperto tra le elite capitaliste e le masse popolari, e che sta diventando evidente in tutto il mondo nel declino della globalizzazione neoliberista.

A questo proposito, non è il primo referendum che la NATO e la UE perdono, e non è la prima volta in cui la popolazione si rivolta contro i partiti di maggioranza.

Dal boicottaggio in Slovacchia del referendum NATO nel 1997, passando al "no" della Francia e dell'Irlanda alla Costituzione Europea nel 2005, poi all' „OXI“ della Grecia contro la Troika nel 2015 e al voto per la Brexit in GB nel 2016, il voto macedone conferma un rifiuto di lunga data dei popoli nei confronti dell'ordine dominante in Europa dalla fine della guerra fredda.

Ma il risultato del referendum macedone arriva in un contesto di approfondirsi della crisi globale nel quale le elite occidentali, nonostante alcune divisioni sulle stratregie globali, tentano disperatamente di aumentare l'espansione della UE e della NATO e di presentarla come l'inevitabile proseguimento del cammino della democrazia liberale sotto il loro dominio.

I loro continui fallimenti degli ultimi tempi sono coronati dalla incapacità di costringere una piccola nazione dei Balcani ad andare nella direzione da loro voluta. Il che può mettere in questione la loro legittimità.

Quelle forze di sinistra che rifiutano di sostenere le istituzioni del vecchio ordine e che sono abbastanza coraggiose da progettare un mondo senza UE e senza NATO ne avranno vantaggio.

 

Da lefteast - Traduzione di Sonia S. per civg.it

 
 
=== 4 ===
 
 
L'adesione della Macedonia alla NATO è un errore con conseguenze
 
di Enrico Vigna, Forum Belgrado Italia/CIVG
 

Il rappresentante permanente della Russia presso l'UE Vladimir Chizhov in un'intervista al quotidiano Ekathimerini ha espresso la speranza che la soluzione della disputa sul nome tra Atene e Skopje possa contribuire alla stabilità, ma ha suggerito che la successiva adesione della Macedonia alla NATO sarebbe un "errore con conseguenze".

"Certo, non lanceremo bombe nucleari ... Come ho detto, ogni paese ha il diritto di prendere le proprie decisioni e commettere i propri errori. Eppure, ci sono degli errori... Ci sono degli errori che hanno delle conseguenze", ha detto, quando gli è stata chiesta la reazione della Russia alla possibile adesione della Macedonia alla NATO alla luce del recente accordo sul nome ufficiale del paese.

Ha anche commentato l'accordo stesso.

"A mio avviso, questo problema avrebbe dovuto essere risolto molto tempo fa, per permettere ai due paesi di avere relazioni di buon vicinato e cooperazione. Per quanto riguarda la sostanza [dell'accordo], vedremo come si svilupperà la situazione, poiché sappiamo che non è stato accolto con reazioni unanimi in entrambi i paesi ", ha detto Chizhov.
Ha aggiunto di non voler commentare i processi costituzionali relativi al cambiamento del nome del paese e ha espresso la speranza che la disputa sul nome possa essere risolta a livello bilaterale senza interferenze esterne.

"Anche se speriamo che questo accordo promuova la stabilità nei Balcani e la cooperazione tra i due stati, non dovrebbe essere visto come una scusa per una rapida adesione del paese vicino all'alleanza militare", ha sottolineato il diplomatico.
La Russia non si oppone all'allargamento dell'UE poiché ogni paese ha il diritto di prendere le proprie decisioni, ma ha una posizione leggermente diversa sulla NATO, ha aggiunto.
"L'allargamento della NATO è qualcosa di diverso. Fondamentalmente, si tratta di un tentativo di contrastare minacce e sfide del XXI secolo attraverso mezzi e automatismi del XX secolo ", ha concluso.

 

Il 17 giugno, Atene e Skopje hanno firmato un accordo su un nuovo nome dell'ex Repubblica jugoslava, accettando di rinominare il paese in “Repubblica della Macedonia del Nord” . Venerdì, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha annunciato che l'alleanza inviterà la Macedonia ad avviare colloqui per l'adesione durante l'imminente vertice della NATO a Bruxelles previsto per l'11-12 luglio, dato che la disputa sul nome, da tempo un punto critico nelle relazioni tra i due paesi,  sembra essere stata risolta.

La Macedonia ha ottenuto l'indipendenza dalla Jugoslavia nel 1991. Atene è stata in contrasto con il paese riguardo la sua denominazione, sostenendo che la Macedonia potrebbe avere rivendicazioni territoriali verso la stessa regione della Grecia con lo stesso nome. Nell'accordo bilaterale provvisorio del 1995, la Grecia ha convenuto che il termine FYROM (Former Yugoslavian Republic Of Macedonia, Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia) sarebbe stato attribuito alla Macedonia fino alla risoluzione della controversia.

 

Mercoledì scorso, il parlamento Macedone ha ratificato con la maggioranza dei voti il disegno di legge sull'accordo con la Grecia sulla ridenominazione del paese. Il progetto di legge verrà ora inviato al presidente Gjorge Ivanov, che ha già detto di non volerlo firmare. Se il presidente pone il veto sul progetto, il documento richiede una ratifica ripetuta con una maggioranza assoluta.
Il nuovo nome della Macedonia dovrebbe essere approvato dal pubblico con il referendum. Inoltre, i governi greco e macedone dovrebbero firmare un trattato bilaterale e si dovrebbero apportare modifiche alla costituzione macedone.

La risoluzione di una controversia durata anni tra i due paesi spiana la strada alla Macedonia per aderire alla NATO e all'Unione europea.

 

 


“Irresponsabile "- Un esperto macedone sul prossimo referendum.

 

“ Il fattore estero che ci parla quotidianamente dei valori europei è guidato esclusivamente dalle nostre stesse priorità ", scrive Vladimir Kofchegarski, presidente del Consiglio Commerciale Macedone della regione Asia-Pacifico per il portale MCD.
L'autore fa riferimento agli appelli dei leader della Macedonia, che considerano irresponsabile boicottare il referendum del 30 settembre sul nome del paese, e ricorda come le stesse forze politiche hanno boicottato il referendum sull'organizzazione territoriale nel 2004, chiedendo che i membri del partito rimanessero a casa .. Descrive questa situazione come un chiaro esempio di due pesi e due misure.

L'analista ritiene che il partito al governo voglia utilizzare il referendum come uno scontro tra le due maggiori forze politiche, il SDSM e il VMRO, classificando le persone come sostenitori dell'una o dell'altra parte, a seconda di come intendono votare nel referendum. Creando così la falsa impressione che non ci siano altre possibilità tranne queste due.
"Sembra che viviate ancora al tempo in cui c'erano solo VMI e SDSM senza una terza opzione. E posso far vedere questionari che dimostrano che negli ultimi 5-6 anni i partiti più grandi hanno avuto solo il 35-38% del supporto combinato, e sono scontenti del 38-41%. La gente aspetta da anni dei cambiamenti nel clima politico ", osserva Kofchegarski.

 

"Irresponsabilità - la dichiarazione del primo ministro Zoran Zayev poche settimane fa che il referendum sarà obbligatorio, dopo di che ha corretto – sarà consultivo! Irresponsabilità - firmare un accordo a nome del popolo, e solo dopo chiedere il consenso delle persone, invece di chiedere prima e poi farlo! Irresponsabilità - riunire tre argomenti diversi contemporaneamente in una sola formulazione. Ad esempio, io sono per l'UE, ma contro la NATO e contro l'accordo sul nome del paese. E come voto?! (Domanda: "Sei per l'UE e la NATO con l'applicazione del Trattato di Prespa?") Offri alle persone limoni, cedri e arance e chiedi che le persone votino come se fossero lo stesso frutto! Ma la gloria di madre natura - non è così! “

 

 "Irresponsabilità è quando un elemento straniero, presumibilmente "amico", parla quotidianamente dei valori europei, ma tace quando è necessario arginare la corruzione e il crimine. Un "amico" che ha solo le sue priorità e niente di più. Questo nostro "amico" è intervenuto esclusivamente in due episodi chiave: durante le elezioni e poi probabilmente abusando della Commissione Elettorale Statale e dell'Agenzia Anticorruzione, come se il resto del sistema fosse perfetto e pronto per l'UE - oops, chiedo scusa, per la NATO . E nel paralizzare questi due sistemi, ci hanno fatto capire che non ci sarebbero state campagne elettorali prima dell'adesione alla NATO. I veri amici dovrebbero condannare il nepotismo e la corruzione.”

 

Alla fine dell'articolo, l'autore sottolinea ancora una volta che il referendum sul nome della Macedonia in pratica porta all'adesione alla NATO e soddisfa gli interessi dei cosiddetti “amici”. "Amici" che vogliono bloccare la presunta "influenza Russa" nei Balcani.
"Alcuni dei sostenitori di questo gruppo ci esortano tutti i giorni e ci chiedono, se siamo contrari, di essere democratici e votare contro. Uso il mio diritto democratico di votare contro, ma voglio boicottare, in modo che la mia voce sia al riparo da questa specie di cucina democratica", scrive Kofchegarski.

 

La Macedonia sul filo del rasoio tra i timori di manipolazione nel prossimo voto di appartenenza alla UE e alla NATO

 

I macedoni andranno alle urne il mese prossimo per decidere se cambiare o meno il nome del loro paese in "Repubblica della Macedonia del Nord" in conformità con una domanda greca di vecchia data; si prevede che il cambio di nome possa rimuovere il principale ostacolo per la futura adesione di Skopje all'Unione Europea e alla NATO.
Un recente sondaggio condotto dal Centro Macedone per la Cooperazione Internazionale (MCIC) ha rilevato che una pluralità di macedoni sembra essere favorevole ad aderire ai blocchi economici e di sicurezza occidentali come contropartita al cambio di nome.
Alla domanda: "Sei favorevole all'adesione all'UE e alla NATO, accettando l'Accordo tra la Repubblica di Macedonia e la Repubblica di Grecia", il 41,5% degli intervistati ha dichiarato di essere a favore, con il 35,1% che si dice contrario, il 12,4% afferma che avrebbe boicottato il voto, il 9,2 per cento ha dichiarato di non avere ancora deciso e l'1,9 per cento ha rifiutato di rispondere.

 

Un totale del 66,4 per cento degli intervistati ha dichiarato che avrebbe votato, il 19,8 per cento che avrebbe boicottato il voto e l'11,9 per cento è ancora indeciso.
Aleksandar Mitevski, osservatore politico con base a Skopje,  afferma che i risultati di questo sondaggio dovrebbero essere presi con un bel po' di scetticismo, visto che il MCIS è una emanazione del Primo Ministro Zoran Zaev e della sua Unione Socialdemocratica di Macedonia, che ha spinto per l'ingresso del paese nelle istituzioni occidentali in cambio del cambio di nome.

 

"Il nostro governo ha recentemente commissionato un altro sondaggio sull'opinione pubblica che ha rilevato che quasi il 70 per cento dei macedoni si è oppone all'idea di aderire sia all'UE che alla NATO se ciò comportava il cambiamento del nome dello stato e ha a l'intenzione di boicottare il referendum" Mitevski ha detto a Sputnik Serbia.
Secondo lo scienziato politico, a Bitola, la seconda città più grande della Macedonia, solo il 22% degli intervistati pensava di votare al referendum, con il post su Facebook di Antonio Milososki, ex ministro degli esteri e politico dell'opposizione VMRO-DPME, che ha provocato dibattiti e attenzione dei media.

 

"[Il governo] ha nascosto per un mese i risultati di quell'indagine, e posso solo interpretare il sondaggio [MCIC] come l'intenzione di manipolare i risultati del referendum", ha avvertito Mitevski.
L'osservatore politico ha anche indicato altri recenti sondaggi che hanno mostrato un'affluenza prevista compresa tra il 28 e il 33%, cifre in contrasto con i dati del MCIC e ben al di sotto del 70% di affluenza richiesto per il riconoscimento ufficiale dei risultati del referendum.

 

Alla fine del mese scorso, il portale web macedone MKD ha pubblicato i risultati del proprio sondaggio, condotto da Market Vision, società di ricerche sull'opinione pubblica,  rilevando che il 47,9% degli intervistati sarebbe favorevole a rinominare il paese per aderire alle istituzioni occidentali, mentre il 52,1%  sarebbe contrario. Inoltre, analizzando i dati per gruppi etnici, il sondaggio ha rilevato che il 71,7 per cento dei votanti di etnia Macedone sarebbe contrario, con il 94,7 per cento dei votanti di etnia Albanese a favore. Si ritiene che l'etnia Albanese costituisca il 25% della popolazione della Macedonia secondo l'ultimo censimento del 2002.

 

Un altro sondaggio, organizzato dall'Organizzazione della Diaspora Macedone Unita, ha rilevato che circa il 90% degli intervistati era contrario alla modifica del nome.


Secondo Mitevski, solo il 14-15% dei Macedoni Albanesi e non più del 20% degli abitanti di etnia Macedone in realtà preferiscono cambiare il nome del paese. "In Macedonia, a parte i partiti della coalizione di governo, tra cui l'Unione Socialdemocratica e l'Unione Democratica per l'Integrazione [il più grande partito che rappresenta la minoranza albanese], non ci sono altre forze politiche che sostengono questo referendum. Queste due parti non saranno in grado di garantire il 70 percento di affluenza necessaria per il riconoscimento del referendum" ha affermato l'analista. "Questo", ha detto, "sarà possibile solo se falsificheranno i risultati del referendum nello stesso modo in cui hanno falsificato i risultati del sondaggio MCIC".

 

Da parte sua, l'ex ministro degli esteri macedone Denko Maleski ha dichiarato di sostenere il referendum, dichiarando a Sputnik Serbia che il voto è una "buona occasione" per spezzare un "circolo vizioso lungo il quale ci muoviamo da 30 anni, senza trovare un compromesso con la Grecia. "
"Oggi, c'è una situazione internazionale unica, che dovrebbe essere sfruttata, vista la volontà di entrambi i governi di sfuggire ai vincoli del nazionalismo. Per questo motivo, boicottare il referendum non è una buona idea ", ha affermato Maleski.

 

I macedoni andranno alle urne il 30 settembre. Macedonia e Grecia sono state coinvolte in una disputa riguardante il nome del paese balcanico da quando ha dichiarato l'indipendenza dalla Jugoslavia nel 1991, con Atene che afferma che il nome esistente implica rivendicazioni territoriali sulla Macedonia greca e che ha intenzione di bloccare l'accesso della Macedonia all'UE e alla NATO fino a quando non cambierà il suo nome.
A giugno Atene ha annunciato che è stato raggiunto un accordo con Skopje per rinominare il paese da "Repubblica di Macedonia" a "Repubblica della Macedonia del Nord". L'accordo prevede anche la rimozione dei riferimenti al "popolo macedone" nella Costituzione della Macedonia e la rimozione del “Sole Vergina”, che è apparso sulla bandiera del paese prima del 1995, derivato da simboli di stato.
Il parlamento macedone ha ratificato l'accordo il mese scorso, con il governo di coalizione al potere che annuncia il referendum. Il VMRO-DPMNE, il principale partito di opposizione della Macedonia, ha minacciato di boicottare il referendum e ritiene che l'accordo del governo con Atene sia "proditorio e frutto di tradimento".

 

 

Stoltenberg: la porta della NATO è aperta alla Macedonia

 

Il primo ministro Macedone Zoran Zaev ha commentato il futuro del suo paese come membro della NATO durante una conferenza stampa a fianco del segretario generale della NATO Jens Stoltenberg a Bruxelles venerdì scorso.
SOT, Zoran Zaev, Primo Ministro della Macedonia (macedone): "Passo dopo passo, in un solo anno il Paese ha realizzato ciò che nessuno avrebbe potuto prevedere. Il nostro approccio che ha riunito una forte volontà politica, un dialogo onesto e la ricerca di soluzioni, ci ha recentemente portato notizie e decisioni felici. Molte cose rimangono da fare, ma ora sulla nostra strada abbiamo davvero qualcosa intorno cui unirci e dire, insieme, sì al nostro futuro, sì al futuro della Macedonia, vogliamo essere forti per noi, per il nostro paese e per il futuro delle nostre prossime generazioni . Diciamo di sì alla nostra alleanza con gli Stati membri della NATO".

 

SOT, Zoran Zaev, Primo Ministro della Macedonia (Macedone): "Sono contento di aver visto qui la nostra collocazione, il nostro posto qui è pronto, abbiamo visto il nostro posto sul muro su cui ci sono tutti gli Stati membri, il luogo della Macedonia è lì, abbiamo visto il posto dove la nostra bandiera dovrà essere issata".

 

Traduzione di Giorgio F. per CIVG

Fonti: Sputnik MK, News Front, Euractiv

 

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Operazione Foibe continua...
 
1) Trieste 8/1: Presentazione del nuovo libro di Claudia Cernigoi "Operazione Plutone. Le inchieste sulle foibe triestine"
2) Alessandro Pascale: Le foibe e il 10 febbraio, "giorno del ricordo"
 
 
Segnaliamo che nel 2018 è stato pubblicato sul sito diecifebbraio.info un nuovo aggiornamento dell'Elenco dei premiati per il "Giorno del ricordo". Sono state trovate informazioni per ulteriori 9 nomi passando, rispetto al precedente elenco del 2017, da 345 a 354 riconoscimenti:
http://www.diecifebbraio.info/elenco-dei-premiati-per-il-giorno-del-ricordo/
 
 
=== 1 ===
 
Trieste, martedì 8 gennaio 2019 
alle ore 17:30 presso il Circolo della Stampa di Trieste, Corso Italia
 
Presentazione del libro di Claudia Cernigoi
 
Operazione Plutone. Le inchieste sulle foibe triestine
 
Udine: Edizioni Kappa Vu, 2018

Introduce Pierluigi Sabatti, presidente del Circolo della Stampa, presentazione dell'avvocato Alessandro Giadrossi.
 
Una delle tante mistificazioni diffuse in materia di “foibe” è quella che contro gli “infoibatori” non furono mai celebrati i processi. 
In realtà all’epoca del Governo Militare Alleato (GMA), e nello specifico tra il 1946 ed il 1949, a Trieste furono celebrati una settantina di processi per questi reati, conclusisi a volte con assoluzioni od amnistie, altre volte con condanne anche pesanti.
È proprio perché su queste vicende si è parlato e si continua a parlare citando acriticamente (e spesso anche in modo distorto) documenti che in realtà non sono basati su fatti ma solo su illazioni od opinioni, che l’Autrice ha sentito la necessità di fare una disamina delle relazioni sui recuperi dalle foibe triestine e delle vicende giudiziarie che ne sono seguite, in modo da presentare una visione il più possibile esaustiva di queste tematiche. 
Nella prima parte del testo, dopo l’analisi dell’attività di recupero delle salme e delle indagini condotte quasi tutte dall’ispettore Umberto De Giorgi, vengono approfonditi gli iter processuali relativi alle esecuzioni sommarie avvenute presso le foibe di Gropada e di Padriciano e la foiba di Rupinpiccolo, evidenziando come non sempre le risultanze giudiziarie siano coerenti con quanto appare in altra documentazione. 
La seconda parte è invece dedicata allo studio dei fatti che culminarono negli “infoibamenti” dell’abisso Plutone, presso Basovizza: l’Autrice ha analizzato assieme ad uno dei protagonisti, Nerino Gobbo, i documenti giudiziari e le varie testimonianze, contestualizzandoli nel periodo storico in cui si svolsero, in modo da dare una descrizione ancora inedita di quanto accade nel periodo cosiddetto dei “40 giorni” di amministrazione jugoslava di Trieste.
 
 
 
=== 2 ===
 
 
www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 10-02-18 - n. 661

Le foibe e il 10 febbraio, "giorno del ricordo"

Alessandro Pascale

10/02/2018

Nel 2004 con la Legge n° 92/2004, la Repubblica Italiana ha istituito il "Giorno del Ricordo", per omaggiare "la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale". Da diversi anni tale ricorrenza è utilizzata per commemorare il fantomatico "eccidio di Italiani" che sarebbe avvenuto durante la Resistenza ad opera dei partigiani "slavo-comunisti" nella Venezia Giulia. Gente che sarebbe stata gettata ancora viva in cavità carsiche (le foibe appunto) dove sarebbe stata lasciata morire tra enormi atrocità per il solo fatto di essere italiana. In queste foibe sarebbero state gettate migliaia, decine (e qualcuno arriva pure a dire centinaia) di migliaia di persone. Nel 2002 l'allora Presidente della Repubblica Ciampi disse che le foibe furono una "pulizia etnica". Galliano Fogar, storico dell'Istituto Regionale friulano per la Storia del Movimento di liberazione, ha affermato che nessuno storico serio "osa sostenere tale tesi". Vediamo di ricostruire in maniera completa i fatti storici che si intrecciano alle vicende di un'area, quella dei Balcani, che per secoli è stata un crogiuolo di etnie, popoli, lingue e religioni assai diversificati, ma viventi in relativa tolleranza e tranquillità.

1) 1918-1940 - Le premesse

Nel 1918 la vittoria dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale rinfocola in alcune frange del Paese idee e velleità imperialiste e irredentiste, sempre ampiamente finanziate e sostenute da settori della Confindustria e dell'Alta Finanza. Ricordiamo a tal riguardo i finanziamenti provati all'Associazione Nazionalista Italiana fondata nel 1910, responsabile culturale primaria dell'interventismo italiano prima in Libia poi contro l'Austria-Ungheria, e il parallelo finanziamento dei progetti politici di Mussolini. In questo clima si assiste anche all'episodio di Fiume, con cui D'Annunzio ha occupato la città con mille uomini per un anno godendo di protezioni politiche ed economiche. Nel 1920 viene siglato il Trattato di Rapallo, con cui l'Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni stabiliscono consensualmente i confini dei due Regni e le rispettive sovranità: l'Italia non otteneva la Dalmazia (come da accordi del Patto di Londra, 1915), bensì solo Zara e alcune isole, oltre chiaramente all'Istria, Trieste, Gorizia e Gradisca. In tutto si trattava di 356 mila sudditi "italiani" nuovi. Ne erano esclusi 15 mila, ancora interni alle frontiere slave, ma compensati da 500 mila sloveno-croati ora cittadini italiani.

È immediato il tentativo di violenta assimilazione culturale: nel 1919 vengono chiuse 45 scuole croate su 49. Il razzismo del fascismo si manifesta la prima volta, quasi vent'anni prima delle leggi contro gli ebrei, nel '20 a Pola con le parole di Mussolini: «Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone». Con la Legge Gentile del 1923 vengono chiuse in generale tutte le scuole non italiane presenti nel Paese. 500 scuole elementari slovene-croate sono strasformate in scuole dove si parla solo nella lingua di Dante e Manzoni. Poi iniziano le violenze squadriste, che partono nel 1919 con intensità crescente fino al 1922: nel 1920 viene incendiato il Narodni Dom, la sede delle organizzazioni degli sloveni triestini, un edificio polifunzionale nel centro di Trieste, nel quale si trovavano anche un teatro, una cassa di risparmio, un caffè e un albergo. Capitano episodi come questo: 21 fascisti sparano a bambini da un treno, facendo 2 morti e 5 feriti. In un susseguirsi di violenze oltre 1000 circoli culturali, sportivi e assistenziali sloveno-croati sono chiusi, i loro beni e le sedi confiscate e date ad organizzazioni fasciste.

Con il rafforzamento istituzionale al potere del fascismo si intensifica l'italianizzazione forzata della regione, in ossequio ai principi nazionalisti propagandati da Mussolini: si assiste all'allontanamento o al trasferimento di dipendenti pubblici non italiani, all'italianizzazione di toponimi, nomi e cognomi stranieri. Inizia a questo punto la Resistenza della minoranza oppressa anche culturalmente e umanamente oltre che socialmente e politicamente. Nascono organizzazioni come TIGR e BORBA che adottano forme di lotta armata come risposta alla violenza subita. La repressione è spietata: tra il 1927 e il 1943 vengono svolti 544 processi a sloveno-croati, dando luogo a 476 condanne, 33 delle quale alla pena di morte.

2) 1941-1943 – L'aggressione militare italiana

Durante la guerra la repressione aumenta di intensità: a Trieste e nei territori italiani viene accentuata la repressione antislava e anticomunista con l'istituzione di diversi organismi, tra cui l'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza, la Polizia Economica, la Guardia Civica, la Milizia di Difesa Territoriale, la Guardia di Finanza e la Decima Mas. Un esempio di repressione è la Strage di Lipa, sulla strada tra Fiume e Trieste, avvenuta il 30 aprile 1944: in rappresaglia ad un attacco partigiano che ha ucciso 4 soldati tedeschi le truppe nazifasciste radunano gli abitanti sparsi nelle vicinanze, li stipano in un casolare e li bruciano vivi. Gettano poi bombe a mano per distruggere completamente la casa e rendere impossibile un riconoscimento delle vittime. I morti sono 269, fra cui donne e bambini (tre bambine non avevano neanche un anno).

Nell'aprile 1941 forze italo-tedesche invadono il Regno di Jugoslavia che viene sottomesso in un paio di settimane. Tra le ragioni della partecipazione italiana è da segnalare che nel periodo dal 1925 al 1934 si è sviluppata un'ampia propaganda a sostegno del mito della "vittoria mutilata", in riferimento al mancato rispetto del Patto di Londra nell'ambito dei trattati di Pace della Prima Guerra Mondiale. Il tema è ampiamento ripreso dal fascismo che amplifica la politica nazionalistica e imperialista del regime. Ne segue da parte dei Servizi Segreti italiani in questo periodo il finanziamento a gruppi terroristici nazionalistici macedoni, kosovari e gli Ustascia croati. L'obiettivo è esasperare e rendere impossibile la convivenza etnica così da favorire in seguito all'annessione militare lo smembramento del Paese: in questi anni si diffonde anche culturalmente sulle riviste italiane l'idea di una "grande Croazia" e di una parallela "grande Albania", strutturati su sistemi fascisti simili a quello italiano. In tale ottica all'Italia sarebbero andati l'egemonia sulla Serbia e sulla Slovenia.

Con la sconfitta jugoslava del 1941, il ruolo militare giocato dai Tedeschi fa si che siano loro a decidere nei fatti la spartizione territoriale. All'Italia si accorda il controllo diretto del Montenegro, della Dalmazia, della Slovenia meridionale e del Kosovo. In Croazia viene favorita la nascita dello Stato collaborazionista degli Ustascia fascisti di Ante Pavelic. Tale regime ottiene l'appoggio politico del Vaticano e del clero locale, nonostante su una popolazione di 6 milioni di persone solo il 50% sia cattolica. Seguono anni di violenze, stragi e persecuzioni da parte dei croati contro le etnie rom, i serbi e gli ebrei. Si può parlare di un vero e proprio sterminio etnico. Nel solo lager di Jasenovac muoiono 100 mila persone. Una parte di questi lager sono situati nelle zone di occupazione italiane, a Pag e Jadovno, nella connivenza totale delle autorità politiche e militari italiani. L'arcivescovo di Zagabria, Stepinac, legittimò questa pulizia etnica sostenendo il regime reazionario clerico-fascista di Pavelic, e dichiarando che tutto ciò fosse in nome di Dio. La chiesa cattolica ebbe così un ruolo di primo piano nell'Olocausto balcanico giustificandolo come una conversione di massa degli infedeli (serbo-ortodossi). Il frutto di questo regime criminale sostenuto dal Governo Italiano è di 240 mila persone obbligate a convertirsi al cattolicesimo, di 300 mila esuli in fuga dal Paese e di oltre 500 mila serbi uccisi, da aggiungersi ai 25 mila ebrei e a 20 mila rom. Di questi fatti è data perfino notizia sulla stampa italiana, sulla quale però compare anche il sostegno esplicito e consapevole dei fascisti italiani. Molte sono le testimonianze degli stessi soldati italiani presenti alle esecuzioni degli Ustascia. Citiamo quella del generale Ponticelli, in una intervista rilasciata al giornale "Il Tempo": "...quattro lustri di odio sono esplosi in un massacro che in un breve lasso di tempo ha avuto quale risultato lo sterminio di 350 mila serbi e decine di migliaia di altri... Tutti furono uccisi con torture inimmaginabili... Tutto può essere facilmente accertato e apparire in tutte le sue atrocità... Gli orrori che gli ustascia hanno commesso sulle ragazze serbe superano ogni idea... Centinaia di fotografie confermano i misfatti subiti dai pochi sopravvissuti: colpi di baionetta, lingue e denti strappati, occhi estirpati, seni tagliati, tutto ciò accadeva dopo che esse erano state violentate...".

In questo contesto nasce e si sviluppa la Resistenza Partigiana guidata dal Partito Comunista, il cui leader è Josip Broz, detto Tito. Questi propone a chi lo segue di ricostruire il Paese jugoslavo con l'unità delle varie etnie presenti ma rinnovando profondamente la società, con l'abbattimento dei rapporti di produzione capitalistici e l'instaurazione di un regime socialista. È contro i partigiani titini che si svolgono a questo punto le manovre militari italiane. Viene intensificata l'occupazione e la militarizzazione del territorio e si risponde alla rivolta slavo-comunista con la repressione selvaggia. Si prendono perfino accordi con un altro gruppo partigiano, quello di "destra" dei cetnici, nazionalisti monarchici guidati da Mihailovic (la cui organizzazione prenderà il nome di MVAC dal '42, arrivando a contare circa 100 mila unità). Questi preferiscono rivolgere le armi contro i partigiani comunisti piuttosto che contro gli occupanti stranieri. Gli italiani giocano così con successo la tattica del "Divide et Impera". Il generale italiano Roatta a tal riguardo ha detto chiaramente: "si sgozzino tra di loro". Nella repressione del movimento partigiano si distinguono per ferocia anche gli Ustascia croati: per ogni caduto dell'Asse vengono giustiziati 10 prigionieri comunisti.

Dall'altra parte i titini ricevono direttive ben precise: non bisogna scatenare punizioni collettive contro i prigionieri di guerra ottenuti: i soldati semplici catturati vanno cooptati nelle proprie fila, vanno tenuti ostaggi o se la situazione non lo consente vanno rilasciati. Diversa sorte invece per gli ufficiali militari e i riconosciuti fascisti, ustascia e nazisti, che vengono giustiziati. Facile capire il perché: le maggiori violenze italiane sono messe in atto da squadre e truppe speciali fedeli direttamente al Partito Nazionale Fascista. Sono insomma le truppe più fanatiche ed esaltate di odio razzista e anticomunista. Al comando dei generali Robotti e Roatta sono in tutto più di 300 mila i soldati italiani nella regione. A loro viene ordinato di mettere in atto quello che è un vero e proprio regime di "terrore" contro le popolazioni civili. Le pratiche usate sono rappresaglie, deportazioni, confische, cattura di ostaggi, fucilazioni. In un discorso rivolto ai soldati della Seconda Armata in Dalmazia, nel 1943, Mussolini afferma: "So che a casa vostra siete dei buoni padri di famiglia, ma qui voi non sarete mai abbastanza ladri, assassini e stupratori." Si segue la tattica della terra bruciata, tanto che gli italiani vengono chiamati dalla popolazione locale con epiteti che significano "bruciacase" e "mangiagalline". I partigiani catturati sono sempre fucilati. Spesso basta il semplice sospetto di essere legati ai partigiani per perdere la vita. Il tutto vale anche per le donne. In almeno un caso è attestato che sia stata fucilata anche una donna incinta. La guerra viene condotta dall'Italia con uno stile che in passato era stato riservato solo alle popolazioni coloniali africane. Gli alleati Tedeschi fanno lo stesso e applicano la regola per cui ogni morto tedesco meriti la fucilazione di 100 slavi. L'Italia, per ordine del generale Biroli, ritiene che un soldato semplice valga 10 slavi, ma se si tratta di un ufficiale allora si debba rispondere con 50 esecuzioni. Mussolini propone di procedere alla nuova equazione per cui ad ogni semplice ferito seguano 2 fucilati, alzando la quota a 20 slavi per ogni soldato italiano morto. 100 mila slavi sono deportati in 50 campi di concentramento presenti nell'Italia centro-meridionale, in 10 campi dell'Italia settentrionale, e nei campi costruiti sul luogo, come Gonars e Arbe. In quest'ultimo su 10 mila internati sono 2 mila i morti.

Durante questi anni di repressione e di occupazione il partito comunista serbo si organizza e già nel 1941 arriva a contare su 80 mila partigiani. La parola d'ordine lanciata dai partigiani jugoslavi è "Smrt fazismu - Slaboda narodu" (Morte al fascismo - Libertà al popolo). Al termine della guerra l'esercito partigiano guidato da Tito è il più grande in tutta l'Europa occupata, arrivando a contare circa 800 mila uomini, trasformandosi nella fase finale della guerra in un vero e proprio esercito regolare capace di liberare autonomamente il Paese dal nazifascismo senza alcun contributo militare esterno, con il solo aiuto di due formazioni partigiane formate dagli ex militari italiani: la Divisione Garibaldi e la Divisione Italia. La prima opera in Montenegro e raduna circa 16 mila combattenti. In tutto saranno 7000 gli italiani morti combattendo tra le fila partigiane di Tito, andando a riscattare almeno in parte il nostro popolo che aveva portato il flagello del fascismo e della guerra.

3) 1943-45 Le foibe

Occorre certamente avere presente tutta questa storia pregressa per capire il fenomeno delle "foibe", il quale comunque va spiegato nel dettaglio. I momenti messi in discussione sono due:

a) il primo riguarda il periodo successivo all'8 settembre 1943, data in cui il generale Badoglio, che ha preso il potere d'accordo con la monarchia e i fascisti destituendo Mussolini, annuncia l'armistizio e l'uscita dell'Italia dalla guerra. Nell'anarchia che colpisce l'esercito privo di direttive chiare, la nostra penisola viene invasa dai tedeschi e nella zona dell'Istria si crea un vuoto di potere di cui approfittano i partigiani, che riescono a liberare temporaneamente le principali città esercitando un mese di potere popolare. La rabbia popolare e la denuncia dei crimini di guerra dei nazifascisti porta a realizzare centinaia di processi popolari che portano a 500 condanne a morte eseguite. Di questi solo un centinaio sono "civili", incriminati per la loro attività di collaborazionismo con le istituzioni nazifasciste. La stragrande maggioranza sono giustiziati per fucilazione, e solo una piccola parte dei cadaveri viene poi gettata nelle foibe, per ragioni di disorganizzazione, di fretta e di igiene (prevenire epidemie). Queste grotte d'altronde sono state spesso usate come "cimiteri", specie in tempo di guerra, tant'è che le avevano usate anche nella Prima Guerra Mondiale e gli stessi fascisti italiani negli anni precedenti. Inammissibile che per l'episodio in questione si possa parlare di "pulizia etnica". Si può segnalare a tal riguardo come l'8 gennaio 1949 un giornale locale di destra come "Trieste Sera" fosse costretto ad ammettere: "se consideriamo che l'Istria era abitata da circa 500mila persone, delle quali oltre la metà di lingua italiana, i circa 500 uccisi ed infoibati non possono costituire un atto anti-italiano ma un atto prettamente anti-fascista. Se i partigiani rimasti padroni della situazione per oltre un mese avessero voluto uccidere chi era semplicemente "italiano", in quel mese avrebbero potuto massacrare decine di migliaia di persone". Chi commette un vero ed efferato sterminio sono le SS assieme ai repubblichini di Salò quando nell'inverno del '43 riprendono il controllo della penisola istriana e massacrano 13mila persone. La maggioranza dei cadaveri (questi sì) viene gettata nelle foibe.

b) il secondo caso riguarda 40 giorni di potere partigiano nel maggio del 1945. In quel periodo scompaiono tra le 2000-3000 persone. Si tratta sempre di uomini e donne processati per la loro conclamata corresponsabilità in crimini di guerra e in atti di collaborazionismo con il nemico oppressore ora sconfitto. I processi politici sono svolti spesso in maniera sommaria e contro le indicazioni venute dal centro politico della direzione partigiana titina. Ad essi seguono fucilazioni, arresti e deportazioni in campi di prigionia. Pochi sono i cadaveri dei giustiziati che sono finiti nelle foibe. Le stime complessive parlano di 500 persone in tutto tra il '43 e il '45. È del tutto falso che fosse pratica usuale quella di giustiziare direttamente i condannati sull'orlo della foiba. Storiche locali come Claudia Cernigoi e Alessandra Kersevan parlano di un ordine di grandezza di alcune decine di infoibati collegati per lo più alle forze fasciste e di occupazione. Sulle famigerate foibe in cui si sostiene siano state gettate migliaia di italiani, le loro ricerche evidenziano che: nella foiba di Basovizza (che non è nemmeno una foiba ma il pozzo di una miniera), quando si è scavato alla ricerca di corpi, si sono trovati i resti di alcuni militari tedeschi risalenti alla prima guerra mondiale e qualche carcassa di animale; nella foiba di Opicina (Monrupino) si trovarono solo alcuni corpi di soldati morti in battaglia gettati lì per evitare che le carcasse diffondessero epidemie; nella foiba di Fianona non si è mai trovato nulla e nella zona nessuno ha mai sentito parlare di corpi ivi gettati. Infine, si è pure parlato delle foibe di Fiume…c'è solo un piccolo problema: a Fiume non ci sono foibe! L'unica foiba in cui si rinvennero i cadaveri di 18 fucilati è l'abisso Plutone. Si tratta in questo caso di prigionieri fascisti che vennero fucilati dalla cosiddetta banda Steffè, una banda composta in realtà da militari della X MAS che commettevano crimini facendosi passare per partigiani al fine di screditare questi ultimi agli occhi della popolazione.

Al di là del fenomeno contestato delle foibe occorre ribadire il bilancio bellico finale nella regione jugoslava, che ha visto morire 15 mila italiani a fronte di un milione di slavi.

4) 1945-50s – L'esodo

Con il Trattato di Pace di Parigi siglato il 10 febbraio 1947 la gran parte dell'Istria viene assegnata alla Jugoslavia, grazie ad accordi che verranno stabilizzati definitivamente solo con il Trattato di Osimo del 1975. A questo punto entra in gioco il tema dell'esodo, ossia della cosiddetta "cacciata" degli italiani dalle terre entrate a far parte della Jugoslavia. In realtà non c'è mai stata nessuna cacciata né tantomeno una persecuzione degli italiani in quanto tali. La presenza italiana in Istria e Dalmazia è rimasta viva ed attiva da allora fino ad oggi: sotto la Jugoslavia ha goduto sempre di tutele (scuole, istituzioni culturali, bilinguismo ecc) ed ancora oggi, nonostante il nazionalismo croato abbia ripreso vigore, è rispettata. A parte chi si macchiò di gravi colpe, nessuno fu costretto a lasciare la propria casa. L'esodo fu un'iniziativa volontaria, spalmatasi nell'arco di un decennio, della maggioranza della popolazione italiana presente in Istria e Dalmazia. Tra le 200 e le 250 mila persone emigrarono dalla regione, la gran parte verso l'Italia ma anche verso altri Paesi (Canada, USA, Australia). Occorre ricordare che agli abitanti delle zone divenute jugoslave venne data la possibilità di decidere quale cittadinanza scegliere, tant'è che in questo flusso migratorio si infilarono anche 30 mila croati e 10 mila sloveni, che non gradivano l'idea di vivere in uno Stato socialista. Questa in effetti è stata la principale motivazione per cui anche migliaia di italiani, in molti casi insediatisi sul territorio in epoca fascista, decisero di rientrare in Italia per il timore di essere identificati come ex fascisti e perdere il posto di lavoro; contano anche le pressioni del Governo italiano e del CLN di Fiume e Pola, controllati dalle forze partigiane più moderate e nazionaliste. L'assenza di una politica esplicitamente discriminatoria nei confronti degli italiani è confermata indirettamente dal fatto che 2500 operai italiani della "Cantieri riuniti" nell'arco del biennio '46-'48 decidono di trasferirsi a Fiume e Pola per lavorare al servizio del nuovo Stato socialista.

5) Il revisionismo storico

Dato che questi sono i fatti accertati storicamente, perché e come si è arrivati ad istituire il 10 febbraio "giornata del Ricordo"? Per 50 anni in effetti la retorica delle decine di migliaia di italiani "infoibati" e di altre centinaia di migliaia "in fuga" ha fatto parte solo della propaganda neofascista, mentre né lo Stato Italiano né le principali forze politiche italiane (ma neanche gli storici seri) hanno mai posto con forza la questione. Ciò è dipeso da svariati fattori, non ultime le ragioni della Guerra Fredda che vedeva la Jugoslavia un Paese sì socialista ma "amico" dell'Occidente, risultando così sconveniente polemizzare su tali fatti, sapendo peraltro quanto sarebbe stato facile agli jugoslavi rinfacciare i disastri compiuti dall'aggressione fascista, mostrando il reale rapporto di causa e conseguenza. Questi temi trovano nuovo spazio all'inizio degli anni '90, in un nuovo contesto storico che ha visto il crollo dell'URSS e della Jugoslavia socialista, ma anche del forte e radicato PCI. Nel 1994 va al Governo in Italia Silvio Berlusconi, alla guida di un'alleanza politica di centro-destra comprendente per la prima volta nella storia repubblicana forze politiche di origine fascista (Alleanza Nazionale, ex-MSI, il partito nostalgico del fascismo durante la Prima Repubblica). In questo periodo inizia anche in Italia l'accostamento tra fascismo e comunismo nell'ambito degli opposti totalitarismi criminali e in tale ottica risulta utile riprendere anche il tema delle foibe, su spinta della destra italiana, che appoggia e sostiene pubblicamente una serie di storici e di "testimoni" di simpatie e trascorsi fascisti, che pubblicano una serie di lavori su cui è stata espressa una dubbia metodologia scientifica.[1]

Anche le forze di centro-sinistra, in buona misura ex-comuniste, appoggiano e sostengono tali processi di revisionismo, per mostrare di aver tagliato i ponti con le ideologie passate e per legittimarsi pienamente al Governo dopo 50 anni di "fattore K" (ostruzione dei comunisti dal Governo per le ragioni della Guerra Fredda). Hanno poi una grande responsabilità i presidenti della Repubblica Ciampi e Napolitano, che inseriscono il "giorno del ricordo" in un progetto complessivo in cui rientra anche la ripresa delle celebrazioni in pompa del 4 novembre, "festa delle forze armate e dell'unità nazionale" tesa a celebrare la vittoria della Prima Guerra Mondiale, un massacro di contadini e lavoratori definito "inutile strage" perfino da Papa Benedetto XV. È un progetto teso a ricostruire un'identità nazional-patriottica agli italiani che recupera temi irredentisti e militareschi, legittimando al contempo le forze politiche che per anni li avevano portati avanti e che anche per questo erano state considerate una minaccia per la democrazia. È il periodo in cui il Presidente del Consiglio Berlusconi nel 2003 afferma testualmente che "Mussolini non ha mai ammazzato nessuno, Mussolini mandava la gente a fare vacanza al confino", dichiarazioni che andavano a gettare ulteriore discredito sul valore della Resistenza Partigiana Antifascista, base costitutiva della Repubblica Italiana. I discorsi parlamentari del Presidente della Repubblica Napolitano hanno peraltro provocato anche gravi tensioni diplomatiche con i Governi della Croazia e della Slovenia, i quali hanno protestato vigorosamente per la nuova narrazione storica proveniente dall'Italia, improntata al recupero di minacciosi argomenti imperialisti e razzisti. Argomenti diffusi non solo con discorsi e libri ma anche nel senso comune: per diffondere la nuova narrazione delle foibe è stato messo in atto "un progetto integrato piuttosto articolato e complesso" (Tenca-Montini), che ha previsto ampi finanziamenti pubblici alle associazioni dei reduci e un'attenzione particolare alle potenzialità della televisione, principale strumento di informazione. Il risultato più evidente di questo processo di propaganda è stata la fiction televisiva della RAI "Il cuore nel pozzo", improntata ad un bieco razzismo anti-slavo e anti-partigiano. Si è giocato poi negli anni sull'equiparazione tra Shoah e Foibe e si è riusciti con ampie pressioni mediatiche e politiche organizzate dalle forze di centro-destra a far intitolare vie, monumenti e parchi ai "martiri delle foibe", pur non senza ampie resistenze politiche provenienti da alcune forze politiche di sinistra oltre che dai settori dell'ANPI e degli intellettuali.

6) Una lotta storiografico-politica ancora in corso

Tutte queste sono le ragioni principali per cui negli ultimi anni è stato istituito il "Giorno del Ricordo" e si è messa in atto una riscrittura della Storia alla quale si sono opposti gli storici italiani di livello internazionale, oltre alle organizzazioni politiche rimaste coerentemente antifasciste. Ad oggi il numero totale dei "martiri italiani" alla cui memoria sono stati attribuiti i riconoscimenti pubblici e finanziari previsti dalla Legge n° 92 del 2004, è di appena 323, di cui "infoibati" in senso stretto una minima frazione, mentre la gran parte di queste figure sono appartenenti alle forze armate o personale politico dell'Italia fascista, senza contare gli episodi che non hanno niente a che fare con la narrazione ufficiale delle "più complesse vicende del confine orientale" cui si riferisce la Legge. Tutto ciò considerato, il 2 aprile 2015 la stessa Segreteria Nazionale dell'ANPI ha chiesto di interrompere quantomeno l'attribuzione di onorificenze e medaglie della Repubblica, mentre nel 2017 numerose personalità antifasciste in una Lettera Aperta al MIUR hanno invocato un drastico cambiamento di rotta rispetto alla modalità revisionista e rovescista con cui l'argomento è trattato nelle scuole. Si è arrivati all'assurdo per cui un partito neofascista come Casapound abbia attaccato l'ANPI accusandola di "revisionismo storico" (!) e di "negazionismo", incriminazioni che sono mosse a chiunque intenda mettere in dubbio pubblicamente la versione dominante decisa politicamente, in una riscrittura della Storia di stampo orwelliano. In questo stesso giorno, 10 febbraio 2018, si svolge invece a Torino tra le polemiche un contrastato convegno (organizzato tra gli altri dalla illustre rivista di storia critica Historia Magistra), che si intitola "GIORNO DEL RICORDO, UN BILANCIO", con l'obiettivo di investigare "le ricadute dell'inserimento del Giorno del Ricordo nel calendario civile della Repubblica, che appaiono molto pesanti a livello politico, culturale e di autopercezione identitaria della Nazione, nonché a livello didattico-scientifico e financo per le casse dello Stato." La lotta insomma, sia a livello storiografico che politico, è su questo tema tuttora in corso e non è detto che tutti gli studenti futuri abbiano professori che decidano di far loro una lezione su questi argomenti con un simile livello di approfondimento. La scuola è uno degli ultimi baluardi per reagire a questa offensiva culturale semi-totalitaria.

Tutto ciò non deve comunque impedire il ricordo di quei pochi italiani innocenti e inconsapevoli che possano essere incappati in persecuzioni per errore, per vendette personali o per l'associazione italiano=fascista fatta da settori minoritari dei popoli slavi, in ogni caso mai legittimati formalmente dal governo jugoslavo. Serve però a ricordare la responsabilità primaria imputabile al nazifascismo degli orrori che hanno colpito in primo luogo i popoli slavi e in in misura quantitativa assai minore anche quegli italiani che si sono fidati malamente delle promesse di Mussolini.

Fonti

- Eric Gobetti, "Alleati del nemico. L'occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943), Laterza, Roma-Bari 2013;
- Claudia Cernigoi, "Operazione foibe a Trieste. Come si crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo", Kappa Vu, Udine 1997;
- Federico Tenca Montini, "Fenomenologia di un martirologio mediatico. Le foibe nella rappresentazione pubblica dagli anni Novanta ad oggi", Kappa Vu, Udine 2014;
- i materiali presenti sul sito http://www.diecifebbraio.info/;
- le pagine Wikipedia "I massacri delle foibe" (https://it.wikipedia.org/wiki/Massacri_delle_foibe), "Giorno del Ricordo" (https://it.wikipedia.org/wiki/Giorno_del_ricordo), "Invasione della Jugoslavia" (https://it.wikipedia.org/wiki/Invasione_della_Jugoslavia) e "Occupazione italiana del Montenegro e del Sangiaccato"; (https://it.wikipedia.org/wiki/Occupazione_italiana_del_Montenegro_e_del_Sangiaccato)
- Lorenzo Filipaz, "#Foibe o #Esodo? «Frequently Asked Questions» per il #GiornodelRicordo", 2015, disponibile su https://www.wumingfoundation.com/giap/2015/02/foibe-o-esodo-frequently-asked-questions-per-il-giornodelricordo/;
- Piero Purini, "Come si manipola la storia attraverso le immagini: il #GiornodelRicordo e i falsi fotografici sulle #foibe", 2015, disponibile su https://www.wumingfoundation.com/giap/2015/03/come-si-manipola-la-storia-attraverso-le-immagini-il-giornodelricordo-e-i-falsi-fotografici-sulle-foibe/;
- Video "Le foibe. Per non dimenticare" (disponibile su youtube al link https://www.youtube.com/watch?v=h_n_afXJOkU) come esempio di video di propaganda fazioso e mistificatorio.

Note:

[1] Per capire la colossale montatura nascosta dietro alla favola delle foibe basta sapere chi sono gli "eminentissimi" storici che sono stati fonte di questa propaganda. Nell'ordine: Luigi Papo, noto fascista sotto il regime e a capo della Milizia Montona, responsabile di eccidi e di rastrellamenti partigiani, considerato dalla Jugoslavia un criminale di guerra di cui chiese l'estradizione (senza ottenerla, il che vale anche per molti altri casi); Padre Flaminio Rocchi, fascista esponente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia; Maria Pasquinelli collaboratrice della X MAS e dei servizi segreti della RSI; Marco Pirina, incriminato per il tentativo di golpe Borghese del 1970; Giorgio Rustia, militante di Forza Nuova; Ugo Fabbri associato al MSI. Il tutto coordinato dalla regia dell'avvocato Augusto Sinagra, legale di Licio Gelli ed asserito iscritto alla loggia P2. E che dire dell'unico sedicente supersite ad una Foiba che si conosca, Graziano Udovisi? Oggi intervistato con tutti gli onori dalla RAI, si tratta di un criminale di guerra già condannato dalla giustizia italiana: la sua pena, ma guarda un pò, venne attenuata in quanto scampato ad una famigerata foiba a Fianona.
 
 
CUBA. GLI ANNI PASSANO, LA RIVOLUZIONE RESTA
di Giusi Greta Di Cristina
(Circolo di Parma - Ass. Italia-Cuba) 
 
Cuba, dicembre del 1958. 
L’isola è percorsa dal fuoco rivoluzionario che, né Batista né gli Usa suoi alleati, sono riusciti a spegnere. Al contrario: esso è ormai penetrato in ogni angolo di quella terra, agitando il popolo, informando di sé ogni spirito ormai convinto che il tiranno, anche a Cuba come in URSS, potesse essere sconfitto.
Il Movimento 26 Luglio, guidato da Ernesto Guevara e da Camilo Cienfuegos, dopo un inutile tentativo da parte delle forze governative di distruggere alcune posizioni guerrigliere di istanza a Escambray, decide di iniziare l’attacco definitivo a Batista. E lo fa  attaccando Santa Clara, cuore dell’isola e ultimo baluardo da conquistare per arrivare alla capitale. 
Era il 28 dicembre del 1958.
Batista, seguendo la tradizione dei codardi, decise di scappare e lasciò il Paese in mano al generale Cantillo.
Qualche giorno dopo, attraverso la messa in campo di una lucidissima strategia politica (formare il popolo alla Rivoluzione, avanzare militarmente), Fidel Castro entra trionfalmente a Santiago de Cuba, dichiarandola capitale provvisoria del Paese. 
Era l’1 gennaio 1959. Il sogno della Rivoluzione era divenuto realtà.
Da quel momento Cuba rappresenta l’ “altro mondo” possibile. E davvero Cuba lo è, questo mondo possibile, se si pensa ai prodigi compiuti da questo Paese nonostante un blocco economico (per favore, non chiamatelo embargo!). Blocco che continua ancora oggi, che anzi è divenuto ancor più duro.
Eppure Cuba resiste. 
Vi siete mai fermati a pensare come sia possibile che un’isola così piccola riesca a sopravvivere, riesca ad autodeterminarsi, riesca a sconfiggere lo Stato che, oggi come ieri, è responsabile per via diretta e indiretta dei più feroci e sanguinosi crimini, gli Stati Uniti. 
Negli anni l’imperialismo statunitense ha tentato di distruggere Cuba e la sua Rivoluzione, attraverso i tentativi di uccidere il Comandante en Jefe, Fidel Castro Ruz, guida del Paese fino alla sua morte, guida di ogni socialista per l’eternità. Ha tentato di soffocare il popolo cubano con il blocco economico, falsamente chiamato embargo, iniziato da Eisenhower con le restrizioni economiche nel 1960 e poi allargato dal Proclama 3447 a firma di J.F Kennedy. 
Cuba, terrore del liberismo, avamposto del comunismo proprio dinnanzi agli anticomunisti, segno reale e concreto di un socialismo vivo e vegeto, voluto e amato, difeso a qualsiasi costo. 
Perché questo è Cuba, e non il sogno romantico che certa sinistra poco incline allo studio vorrebbe far passare. Non è la faccia del Che Guevara sulle magliette, né l’esotismo del caldo a tutte le stagioni: Cuba è teoria che si fa prassi, è gioventù educata alla rivoluzione, è esercito fedele agli ideali rivoluzionari. 
Cuba è soprattutto il popolo cubano che sceglie, ogni giorno, il socialismo. 
E lo ha fatto nei mesi passati, attraverso il lavoro sul progetto della nuova Costituzione, che prenderà il posto di quella vigente, del 1976.
 
LA NUOVA COSTITUZIONE DI CUBA
La bozza del progetto della Carta Costituzionale è stata proposta alla Consulta popolare per essere rivista e per dare la possibilità al popolo di proporre eventuali cambiamenti. 
In quella che viene definita una dittatura persino dai maître à penser nel nostro Paese, quasi nove milioni di cittadini – emigrati inclusi – hanno potuto dire la loro sulla bozza costituzionale, che una volta rientrata è stata aggiornata con le proposte avanzate dalla Consulta popolare. Ad occuparsi della redazione della stessa e dell’incorporazione delle modifiche proposte dalla Consulta popolare, una commissione guidata dall’ex presidente e Primo Segretario del Partito Comunista Cubano, Raúl Castro.
La bozza, votata all’unanimità dai deputati dell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare il 22 dicembre appena trascorso, è stata fatta oggetto dell’interesse della stampa internazionale che plaudiva alla proposta iniziale di togliere l’aggettivo “comunista” come indirizzo del governo cubano. In sostanza, destra e sinistra imperialista (come non pensare ai nostrani Il Manifesto, Left, Internazionale?) hanno sprecato fiumi di inchiostro per festeggiare la fine del comunismo a Cuba, il ripiego verso il capitalismo, l’abbandono della Rivoluzione. Una sorta di requiem, esasperato dal ritornello “Miguel Díaz-Canel non è Fidel Castro”.
Avremmo tanto voluto vedere le facce di questi soloni del nulla, di questi cantori del liberismo, di questi cani da guardia degli USA, nel leggere che nella stesura definitiva, quella che è stata appena approvata all’unanimità, è stata ripristinata la formula prima tolta, ovvero “gli alti obiettivi della costruzione del socialismo e l’avanzo verso la società comunista” (art.5). E dà soddisfazione sottolineare che il ripristino di questo elemento formale e sostanziale fa parte delle proposte della Consulta Popolare. 
Per quanto concerne gli altri cambiamenti inseriti nella nuova Costituzione – che verrà sottoposta a referendum il 24 febbraio dell’anno che è appena iniziato – due sono gli aspetti particolarmente interessanti: il primo riguarda l’assetto governativo, l’altro la tanto chiacchierata apertura ad una economia capitalista, altro aspetto sul quale la stampa borghese e liberista tante falsità ha scritto.
Per quel che concerne il primo punto, il Partito Comunista Cubano, di matrice marxista-leninista, rimane la guida del Paese. Viene però inaugurata l’istituzione della figura del Presidente della Repubblica e quella del Primo Ministro. Vengono ampliati i diritti e le garanzie dei cittadini, compreso il rispetto delle varie confessioni religiose.
La Commissione Costituzionale ha eliminato il controverso articolo che avrebbe consentito il matrimonio omosessuale a Cuba. Ha però promesso di aprire un tavolo di discussione sul tema che durerà due anni, quando verrà redatto il nuovo Codice di Famiglia (anch’esso verrà sottoposto a referendum). 
Vediamo ora di fare chiarezza sul secondo punto. E per farlo è necessario un passo indietro. Chi afferma che a Cuba, d’emblée, si sia deciso di aprire le porte al capitalismo pecca d’ignoranza o di malafede. Cuba sperimenta un sistema di economia mista da almeno dieci anni, anni segnati dalle riforme economiche volute dal generale Castro (2008-2018). Chi conosce Cuba sa bene quanto, negli ultimi tempi, il Paese abbia proposto centinaia di possibilità di investimento a regime di economia mista (uno fra tutti, cito l’esempio della Zona Mariel). Leggiamo dunque le righe del progetto costituzionale, laddove si parla di riconoscimento della proprietà privata e della necessità degli investimenti stranieri 
per lo sviluppo economico del Paese, come nient’altro che la strutturazione, nero su bianco, di un orientamento economico – ma anche politico – già deciso e messo in campo. 
Vorrei anche sommessamente aggiungere che il voler a tutti i costi legare il cammino cubano a quello cinese rappresenta una forzatura: nell’enorme bisogno che abbiamo noi occidentali di trasporre ogni evento geograficamente lontano sotto una chiara comprensione, rischiamo di dimenticare troppo spesso l’originalità nazionale di ogni esperienza. Cuba non è la Cina, per varie ragioni, non ultime quelle di natura geofisica. 
Cuba è Cuba, con le sue peculiarità, le scelte economiche che opera sono finemente cucite sui bisogni e le necessità del popolo cubano. E del suo benessere, ça va sans dire.
Inoltre, i deputati hanno approvato un articolo che dispone che “i mezzi di comunicazione fondamentale non possono essere oggetto di nessun altro tipo di proprietà che non sia quella socialista di tutto il popolo”. È superfluo aggiungere quanto questo sia necessario per evitare deviazioni che altrove hanno segnato la fine delle esperienze socialiste e che si sono servite dei mezzi di comunicazione antirivoluzionari e borghesi per incistarsi nella vita quotidiana e nella coscienza dei popoli.
 
La nuova Costituzione che, ripetiamo passerà ora al vaglio referendario il 24 febbraio dell’anno appena iniziato, si è confermata nella struttura quella proposta dalla bozza: 229 articoli, 11 titoli, due disposizioni speciali, 13 transitorie e due finali. 
 
CUBA, RIVOLUZIONE PERENNE
Sessant’anni son passati da quella splendida mattina in cui gli eroi della Rivoluzione segnano la fine della dittatura di Batista.
Uno di quegli anniversari che non è solo commemorazione, ma che stringe in sé un profondo significato di rivalsa e vittoria dei popoli che combattono contro l’imperialismo. 
Chi vi dice, chi ci dice che ormai tutto è passato, che il comunismo ha perso, lo dice incurante della situazione in cui si trova a dover sopravvivere la maggioranza delle donne, degli uomini, dei bambini e degli anziani di questo Pianeta: il sistema capitalistico si è imposto trascinando nella miseria, nell’indigenza, nella guerra persino Nazioni che hanno conosciuto il benessere per qualche decennio. L’aggressività degli USA e degli Stati vassalli è accresciuta enormemente dopo il tradimento e il crollo dell’URSS, i Paesi dell’ex blocco sovietico – secondo recentissimi sondaggi – vorrebbero il ritorno allo stato socialista, dopo l’inganno del capitalismo e la beffa dell’occupazione Nato. 
A Cuba tutto questo non è accaduto, non accade, non accadrà. Lo diciamo con sicurezza, col sorriso. E lo sa anche chi, da questa parte del mondo, sperava il contrario con la dipartita del Comandante Eterno.
Cuba vanta tra i migliori sistemi sanitari al mondo, e il migliore dell’America Latina. Cuba ha sconfitto la fame: nessun bambino muore di fame a Cuba. Cuba ha tra i migliori sistemi educativi al mondo, e il migliore dell’America Latina, surclassando quelli nati dalle dittature dei militari preparati dai nazisti scappati dalla Germania e assoldati dai democraticissimi USA. Al contrario, in questi Paesi la gente rovista tra i rifiuti per mangiare. 
A Cuba si è sopravvissuti al periodo especial, si sopravvive ancora a una restrizione economica, a una angheria finanziaria sotto la quale probabilmente qualsiasi altro Paese sarebbe crollato. 
Cuba sarebbe un miracolo, se noi credessimo ai miracoli. Cuba è il prodotto della ferrea disciplina marxista-leninista e dell’educazione alla rivoluzione. 
Cuba, seguendo gli esempi antecedenti, su tutti quello di José Martí, ha plasmato la sua lotta di liberazione in chiave nazionale, applicando le lezioni di Lenin, di Stalin, di Mao sulla necessità di creare la Rivoluzione nel proprio Paese sposando le caratteristiche più idonee che possano renderla vincente, nel proprio Paese. 
E in questi tempi oscuri, di antifascismo un tanto al chilo, letto in chiave esclusivamente ruffiana, in cui chiunque parli di difesa della sovranità popolare viene accusato di rossobrunismo – quando non direttamente di fascismo! - da Cuba ci arriva forte il monito: “Patria o Muerte!”. 
Se il futuro che scegliamo per la Patria (perché Paese o Nazione e non Patria? Cosa avrà mai fatto di male questo termine per suscitare una tale repulsione tra gli ambienti cosiddetti di sinistra?) è quello socialista, se lottiamo per questo obiettivo, se lo sosteniamo col nostro impegno militante, la nostra dedizione agli insegnamenti marxisti-leninisti, come non possiamo ritrovare nella Rivoluzione cubana, nella sua difesa alla patria socialista l’indirizzo al quale volgerci, anche oggi, nel 2019?
È chiaro: proprio in virtù di quanto appena affermato non possiamo trasporre pari pari quella che fu, anzi quella che è, la Rivoluzione Cubana entro i nostri confini (altra parola che pare abbia assurto connotati da demonizzare): possiamo però studiare, analizzare, approfondire quella che, tra le pochissime, non è solo il sogno di ciò che poteva essere ma la realtà di ciò che è.
 
Lunga vita alla Rivoluzione Cubana. Lunga vita a Cuba!
 
 
 
Inizio messaggio inoltrato:

Da: Partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana <partigiani7maggio @ tiscali.it>
Oggetto: Auguri e aggiornamenti
Data: 25 dicembre 2018 20:22:55 CET
 
Nel rivolgere i migliori auguri di 
 
Buone Feste e Sereno Anno Nuovo

cogliamo l'occasione per un breve aggiornamento sulla campagna "Rete della memoria e dell'amicizia per l'Appennino centrale".

La Assemblea dei Soci 2018 di Jugocoord Onlus, riunitasi all'inizio di dicembre, preso atto della mancata erogazione di fondi per i nostri progetti da parte della Tavola Valdese, ha stabilito lo stanziamento di somme comunque rilevanti rispetto al bilancio della associazione, finalizzate alla prosecuzione dei progetti stessi previa verifica di alcune condizioni, e precisamente per:
Acquasanta Terme (AP): rifacimento integrale lapidi Cimitero Partigiano Internazionale;
Valle Castellana (TE): allestimento Biblioteca Comunale e apposizione di una lapide commemorativa in località Morrice.
Comunicazione formale su tali stanziamenti è già stata data ai Sindaci interessati.

Una somma più contenuta è stata messa a disposizione per le altre località individuate nell'ambito della campagna, vale a dire Monte Cavallo (MC – ex base partigiana dell'Eremo della Romita), Altamura-Gravina (BA – ex campo di addestramento NOVJ/EPLJ) e Colfiorito di Foligno (PG – ex campo di concentramento delle "Casermette"). 
L'obiettivo per le prime due località è quello di spronare i rispettivi Comuni alla riscoperta del significato storico dei siti e alla progettazione di interventi di messa in sicurezza e valorizzazione, eventualmente organizzando "campi di lavoro" volontari per la pulizia e la apposizione di protezioni e/o cartellonistica di carattere storico-escursionistico, nonché dibattiti e celebrazioni.
Per Colfiorito, invece, sono stati intrapresi passi formali concreti per la realizzazione di un monumento-memoriale che finalmente "segni" la memoria del luogo. Tali passi, dei quali daremo conto nei prossimi mesi, fanno seguito alla iniziativa pubblica tenuta nel 75.mo Anniversario della Grande Fuga dal campo, sulla quale ha recentemente scritto anche V. Kapuralin per il sito del SRP di Croazia (Svečanost obilježavanja bijega iz logora u Italiji).

Segnaliamo infine l'appello pubblicato sul sito Jugocoord, rivolto a chiunque possa dare notizie sul luogo in cui furono scattate alcune fotografie del "battaglione Tito" della brigata Gramsci dell'Umbria: si tratta forse della casa di famiglia del partigiano Otello Loreti, sulla montagna sopra Spoleto?
(italiano / english)
 
Strategic disinformation – they call it 'fake news'
 
1) AskPinocchio, il software sponsorizzato dall'Unione Europea (F. Santoianni)
2) Der Spiegel's Claas Relotius' Scandal:
– The Relotius Case. Answers to the Most Important Questions (Der Spiegel)
– Il giornalista di Der Spiegel oltre a falsificare le notizie ha sottratto le donazioni agli "orfani" siriani
– Fraud ‘on grand scale’: Top journalist at reputable German magazine faked his stories for YEARS (RT)
– Game of deception: How a fraudster who faked his stories for years got to be Germany’s top reporter (RT)
– Tanks on Maidan, president’s gold bath & more outrageous Ukraine fakes by disgraced Spiegel reporter (RT)
3) All corrupt on the Western front? Der Spiegel latest to fall from media mountaintops (R. Bridge)
 
 
=== 1 ===
 
 
AskPinocchio, il software sponsorizzato dall'Unione Europea che spaccia per buone le bufale del mainstream
 
di Francesco Santoianni
23/12/2018
 
Una volta, lanciai in Rete due miei personalissimi software per imparare le lingue straniere. Il primo si chiamava “Amigos della lingua spagnola”: aggiungeva automaticamente una “s” a tutte le parole; il secondo era “Tovarish della lingua russa”: aggiungeva una “ov”. Insomma, come software non erano un granché, anche se fui tentato di mettere su una Startup per arricchirmi rifilando, una “sola”.
 
Ben altre prospettive si direbbero abbiano i promotori del “Progetto Fandango”: una partnership, benedetta dall’Unione Europea e che vede, tra gli altri, il coinvolgimento dell’ANSA. Una iniziativa già osannata dai media mainstream) in quanto promette: “…grazie all'intelligenza artificiale, una lotta senza quartiere alle Fake News (…) fornendo agli stakeholder del settore giornalistico degli indici di affidabilità della notizia, basati su una combinazione di elementi che aiutino a rivelarne la verità.”

Si, ma come fa la tecnologia DS4biz, cuore del software, a discernere le notizie “vere” dalle Fake News? Attraverso “algoritmi in grado di riconoscere e identificare le relazioni che sussistono all’interno del testo e del titolo della notizia, nelle frasi e nelle relazioni che si instaurano tra le parole e la loro frequenza.”

Sbalordito di questa magia (che, tra l’altro, fa piazza pulita di tre millenni di considerazioni filosofiche) e confortato da un articolo del Il Sole 24 Ore, ho voluto provare Askpinocchio il software front-end del Progetto Fandango, che discerne le notizie “vere” dalle Fake News semplicemente dal link di un articolo “sospetto” incollato in un modulo. Dunque: per, ben, trenta dei miei articoli su l’Antidiplomatico la risposta è stata sempre la stessa: “Non sono sicuro di questa notizia... Potrebbe trattarsi di una fake news il contenuto della notizia contiene elementi particolarmente bufalosi.” Elementi bufalosi?! Prostrato per l’essere stato smascherato; sperando che, per errore, analogo trattamento fosse stato riservato anche a blasonati giornalisti, ho inserito il link dell’articolo: “Juncker al vertice Nato non era ubriaco: barcollava per un problema di salute”; poi dell’articolo “Sono i russi Alexander Petrov e Ruslan Boshirov i sospettati dell’avvelenamento di Sergei e Yulia Skripal”; poi dell’articolo “Ora gli sgherri di Maduro uccidono indios per l'oro. I raid con gli elicotteri governativi”. Risultato del software anti Fake News? “Credo che la notizia sia vera!”

Che altro dire davanti a questo Prodigio dell’Intelligenza Artificiale? Quasi quasi, vado anche io a chiedere finanziamenti all’Unione Europea per i miei due software.

 

 
=== 2 ===
 
 
The Relotius Case. Answers to the Most Important Questions
 
December 19, 2018
 
In recent years, DER SPIEGEL published just under 60 articles by reporter and editor Claas Relotius. He has now admitted that, in several instances, he either invented stories or distorted facts...
 
or
 
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Il giornalista di Der Spiegel oltre a falsificare le notizie ha sottratto le donazioni agli "orfani" siriani
 
Fonte: Der Spiegel – Notizia del: 24/12/2018
 

Il giornalista ha incoraggiato i lettori a fare donazioni per due bambini siriani, che sono stati costretti a fuggire in Turchia. Si ritiene che uno dei presunti beneficiari non sia mai esistito.


Claas Relotius, giornalista di Der Spiegel, che ha falsificato molte delle suoi reportage strazianti, ora affronta un'indagine criminale sulle donazioni di denaro per i bambini siriani. La rivista tedesca ha presentato una denuncia penale contro Relotius dopo che si è saputo che il giornalista non solo ha inventato protagonisti e citazioni nei suoi racconti, ma avrebbe anche potuto ingannare i suoi lettori.
 
"I figli del re"
 
I lettori hanno informato i media che il giornalista ha usato la sua e-mail privata per organizzare una campagna di raccolta fondi per gli orfani siriani che vivono in Turchia. La storia è stata pubblicata nell'articolo di Relotius del 2016 intitolato "Children of the King".
 
Tale relazione ha raccontato la storia di Ahmed Alin e suo fratello, che sono stati costretti a fuggire in Turchia dopo che i suoi genitori sono morti nella città siriana di Aleppo. Per sopravvivere, i bambini lavoravano per lunghe ore e vivevano in condizioni terribili. Relotius sosteneva di aver parlato con entrambi i bambini, che vivevano a 300 chilometri di distanza, nelle città turche di Mersin e Gaziantep.
 
Storia "falsificata e fortemente drammatizzata"
 
Tuttavia, Der Spiegel ha riferito che il minore apparentemente non è mai esistito. Il fotografo turco Emin Ozmen, che ha accompagnato il giornalista tedesco durante il suo viaggio, ha raccontato di aver visto solo il ragazzo, la cui storia è stata "falsificata e fortemente drammatizzata", riporta la rivista.
 
Inoltre, si è appreso che i bambini (nel caso ce ne fossero due) non erano orfani, dal momento che la loro madre era viva e lavorava in un negozio di mobili a Gaziantep. Der Spiegel continua la sua indagine sulla storia, ma deve ancora trovare qualcuno che corrisponda alla descrizione della presunta sorella di Ahmed.
 
Il giornalista ha affermato di essere riuscito a portare i bambini in Germania, dove sono stati adottati da un medico e dalla sua famiglia. Tuttavia, questo "è apparentemente finzione", secondo la rivista. Steffen Klusmann, redattore capo di Der Spiegel, ha affermato che i fondi "probabilmente non hanno mai raggiunto quelli per cui erano destinati".
 
I media hanno dichiarato di non essere a conoscenza dello schema usato da Relotius, poiché nessun lettore l'aveva segnalato al momento della raccolta fondi. Non è ancora chiaro cosa sia successo alle donazioni ricevute.
 
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Fraud ‘on grand scale’: Top journalist at reputable German magazine faked his stories for YEARS
Published time: 19 Dec, 2018
 
One of Germany’s most popular papers, Der Spiegel, has found itself at the center of a scandal involving one of its top reporters who was caught fabricating elements of his stories.
Claas Relotius, who worked at Der Spiegel as a freelancer for 6 years until receiving a staff position in 2017, seemed to be a paragon of modern journalism. The 33-year-old has received numerous prestigious journalism awards, both in Germany and abroad.
Just this December he was awarded a prize by the German reporter’s association for his story about the life of a child in Syria. In 2014, Relotius was warmly welcomed by CNN who named him ‘Journalist of the Year.
However, his seemingly brilliant career has turned out to be a house of cards that is now falling apart, just as it had with Stephen Glass, a former staff writer at the New Republic who authored one of the most spectacular fabrication campaigns in the history of American journalism.
It was recently revealed that Relotius literally made up details in his stories and even “invented protagonists” – people he had never met in person.
One of his colleagues who was working with Relotius on a story about the situation on the US-Mexican border grew suspicious of some of the details in the journalist’s report. The man then tracked down two alleged sources Relotius quoted extensively in his text, only to find out that none of them ever actually met him.
The subsequent investigation by Der Spiegel into Relotius’ activities also uncovered that he fabricated details in another story including a claim that he had seen a sign in a US town that read: “Mexicans keep out.” When faced with the incriminating evidence, the journalist confessed to faking elements of his texts – not just in one story, but in a number of them.
So far, at least 14 stories out of almost 60 pieces the journalist wrote for Der Spiegel’s print and online editions turned out to contain fake details, the magazine said, adding that that figure might potentially be higher, and warning that other media outlets might also be affected.
Over the years, Relotius worked for about a dozen German news outlets, including the well-known Die Welt, Die Zeit and Financial Times Germany. Notably, the list of his stories that were proven to be at least partially fake included several pieces that had won journalism awards, including stories about Iraqi children kidnapped by Islamic State and prisoners in Guantanamo.
In a lengthy article which serves as both a clarification of the case and an apology, Der Spiegel said it was “shocked” by the discovery and offered an apology to its readers along with all those affected by Relotius’ articles. It also described the situation as "a low point in Der Spiegel's 70-year history."
Relotius, who resigned after the fraud came to light, told Der Spiegel that he regretted his actions and felt “deeply ashamed.” Meanwhile, the magazine’s management has set up a special investigative commission consisting of what it calls “experienced internal and external persons” to look through all of the journalist’s pieces and prepare recommendations to improve “safety mechanisms.”
 
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Game of deception: How a fraudster who faked his stories for years got to be Germany’s top reporter
Published time: 21 Dec, 2018
 
Germany has been rocked by a scandal involving one of the top reporters writing for the reputable Der Spiegel magazine, who turned out to be a fraudster. What made a fabulst into a star? Let’s look at some of his stories.
Claas Relotius, the ‘brilliant reporter’-turned-fabricator, carved his way to pages of some of the most prestigious German newspapers with curious, sentimental and touching human stories from everyday life. Although, some of these intimate private stories clearly had some political angle.

Syrian ‘Resistance’ hero

The piece that brought him his latest (and probably the last) journalist award delved into a much more high-profile and much more politicized topic – the Syrian crisis. The article centers around the plight of a Syrian teenager living in the city of Deraa, who stood against the Syrian President Bashar Assad, using graffiti as a tool to express himself.
Written in summer 2018, when the city was still at the hands of the militants, the piece calls Deraa the last “resistance” stronghold and the start of the Syrian conflict a “revolution” while the teenager himself is described as “Syria’s liberator” and a “legend” to “thousands.” Now, Der Spiegel has to embarrassingly admit that this story that so vividly depicted the rebels’ selfless fight against their supposed oppressors was mostly fabricated and many details described in the articles were just made up by the author.

Children ‘orphaned’ by Assad

Another report Relotius dedicated to the dire plight of Syrians tells the readers about a heartbreaking story of two Syrian siblings. “They had lost everything – their parents, their house and their country” at the hands of “dictator”Assad and his soldiers, the article says, inconspicuously interweaving the two orphans’ personal story with that of the battle for the Syrian city of Aleppo.
The piece also puts the blame for the tragedy of the Aleppo residents almost entirely on the Assad government and the Syrian Army, missing on the many extremists, who kept the city hostage.

Death threats over joke

Sometimes, the journalist also entertained his readers with the reports from a little bit more exotic corners of Earth. One particularly eyebrow-raising story recounts a haunting experience of a Scotsman, who was mercilessly chased and almost killed by the people of an entire country – Kyrgyzstan – just for a low joke about their food.

Trump’s ‘border hunters’

Notably, Relotious also often wrote about the US but apparently could not stay unbiased here as well. One of his latest pieces, which became a starting point of Spiegel’s investigation against him, used made up details to play to the popular anti-Trump angle in the complicated situation on the US-Mexico border. It tells the readers about a group of self-styled “border hunters” militia.
Its somewhat unlikeable members praise President Donald Trump and viciously hate all illegals seeking to come to the US. One of the supposed group members, who goes in the story by the imposing alias ‘Pain’, says “he wants to kick the devils, who are running into America, out just like Donald Trump.”
This man, however, turned out to be nothing but a phantom born in the fraudster’s inventive mind as the story turned out to be made up as well. Now, Der Spiegel has announced it established a special commission to investigate all Relotius’ works and develop recommendations to help it improve its control mechanisms..
However, it also admitted that “even with the sincerest of intentions, it is impossible to fully rule out” such incidents in the future as their causes lie in “human frailty” and journalists are just as “fallible” as any other people. So what made it so difficult for Der Spiegel and other reputable media outlets to see that Relotius was a fraudster?
Maybe, he just was that good at delivering the German media what they themselves craved for so much. His pieces seem to be a blend of heartbreaking personal stories perfectly fitted into the ‘liberal’ narrative touted by the Western media. An ideal deception.
Kirill Kuznetsov, RT
 
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Tanks on Maidan, president’s gold bath & more outrageous Ukraine fakes by disgraced Spiegel reporter
Published time: 22 Dec, 2018
 
One wonders just how outrageous ‘fake news’ must be in order to get busted, but Der Spiegel's ex-star reporter Claas Relotius got away with it all while writing for several outlets – maybe because it was about places like Ukraine.
Titled ‘Bribing prohibited’ Relotius’ piece on the new Ukrainian police has all the elements of his trademark style: dramatic narrative, likeable heroes – and entirely made-up ‘facts’.
The ‘report’, published by the Swiss magazine Reportagen in June 2016, tells a tale of two young people – Dimitri and Valeria – who became members of the rebranded police force of post-Maidan Ukraine. Given the recent revelations over his fictional reporting, it's now unclear whether Relotius met the duo in reality, but the story makes for a very compelling read indeed.
It states that each day before going on patrol, Dimitri and Valeria have been coming to the center of Kiev to pray near the “altar” erected in memory of those who died during the 2014 Euromaidan unrest. The two were among the protesters back then, it reveals, describing how they recall burning buildings, the “smell of corpses,”a man “with a child in his arms” shot dead beside an old well – and a ruined wall, where dozens were “slayed by snipers” and “rolled over by tanks.”
Wait, what? Given that the majority of victims in Kiev – both protesters and law enforcement officers – were killed over two days of murky clashes in February 2014, the “smell” of dead bodies appears to be a little of an exaggeration. No “old wells” could immediately be found in central Kiev, and there's nothing to back up the story about a “man with a child” either.
But most glaring of all, no “tanks” were ever deployed to curb the city unrest, so the “ruined wall” part was made up in its entirety. In reality, the police unsuccessfully tried to use light APCs to storm some barricades, but the vehicles were pelted with Molotovs and burnt down.. At least the “burning buildings” part holds some water, as some central Kiev sites, including the Trade Unions Building, were indeed put to the torch.
It's not much of a surprise that the rest of the article is riddled with inconsistencies and false statements. Notably, it claims that the ousted President of Ukraine, Viktor Yanukovych, had a mansion where he “lived like a pharaoh, with banisters and baths made of pure gold.” The claim appears to be based on the long-debunked rumor that the protesters who stormed the president's lavish residence discovered a golden toilet.
Incumbent president of the country – Petro Poroshenko – is also described, for some reason, as a “billionaire praline manufacturer from Odessa.” Poroshenko has held several top government posts since the early 2000s, but this fact is not even mentioned in the article. He was indeed born in the Odessa region in the Soviet Union, yet the image of a “successful businessman from Odessa” seems to be quite a stretch.
Describing the old bribery mindset the new police officers have been supposedly battling, Relotius managed to make another, quite outlandish, mistake. The article says that the new police force was in use not only in the capital city of Kiev, but in other major cities, namely “in Kharkiv and Donetsk, in Lviv and in Odessa.”
The problem is, at the time of publication, the eastern city of Donetsk had for two years been under the control of anti-Kiev rebels, who rejected the Euromaidan coup, proclaimed their own republic, and had actual tanks and warplanes sent to crash them into submission – with only limited success.
It doesn't seem probable that the new Ukrainian police force would have been welcome there – a fact that may have eluded the disgraced Der Spiegel reporter. Just as it, sadly, would go over the head of many of his readers, submerged in the MSM reporting on Ukraine – a narrative often fed from the Kiev government's POV – and with little fact-checking.
 
 
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All corrupt on the Western front? Der Spiegel latest to fall from media mountaintops
 
by Robert Bridge, 21 Dec, 2018
 
Once again, a reporter has been accused of writing fake stories – over a span of years – reinforcing the suspicion that we are living in a post-truth world where words, to paraphrase Kipling, “are the most powerful drug.”
This week, Der Spiegel, the German news weekly, was forced to admit that one of its former star reporters, the award-winning Claas Relotius, “falsified his articles on a grand scale.”
Indeed, it seems the disgraced journalist was motivated more by fiction writers John le Carre and Tom Clancy than by any media heavyweights, like Andrew Breitbart and Walter Cronkite.
Relotius, who just this month took home Germany’s Reporterpreis (‘Reporter of the Year’) for his enthralling tale of a Syrian teenager, “made up stories and invented protagonists,” Der Spiegel admitted.
There is a temptation to rationalize Relotius’s multiple indiscretions, not to mention the failure of his fastidious employer to unearth them for so long, as an unavoidable part of the dog-eat-dog media jungle. After all, journalists are not robots – at least not yet – and we are all humans prone to poor judgment and mistakes, perhaps even highly unethical ones.
That explanation, however, falls short of explaining the internal forces battering away at the foundation of Western media, an institution built on the shifting sand of lies, disinformation and outright propaganda. And what is readily apparent to those outside of the Western media fortress is certainly even more apparent to those inside.
A good example is Russiagate. This elaborate myth, which has been peddled repeatedly and without an ounce of 100-percent real beef since the US election of 2016, goes like this: A group of Russian hackers, buying a few hundred social media memes for just rubles to the dollar, were able to do what all the Republican campaign strategists, and all the special interests groups, with all of their billions of dollars in their massive war chest, simply could not: keep Democratic voters at home on the couch come Election Day – a tactic now known as “voter suppression operations” – thereby handing the White House to Donald Trump on a silver platter. Or shall we say ‘a Putin platter’?
Don’t believe me? Here’s the opening line of a recent Washington Post article that should be rated ‘R’ for racist: “One difference between Russian and Republican efforts to quash the black vote: The Russians are more sophisticated, insidious and slick,” wailed Joe Davidson, who apparently watched too many Hollywood films where the Russkies play all of the villains. “Unlike the Republican sledgehammers used to suppress votes and thwart electorates’ decisions in various states, the Russians are sneaky, using social media come-ons that ostensibly had little to do with the 2016 vote.”
Meanwhile, Der Spiegel, despite being forced to come clean over the transgressions of Claas Relotius, will most likely never own up to its own factual shortcomings with regards to their dismal reporting on Russia.
For example, in an article published last year entitled ‘Putin’s work, Clinton’s contribution,’ the German weekly lamented that “A superpower intervenes in the election campaign of another superpower: The Russian cyber-attack in the US is a scandal.” Just like their fallen star reporter, Der Spiegel regurgitated fiction masquerading as news.
However, there is no need to limit ourselves to just media-generated Russian fairytales. The Western media has contrived other sensational stories, with its own cast of dubious characters, and with far greater consequences.
Consider the reporting in the Western media prior to the 2003 Iraq War, when most journalists were behaving as cheerleaders for military invasion as opposed to conscientious objectors, or at least objective observers. In fact, two reporters with the New York Times, Michael Gordon and Judith Miller, arguably gave the Bush administration and a hardcore group of neocons inside Washington, which had been pushing for a war against Saddam Hussein for many years, the barest justification it required for military action.
Just six months before the bombs started dropping on Baghdad, Gordon and Miller penned a front-page article in the Times that opened with this stunning claim: “Iraq has stepped up its quest for nuclear weapons and has embarked on a worldwide hunt for materials to make an atomic bomb, Bush administration officials said today.”
The article in America’s ‘paper of record’ then proceeded to build the case for military action against Iraq by quoting an assortment of anonymous senior administration officials, anonymous Iraqi defectors, and anonymous chemical weapons experts. In fact, much of the story was based on comments provided by one ‘Ahmed al-Shemri,’ a pseudonym for someone purported to have been connected to Hussein’s chemical-weapons program. The authors quoted the mystery man as saying: “All of Iraq is one large storage facility.”
Gordon and Miller also claimed their source had said that “he had been told that Iraq was still storing some 12,500 gallons of anthrax.”Several months later, just weeks before the US invasion of Iraq commenced, US Secretary of State Colin Powell invited the UN General Assembly to imagine what a “teaspoon of dry anthrax”could do if unleashed on the public.
Powell, who later said the testimony would be a permanent “blot” on his record, even shook a tiny faux sample of the deadly biological agent in the Assembly for maximum theatrical effect.
Shortly after the release of the Times piece, top Bush officials appeared on television and alluded to Miller’s story in support of military action. Meanwhile, UN inspectors on the ground in Iraq never found chemical weapons or the materials needed to build atomic weapons. In other words, the $1-trillion-dollar war against Iraq, which led to the deaths of tens of thousands of innocent civilians, was a completely senseless act of aggression against a sovereign state, which the US media helped perpetrate.
Aside from the question of whether readers really put much faith in these fantastic media stories, complete with pseudonymous characters and impossible to prove claims; there remains another question. Does the Western media itself believe its own stories?  The answer seems to be no, at least not always.
With regards to the Russiagate story, for example, an investigative journalism outfit, Project Veritas, caught a few Western journalists off-guard about their true feelings in relation to the claims against Russia, and their feelings in general about the state of the media.
“I love the news business, but I’m very cynical about it – and at the same time so are most of my colleagues,” CNN Supervising Producer John Bonifield admitted, unaware he was being secretly filmed.
When pushed to explain why CNN was beating the anti-Russia drum on a daily basis, things became clearer: “Because it’s ratings,”Bonifield said. “Our ratings are incredible right now.”
In the same media sting operation, Van Jones, a prominent CNN political commentator who has pushed the anti-Russia position numerous times on-air, completely changed his tune when caught off-air and off-guard. “The Russia thing is just a big nothing burger,” he remarked.
This brings us back to the story of the fallen Der Spiegel journalist. It seems that a deep cynicism has taken hold in at least some parts of the Western media establishment. Journalists seem increasingly willing to produce extremely tenuous, fact-challenged stories, many of which are barely held together by a rickety composite of anonymous entities.
And why not? If their own media bosses are permitting gross fabrications on a number of major issues, not least of all related to Russia, and further afield in Syria, why should the journalists be forced to play by the rules?
Under such oppressive conditions, where the media appears to be merely the mouthpiece of the government’s position on a number of issues, those working inside this apparatus will eventually come around to the conclusion that truth is not the main priority. The main priority is hoodwinking the public into believing something even when the facts – or lack of them – point to other conclusions.
Thus, it is no surprise when we find Western reporters imitating the greatest fiction writers, because in reality that is what they have already become.  
 
 
Robert Bridge is an American writer and journalist. Former Editor-in-Chief of The Moscow News, he is author of the book, 'Midnight in the American Empire,' released in 2013.
 
 
Nuova operazione di propaganda fascista
 
1) Parma 17/12: Assemblea pubblica della Officina Popolare sul film "Red Land – Rosso Istria"
2) Claudia Cernigoi: Recensione del film "Red Land – Rosso Istria"
3) Alessandra Kersevan: Recensione del film "Red Land – Rosso Istria"
4) Gli sceneggiatori del film “Red Land – Rosso Istria” (di Claudia Cernigoi)
(srpskohrvatski / english / italiano)
 
Cronache dal XX Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai
 
1) Intervista a Francesco Maringiò [della Direzione PCI] al XX incontro internazionale dei Partiti Comunisti e Operai di Atene
 
2) Комунисти Србије на 20. МСКРП (Међународном Састанку Комунистичких И Радничких Партија) у Атини
SUPPORT FOR KOSOVO AS AN INTEGRAL PART OF THE REPUBLIC OF SERBIA / KOMUNISTIČKE I RADNIČKE PARTIJE SVETA DALE PODRŠKU PARTIJI „KOMUNISTI SRBIJE“ DA JE KOSOVO I METOHIJA SASTAVNI DEO REPUBLIKE SRBIJE / KOMUNISTIČKA PARTIJA RUSKE FEDERACIJE IZDALA KNJIGU: OKTOBARSKA ZNAMENJA KOMUNISTIČKE PLANETE / ИЗВЕШТАЈ СА 20.МЕЂУНАРОДНОГ САСТАНКА КОМУНИСТИЧКИХ И РАДНИЧКИХ ПАРТИЈА У АТИНИ / РЕФЕРАТ НА 20. МЕЂУНАРОДНОМ САСТАНАКУ КОМУНИСТИЧКИХ И РАДНИЧКИХ ПАРТИЈА У АТИНИ
 
3) SRP Hrvatske na XX. IMCWP i obilježavanje 100-te godišnjice osnivanja KKE 
VIDEO i FOTO / ODRŽAN XX. IMCWP I OBILJEŽAVANJE 100-te GODIŠNJICE OSNIVANJA KKE / SPEECH BY SRP REPRESENTATIVE VLADO KAPURALIN

 
Sul XX Incontro dei P.C.O. (Atene, 23-25 novembre 2018) si vedano anche:
 
* Appello del 20° Incontro Internazionale dei Partiti Comunisti e Operai
ORIG.: 20 IMCWP, Appeal of the 20th International Meeting of Communist and Workers’ Parties
* 20° IMCWP: Lista dei Partiti Comunisti e Operai partecipanti
 
Sulla situazione del movimento comunista internazionale segnaliamo anche:
 
* l'Appello "Solidarietà al Partito Comunista Polacco!"
sulle recenti persecuzioni anticomuniste in Polonia
https://www.ilpartitocomunistaitaliano.it/2018/12/03/solidarieta-al-partito-comunista-polacco-le-prime-adesioni-allappello/
 
* Il Forum Internazionale del Partito Comunista di Ucraina (Kiev 12 luglio 2018)
http://www.marx21.it/index.php/comunisti-oggi/in-europa/29191-il-forum-internazionale-del-partito-comunista-di-ucraina

 
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Intervista a Francesco Maringiò 
[della Direzione PCI] al XX incontro internazionale dei Partiti Comunisti e Operai
30 Novembre 2018
 
da amna.gr

Pubblichiamo un'intervista che Francesco Maringiò ha rilasciato in occasione del XX incontro internazionale dei Partiti Comunisti


A più di 100 anni della rivoluzione di ottobre ci sono persone che ritengono il comunismo una cosa del passato. Lei è d'accordo? Cosa significa essere comunista nel 21° secolo?

Chi considera il comunismo una cosa del passato commette due errori principali. Il primo è quello di aver creduto alla campagna mediatica occidentale che ha cercato di far passare l’idea che la fine dell’esperienza sovietica coincidesse con la fine del comunismo nel mondo.
Non è così: il Novecento è il secolo dove il movimento comunista internazionale è nato ed ha mosso i primi passi e quell’esperienza, dopo grandi traguardi e straordinari successi, accanto ad alcuni errori, ha lasciato una traccia indelebile che è oggi seguita dalle organizzazioni comuniste di tutto il mondo, a partire dai paesi socialisti che, con la Cina (ma non solo), hanno assurto ad un ruolo di grande protagonismo sul piano politico. Alla luce di questo, parlare di comunismo come di un’esperienza del passato, significa - come diciamo noi italiani - mettersi il prosciutto davanti gli occhi per non vedere la verità. Al contrario, come recitava uno slogan della KNE di alcuni anni fa, il comunismo è la gioventù del mondo. Il secondo errore è quello di non aver imparato nulla dalla storia e di considerare immortale questo ordinamento sociale e politico capitalistico, dimostrando la stessa superstizione degli uomini del medioevo che consideravano quel sistema sociale immodificabile ed immortale. Nulla è immodificabile, neanche questo sistema che genera guerra, povertà, insicurezza sociale e sfruttamento. Pertanto essere comunista nel XXI secolo significa riproporre un nuovo e più razionale sistema sociale che rompe con lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Nulla di più attuale e necessario per il futuro dell’umanità.

I partiti comunisti sono sempre stati in prima linea contro la soppressione dei diritti sociali e del lavoro. Tuttavia l'attacco neoliberista sferrato contro i diritti del popolo è molto vasto. Quale deve essere la risposta dei comunisti?

L’attacco ai diritti dei popoli e ai diritti sociali è aumentato in questi anni, parallelamente all’aumento della crisi organica del capitalismo, che si è manifestata chiaramente in tutto il mondo. Aumenta la crisi ed aumenta la repressione, come la storia ci ha già insegnato nel passato. I comunisti sono chiamati ad un doppio compito: da un lato lottare al fianco della classe operaia nella difesa dei suoi diritti, organizzare la lotta e sostenere le mobilitazioni popolari e, dall’altro, portare un contributo unificante nelle lotte e nella coscienza generale. Perché non c’è soluzione a questa situazione, se ciascuno lotta solo per il miglioramento della propria condizione, senza una visione generale e, soprattutto, non c’è soluzione senza avanzare una proposta alternativa a questo sistema sociale, che alimenta la repressione al fine di perpetrare lo sfruttamento di classe..

Ovunque testimoniamo l'ascesa delle forze populiste di destra, accompagnata da un forte revisionismo della storia e delle condizioni sociopolitiche. Come devono reagire i comunisti a questa situazione?

Come dicevo precedentemente il mondo è grande e le idee del socialismo si stanno rafforzando e crescendo. Questo non avviene in Europa, dove invece aumenta il revisionismo storico ed il malessere sociale è attratto dalle posizioni della destra o del populismo di destra. Anche questo, purtroppo, è già avvenuto in passato, aprendo pagine drammatiche della storia europea e mondiale. Ma la storia non si ripete mai uguale a sé stessa, per cui i comunisti sono chiamati ad un lavoro di resistenza per difendere le grandi conquiste della lotta della classe operaia ed un pensiero critico, capace di aprire un percorso diverso nella storia dell’umanità.

In Italia, il Partito Comunista non è più quello degli anni in cui esercitava la massima influenza politica e sociale. Nonostante sia andato al governo dopo la sua trasformazione, esso non rappresenta più l’anima della sinistra nel paese. Crede che esistano prospettive di un cambiamento in senso comunista nel suo paese e quali sono le sfide che il Partito deve affrontare?

Se si riferisce al Partito Democratico, evoluzione delle trasformazioni che ha avuto il PDS nato dallo scioglimento del vecchio Partito Comunista Italiano, non solo esso non rappresenta le istanze della sinistra, ma è evidente che rappresenta gli interessi del grande capitale finanziario internazionale nel nostro paese. Hanno appoggiato tutte le politiche antipopolari e di austerity imposte dall’Ue e sono stati in prima linea ad appoggiare le missioni di guerra, come nel caso della Libia. E’ un esempio fulgido di come nell’ultima fase il PCI, oramai corrotto nel suo orientamento ideologico, abbia venduto la sua anima per poter andare al governo, senza neanche riuscirci mai realmente. E’ stato usato dalle classi dominanti per sconfiggere le istanze comuniste e popolari e poi oggi viene scaricato e vive una condizione di sostanziale crisi. Certo, servirebbe un cambio di rotta nella politica italiana, in direzione della lotta per il socialismo, ma è ancora un percorso lungo, che chiede tutto il nostro impegno e, soprattutto, impone a tutti i militanti di non perdere la fiducia in questi tempi drammatici che viviamo. La sfida maggiore è quella di riuscire a vincere la battaglia per la sopravvivenza.

La Grecia è stata negli ultimi anni il campo di battaglia dell'attacco neoliberista contro la sovranità degli stati nazionali e del popolo. Quale messaggio volete trasmettere al partito comunista greco e ai greci in generale?

La Grecia è stato il banco di prova delle politiche neoliberiste e della sottrazione della sovranità popolare da parte delle istituzioni europee e dei loro alleati nel paese. Il risultato è drammatico ed il popolo greco conosce meglio di chiunque altro questa situazione, che ha sofferto in prima persona. Il Partito Comunista Greco ha scelto la strada coraggiosa di organizzare la lotta sociale e la coscienza del popolo, senza illuderlo che la soluzione fosse rientro l’angolo. Abbiamo tanto da imparare da questo punto di vista e voglio sfruttare l’occasione di questa intervista per porgere a tutti i suoi militanti ed alla sua leadership il mio saluto militante per il centesimo anniversario della sua fondazione.
 
 
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* SUPPORT FOR KOSOVO AS AN INTEGRAL PART OF THE REPUBLIC OF SERBIA / KOMUNISTIČKE I RADNIČKE PARTIJE SVETA DALE PODRŠKU PARTIJI „KOMUNISTI SRBIJE“ DA JE KOSOVO I METOHIJA SASTAVNI DEO REPUBLIKE SRBIJE
http://www.komunistisrbije.rs/komunisticke-i-radnicke-partije-sveta-dale-podrsku-partiji-komunisti-srbije-da-je-kosovo-i-metohija-sastavni-deo-republike-srbije/
Na 20. Međunarodnom sastanku Komunističkih i Radničkih partija Sveta koji je održan u Atini od 23-25.Novembra 2018. Godine, Partija „Komunisti Srbije“ pokrenula je inicijativu za podršku da je Kosovo i Metohija sastavni deo Republike Srbije.
U prilogu je prikazan spisak KP i RP koje su svojim potpisom dale podršku za ovu inicijativu. Ovi podaci su dostupni javnosti i na web sajtu
solidneta: www.solidnet.org

* KOMUNISTIČKA PARTIJA RUSKE FEDERACIJE IZDALA KNJIGU: OKTOBARSKA ZNAMENJA KOMUNISTIČKE PLANETE
 
 
http://www.komunistisrbije.rs/извештај-са-20-међународног-састанка-ко/

ИЗВЕШТАЈ СА 20.МЕЂУНАРОДНОГ САСТАНКА КОМУНИСТИЧКИХ И РАДНИЧКИХ ПАРТИЈА У АТИНИ

[ SLIKE: Hаша делегација са Владимиром Карченком из одељења за интернационалну сарадњу КПРФ

SLIKE: Наша делегација са Андреасом Бруксом генералним секретаром и Питером Хендy чланом ЦК Нове Комунистичке партије Британије

SLIKE: Наша делегација са другом Куцумбасом председником КПГ ]

Од 23. до 25. 11. 2018. године у Атини одржан је 20.МСКРП у организацији КП Грчке која је обележила 100.годишњи јубилеј свог историјског пута. Тема МСКРП је била: „Савремена Радничка класа и њен савез; Задаци њене политичке авангарде-комунистичких и радничких партија у борби против експлоатације и империјалистичких ратова, за права радника и народа за мир, за социјализам. Биле су присутне делегације из 90 земаља са свих конитината.

Делегати су осудили догађаје на међународном, регионалном и националном нивоу. Резмењена су мишљења и искуства стечена као резултат борбе партија у својим земљама заједнчким акцијама у претходном периоду, класној борби у својим срединама, њиховим напорима за зближавање радничке класе са другим народним и антимонополским слојевима.

У току рада било је објављено низ изјава солидарности са прогресивним снагама целога света. Наша делегација поднела је иницијативу да се пружи подршка Србији везано за Косово као саставни део Србије. Солиднет је подржао нашу иницијативу. Комунистичке и радничке партије дале су иницијативу за акције у наредном периоду:

  • Против империјалистичких ратова, интервенција и милитаризације,
  • У одбрани историје комунистичког покрета и вредности пролетерског интернационализма,
  • За учвршћивање интернационалне солидарности са народима који се боре против окупације империјалистичких претњи и интервенција,
  • Свеобухватна класна солидарност са борбом радника за радна, социјална, синдикална права и против агресивног капитала,
  • За права и еманципацију жена,
  • Борбу за политичку и синдикалну слободу и демократска права против фашистичких сила, реакционарних режима, расизма и ксенофобије, религиозне затуцаности и социјалног угњетавања.

КП Грчке је низом манифестација обележила свој јубилеј. Издвајамо изложбу историјског пута КПГ преко разних архивских материјала као и митинг у дворани „Мира и пријатељства“ у Атини коме је присуствовало 40 000 комуниста. На митингу је била присутна и наша делегација са својим партијским обележијима.

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http://www.komunistisrbije.rs/20-међународни-састанак-комунистичких/

20. МЕЂУНАРОДНИ САСТАНАК КОМУНИСТИЧКИХ И РАДНИЧКИХ ПАРТИЈА У АТИНИ

У периоду од 23. до 25. новембра ове године наша делегација у саставу другарица Аријана Колунџић и друг Дејан Јовановић заједно са још 90 делегација КП и РП из читавог света учествовали су на 20.МСКРП. Домаћин састанка била је КП Грчке (ККЕ) која је овом приликом обележила и 100 година од свог оснивања. Том приликом наша делегација поднела је следећи реферат:

Драги другови и другарице,

Велико ми је задовољство да у име партије “Комунисти Србије” и у име наше делегације поздравим учеснике 20.састанка Комунистичких и радничких партија. Желим посебно да се захвалим Комунистичкој партији Грчке и другу Димитросу Куцумбасу на инзваредним напорима које су уложили током припреме овог састанка и на свему што су учинили да се пријатно осећамо у Атини и честитам вам јубилеј 100 година од оснивања велике Комунистичке партије Грчке.

У дугој историји ККЕ наша партија изражава најискреније поштовање према комунистима Маркосовим партизанима који су се борили и гинули за слободу и социјализам. Колико су грчки партизани били уважавани показује друштвена организација села Буљкес, у Југославији. Кроз Буљкес је прошло 50 000 партизана углавном рањеника и њихових фамилија. У селу је важила грчка монета, имали су своју општинску управу, позориште, школе и новине, а Југословенска власт им је обезбеђивала квалитетније животне услове него својим грађанима. Солидарност међу комунистима некад је била на много већем нивоу него данас.

Тема даншњег састанка је веома важна за интересе и права радничке класе и комуниста као њихове авангарде. Она укључује и потребу остварења револуционарних, стратешких и тактичких активности на остваривању циљева и интереса радничке класе, а то је насилно рушење капитализма.

Савремена радничка класа подразумевајући целу њену структуру (раднике у производњи, промету, пољопривреди, образовању, здравству, науци и др.) је организована у бројне субјекте који не чине довољно напора за усклађивање активности ради остваривања циљева од интереса за припаднике радничке класе. За разлику од ње припадници капиталистичког система остварују висок степен јединства у супротстављању интересима рада, мира, а у интересу експлоатације, империјализма и против настојања за остваривање социјалистичког друштва и система.

На међународној сцени, у интересу капитала, присутно је непоштовање права на којем се заснива организација УН што је за последицу имало уништавање некад стабилних држава као што су биле Ирак, Либија, Сирија и др. у и-ме “демократије” при чему су прави интереси били експлоатација нафтних извора и других богатстава а у Европи разарање Југославије, а затим ради наводно “заштите” људских права и бомбардовање Србије без одлуке Савета безбедности.

На српској политичкој сцени присутан је велики број тзв. невладиних организација од којих је већина у функцији страног капитала и од њих финансирано.

Велики  је и број, за наше услове, регистрованих, искључиво буржоаских политичких партија (преко 90) од којих је више од половине партија националних мањина, што још више компликује јединственост радничке класе у остваривању њених интереса.

Власт је у име потенцијалног чланства у неофашистичкој ЕУ, а ради испуњења тражених елемената реализовала елиминисање друштвене својине предузећа (пљачкашким приватизацијама) и извшила укидање права радника, а све у интересу капитала. Раслојавање становништва на веома богате и већину сиромашних без постојања средње класе реализовано је и враћањем национализоване имовине.

Обједињеним послодавцима у јединствена удружења треба да парира организованост радника у комунистичке организације ради остваривања својих права, пошто су синдикалне организације у данашњим условима поткупљене са недовољно координације у активностима што такође одговара интересима капитала.

Велики проблем представља и информативна блокада у обавештавању о активностима наше партије што је производ приватизације  средства информисања које у највећем броју случајева такође делују по профитном систему.

Сложену ситуацију у нашим условима чини и то што под називом социјалистичких, комунистичких и радничких партија делују и један број организација које су у служби буржоазије и немају интерес за уједињавањем.

Авангарда своје активности мора базирати на стратешком циљу дефинисаном поставкама научног социјализма, марксизма и лењинизма што подразумева оружану револуцију, а после тога и диктатуру пролетеријата.

Следеће године у Београду заједно са комунистичким и радничким  партијама из Координационог одбора са простора Југославије обележићемо 100 година од оснивања славне Комунистичке Партије Југосалвије. Само 26 година од оснивања КПЈ са Маршалом Јосипом Брозом Титом на челу је сопственим снагама поразила фашисте, срушила капитализам и почела изградњу најхуманијег социјализма на свету. У револуцији је погинуло 50 000 чланова партије, 70 000 скојеваца и исто толико кандидата за партију. Једини критеријум за пријем у партију била је храброст у борбама. Ти комунисти су наши узори. Ми у Србији већ 28 година живимо у капитализму али због својих слабости и тешких услова у којима делујемо, ни данас ни у блиској будућности, нећемо имати снаге да поведемо народ у оружану револуцију. Зато нас је срамота. Међутим никада нећемо бити фалсификатори Марксизма-Лењинизма и нећемо лагати народ да се изборима може срушити капитализам. Све земље социјализма настале су у оружаним револуцијама. Оружана револуција је једини пут за праве комунисте. Сви они који нису за тај пут су или незналице или кукавице или отворено раде за интерс буржоазије. Очистимо своје редове од квазикомуниста. Подсетимо се Лењиновог става из “Државе и револуције”: “Смена буржоаске државе пролетерском немогућа је без насилне револуције”.

ЖИВЕО СВЕТСКИ КОМУНИСТИЧКИ ПОКРЕТ !

По повратку наше делегације из Атине објавићемо детаљан извештај са састанка.

Партија „Комунисти Србије“
 

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ODRŽAN XX. IMCWP I OBILJEŽAVANJE 100-te GODIŠNJICE OSNIVANJA KKE

29. studenoga 2018. / SRP
 
U Ateni je od 23. do 25. studenog održana 20. Konferencija komunističkih i radničkih partija, organiziranih u SOLIDNET-u.
Domaćin je bila Komunistička partija Grčke, koja je obilježila 100-tu godišnjicu osnivanja. Događaju se odazvalo 172 predstavnika 90 partija iz 71 zemlje. S jugoslavenskog prostora bili su predstavnici KP Makedonije, Komunista Srbije, NKPJ iz Srbije i Socijalističke radničke partije iz Hrvatske.
Konferenciju, radnog naziva: Suvremena radnička klasa i njeni savezi; zadaci njene političke avangarde – komunističke i radničke partije – u borbi protiv imperijalističkih ratova, za radnička i ljudska prava, za mir, za socijalizam, u prostorijama partije otvorio je drug Dimitris Koutsoumpas, generalni sekretar CK Komunističke partije Grčke. U dva dana, predstavnici svake od prisutnih partija imali su na raspolaganju 9 minuta da iznesu referat.. Intervencije su dostupne na web stranici SOLIDNET. SRP su predstavljali Vladimir Kapuralin i Kristofor Štokić. Intervencija SRP-a je u prilogu. 25. studenog je proslavljena 100. godišnjica osnivanja Komunističke partije Grčke KKE, koja je inicijalno do 1924. godine nosila ime Socijalistička radnička partija Grčke. Zvuči poznato.
Na početku radnog dijela proslave, odana je minutom šutnje počast kubanskom revolucionaru, političaru i predsjedniku Fidelu Castru, povodom dvije godine od odlaska sa životne scene. Poslije podne, gosti su razgledali bogatu izložbenu postavu koja je kronološki obuhvatila razdoblje koje je prethodilo osnivanju partije, osnivanje, period između dva svjetska rata, razdoblje građanskog rata 1946. – 1949. godine, poslijeratno doba progona i ilegale, situacija za vrijeme vladavine vojne hunte 1967. – 1974. godine i razdoblje nakon legalizacije 1974. godine. Jedan pano posvećen je demonstracijama grčkih komunista u Solunu za vrijeme NATO agresije na SR Jugoslaviju 1999. godine. Solunska luka je u to vrijeme korištena za dopremu vojnih oruđa i logistike, a grčki su komunisti vršili ometanja tokom transporta.
Navečer, održana je glavna političko-kulturna izvedba u Pireju, gdje je partija i osnovana. Manifestacija je održana u višenamjenskoj mega-dvorani „Mira i prijateljstva“, koju zbog njene veličine nazivaju Stadion. Pretpostavlja se da je u punoj dvorani predstavu s tribina i iz partera pratilo oko 20.000 prisutnih.
 
Zaključak

U vrijeme kada su velike komunističke partije zapada: KP Italije, Francuske i Španjolske, imale uticaj među radnicima i imale veliki broj članova, sljedbenika i simpatizera, a komunističke partije istoka započinjale socijalističku izgradnju ratom razorenih vlastitih država, grčki su komunisti i njihove porodice bili zatvarani, maltretirani, ili su spas morali potražit u emigraciji.
U vrijeme nakon dobrih startnih pozicija nakon završetka II sv rata, kad su spomenute partije zapada počele gubiti snagu i uticaj među radnicima, rastakane napuštanjem revolucionarnog puta, prihvaćanjem reformizma, dijaloga s građanskim partijama i kretanjem putem tzv.. Eurokomunizma, KKE je tek izlazila iz ilegale 1974. godine. Sve nakon toga je dobro poznata novija povijest.
KKE se poput mitske ptice Feniks uzdigao, savladao prepreke i danas slovi kao respektabilan politički subjekt na domaćoj političkoj sceni. Grčke komuniste ni tektonski kontrarevolucionarni društveno-politički procesi 90-ih godina prošlog stoljeća, kada su Komunističke partije socijalističkih zemalja mahom napuštale revolucionarni put i nestajale s političke scene, nisu skrenuli s revolucionarnog puta. Stoga mnogi grčku komunističku partiju na evropskom, a i širem, prostoru doživljavaju kao Pijemont komunističkog i radničkog pokreta. Ispravnost ili ne takve percepcije, potvrdit će povijest.
Bez ulaska u dublju analizu razloga zbog čega je to tako, već samo letimičan pregled događanja u svijetu govori o dosljednosti KKE kao političkog subjekta socijalističkoj ideji, odustajanja od svakog kompromisa s reformizmom i socijaldemokratskim natruhama i ustrajnom ostajanju na revolucionarnom putu. Sve to ne bi bilo dovoljno bez podrške narodnih i radničkih masa, koji nisu napustili klasnu viziju.
 
 
20. MEĐUNARODNA KONFERENCIJA KOMUNISTIČKIH I RADNIČKIH PARTIJA
IMCWP, ATENA 23.-25. XI. 2018.

http://www.solidnet.org/article/20-IMCWP-Written-Contribution-of-SWP-of-Croatia/

Dragi drugovi i prijatelji,

u ime Socijalističke radničke partije Hrvatske, u ime onih članica koordinacije komunističkih i radničkih partija s jugoslavenskog prostora koje nisu ovdje prisutne i u svoje lično ime, upućujem drugarski pozdrav svim prisutnima. Našim domaćinima, Komunističkoj partiji Grčke, upućujem izraze zahvalnosti za organizaciju ovog skupa koji nam omogućava da iznesemo svoja razmišljanja o aktualnoj situaciji i da zajedničkim snagama doprinesemo rješavanju problema koji nas okružuju. Posebno želim čestitati domaćinima, KKE, na jubilarnoj 100-toj godišnjici osnivanja Komunističke partije Grčke.

Frustrira saznanje da na početku XXI. Stoljeća, usprkos enormnom razvoju proizvodnih sredstava, tehnike i tehnologije, koja bi trebala omogućit dostojan život stanovnicima širom svijeta, mi smo još duboko ukopani u rovovima klasne podjele. Razlike između onih koji imaju previše i onih koji nemaju dovoljno za dostojan život, pa i osnovne životne potrebe, danas su veće od onih na početku XX. stoljeća. Iako je to posljedica nametanja hegemonije svjetskih financijskih centara moći predvođenih SAD-om, EU i NATO-om nad svima koji ne prihvaćaju njihovu imperijalnu dominaciju, to ne negira argument o evolucijskom zastoju ljudske svijesti u odnosu na druge osobine i čovjeku kao predatoru.

Urušavanjem socijalizma u Istočnoj Evropi, nestale su mnoge energije iz kojih je snagu i ideje crpio radnički i sindikalni pokret evropskog zapada pa su stečena prava i standard radnika niža. Osim toga, restrukturiranjem privrede, sve većim udjelom servisnog udjela rada u odnosu na onaj proizvodni, nepovoljno utiče na nivo revolucionarne svijesti zaposlenih. Rast nezaposlenosti, pad broja zaposlenih, sve veći udio zapošljavanja na određeno radno vrijeme u odnosu na neodređeno, obnavljanje radnih ugovora, često i na vrlo kratke intervale, uzrokuje trajnu nesigurnost radnika i dovodi do neprestanog smanjenja broja organiziranih radnika. Društvene mreže i spontane, često vrlo masovne, akcije radnika i nezadovoljnih građana nisu dovoljna zamjena za nedostatak svijesti i radničke solidarnosti, koji su danas, na puno nižoj razini od one prije jednog stoljeća. Radnici se sve manje identificiraju kroz klasni argument, a sve više kroz nacionalni i građanski. Za posljedicu imamo pojavu i jačanja ekstremističkih grupa, sve do eksplicitno fašističkih.

Socijalistička ideja se stigmatizira na svim razinama, u tome prednjače zemlje nekadašnjeg istočnog bloka, dodvoravajući se svojim novim gospodarima.

Evropa, Azija i Afrika poprišta su permanentnih ratnih sukoba i imperijalističkih agresija: Jugoslavija, Afganistan, Irak, Libija, Sirija, državni udar u Ukrajini od strane nacističkih organizacija direktno podržanih od Amerike i zapada. U svim tim slučajevima radi se o klasičnoj borbi za prostor s ciljem osvajanja tuđih teritorija na kojima se, po ustaljenom postupku, obara postojeća vlast i uspostavljaju podanički protektorati u kojima novopostavljena marionetska vodstva omogućavaju eksploataciju prirodnih resursa i infrastrukture, ali i korištenje novoosvojenog prostora u strateškom nadmetanju.

Sve te agresije ostavile su iza sebe enormna civilna stradanja i infrastrukturna razaranja koja su nagnala milione ljudi da napuste svoje domove i pokušaju naći spas u emigraciji. Ogroman broj njih je na tom putu stradao, dok je većina preživjelih upotrebljena u određenom vremenskom trenutku za proizvodnju najveće izbjegličke krize u Evropi, kojom se manipulira i koristi za političku trgovinu i ustupke.

Evropa nema pravo da se proglašava žrtvom terorističkih napada ili poplavom izbjeglica. To joj se samo poput bumeranga vraća ono u čijem stvaranju je i sama sudjelovala. Vjerno je izvršavala volju Amerike i podržavala i učestvovala u većini prljavih ratova protiv suverenih država, a prije toga je stoljećima kao kolonijalna sila izrabljivala širom Afrike, Bliskog istoka, Azije i obiju Amerika.

Već sam spomenuo jačanje radikalne desnice u Evropi. Ta je pojava postala dio svakodnevnice i u Hrvatskoj. I dok se ona u nekim evropskim zemljama pojavila kao odgovor na izbjegličku krizu i migracijske tokove ili kao izraz nezadovoljstva vazalnim odnosom matičnih država u odnosu prema Americi, u Hrvatskoj ima potpuno različito ishodište.

U Hrvatskoj afirmacija radikalne klerofašističke desnice nije posljedica protoka izbjeglica, on je protekao uglavnom bez većih potresa, nego je posljedica pobjede kontrarevolucije i secesije 90-ih godina prošlog stoljeća, posvemašnje revizije povijesti i restauracije slijednika poražene politike kolaboracionista u II. svjetskom ratu. Drugim riječima, malo blaži oblik događaja u Ukrajini.

Dakle, kapitalizam, koji je ispunio svoju povijesnu misiju, ne nudi više odgovore na potrebe čovječanstva i on stvara sve dublje društvene, političke, ali i ekološke krize, čime se određuje kao destruktivan poredak. Analiza te destrukcije nameće potrebu pomaka težišta akcije iz esencijalne sfere u egzistencijalnu. Kapitalizam je jedini sistem u ljudskoj povijesti koji je u stanju uništit čovječanstvo i to ne samo vojnim sredstvima, on uništava životvornost prirode i čovjeka. Ne uspije li čovječanstvo ukinuti kapitalizam, ukinut će on čovječanstvo. Naime, još pred jednim stoljećem Rosa Luxemburg je ustvrdila da je budućnost čovječanstva socijalizam ili barbarstvo.

Pred sobom imamo jedan vrlo organizirani stroj s jako dobro osmišljenom tehnologijom vladanja ljudima i borba protiv njega ne može biti stihijska nego organizirana.

Budući da su kritika i samokritika ugrađeni u same temelje djelovanja revolucionarne klasne ljevice, moramo pogledat istini u oči i ocijeniti naš udio odgovornosti za postojeće stanje. Sveprisutna nesloga, rivalstvo, personalne ambicije, fragmentacija do atomizacije na ljevici, multipliciranje broja organizacija s malobrojnim članstvom, oportunizam, skretanje s revolucionarnog puta i priklanjanje reformizmu i socijaldemokraciji, uz eksplicitnu podršku pojedinih komunističkih partija vojnim intervencijama, čini nas nepouzdanim i neozbiljnim osloncem za široke mase. Time direktno radimo u korist vlastite štete i pomažemo svojem klasnom neprijatelju. Condicio sine qua non bilo kakvog pomaka u toj borbi je prevladavanje postojećih podijeljenosti na klasnoj osnovi.

Uvjereni smo da će i izlaganja ostalih sudionika konferencije ukazati na probleme s kojima se naše partije susreću i da ćemo iz tih činjenica odredit pravce naših budućih djelovanja, a ono mora biti usmjereno ka jačanju međusobne suradnje. Raduje me da vas mogu obavijestiti da na području nekadašnje Jugoslavije od 2011. godine djeluje Koordinacija komunističkih i radničkih partija, koju trenutno čine po jedna partija iz svake nekadašnje republike.

Hvala na pažnji!

Vladimir Kapuralin

Atena, 23.-25. XI. 2018.
 
 
Da Rajko Blagojević della Udruzenje Medjunarodna Radnička Solidarnost di Kragujevac riceviamo e volentieri diffondiamo le seguenti sintesi sulla situazione generale socio-economica in Serbia e sugli sviluppi alla fabbrica ex-Zastava oggi FIAT-Chrysler (FCA) di Kragujevac.
 
Sulla situazione in Serbia si veda anche l'articolo di Enrico Vigna pubblicato nel settembre 2018 a questi link:
 
 

SERBIA – SITUAZIONE ATTUALE

 

Alcuni giorni fa all’indirizzo di ogni pensionato in Serbia è arrivata lettera di ringraziamento firmata dal presidente serbo Aleksandar Vučić nella quale lui ringrazia pensionati per la pazienza, la responsabilità, il rispetto e l’affetto verso patria dimostrato nel periodo precedente e perchè con il loro sacrificio e rinuncio di una parte della loro pensione si è potuto garantire il futuro dei nostril figli..

Le reazioni sono state più che accese per vari motivi. Innanzitutto il mittente è il partito radicale serbo il cui logotipo si trova sulla busta. Poi, è noto che solo Fondo pensionistico possiede evidenza sui pensionati mentre con la legge su privacy (protezione dei dati sulle persone) sono protetti i dati di ogni singolo cittadino e cosi anche del pensionato. Ed infine, i pensionati non accettano il fatto che il governo senza chiedere il loro consenso, dal 2014 fino ad oggi, aveva tolto 10 % dalle pensioni, in base ai criteri completamente sconosciuti. Perciò tale lettera viene vista da loro come offesa perchè le pensioni sono una proprietà acquisita come è noto a tutti.

In Serbia ci sono 2.583.000 impiegati e 1.720.000 pensionati che sono  nella fascia più vulnerabile della popolazione secondo i dati ufficiali. La pensione minima di 14.338,00 dinari (120 euro) ricevono perfino 290.000 pensionati mentre cca 663..000 pensionati ricevono meno di 25.000,00 dinari (210 euro).

La situazione non è rosea nemmeno per quelli che lavorano nonostante il fatto che il governo attuale continua a dichiarare che la Serbia sia un leader economico nei Balcani e che tutto “vada molto bene per noi.”

Al contrario, la realtà ci dimostra che con salario medio stiamo quasi ultimi d’Europa e da anni non ci spostiamo con la crescita economica trascurabile.

Non sorprende il dato che 25,6 % della popolazione (uno su quattro) vive sotto la soglia di povertà e più in rischio sono i giovani tra i 18 – 26 anni. La maggioranza di quelli che lavorano ricevono il salario minimo (cca 200 euro), lavorano tramite agenzie interinali “importate” dall occidente, non osano costruire proprie famiglie, non hanno casa loro e vivono dai genitori.

Il tenore di vita e dimostrato dal paniere mensile calcolato per una famiglia di quattro componenti. Per cibo, bollette, tasse, materiale igienico, istruzione, trasporto, farmaci necessita spendere circa 110.000,00 dinari (920 euro). Siccome il salario medio risulta di 46.000,00 dinari (390 euro) e se supponiamo che tutti e due genitori lavorino (???) risulta che ogni mese mancano circa 18.000,00 dinari (140 euro). I calcoli sono fatti  per salario medio statistico e cosa dire per la famiglia in cui genitori ricevono il salario minimo di 24.800,00 dinari (cca 200 euro) che è il caso di maggioranza dei lavoratori nel settore industriale.

Un altro dato significativo – in Serbia ci sono 76 “cucine popolari” dove si distribuisce un pasto gratuito al giorno alle persone che non hanno nessun sussidio.

I giovani laureati che non vedono un futuro promettente studiano il tedesco ed il norvegese sperando di costruire la vita fuori Serbia. Il dato ufficiale dimostra  che in questo secolo dalla Serbia sono andati via 486.940 cittadini.

 

FIAT – SITUAZIONE ATTUALE

 

In Serbia, uno stato dove si vive con costanti problemi e sotto stress, non fa grande notizia che il 23 novembre la Fiat ha sospeso produzione e che i lavoratori di tutti e due turni sono mandati in ferie lunghe, più probabilmente entro metà gennaio 2019. Oltre ferie di Capodanno i lavoratori saranno pagati 6 giorni con 65 % che significa i salari di dicembre ridotti. Tutto sommato i lavoratori Fiat nell’anno 2018 sono stati a casa 40 giorni.

Non è la prima volta che la Fiat cessa la produzione prima delle feste natalizie però i lavoratori sono preoccupati perchè questa volta è successo con un mese di anticipo e perchè la direzione si è decisa per un mese intero invece di più interruzioni periodiche come si faceva in precedenza. Viene spiegato che il motivo è la richiesta del mercato calata e com’è già noto la Fiat non produce scorte ma si adegua alle richieste del mercato.

Questa interruzione porta all’interruzione di produzione dell’indotto. Quando sarà ripresa la produzione non si sa.

Il sindacato in Fiat con segretario Zoran Marković fa pressioni costanti su premier Ana Brnabić di dare informazioni sul futuro della fabbrica. La premier aveva promesso che il management della Fiat avrebbe presentato i piani per i 5 anni successivi entro fine 2018 e non oltre i primi di gennaio 2019.

Ricordiamo che Fiat Chrysler Automobili il 1. giugno in Italia e poi il 29. settembre a Kragujevac (dopo la scadenza del contratto stipulato per 10 anni) ha pubblicato che la produzione a Kragujevac sarebbe continuata. Oltre al modello standard 500L sarebbe prodotta anche la versione ibrida e quella con elettromotore mentre la produzione di un modello completamente nuovo dovrebbe iniziare nella seconda metà del 2019.

Ricordiamo il grande sciopero nel 2017 quando gli operai non contenti delle condizioni di lavoro, della non adeguata organizzazione del lavoro e  dei salari bassi, hanno abbandonato i posti di lavoro ed hanno scioperato prima in fabbrica e poi davanti al Comune. Allora la premier Brnabić ha dichiarato rivolgendosi agli operai "forse il salario di 42.000 dinari (350 euro) non vi basta per la vita però se la Fiat se ne va avrete ZERO dinari e verrete di nuovo davanti al governo serbo per chiedere risoluzione del problema."

Tale posizione della premier dimostra in quale categoria sono lavoratori in industria. Ha altresì dichiarato che lo sciopero era una vergogna perchè i loro posti di lavoro erano pagati con soldi di tutti i cittadini serbi. Questo è vero perchè ha pensato alle enormi sovvenzioni che sono state date alla Fiat nei 10 anni precedenti.

Tenendo presente tutto questo ci chiediamo se il problema consiste in un contratto nuovo tra la Fiat e lo stato serbo? Non è un segreto che  il management di Torino vorrebbe il contratto senza modificare quello precedente. Il governo serbo però, che parecchie volte ha criticato il governo precedente per questo contratto, ritiene che alla Fiat non debbano dare agevolazioni cioè che la Fiat debba iniziare a versare i contributi per 2500 lavoratori con tutti i dazi, tasse e IVA. Con tale contratto nuovo anche la città di Kragujevac potrebbe finalmente avere qualche vantaggio che finora non aveva. Ciò si riferisce anche al terreno che la fabbrica occupa – 140 ettari e le fabbriche dell’indotto – 30 ettari, che sono di proprietà del Comune di Kragujevac.

Nel 2017 la Fiat ha prodotto e venduto 65.000 delle 500L (le capacità produttive sono per 180.000 unità) mentre i dati per l’anno 2018 non sono ancora pubblicati ma si sa già che il numero sarà ridotto.

Lo stato serbo partecipa con il 33% del capitale. Nella fabbrica sono stati investiti 1,3 miliardi di euro però è un dato sconosciuto quanto è stato investito da ciascuna delle parti.

 

Rajko Blagojević

29.11.2018.

 

[[ https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8972 ]]

(srpskohrvatski / italiano)
 
Cento anni di Jugoslavia
 
1) Cent’anni di Jugoslavia (Giorgio Fruscione)
2) 100 Godina od osnivanja Jugoslavije (Komunisti Srbije)
 
 
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Cent’anni di Jugoslavia

di Giorgio Fruscione – East Journal, 30 novembre 2018

Da BELGRADO – Domani ricorre il centenario della proclamazione dell’unione di serbi, croati e sloveni in un unico regno, ovvero la Jugoslavia, come verrà ufficialmente rinominato il paese nel 1929.
 

La nascita del Regno di Serbi, Croati e Sloveni può considerarsi l’esito più politicamente rilevante della Prima guerra mondiale per la regione balcanica. Uno degli artefici della realizzazione dell’unione, re Aleksandar Karadjordjevic – che si guadagnerà l’epiteto di “unificatore” – sostenne personalmente che l’obiettivo principale dell’esercito serbo nella Grande Guerra fosse quello di arrivare a una liberazione degli slavi nel sud e alla costruzione della Jugoslavia.

D’altronde, la Jugoslavia viene spesso erroneamente fatta coincidere quasi esclusivamente con la successiva federazione di Tito, che invece non è che una delle realizzazioni di quell’ideale – lo jugoslavismo, appunto – nato circa un secolo prima la stessa Jugoslavia socialista.
Un errore che si accompagna a quello di ritenere la Jugoslavia come un ideale e uno strumento a servizio della politica “granserba”. Lo dimostrano l’attività letteraria e artistica di molti croati che fondarono il movimento culturale jugoslavo, che vide una moltitudine di collaborazioni sull’asse Belgrado-Zagabria. Ne è esempio Ljudevit Gaj, che nella seconda metà dell’Ottocento collaborò con Vuk Karadzic, padre della riforma della lingua serba, arrivando insieme a gettare le basi della futura lingua serbo-croata. E ancora lo scultore Ivan Mestrovic, amico personale di re Aleksandar, a cui corse in aiuto con le sue sculture per plasmare un’identità jugoslava attraverso monumenti in ricordo di quell’epopea che fosse interpretabile in chiave unificatrice – come la tomba del milite ignoto costruita sul monte Avala nel primo dopoguerra, ornata da cariatidi che indossano abiti tradizionali di tutte le regioni del nuovo regno. Sia Gaj che Mestrovic furono, a loro modo e in due distinti periodi storici, sia croati che jugoslavi, ovvero promotori di un’identità trasversale.

Da quel primo dicembre 1918 passarono quasi venticinque anni quando si arrivò alla seconda Jugoslavia. Ieri è infatti ricorso anche il settantacinquesimo anniversario dalla seconda seduta dell’AVNOJ, il consiglio antifascista jugoslavo, che nel 1943 a Jajce (Bosnia-Erzegovina) in piena Seconda guerra mondiale diede vita alla federazione jugoslava guidata dai partigiani di Tito.

Il sottile filo rosso che collega re Aleksandar al maresciallo Tito è a malapena percettibile. Un serbo e un croato; un monarca e un comunista; uno per lo stato centralizzato e l’altro per la federazione. Eppure Aleksandar e Tito furono due autentici interpreti della Jugoslavia. Entrambi imposero una dittatura personale nel nome del bene comune, ponendo insomma la propria autorità a ruolo di arbitri e garanti dell’ordine multinazionale, affinché non prevalesse un gruppo nazionale sugli altri. Non fu facile, soprattutto per Aleksandar.

Il cambio del nome in Regno di Jugoslavia del 1929 fu solo l’inizio della cosiddetta “Dittatura del 6 gennaio”, quando il re sciolse il parlamento, dichiarò illegali tutti i partiti politici e impose un rigoroso jugoslavismo. Fu l’estrema risposta all’attentato nel parlamento di Belgrado che pochi mesi prima portò alla morte di Stjepan Radic, leader del movimento contadino croato, in seguito alle ferite da arma da fuoco per mano del deputato nazionalista serbo Punisa Racic.
La dittatura finì con l’aumentare la rabbia nazionalista.. Il 9 ottobre del 1934, durante una visita a Marsiglia, re Aleksandar fu vittima di un attentato mortale ochestrato da nazionalisti croati (poi conosciuti col nome di “ustascia”) e macedoni del VMRO, organizzazione politico-militare che ambiva alla grande Bulgaria. Le sue ultime parole, negli istanti successivi all’attentato, furono: “Prendetevi cura della mia Jugoslavia”.

Gli errori di Aleksandar facilitarono in parte Tito, che impostò la Jugoslavia socialista su una maggiore uguaglianza tra i popoli – riassunta dal motto Unione e Fratellanza – e che spesso viene interpretata, anche in questo caso erroneamente, come l’applicazione della formula “una Serbia debole, per una Jugoslavia potente”. Fu vero il contrario, non solo per la Serbia, ma per tutte le repubbliche. E forse è per questo che vollero, così violentemente, emanciparsi da Belgrado a partire dal 1990, quando dieci anni dopo la morte del maresciallo finì il potere della Lega dei Comunisti Jugoslavi.

Per la Jugoslavia, quindi, non funzionò il centralismo e nemmeno il decentramento dei poteri, la monarchia e neanche il comunismo. Eppure, furono due entità che a modo proprio funsero da contenitore a un insieme di autentiche attività artistiche e culturali – per non parlare della crescita economica raggiunta con il socialismo dell’autogestione tra gli anni Cinquanta e Settanta – di cui tutt’oggi abbiamo traccia.

La Jugoslavia e lo jugoslavismo, oggi, sono una sorta di sopravvivenza contro la storia. E non si tratta solo di jugonostalgia, identificabile come un rammarico più o meno politico per il periodo di Tito; o di “jugosfera”, apparato di legami culturali e commerciali che, come sostiene l’esperto Tim Judah, tiene ancora in vita i rapporti tra gli ex della Jugoslavia. Si tratta anche e soprattutto di un’identità che resiste. Nell’instancabile rock jugoslavo che ancora riempie gli stadi a Zagabria e Belgrado; nel successo di quel cemento “brutalista” contro la ghettizzazione urbana; o, più semplicemente, nei discorsi da bar di quegli appassionati di sport che, puntualmente ad ogni mondiale, iniziano sempre con la frase “che squadra che avrebbe oggi la Jugoslavia…”

 
 
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100 GODINA OD OSNIVANJA JUGOSLAVIJE

U organizaciji Udruženja Jugoslovena iz Lajkovca održana je proslava 100 godina od formiranja Kraljevine SHS, na kojoj je prisustvovala i naša delegacija.
 

REFERAT PARTIJE “KOMUNISTI SRBIJE”

Drugarice i drugovi u ime partije KOMUNISTI SRBIJE pozdravljam sve prisutne i zahvaljujemo se udruženju JUGOSLOVENA iz Lajkovca i predsedniku istog Vlastimiru Jevtiću koji je ujedno i član CENTRALNOG KOMITETA naše partije na organizaciji ove jubilarne manifestacije i gostoprimstvu.

Komunisti Srbije su revolucionarna marksističko-lenjinistička partija čvrste jugoslovenske orijentacije. Mi ne priznajemo razbijanje Jugoslavije  i borimo se za njenu reintegraciju u AVNOJEVSKIM granicama. Mi nismo jugo-nostalgičari mi smo jugo-futuristi. Svedoci smo danas da se falsifikuje istorija i da se rehabilituju ratni zločinci i saradnici fašističkog okupatora od razbijanja SFRJ. U Srbiji je preko 2000 ratnih zločinaca i kvinslinga rehabilitovano što predstavlja sramotu za našu državu. Pre 100 godina osnovana je zajednička država južnih slovena, ali obzirom da je bila monarhija i da je na vlasti bila reakcionarna buržoazija kojoj nije bilo u interesu da reši ni nacionalno ni socijalno pitanje nije ispunila velika očekivanja naroda i narodnosti. Kraljevina Jugoslavija je posle Albanije bila najsiromašnija država u Evropi što važi i za Srbiju danas koja se vratila 100 godina unazad. Tek je pobedom u NOB-u i socijalističkoj revoluciji predvođena slavnom KPJ i maršalom Josipom Brozom Titom na čelu ostvarila vekovni san jugoslovenskih naroda i narodnosti u okviru SFRJ da žive slobodno i ravnopravno u najhumanijioj državi na svetu. Socijalistička Jugoslavija je bila uvažavana i respektovana u čitavom svetu a njenog lidera druga Tita konsultovali su najzačajniji svetski lideri za rešavanje brojnih međunarodnih konflikata i kriza u Svetu. Današnje državice na prostoru eks Jugoslavije ne predstavljaju nikakav faktor na međunarodnoj političkoj sceni a njihovi lideri su obični politički šarlatani. Primer za to je najnovije poniženje koje je doživeo predsednik Srbije u Parizu na proslavi 100 godina od pobede saveznika u Prvom svetskom ratu.

Samo u socijalističkoj Jugoslaviji,naši narodi i narodnosti mogu povratiti slobodu, ravnopravnost i socijalnu sigurnost.

SMRT FAŠIZMU – SLOBODA NARODU !

 



I veri Bush

Proponiamo un commento di Pino Cabras, parlamentare M5S, su George Bush. Nel fiume di retorica totalmente acritica, se non addirittura agiografica, questo è uno dei pochi commenti che merita di essere letto.

3 Dicembre 2018

di Pino Cabras

In morte dell’ex presidente USA George Herbert Walker Bush (1924-2018), si stanno già sprecando i commenti giornalistici e istituzionali che ne esaltano la figura. Preparatevi a una scorpacciata di buone parole e santificazioni postume. Molti commentatori che quando parlano di Putin aggiungono sempre in automatico, quasi fosse un secondo cognome, la formula «ex-spia-del-Kgb», trascureranno, altrettanto in automatico, un dettaglio biografico che riguarda Bush, l’essere stato direttore della Cia.
Trascureranno cioè una qualificazione più accurata di uno dei quadri dirigenti della guerra fredda, un personaggio emblematico di un sistema che ha plasmato l’infrastruttura imperiale americana. L’appartenenza di Bush ai settori più opachi delle classi dirigenti statunitensi non è insomma una nota a margine della Storia, un incidente di percorso, una piccolezza, bensì la chiave per capire il suo ruolo con sufficiente respiro storico. Ho letto anni fa il documentatissimo saggio di Russ Baker “Family of Secrets” (Bloomsbury, 2008), che ripercorre l’incredibile galleria di azioni sporche collegabili in episodi decisivi della storia USA a quel gruppo patrizio di cui i Bush sono una componente centrale.

Poiché nei fatti quella dei Bush è una dinastia, come per tutte le dinastie ci si deve muovere dai patriarchi, a partire dal nonno del defunto, ossia Samuel Prescott Bush, tra il 1914 e il 1918 un fedelissimo di Percy A. Rockfeller (padrone della City Bank e della Remington Arms Co.), amministratore della War Industries Board (industria a produzione militare che si espanse moltissimo grazie alla prima guerra mondiale), socio del magnate della finanza Bernard Baruch e del ‘banchiere nero’ Clarence Dillon , habitué dei circoli esclusivi dell’alta finanza che originarono il CFR (Council of Foreign Relations).

Si deve poi passare a suo figlio (e padre del defunto), Prescott Sheldon Bush, amministratore e socio della Union Banking Corporation (UBC) [Ben Aris, Duncan Campbell, “How Bush’s grandfather helped Hitler’s rise to power,” «The Guardian», 25 settembre 2004. http://www.guardian.co.uk/usa/story/0,12271,1312540,00.html.] Il suo partner più importante in Germania era l’industriale nazista Fritz Thyssen: la banca fu fondata per finanziare la riorganizzazione dell’industria tedesca. Investiva ad esempio nell’Overby Development Company e nella Silesian-American Corporation (diretta dallo stesso Bush), da cui l’industria bellica di Hitler si approvvigionava di carbone anche dopo l’entrata in guerra degli USA. Investiva inoltre nella compagnia di navigazione Hamburg-Amerika Line (poi denominata Hapag-Lloyd dopo la fusione con un’altra società), le cui navi, negli anni trenta, fornivano le milizie naziste di armi provenienti dagli Stati Uniti. L’attivismo del senatore Prescott Sh. Bush fu premiato: venne insignito dal regime nazista dell’‘Aquila tedesca’. Il certificato di attribuzione di questa onorificenza in data 7 marzo 1938 fu firmato da Adolf Hitler e dal segretario di Stato Otto Meissner, come risulta dagli archivi del Dipartimento della Giustizia statunitense. Nel corso del 2001 sono venuti a galla dei documenti impressionanti sui traffici di Prescott Sh. Bush. Queste recenti ricerche dimostrano che quel Bush installò una fabbrica nei pressi di Auschwitz, dove lavorarono, ridotti in schiavitù, i prigionieri dei vicini campi di concentramento [Gli archivi vennero compulsati da John Loftus, presidente del Florida Holocaust Museum. Si veda Toby Rodgers, “Heir to the Holocaust, How the Bush Family Wealth is Linked to the Jewish Holocaust”, in «Clamor Magazine», maggio-giugno 2002.]

La nostra attenzione a questo punto può finalmente spostarsi su George Herbert Walker Bush, vicepresidente nell’amministrazione Reagan (1981-1989) e poi 41° presidente degli Stati Uniti (1989-1993). I suoi vasti interessi in zone oscure della morale politica hanno spaziato dalla copertura di certi traffici di droga a quelli di armi e petrolio, solo a stare alla vicenda Iran-Contra.

Citiamo alcuni passaggi di questa sfolgorante e spregiudicata carriera. Seguendo le orme dei suoi familiari, George debutta molto presto nei circoli anticomunisti dell’alta finanza nordamericana. Oltre ad aver occupato le massime cariche alla Casa Bianca, il suo cursus honorum lo vede fra i coordinatori del fallito sbarco nella Baia dei Porci a Cuba nel 1961, poi punto di riferimento del narco-dittatore panamense Noriega, infine superconsulente di Carlyle Group , ossia uno dei principali azionisti di molti fornitori delle forze armate americane. Ma fu anche direttore della CIA tra il 1976 e il 1977. Tra il 1981 e il 1986 – da vicepresidente degli Stati Uniti – Bush selezionò decine di figure chiave dell’amministrazione coinvolte in colossali traffici nel mercato internazionale della droga.

Nello stesso periodo, e anche questa è cosa ben nota, furono molto fitti e costanti i rapporti tra la famiglia Bush e quella bin Lāden (tanto che entrambe hanno ricoperto posizioni rilevanti nel Carlyle Group). Khalifa, Bin Mafouz, Salem bin Lāden (fratellastro di Osāma) erano nel consiglio di amministrazione della BCCI quando scorrevano immensi flussi di denaro per l’affare Iran-Contra. Quando, alla fine del 1980, alcuni emissari repubblicani s’incontrarono in segreto a Parigi con i khomeinisti moderati per far rimandare il rilascio degli ostaggi americani a Teheran e sconfiggere così Jimmy Carter alle elezioni, George padre arrivò in tutta fretta al vertice a bordo dell’aereo di Salem bin Lāden. I bin Lāden investirono nel Carlyle Group circa 1,3 miliardi di dollari e James Baker, a capo dello staff di Bush Senior, ha ammesso ufficialmente che Bush ha incontrato i bin Lāden anche nel novembre 1998 e nel gennaio del 2000.

Possiamo dunque cogliere già con pochi cenni che questo pezzo di “patriziato americano” rappresentato dalla dinastia dei Bush si tramanda una grande spregiudicatezza nei rapporti di potere con presunti nemici. Dentro le guerre, dentro i grandi affari dell’industria a produzione militare, dentro le consorterie di petrolieri che brindano all’uccisione dei Kennedy e al trionfo delle petromonarchie.

Sono strutture di potere che durano al di là delle singole persone, al punto che perfino una persona di ridottissime capacità come George W. Bush, figlio di George Herbert Walker Bush, è riuscito poi a diventare anche lui presidente, orgogliosamente dichiaratosi «a president of war» e dunque corresponsabile dei grandi disastri bellici di cui oggi ereditiamo le conseguenze.

Non uniamoci perciò alle canonizzazioni di Bush. Misuriamo semmai la serietà dei giornali dalla capacità di farne il vero ritratto.