Informazione

Discorso del Presidente del Venezuela, Hugo Chavez,
alla sessione per 60.mo anniversario dell'ONU


Eccellenze, amiche e amici, buon pomeriggio:

Il proposito originale di questa riunione è stato completemente
sviato. Ci hanno imposto come centralità del dibattito un male
chiamato processo per le riforme che relega in secondo piano ciò che è
più urgente, ciò che i popoli del mondo reclamano con urgenza, come
l'adottare misure per fronteggiare i veri problemi che ostacolano e
impediscono gli sforzi dei nostri paesi per lo sviluppo e la vita.

Cinque anni dopo il Summit del Millenio, la cruda realtà è che la gran
parte delle mete designate, nonostante fossero già di per sé
modestissime, non saranno raggiunte.

Pretendevamo di ridurre alla metà 842 millones di affamati entro il
2015. Al ritmo attuale la meta si raggiungerebbe nel 2215, vedremo chi
di noi sarà lì per celebrarla, posto che la specie umana riesca a
sopravvivere alla distruzione che minaccia il nostro ambiente.

Avevamo proclamato l'aspirazione di raggiungere per il 2015 la meta
della scuola dell'obbligo universale. Al ritmo attuale la meta si
raggiungerà dopo il 2100, prepariamoci dunque a celebrarla.

Questo, amiche e amici del mondo, ci conduce irreversibilmente a
un'amara conclusione: le Nazioni Unite hanno esaurito il loro modello,
e non si tratta semplicemente di procedere a una riforma, il XXI
secolo reclama cambiamenti profondi che sono possibili solo con una
rifondazione di questa organizzazione. Quella attuale non ci serve,
bisogna dirlo, è la pura verità.

Per le trasformazioni, alle quali dal Venezuela ci riferiamo, il mondo
scandisce, dal nostro punto di vista, due tempi. L'immediato, quello
del qui e subito; e quello dei sogni, dell'utopia. Il primo è segnato
dagli accordi presi dal vecchio schema, non lo rifiutiamo, e estraiamo
persino proposte concrete all'interno di questo modello a breve
scadenza. Tuttavia il sogno di quella pace mondiale, il sogno di un
"noi" che non ci faccia vergognare per la fame, la malattia,
l'analfabetismo, la necessità estrema, necessita -oltre che di radici-
di ali per volare. Sappiamo che vi è una globalizzazione neoliberista
distruttiva, ma vi è anche un mondo interconnesso che dobbiamo
affrontare non come un problema ma come una sfida, possiamo, sulla
base delle realtà nazionali, intercambiare conoscenza, complementarci,
integrare mercati, ma al tempo stesso dobbiamo intendere che vi sono
problemi che ormai non hanno più soluzione nazionale, né una nube
radioattiva, né i costi mondiali, né un'epidemia, né il riscaldamento
del pianeta o il buco dell'ozono sono problemi nazionali. Mentre
progrediamo verso un nuovo modello delle Nazioni Unite che faccia suo
e vero questo "noi" dei popoli, vi sono quattro riforme urgenti e
irrinunciabili che estrapoliamo da questa Assemblea. La prima è
l'espansione del Consiglio di Sicurezza tanto nelle sue categorie
permanenti come nelle non permanenti, permettendo l'entrata a nuovi
paesi sviluppati e a paesi in via di sviluppo come nuovi membri
permanenti. La seconda, è il necessario miglioramento dei metodi di
lavoro per aumentare la trasparenza e non per ridurla, per aumentare
l'inclusione. La terza, consiste nella soppressione immediata -lo
diciamo da anni dal Venezuela- del veto nelle decisioni del Consiglio
di Sicurezza, questa vestige elitaria è incompatibile con la
democrazia, incompatibile anche solo con l'idea di uguaglianza e di
democrazia.

In quarto luogo il rafforzamento del ruolo del Segretario Generale, le
sue funzioni politiche nell'ambito della democrazia preventiva, deve
essere consolidato. La gravità dei problemi chiama a trasformazioni
profonde, le mere riforme non bastano per recuperare il "noi" che
aspettano i popoli del mondo, al di là delle riforme reclamiamo dal
Venezuela la rifondazione delle Nazioni Unite, e come ben sappiamo in
Venezuela, grazie alle parole di Simón Rodríguez, il Robinson di
Caracas: "O inventiamo o sbagliamo".

Nella riunione del passato gennaio di quest'anno 2005 al Social Forum
Mondiale di Porto Alegre, diverse personalità hanno chiesto che la
sede delle Nazioni Unite uscisse dagli Stati Uniti se continuano le
violazioni della legalità internazionale da parte di questo paese.
Oggi sappiamo che non sono mai esistite armi di distruzione di massa
in Iraq, il popolo statunitense è sempre stato molto rigoroso
nell'esigere la verità ai propri governanti, i popoli del mondo anche:
non ci sono mai state armi di distruzione di massa e malgrado ciò, e
al di sopra delle Nazioni Unite, l'Iraq è stato bombardato, occupato e
continua ad esserlo. Perciò proponiamo a questa Assemblea che le
Nazioni Unite escano da un paese che non rispetta le risoluzioni di
questa Assemblea. Altre personalità, allo scorso Social Forum, hanno
proposto come alternativa una Gerusalemme trasformata in città
internazionale. E' una proposta che racchiude la generosità di
proporre una risposta al conflitto che vive la Palestina, ma forse ha
spigolosità che rendono difficile portarla a compimento. Per questo
portiamo qui un'altra proposta, ancorata nella "Lettera di Giamaica",
che scrisse Simón Bolívar, il grande Liberatore del Sud, in Giamaica,
nel 1815, 190 anni orsono. Lì, Bolívar propose la creazione di una
città internazionale che servisse come sede all'idea dell'unità che
pianificava. Bolívar era un sognatore che sognò ciò che oggi è la
nostra realtà.

Crediamo che sia tempo di creare una città internazionale aliena alla
sovranità di qualsivoglia Stato, con propria forza morale per
rappresentare le Nazioni del mondo, ma questa città internazionale
deve riequilibrare cinque secoli di disequilibrio. La nuova sede delle
Nazioni Unite dovrà essere al Sud. "Anche il Sud esiste!" ha detto
Mario Benedetti. Questa città che può essere già esistente, o possiamo
inventarla, potrebbe trovarsi laddove sono collocate varie frontiere o
in un territorio che simbolizzi il mondo, il nostro Continente è a
disposizione per offrire il suolo sul quale edificare l'equilibrio
dell'universo del quale parlò Bolívar en 1825.

Signore, signori, affrontiamo oggi una crisi energetica senza
precedenti, in un mondo nel quale si combinano pericolosamente un
inarrestabile incremento del consumo energetico, l'incapacità di
aumentare l'offerta di idrocarburi e la prospettiva di un declino
delle riserve provate di combustibili fossili. Inizia a scarseggiare
il petrolio.

Nel 2020 la domanda diaria di petrolio sarà di 120 milioni di barili
il che significa, anche senza tenere conto della futura crescita della
domanda, che si consumerà in 20 anni una quantità simile a tutto il
petrolio che l'umanità ha consumato fino ad ora, ciò significherà
inevitabilmente un aumento delle emissioni di diossido di carbonio
che, come si sa, incrementa ogni giorno la temperatura nel nostro pianeta.

Katrina è stato un doloroso esempio delle conseguenze che può
provocare l'uomo ignorando queste realtà. Il riscaldamento degli
oceani è, a sua volta, il fattore fondamentale che sta dietro il
terribile incremento nella forza degli uragani che abbiamo visto negli
ultimi anni. Cogliamo l'occasione per trasmettere ancora una volta il
nostro dolore al popolo degli Stati Uniti, che è un popolo fratello ai
popoli dell'America e ai popoli del mondo.

In pratica, è eticamente inammissibile sacrificare la specie umana
invocando in modo demenziale la vigenza di un modello socioeconomico
con una galoppante capacità distruttiva. E' suicida insistere nel
disseminarlo e imporlo come rimedio infallibile per i mali di cui esso
è, precisamente, la principale causa.

Poco tempo fa il signor Presidente degli Stati Uniti nel corso di una
riunione dell'Organizzazione degli Stati Americani, ha proposto
all'America Latina e ai Caraibi di incrementare le politiche di
mercato, l'apertura al mercato, vale a dire, il neoliberismo, quando
questo è precisamente la causa fondamentale dei grandi mali e delle
grandi tragedie che vivono i nostri popoli: il capitalismo
neoliberista, il Consenso di Washington che lo ha generado è il
maggior responsabile di miseria, diseguaglianza e tragedia infinita
dei popoli di questi continenti.

Ora più che mai abbiamo bisogno, signor Presidente, un nuovo ordine
internazionale. Ricordiamo che all'Assemblea Generale delle Nazioni
Unite, celebrata nel 1974, alcuni di quelli che sono qui non erano
ancora nati o erano molto giovani.

Nel 1974, 31 anni fa, si adottò la dichiarazione e il programma di
azione del nuovo Ordine Economico Internazionale, insieme al piano di
azione l'Assemblea Generale adottò, il 14 dicembre di quel medesimo
1974, la Carta dei Diritti e dei Doveri Economici degli Stati che rese
concreto il Nuovo Ordine Economico Internazionale. Esso fu approvato
con la schiacciante maggioranza di 120 voti a favore, 6 contro e 10
astenzioni. Ciò accadde quando ancora si votava alle Nazioni Unite.
Ora qui non si vota più, ora qui si approvano i documenti come questo
documento che denuncio a nome del Venezuela, nullo e illegale, perché
viola la normativa delle nazioni Unite, questo non è un documento
valido! Bisogna discutere questo documento, il Governo del Venezuela
lo farà conoscere al mondo, ma nel frattempo noi non possiamo
accettare la dittatura aperta e schiacciante delle Nazioni Unite,
queste cose sono fatte per essere discusse e a questo proposito mi
appello molto rispettosamente ai miei colleghi Capi di Stato e Capi di
Governo.

Questo documento, scritto solo in inglese, è stato consegnato cinque
minuti fa ai delegati e si è approvato con un martellamento
dittatoriale, che denuncio dinnanzi al mondo come illegale, nullo e
illegittimo.

Ascolti una cosa, signor Presidente, se noi accettiamo questo
documento, siamo spacciati, abbiamo spento la luce e chiuso le
finestre! Se accettiamo la dittatura di questa sala, è la fine.

Ora più che mai -dicevamo- abbiamo bisogno di ritessere cose che
abbiamo smarrito nel cammino, come la proposta approvata in questa
Assemblea nel 1974 di un Nuovo Ordine Economico Internazionale.
Ricordiamo che l'Articolo 2 del testo di quella Carta, conferma il
diritto degli Stati di nazionalizzare le proprietà e le risorse
naturali che si trovano in mano ad investitori stranieri, proponendo
al tempo stesso la creazione di cartelli di produttori di materie
prime. Nella Risoluzione 3.201 del maggio del 1974, è espressa la
determinazione ad agire con urgenza per stabilire un Nuovo Ordine
Economico Internazionale basato - ascoltatemi bene, vi prego-
"nell'equità sovrana, l'interdipendenza, nell'interesse comune e la
cooperazione fra gli Stati qualsiasi siano i loro sistemi economici e
sociali, che correggano le diseguaglianze e riparino le ingiustizie
fra i paesi sviluppati e i paesi in via di sviluppo, e assicurino alle
generazioni presenti e future, che la pace, la giustizia e lo sviluppo
economico e sociale si acceleri a ritmo sostenuto", chiudo le
virgolette, stavo leggendo parte di quella Risoluzione storica del 1974.

L'obbiettivo del Nuovo Ordine Economico Internazionale era modificare
il vecchio ordine concepito a Breton Woods.

Credo che il Presidente degli Stati Uniti abbia parlato quasi 20
minuti ieri, qui, così mi hanno detto, io chiedo il permesso,
Eccellenza, di terminare il mio discorso.

L'obbiettivo del Nuovo Ordine Economico Internazionale era modificare
il vecchio ordine economico concepito a Breton Woods nel 1944, e che
aveva vigenza fino al 1971, con il crollo del sistema monetario
internazionale: solo buone intenzioni, nessuna volontà per progredire
in questa strada, e noi crediamo che questa fosse e continui ad essere
la strada.

Oggi i popoli reclamano, in questo caso il popolo del Venezuela, un
nuovo ordine economico internazionale, ma risulta anche
imprescindibile un nuovo ordine politico internazionale, non
permettiamo che un pugno di paesi tenti di reinterpretare impunemente
i principi del Diritto Internazionale per dare copertura a dottrine
come la "Guerra Preventiva" adesso ci minacciano con la guerra
preventiva! e la ora chiamata "Responsabilità di Proteggere", ma
dobbiamo chiederci chi ci proteggerà e come ci proteggerà.

Io credo che uno dei popoli che richiede protezione sia il popolo
degli Stati Uniti, lo abbiamo ora visto dolorosamente con la tragedia
del Katrina: non ha un governo che lo protegga dai disastri annunciati
della natura, se quello di cui stiamo parlando è di proteggerci l'uno
con l'altro; questi sono concetti molto pericolosi che va delineando
l'imperialismo, esso va delineando l'interventismo e cerca di
legalizzare la mancanza di rispetto e di sovranità. Il pieno rispetto
dei principi del Diritto Internazionale e alla Carta delle Nazioni
debbono costituire, signor Presidente, la pietra miliare delle
relazioni internazionali nel mondo di oggi, e la base del nuovo ordine
che propugnamo.

Permettetemi una volta ancora, in conclusione, di citare Simón
Bolívar, il nostro Libertatore, quando parla dell'integrazione del
mondo, del Parlamento Mondiale, del Congresso di Parlamenti, è
necessario riprendere molte proposte come quella bolivariana. Diceva
Bolívar in Jamaica, nel 1815 - l'ho già citato- leggo una frase della
Carta di Giamaica. "Che bello sarebbe sarebbe se l'istmo di Panama
fosse per noi ciò che è quello di Corinto per i greci, magari un
giorno avessimo la fortuna di istallare lì un congresso dei
rappresentanti delle repubbliche, dei regni, per trattare e discute
degli alti interessi della pace e della guerra, con le nazioni delle
altre parti del mondo. Questa specie di corporazione potrà avere luogo
in qualche epoca della nostra rigenerazione". Ceramente, urge
affrontare in modo efficace il terrorismo internazionale, ma non
usandolo come pretesto per scatenare aggressioni militari
ingiustificate che violano il Diritto Internazionale e sono diventate
dottrina dopo l'11 settembre. Solo una vera strategia di cooperazione,
e la fine della doppia morale che alcuni paesi del Nord applicano al
tema del terrorismo, potranno porre termine a questo orribile flagello.

Signor Presidente:

In appena 7 anni di Rivoluzione Bolivariana, il popolo venezuelano può
esibire importanti conquiste sociali ed economiche.

Un milione e 406 mila venezuelani hanno imparato a leggere e scrivere
in un anno e mezzo, noi siamo circa 25 milioni e, fra qualche
settimana, il paese potrà dichiararsi libero dall'analfabetismo, e tre
milioni di venezuelani prima esclusi a causa della povertà, sono stati
inseriti nell'educazione primaria, secondaria e universitaria.

Diciassette milioni di venezuelani e venezuelane -quasi il 70% della
popolazione- ricevono, per la prima volta nella nostra storia,
assistenza medica gratuita, comprese le medicine e, in pochi anni,
tutti i venezuelani avranno accesso gratuito all'attenzione medica per
eccellenza.
Si somministrano oggi più di 1 milione e 700 mila tonnellate di
alimenti a prezzi modici a 12 milioni di persone, quasi la metà dei
venezuelani, un milione dei quali li ricevano gratuitamente, in forma
transitoria. Queste misure hanno generato un alto livello di sicurezza
alimentare nei più necessitati.

Signor Presidente, si sono creati 700 mila posti di lavoro, riducendo
la disoccupazione di 9 punti percentuali, tutto ciò nel mezzo delle
aggressioni interne ed esterne, che includono un golpe militare
preparato a Washington, e un golpe petrolifero preparato anch'esso a
Washington, malgrado le cospirazioni, le calunnie del potere
mediatico, e la permanente minaccia dell'impero e dei suoi alleati,
che stimola perfino il magnicidio (assassinato di un capo di governo
NdT). L'unico paese dove una persona si può permettere il lusso di
chiedere il magnicidio di un Capo di Stato sono gli Stati Uniti, come
è accaduto poco tempo fa con un reverendo chiamato Pat Robertson molto
amico della Casa Bianca: ha chiesto pubblicamente davanti al mondo la
mia uccisione e gira a piede libero, questo è un delitto
internazionale, è terrorismo internazionale!

Ebbene, noi lotteremo per il Venezuela, per l'integrazione
latinoamericana e per il mondo.

Riaffermiamo qui, in questa sala, la nostra infinita fiducia
nell'uomo, oggi assetato di pace e giustizia al fine di riuscire a
sopravvivere come specie. Simón Bolívar, padre della nostra Patria e
guida della nostra Rivoluzione, giurò di non dare riposo alle sue
braccia, né dare riposo alla sua anima, fino a vedere l'America
libera. Noi non daremo riposo alle nostre braccia, né riposo alla
nostra anima fino a quando non sarà salva l'umanità.

Signori, molte grazie.

Traduzione perlumanita.it di Marina Minicuci

15 de septiembre de 2005


FONTE: http://www.contropiano.org/doc_primopiano.asp
18.09.2005 - Discorso di Chavez Presidente del Venezuela al 60°
anniversario dell'ONU

[Micheal Meacher - Ministro britannico dell'Ambiente nel periodo in
cui i paesi della NATO bombardavano i mercati e le industrie chimiche
in Jugoslavia - nutre evidentemente dei dubbi sulla politica (passata
e presente) del suo paese nei confronti dell'Islam radicale. In
particolare, egli nutre dei dubbi sull'operato dell'MI6, il servizio
segreto militare inglese, per come esso "copre" i suoi agenti
islamisti: non solo quelli che hanno combattuto in Bosnia e Kosovo per
uccidere la Jugoslavia, ma anche quelli che hanno a che fare con l'11
Settembre e con le bombe di Londra del luglio scorso... Una
testimonianza importante, segnalataci da Michel Collon.]

From Michel Collon:
---

Michael Meacher was the UK's environment minister from 1997 to 2003.
In 2003, he wrote in the Guardian that the war on terrorism is bogus
and that the 9/11 attacks gave the US an ideal pretext to use force to
secure its global domination.
http://politics.guardian.co.uk/attacks/comment/0,1320,1036772,00.html

Now, in the 10 September 2005 Guardian, he is suggesting that the
intelligence agencies may thwart the London bombings investigation.

Meacher looks at the links between the security services and certain
'Moslem' groups who may be linked to the London bombs.
The US used Pakistanis from Britain to fight in Bosnia, in order to
weaken the Serb government's hold on Yugoslavia.
---

http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,3604,1566916,00.html

---

Comment

Britain now faces its own blowback

Intelligence interests may thwart the July bombings investigation

Michael Meacher

Saturday September 10, 2005
The Guardian

The videotape of the suicide bomber Mohammad Sidique Khan has switched
the focus of the London bombings away from the establishment view of
brainwashed, murderous individuals and highlighted a starker political
reality. While there can be no justification for horrific killings of
this kind, they need to be understood against the ferment of the last
decade radicalising Muslim youth of Pakistani origin living in Europe.

During the Soviet occupation of Afghanistan in the 1980s, the US
funded large numbers of jihadists through Pakistan's secret
intelligence service, the ISI. Later the US wanted to raise another
jihadi corps, again using proxies, to help Bosnian Muslims fight to
weaken the Serb government's hold on Yugoslavia. Those they turned to
included Pakistanis in Britain.

According to a recent report by the Delhi-based Observer Research
Foundation, a contingent was also sent by the Pakistani government,
then led by Benazir Bhutto, at the request of the Clinton
administration. This contingent was formed from the Harkat-ul- Ansar
(HUA) terrorist group and trained by the ISI. The report estimates
that about 200 Pakistani Muslims living in the UK went to Pakistan,
trained in HUA camps and joined the HUA's contingent in Bosnia. Most
significantly, this was "with the full knowledge and complicity of the
British and American intelligence agencies".

As the 2002 Dutch government report on Bosnia makes clear, the US
provided a green light to groups on the state department list of
terrorist organisations, including the Lebanese-based Hizbullah, to
operate in Bosnia - an episode that calls into question the
credibility of the subsequent "war on terror".

For nearly a decade the US helped Islamist insurgents linked to
Chechnya, Iran and Saudi Arabia destabilise the former Yugoslavia. The
insurgents were also allowed to move further east to Kosovo. By the
end of the fighting in Bosnia there were tens of thousands of Islamist
insurgents in Bosnia, Croatia and Kosovo; many then moved west to
Austria, Germany and Switzerland.

Less well known is evidence of the British government's relationship
with a wider Islamist terrorist network. During an interview on Fox TV
this summer, the former US federal prosecutor John Loftus reported
that British intelligence had used the al-Muhajiroun group in London
to recruit Islamist militants with British passports for the war
against the Serbs in Kosovo. Since July Scotland Yard has been
interested in an alleged member of al-Muhajiroun, Haroon Rashid Aswat,
who some sources have suggested could have been behind the London
bombings.

According to Loftus, Aswat was detained in Pakistan after leaving
Britain, but was released after 24 hours. He was subsequently returned
to Britain from Zambia, but has been detained solely for extradition
to the US, not for questioning about the London bombings. Loftus
claimed that Aswat is a British-backed double agent, pursued by the
police but protected by MI6.

One British Muslim of Pakistani origin radicalised by the civil war in
Yugoslavia was LSE-educated Omar Saeed Sheikh. He is now in jail in
Pakistan under sentence of death for the killing of the US journalist
Daniel Pearl in 2002 - although many (including Pearl's widow and the
US authorities) doubt that he committed the murder. However, reports
from Pakistan suggest that Sheikh continues to be active from jail,
keeping in touch with friends and followers in Britain.

Sheikh was recruited as a student by Jaish-e-Muhammad (Army of
Muhammad), which operates a network in Britain. It has actively
recruited Britons from universities and colleges since the early
1990s, and has boasted of its numerous British Muslim volunteers.
Investigations in Pakistan have suggested that on his visits there
Shehzad Tanweer, one of the London suicide bombers, contacted members
of two outlawed local groups and trained at two camps in Karachi and
near Lahore. Indeed the network of groups now being uncovered in
Pakistan may point to senior al-Qaida operatives having played a part
in selecting members of the bombers' cell. The Observer Research
Foundation has argued that there are even "grounds to suspect that the
[London] blasts were orchestrated by Omar Sheikh from his jail in
Pakistan".

Why then is Omar Sheikh not being dealt with when he is already under
sentence of death? Astonishingly his appeal to a higher court against
the sentence was adjourned in July for the 32nd time and has since
been adjourned indefinitely. This is all the more remarkable when this
is the same Omar Sheikh who, at the behest of General Mahmood Ahmed,
head of the ISI, wired $100,000 to Mohammed Atta, the leading 9/11
hijacker, before the New York attacks, as confirmed by Dennis Lormel,
director of FBI's financial crimes unit.

Yet neither Ahmed nor Omar appears to have been sought for questioning
by the US about 9/11. Indeed, the official 9/11 Commission Report of
July 2004 sought to downplay the role of Pakistan with the comment:
"To date, the US government has not been able to determine the origin
of the money used for the 9/11 attacks. Ultimately the question is of
little practical significance" - a statement of breathtaking
disingenuousness.

All this highlights the resistance to getting at the truth about the
9/11 attacks and to an effective crackdown on the forces fomenting
terrorist bombings in the west, including Britain. The extraordinary
US forbearance towards Omar Sheikh, its restraint towards the father
of Pakistan's atomic bomb, Dr AQ Khan, selling nuclear secrets to
Iran, Libya and North Korea, the huge US military assistance to
Pakistan and the US decision last year to designate Pakistan as a
major non-Nato ally in south Asia all betoken a deeper strategic set
of goals as the real priority in its relationship with Pakistan. These
might be surmised as Pakistan providing sizeable military contingents
for Iraq to replace US troops, or Pakistani troops replacing Nato
forces in Afghanistan. Or it could involve the use of Pakistani
military bases for US intervention in Iran, or strengthening Pakistan
as a base in relation to India and China.

Whether the hunt for those behind the London bombers can prevail
against these powerful political forces remains to be seen. Indeed it
may depend on whether Scotland Yard, in its attempts to uncover the
truth, can prevail over MI6, which is trying to cover its tracks and
in practice has every opportunity to operate beyond the law under the
cover of national security.


Michael Meacher is the Labour MP for Oldham West and Royton; he was
environment minister from 1997 to 2003.

Milosevic (deutsch)

0. DER ZAAK MILOSEVIC - Wie man für 4 CH-Franken eine DVD-Kopie
bestellen kann

1. IM ZWEIFEL GEGEN DEN ANGEKLAGTEN
Von Germinal Civikov - Aus „Freitag" v. 11.03.2005

2. Razzia gegen Rechtshilfefonds für die Verteidigung von Präsident
Slobodan Milosevic:
2A) ICDSM - Deutsche Sektion - Pressemitteilung v. 19. Juli 2005
Kontenpfändung und Wohnungsdurchsuchung: NATO will Verteidigung von
Miloševic unterbinden
2B) »Verteidigung von Milosevic soll behindert werden«. Ein Gespräch
mit Peter Betscher - Aus "Junge Welt" v. 2.9.2005

3. Parteichef im Verhör. Jugoslawien-Prozeß: Milosevic und Seselj
bringen Anklage ins Schwitzen
Von Anna Gutenberg - Aus "Junge Welt" v. 3.9.2005


### SIEHE AUCH:

Das Haager Frankenstein-Monster
19.03.2005 - Ralph Hartmann in "Ossietzky" Nr. 4/05
http://www.free-slobo.de/notes/os0504rh.pdf

Verleugnete Geschichte
19.03.2005 - Ulrich Sander in "Ossietzky" Nr. 4/05
http://www.free-slobo.de/notes/os0504us.pdf

Versuchter Ausschluß
Prozeß gegen jugoslawischen Expräsidenten Milosevic sollte ohne den
Angeklagten fortgesetzt werden. Zeuge boykottierte Vernehmung
Aus: jw 20.04.2005
http://www.free-slobo.de/news/jw050420.htm

Milosevic-Zeuge abgeurteilt
Serbe wurde bestraft, weil er in Abwesenheit des Angeklagten nicht
aussagen wollte
Aus: jw 17.05.2005
http://www.free-slobo.de/news/jw050517.htm

Paddy Ashdowns Feldstecher: Schwarzer Tag für Ankläger und Aufklärer
Geoffrey Nice
Aus: FreiTag 29.07.2005 - Germinal Civikov
http://www.freitag.de/2005/30/05300801.php
http://www.free-slobo.de/notes/050729gc.pdf


=== 0 ===

-----Ursprüngliche Nachricht-----
Von: Kaspar Trümpy
Gesendet: Mittwoch, 14. September 2005 21:33
An: Wolfgang Schulz
Betreff: De Zaak Milosevic

Am 20. Juni 2004 wurde im holländischen Fernsehsender VPRO in der
Reihe "Tegenlicht" der Film "de Zaak Milosevic" gezeigt. Der sehr
interessante Film wurde ausserhalb von Holland nirgendwo gezeigt. Ca.
20% werden in deutsch, 20% holländisch, 30% englisch und 30% in
serbokroatisch gesprochen (holländ. Untertitel).

Der Film von Jos de Putter und Germinal Civikov umspannt den Zeitraum
von der Entführung von Präsident Milosevic bis zum Ende der
Anklagezeit. Der erste Teil enthält Stellungnahmen von Mira Beham
(Autorin des Buches: Kriegstrommeln) und Ljiliana Smikovic
(Journalistin der Zeitschrift NIN), beides Prozessbeobachterinnen,
über die Natur des Tribunals. Anschliessend werden James Harff (Chef
der amerikanischen Public Relation Firma Ruder Finn), George Keeney,
von 1988 bis 1992 im US-Außenministerium tätig, interviewt über die
Umtriebe der Medien in Jugoslawien und somit auch auf Material das die
Anklage verwendet.. Thomas Deichmann (Redakteur von NOVO) erläutert
wie er hinter die Fälschungen der "KZ-Bilder" von Penny Marshai]
gekommen ist.

Captain Dragan (Zeuge der Anklage, Kommandeur serbischer Freischärler
in der Krajina) erläutert wie im Straffreiheit zugesichert wurde, wenn
er gegen Milosevic aussagt. Der Rest des Films sind Auszüge aus den
Aussagen vor Radomir Markvic (ehemaliger Geheimdienstchef unter
Milosevic), Präsident Lilie (serbischer Präsident unter der DOS), Lord
Qwen (englischer Verhandlungsführer in Jugoslawien), sowie weiterer
Zeugen, die von Milosevic der Lüge überführt werden. Der Film
schliesst mit einem überraschenden Plädoyer für das alte Jugoslawien,
indem Branko Rakic (ein Rechtsanwalt aus dem Rechtshilfeteam) eine
Anekdote aus dem Gefängnis in Scheveningen erzählt.

Für 4 Franken (Postmarken) kann eine DVD-Kopie bestellt werden bei:

K.Trümpy, Amanz Gressly Str. 19, 4500 Solothurn


=== 1 ===

http://www.free-slobo.de/notes/fr050311.pdf
http://www.freitag.de/2005/10/05100801.php

Aus „Freitag" v. 11.03.2005

Bericht aus Den Haag

IM ZWEIFEL GEGEN DEN ANGEKLAGTEN

Von Germinal Civikov


Die Verteidigung hat erst 20 ihrer 118 Zeugen aufgerufen - das Gericht
und die Anklagevertretung sprechen schon jetzt von Zeitverschwendung

Die dreimonatige Bombardierung Jugoslawiens im Frühjahr 1999 könnte
doch noch eine strafrechtliche Relevanz im Prozess des Jahrhunderts
gegen Slobodan Milosevic erlangen. Sollte nämlich der Angeklagte
beweisen können, dass die NATO-Angriffe auf die Provinz Kosovo die
Massenflucht der Kosovo-Albaner entscheidend verursacht haben, wäre
das für seine Verteidigung wichtig, meint Patrick Robinson, der
Vorsitzende Richter des Haager Tribunals, am 24. Februar 2005. Die
strafrechtliche Relevanz ergebe sich daraus, dass von der Anklage die
Flucht der Albaner als Folge ihrer gewaltsamen Vertreibung durch die
serbischen Armee gesehen werde.

Auch in einer anderer Hinsicht könnten die Operationen der NATO für
den Prozess Bedeutung haben, glaubt der Richter. Milosevic habe
erwähnt, dass "manche Einsätze der serbischen Armee als Reaktion auf
die NATO-Angriffe" hätten erfolgen müssen, das hieße, diese Handlungen
ließen sich im Sinne legitimer Selbstverteidigung rechtfertigen.
Dennoch, der Angeklagte möge daran denken, es stehe hier nicht die
NATO vor Gericht. Alle Versuche, die NATO anzuklagen, seien einfach
Zeitverschwendung. Manche Beobachter sprechen nach dieser Erklärung
des Richters von einem "Tabubruch", denn üblicherweise wird dem
Angeklagten das Mikrophon sofort abgeschaltet, sobald er das Thema
"Die NATO und der Kosovo-Krieg" berührt.

Kann es sein, dass der Zeuge Vukasin Andric das Gericht zu dieser
jähen Lockerung der Regeln bewogen hat? Der Arzt, im Frühjahr 1999
Staatssekretär für Gesundheitswesen im Kosovo, hat erschütternde
Video-Dokumente vorgeführt, die beweisen sollen, dass die intensive
Bombardierung der Provinz Hauptursache für die Massenflucht war - und
zwar nicht nur der Albaner, sondern aller Bevölkerungsgruppen.

Ein semantischer Trick

Seit November 2004 hat Slobodan Milosevic in bisher 30
Verhandlungstagen etwa 20 Zeugen präsentiert, um vom Gericht immer
wieder hören zu müssen, der betreffende Zeuge sei irrelevant, dessen
Befragung nur Zeitverschwendung.
Mehrere Zeugen äußerten sich etwa zu der Frage, ob es sich bei den
Entwicklungen 1990/91 um eine Desintegration Jugoslawiens oder nicht
vielmehr um eine gewaltsame und illegale Sezession handelte, die von
einigen westlichen Ländern unterstützt wurde. Dieses Thema finden die
Richter ebenso irrelevant wie die Frage, ob die ersten Schießereien
damals auf das Konto der sezessionistischen Kräfte gingen, weil diese
vorsätzlich einen Bürgerkrieg provozieren wollten.

Am 14. Februar wird dies alles dem britischen Richter Ian Bonomy
zuviel. Es bereite ihm große Sorgen, wie der Angeklagte mit seiner
Zeit umgehe. Es sei doch schließlich egal, wer begonnen habe, das
führe an den Fragen vorbei, mit denen man sich hier beschäftige. Und
der Vorsitzende Richter, Patrick Robinson, sekundiert: Milosevic drehe
sich im Kreis und verschwende nicht nur seine Zeit, sondern auch die
des Tribunals.

Vor einem halben Jahr noch hatte der gleiche Richter erklärt,
Milosevic sei aus Gesundheitsgründen nicht in der Lage, sich selbst zu
verteidigen, er müsse daher die ihm vom Gericht zugeordneten
Pflichtverteidiger akzeptieren.
Eine Maßnahme, die bald darauf vom Appellationsgericht revidiert
werden muss. Nun lautet die Botschaft des Vorsitzenden Richters,
Milosevic sei unfähig und verstehe es nicht, sich selbst zu
verteidigen. Dieser Vorwurf ist besonders dann beliebt, wird das Thema
"Groß-Serbien" berührt.

Die Anklage hatte vor Monaten mit ihren Zeugen eine ganze Phalanx von
Politikern und Sachverständigen auftreten lassen, die dem Angeklagten
eine serbisch-nationalistische beziehungsweise groß-serbische
Gesinnung nachsagten und "Groß-Serbien" als das entscheidende Ziel
seiner Politik bezeichneten. Allerdings sahen sich alle außerstande,
auch nur eine groß-serbische Verlautbarung des Angeklagten zu
zitieren, geschweige denn eine solche Ausrichtung seiner Politik mit
Dokumenten zu belegen. Ungeachtet dessen gehörte "das Streben nach
Groß-Serbien" als strategisches Motiv des Angeklagten weiterhin zum
Kern der Anklage - bis zum 15. Dezember 2004.

An diesem Tag erklärt Ankläger Geoffrey Nice völlig überraschend, er
wolle vom Ausdruck "Groß-Serbien" Abstand nehmen, zumal ihn der
Angeklagte so auch nicht verwendet habe. Nice hat offenbar begriffen,
was die Zeugen der Verteidigung während der vergangenen Wochen in
ihrer "Zeitverschwendung" mit diesem Punkt der Anklage angerichtet
haben. Ob er denn meine, dies sei kein wichtiger Punkt der Anklage
mehr, fragt Richter Robinson vorsichtig, der freilich weiß, was alles
mit der Antwort auf diese Frage zusammenhängt. Auch der Angeklagte
Milosevic weiß es: "Mister Robinson", sagt er, "bitte denken Sie
daran, dass eines der wichtigsten Argumente dieser verlogenen Anklage
lautet: kriminelle Vereinigung zur Erschaffung von Groß-Serbien. Diese
Absurdität muss geklärt und entlarvt werden."

Also wird ein semantischer Trick bemüht: "Not at all", antwortet
Ankläger Nice auf die Frage des Richters, man bleibe dabei, nur werde
man statt des Begriffs "Groß-Serbien" nun den Ausdruck "alle Serben in
einem Staat" verwenden. Mit anderen Worten, wenn Milosevic schon kein
"Groß-Serbien" als politisches Ziel nachgewiesen werden kann, ersetzt
man es durch den Vorwurf, er habe "alle Serben in einem Staat" sehen
wollen, was das auch immer bedeuten mag. Diese Formulierung lässt sich
im Vokabular des Angeklagten nachweisen. Nur meinte er mit diesem
Staat immer eindeutig Jugoslawien. Da lebten "alle Serben in einem Staat".

Beweisstück Nr. 786

Am 17. November 2004 erklärt der Philosophieprofessor Mihajlo Markovic
dem Gericht das Memorandum der Serbischen Akademie der Wissenschaft
und der Künste von 1986, dessen Mitautor er war. Ankläger Nice
bewertet dieses Dokument als "Paukenschlag" des großserbischen
Nationalismus und behauptet, Milosevic habe es für seine Zwecke
instrumentalisiert. Ob dem Zeugen die Zeitschrift Epoha vertraut sei,
will Nice im Kreuzverhör wissen. Der Zeuge ist sich nicht ganz sicher,
er könne sich vage an ein Blatt Epoha erinnern, das irgendwann die
Sozialistische Partei Serbiens herausgegeben habe. Die Partei des
Angeklagten, nicht wahr?, bohrt Nice und überreicht dem betagten
Professor zwei Blätter: Sorry, es gebe leider nur diese Kopien. Sie
seien aus der Nummer vom 22. Oktober 1991, der Zeuge solle sich bitte
die Landkarte auf dem zweiten Blatt genau ansehen. Das sei doch die
Linie Virovitica-Karlobag, nicht wahr? Und das sei doch die Karte
Großserbiens?
Und der Titel! Was sage der Zeuge zum Titel? Der lautet: Wie wollen
wir die neuen Grenzen ziehen? Wünschenswerte Möglichkeiten
territorialer Demarkation zwischen Jugoslawien und Kroatien.

Finde der Zeuge nicht, dass hier, im Parteiblatt des Angeklagten, der
Anspruch auf Großserbien erhoben werde? Kann der Zeuge bestätigen,
dass dieser Plan und diese Grenzen in der Partei des Angeklagten
Unterstützung fanden? - Der Professor sieht ratlos auf die beiden
Blätter, hat er doch zuvor als Zeuge der Verteidigung zu belegen
versucht, dass ein Großserbien nie zu den Wertvorstellungen des
Angeklagten und seiner Partei gehört habe.

Nun meldet sich auch der Angeklagte. Es handle sich um ein
Missverständnis, sagt er. Serbische Zeitschriften hätten zu diesem
Zeitpunkt alle möglichen Landkarten gebracht. Überall seien Artikel
über Jugoslawien und auch Landkarten gedruckt worden. Ankläger Nice
lächelt zufrieden und lässt die zwei Blätter als Beweisstück
aufnehmen. Sie sind fortan "Beweisstück Nr. 786".

Wenig später allerdings, an besagtem 15. Dezember 2004, erklärt der
Historiker Cedomir Popov als Zeuge der Verteidigung, dass
"Groß-Serbien" ein im 19. Jahrhundert vom Habsburger Reich
inszenierter Mythos gewesen sei. Man habe ihn geschaffen, um den
eigenen territorialen Expansionsdrang zu verschleiern.

Ob sich der Zeuge "Beweisstück Nr. 786" ansehen wolle, es komme aus
der Zeitschrift Epoha, fragt Geoffrey Nice. Eine Publikation der
Partei des Angeklagten, nicht wahr? Der Professor möge sich die
Landkarte ansehen. Die Linie Karlobag-Karlovac-Virovitica, nicht
wahr!? Das sei doch Großserbien! Und der Titel: Wie wollen wir - bitte
schön, er wiederholt: wir - wie wollen wir die neuen Grenzen ziehen?
Das sei doch ein Aufruf zu Groß-Serbien.

Der Zeuge will das nicht bestätigen, diese Zeitschrift sei kein Blatt
der Sozialistischen Partei gewesen. Außerdem besage diese Karte noch
gar nichts, man habe sich damals alle möglichen Karten um die Ohren
geschlagen.

Der Zeuge solle antworten, ob dieses Dokument einen Anspruch auf
Groß-Serbien beinhalte, verlangt nun auch Richter Robinson streng. Ob
er auch etwas sagen dürfe, meldet sich der Angeklagte. Es sei
schließlich egal, wer Epoha herausgegeben habe. Wichtig sei, was im
Artikel konkret gesagt werde. Und das wolle er nun vorlesen. Der
Angeklagte holt eine Zeitschrift aus seiner Mappe, der Autor des
bewussten Artikels lehne nämlich diese großserbischen Grenzen ab, sagt
der Angeklagte. Anderthalb Millionen Kroaten würden dann Serbien
angehören, und das brauche Serbien nicht. Man müsse den Text lesen und
nicht nur auf den Titel und die Karte starren, doziert der Angeklagte
weiter.

Ob es sich um "Beweisstück Nr. 786" handle, will Richter Robinson
wissen. Der Angeklagte bestätigt, es handle sich genau um dieses
Beweisstück, um die Zeitschrift Epoha vom 22. Oktober 1991. Ferner
stehe in besagtem Artikel, junge Serben sollten im Geist der Toleranz
und Gleichberechtigung erzogen werden. Man müsse jeden Nationalismus
bekämpfen, in die Zukunft schauen und so weiter. Milosevic hebt die
Zeitschrift hoch und fährt fort: Es sei hier eine Karte abgebildet,
die im Text verworfen werde. Der Ankläger präsentiere diese Karte nun
schon zum dritten Mal so, als werde sie im Text verherrlicht, das sei
doch die reinste Manipulation.

Jetzt ist der Vorsitzende Richter richtig böse. Allerdings nicht auf
den Ankläger, sondern auf den Angeklagten. Es sei absolut
unakzeptabel, dem Ankläger vorzuwerfen, er habe etwas zur Manipulation
präsentiert. Der Angeklagte sei mehrfach vor solchen Ausdrücken
gewarnt worden, fügt Robinson verärgert hinzu und kann nicht
verhehlen, wie ungehalten er darüber ist, dass der Angeklagte die
Manipulation des Anklägers hat auffliegen lassen.

Briefträger bei der UNO

Am 16. Februar ruft der Angeklagte den Zeugen Vladislav Jovanovic zur
Befragung, um einige Dokumente über die Opfer der NATO-Luftschläge von
1999 als Beweisstück aufnehmen zu lassen. Der Zeuge sei zu dieser Zeit
Botschafter Jugoslawiens bei den Vereinten Nationen gewesen und habe
diese Papiere seiner Regierung in Empfang genommen, um sie den
Mitgliedern des UN-Sicherheitsrats zu überreichen. Es ist die übliche
Prozedur zur Annahme von Beweisstücken. Doch Richter Bonomy ist nicht
einverstanden: Der Zeuge habe mit diesen Dokumenten nichts zu tun, er
sei doch nur ein "Briefträger bei der UNO" gewesen. Nicht wahr, Mister
Jovanovic?

Vladislav Jovanovic, der ehemalige Außenminister Jugoslawiens, nimmt
es gelassen, schließlich ist er 40 Jahre lang Berufsdiplomat gewesen.
Nein, er finde nicht, dass er Briefträger war. Er sei Botschafter
eines souveränen Staates gewesen und habe die betreffenden Dokumente
seinen Kollegen im Sicherheitsrat auch erläutern müssen. Ein
Botschafter-Briefträger also, setzt Richter Robinson erheitert noch
eins drauf - und alle lachen herzlich.

Die gelöste Stimmung vergeht allerdings, als der Angeklagte erklärt,
er werde dann wohl jedes Dokument einzeln als Beweisstück aufnehmen
und den Verfasser eines jeden Dokuments - ob Untersuchungsrichter,
Polizist oder Gerichtsmediziner - als Zeuge kommen lassen. Es handle
sich um etwa 1.000 Dokumente, das werde Zeit in Anspruch nehmen. Denn
offenbar seien vor diesem Gericht die Formalitäten wichtig, nicht aber
die Wahrheit über die Kriegsverbrechen der NATO.

Das hätte er nicht sagen sollen. Hier stehe nicht die internationale
Gemeinschaft vor Gericht, widerspricht scharf Ankläger Nice. Auch
Richter Robinson wird es zuviel. Dieses blödsinnige Gehabe des
Angeklagten, sagt er, lasse er sich nicht weiter gefallen. Milosevic
benehme sich wie ein verwöhntes Kind, unzumutbar für ein Forum wie
dieses, sagt Richter Bonomy.
Ankläger Nice hat einen Vorschlag: da es dem Angeklagten egal sei, ob
seine Missachtung des Gerichts Folgen habe, sollte ihm das Gericht die
Zeit kürzen, die ihm zur Verteidigung zustehe. Auch die Richter sind
tief besorgt, wie der Angeklagte seine Zeit nutzt, man werde bald zu
einer Entscheidung kommen, verkündet feierlich Patrick Robinson.

Es hat gerade erst der 20. Zeuge der Verteidigung ausgesagt, und die
Nerven liegen blank. Wie soll es beim 118. werden?


=== 2 ===

2.A

http://www.free-slobo.de/pm/05071901.htm

Internationales Komitee für die Verteidigung von Slobodan Miloševic -
Deutsche Sektion

Pressemitteilung v. 19. Juli 2005

Kontenpfändung und Wohnungsdurchsuchung:
NATO will Verteidigung von Miloševic unterbinden

Am Morgen des Dienstag, 19.07.05, verschafften sich "Zollfahnder"
Zutritt zur Wohnung von Peter Betscher in Darmstadt, der zwar keinen
Šlivovic geschmuggelt hat, aber namens der Vereinigung für
Internationale Solidarität (VIS) Spenden für den Rechtshilfefonds für
Slobodan Miloševic sammelt.

Sie waren im Besitz eines Durchsuchungsbeschlusses, der von einem
Richter Eckhard beim Amtsgericht Darmstadt, einem bekannten
Unterschriftsteller, unterfertigt war.

Die Leitung des Überfalls hatte eine Frau Terhorst vom
Zollfahndungsamt Essen, angestiftet von der Oberfinanzdirektion
Koblenz, und gestützt auf die "olle Kamelle" einer Verordnung der
EU-Kommission vom 19. Juni 2001, nach der »alle Gelder (...), die
Herrn Milosevic und Personen seines Umfelds gehören, einzufrieren« sind.

Die Unanwendbarkeit der Verordnung wurde schon 2003 gerichtlich
festgestellt, da es ein elementares Grundrecht sei, sich gegen
Anklagen zu verteidigen. Davon ungerührt ließ das Überfallkommando
einen PC, Datenträger und Kontoauszüge mitgehen, um Spender und
Mittelverwendung auszuforschen, das Spendenkonto pfändeten sie auch.
Die VIS hat rechtliche Schritte gegen die Willkürmaßnahmen eingeleitet.

Klaus Hartmann, Sprecher des Internationalen Komitees für die
Verteidigung von Slobodan Miloševic, zu dem jüngsten Ganovenstück:
"Die Schlapphüte von Schily und die Rechenkünstler von Eichel leisten
den NATO-Kriegern Amtshilfe, weil die Not der Haager "Ankläger" riesig
ist: noch immer stehen sie ohne Beweise da, trotz ihres Klamauks um
ein falsches Srebrenica-Video. Weder mit Bomben auf sein Schlafzimmer,
nicht mit lebensgefährdenden Medikamenten noch mit einem
Zwangsverteidiger konnten sie Miloševic zum Schweigen bringen. Jetzt
versucht man wieder, die Verteidigung finanziell lahmzulegen.

Die dringende Empfehlung der Miloševic-Verteidiger: Spenden kommen am
besten in Form von Barschecks in die bewährten Hände von Peter
Betscher, Holzhofallee 28, 64295 Darmstadt.

Kontakt: Klaus Hartmann, Schillstraße 7, D-63067 Offenbach am Main,
T/F: 069 - 83 58 50; e-mail: vorstand@... ; Internet:
www.free-slobo.de

Bericht in junge Welt vom 20. Juli 05
http://www.jungewelt.de/2005/07-20/011.php

2.B

http://www.jungewelt.de/2005/09-02/020.php

02.09.2005

Interview
Interview: Peter Wolter

»Verteidigung von Milosevic soll behindert werden«

Mit fadenscheinigen Argumenten wurde der Rechtshilfefonds für
Jugoslawiens Expräsidenten beschlagnahmt. Ein Gespräch mit Peter Betscher

* Peter Betscher ist Finanzbeauftragter der Vereinigung für
Internationale Solidarität (VIS e.V), die den Rechtshilfefonds zur
Verteidigung von Slobodan Milosevic betreut

F: Polizei und Justiz gehen immer rigider gegen linke Zeitungen,
Internetseiten und antifaschistische Initiativen vor. Kürzlich wurde
auch das Spendenkonto beschlagnahmt, das die Verteidigung des früheren
jugoslawischen Präsidenten Slobodan Milosevic vor dem
»Kriegsverbrechertribunal« in Den Haag finanzieren soll. Mit welcher
Begründung?

Die Oberfinanzdirektion Koblenz (OFD) hat nicht nur das Konto
beschlagnahmen lassen, sie erwirkte auch eine Hausdurchsuchung. Im
Durchsuchungsbeschluß wurde das mit einem Verstoß gegen das
Außenhandelswirtschaftsgesetz begründet. Aus einem Schreiben der OFD
an das Amtsgericht Darmstadt wissen wir allerdings, daß wir gegen eine
EU-Verordnung verstoßen haben sollen. Die besagt, daß es verboten ist,
Milosevic und namentlich benannten Personen seines Umfeldes Gelder zur
Verfügung zu stellen.

F: Das war jetzt die dritte Aktion gegen Ihr Spendenkonto. In den
früheren Fällen hatten sowohl das Amtsgericht Darmstadt als auch die
Generalstaatsanwaltschaft Frankfurt/Main erklärt, die EU-Verordnung
beziehe sich nicht auf Spenden für Verteidigungskosten. Muß sich nicht
auch die OFD an die Rechtslage halten?

Müßte sie, tut sie aber nicht. Sie verfolgt uns seit längerem:
Zunächst war sie daran beteiligt, daß unser Konto bei der Volksbank
Darmstadt eingefroren wurde. Nachdem wir gerichtlich interveniert
hatten, wurde es freigegeben, und wir eröffneten ein neues Konto bei
der Postbank. Das aber wurde nach kurzer Zeit aufgrund einer
Intervention der OFD wieder gekündigt. Die dritte Aktion war die
Hausdurchsuchung und die Beschlagnahme der Gelder des neuen Kontos bei
einer anderen Bank. Juristisch ist das alles unhaltbar – aber ich
vermute, daß die Befehlskette von der OFD bis in die Bundesregierung
führt.

F: Rechtshilfe heißt nicht, daß Spenden für Milosevic persönlich,
sondern für seine Verteidigung gesammelt werden. Es fällt schwer, sich
auf diese OFD-Aktion einen rechtsstaatlichen Reim zu machen ...

Es wird alles versucht zu verhindern, daß sich Milosevic verteidigen
kann. Die Repressalien gingen aber noch weiter: Parallel zur damaligen
Kontoeinfrierung wurde gegen zwei Mitarbeiter unserer Vereinigung für
Internationale Solidarität (VIS) ein Strafverfahren wegen Geldwäsche
eingeleitet. Das wurde allerdings schnell wieder eingestellt.

F: Wessen Geld sollen Sie gewaschen haben?

Wissen wir nicht. Von diesen Ermittlungen und deren Einstellung hätten
wir nie erfahren, wenn unser Anwalt nicht Akteneinsicht beantragt
hätte. Ich glaube, daß hinter diesem Vorgehen die Überlegung steht,
unseren Rechtshilfefonds zumindest bis zum Frühjahr 2006 lahmzulegen.
Die Zeit bis dahin hat das Gericht für Milosevics Verteidigung
eingeplant. Ich vermute, daß es drei oder vier Monate dauern wird, bis
das von uns gegen die Beschlagnahme und die Hausdurchsuchung
angerufene Gericht eine Entscheidung fällt.

F: Warum muß die Verteidigung von Milosevic unterstützt werden? Er hat
doch bewußt auf juristischen Beistand verzichtet, weil er das Gericht
nicht anerkennt.

Es geht um sein Rechtsberaterteam: Da müssen Dokumente und Zeugen
vorbereitet werden, es fallen Reisekosten, Spesen etc. an. Auch in
anderen Ländern wird für die Verteidigung von Milosevic gesammelt –
mir ist aber kein weiterer Fall bekannt, daß Rechtshilfefonds dort
behindert worden wären. Wir appellieren gerade an Europaabgeordnete,
unseren Fall im Europäischen Parlament zur Sprache zu bringen.

F: Wenn jemand einen Beitrag dafür leisten will, daß sich Milosevic
verteidigen kann – wohin kann er jetzt seine Spenden überweisen?

Nach jedem der geschilderten Angriffe mußten wir auf ein neues Konto
ausweichen. Das jetzt aktuelle Konto ist das der
jugoslawisch-österreichischen Solidaritätsbewegung.

* Konto: Jugoslawisch-Österreichische Solidaritätsbewegung (JÖSB)
Bank Austria, IBAN: AP49 1200 0503 8030 5200; BIC: BKAUATWW


=== 3 ===

http://www.free-slobo.de/news/jw050903.htm
http://www.jungewelt.de/2005/09-03/007.php

03.09.2005

Ausland
Anna Gutenberg, Den Haag

Parteichef im Verhör

Jugoslawien-Prozeß: Milosevic und Seselj bringen Anklage ins Schwitzen

Zwei politische Kontrahenten treffen derzeit im Den Haager Tribunal zu
Kriegsverbrechen im ehemaligen Jugoslawien aufeinander: Expräsident
Slobodan Milosevic befragt seit sechs Verhandlungstagen Vojislav
Seselj, Vorsitzender der serbischen Radikalen Partei. Und schon zu
Beginn wuchs die Aufregung auf seiten der Anklage, als der derzeit
ebenfalls inhaftierte Seselj eine von deren zwei Säulen bei der
Verfolgung Milosevic' ins Wanken brachte. Nein, weder Milosevic noch
dessen Sozialistische Partei hätten jemals die Errichtung eines
»Groß-Serbien« angestrebt. Mit Ausnahme des derzeitigen Außenministers
von Serbien und Montenegro, Vuk Draskovic, der das Konzept zu Beginn
des Jugoslawien-Konflikts für eine kurze Zeit unterstützte, trete bis
heute allein seine Partei für dieses Ziel ein, so Seseljs
aufsehenerregende Aussage.

Während der Befragung, die am Montag fortgesetzt werden soll, ließ
Seselj keinen Zweifel, daß Milosevic der natürliche ideologische
Hauptgegner seiner antikommunistischen, nationalistischen Partei
gewesen sei. Der Expräsident sei lange für den Erhalt Jugoslawiens
eingetreten und habe immer wieder den Kompromiß gesucht. Die Radikalen
hätten mit ihm und den Sozialisten die meiste Zeit in tiefer
politischer Feindschaft gestanden und nur punktuell kooperiert, meinte
Seselj. So habe man 1998 zugestimmt, eine Regierung der »nationalen
Einheit« zu bilden, um sich dem drohenden Angriff der NATO gemeinsam
zu widersetzen.

Der Ankläger im UN-Tribunal, Geoffrey Nice, sorgte nach Seseljs
Einlassung für Irritation, als er behauptete, Milosevic sei nicht
wegen einer »Groß-Serbien«-Politik angeklagt. Der Wiener Standard
zumindest bemerkte »ziemlich überraschte« Richter. Schließlich wird
Milosevic vorgeworfen, für alle Kriege im auseinanderbrechenden
Jugoslawien in den 1990ern verantwortlich zu sein und gemeinsam mit
anderen ein kriminelles Projekt – Joint Criminal Enterprise genannt –
der Schaffung eines »Groß-Serbien« verfolgt zu haben. Systematisch
befragte Milosevic seinen Zeugen nach den Beziehungen zu den von der
Anklage genannten Mitgliedern des angeblichen Projekts. Dabei stellte
sich heraus, daß sowohl Seselj als auch Milosevic zur Mehrheit ihrer
angeblichen Kollaborateure ein schlechtes oder gar kein Verhältnis
hatten. Deutlich wurde, daß angesichts der politischen Feindschaften
die Verfolgung eines gemeinsamen Plans kaum möglich war.

Auch Seseljs weitere Enthüllungen über die prowestlichen, mafiösen
Kräfte in Serbien, die sich am 5. Oktober 2000 »an die Macht
putschten«, erwiesen sich als spektakulär. So habe der 2003 ermordete
serbische Ministerpräsident Zoran Djindjic zu Beginn der 1990er Jahre
den Kommandanten der berüchtigten illegalen paramilitärischen Einheit
»Panther«, Ljubisa »Mauzer« Savic, zu seinem politischen Kompagnon
gemacht und ihn an die Spitze der Demokratischen Partei der Serbischen
Republik in Bosnien gesetzt. Seseljs Aussagen dürften sowohl in den
Regierungs- und Mafiakreisen seines Landes als auch unter deren
westlichen Unterstützer für Unruhe sorgen.

ASSASSINI PER LA PACE


http://nato.greetingsforyou.net/

GLI UNICI GARANTI DELLA CIVILTÀ EUROPEA


...Dietro a queste prediche umanistiche non sentirete altro che
l'affilatura dei coltelli. I signori si stanno preparando
all'assassinio per rapina, e prima di scannare la povera gente
balcanica vogliono diffamarla davanti all'Europa, come se loro fossero
gli unici garanti della civiltà europea...

Miroslav Krleza, tratto da "Le bandiere", 1967

(segnalato da DK, che ringraziamo)

"Essere comunisti" sul progetto di risoluzione del Consiglio d'Europa
"contro i crimini del comunismo"

di Essere comunisti

su www.lernesto.it



Sul progetto di risoluzione del Consiglio d'Europa "contro i crimini
del comunismo"

Al Presidente dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa
Sig. Renè van der Linden

Spett. Sig. Presidente,

siamo venuti a conoscenza in questi giorni che il 13 settembre 2005 il
Bureau dell'Assemblea discuterà un progetto di risoluzione sulla
"necessità di una condanna internazionale dei crimini del comunismo",
elaborato dalla Commissione politica del Consiglio, da sottoporre
all'approvazione dell'Assemblea nella sua sessione dell' ottobre 2005.
Nella stessa seduta verrà discussa contestualmente anche una
risoluzione di "condanna di ogni apologia e giustificazione del nazismo".

Consideriamo grave e apertamente reazionaria tale iniziativa, resa
ancora più indegna da tale contestualità. Protestiamo contro di essa,
chiediamo che essa venga ritirata. Tanto più che essa si sviluppa in
occasione del 60° anniversario della Liberazione dell'Europa e del
mondo dal nazi-fascismo, resa possibile da una coalizione di forze di
cui i comunisti furono componente essenziale.

Nel progetto di risoluzione si giunge ad affermare che "i crimini
compiuti in nome del comunismo" furono anche "la conseguenza diretta
della teoria della lotta di classe", "parte integrante di un'ideologia
comunista che imponeva l'eliminazione delle persone considerate
dannose per la costruzione di una nuova società"; che la "caduta dei
regimi comunisti in Europa non è stata seguita da adeguate ricerche e
dibattiti internazionali sui crimini commessi in nome dell'ideologia
comunista" e che "tali crimini non sono stati condannati dalla
comunità internazionale così come è stato fatto per gli orribili
crimini commessi in nome del Nazismo". Per cui "ne è conseguito che
l'ostilità verso i crimini del comunismo è assai debole", al punto che
vi sono "partiti comunisti che sono legali e operano in alcuni paesi
nonostante essi non abbiano preso apertamente le distanze" da quei
crimini. Ed esistono pure "regimi comunisti tuttora operanti dove tali
crimini continuano a compiersi".

La principale fonte citata dagli allegati al progetto di risoluzione è
il "Libro nero del comunismo", il cui principale autore e curatore,
Stéphane Courtois, è uno dei tre relatori alla Commissione che ha
elaborato il progetto di risoluzione, insieme all'ex dissidente
sovietico Vladimir Bukovsky e al Sig. Toomas Hiio, Presidente estone
di una "Fondazione per la ricerca dei crimini contro l'umanità".

Al progetto di risoluzione viene allegato un memorandum che, citando
il "libro nero del comunismo", giunge tra l'altro a conteggiare in "un
milione" le persone "uccise dal regime comunista in Vietnam" (sic),
considera "similari" i crimini compiuti da comunismo e nazismo,
esprime preoccupazione per "una sorta di nostalgia del comunismo
ancora viva in alcuni paesi, il che crea il pericolo che i comunisti
possano prendere il potere in questo o quel Paese".

Al progetto di risoluzione viene pure allegato un significativo testo
di "raccomandazioni" in cui si auspica – tra l'altro - che il
Consiglio d'Europa "promuova una campagna pubblica europea sui crimini
del comunismo, che comporti anche una revisione dei libri di scuola";
e chiede che "vengano rimossi, dove ancora non è stato fatto,
monumenti, nomi di vie e ogni altro simbolo che possa avere una
qualche connessione coi crimini commessi in nome del comunismo".

Respingiamo tale approccio, che suscita in noi indignazione politica e
morale. Sappiamo che essere comunisti oggi è difficile, anche perché
più che mai violento è l'attacco alle nostre idee, alle nostre
aspirazioni, alla nostra storia. Il revisionismo storico, che punta a
criminalizzare l'idea stessa della lotta di classe, stravolge l'intera
esperienza del movimento rivoluzionario operaio e comunista
presentandola come una sequenza di violenze e di fallimenti, come un
cumulo di macerie. Contro le rivoluzioni proletarie e la stessa
Resistenza antifascista vengono intentati processi sommari con
condanne senza appello.

Non ci riconosciamo in questi bilanci, che riteniamo storicamente e
politicamente errati. Il movimento comunista ha dato forza alla
rivendicazione dei diritti fondamentali delle masse lavoratrici e si è
sempre schierato contro la guerra, per la pace e per la giustizia
sociale. L'insegnamento dei suoi più grandi dirigenti del Novecento –
da Lenin a Gramsci – è ancora un contributo prezioso per l'analisi
critica della società capitalistica. Le grandi rivoluzioni che si sono
susseguite dopo il 1917, hanno liberato sterminate masse di popolo e
inaugurato una nuova epoca storica, nella quale si colloca la nostra
esperienza di comunisti. La Resistenza antifascista – nella quale
furono in prima fila i partigiani comunisti – ha permesso al nostro
paese di riconquistare dignità e democrazia dopo l'infame vicenda del
fascismo, delle sue leggi razziste e della guerra al fianco di Hitler.

Di questa storia siamo orgogliosi. Non ne dimentichiamo limiti e
pagine buie. Pensiamo che occorra, certo, procedere nella ricerca e
nella riflessione. Ma rivisitare la storia non significa rimuoverla.
Occorre evitare tanto difese acritiche quanto atteggiamenti liquidatori.

È necessario porre un argine al revisionismo storico che cancella o
riduce le colpe della borghesia e del capitalismo e criminalizza la
storia del movimento operaio e comunista. Finché il revisionismo
storico sarà egemone, il capitalismo riuscirà a nascondere le proprie
responsabilità per la maggior parte delle pagine più oscure della
storia moderna e contemporanea (la tratta degli schiavi, la miseria
delle masse proletarizzate, i genocidi del colonialismo, le guerre
mondiali, il nazifascismo e – oggi – la guerra preventiva e permanente).

Ciò di cui abbiamo bisogno è un bilancio critico della storia del
movimento operaio in 150 anni di lotta di classe. La critica netta
degli errori e dei processi degenerativi che hanno macchiato alcuni
momenti della storia del movimento comunista e del «socialismo reale»
fa irreversibilmente parte del nostro patrimonio culturale, politico e
morale. Siamo consapevoli della loro portata e delle gravi conseguenze
che ne sono derivate anche per chi non ha disertato la lotta nel nome
del comunismo. Avvertiamo ogni giorno l'esigenza di capire meglio ciò
che è avvenuto, ciò che non ha funzionato, ciò che ha infine
determinato la sconfitta di grandi esperienze storiche. Ma il
necessario riconoscimento delle pagine buie della storia del movimento
operaio e comunista non ci impedisce di comprendere che oggi il
pericolo maggiore è di fuoriuscire da questa storia.

A tale rischio rispondiamo rivendicando la storia del movimento
operaio e comunista, riconoscendola come la nostra storia. Ricordarne
i limiti non implica negarne i successi. L'Ottobre bolscevico e la
costruzione dell'Urss, la rivoluzione cinese, quella vietnamita e
quella cubana – per limitarci ad alcune tra le più importanti
esperienze del movimento comunista – hanno consentito la liberazione
di sterminate masse di donne e di uomini da condizioni di fame e di
miseria, e hanno rappresentato il tentativo di costruire società
alternative al capitalismo e orientate verso il socialismo.
L'importanza di queste esperienze non si è peraltro esaurita
all'interno dei Paesi che furono teatro di processi rivoluzionari.

Del resto, a chi nutrisse dubbi sull'aspetto prevalente
dell'esperienza rivoluzionaria del movimento comunista dovrebbe
bastare riflettere sulle conseguenze mondiali della scomparsa
dell'Unione sovietica. Nei quindici anni che ci separano dalla caduta
del Muro di Berlino, il mondo ha conosciuto un continuo radicalizzarsi
dei conflitti internazionali e interetnici, e ha assistito al ritorno
della guerra nella cronaca quotidiana, alla ricolonizzazione di interi
Paesi, al dilagare delle devastanti conseguenze sociali (povertà,
schiavitù, lavoro minorile, precarietà, epidemie) di un capitalismo
selvaggio e senza regole, al pesante arretramento del movimento
operaio in tutto il mondo occidentale e al peggioramento della
condizione di vita e di lavoro delle donne. La storia dell'umanità si
troverebbe oggi a uno stadio ben più arretrato se le rivoluzioni
socialiste del Novecento non avessero segnato vaste aree del mondo.

"Essere comunisti"
Area politica del Partito della Rifondazione Comunista
(Italia)

10 settembre 2005

(francais / italiano)

Beslan un anno dopo

FLASHBACK / 1: Il messaggio alla nazione del presidente Putin (2004)

FLASHBACK / 2: I terroristi ceceni appoggiano la guerra all'Iraq (2003)

Altri link:

Beslan : un an après le mystère s'éclaircit (T. Meyssan)

Il n'est pas prudent de considérer l'actualité internationale en
faisant abstraction des réalités stratégiques. Lors de la prise
d'otages du 3 septembre 2004 à Beslan, en Russie, qui causa la mort de
186 enfants, les relais médiatiques dominants s'étaient démarqués de
l'horreur en affirmant leur soutien aux « Tchéchènes modérés » d'Aslan
Maskhadov, appuyés par Londres et Washington. Pourtant, un an plus
tard, Chamil Bassaïev, organisateur de l'opération conçue pour
occasionner un carnage, vient d'être proclamé vice-Premier ministre du
gouvernement en exil. Avec du recul, on constate donc qu'une fois de
plus l'émotion immédiate sert des intérêts plus complexes : le
contrôle des ressources de la Caspienne...

http://www.voltairenet.org/article127219.html

Beslan, Londres : les différents visages médiatiques du terrorisme /
Chamil Bassaïev : Nous avons beaucoup de choses à raconter sur Beslan

http://www.voltairenet.org/article127221.html


=== 1 ===

Il messaggio alla nazione del presidente Putin

(settembre 2004)


"Si fa fatica e fa male parlare, adesso. La nostra terra è stata
attraversata da una tragedia terribile. Questi ultimi giorni ciascuno
di noi ha sofferto profondamente, il cuore di ciascuno è stato
attraversato da tutto quel che stava accadendo nella città russa di
Beslan, dove ci siamo scontrati non semplicemente con degli assassini,
ma con individui che hanno rivolto le armi contro dei bambini inermi.

Ora mi rivolgo con parole di solidarietà e di sentimenti comuni
innanzitutto a coloro hanno perduto quanto di più caro nella vita. I
propri figli, i propri parenti, i propri cari.

Vi chiedo di ricordare tutti quelli che negli ultimi giorni sono morti
per mano dei terroristi.

Nella storia della Russia non sono poche le pagine tragiche e di eventi
dolorosi. Viviamo nelle condizioni che sono andate maturando dopo la
dissoluzione di un grande Stato. Uno Stato enorme, che si è mostrato
incapace di sopravvivere in un mondo in rapida evoluzione. Nonostante
tutte le difficoltà, siamo riusciti a conservare il nucleo di questo =

gigante che era l'Unione Sovietica. Questo nuovo Paese l'abbiamo
chiamato Federazione Russa.

Tutti noi attendevamo dei cambiamenti. Dei cambiamenti in meglio.
Invece, ci siamo trovati assolutamente impreparati rispetto a molte
delle cose che sono cambiate nella nostra vita. Perchè?

Viviamo in condizioni di economia di transizione, che non corrisponde
allo stato ed al livello di sviluppo della società e del sistema
politico. Viviamo in condizioni di conflitti interni che si sono acuiti
e di contraddizioni interetniche, che prima venivano duramente represse
dell'ideologia imperante.

Abbiamo smesso di prestare la dovuta attenzione alle questioni della
difesa e della sicurezza, abbiamo permesso alla corruzione di colpire
la giustizia e la tutela dell'ordine pubblico. Nonsolo. Il nostro
Paese, che un tempo disponeva del più potente sistema di difesa dei
suoi confini esterni, si è ritrovato da un giorno all'altro del tutto
indifeso, ad Occidente e ad Oriente.

Per creare dei confini nuovi, moderni e realmente difesi ci vorranno
molti anni e miliardi di rubli. Ma anche qui avremmo potuto essere più
efficaci se avessimo agito per tempo e con professionalità.

Insomma, bisogna riconoscere che non abbiamo mostrato comprensione
della complessità e della pericolosità dei processi che avevano luogo
nel nostro proprio Paese e nel mondo intero. Quantomeno, non abbiamo
saputo reagire adeguatamente.

Abbiamo mostrato debolezza. E ai deboli gliele suonano. Alcuni vogliono
strapparci un pezzo più grasso, altri li aiutano. Li aiutano pensando
che la Russia, una delle più grandi potenze nucleari, continui a
rappresentare per loro una minaccia. Dunque, la minaccia va eliminata.
Il terrorismo, indubbiamente, è solo uno strumento per raggiungere
questi scopi.

Come ho già detto più volte, ci siamo scontrati spesso con crisi,
rivolte ed attentati terroristici. Ma quel che è accaduto stavolta è un
delitto disumano, inedito per la sua crudeltà. Non è una sfida lanciata
al Presidente, al Parlamento o al Governo. E' una sfida a tutta la
Russia. A tutto il nostro popolo. E' un'aggressione al nostro Paese.

I terroristi pensano di essere più forti di noi. Pensano che possono
intimidirci con la loro brutalità, paralizzare la nostra volontà e
distruggere la nostra società. Sembrerebbe che abbiamo la possibilità
di scegliere: resistergli o accettare le loro rivendicazioni.
Arrenderci, permettere di demolire la Russia, di farla a pezzi per
rubarne dei pezzi, nella speranza che alla fine essi ci lascino in pace.

Come Presidente, capo dello Stato russo, come persona che ha giurato di
difendere il Paese, la sua integrità territoriale, semplicemente come
cittadino della Russia, sono convinto che in realtà non abbiamo scelta
alcuna. Perchè basta permettergli di ricattarci e farci vincere dal
panico, e faremo sprofondare milioni di persone in un susseguirsi
infinito di conflitti sanguinosi, sull'esempio del Karabach, del
Pridnestrov'e e di altre tragedie simili.

Non si può non vedere l'evidente. Non abbiamo a che fare con singole
azioni di intimidazione, con sortite isolate dei terroristi. Abbiamo a
che fare con un intervento diretto del terrore internazionale contro la
Russia. Con una guerra totale, crudele, a tutto campo, che continua a
portar via le vite dei nostri connazionali.

Tutta l'esperienza mondiale sta a dimostrare che guerre simili,
purtroppo, non finiscono rapidamente. A tali condizioni semplicemente
non possiamo più, non dobbiamo vivere spensieratamente come prima.
Abbiamo il dovere di creare un sistema di sicurezza più efficace,
pretendere dai nostri organi di tutela dell'ordine pubblico delle
azioni adeguate al livello ed alla portata delle nuove minacce insorte.

Ma la cosa più importante è la mobilitazione della nazione di fronte al
pericolo comune. Gli avvenimenti negli altri Paesi dimostrano che i
terroristi si scontrano con la resistenza più efficace proprio laddove
vi si oppone non solo la potenza dello Stato, ma una società civile
organizzata ed unita.

Cari compatrioti, coloro che hanno inviato questi banditi per compiere
un crimine così odioso si erano prefissi l'obiettivo di aizzare i
nostri popoli gli uni contro gli altri, gettare nel terrore i cittadini
della Russia, scatenare delle sanguinose guerre intestine nel Caucaso
settentrionale.

A tal proposito voglio dire quanto segue.

Primo. A breve verrà elaborato un complesso di misure tese a rafforzare
l'unità del Paese.

Secondo. Ritengo indispensabile creare un nuovo sistema di interazione
tra forze e mezzi preposti ad esercitare il controllo sulla situazione
nel Caucaso settentrionale.

Terzo. E' necessario costituire un efficace sistema gestionale
anticrisi, prevedendo degli approcci concettualmente nuovi alla
attività degli organi di tutela dell'ordine pubblico.

Sottolineo: tutte queste misure verranno attuate in piena conformità
con la Costituzione del Paese.

Cari amici. Stiamo vivendo assieme delle ore molto tristi e difficili.
Vorrei adesso ringraziare tutti quelli che hanno mostrato fermezza e
responsabilità civile.

Siamo sempre stati e sempre saremo più forti di loro: per moralità,
coraggio, solidarietà umana. L'ho visto nuovamente questa notte. A
Beslan, letteralmente impregnato di pena e dolore, la gente aveva ancor
più cura l'un dell'altro, si sosteneva a vicenda. E non aveva paura di
rischiare la pelle in nome della vita e la tranquillità degli altri.
Persino nelle condizioni più disumane, rimanevano umani.

E' impossibile rassegnarsi al dolore delle perdite. Ma queste prove ci
hanno ancor più ravvicinati. Ci hanno costretti a rivedere molti
valori. Oggi dobbiamo essere uniti. Solo così sconfiggeremo il nemico".

[traduzione di Mark Bernardini]


=== 2 ===

I terroristi ceceni appoggiano la guerra all'Iraq

Mosca, 25 marzo 2003

Iraq, ceceni: giusta la guerra contro il tiranno Saddam

Il governo indipendentista ceceno di Aslan Maskhadov esprime oggi
appoggio alla guerra lanciata da Stati Uniti e Gran Bretagna per
liquidare "un crudele dittatore", ma invita Washington, e tutta la
comunità internazionale, a dimostrare che "la giustizia è imparziale"
prendendo "immediate" iniziative "per risolvere il conflitto
russo-ceceno".

Il portavoce del ministero degli Esteri ceceno, Roman Khalilov ha
detto all'Ansa che "la guerra in Iraq solleva molte questioni, ma una
cosa è certa: Saddam è un crudele dittatore" e "la comunità
internazionale ha il diritto e il dovere di chiamare tali tiranni a
rendere conto delle loro azioni".

http://www.italiairaq.info

NICOLA CALIPARI ED IL KOSOVO


Fonte: LA NEWSLETTER DI MISTERI D'ITALIA
Anno 6 - n. 98 (speciale Iraq/Sgrena/Calipari) 11 marzo 2005
http://www.misteriditalia.com

IO HO PERSO UN AMICO

di Sandro Provvisionato

Di Nicola Calipari è stato scritto molto, moltissimo. La retorica
ormai inevitabile, in questo Paese senza più certezze, non è riuscita
ad evitare un termine ormai tristemente inflazionato: EROE.

Chiunque muoia in circostanze drammatiche, come per incanto, diventa
un eroe: un poliziotto durante una rapina, una vittima della mafia o
del terrorismo, un ostaggio caduto nelle mani più insaguinate.

Io non so se Nicola (permettetemi di chiamarlo così, perché lo
conoscevo da tempo) sia stato un eroe. So solo che è morta una delle
persone più belle che abbia mai conosciuto nella mia lunga carriera di
giornalista. Un uomo semplice, schivo, che non amava i riflettori, ma
soprattutto un uomo competente che adorava il suo lavoro.

Conobbi Nicola all'inizio del 2000 quando era al vertice dello SCO, Il
servizio centrale operativo della polizia. Dopo la guerra del Kosovo,
la "guerra umanitaria" ella NATO scatenata - con il pieno avallo del
governo di centro-sinistra, guidato da Massimo D'Alema - per
"liberare" la provincia serba, oggi finita nelle mani di un criminale
di guerra, grande trafficante di droga, avevo deciso di scrivere un
libro che però non raccontasse la mia esperienza di inviato di guerra,
ma la realtà di un paese vocato a diventare uno narcostato, una
Colombia infilata come un cuneo nei Balcani.

La storia di questi anni sembra aver dato ragione a quel libro (uscì
sempre nel 2000 con il titolo: UCK, l'armata dell'ombra. Una guerra
tra mafia, politica e terrorismo). E Nicola in quel libro ebbe un
ruolo determinante: non volle essere citato, Nicola, ma tutte o quasi
le notizie sui narcotrafficanti albanesi del Kosovo vennero da lui, da
Nicola che proprio sulle filiere del traffico della droga era un vero
esperto.

Tovai in lui sensibilità e competenza, ma soprattutto una grande
diponibilità a ragionare.

Alla mia domanda: perché la NATO ha fatto una guerra per questa banda
di criminali e trafficanti che è l'UCK? Lui mi rispose: "Me lo sto
chiedendo dall'inizio della guerra".

Il nostro rapporto è continuato negli anni. Nei momenti di dubbio su
fatti che via via accadevano lo chiamavo. E lui aveva sempre un modo
di interpretare gli avvenimenti originale ed intelligente, mai banale,
mai scontato. Sapeva analizzare gli accadimenti con una lucidità che
legava un fatto ad un altro, fino a tessere una tela degna del
migliore di quelli che oggi è di moda chiamare con disprezzo "dietrologi".

Scherzavamo spesso su questo termine. Gli dicevo: "Lo dicono a me, ma
guarda che il vero dietrologo sei tu...". Lui rideva e ripeteva
sempre: "Ma se non vai dietro a quello che succede hai solo una
visione frontale che ti dà solo un'immagine parziale della realtà".

Lo avevo sentito un paio di settimane prima della sua morte. Gli avevo
esposto dubbi su un'operazione condotta lo scorso anno dal SISMI (e
quindi da lui) in Libano: un attentato sventato all'ambasciata
italiana di Beirut con l'appoggio dei servizi segreti siriani (vedi la
Newsletter n.93). Si era un po' innervosito della mia insinuazione, ma
poi, come sempre, aveva riso e mi aveva detto: "Lo sai che il dubbio
che i siriani ci abbiano tirato un bidone è venuto anche me...".

Ci eravamo ripromessi di vederci per parlarne meglio. Non c'è stato tempo.

Ciao, Nicola.

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=5288

Kosovo, la rabbia dei serbi

di Igor Fiatti
su Il Manifesto del 30/08/2005

Manifestazioni in tutta la provincia per l'uccisione di due giovani
sabato notte

Da Kosovska Mitrovica a Gracanica passando per Strpce. Il Kosovo serbo
scende in piazza e protesta per la morte di due ragazzi serbi uccisi
sabato notte in un agguato vicino al villaggio di Banjica. E mentre il
parlamento di Belgrado ricorda con un minuto di silenzio le vittime
dell'«attacco terroristico», nella provincia la tensione interetnica
sale e la situazione rischia un'altra volta di esplodere. Intanto la
comunità internazionale sta a guardare. «Ci uccidono uno a uno». Con
questo slogan, centinaia di serbi hanno protestato ieri a Gracanica
per l'omicidio dei giovani serbi originari di Strpce, enclave serba a
50 chilometri a sud-est di Pristina. E dopo una marcia nella strade
della città, i manifestanti hanno acceso più di un migliaio di candele
nel monastero ortodosso per le anime dei serbi assassinati dal 1999 ad
oggi. Srdjan Vasic, rappresentante dei serbi della provincia, parlando
alla folla ha detto: «Ci uccidono uno a uno da quando sei anni fa nel
Kosovo sono state portate pace e democrazia». E ha aggiunto: «Quasi
sempre le vittime sono ragazzi e bambini. Colpiscono dov'è più facile
e dove fa più male».

Vasic ha chiesto quindi al segretario generale delle Nazioni unite
Kofi Annan di sostituire Soren Jesen-Petersen, capo dell'Unmik (la
missione dell'Onu della provincia) perché «ha fallito e l'immagine che
ha dato del Kosovo è falsa». I dimostranti poi hanno occupato
pacificamente la strada Pristina-Gnjilane; non si sono verificati
incidenti.

Proteste anche nella parte serba di Kosovska Mitrovica, dove la accuse
sono state di nuovo tutte per Petersen: intervenendo in una
manifestazione, il presidente della lista serba per il nord della
provincia Milan Ivanovic, l'ha invitato infatti a rassegnare le
dimissioni giudicandolo «il principale colpevole per l'omicidio di
sabato notte». «Petersen, che conduce una politica pro-albanese, ha
detto che in Kosovo c'è libertà di movimento, ebbene questa libertà è
stata dimostrata dall'attacco che è costato la vita a due giovani
serbi», ha dichiarato Ivanovic. Per lui, dietro all'ultimo episodio di
sangue c'è una sola regia, quella dell'esercito nazionale albanese
(Ana) che «agisce indisturbato grazie all'inazione dell'Unmik».

In realtà molti analisti condividono la sua opinione e pensano che
l'Ana - movimento nato dalle ceneri del disciolto Uck che ha come
obiettivo la creazione della Grande Albania - voglia pesare sempre di
più nella politica regionale imponendo un'escalation della violenza.

Da Kosovska Mitrovica sono arrivate due richieste: l'Onu deve chiudere
di nuovo il ponte sul fiume Ibar che separa la parte serba da quella
albanese della città, e Belgrado deve concedere ai serbi della
provincia il diritto all'autodifesa. E ieri ci sono state proteste
anche nell'enclave di Strpce, villaggio delle vittime dell'agguato.

Proprio sulla strada che porta a Strpce da Urosevac, sabato notte
Aleksandr Stankovic e Ivan Dejanovic sono stati uccisi in
un'imboscata. Secondo l'agenzia di stampa serba Beta, da una Mercedes
nera sono partiti alcuni colpi che hanno centrato le gomme della Golf
dei giovani serbi. Quindi i ragazzi si sono fermati per cambiare un
pneumatico, ma quando sono usciti dalla loro auto una raffica di mitra
li ha falciati. Nell'agguato sono stati feriti Nikola Dukic e
Aleksandar Janicijevic.

Belgrado chiede ora all'Unmik di fare velocemente luce sull'accaduto e
di ripristinare sia la scorta a tutti i convogli serbi, sia i
checkpoint all'entrata e all'uscita delle enclavi serbe. «Da quando
sono stati eliminati i punti di controllo - si legge in un comunicato
del governo - la sicurezza per i serbi è notevolmente peggiorata.
L'ultimo atto terroristico dimostra che le autorità provvisorie del
Kosovo-Metohija non solo non sono preparate per il processo di
decentralizzazione, ma sono lontane anche dal rispetto degli standard»
fissati dalla comunità internazionale per avviare il dialogo sullo
status della provincia.

Il comunicato ricorda che «solo nel comune d'origine delle vittime 35
serbi sono stati uccisi dall'arrivo delle forze internazionali» nel
1999. E per il premier serbo Vojislav Kostunica c'è solo un
responsabile: «le forze Onu che non proteggono la minoranza serba del
Kosovo».

---

KOSOVO: UCCISIONE SERBI, L'IRA DI BELGRADO

(ANSA) - BELGRADO, 29 AGO - Ha riportato in alto mare l'ipotesi di un
rapido avvio di negoziati diretti serbo-albanesi sul Kosovo
l'uccisione, avvenuta sabato scorso, di due ragazzi serbi che
percorrevano in automobile la strada fra Pristina e Strpce, nel sud
della provincia. Il primo ministro serbo Vojislav Kostunica ha usato
parole durissime, anche nei confronti dell'amministrazione dell'Onu,
per stigmatizzare l'episodio, mentre il presidente Boris Tadic parla
di un chiaro avvertimento alla comunita' serba e il ministro degli
esteri Vuk Draskovic paragona gli estremisti kosovari albanesi ai
terroristi di Al Qaeda e della Cecenia. In una lettera aperta al
responsabile dell'Unmik Soren Jessen Petersen e all'emissario delle
Nazioni Unite Kai Eide, Kostunica ha stigmatizzato ''quella parte
della comunita' internazionale piu' suscettibile al ricatto
terroristico, che chiede il veloce avvio delle trattative'' in
condizioni proibitive: ''Voglio sentire chiaro e forte da voi di quali
standard stiamo parlando, quando dei giovani vengono uccisi solo
perche' sono serbi, senza che i responsabili si preoccupino di
eventuali punizioni''. Sulla stessa lunghezza d'onda e' il presidente
serbo Tadic, secondo il quale ''e' chiaro che siamo ben lontani da una
societa' democratica e multietnica''. Tadic ha anche sottolineato come
''le istituzioni responsabili nel Kosovo non siano riuscite finora'' a
mettere le mani sui colpevoli di passati crimini contro i serbi.
Draskovic chiede all'Onu, all'Ue, alla Nato e ai paesi del Gruppo di
contatto di ''prendere misure contro il terrorismo albanese'': a suo
avviso, ''non ci puo' essere differenza fra i terroristi che agiscono
a New York, Madrid, Londra, Mosca o Beslan e i terroristi che uccidono
in Kosovo''. La ''politica dei doppi standard nella lotta al
terrorismo - ammonisce il responsabile della diplomazia
serbo-montenegrina - sarebbe un regalo a quest'ultimo''. (ANSA). OT
29/08/2005 15:07

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=5252

La Sinistra Europea e la posizione del Partito Comunista di Boemia e
Moravia (KSCM)

di Hassan Charfo
su vari articoli online del 19/08/2005

INTERVISTA CON HASSAN CHARFO, RESPONSABILE DEL DIPARTIMENTO RELAZIONI
INTERNAZIONALI DEL KSCM

(Halò noviny, 19 agosto 2005)


Potrebbe presentarci sinteticamente il Partito della sinistra europea?

Il Partito della sinistra europea (SE) è stato fondato lo scorso anno
a Roma in un congresso che si è svolto l' 8 e 9 maggio. Organizzatore
del congresso fondativo è stato il Partito della rifondazione
comunista, il cui segretario nazionale Fausto Bertinotti è stato
eletto presidente della SE. La delegazione del KSCM partecipante al
congresso aveva il mandato di far sì che il nostro partito diventasse
membro fondativo, qualora fossero state accolte alcune nostre proposte
circa il carattere pan-europeo del partito e nel merito dei documenti
fondamentali del congresso, cosa che però non è avvenuta.

Come è andata a finire?

Il KSCM si è collocato nella posizione di osservatore attivo e in
questa veste prendiamo parte alle attività della SE.

Cosa comporta essere osservatore attivo?

I rappresentati del KSCM si esprimono, nelle riunioni del Comitato
esecutivo e dei presidenti della SE, come osservatori, sulla maggior
parte degli argomenti in discussione. Hanno sostenuto tutte quelle
risoluzioni che erano in sintonia con i nostri orientamenti su
questioni di attualità, tra cui la problematica del Trattato sulla
Costituzione europea, il conflitto israelo-palestinese, ecc.

Quanti e quali sono di fatto i membri del PSE?

I partiti fondatori sono 14 (e per lo più si tratta di partiti molto
piccoli o insignificanti). Sono : il Partito del socialismo
democratico della Repubblica ceca, il Partito socialdemocratico del
lavoro di Estonia, Rifondazione comunista di S. Marino, il Pc
austriaco, il Partito dell'alleanza socialista della Romania, il
Partito operaio ungherese, il Synaspismos greco, il Partito svizzero
del lavoro, il Partito del socialismo democratico della Germania, il
cui nuovo nome dopo il congresso straordinario è Partito della
sinistra, Rifondazione comunista, il Pc francese, la Izquierda Unida
spagnola, il Pc di Spagna e la Sinistra unita alternativa di
Catalogna. Queste ultime due formazioni fanno parte di Izquierda
unida, ma sono rappresentate nel Comitato esecutivo della SE come
entità autonome. Nel giugno di quest'anno il Consiglio dei presidenti
dei partiti membri ha approvato l'ingresso del Blocco di sinistra
portoghese.

Vi sono altri osservatori oltre al KSCM?

Oltre al KSCM, vi sono il Pc slovacco, il Partito dei comunisti
italiani, l'Akel di Cipro, il Partito comunista tedesco (DKP), il
Partito della libertà e della solidarietà della Turchia, la Coalizione
rosso-verde danese e il Pc finlandese.

A quali condizioni l'Unione europea riconosce il Partito della
sinistra europea?

Per il riconoscimento da parte della Ue è necessario che almeno sette
membri del nuovo partito siano rappresentati nei parlamenti nazionali,
o nel Parlamento europeo, o eventualmente, sulla base di norme
statutarie Ue, nei parlamenti regionali. Si tratta di condizioni che
allo stato attuale la SE non può adempiere senza l'apporto del KSCM.
Secondo questi criteri, sono partiti membri solo Rifondazione, il
Synaspismos, la Pds tedesca (oggi Partito della sinistra), il Pc
francese, Isquierda unida spagnola e il Blocco di sinistra portoghese,
quindi solo sei membri. Questa circostanza offre al KSCM una
opportunità rilevante per poter sostenere la sua proposta di unità
della sinistra di tutta l'Europa, su basi positive. Hanno bisogno di
noi come il sale ed è quindi necessario far valere opportunamente
questa chance, non dissiparla.

Qual è su questo insieme di questioni il punto di vista del Pc greco
(KKE)?

Questo partito ha preso le distanze fin dall'inizio della formazione
della SE, a causa delle modalità selettive e non unitarie con cui era
impostato il processo fondativo (modalità che danneggiano il movimento
della sinistra radicale) e in considerazione della dipendenza di
questo processo dalle istituzioni dell'Unione europea.

Cosa rappresenta il Blocco di sinistra portoghese?

Si tratta di una formazione che non ha nulla in comune col Pc
portoghese (il cui posizionamento verso la SE è simile a quella del Pc
greco). Il Blocco di sinistra è una sorta di cocktail di trotzkismo e
socialdemocrazia.

E il Partito socialdemocratico di Estonia?

Si tratta di un partito che non ha più di 300 aderenti. Si distingue
per le sue posizioni scioviniste nei confronti della minoranza russa
in Estonia. Ha chiesto sostegno finanziario al parlamento europeo per
l'apertura di un centro di propaganda nei paesi baltici.

E il Synaspismos?

Questo partito è formato da ex membri del Pc greco e da alcuni gruppi
ecologisti. E' molto vicino al partito socialdemocratico, il Pasok.
Molti membri della sua direzione sono già in più di un'occasione
passati al Pasok. L'anno scorso lo ha fatto addirittura la sua
presidente.

Come andrà a finire con le proposte presentate dal KSCM?

In sintesi si può dire che finora non ne è stata accolta nemmeno una.
Fausto Bertinotti, presidente della SE, ci ha negato al congresso
fondativo ogni possibilità di modifica dello statuto; ha sostenuto che
lo spazio principale di azione politica della SE è nell'Unione europea
e non nell' Europa nel suo insieme. Alla richiesta di trasformare la
SE in partito di carattere pan-europeo, ha risposto in modo arrogante:
la SE esiste, chi vuole entrarci, entri; chi vuole uscirne, esca; chi
vuole restare come osservatore, resti come osservatore.

Perché questo atteggiamento, cosa vuole impedire?

Abbiamo chiesto che fossero invitati altri 27 partiti comunisti e
radicali di sinistra di tutta Europa, tra i quali il Pc della
Federazione russa, dell'Ucraina, della Bielorussia, della Moldavia,
dei paesi baltici, dei paesi dell'ex-Jugoslavia, della Turchia, ma
anche di Paesi dell'Unione europea - Gran Bretagna, Portogallo,
Grecia, ecc. - ad un incontro congiunto, per poter discutere con essi
delle problematiche riguardanti l'unità della sinistra europea. I
rappresentanti del Pc francese, del Synaspismos e di Izquierda Unida
spagnola hanno definito i nostri sforzi per l'unità della sinistra
europea come un tentativo di ripristinare l'Internazionale comunista.

Pensa che un'intesa non sia possibile?

Per quanto concerne il principio del consenso, la prassi ci ha
dimostrato che esso è nei fatti assolutamente ignorato. In base allo
statuto della SE, tutti i partiti hanno nel Comitato esecutivo due
membri (indipendentemente dalle dimensioni di ogni partito – ndr). Se
non si applica il principio previsto delle decisioni prese col
consenso di tutti, vi è il rischio che nelle decisioni sulle
questioni più importanti, possa determinarsi uno scavalcamento di
partiti come il KSCM, vuoi a causa della direzione autoritaria della
SE, vuoi per mano di partiti la cui rappresentatività sul piano
locale ed europeo è quasi nulla, come ad esempio il Partito del
socialismo democratico della Repubblica ceca (0,1% di voti alle
elezioni – ndr). Tale contesto minaccia l'identità comunista del KSCM
e potrebbe favorire coloro che all'inizio degli anni '90 cercarono nel
nostro Paese, senza riuscirvi, di cancellare questa identità.
In secondo luogo, se entrassimo come partito membro nella SE
rinunciando alle nostre condizioni, cosa cambierebbe? Assolutamente
nulla, poichè gli altri partiti comunisti importanti che hanno le
nostre stesse opinioni ne resterebbero fuori, e quindi l'unità della
sinistra europea non sarebbe con questo assicurata. Mentre noi
perderemmo la faccia, il rispetto e le nostre posizioni nell'ambito
della sinistra radicale.

Perchè non vengono accolte le proposte avanzate dal KSCM?

Dal comportamento dei partiti membri decisivi -Rifondazione, Izquierda
unida, Pc francese, Synaspismos- risulta che non vi è la volontà
politica per il cambiamento della SE in partito con una ampiezza
effettivamente pan-europea, ma solo l'intenzione di uniformarsi alle
condizioni dell'Ue, la quale richiede il raggruppamento di almeno 7
partiti operanti nell'ambito Ue. In altri termini, a loro non importa
il problema dell'unità di tutta la sinistra europea. Infatti, nella
sua forma attuale la SE non solo non unisce la sinistra radicale
europea, ma lascia in disparte tutta una serie di partiti di sinistra,
innanzitutto i partiti comunisti dei paesi dell'ex Urss, i partiti di
sinistra dei Balcani e una gran parte di partiti radicali scandinavi e
persino europeo-occidentali. Questa dinamica ha disgregato la sinistra
europea e complica i rapporti al suo interno.
Secondo l'opinione di Hans Modrow, presidente onorario della ex-Pds
tedesca, se le questioni poste dal KSCM fossero messe veramente in
discussione nel prossimo congresso della SE, vi sarebbe persino il
rischio di una sua disintegrazione.

Dunque il KSCM porrebbe una questione di barriera geografica?

Secondo l'opinione di Walter Baier, presidente del Pc austriaco, gli
sforzi del KSCM per il cambiamento della SE in partito di tipo
effettivamente paneuropeo si basano su presupposti anche ideologici,
non solo geografici. Il che è come dire: la SE non vuole l'ingresso di
alcuni partiti comunisti dell' ex-Unione sovietica, ma anche dell' Ue,
per motivi ideologici. Baier inoltre ha affermato che il problema
della non attuazione del principio del consenso riflette insufficienze
strutturali della SE e fa risaltare la prevalenza di uno stile da
trattative di corridoio al posto del metodo del lavoro collettivo e
dell'assunzione delle decisioni nell'ambito degli organi collegiali
della SE.

La direzione del KSCM ha proposto una qualche via d'uscita?

Lo scorso dicembre l' Esecutivo del Comitato centrale del KSCM ha
incaricato Vaclav Exner (vice-presidente del partito – ndr) di
intraprendere con i partiti osservatori della SE, ed eventualmente con
altri partiti interessati, una consultazione sugli ulteriori
atteggiamenti da tenere nei rapporti con la SE e la sua attività.
Noi siamo parte attiva della collaborazione all'interno dell'ampio
spettro della sinistra radicale europea e vogliamo proseguire su
questa via. Il raggiungimento della più vasta unità della sinistra
europea resta un problema aperto. Gli incontri bilaterali e
multilaterali, comprese le annuali conferenze praghesi sin dall'anno
2000, dimostrano che è possibile una tale collaborazione nel rispetto
delle differenti posizioni su alcune questioni fondamentali, senza
alcuna discriminazione preventiva.

Esistono altri problemi?

Non è ancora risolto il problema del finanziamento della SE. In base
alla comunicazione del suo tesoriere, Pedro Marset, il partito
dovrebbe ottenere per quest'anno dal parlamento europeo 500 mila euro,
e ciò anche grazie alla firma apposta dagli europarlamentari del KSCM
alla richiesta di finanziamento della SE. Marset ha proposto di
prendere in considerazione due modalità di finanziamento della SE :
attraverso i contributi versati dai partiti membri, non dagli
osservatori, e ciò o sulla base del numero degli iscritti dei singoli
partiti, oppure sulla base del numero degli iscritti e dei voti ottenuti.

Quale modalità è stato scelta?

In una successiva riunione del Comitato esecutivo (5 giugno 2005), è
stata avanzata anche un'altra proposta: dividere i partiti membri in 4
categorie. Nella prima vi sarebbero i partiti più piccoli, che
pagherebbero 500 euro l'anno. Nella seconda i partiti un po' più
grandi, che pagherebbero 1500-2000 euro, nella terza categoria i
partititi ancora più grandi, che pagherebbero 5000 euro, mentre i
partiti più ricchi verserebbero 20 mila euro l'anno. Se il KSCM fosse
partito membro, dovrebbe, secondo questa proposta, versare 600 mila
corone l'anno, essendo inserito nella quarta categoria. Rifondazione
preferirebbe contributi in base al numero degli iscritti, per il
valore di un euro per iscritto ogni anno. Secondo questa proposta, il
KSCM dovrebbe versare 3 milioni di corone l'anno.
Per l'ottenimento della suddetta somma di 500 mila euro da parte del
Parlamento europeo, la SE dovrebbe però dimostrare di avere propri
introiti nella misura del 25% di questa somma, cioè 125 mila euro.
Tutti questi introiti tuttavia non basterebbero per la copertura delle
necessità del partito.

Perchè non basterebbero?

Uno dei motivi è la decisione di stabilire la sede centrale con i
funzionari della SE a Bruxelles, che è una delle città più care d'Europa.

In che modo la SE valuta l'esperienza storica del movimento comunista?

Purtroppo assai negativamente. Nel preambolo dello statuto della SE
l'utilizzo della nozione di "stalinismo" dà origine a una quantità di
diverse possibili interpretazioni e reminiscenze riguardanti il
passato. La nozione di "stalinismo" non è affatto comunemente e
univocamente accettata. Si tratta di una nozione di cui tra l'altro si
è abusato per attaccare tutta la storia del socialismo in Europa.
Peraltro la nozione di "stalinismo" non è neppure comprensiva di tutte
le pratiche non democratiche e di tutti i delitti, che lo stesso
movimento comunista ha già per parte sua condannato, distanziandosene,
e che considera anche per il futuro inaccettabili.
Oggi sono soprattutto gli avversari politici che definiscono alcuni
partiti come "stalinisti".
Abbiamo proposto di sostituire l'espressione di "pratiche e crimini
stalinisti", con termini più estensivi, come ad esempio "tutte le
pratiche e i crimini antidemocratici". Nell'incontro del luglio scorso
con i rappresentanti della Pds tedesca abbiamo, come possibile
compromesso, proposto un eventuale aggiunta: "compresi quelli a cui ha
preso parte Stalin", oppure la cancellazione del testo oggetto della
controversia. Per questo non capisco coloro i quali nei media usano
demagogicamente questa questione contro il KSCM.

Come definirebbe l'attuale rapporto del KSCM col Partito della
sinistra europea?

Il KSCM si è sempre sforzato per la cooperazione e il coordinamento
della sinistra europea. Il raggiungimento dell'unità d'azione della
sinistra europea non si può però ottenere con l'esclusione di una
parte importante del movimento di sinistra radicale europeo. Le
esperienze derivanti dalla partecipazione alle riunioni del Comitato
esecutivo della SE, dalle discussioni e dalla corrispondenza con altri
partiti, dimostrano che le nostre obiezioni sono giustificate ed hanno
il sostegno diretto o indiretto di altri partiti. La prassi dimostra
la loro giustezza, ma non c'è la volontà politica da parte della
direzione della SE di metterle in pratica.
Il Comitato centrale del KSCM nel giugno dello scorso anno decise che
saremmo stati un partito attivo all'interno della SE con lo status di
osservatori. A mio parere, dalle esperienze fin qui compiute ne deriva
che non è necessario cambiare quella decisione, dato che non è
avvenuto nulla di nuovo che richieda un eventuale cambiamento. D'altra
parte, essere presenti come osservatori non significa, come alcuni
ingenuamente credono, solo "osservare" e non prendere parte attiva
alle trattative e discussioni. Al contrario. L'unica sostanziale
differenza tra il partito membro e quello osservatore, come è
dimostrato dalla prassi, consiste nel fatto che il partito membro deve
pagare i contributi.

(intervista pubblicata nella prima pagina di Halò noviny, quotidiano
del KSCM, il 19 agosto 2005)
Nostra traduzione

KARLOVACKI KOMUNISTI / I COMUNISTI DI KARLOVAC

MESSAGGIO AGLI OPERAI AFFAMATI

1. Questo Stato è basato sulla rapina della classe operaia nel
processo della privatizzazione e questo processo continua.
2. Lo stato attuale delle cose in tutto e per tutto conviene ai
partiti maggioritari (HDZ – Comunità democratica croata e SDP –
Partito socialdemocratico) i quali tramite di esso si accaparrano dei
profitti e del potere.
3. I partiti politici maggioritari non hanno alcun interesse a
difendere i diritti degli operai e sono interessati esclusivamente al
mantenimento delle proprie posizioni.
4. Alla difesa degli operai non sono interessati nemmeno i sindacati.
Il vertice dei sindacati si collega con i vertici dello Stato e con i
capitalisti nell'intento di acquisire e mantenere il potere.
5. Perciò è necessario destituire tutti i vertici sindacali e creare
un sindacato fedele della classe operaia.
6. La classe operaia sarà in grado di realizzare i propri interessi
soltanto unita e con una coscienza di classe formata e matura.
7. Perciò necessita un nuovo sindacato unitario che si metta alla
testa della lotta operaia su tutto il territorio nazionale.
8. La liberazione della classe operaia deve essere opera della classe
operaia stessa. La classe operaia deve da sola condurre la lotta
vincente per i propri scopi ed interessi.
9. La classe operaia deve opporsi al sistema vigente ed allo Stato,
visto che solo in questo modo sarà in grado di realizzare i propri
interessi.

Dallo Jutarnji List di giovedì, 25 agosto 2005

È stato accertato che si tratta d'un gruppo di ragazzi tra i quali il
più grande ha 21 anni e la maggioranza ha età compresa tra 14 e 16 anni.

La classe operaia deve lottare contro il sistema e lo Stato visto che
unicamente in questo modo essa sarà in grado di realizzare i propri
interessi – dicono i comunisti di Karlovac nei manifesti incollati nel
sottopassaggio, ma anche nella pagina internet www.proleteri.tk, la
quale ieri misteriosamente è sparita dalla rete. Gli autori dicono che
HDZ e SDP realizzano profitti e potere nel sistema vigente e che non
hanno interesse a difendere i diritti degli operai, ma solo i propri
privilegi, e perciò essi fanno appello alla destituzione di tutte le
organizzazioni del sindacato esistenti e alla creazione d'un unico
sindacato di lotta. Già martedì, aprendo la pagina (internet),
eravamo costretti a sentire l'Internazionale e a guardare le immagini
di Marx, Engels, Rosa Luxemburg, Tito, Ho Chi Min, Che Guevara e
Trockij, e si potevano leggere anche le loro biografie brevi. Sul
fondo rosso e con la stella rossa si trovavano le notizie sul
movimento comunista nel mondo e contro la Chiesa cattolica e anche
quadri artistici con soggetti tratti dalla lotta rivoluzionaria ed
anche un manifesto nero in caratteri cirillici. A pie' della pagina,
che si presentava come Proleter, la rivista per la classe operaia e
per tutti gli appartenenti alla sinistra, si trovava la firma "I
comunisti di Karlovac".
Il funzionario di polizia di Karlovac addetto alle pubbliche
relazioni, Tomislav Kotic, ha detto che la polizia indagherà sul caso
ufficialmente per appurare l'esistenza delle basi per un eventuale
procedimento penale. Mentre la polizia svolge le sue attività noi
siamo riusciti a rintracciare gli autori della pagina svolgendo una
indagine presso i newsgroups in internet. Ieri pomeriggio ci siamo
incontrati con quattro dei venti giovanotti che compongo questo gruppo
di età tra i 15 e i 25 anni. Uno di loro, il diciottenne P., che gli
altri considerano il loro capo, ha detto che il loro intento non
sarebbe quello di attaccare il sistema prestabilito dalla Costituzione.
- Noi studiamo l'ideologia socialista, visto che essa è l'unica ad
offrire una risposta scientifica e confermata dalla esperienza alla
disoccupazione, ai salari bassi, ai diritti operai sotto attacco... Ci
limita l'apatia che regna sovrana nella società. Vogliamo lottare per
i nostri diritti non con la violenza ma con la presa di coscienza
della gente - afferma P. Egli dice che la pagina sull'Internet non è
stata spenta per paura della reazione degli organi competenti, ma a
causa di problemi tecnici.
- Qualcuno ha tentato di entrare nella pagina e di cambiarne il
contenuto e quindi abbiamo dovuto reagire, ma presto ci attiveremo
nuovamente.
Il giovane comunista ci ha annunciato che il loro gruppo festeggerà le
date socialiste come il 1 maggio, ma la sua vera identità resterà
nascosta e lo stesso per tutti gli altri, visto che temono le reazioni
dei vicini e della gente che li circonda.
Infine ci hanno detto che hanno verificato che non ci sono le basi per
un procedimento penale nei loro confronti e che loro non si vogliono
identificare con il mondo d'oggi nel quale sono omologati i loro genitori.

(autori del testo dello Jutarnji: Kukec e Radocaj; traduzione di J.
Tkalec; revisione di AM)

Da: "icdsm_italia"
Data: Mar 30 ago 2005 14:28:46 Europe/Rome
A: icdsm-italia @ yahoogroups.com
Oggetto: [icdsm-italia] Milosevic à La Haye


Milosevic à La Haye

1) Milosevic à La Haye: plus c'est intéressant, moins on en parle
(Diana Johnstone, aout 2005)

2) « J'ai du défendre l'honneur de la Russie au tribunal de La Haye »
(Léonid Ivashov, mai 2005)

3) Seule la vérité peut sauver le monde
(Komnen Becirovic, avril 2005)


---( 1 )---

(Article pour "Le Manifeste", Paris.)

Milosevic à La Haye: plus c'est intéressant, moins on en parle


Le procès de Slobodan Milosevic à La Haye devant le "Tribunal
Pénal International pour l'ancienne Yougoslavie (TPI)" fut annoncé
comme un grand moment de la justice internationale. Trois ans plus
tard, il a réussi à mériter sa place dans l'histoire judiciaire. Il
devra sans aucun doute figurer parmi les procès restés célèbres, tels
que celui de Socrate, de Jeanne d'Arc, du capitaine Dreyfus, de
Boukharine, qui doivent leur notoriété aux abus flagrants des droits
élémentaires de la défense.
Au début, on aurait cru que la télévision et les journaux
nous serviraient régulièrement les épisodes du procès-spectacle de
celui qu'ils avaient nommé "le boucher des Balkans". Mais la
pertinence et la solidité de la défense menée par Milosevic lui-même
ont vite fait taire les médias. Aujourd'hui, il se tient pratiquement
à huis clos. Et pour cause.
L'accusation, selon laquelle Milosevic serait coupable de tous
les crimes commis au cours des guerres de désintégration de la
Yougoslavie en tant que meneur d'une prétendue "entreprise criminelle
collective" pour créer "la Grande Serbie", est en train de fondre
encore plus rapidement que la glacière arctique. Le 25 août, le
procureur adjoint Geoffrey Nice a dû admettre une évidence: que le
Président Milosevic n'avait pas cherché à créer une "Grande Serbie".
En effet, Vojislav Seselj venait de soutenir pendant plusieurs jours
de témoignage détaillé que son propre Parti Radical serbe était le
seul à prôner la "Grande Serbie" et que Milosevic et son Parti
socialiste y étaient toujours opposés. Cela ne faisait que confirmer
les témoignages qui, depuis plus d'un an, démolissent systématiquement
l'accusation lancée contre Milosevic en mai 1999, en plein
bombardement de son pays par l'Otan.
Les trois juges ne pouvaient cacher leur perpléxité. Ils sont
là pour trouver Milosevic coupable, mais ils commencent à se demander:
de quoi?
Heureusement que les médias sont là pour ne pas rendre compte
de leur embarras. Ils doivent partager leur gêne. On peut croire que
pour Le Monde, en particulier, un jugement de "non coupable" dans le
procès Milosevic serait une catastrophe encore pire que le "non" au
référendum du 29 mai. Déjà au début des années 90, Florence Hartmann,
en tant que correspondante du Monde à Belgrade, avait accusé Milosevic
de tous les torts, avant de devenir porte-parole du procureur du TPI,
Carla del Ponte.
Ce prétendu "tribunal des Nations-Unies" fut créé sur une
initiative de Washington pour faciliter la restructuration de
l'ancienne Yougoslavie en écartant, grâce aux inculpations, les
dirigeants serbes récalcitrants. Le TPI est financé en premier lieu
par le gouvernment des Etats-Unis et des donateurs privés tel que
George Soros, ainsi que des pays de l'Otan. Le personnel est "prêté"
par les ministères des Etats-Unis (pour les deux tiers) et de leurs
alliés. Le ministre des affaires étrangères de Clinton, Madeleine
Albright, qui porte la plus grande responsabilité dans la guerre
contre la Yougoslavie en 1999, a personnellement choisi, entre autres:
-- Louise Arbour, le procureur qui eut l'obligeance de lancer
l'accusation hâtive contre Milosevic pendant les bombardements, sur la
seule base de renseignements fournis par les services américains et
britannique. Sa récompense: un siège à la Cour suprème du Canada
avant d'être nommée à la tête de la Commission des Droits de l'Homme
des Nations-Unies.
-- Gabrielle Kirk McDonald, juge au Texas, présidente du
Tribunal au moment de l'inculpation de Milosevic, qui appella la
Serbie "un état voyou".
-- Paul Risley, porte-parole de Mme Arbour.
-- Carla del Ponte, procureur en chef actuel.
Les trois juges au procès Milosevic viennent du Royaume-Uni,
de la Jamaïque et de la Corée du Sud. Tous au goût de Washington.
Deux des trois suffiront pour condamner l'accusé; il n'y a pas de
juré, et la seule cour d'appel... c'est le TPI lui-même.
Dans cette situation, à quoi bon fatiguer le public avec les
détails d'un procès jugé d'avance?
Seuls quelques curieux peuvent en savoir quelque chose, en
consultant le procès verbal du TPI sur le site http://www.un.org/icty/
Il y est donc difficile, mais non pas impossible, d'apprendre que:
-- Le "dictateur" Milosevic n'était en réalité qu'un chef
d'état aussi démocratiquement élu que les autres, dans un état à peu
près comme les autres, avec des lois et des hiérarchies et des prises
de décisions parfois malheureuses mais en conformité avec la pratique
habituelle des Etats, telle que celle d'écraser un mouvement armé
séparatiste qui assassinait des policiers et des citoyens (l'UÇK,
"l'armée de libération du Kosovo).
-- Les officiers et fonctionnaires de cet Etat, documents à
l'appui, ont pu systématiquement démontrer que le Président Milosevic
n'avait ni planifié ni approuvé la "purification éthnique" des
Albanais du Kosovo, encore moins le "génocide" (qui n'eut pas lieu).
Il a par contre insisté sur la nécessité de protéger la population
civile, albanaise ou autre.
-- Le nombre des morts au Kosovo pendant la guerre menée par
l'Otan se situe entre 2 500 et 4 000, toutes ethnies et toutes causes
du décès confondues..
-- Les causes de la fuite massive des Albanais du Kosovo
étaient multiples -- tout comme la fuite des autres ethnies, ignorée
des médias -- y compris la peur toute naturelle des bombardements et
des combats entre Serbes et l'UÇK, ainsi que les ordres donnés par
l'UÇK de fuire en accusant les Serbes, pour mieux justifier
l'agression de l'Otan.
-- Devant l'absence trop flagrante de "génocide" au Kosovo, le
TPI a élargi l'inculpation originelle pour inclure les évènements de
la Bosnie, dans l'espoir d'établir un lien, aussi tenu soit-il, entre
Milosevic et le massacre de Srebrenica, qualifié par des arguments
psycho-sociologiques d'un rare sophisme, de "génocide" (malgré le fait
que femmes, enfants et vieillards furent épargnés). En effect, le TPI
se permet de changer les règles du jeu comme bon lui semble pour
faciliter le travail du procureur.
-- La stratégie de l'UÇK, qui consistait à provoquer les
Serbes pour fournir le prétexte "humanitaire" à l'agression de l'Otan,
en collusion avec les services anglo-américains, a été solidement
établie par des témoins sur place et bien informés, tel l'Allemand
Dietmar Hartwig, chef de la Mission de Contrôle Européen au Kosovo
entre novembre 1998 et mars 1999.
Dans un procès plus ou moins normal, on s'attendrait à
l'acquittement de l'accusé pour absence de preuves. Mais dans un
procès "historique", c'est-à-dire conçu par les grandes puissances
pour justifier leur action, un verdict juste tiendrait du miracle. Le
préjugé des juges est flagrant; ils ne cessent de harceler les témoins
de la défense après avoir traité les accusateurs les moins crédibles
avec indulgence. La condamnation de Milosevic est nécessaire pour
justifier à la fois l'Otan et le détachement de la province de Kosovo
de la Serbie. Plus généralement, la guerre "humanitaire" exige
toujours un méchant, un "nouvel Hitler", qu'il faut condamner pour
préserver l'ordre manichéen du monde.
Ce Tribunal n'est pas fait pour rendre la justice. Pourtant, à
la longue, il peut la servir. Le procès verbal de ces étranges
procédures constitue un document qui pourra être étudié à l'avenir par
des chercheurs authentiquement indépendants et qui découvriront un
scandale judiciaire semblable à la condamnation de Dreyfus (mélange de
préjugés et de "défense de l'honneur militaire") mais sur une échelle
bien plus grande et avec les implications graves et multiples.

-- Diana Johnstone


---( 2 )---

« J'ai du défendre l'honneur de la Russie au tribunal de La Haye »

Auteur : Léonid Ivashov

Le général Léonid Ivashov est ancien fonctionnaire de la Défense russe
et responsable du département de Coopération militaire internationale.
Il est actuellement vice-président de l'Académie russe de géopolitique.

Source : Vremya Novostyey (Fédération de Russie)
[http://www.reseauvoltaire.net/reference1420.html%5d
Référence :
[http://www.vremya.ru/2005/74/5/123876.html%5d par Léonid Ivashov,
Vremya Novostyey, 28 avril 2005. Ce texte est adapté d'une interview.

Résumé : J'ai dû témoigner pendant 10 heures dans l'affaire Milosevic.
Je dois encore défendre l'ancien chef d'état-major des armées
yougoslaves, le général Dragoljub Oidanic. J'ai été effrayé par le
sténogramme de mon audition, c'était plein d'erreurs, d'oublis, de
phrases incomplètes. Avec le vocabulaire militaire et la double
traduction simultanée, il ne reste pas grand-chose, j'aurais dû parler
plus méthodiquement. Je suis par contre satisfait de la vidéo de mes
déclarations, c'est sur cette base que nous allons publier avec
Nikolaï Ryjkov (à l'époque responsable de la commission sur la
Yougoslavie à la Douma) et Evguéni Primakov (Premier ministre en ce
temps là), une version littéraire des sténogrammes.

Le procureur Jeffrey Nice a mis notre parole en doute. Il nous accuse
d'avoir écouté illégalement des personnalités politiques alors que
nous écoutions des terroristes kosovars, dont l'un d'eux se trouvait
il est vrai en conversation avec Madeleine Albright (Il s'agir
d'Ibrahim Taci à qui elle avait promis un référendum sur le Kosovo en
échange de son accord pour l'intervention de l'OTAN). Il a aussi
déformé mes propos et il s'est permis de me dire qu'il me pardonnait
car j'ai grandi dans un pays socialiste et que je ne comprend pas la
démocratie occidentale, que je suis un slave et que je suis obligé de
défendre les Serbes. J'ai défendu mon honneur et celui de la Russie.

Il n'y a pas eu de génocide des Albanais au Kosovo. Des Albanais,
parmi eux des officiers, m'ont dit qu'ils vivaient bien, qu'ils
avaient des postes, mais que les boïevikis leur ont demandé de les
quitter. Il est prouvé que ce sont les narcomafias albano-caucasiennes
et turques qui ont commencé à déstabiliser la Yougoslavie. Le point
central était Pristina. C'est le krach des pyramides financières
albanaises en 1996-1997 qui a déclenché les choses. Des armes bon
marché sont apparues, des explosifs. Cette narcomafia était derrière
le Mouvement de libération du Kosovo. Les services secrets allemands
ont utilisé la situation, aidés par les Turcs.

Il n'y avait pas de position claire du gouvernement russe au sujet de
cette guerre. Le ministère de la Défense s'était catégoriquement
opposé à l'embargo sur les armes en 1999, mais celui des Affaires
étrangères l'a soutenu. Nous n'avons pas fait assez pour empêcher
cette guerre. Nous avons pu observer les préparatifs de l'OTAN.
J'avais dit à l'époque qu'il n'y aurait pas de guerre si les forces
yougoslaves étaient capables d'infliger des pertes à leur futur
adversaire. Seule la force peut contenir la force.

Réseau Voltaire, 12 mai [http://www.reseauvoltaire.net/%5d

SOURCE : http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages


---( 3 )---

Seule la vérité peut sauver le monde

Komnen Becirovic

Version intégrale de l'allocution prononcée en guise d'introduction à
la présentation du livre *Ma Vérité* de Slobodan Milosevic, au Centre
d'Accueil de la Presse Étrangère, CAPE, à Paris, le 8 avril 2005.


Les participants

Mesdames et Messieurs, chers confrères et consoeurs,

Puisque je me trouve à l'origine de la proposition faite au Comité
directeur de l'APE de débattre de ce livre, proposition qu'il a bien
voulu accepter, je sens de mon devoir de vous en fournir quelques
explications d'autant plus qu'il s'agit d'un auteur peu commun, d'une
part, et que, d'autre part, quelques objections ont été faites ces
derniers jours à John Keating et à moi-même sur l'opportunité, voire sur
l'audace d'organiser un débat autour de l'ouvrage émanant d'un démon que
serait, d'après ces gens vertueux, Slobodan Milosevic. Mais d'abord, je
me félicite de vous voir si nombreux venus assister à une rencontre
concernant un ouvrage qui a dans son titre le mot vérité, même si le
livre vient de la part de Slobodan Milosevic, l'homme qui pendant des
années aura effectivement fait l'objet d'une satanisation sans précédent
dans l'histoire du monde. Qui plus est, c'est contre lui que s'est
levée, afin de le renverser, la plus formidable puissance militaire de
tous les temps, l'Otan, puisque ses responsables, ainsi que les chefs
d'Etat et de gouvernements occidentaux impliqués, ne cessaient
d'affirmer durant la guerre dite du Kosovo, que l'on ne faisait pas la
guerre au peuple serbe, mais seulement à Slobodan Milosevic ! Il y
aurait là, si cela n'avait pas été cynique et absurde, puisque les
bombes meurtrissaient précisément les Serbes et détruisaient leurs
biens, quelque chose qui eût donné à Milosevic les dimensions d'un héros
mythique : d'un côté une vingtaine d'États comprenant près d'un milliard
d'hommes avec des moyens militaires, économiques, politiques et
médiatiques illimités, et de l'autre côté un seul homme avec son peuple
de quelque dix millions d'âmes, soumis pendant près de trois mois aux
feux de l'apocalypse du seul fait d'avoir défendu la partie la plus
sacrée de son territoire, le Kosovo.
En tout état de cause il y a lieu de s'interroger là-dessus et, pour
vous aider à le faire, je me limiterai à citer quelques exemples
criants, pris au hasard parmi mille autres, où les médias, au lieu de
répandre la vérité, se sont mis à propager les mensonges, en flouant les
opinions, en induisant les esprits en erreur, en bernant les multitudes
télévisuelles, si je peux m'exprimer ainsi. Prenons, par exemple, le
conflit bosniaque : en février 1991, les représentants des trois peuples
de Bosnie, Alija Izetbegovic, Radovan Karadzic et Mate Boban, signent
sous l'égide de l'Union européenne les accords dits de Lisbonne sur une
Bosnie trinitaire. Or à peine rentré à Sarajevo, Alija Izetbegovic
ambitionnant de conserver la prédominance musulmane en Bosnie, téléphone
à Warren Zimmermann, ambassadeur des États-Unis à Belgrade, et lui
confie qu'il avait signé ces accords à contrecœur, et Zimmermann
d'absoudre aussitôt Izetbegovic de retirer sa signature. C'est la
reconnaissance de la Bosnie comme État indépendant, le 6 avril 1992,
suivie d'une atroce guerre tournante entre la communauté serbe,
musulmane et croate, dont on impute naturellement la responsabilité aux
Serbes et qui en feront les frais, puisqu'ils subiront les bombardements
de l'Otan en automne 1995. La guerre se termine par les accords de
Dayton, signés à Paris en décembre de la même année, reprenant presque
textuellement le contenu des accords de Lisbonne abandonnés quatre ans
plus tôt à l'instigation du gouvernement américain. Ce torpillage des
accords de Lisbonne est magistralement dévoilé dans un article de David
Binder, paru sur une page entière de New York Times du 29 août 1993,
alors que la guerre de Bosnie battait son plein, faisant des dizaines de
milliers de morts et de blessés et des centaines de milliers de sans
abris.
Et voici à présent un cas de désinformation d'autant plus préjudiciable
qu'il a été véhiculé par un grand journal : dans son édition du 30-31
août 1992, Le Monde publie un très long article, intitulé " La genèse du
" nettoyage ethnique " par sa correspondante de Belgrade, Florence
Hartmann qui attribue la responsabilité à cette sinistre pratique
principalement aux idées développées dans le fameux Mémorandum de
l'Académie serbe, paru en 1986, bien après la mort de Tito comme une
critique de son règne despotique, celui-ci reposant sur la fameuse
formule : Une Serbie faible, une Yougoslavie forte. Un écrit somme toute
mesuré, presque évangélique comparé à la Déclaration islamique d'Alija
Izetbegovic dont les idées anticipent d'une vingtaine d'années celles de
Ben Laden, et à la Déroute de la vérité historique de Franjo Tudjman,
une véritable apologie du génocide perpétré par les oustachis sur les
Serbes et par les nazis sur les Juifs durant la Seconde guerre mondiale.
Ceci n'empêche pas Florence Hartmann de passer complètement sous silence
ces deux derniers ouvrages et de qualifier le Mémorandum de l'Académie
serbe d'une sorte de bréviaire du nettoyage ethnique, pour ne pas dire
d'un nouveau Mein Kampf.
Evidemment c'est le haro sur le Mémorandum et sur l'Académie serbe à tel
point que l'un des hommes politiques le plus en vue à l'époque, déjà de
par sa fonction du président de la Commission européenne, Jacques
Delors, se produit à la télévision et, dans un entretien avec Anne
Sinclair, dimanche soir 16 mars 1997, déclare devant des millions des
téléspectateurs, se fondant principalement sur l'article du Monde, que "
depuis des années, s'élaborait en Serbie, dans l'Académie de Belgrade,
une idéologie du nettoyage ethnique qui est une idéologie du rejet de
l'autre, une idéologie de mort ", en se vantant qu'il l'avait déjà
désignée à la vindicte publique dès 1992. L'émotion est grande parmi les
Serbes de France, l'Académie serbe se sent diffamée si bien que l'on
charge Me Gilles William Goldnadel d'intenter un procès à Delors, mais
le président du tribunal déclare la plainte irrecevable, Jacques Delors
ayant tellement mérité de la France et de l'Europe qu'il serait mal à
propos de lui faire un procès. Évidemment l'Académie et le peuple serbes
mis au pilori ne pouvaient constituer qu'une quantité négligeable à côté
d'un politicien, fût-il de la stature des plus médiocres. Cependant, le
Mémorandum existant en français grâce aux éditions L'Âge d'Homme, on le
fait parvenir à Delors qui le lit et se rétracte en privé en avouant,
dans une lettre manuscrite à un ami, datée du 15 avril 1997, qu'il ne
trouvait dans cet écrit nulle trace de " théorisation ni d'appel à la
purification ethnique " et qu'il laissait désormais aux " historiens le
soin de démêler les origines et les causes de tant de malheurs ". Le
jour précédent, le 14 avril, il avait adressé, en usant de la langue de
bois, une lettre personnelle au président de l'Académie serbe, Alexandre
Despic, en l'assurant qu'il allait étudier avec soin le Mémorandum,
alors qu'il l'avait déjà fait, poursuivant qu'il était attaché à
l'amitié des peuples serbe et français, qu'il compatissait envers les
peuples victimes, qu'il recherchait les voies d'une compréhension
mutuelle, de la paix, etc., mais sans jamais trouver depuis le moindre
courage ni grandeur d'âme de revenir publiquement sur ses propos
incendiaires et scandaleusement diffamatoires tenus à la télévision.
Pareillement, le 28-29 novembre 1992, le New York Times, le Washington
Post et l'International Herald Tribune, publient une longue histoire
terrifiante intitulée Ethnic Cleansing in Bosnia : A Savage Tale of
Murder and Rape par John F. Burns, que reprennent la plupart des
journaux européens. Il s'agissait prétendument des aveux d'un Serbe,
nommé Borislav Herak qui aurait avec un complice exécuté des dizaines de
musulmans et violé des dizaines de leurs femmes, des aveux que Herak
s'est mit bientôt à singer durant des semaines à la télévision que
toutes les chaînes se sont données à cœur joie de diffuser. C'est en
vain que la direction des Serbes de Bosnie dément et proteste en
affirmant qu'il est question d'un individu dérangé qui purgeait une
peine de prison, qui s'en était échappé et dont les autorités
islamo-bosniaques s'étaient emparées pour l'utiliser à noircir les
Serbes et attiser davantage sur eux la haine de la communauté
internationale.
Rien n'y fait, le monde s'émeut, la Commission pour les droits de
l'homme de l'Onu siège, et les cris de guerre, les appels aux frappes
aériennes contre les Serbes de Bosnie, retentissent une fois de plus. En
même temps l'auteur du récit, John F. Burns, est célébré comme un
véritable héros médiatique et reçoit la plus haute distinction
journalistique américaine, le prix Pulitzer. Et ce n'est que seulement
cinq ans après qu'un grand journaliste américain Chris Hedges, fait une
enquête sur cette affaire et publie dans le même New York Times du 3
mars 1997 l'article : War Crime 'Victims' Are Alive, Embarassing Bosnia
où il démontre que les affirmations des Serbes avaient été parfaitement
véridiques et que tout dans cette affaire d'un bout à l'autre n'était
qu'imposture. Le but en était, écrit Hedges, " d'accuser les Serbes du
meurtre des dizaines de milliers des musulmans, et surtout de convaincre
les Etats-Unis et l'Europe que les Serbes sont coupables du génocide et
d'autres crimes contre l'humanité ". Même le journal Libération, qui ne
s'est pas distingué en ouvrant ses pages à la vérité serbe, bien au
contraire, fait écho de cette affaire dans son édition du 23 mars 1997,
en titrant sous la plume de Jean Hatzfeld : Le " Tchetnik sanguinaire "
et ses victimes imaginaires.
Le cas suivant concerne un vétéran de toutes les guerres contre les
Serbes, l'apôtre de l'ingérence humanitaire, le guerrier de la paix,
comme il se nomme lui-même dans un livre au titre éponyme relatant ses
exploits philanthropiques, Bernard Kouchner, vous l'avez deviné. Et ce
cas reflète la même stratégie d'utiliser tous les moyens pour monter
l'Occident contre les Serbes afin de gagner une guerre séculaire qui se
déroule entre les musulmans bosniaques, apostats du christianisme, et
les Serbes demeurés fidèles au christianisme. Une guerre que Kouchner et
consorts ont pervertie en une guerre idéologique, celle des droits de
l'homme et de la démocratie, de même qu'ils ont fait avec le conflit
kosovien dont l'origine est de même nature. Il rapporte, à la page
386-387, sa visite en compagnie de Richard Holbrooke, un autre fléau des
Serbes, au chevet d'un Alija Izetbegovic mourant en octobre 2003, et
l'aveu que celui-ci leur fit sur les fameux camps de la mort que les
Serbes auraient installés en Bosnie en 1992. " Je pensais que mes
révélations pourraient précipiter les bombardements ", confesse
Izetbegovic apparemment saisi de remords, avant d'ajouter : " …mais
l'information était fausse. Il n'y avait pas de camps d'extermination
quelle que fût l'horreur des lieux ".
Finalement les Bosniaques ont eu gain de cause : les Serbes de Bosnie
furent bombardés par l'Otan et le tribunal de La Haye, pour juger les
crimes dont on les accablait, fut créé à l'initiative de Madeleine
Albright que pourtant les Serbes avaient autrefois sauvée du four
beaucoup plus incandescent que celui dont parle le prophète Daniel. Or,
parmi les premiers inculpés se trouvait un certain Gruban Malic, décrit
comme un redoutable meurtrier et violeur, contre lequel la procureure
Louise Arbour lance immédiatement un mandat d'arrêt mais sans aucun
résultat, nulle indication de l'état civil de ce personnage ne se
trouvant dans toute la Bosnie. Et pour cause, puisqu'il s'agissait d'un
personnage imaginaire d'un récit rabelaisien du célèbre romancier serbe
Miodrag Bulatovic, Le héros à dos d'âne, paru en français aux éditions
du Seuil à la fin des années 60. Mais apparemment un journaliste serbe
avait communiqué ce nom, en guise de canular, à l'un de ses confrères
occidentaux, fournisseur zélé des noms de criminels serbes au tribunal
de La Haye, et celui-ci l'avait pris pour de bon en même temps que le
tribunal inscrivant aussitôt sur sa liste des accusés le terrible Gruban
Malic. Nous avons consacré à cette affaire, comme à la plupart de celles
que j'évoque, des articles entiers dans notre revue B.I., anciennement
Balkans-Infos, véritable tribune de la vérité en un temps où celle-ci en
est orpheline.
Voici à présent un autre cas relatif également à la précitée Florence
Hartmann, oracle du journal Le Monde pour l'ex-Yougoslavie, avant d'être
nommée la porte-parole de la procureure de TPI, Carla del Ponte. Elle
publie à la fin de 1999 un gros volume sous le titre Milosevic, la
diagonale d'un fou où sa patronne puisera les principaux arguments pour
dresser l'acte d'accusation contre Milosevic. Pour vous montrer à quel
point cet ouvrage est partial et relève de la plus ordinaire propagande
antiserbe, je ne citerai qu'un seul passage, à la page 301, concernant
le général Naser Oric, commandant des unités musulmanes à Srebrenica,
qu'elle présente sous des traits plutôt sympathiques, en écrivant
notamment : " À la tête d'une armada de torbaris affamés et assoiffés de
vengeance, Naser Oric lançait des assauts contre les villages serbes
isolés en bordure de l'enclave pour y voler de la nourriture, quelques
armes. Parfois pour libérer une vallée et élargir ce territoire
montagneux que les forces serbes préféraient jusqu'alors étouffer plutôt
que de s'y aventurer ". C'est à peu près tout, nulle trace, nulle
mention des crimes de Naser Oric et de ses bandes de soi-disant torbaris
(porteurs de hottes), que le général Philippe Morillon, ex-commandant
des forces de l'Onu en Bosnie, avait pourtant rapportés dans son livre
Paroles de soldat, publié en 1996, à la page 72 en ces termes : " À
partir de cette place forte inexpugnable (Srebrenica) Naser Oric et ses
hommes menèrent une série de raids meurtriers sur les régions serbes
limitrophes. Le plus célèbre et le plus meurtrier eut lieu à l'occasion
du Noël orthodoxe de janvier 1993. De son propre aveu, Naser Oric n'y
fit aucun prisonnier, se défendant que les lois du genre ne le
permettaient pas. Il y eut, aux dires des Serbes, des centaines de
victimes innocentes ".
En effet, dans les hottes des maraudeurs de Florence Hartmann se
trouvaient parfois des têtes coupées de Serbes, la décapitation, héritée
de l'époque turque, étant pratiquée par des combattants bosniaques et
kosovars et surtout par leurs coreligionnaires arabes dans leurs rangs,
comme l'attestent des vidéos et des photos documents, entre autres. Il y
avait environ un millier de ces victimes serbes en Bosnie orientale où
sévissaient les torbaris de Naser Oric, ce qui, d'après le général
Morillon lui-même et tous les analystes sérieux du conflit bosniaque,
explique mais, certes, ne justifie pas de nombreuses victimes
musulmanes, notamment parmi les torbaris, lors de la prise de Srebrenica
par les forces du général Mladic en juillet 1995. Il s'agissait en fait
d'un acte de vengeance et non point, comme on ne cesse de le prétendre,
d'un massacre délibéré de civils paisibles et innocents. Cependant, le
général Morillon ayant confirmé les faits relatés dans son livre devant
la Commission parlementaire française sur Srebrenica et devant le
tribunal de La Haye, je vous laisse juges de l'honnêteté de la
spécialiste du Monde pour l'ex-Yougoslavie et du peu de qualification
morale qu'elle a d'occuper une fonction au sein de ce tribunal. Le seul
fait que dans une institution créée pour juger principalement les
Serbes, se trouve un personnage qui pendant dix ans n'a cessé d'être en
première ligne du combat médiatique contre eux, suffirait à déconsidérer
cette institution, si elle ne l'était déjà par d'autres entorses à
l'éthique et à la justice les plus élémentaires, ce dont Me Verges va
nous entretenir. J'ajoute que vous chercherez en vain dans l'ouvrage de
Florence Hartmann la moindre mention du nom du général croate Ante
Gotovina et des crimes commis par ses unités contre les Serbes. Or,
comme vous le savez, la non-extradition du général Gotovina au TPI
constitue le principal obstacle à l'ouverture des pourparlers pour
l'entrée de la Croatie dans l'Union européenne, tellement ces crimes
sont considérés comme graves. Évidemment le général Oric, ainsi que
plusieurs généraux croates et bosniaques dont les chefs d'état-major
successifs, Sefer Halilovic et Rasim Delic, ont fini par être inculpés
par le tribunal de La Haye, seulement dix à douze ans après les
événements, alors que les responsables civiles et militaires serbes,
l'avaient été souvent pendant les événements eux-mêmes, comme ce fut
notamment le cas de Milosevic lors de l'intervention de l'Otan. Pourquoi
ces inculpations tardives y compris celle de Ramus Haradainaj,
responsable de la mort d'une centaine de Serbes et d'Albanais, mais
investi, néanmoins, premier ministre du Kosovo en automne 2004 ? Parce
que le tribunal devait finalement se rendre à l'évidence et cesser
d'être, ce qu'il a été pendant des années, une sorte d'inquisition
montée pour juger presque exclusivement les Serbes, et parce qu'il
risquait, ainsi que ses commanditaires, une condamnation sans appel par
l'Histoire.
Et voici, pour terminer, un cas de désinformation flagrant relatif au
Kosovo, tel qu'il l'a relaté récemment dans sa déposition devant le
tribunal de La Haye, un officier de l'armée allemande, Dietmar Hartwig,
chef de la Mission de contrôle de l'Union européenne au Kosovo de
novembre 1998 au 19 mars 1999, à savoir cinq jours avant l'attaque de
l'Otan contre Serbie. Il raconte que, ayant appris par les journaux que
les Serbes avaient transformé le stade de Pristina en un vaste camp de
concentration pour les Albanais, il s'y est précipité pour constater
qu'il ne se trouvait dans le stade âme qui vive. Une autre fois, on
l'informe de se rendre d'urgence dans la localité de Srbica où les
Serbes auraient massacré une quarantaine d'Albanais : il y arrive et
apprend par des témoins oculaires qu'en fait les Albanais s'étaient
entre-tués à plus forte raison que l'Uck éliminait tous les Albanais
soupçonnés de coopérer avec les Serbes. Après avoir énuméré force
détails de ce genre, Dietmar Hartwig conclue en honnête homme ce que
Milosevic ne cesse de clamer du fond de sa geôle rejoignant la voix de
tous les hommes de vérité et de justice dans le monde : qu'il n'existait
absolument aucune raison pour que l'Otan fasse la guerre aux Serbes.
Je pourrais multiplier, preuves à l'appui, de pareils exemples longtemps
encore, aussi bien sur les événements du Kosovo que de Bosnie, mais j'ai
déjà trop empiété sur le temps imparti à nos prestigieux invités et me
limiterai à poser une question pour le moins paradoxale : comment se
fait-il qu'aucun des chefs d'États et des gouvernements occidentaux ne
se soit rendu aux obsèques des deux autres protagonistes du drame
yougoslave, Milosevic en étant le troisième, notamment aux obsèques de
Franjo Tudjman en 1999 et à celles d'Alija Izetbegovic en 2003, alors
que les Occidentaux avaient aidé l'un et l'autre par tous les moyens
dans leur guerre contre les Serbes, allant jusqu'à laisser s'infiltrer
en Bosnie les combattants d'Al-Qaïda ? C'est que Tudjman avait été un
antisémite notoire, de même qu'Izetbegovic avait été un farouche
islamiste, hormis pour Bernard-Henri Lévy, et qu'il eût été
compromettant de leur témoigner les plus hautes marques d'hommage, telle
est la duplicité dont ont fait preuves les dirigeants de l'Ouest durant
les événements des Balkans.
Quelle est la moralité de tout ce que je viens de vous dire ? La
première, c'est qu'il existe toute une zone d'ombre du drame yougoslave
qui s'est joué tout au long de la dernière décennie du XXe siècle, une
face cachée que dévoile précisément et en bonne partie le livre Ma
Vérité de Slobodan Milosevic. C'est un véritable brûlot envoyé au cœur
de la désinformation sur la dislocation de la Yougoslavie et sur les
conflits qui en ont résulté. Vous y trouverez en particulier comment ce
pays qui, par la diversité de ses peuples et de ses cultures,
préfigurait pendant soixante-dix ans l'Europe, fut détruit par des
forces intérieures et extérieures hostiles, et ses peuples précipités
dans l'abîme des guerres civiles. La seconde moralité, c'est que la
Bosnie et le Kosovo ont servi de champs d'expérimentation pour lancer
par les Etats-Unis et la Grande-Bretagne, usant de l'imposture
médiatique, des guerres ultérieures, notamment celle contre l'Irak, sans
parler des révolutions dites de velours. L'affirmation répétée pendant
des années sur la possession des armes à destruction massive par les
Irakiens, s'est révélée toute aussi mensongère que celle imputant aux
Serbes l'extermination des Bosniaques et des Albanais. On peut même
affirmer que c'est sur les Serbes que l'Occident, se trouvant sous
l'emprise des forces néfastes à la fin du Deuxième millénaire, a basculé
dans le mal, le mensonge étant le mal et le père du mal, comme nous
l'enseigne l'Evangile. Et nous l'avons bien vu à la veille de
l'agression contre l'Irak lorsque les fauteurs de guerre, les
instigateurs au meurtre de deux côtés de l'Atlantique, ne cessaient de
répéter : on a bien réussi en Bosnie et au Kosovo, il n'y a pas de
raison à ce que l'on ne réussisse pas en Irak. Beaucoup d'entre eux,
devant l'enlisement américain dans les sables de Mésopotamie, ont depuis
baissé pavillon.
Il n'y a que la vérité qui puisse être le remède à ce mal. Dostoïevski
disait que seule la beauté pouvait sauver le monde. Les choses se sont
tellement aggravées depuis que nous disons aujourd'hui : seule la vérité
peut sauver le monde.





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