Informazione


http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/storia/22676-70-anni-fa-sotto-limpulso-decisivo-dei-comunisti-iniziava-la-resistenza-antifascista.html

70 anni fa, sotto l’impulso decisivo dei comunisti, iniziava la Resistenza antifascista

30 Agosto 2013 - di Alexander Höbel per Marx21.it

70 anni fa, il 29 agosto 1943, si ricostituiva a Roma la Direzione provvisoria del Pci, divisa in due gruppi: quello di Roma, con Scoccimarro, Longo, Amendola, Novella, Roveda; e quello di Milano, con Massola, Secchia, Roasio, Li Causi e Negarville. La direzione decise di intensificare la mobilitazione contro il governo e per il ripristino di tutte le libertà, di rafforzare l’unità d’azione col PSI, e costituire ovunque “Comitati di fronte nazionale” dotandoli di un respiro di massa.

Ricorderà Amendola in Lettere a Milano:

Con Longo, abbandonato il luogo della riunione, ci recammo in via Po dove Pintor ci avrebbe portato le ultime notizie. Egli ci confermò [...] che l’armistizio era virtualmente concluso e che si sperava in un breve rinvio dell’annuncio per permettere la preparazione della difesa di Roma. Fu in quel momento che Longo assunse la direzione della lotta di liberazione. Lo vedo ancora camminare in silenzio per la stanza e poi mettersi a scrivere la bozza di quello che sarà il ‘Promemoria sulla necessità urgente di organizzare la difesa nazionale contro l’occupazione e la minaccia dei colpi di mano da parte dei tedeschi’. Questo promemoria porta la data del 30 agosto. Era infatti passata da poco la mezzanotte quando Longo finì di correggere il testo del promemoria.

Nel testo si propongono la rottura dell’alleanza con la Germania, l’armistizio, la preparazione della difesa del Paese, la collaborazione a tal fine fra esercito e popolo, l’“armamento di unità popolari” di combattimento (quelle che saranno le brigate partigiane), la cooperazione tra i comandi militari e il Fronte Nazionale, e infine si sottolinea la necessità di “liquidare tutte le sopravvivenze fasciste nell’apparato dello Stato”, e di “portare ai posti di maggiore responsabilità uomini di sicura fede democratica, decisi a lottare fino in fondo contro l’occupante tedesco e i suoi strumenti: i fascisti italiani”. Il Promemoria, come scriverà Amendola, è “il primo atto compiuto dal PCI per l’inizio della Resistenza.

Il giorno seguente, il documento viene presentato alla riunione con gli altri partiti di sinistra. Longo vi partecipa con Scoccimarro e Amendola; vi sono poi Nenni, Saragat e Romita per il PSI, e Lussu, La Malfa e Bauer per il Partito d’azione. La maggior parte dei presenti ha partecipato all’esperienza unitaria costruita in Francia negli anni precedenti, e questo indubbiamente favorisce la loro intesa. Il testo di Longo è “accolto nella sostanza”, e la mozione approvata ribadisce l’esigenza di un governo formato dai partiti antifascisti, e intanto il ruolo di guida del Fronte nazionale. Viene infine istituita una “giunta militare tripartita”, composta dallo stesso Longo, Pertini e Bauer: una decisione che suscita una grande impressione negli altri partiti e favorisce un loro maggiore dinamismo.

Di fatto, è l’inizio della Resistenza.



===

Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it/
http://www.facebook.com/cnj.onlus/

=== * ===



Invita i tuoi amici e Tiscali ti premia! Il consiglio di un amico vale più di uno spot in TV. Per ogni nuovo abbonato 30 € di premio per te e per lui! Un amico al mese e parli e navighi sempre gratis: http://freelosophy.tiscali.it/


(srpskohrvatski / italiano / english)

SIRIJA: ZAUSTAVITE BUBNJARE RATA!

INIZIATIVE SABATO 31 AGOSTO 2013:

1) NAPOLI, PIAZZA DELLA REPUBBLICA ORE 10:00 - PRESIDIO AL CONSOLATO AMERICANO
2MILANO, LARGO DONEGANI ORE 16.30 - PRESIDIO-MANIFESTAZIONE AL CONSOLATO  U.S.A.
3) PISA, PIAZZA XX SETTEMBRE ORE 17:30 - GIU' LE MANI DALLA SIRIA! SCENDIAMO IN PIAZZA CONTRO LA GUERRA!

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia -onlus convintamente aderisce ed invita tutti/e a partecipare ad ogni iniziativa indetta nell'ambito della mobilitazione delle forze progressiste ed antimperialiste contro le nuove convulsioni guerrafondaie che stavolta prendono di mira la Siria.

DICHIARAZIONI:

4) ЗАУСТАВИТЕ БУБЊЕВЕ РАТА! (SUBNOR Srbije i Beogradski Forum)
5) STATEMENT ON DEVELOPMENTS REGARDING SYRIA (Belgrade Forum for a World of Equals)

APPROFONDIMENTI:

Intervista a Bashar al-Assad a “Izvestia”
http://www.voltairenet.org/article179993.html
http://informazionescorretta.altervista.org/blog/intervista-al-presidente-siriano-assad/

«Dal gas naturale al gas Serin ... il fondo del pantano siriano»
di Khaled ABDELHAFIZ - per Investig’Action, 20 agosto 2013
http://comitatocontrolaguerramilano.wordpress.com/2013/08/29/dal-gas-naturale-al-gas-serin-il-fondo-del-pantano-siriano/

(en francais: « Du gaz naturel au gaz sarin... le fond du bourbier syrien »
Khaled ABDELHAFIZ, 20 août 2013
http://www.michelcollon.info/Du-gaz-naturel-au-gaz-sarin-le.html )

Siria: le "armi chimiche". E la storia alle loro spalle
di Domenico Losurdo | da domenicolosurdo.blogspot.it - 30 Agosto 2013
http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/22677-siria-le-qarmi-chimicheq-e-la-storia-alle-loro-spalle.html


=== 1 ===

Fermiamo l’aggressione alla Siria. Presidio a Napoli, sabato 31 agosto

 

Fermiamo l’aggressione alla Siria

 

 

Dopo l’Iraq e Ia Libia, ora è il turno di un altro “stato canaglia”: la Siria. Con il pretesto di altre “Armi di Distruzione di Massa” – in questo caso gas tossici, con ogni evidenza, utilizzati dai “ribelli” per “giustificare” l’attacco della NATO – una nuova guerra si sta preparando. E mentre il ministro degli Esteri Emma Bonino assicura con tono tranquillizzante che l’Italia non parteciperà a un’operazione militare contro la Siria senza mandato Onu, il rombo della guerra già risuona. Tutte le basi militari in Italia – Lago Patria, Pisa, Sigonella... sono in stato di massimo allarme, mentre da Napoli – sede del Comando delle Forze navali Usa in Europa, comprendenti la VI flotta – partirebbe l’ordine di attacco.

E a riprova della sua “volontà di pace”, il governo italiano annuncia che – insieme a Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Arabia Saudita – parteciperà, il 4 settembre, alla riunione del gruppo degli «Amici della Siria» (quello, per capirci, che sostiene i «ribelli» e quindi la guerra interna).

Non è che l’ultimo atto di una aggressione alla Siria che il governo Monti prima e il governo Letta ora conducono da due anni. Dapprima con sanzioni economiche (imposte nella illusione di scatenare per fame il popolo siriano); poi con il riconoscimento dei tagliagole della Coalizione Nazionale Siriana riconosciuti quali “unici rappresentanti del popolo siriano”; poi con l’appoggio alla Turchia, testa di ponte dell’aggressione alla Siria; poi con lo scandaloso accoglimento alla Farnesina di Burhan Ghalioun, (il 22 luglio 2012, e cioè il giorno dopo che una autobomba a Damasco, rivendicata da una delle sue bande, aveva fatto 400 morti); poi con l’invio in Siria di istruttori militari (alcuni di questi scoperti un anno fa alla frontiera libanese); poi con il rifiuto del visto di ingresso a parlamentari siriani invitati da loro colleghi italiani….

E tutto questo in nome dei diritti umani di donne e bambini, diritti che i governi occidentali hanno negato alle donne ed ai bambini iracheni, libici ed afgani massacrati dai loro bombardamenti “umanitari” e che i satrapi delle Petromonarchie, – principali sponsor della carneficina in Siria – continuano a negare macellando le opposizioni nei loro paesi.

Contro l’intervento militare in Siria, qualunque sia l’ombrello con cui lo si vorrà coprire (ONU, NATO), occorre – da subito – rompere il silenzio e, riprendere la mobilitazione pacifista ed internazionalista sottraendosi all’ipocrita equidistanza tra aggressori ed aggrediti ed alla inaccettabile subalternità agli interessi dell’imperialismo, in primis dell’Italia.

  • No all’aggressione alla Siria con o senza ONU
  • No al sostegno ai “ribelli” siriani, veri responsabili di una guerra civile che ha già fatto 100.000 morti e 1 milione di profughi (alcuni dei quali già approdati sulle nostre coste)
  • Ritiro immediato delle truppe italiane all’estero
  • No a nuove spese militari.

 

SABATO 31 AGOSTO – PRESIDIO AL CONSOLATO AMERICANO –

Piazza della Repubblica – ore 10 – NAPOLI

Rete NapoliNoWar – http://napolinowar.wordpress.com/

 



=== 2 ===

SABATO 31 AGOSTO - ORE 16.30
LARGO DONEGANI - MILANO
PRESIDIO - MANIFESTAZIONE
AL CONSOLATO  U.S.A.


Da:  comitatocontrolaguerramilano <comitatocontrolaguerramilano  @...>

Oggetto:  I: Appello per la mobilitazione contro la guerra con le prime adesioni

Data:  30 agosto 2013 16.23.35 GMT+02.00



Appello con le prime adesioni:
Siamo di fronte all’incombente aggressione contro la Siria.
Le precedenti guerre contro Yugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libia ci hanno insegnato che le "guerre umanitarie" altro non sono che massacri perpetrati per interessi economici e geopolitici.
"L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali"
QUESTO RECITA L’ART.11 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA NATA DALLA RESISTENZA
Questa guerra presenta anche gravi pericoli di estensione del conflitto.
Chiamiamo quindi alla mobilitazione contro la guerra alla Siria tutte le organizzazioni democratiche e i cittadini amanti della pace e soprattutto tutti i lavoratori poiché la guerra è contro il lavoro e tocca ai lavoratori fermarla. 
SABATO 31 AGOSTO - ORE 16.30
LARGO DONEGANI - MILANO
PRESIDIO - MANIFESTAZIONE
AL CONSOLATO  U.S.A.

Comitato contro la guerra – Milano
Le adesioni ad ora pervenute, in ordine di tempo, sono:
“La Casa Rossa", "PdCI Federazione di Milano", "Associazione La Stella Alpina", PRC Federazione di Milano, "Rete di solidarietà con la Palestina", "Palestina Rossa", Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia o.n.l.u.s., ...


=== 3 ===

Giù le mani dalla Siria! Scendiamo in piazza contro la guerra!

Appello per un presidio Sabato 31 agosto ore 17.30 in Piazza XX settembre - Pisa

A settanta anni di distanza dai bombardamenti angloamericani su Pisa, la solita mano assassina continua a seminare morte e distruzione nel mondo.

La sanguinosa strategia di destabilizzazione della Siria, organizzata e sostenuta attivamente dalle potenze occidentali e dai loro alleati (Israele, Giordania, Arabia Saudita, Qatar, Turchia), attraverso l’uso massiccio di mercenari legati ad Al Qaeda e all’Islam radicale, sta subendo un’escalation pericolosa. Il probabile attacco angloamericano e francese rischia di far esplodere, insieme all'intera area mediorientale, il fragile equilibrio tra grandi poli in competizione.

Il progressivo declino dell’egemonia USA in Medio Oriente determina una devastante instabilità, capovolgimenti di alleanze, scontri e tregue repentine, acuite dalla crisi egiziana, che hanno frantumato gli equilibri preesistenti nell’area.

La Siria è il campo di battaglia sul quale si tentano di ricomporre gli equilibri: potenze NATO, Israele e Petromonarchie del Golfo sono uniti contro il comune nemico, ma senza un progetto unitario di ridefinizione degli equilibri nell’area.

L’amministrazione USA, spalleggiata da Inghilterra e Francia, lavora per un’aggressione unilaterale della Nato senza mandato Onu, come nel 1999 contro la Iugoslavia.

Come per l’ex Jugoslavia, l’Afghanistan, l’Iraq e la Libia, l’attacco è preparato da una poderosa campagna di manipolazione mediatica, incurante delle informazioni sul probabile uso dei gas da parte delle bande foraggiate dall’esterno.

Il governo Letta/Alfano, di fronte all’escalation di guerra, assume una posizione ambigua e contraddittoria, al fine di nascondere il ruolo di portaerei che la penisola italiana svolge al servizio della NATO: tutte le basi militari sono in piena attività per sostenere la nuova aggressione, a partire da quella USA di Camp Darby.

Il 31 Agosto nella nostra città saranno ricordati i settanta anni dal bombardamento anglo-americano, che causò oltre 3000 vittime civili: sette decenni nei quali gli USA hanno continuano a sostenere le loro strategie imperialiste a suon di bombe, anche atomiche, come per Hiroshima e Nagasaki. Dopo tutti questi anni, le stesse minacce di morte e distruzione. I popoli sono diversi, la mano assassina è la solita.

Facciamo appello a tutte le forze politiche, sociali, sindacali pisane, a tutti i pacifisti e gli antimperialisti, perché facciano sentire forte la loro voce contro l'aggressione alla Siria, sabato 31 Agosto al presidio in Logge dei Banchi. Ore 17.30


GIU' LE MANI DALLA SIRIA! NO ALLA NUOVA AGGRESSIONE IMPERIALISTA!
CHIUDERE LE BASI DELLA MORTE, A PARTIRE DA CAMP DARBY!

Rete dei Comunisti - Pisa
cell. 3357698321
evento Facebook: https://www.facebook.com/events/650027718341181/


=== 4 ===


http://www.subnor.org.rs/agresija-2 
http://www.beoforum.rs/saopstenja-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/505-u-vezi-sa-situacijom-oko-sirije.html

ЗАУСТАВИТЕ БУБЊЕВЕ РАТА!


СУБНОР Србије и Београдски форум за свет равноправних најоштрије осуђују ратне планове Сједињених Америчких Држава, њихових НАТО савезника и савезника на Блиском истоку, за оружани напад на Сирију, под изговором да је војска Сирије наводно употребила хемијско оружје у борби против побуњеника.

Та нова ратна авантура против независне и суверене земље се најављује као још једна „хуманитарна интервенција“, уз лицемерно уверавање светске јавности да војним нападом желе само да народ Сирије „заштите“ од евентуалне нове употребе хемијског оружја у руци његове владе.

Припреме за агресију на Сирију су врло интензивне последњих дана, при чему актери не желе да сачекају ни извештај експерата Уједињених нација налазу на терену.

С друге стране, војну интервенцију најављују и без сагласности Савета безбедности УН, по моделу који је примењен у агресији на Србију (СР Југославију) 1999. што би значило још једно грубо кршење међународног права и Повеље Уједињених нација.

Предтекст за агресију употребљен овог пута од САД и њихових савезника нас грађане Србије болно подсећа на монструозне и лажне  оптужбе  које су претходиле агресији НАТО на Србију, под називом „Милосрдни анђео“. Ради се о моделу који је касније примењен у агресији на Авганистан, Ирак и Либију, са трагичним и далекосежним последицама за народе тих земаља.

Сви ти примери ратних похода САД и њихових савезника, праћени тешким злочинима против човечности и најгрубљим кршењем међународног права, недвосмислено показују да иза декларисаних „добрих намера“ и „хуманитарних интервенција“ стоје себични империјалистички интереси и циљеви за доминацијом над другим земљама и народима.

Са запрепашћењем констатујемо да је, упоредо са разрадом ратних планова западних командних центара, у току бесомучна медијска пропаганда против Сирије и њеног председника. Ради се о моделу демонизације циљаног противника, који је свестрано разрађен и примењен пре и у току агресије НАТО на Србију, затим на Ирак и Либију. Искуство показује да дијаболизација противника, комбинована са војном интервенцијом и другим репресивним мерама, представља константу свих „хуманитарних интервенција“ САД и њихових савезника после престанка хладног рата.

СУБНОР Србије и Београдски форум очекују да Савет безбедности Уједињених нација  уложи максималне напоре како би се зауставили претећи „бубњеви рата“ и отворио пут за решавање драматичне кризе у Сирији дијалогом и преговорима, уз пуно поштовање сувереног права народа Сирије да о својој судбини одлучује сам, без страног мешања. Да би се у томе успело, неопходно је и да земље које, од почетка кризе у Сирији, обилато подржавају и помажу опозицију и побуњенике, охрабрујући их да наставе оружану борбу и насиље, обуставе сваку подршку и прихвате преговоре као једини пут за окончање грађанског рата и на тај начин спрече катастрофалне последице могућег ратног сукоба ширих размера.

СУБНОР Србије

Београдски форум за свет равноправних


=== 5 ===

http://www.beoforum.rs/en/press-releases-belgrade-forum-for-the-world-of-equals/317-statement-on-developments-regarding-syria.html

Statement on Developments regarding Syria

Leadership and the members of the Belgrade Forum for a World of Equals in strongest terms condemn the warring plans of the United States of America and their NATO and Middle East allies aimed at the armed attack on Syria, on the pretext of the Syrian Army’s alleged use of chemical weapons against the insurgents. Their new war adventure, latest in the string of many previous ones waged against an independent sovereign country, is being heralded as yet another “humanitarian intervention”, hypocritically reassuring the international public how they wish to only employ military attack in order to “protect” the Syrian people against any purported renewed use of chemical weapons by their government.

The preparations for the aggression on Syria intensified recently, where the masterminds do not intend to wait for the report to be drafted by UN experts. In addition, they openly announce military intervention even without the UN Security Council, applying scenario already exploited back in 1999 in the aggression against Serbia (Federal Republic of Yugoslavia), which will be tantamount to yet another gross violation of the international law an the UN Charter.

For citizens of Serbia, the pretext for the aggression used in this particular case by the USA and its allies, is painfully reminiscent of the monstrous false accusations that had preceded NATO aggression on Serbia, dubbed “Merciful Angel”. That same model has been in the meantime also applied in aggressions in Afghanistan, Iraq and Libya, causing tragic and far reaching consequences for the peoples in these countries.

All these instances of military campaigns waged by the USA and their Western allies, accompanied by grave crimes against humanity and harshest violations of the international law, unmistakably reveal that behind declaratory “good intentions” and “humanitarian interventions” lie their naked imperialist interests and attempts to dominate over other countries and peoples. Preparations for aggression on Syria serve the function of their control over the entire Middle East and unimpeded exploitation of the regional rich mineral resources.

We watch in disbelief the relentless media propaganda against the Syrian Government and its President, unfolding in parallel with the drafting of war plans by the Western command centers. This is the model of demonizing the target adversary, which has previously been thoroughly developed and implemented before and during NATO aggression on Serbia, and thereafter in aggressions on Iraq and Libya. The experience shows that satanizing the rival, in combination with military intervention and other repressive measures, makes the unavoidable constant of all “humanitarian interventions” executed by the USA and its Western allies following the end of the Cold War.

The Belgrade Forum for a World of Equals expects that the UN Security Council invests maximum efforts in order to halt the threatening “war drums” and pave the way for solving the dramatic crisis in Syria by means of dialogue and negotiations, under full observance of the sovereign right of the Syrian peoples to decide about its destiny on its own, without foreign interference. To achieve this, it is necessary that the countries which amply support and assist the opposition and rebels, thus encouraging them to continue armed struggle and violence, halt such practice and instead revert to supporting the negotiations as the only way to end the civil war.

Belgrade, 30 August 2013. 
Belgrade Forum for a World of Equals




===

Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it/
http://www.facebook.com/cnj.onlus/

=== * ===



Invita i tuoi amici e Tiscali ti premia! Il consiglio di un amico vale più di uno spot in TV. Per ogni nuovo abbonato 30 € di premio per te e per lui! Un amico al mese e parli e navighi sempre gratis: http://freelosophy.tiscali.it/



La portaerei Italia nella aggressione contro la Siria

1) La giustizia sommaria dell’Occidente (Angelo d’Orsi)
2) Ecco perché la «portaerei» Italia alla fine sarà coinvolta con le basi (Manlio Dinucci)
3) Comunisti siriani: “La Siria come la Spagna repubblicana”
4) LA BASE IDEALE: Usa pronti a potenziare Sigonella (Antonio Mazzeo)


Segnaliamo:
PRESIDIO MANIFESTAZIONE CONTRO LA GUERRA ALLA SIRIA SABATO 31 AGOSTO ORE 16,30 LARGO DONEGANI MILANO


=== 1 ===


da Micromega-online

La giustizia sommaria dell’Occidente

di Angelo d’Orsi

I bambini, i bambini, i bambini… Finirà mai la ignobile speculazione sui bambini, vittime di guerra, per giustificare nuove guerre? Indimenticabile, nel 1999, la frase dell’allora ministro della Difesa, Piero Fassino: “Solo chi non ha guardato negli occhi un bambino kosovaro è contrario all’intervento militare”. E l’Italia intervenne, sulla base di una campagna di disinformazione, diplomatica, politica e giornalistica. E fu la guerra del Kosovo, o l’ultima guerra dei Balcani, dove la più grande coalizione militare mai vista nella storia (19 Stati) si scatenò contro quel che rimaneva della Repubblica Federale di Jugoslavia, che nella propaganda veniva chiamata (un po’ sprezzantemente) “la Serbia”, colpevole di essere l’ultimo Stato che orgogliosamente si dichiarava socialista nel cuore d’Europa; uno Stato grande come un paio di regioni italiane.
La “comunità internazionale” aveva stretto con un assedio diplomatico quello staterello, poi aveva imposto condizioni inaccettabili a Rambouillet (per poter accusare Milosevic di averle rifiutate), e ormai avendo la Nato (non il Patto Atlantico, ma la Nato, ossia la struttura militare dell’Alleanza), sostituito pienamente l’Onu, si procedé alla “punizione” dei Serbi, invocata a gran voce da alcuni autorevoli intellettuali: ricordo Barbara Spinelli, in Italia, e Daniel Goldhagen, sulla scena internazionale. E fu una classica guerra ineguale, asimmetrica, che oltre a distruggere l’economia serba, e le infrastrutture, fece diecimila morti, la gran parte civili, trattandosi di guerra esclusivamente aerea. A chi faceva notare che aggiungere cadaveri ai cadaveri non riportava in vita nessuno, si rispose che si trattava di dare un esempio, impartire una lezione: o, semplicemente, di “punire”chi osava non piegare la testa ai diktat di chi ormai era rimasto il solo padrone del mondo. Il Muro era stato abbattuto dieci anni prima. Si festeggiava così, quel decennale, cancellando l’anomalia jugoslava, l’ultima falce e martello nel Continente.
A Milosevic furono disegnati i baffi di Hitler, e l’intellettualità europea fece a gara, a braccetto con la diplomazia angloamericana, nel tratteggiare paragoni storici. I kosovari erano i nuovi ebrei, i serbi i nazisti. E il richiamo alla Seconda Guerra mondiale imperversò: quella era stata la guerra giusta per antonomasia, la guerra delle democrazie contro le dittature (nei richiami si ometteva l’Urss di Stalin, vera vincitrice della guerra, con i suoi 22 milioni di morti; ma tant’è, nell’officina della propaganda non si va per il sottile). Anche ora, contro i nazi-serbi, la guerra era ”giusta”. Mentre tanti negavano fosse una guerra, ma una benefica operazione di salvezza, di peace keeping, Norberto Bobbio si spinse a definirla “etica”, cadendo in uno dei peggiori incidenti teorici della sua onorata carriera di filosofo; ma mentre l’aggettivo “umanitario” si sprecava, vi fu chi fece di peggio: il letterato George Steiner etichettò quel conflitto come “altruista”. E via seguitando.
Alcuni di quei superbi cantori della moralità della guerra sono usciti di scena, mentre altri restano e imperversano: vedi il solito Bernard Henri-Lévy, che qualcuno continua a prendere sul serio, e non è che una figura macchiettistica del sottobosco mediatico (ha tuonato, sul Corriere della Sera: "L’Occidente salvi l’onore in Siria”: 28 agosto). Non poteva mancare, naturalmente, Michael Walzer, una sorta di bobbiano d’Oltre Oceano, che, dalla sua cattedra di Princeton, ha filosoficamente approvato tutte le guerre americane dell’ultimo venticinquennio (dissotterrando appunto la categoria medievale di “guerra giusta”), Onore, punizione. In una intervista (a Ennio Caretto, sempre sulCorriere della Sera, 27 agosto), ammette di aver cambiato idea, avendo fino a pochi giorni prima sostenuto i dubbi di Obama, e in qualche modo incoraggiandolo a non precipitarsi in una nuova avventura bellica (suscitando un certo stupore in chi segue le posizioni intellettuali di Walzer). E, dimostrando come Platone sbagliasse a sognare un mondo governato dai filosofi, se ne esce con chiacchiere da mercato: “L’impiego dei gas tossici da parte di Assad non può restare impunito. È un terribile crimine contro l’umanità, e chi lo commette deve sapere che sarà chiamato a rispondere delle sue colpe. È una questione morale prima che politica e di diritto. Occorre stabilire un precedente, in modo che tragedie come queste non si ripetano mai più. Basta con le vittime civili innocenti”. Forse nell’ultimo quarto di secolo il professor Walzer non ha letto i giornali, non ha ascoltato radio, né guardato tv; non ha mai navigato in Rete. Altrimenti saprebbe che di “precedenti” ve ne sono a iosa. E che ogni volta il suo “Grande Paese”, che si è assunto, motu proprio, da tempo immemorabile il ruolo di giudice e carabiniere del mondo, ha provveduto a castigare. “Sorvegliare e punire”, è il caso di dire, richiamando Michel Foucault.
Ovviamente, come si può usare categorie come colpa e punizione per la politica? E come si può decretare che è giusto bombardare (Walzer non esita a intervenire anche sulle questioni di strategia e tattica militare, decidendo che deve trattarsi di guerra esclusivamente aerea: non sia mai che sul terreno debba rimetterci la pelle qualche marine!) un Paese (pardon, solo gli “obiettivi sensibili”), sulla base di accuse non dimostrate? Ma possibile che l’Iraq non abbia insegnato nulla? A Walzer, e a quanti in queste ore invocano la guerra accusando quel cattivone di Assad? Abbiamo dimenticato la penosa scenetta dell’allora segretario di Stato Usa, Dick Powell, che all’Assemblea dell’Onu, agitava una fialetta per “dimostrare” che Saddam Hussein era in possesso di armi di distruzione di massa?
Aggiungo, per chi lo avesse scordato o non ne avesse notizia, che lo stesso politico a distanza di qualche anno confessò che quello era stato il momento peggiore della sua carriera: “mentivo sapendo di mentire”, disse, in sostanza. E quanti cattivi abbiamo ammazzato, dopo aver bombardato, umanitariamente, i loro popoli? Siamo davanti a una deprimente, “coazione a ripetere”, come ha scritto Giulio Marcon sul Manifesto (28 agosto); non siamo in grado di cambiare il copione. Creiamo il casus belli – un massacro, possibilmente –, decretiamo trattarsi di un crimine contro l’umanità, e sulla base di un pregresso lavorio di costruzione del nemico, lo hitlerizziamo (sorte toccata oltre che a Milosevic, a Saddam, a Gheddafi, e ora ad Assad), e scateniamo infine la rappresaglia: andiamo a fare giustizia, anche quando sappiamo in partenza che non potremo “esportare la democrazia”. Gli obiettivi sono sempre variabili, nelle guerre post -1989. È la logica del lupo e dell’agnello: anche se non sei colpevole, hai colpe pregresse, e se non sei stato tu è stato un tuo antenato. Ti devo punire, comunque.
Quante giustizie sommarie l’Occidente ha sulla propria coscienza, potremmo chiederci, ricorrendo anche noi a categorie morali, invece che politiche. Se poi si guarda alle conseguenze politiche delle “neoguerre coloniali” (di questo si tratta: il ritorno del colonialismo, in una nuova fase dell’imperialismo), è impossibile negare che tutti i Paesi aggrediti in nome della democrazia, con o senza l’assenso dell’Onu, dagli angloamericani, con l’appoggio di alleati variabili, la situazione è quasi sempre drasticamente peggiorata. Oggi sono scomparsi dalle prime pagine, ma quei Paesi sono sempre teatri di guerra. Guerra infinita e permanente, in un’orgia estenuante di sangue, di devastazione, di orrore, in cui la vita delle persone è appesa a fili invisibili. Guerra di tutti contro tutti, in situazioni di quotidianità disperata, dove nulla ha senso, in uno scenario privo di qualsiasi prospettiva di pace. Guerre che abbiamo scatenato noi occidentali democratici, inventando ogni volta una “buona causa” di cui ci siamo presentati come paladini. Nessuna di quelle cause per le quali abbiamo bombardato, incendiato, distrutto, massacrato, ha prodotto risultati apprezzabili; anzi, perlopiù è il contrario.
Ha tuonato anche il nostro presidente del Consiglio per caso, dopo aver indossato elmetto e giubbotto protettivo (immagine preziosa per il futuro cultore del genere), che siamo davanti a “crimini intollerabili” e che “si è passato il punto di non ritorno”, praticamente ripetendo le parole del Segretario Usa alla Difesa, tanto per confermare l’eterna sudditanza italiana. È vero: la ministra Bonino, pur accettando le tesi statunitensi, ha detto no, per ora, no senza un mandato Onu. Staremo a vedere. 
Il punto fondamentale tuttavia non è la possibile azione con o senza l’avallo delle Nazioni Unite, il punto è accettare le “prove che inchiodano Assad”, senza porsi qualche dubbio. Lo ricordava Manlio Dinucci sul Manifesto (27 settembre): possibile che sia così cretino, questo Assad, da usare gas tossici (contro il suo stesso popolo) al’indomani dell’arrivo degli ispettori ONU? Ecco, basta questa domanda, anche senza andare a esaminare i filmati, che, per quanto consta a osservatori seri, sono a dir poco sospetti, e provengono molto probabilmente da centrali nelle quali la Cia ha collaborato con Israele, e con l’appoggio diretto o indiretto di altri Stati interessati a destabilizzare la Siria, dalla Turchia agli Emirati Arabi. E Francia e Gran Bretagna che indipendentemente dalle maggioranze politiche, non hanno perso il riflesso condizionato dell’interventismo, convinte di poter riacciuffare il ruolo perduto di potenze che fanno la politica internazionale, sono ormai soltanto fastidiose mosche cocchiere: si immaginano di guidare il cavallo americano, ossia convinte di poter spingere il riluttante Obama ad “agire”. Se la politica è l’arte di guardare lontano, possibile che in questa sciagurata ripetitività delle politiche occidentali non ci si chieda quali conseguenze – al di là dei nuovi mucchi di macerie e di cadaveri – un intervento militare porterà? Che cosa accadrà se si attacca la Siria? Come reagiranno gli altri attori dello scacchiere mediorientale?
Al proposito, a mo’ di conclusione, a beneficio dei tanti tuttologi che, privi di incertezze, convinti che quello che vedono in tv sia la verità, invitano a “salvare l’onore” dell’Occidente (anche dell’Italia, naturalmente), e ad andare a “punire” il cattivo, rompendo gli indugi, mi permetto di citare una lettera al direttore del Financial Times, ripresa, giustamente, da Internazionale, che l’ha pubblicata col beffardo titolo: Benvenuti in Medio Oriente. Scrive dunque un lettore londinese di origine araba, tale K. N. al Sabah: “Gentile signore, l’Iran appoggia Assad. I paesi del Golfo sono contro Assad! Assad è contro i Fratelli musulmani. Obama e i Fratelli musulmani sono contro il generale Al Sisi. Ma molti stati del Golfo sono a favore di Al Sisi, il che significa che sono contro i Fratelli musulmani. L’Iran è filo Hamas, ma Hamas appoggia i Fratelli musulmani! Obama sostiene i Fratelli musulmani, eppure Hamas è contro gli Stati Uniti. Gli stati del Golfo sono con Stati Uniti. Ma la Turchia è alleata con gli stati del Golfo contro Assad; eppure la Turchia è a favore dei Fratelli musulmani contro il generale Al Sisi. E il generale Al Sisi è appoggiato dai paesi del Golfo. Benvenuti in Medio Oriente e buona giornata”.

(28 agosto 2013)


=== 2 ===

en francais: L’Italie aussi est en guerre contre la Syrie

---


il manifesto 2013.08.29 - 02 LA PAGINA 3

GUERRA/ NONOSTANTE LE «NOVITÀ» DI BONINO E MAURO

Ecco perché la «portaerei» Italia alla fine sarà coinvolta con le basi

Manlio Dinucci

Mentre il ministro Emma Bonino assicura che l'Italia non parteciperà a un'operazione militare contro la Siria senza mandato Onu, il rombo della guerra già risuona su Pisa: sono i C-130 italiani, e probabilmente anche statunitensi, che intensificano i voli verso le basi mediterranee. L'aeroporto - dove si sta realizzando l'Hub aeroportuale di tutte le missioni militari all'estero, anche «a disposizione della Nato» - si trova nei pressi di Camp Darby, la grande base logistica Usa che rifornisce le forze aeree e terrestri nell'area mediterranea e mediorientale. 
A riprova della volontà di pace del governo italiano, il ministro Bonino annuncia che il 4 settembre si riunirà il gruppo degli «Amici della Siria» (quello che sostiene i «ribelli» e quindi la guerra interna), al quale l'Italia partecipa con Stati uniti, Gran Bretagna, Francia, qatar e Arabia saudita, che si apprestano ora a colpire la Siria anche dall'esterno. Dimentica la Bonino l'incontro svoltosi a Istanbul il 27 agosto (di cui dà notizia la Reuters), nel quale gli «Amici» hanno comunicato ai «ribelli» che l'attacco potrebbe avvenire entro pochi giorni. 
Non spiega il governo perché l'Italia abbia inviato il capo di stato maggiore alla riunione, convocata dal Pentagono in Giordania il 25-27 agosto, cui hanno partecipato i capi militari di Usa, Gran Bretagna, Francia e Arabia saudita, che preparano l'attacco alla Siria. Intanto un portavoce del nostro ministero della difesa, citato dalla stampa Usa, spiega che basi aeree e navali italiane potrebbero essere usate per l'attacco alla Siria col consenso del parlamento, non necessario invece per le basi Usa come Camp Darby o Sigonella. Il ministro della difesa Mauro lascia aperta la porta alla partecipazione diretta di forze italiane, ribadendo che il governo darà «sicuramente l'assenso a quelli che sono gli orientamenti della comunità internazionale». Ossia della Nato che tiene oggi una riunione di emergenza sulla Siria
Per Il Sole 24Ore di ieri, «le basi italiane sono superflue» in quanto i raid saranno limitati nel tempo, con missili lanciati da navi e velivoli, e gli aerei non avranno bisogno di basi avanzate. Elementi che «sembrano escludere un ruolo anche marginale dell'Italia». In realtà è ancora l'Italia base di lancio della guerra. Le operazioni contro la Siria, come quelle nel 2011 contro la Libia, vengono dirette da Napoli: lì c'è il comando delle Forze navali Usa in Europa, comprendenti la Sesta flotta, agli ordini di un ammiraglio statunitense che comanda allo stesso tempo le Forze navali Usa per l'Africa e le Forze congiunte alleate. 
Partirebbe da Napoli l'ordine di attaccare la Siria dal Mediterraneo orientale, dove,, a distanza ravvicinata (circa 200 km) da Damasco e altri obiettivi, sono schierate almeno quattro cacciatorpediniere lanciamissili: la Barry e la Mahan, già impiegate nell'attacco alla Libia, la Gravely e la Ramage. Possono lanciare centinaia di missili Cruise, che, volando a bassa quota lungo il profilo del terreno, colpiscono l'obiettivo con testate sia penetranti che a grappolo (ciascuna con centinaia di submunizioni), contenenti uranio impoverito. Sono sicuramente schierati anche sottomarini, come il Florida da attacco nucleare, armato, invece che di 24 missili balistici, di oltre di 150 missili Cruise. Nella sola notte del 19 marzo 2011, ne lanciò 90 contro la Libia. Lo schieramento comprende anche il gruppo d'attacco della portaerei Harry Truman (dotata di 90 caccia), comprendente due incrociatori e due cacciatorpediniere lanciamissili, che la Sesta flotta ha trasferito nel Mar Rosso, area della Quinta Flotta. Si aggiungono a queste le unità navali alleate, tra cui anche la portaerei francese Charles de Gaulle.
A sostegno di questo schieramento c'è la base aeronavale di Sigonella, addetta al rifornimento della Sesta Flotta e dotata di aerei Usa e Nato. La base, dove sono stanziati 7mila militari, costituisce per il Pentagono «il centro strategico del Mediterraneo». Queste e altre basi Usa, come quella di Aviano, non potrebbero funzionare senza il supporto delle forze e infrastrutture italiane. L'Italia non deve dunque attendere il mandato Onu per partecipare a quest'altra guerra sotto comando del Pentagono.


=== 3 ===

en francais: Syrie : le projet "Grande Sion"
Entretien avec Ammar Bagdash, secrétaire du Parti communiste syrien

---


Comunisti siriani: “La Siria come la Spagna repubblicana”


19 luglio 2013

 

Un incontro pubblico a Roma con il segretario del Partito comunista siriano, Ammar Bagdash e una intervista collettiva per conoscere le cause, l’andamento, le conseguenze della guerra civile in Siria. O per meglio dire del tentativo di destabilizzare un paese dissonante per il controllo imperialista del Medio Oriente.

 

Di Sergio Cararo, Marinella Correggia, Maurizio Musolino

 

La prima domanda era implicita nella stessa presentazione con cui Bagdash ha affrontato una intervista a più voci. Perché l’attacco alla Siria? “La Siria costituisce una diga contro l’espansionismo statunitense in Medio oriente, soprattutto dopo l’occupazione dell’Iraq. Ma il vero protagonista di questo progetto è in realtà il presidente israeliano Peres, che persegue questo obiettivo sin dagli anni ’80 – spiega Bagdash – Come comunisti siriani abbiamo dato un nome a questo progetto: ‘la grande Sion’. La Siria ha rifiutato tutti i diktat degli Usa e di Israele sul Medio oriente, ha sostenuto la resistenza irachena, quella libanese e il diritto nazionale del popolo palestinese”.

 

Ma come è nata la rivolta, la crisi e la guerra civile in Siria? “Nell’analisi dei comunisti siriani le condizioni sono state create anche dalle contraddizioni create dalle misure liberiste in economia adottate dintorno al 2005. Questa politica ha prodotto tre effetti negativi:
un aumento della polarizzazione sociale; la crescita dell’emarginazione sociale nelle periferia di Damasco; il peggioramento delle condizioni di vita della popolazione” – dice Bagdash. “Ciò ha favorito le forze reazionarie, come i Fratelli musulmani, che si sono appoggiati sul sottoproletariato, soprattutto rurale. Quando abbiamo denunciato tutto questo anche in Parlamento, ci hanno accusato di essere ideologici e di avere la testa di legno.”

 

Le origini e le tre fasi della crisi siriana

 

“In Siria volevano ripetere quanto era accaduto in Egitto e Tunisia. Ma lì si trattava di due paesi filo-imperialisti. Nel caso della Siria era diverso. Hanno cominciato con manifestazioni popolari di protesta partite dalle regioni rurali di Daraa e Idleb. Ma nelle città ci sono state subito delle grandi manifestazioni popolari a sostegno di Assad. Inoltre all’inizio la polizia non sparava, sono state componenti fra i manifestanti ad aver iniziato le azioni violente. Nei primi sette mesi ci sono stati più morti fra polizia ed esercito che nelle file degli altri. Quando il metodo delle proteste non ha funzionato sono passati al terrorismo con omicidi mirati di persone in vista (dirigenti, alti ufficiali, giornalisti), attentati e sabotaggi di infrastrutture civili. Il governo ha reagito adottando alcune riforme come quella sul pluripartitismo e sulla libertà di stampa, riforme che noi abbiamo sostenuto. Ma le forze reazionarie hanno rifiutato queste riforme. Noi comunisti abbiamo fatto questa equazione: le parole e le azioni vanno misurate con le parole e le azioni. Ma il terrorismo va affrontato con la sovranità della legge, ristabilendo l’ordine.
Poi si è passati alla terza fase. La rivolta armata vera e propria. Attentati e omicidi mirati erano il segnale per iniziare l’attacco contro Damasco. Poi gli attacchi si sono concentrati ad Aleppo, che per la sua posizione geografica rende più facile il traffico e i rifornimenti di armi dall’esterno. Il governo ha appunto risposto imponendo l'egemonia della legge. Va detto che l'intervento dell'esercito e i bombardamenti aerei sono avvenuti zone da cui erano già fuggiti quasi tutti i civili.
Al contrattacco dell’esercito siriano i ‘ribelli’ hanno reagito in modo selvaggio, anche nelle zone dove non c’erano combattimenti. Poi hanno assediato Aleppo.”

 

Perché la Siria resiste e che cosa significa?

 

Negli ultimi dieci anni in Medio Oriente, l’Iraq è stato occupato, la Libia ha dovuto capitolare, la Siria invece no. Per la sua maggiore coesione interna, le forze armate più forti, alleanze internazionali più solide o per il fatto che non c’è stato ancora un intervento militare diretto delle potenze imperialiste?

 

“In Siria, a differenza di Iraq e Libia, c’è sempre stata una forte alleanza nazionale. I comunisti collaborano con il governo dal 1966, ininterrottamente. La Siria non avrebbe potuto resistere contando solo sull’esercito. Ha retto perché ha potuto contare su una base popolare. Inoltre può contare sull’alleanza con l’Iran, la Cina, La Russia. E se la Siria rimane in piedi, tanti troni cadranno perché risulterà chiaro che ci sono altre vie. La nostra è una lotta internazionalista. Un esperto russo mi ha detto: ‘Il ruolo della Siria adesso assomiglia a quello della Spagna contro il fascismo’.

 

L’Egitto, la Siria e l’Islam politico

 

Quali effetti possono avere gli avvenimenti in Egitto sulla situazione di oggi in Siria?

 

“C’è un rapporto dialettico tra quanto avvenuto in Egitto e quanto avviene in Siria. La base comune è il malcontento popolare, ma la resistenza siriana ha accelerato la caduta del regime dei Fratelli musulmani in Egitto e ciò aiuterà molto la Siria perché dimostra che i Fratelli Musulmani sono stati ripudiati dal popolo.”

 

Il presidente siriano Assad in una recente intervista ha affermato: “In Siria abbiamo fermato l’offensiva dell’islamismo politico”. Cosa ne pensa?

 

“Noi comunisti siriani non usiamo la categoria di Islam politico. L’Islam è una forma di espressione che vede all’interno cose molto differenti. Ci sono reazionari pro-imperialisti come i Fratelli musulmani e progressisti come Hezbollah o lo stesso Iran. Non sono un amante del modello iraniano ma sono nostri alleati nella lotta contro l’imperialismo. Dal nostro V° Congresso abbiamo valutato l’Iran sulla base di come si rapporta all’imperialismo. La nostra parola d’ordine è per un Fronte Internazionale contro l’imperialismo.”

 

I “ribelli”: rivoluzionari o reazionari?

 

In Italia ampia parte della “sinistra” ritiene che i ribelli stiano combattendo un regime fascista, quello di Assad. Cosa può rispondere a questa posizione?

 

“Se partiamo dalla definizione del fascismo – un movimento reazionario che usa mezzi violenti per attuare gli interessi del capitalismo monopolista – in Siria non al comando non c’è un capitalismo monopolista. Piuttosto sono i ‘ribelli’ a rappresentare gli interessi del grande capitale. Le rivolte, come dimostra la storia, non sono sempre delle rivoluzioni. Pensiamo alla contra in Nicaragua, ai franchisti in Spagna e via dicendo.”

 

Ma l’opposizione ad Assad è tutta reazionaria? Oppure, come dimostrano i crescenti contrasti interni sfociati in scontri tra Esercito Libero Siriano e miliziani jihadisti o gli scontri di questi giorni tra curdi e jihadisti, ci sono anche componenti progressiste con cui poter aprire una interlocuzione?

 

“Tra gli oppositori ce ne sono alcuni che hanno trascorso molti anni nelle carceri siriane e di cui abbiamo chiesto e ci siamo battuti per la loro liberazione. Questi oppositori ad Assad sono però contrari ad ogni ingerenza o intervento esterno. Alcuni vivono a Damasco e lavoriamo insieme per il dialogo nazionale. Anche Haytham Menaa del Coordinamento democratico condanna l’uso della violenza da parte dell’opposizione armata e le ingerenze esterne. Altri come Michel Kilo hanno una storia di sinistra ma l’hanno rinnegata e comunque non possono modificare la sostanza reazionaria della ribellione.”

 

Come spiega l’aumento delle divergenze tra Arabia Saudita e Qatar che si ripercuotono anche nelle divisioni delle milizie ribelli?

 

“E’ vero, sta diminuendo il ruolo e l’influenza del Qatar e sta aumentando quello dell’Arabia saudita. Diversa è la vicenda degli scontri con i curdi. Gli scontri ci sono stati tra i curdi dell’Unione democratica curda e i miliziani jihadisti di Al Nusra, ma c’erano stati anche scontri tra i vari gruppi curdi.”

 

La causa palestinese e i palestinesi in Siria

 

Cosa sta succedendo ai palestinesi che vivono nei campi profughi in Siria?

 

“Ho incontrato recentemente il responsabile dell’Olp e mi ha detto “Se cade la Siria addio Palestina”. Hamas ha compiuto passi molto affrettati, ha fatto molti errori e ha provocato problemi. Possiamo dire che l’organizzazione, che appartiene al mondo del Fratelli musulmani, è tornata alle origini e adesso è sotto l’ala del Qatar. Ma è pericoloso anche per loro. Adesso, dopo quanto accaduto in Egitto cosa accadrà a Gaza? La maggioranza dei miliziani penetrati nei campi profughi palestinesi in Siria non erano palestinesi. La maggioranza dei palestinesi è fortemente contraria ad ogni interferenza negli affari siriani.”

 

“A Yarmouk il 70% degli abitanti sono siriani perché i campi profughi in Siria non sono dei ghetti come in altri paesi. Ci sono ancora combattimenti a Yarmouk ma la popolazione civile è fuggita. Il Comitato Esecutivo dell’Olp è stato due volte in Siria per porre il problema della protezione dei campi profughi. Yarmuk è stata assediata da Al Nusra con l’aiuto di Hamas che ha cercato di provocare l’esercito, il quale a lungo ha avuto l’ordine di non reagire.”

 

Se ne parla molto poco, ma che ruolo ha la Giordania nella crisi e nella guerra civile in Siria?

 

“La monarchia giordana ha sempre collaborato con l’imperialismo e c’è una intensa attività dei Fratelli musulmani. La Giordania ha accettato la presenza di militari statunitensi sul proprio territorio e il quarto attacco a Damasco è partito proprio dal territorio della Giordania.”

 

E Israele che partita sta giocando in Siria?

 

“Israele appoggia i ribelli armati, ma quando non riescono a colpire gli obiettivi arrivano gli aerei da guerra israeliani, E’ avvenuto a Damasco e qualche giorno fa anche a Latakia.”

 

Quale soluzione alla crisi?

 

Quale i passi e le tappe per uscire dalla tragedia?

 

“Non si può realizzare alcun progresso sociale, o la democrazia, se si è subalterni a forze esterne. La parola d’ordine è difendere la sovranità nazionale, e difendere le condizioni di vita. Come ho dichiarato all’Ansa, la via maestra per uscire dal massacro siriano passa in primo luogo per uno stop agli aiuti all'opposizione armata da parte di paesi reazionari e imperialisti. Una volta che gli aiuti esterni saranno fermati, si potranno fermare tutte le operazioni militari anche da parte del governo siriano. E far ripartire un processo democratico con elezioni parlamentari e riforme politiche, che certo in questa fase di lotta armata non si possono fare. Il futuro politico della Siria si deciderà nelle elezioni, fra le quali quelle presidenziali del 2014.”

=== 4 ===


il manifesto 2013.08.22 - 05 POLITICA

SICILIA - IN ARRIVO DAL SUFFOLK I NUOVI «CONVERTIPLANI» PER LE GUERRE IN AFRICA E MEDIO ORIENTE

Usa pronti a potenziare Sigonella

TAGLIO BASSO - ANTONIO MAZZEO

È Sigonella la «base ideale» per i nuovi velivoli da trasporto delle forze speciali Usa in Europa. Con un report inviato al Pentagono, il Comitato per le forze armate del Senato degli Stati Uniti ha espresso la propria contrarietà al progetto di realizzare a Mildenhall (Gran Bretagna) il centro operativo dei CV-22 «Osprey», i convertiplani (metà elicotteri e metà aerei) assegnati al 352mo Special Operations Group, l'unità di pronto intervento dell'US Air Force Command per le operazioni in Europa, Africa e Medio oriente.
«La consegna degli Osprey al gruppo speciale attualmente distaccato a Mildenhall rientra nel piano di forte espansione e ampliamento delle sue missioni specialmente in nord Africa, ma la Naval Air Station di Sigonella e l'Italia sono molto più vicine a quest'area geografica», scrive il Comitato del Senato. «Dato che Sigonella è divenuta una base strategica di lancio delle missioni in Libia durante i crescenti disordini e delle attività di addestramento anti-terrorismo in Africa settentrionale, il Comando per le Operazioni Speciali dovrebbe rivedere la decisione di insediare il centro SOF CV-22 a Mildenhall».
Il trasferimento a Sigonella dei convertiplani consentirebbe al Pentagono di risparmiare i 67 milioni di dollari previsti per ammodernare le piste dell'aeroporto del Suffolk e realizzare le facility necessarie alla manutenzione degli Osprey. Il progetto in Gran Bretagna prevede inoltre la creazione di una nuova unità di 900 militari da porre sotto il comando dello Special Operations Group e la sostituzione dei vecchi velivoli MC-130P, entrati in funzione per supportare le operazioni clandestine in Vietnam, con i nuovi MC-130J «Commando II» che consentiranno il trasporto di truppe e armamenti e il rifornimento in volo di elicotteri e convertiplani anche di notte. I CV-22 Osprey assegnati al 352nd Special Operations Group sostituiscono invece gli elicotteri MH-53 Pave Low. Gli Osprey (falchi pescatori) sono prodotti dall'industria Bell Boeing; decollano come un elicottero e volano come un normale aereo e sono in grado di trasportare fino a 24 soldati pienamente equipaggiati alla velocità massima di 509 Km all'ora.
A Mildenhall l'US Air Force ha già installato il simulatore di volo degli Osprey, mentre è stato completato l'hangar al costo di 18 milioni di dollari. Nonostante la sua distanza dall'Africa, la base britannica è stata utilizzata per una serie di interventi strategici nel continente (l'intervento Usa-Nato in Libia nel 2011, il rifornimento in volo dei velivoli francesi intervenuti in Mali, ecc.). I velivoli a disposizione del 352nd Special Operations Group sono stati utilizzati nel 2008 per evacuare dal Ciad una sessantina di cittadini statunitensi dopo l'ingresso dei ribelli anti-governativi nella capitale. Attualmente il gruppo operativo speciale è impegnato a supporto delle esercitazioni di USAFRICOM in Africa.
Sigonella ospita invece dalla primavera 2013 la Special-Purpose Marine Air-Ground Task Force (SP MAGTF), l'unità di pronto intervento, combattimento aereo e terrestre dei marines attivata per intervenire in Africa. Piccoli reparti della SP MAGTF sono già dislocati in Libia a protezione di obiettivi «sensibili» Usa e, da qualche giorno, anche in Egitto. Alla SP MAGTF di Sigonella sono stati assegnati in via transitoria alcuni aerei KC-130J Super Hercules e di alcuni MV-22B Osprey di base in North Carolina. La grande stazione aeronavale siciliana viene pure utilizzata per gli scali tecnici degli elicotteri a pilotaggio remoto «MQ-8B Fire Scout» del VR-64 della US Navy, impiegati in operazioni nel Mediterraneo. Da Sigonella, infine, decollano - destinazione Africa e Medio oriente - i droni-spia «Global Hawk» e i droni-killer «Predator» dell'US Air Force. 
Gli Osprey sono al centro di dure polemiche tra gli analisti militari statunitensi per il loro altissimo costo (120 milioni di dollari l'uno contro i 49 milioni preventivati), per l'inquinamento acustico generato dai motori e per l'alto numero d'incidenti mortali che li hanno visti protagonisti (una trentina le vittime tra militari e tecnici). Fonti del Pentagono hanno rivelato che è pronto un dossier «classificato» sulle criticità tecniche e le spese di manutenzione sostenute per i convertiplani. Nel 2009 il Government Accountability Office (GAO), l'equivalente della Corte dei Conti italiana, aveva pubblicato un rapporto sulle scarse performance dei velivoli nel conflitto in Iraq. Secondo lo stesso Comando US Air Force, nel 2010 gli Osprey sono stati utilizzati solo nel 54% dei casi richiesti (per il resto erano in manutenzione); lo scorso anno la percentuale è cresciuta al 68%.
Da qualche giorno, i CV-22 sono entrati a far parte del Marine Helicopter Squadron 1, l'unità d'eccellenza a cui è attribuito il trasporto aereo del presidente Obama. A fine luglio, 12 Osprey sono stati schierati a Okinawa (Giappone), nonostante le proteste della popolazione e delle autorità civili locali giustamente preoccupate per la pericolosità e l'insostenibile impatto ambientale dei convertiplani. 



(english / deutsch / italiano)

Crimini di guerra, modello Kosovo

1) Alcune considerazioni sulla ventilata guerra alla Siria (G. VLAIC)
2) US Uses Past Crimes to Legalize Future Ones - by DIANA JOHNSTONE
3) Syria: Appeal against yet another “humanitarian” war of conquest, launched on false pretenses (NOWAR Rome, Italy)
4) S. Bahlos Interview zur Solidaritätsdemo für Syrien in Frankfurt/M., Samstag, 31. Aug. 2013
5) Mediterraneo mare di guerra: Giù le mani dalla Siria! (Rete dei Comunisti)
6) Siria: patriarca Antiochia, attacco Usa atto criminale (28 Agosto 2013)


=== 1 ===

Alcune considerazioni sulla ventilata guerra alla Siria
Non Bombe Ma Solo Caramelle ONLUS

Trieste, 28 agosto 2013

Quello che ci viene propinato in questi giorni e’ un copione ben collaudato.
Si inizia demonizzando un popolo e i suoi leaders politici (ricordate i Serbi brutti sporchi e cattivi, e il loro capo Hitlerovic?), poi si cerca un casus belli del tutto inventato oppure ingigantito e distorto (ricordate la strage di Timisoara del 1989, la strage di Racak del 1999, oppure il pensoso Colin Powell mentra agita una fialetta all’ONU nel 2003), poi si trova un alleato che fino a pochi giorni prima era magari considerato un terrorista (vi ricordate l'UCK?), nel contempo si manipola per bene la propria opinione pubblica (si trovano sempre intellettuali di servizio disposti a tutto) e il gioco e' fatto. Un altro Paese e’ pronto per entrare nel carniere delle grandi potenze.

Riporto adesso un pezzo del giornalista Andrea Purgatori che ho appena letto.
Non sono d’accordo con tutto, ma mi sembra piuttosto efficace.

C'è sempre una guerra da fare, in tempi di crisi. La guerra distrae, appassiona, disgusta. La guerra svuota gli arsenali e impone nuove spese per riempirli di nuovo. Comunque sia, smuove qualcosa. Perché si sa, basta un missile nel cielo del Medio Oriente per far schizzare alle stelle il prezzo del barile di petrolio. La guerra è un affare. Ma questa non-guerra (il missile non sporca le mani), dove ci può portare? A fianco dei qaedisti che hanno infiltrato l'opposizione armata siriana? E come reagirà la coalizione anglo-americana se al primo missile sulla Siria ne dovesse partire un altro per ritorsione dall'Iran su Israele? Coi Paesi arabi incapaci di esprimere una posizione univoca, con l'Egitto che rischia di implodere, con l'Europa che prende le distanze (basi si, basi no?), con un presidente degli Stati Uniti in calo verticale di popolarità e consensi? 

Un caro fraterno saluto a tutte/i
Gilberto Vlaic Trieste



=== 2 ===


AUGUST 26, 2013
Justifying the Unjustifiable

US Uses Past Crimes to Legalize Future Ones

by DIANA JOHNSTONE

Paris.

The liberal warhawks are groping around for a pretext they can call “legal” for waging war against Syria, and have come up with the 1999 “Kosovo war”.
This is not surprising insofar as a primary purpose of that US/NATO 78-day bombing spree was always to set a precedent for more such wars.  The pretext of “saving the Kosovars” from an imaginary “genocide” was as false as the “weapons of mass destruction” pretext for war against Iraq, but the fakery has been much more successful with the general public.  Therefore Kosovo retains its usefulness in the propaganda arsenal.
On August 24, the New York Times reported that President Obama’s national security aides are “studying the NATO air war in Kosovo as a possible blueprint for acting without a mandate from the United Nations.” (By the way, the “air war” was not “in Kosovo”, but struck the whole of what was then Yugoslavia, mostly destroying Serbia’s civilian infrastructure and also spreading destruction in Montenegro.)
On Friday, Obama admitted that going in and attacking another country “without a U.N. mandate and without clear evidence” raised questions in terms of international law.
According to the New York Times, “Kosovo is an obvious precedent for Mr. Obama because, as in Syria, civilians were killed and Russia had longstanding ties to the government authorities accused of the abuses. In 1999, President Bill Clinton used the endorsement of NATO and the rationale of protecting a vulnerable population to justify 78 days of airstrikes.”
“It’s a step too far to say we’re drawing up legal justifications for an action, given that the president hasn’t made a decision,” said a senior administration official, who spoke on the condition of anonymity to discuss the deliberations.  “But Kosovo, of course, is a precedent of something that is perhaps similar.”
Ivo H. Daalder, a former United States ambassador to NATO, suggests that the administration could argue that the use of chemical weapons in Syria amounts to a grave humanitarian emergency, just as the Clinton administration argued in 1999 that “a grave humanitarian emergency” presented the “international community” with “the responsibility to act”.
This amounts to creative legality worthy of the planet’s number one Rogue State.

An Illegal War as Precedent for More War

The US/NATO war against Yugoslavia, which used unilateral force to break up a sovereign state, detaching the historic Serbian province of Kosovo and transforming it into a US satellite, was clearly in violation of international law.
In May 2000, the distinguished British authority on international law, Sir Ian Brownlie (1936-2010), presented a 16,000-word Memorandum, evaluating the war’s legal status for the Select Committee on Foreign Affairs of the British Parliament.
Brownlie recalled that key provisions of the United Nations Charter state quite clearly that “All Members shall refrain in their international relations from the threat or use of force against the territorial integrity or political independence of any State, or in any other manner inconsistent with the Purposes of the United Nations.”
Brownlie added that the alleged right to use force for humanitarian purposes was not compatible with the UN Charter.
During the past decade, the Western powers have invented and promoted a theoretical “right to protect” (R2P) in an effort to get around the UN Charter in order to clear the way for wars whose final purpose is regime change. The use of R2P to overthrow Gaddafi in Libya gave the game away, ensuring Russian and Chinese opposition for any further such manoeuvre in the UN Security Council.
Concerning the Kosovo war, in his Memorandum Professor Brownlie reached the following major conclusions:
- The primary justification for the bombing of Yugoslavia was always the imposition of the NATO plans for the future of Kosovo. It was in this context that the bombing campaign was planned in August 1998.
-  The threats of massive air strikes were made in the same context and were first made public in October 1998. Neither the purpose of the planned air strikes nor their implementation related to events on the ground in Kosovo in March 1999.
-  The cause of the air strikes was quite simple: given that Yugoslavia had not given in to threats, the threats had to be carried out.
-  The legal basis of the action, as presented by the United Kingdom and other NATO States, was at no stage adequately articulated.
-  Humanitarian intervention, the justification belatedly advanced by the NATO States, has no place either in the United Nations Charter or in customary international law.
- If the view had been held that the Permanent Members of the Security Council would recognise the need for humanitarian action, then no doubt a resolution would have been sought.
- The intentions of the United States and the United Kingdom included the removal of the Government of Yugoslavia. It is impossible to reconcile such purposes with humanitarian intervention.
- The claim to be acting on humanitarian grounds appears difficult to reconcile with the disproportionate amount of violence involved in the use of heavy ordnance and missiles. The weapons had extensive blast effects and the missiles had an incendiary element. A high proportion of targets were in towns and cities. Many of the victims were women and children. After seven weeks of the bombing at least 1,200 civilians had been killed and 4,500 injured.
-  In spite of the references to the need for a peaceful solution to be found in Security Council Resolutions, the public statements of Mrs Albright, Mr Cook, Mr Holbrooke, and others, and the reiterated threats of massive air strikes, make it very clear that no ordinary diplomacy was envisaged.

The “Kosovo treatment”

As a final synopsis, Brownlie wrote a prophetic note on future use of “the Kosovo treatment”:
“The writer has contacts with a great number of diplomats and lawyers of different nationalities. The reaction to the NATO bombing campaign outside Europe and North America has been generally hostile. Most States have problems of separatism and could, on a selective basis, be the objects of Western ‘crisis management’. The selection of crises for the ‘Kosovo’ treatment will depend upon the geopolitical and collateral agenda. It is on this basis, and not a humanitarian agenda, that Yugoslavia is marked out for fragmentation on a racial basis, whilst Russia and Indonesia are not.”
He added: “Forcible intervention to serve humanitarian objectives is a claim which is only open to powerful States to make against the less powerful. The fate of Yugoslavia will have caused considerable damage to the cause of non-proliferation of weapons of mass destruction.”
The Brownlie Memorandum to the British Parliament is the most thorough assessment of the legal status of the Kosovo War.  It is quite remarkable that the liberal warhawks around Obama talk of using that war as a “legal precedent” for a new war against Syria.
This amounts to saying that a crime committed once becomes a “precedent” to justify the crime being committed the next time.

How Many Times Can You Fool Most of the People?

If understood correctly, the Kosovo war was indeed a precedent that should act as a warning signal.
How many times can the United States use a false alarm to start an aggressive war?  Non-existent “genocide” in Kosovo and Libya, non-existent weapons of mass destruction in Iraq, and now what looks to much of the world like a “false flag” chemical weapons attack in Syria.
The United States habitually announces the presence of a desired casus belli, dismissing demands for concrete evidence.
In Kosovo, the United States obtained withdrawal of international observers who could have testified whether or not there was evidence of “genocide” of Kosovars.  The accusations escalated during the war, and when, afterwards, no evidence of such mass murder was found, the matter was forgotten.
In Iraq, there was never any proof of WMD, but the US went ahead and invaded.
In Libya, the pretext for war was a misquoted statement of Gaddafi threatening a “massacre of civilians” in Benghazi.  This was exposed as a fake, but again, NATO bombed, the regime was toppled, and the pretext falls into oblivion.
Sunday, just as the Syrian government announced readiness to allow international inspectors to investigate allegations of chemical weapons use, the White House responded, “too late!”
A senior Obama administration official demanding anonymity (one can reasonably guess the official was Obama’s hawkish National Security Advisor Susan Rice) issued a statement claiming that there was “very little doubt” that President Bashar al-Assad’s military forces had used chemical weapons against civilians and that a promise to allow United Nations inspectors access to the site was “too late to be credible.”
In the world beyond the beltway, there is a great deal of doubt – especially about the credibility of the United States government when it comes to finding pretexts to go to war.  Moreover, setting “chemical weapons” as a “red line” obliging the US to go to war is totally arbitrary.  There are many ways of killing people in a civil war.  Selecting one as a trigger for US intervention serves primarily to give rebels an excellent reason to carry out a “false flag” operation that will bring NATO into the war they are losing.
Who really wants or needs US intervention?  The American people?  What good will it do them to get involved in yet another endless Middle East war?
But who has influence on Obama?  The American people?  Or is it rather “our staunchest ally”, who is most concerned about rearranging the Middle East neighborhood?
“This situation must not be allowed to continue,” Prime Minister Benjamin Netanyahu said, expressing remarkable concern for Syrian civilians “who were so brutally attacked by weapons of mass destruction.”
“The most dangerous regimes in the world must not be allowed to possess the most dangerous weapons in the world,” Netanyahu added.
Incidentally, polls have been taken showing that for much of the world, the most dangerous regime in the world is Israel, which is allowed to possess the most dangerous weapons – nuclear weapons.  But there is no chance that Israel will ever get “the Kosovo treatment”.

DIANA JOHNSTONE is the author of Fools Crusade: Yugoslavia, NATO and Western DelusionsShe can be reached at  diana.josto@...


=== 3 ===



SYRIA: APPEAL AGAINST YET ANOTHER “HUMANITARIAN” WAR OF CONQUEST, LAUNCHED ON FALSE PRETENSES.

 

Syria.  Without knowing exactly what happened or who did what, and assigning guilt without proof and without taking into consideration the principle of cui bono, the NATO trio United States-Britain-France has claimed the right to attack Syria to punish the regime for its “moral obscenity”.   In reality, the only moral obscenity is the war the trio wants to conduct.

 

This is why people all over the world should take to the streets in protest.  It is intolerable that the trio thinks it can simply make accusations without offering proof of exactly who the authors were of the lethal gas attack in Damascus on August 21st, given that the international experts have yet to define what occurred.

 

Even General Camporini, former Chief of Staff of the Armed Forces and current vice president of the Institute of International Affairs, has concluded that the Syrian government could have had absolutely no interest in launching a gas attack now that it is winning the fight against the rebels using conventional weapons and, moreover, now that it has just permitted U.N. inspectors to enter the country.  Given the readiness of certain world powers to jump into the fray at the first opportunity, it would be suicidal to give them that opportunity.

 

So if the government had no interest in launching the gas attack, who did?  The answer is obvious.  The rebel forces have an interest in creating an incident involving the use of lethal gas.  This is because they are loosing their fight against the government forces.  They have repeatedly asked, over the months, for military support by Western armed forces – but without success, since Russia and China have vetoed any foreign armed intervention in Syria.  Thus it is entirely conceivable that the rebel forces, now desperate, could have used the lethal gas themselves against a Damascus suburb, in order to pin the blame on the government, declare that the “red line” has been crossed, and thus give the NATO trio an excuse to enter the fray, even without UN approval. 

 

It is equally conceivable that the same rebel forces could have sought to alarm public opinion even more by staging and filming fake scenes of widespread gas poisoning and posting them on the Internet.  This would allow the rebels to claim that not just a few hundred civilians in one suburb, but over 1,700 Syrian civilians, in and around Damascus, were gassed to death by the regime.  And that is apparently what they did.  With a slip up, however.  They posted the videos to YouTube several hours before the mass gas attack was supposed to have taken place.

 

LET'S NOT FALL FOR IT ANOTHER TIME.  Let us reject the war propaganda that mainstream media inundates us with.  We have already been victims of quite enough pretexts used to start a war.  Two recent examples are the test tube of supposedly poisonous gas that Colin Powell waved before the Security Council to win permission to attack Iraq, and the sensationalistic (but false) news stories of Gaddafi's ruthlessness against unarmed civilian demonstrators to justify NATO bombing attacks “in defense of the civilians”: for example, the contrived video of so-called mass graves in Libya (they were ordinary graves existing before the revolt) and the supposed use of fighter jets to strafe demonstrators in the street (subsequent analysis of Russian satellite data showed that no planes had flown over Tripoli that day).  Two older but similar examples of pretexts to start wars are the self-inflicted attack in the Gulf of Tonkin in 1964 (carried out by the U.S. to justify invading Vietnam) and the “bread line” incident in 1995 to justify the bombing of Jugolslavia by NATO (and Italian) aviation.

 

Now the leaders of a few NATO countries, looking for the pretext to bomb Syria and help the pro-NATO rebels defeat the government forces and take power, have denounced the use of lethal gas by the Syrian government – without furnishing any proof and before the on-site U.N. Inspectors have carried out their inspection.  What is more, these NATO countries have totally disregarded the cui bono principle – and for a reason: the only party who might have an interest in creating an incident over the use of lethal gas are the rebel forces, who have promptly tried to put the blame on the government.

 

LET'S NOT GET DRAGGED INTO YET ANOTHER WAR LAUNCHED ON FALSE PRETENSES.

 

LET'S TAKE TO THE STREETS TO SAY “NO!” TO ANY WESTERN ARMED INTERVENTION IN SYRIA.

 

LET'S SAY “YES!” TO STOPPING ARMS DELIVERIES.  “YES!” TO DIALOG AMONG THE PARTIES.  “YES!” TO RECONCILIATION MOVEMENTS LIKE MUSSALAHA (AND OTHERS).  “YES!” TO HELPING THE NON-VIOLENT SECTORS OF CIVIL SOCIETY EMERGE AND MAKE THEIR VOICES HEARD.

 

YOU DON'T COMBAT VIOLENCE WITH VIOLENCE.  THE ONLY WAY OUT IS THROUGH PEACE.

 

WHAT CAN ITALY DO, THEN, TO PROMOTE PEACE IN SYRIA?

 
  1. ITALY CAN FORBID THE USE OF ITALIAN AIR SPACE BY U.S. OR NATO MISSIONS IN SYRIA.  This may be only a symbolic gesture, since the announced missile attack is to come by sea; but it sends, nonetheless, an important signal.  Just like the decision by the government, announced on August 27th, to prohibit using NATO air-naval stations in Italy for operations in Syria, without U.N. Approval.
  2. ITALY CAN THUS REFUSE TO CONTINUE TO BE AN ALLIED AIRCRAFT CARRIER, USED FOR ATTACKS AGAINST NEIGHBORING COUNTRIES, AND INSIST ON BEING A BRIDGE OVER THE MEDITERRANEAN SEA, ONE THAT PEACEFULLY UNITES COUNTRIES;
  3. ITALY CAN INVITE THE SYRIAN MEMBERS OF PARLIAMENT (BOTH THOSE FOR AND THOSE AGAINST ASSAD) WHO WERE REFUSED ENTRY INTO ITALY UNDER THE MONTI GOVERNMENT, TO COME AND DISCUSS A POLITICAL SOLUTION TO THE CURRENT CRISIS;
  4. ITALY CAN THUS RECUPERATE THE GLORIOUS TRADITION OF INTERNATIONAL DIPLOMACY THAT IT EXERCISED WITH SUCCESS THROUGHOUT THE RENAISSANCE.
 
 

——— APPENDIX ————

 

A few facts to back up what has been asserted…

 
  1. In May of 2013, Carla Del Ponte, member of the U.N. Enquiry into Syrian war crimes, declared: We have been able to gather a few testimonials of the use of chemical weapons and, in particular, of nerve gas.  But they have not been used by the government forces.  They have been used by the rebel forces, i.e., by the opposition.  When Del Ponte made this statement, the countries who now are rushing into Syria to protect the population, did absolutely nothing. They let the news item grow stale and forgotten.  Another fact: on May 30th the Turkish police found an arms cache created by the rebel al-Nusra Front.  Same reaction, i.e. no reaction.
 
  1. On August 21st Médecins sans frontières received phone calls from clandestine, improvised medical clinics in the Damascus area, run by the opposition (and in which MSF personnel is not present).  These phone calls denounced the arrival of thousands of patients with symptoms of gas poisoning, of which three hundred died.  The opposition furnished no proof.  Bart Janssens, Operations Chief for MSF, declared: “MSF cannot confirm scientifically the cause of the alleged symptoms nor establish responsibilities for the alleged attack.”  Afterward the opposition called attention to videos on YouTube as proof but…
 
  1. …the videos were uploaded to YouTube on August 20 through the account of a certain Majler Rif.  Yet the opposition has stated that the gas attack took place on August 21 at 3 am.  Even taking into consideration the differences in time zones, the videos were uploaded well BEFORE the attack.  In addition, experts have stated that several scenes seem clearly staged; moreover, the symptoms that the apparent victims were shown to suffer did not closely resemble the symptoms of a sarin gas attack, the gas claimed to have been used.  Finally and perhaps most tellingly, the media of the NATO powers who are beating the war drums, have patently misrepresented the statement issued by Médecins sans Frontières to make it seem as though MSF has accredited their claims.  Clearly, there is a campaign being mounted for armed intervention, not to “protect civilians” but to give a hand to the rebel forces who are loosing on the ground to government troops.
 
  1. To conclude, it seems clear the the real cause of the Syrian tragedy is the outside military intervention that has already taken place (militias have been sent into Syria from Libya, Saudi Arabia, etc.) which have increased the bloodshed dramatically.  These militias, supposedly sent to protect innocent demonstrators in the streets, in reality have been sent to grab power for the sponsoring foreign states.  “If only the foreign militias fighting in Syria would leave, peace would return within 48 hours”, said Monsignor Nazzaro, former Bishop of Aleppo.  The Times has reported the presence of over ten thousand foreign troops in Syria.  For months rumors have circulated concerning training camps run by the United States in Jordan, where the armed forces of these two countries have been preparing anti-Assad rebel militias.  The French newspaper Le Figaro has written: “According to our sources, rebel forces, supervised by Jordanian, American and Israeli commanders, have been sent to Damascus.  Their number is approximately 550, reports the Israeli source Debka File.  Can that be so?  Are more foreign troops really what Syria needs?
 

No War Rome


=== 4 ===

Da: Klaus von Raussendorff <redaktion @...>

Oggetto: Sebstian Bahlo: Interview zur Solidaritätsdemo für Syrien in Frankfurt/M., Samstag, 31. Aug. 2013, Beginn: 13 Uhr

Data: 28 agosto 2013 16.53.27 GMT+02.00


Liebe Leute,

zur Demonstration zum Antikriegstag 2013 unter dem Motto

NATO, GOLFMONARCHIEN, ISRAEL: HÄNDE WEG VON SYRIEN! 
Schluss mit Intervention und Söldnerkrieg gegen Syrien!

am kommenden Samstag, 31. August 2013 in Frankfurt am Main
Auftaktveranstaltung: ab 13 Uhr, Alte Oper
(Mehr unter: http://www.skfs.info/index.php)


dokumentiere ich im Anhang das Interview von Sebastian Bahlo, Sprecher des
Frankfurter Solidaritätskomitee für Syrien, das zu der Aktion aufgerufen
hat. Das Interview erschien heute bei Muslim-Markt unter:
http://www.muslim-markt.de/interview/2013/bahlo.htm 


Mit internationalistischen Grüßen
Klaus von Raussendorff

---------------------------------------------------------------------------

Anti-Imperialistische Korrespondenz (AIKor) - Informationsdienst der
Vereinigung für Internationale Solidarität (VIS) e.V., Redaktion: Klaus von
Raussendorff, Postfach 210172, 53156 Bonn; Tel.: 0228 - 34.68.50; 
Die von AIKor verbreiteten Texte werden seit April 2009 in der Regel auf der
Internetseite des Kampagnenbündnisses „Deutschlands NATO-Mitgliedschaft
beenden!“  http://neinzurnato.de   dokumentiert. Ältere AIKor-Infos können
auf der Internetseite http://www.aikor.de  unter "Info-Dienst der AIKor"
runter geladen werden; Kontakt: redaktion@...  oder info@...


Wer die AIKor-mails nicht empfangen möchte, schicke uns bitte eine Mail mit
dem Betreff "unsubscribe".

---------------------------------------------------------------------------
A n h a n g:

Muslim-Markt interviewt
Sebastian Bahlo, Frankfurter Solidaritätskomitees für Syrien
28.8.2013 - http://www.muslim-markt.de/interview/2013/bahlo.htm 


Sebastian Bahlo (Jahrgang 1982) studierte Mathematik in Frankfurt am Main
und beendete sein Studium mit Diplom. Er ist seit 2002 im Internationalen
Komitee für die Verteidigung von Slobodan Milosevic (jetzt Internationales
Komitee Slobodan Milosevic - Nationale Souveränität - Soziale Gerechtigkeit,
www.free-slobo.de) engagiert und gehörte zeitweise dem Verteidigungsteam des
jugoslawischen Präsidenten Slobodan Milosevic am "Internationalen
Straftribunal für das ehemalige Jugoslawien" in Den Haag an. Er arbeitete
vor allem als Übersetzer am Buch "Die Zerstörung Jugoslawiens - Slobodan
Milosevic antwortet seinen Anklägern" (Zambon Verlag 2006) mit. Ebenfalls
für Zambon übersetzte er das Buch "Herr oder Knecht? Über das beispiellose
Verhältnis zwischen Israel und den USA" von James Petras. Sebastian Bahlo
ist derzeit Referent für Internationale Solidarität des Deutschen
Freidenkerverbandes sowie Gründungsmitglied und Sprecher des Frankfurter
Solidaritätskomitees für Syrien.

Herr Bahlo lebt in Frankfurt am Main.
MM: Sehr geehrter Herr Bahlo, von Diplom-Mathematikern wird in der Regel
angenommen, dass sie logisch denken können. Ist es logisch sich auf die
Seite eines von der gesamten Westlichen Welt als Diktator bezeichneten
Präsidenten wie Assad zu schlagen?

Bahlo: Da Sie die Mathematik erwähnen: In der Tat wird man als Mathematiker
darin geschult, nichts als richtig anzunehmen, das nicht bewiesen werden
kann, und dieses Prinzip wende ich auch auf Behauptungen an, die "in der
gesamten westlichen Welt" vorherrschend sind. Allerdings kommt man in der
Politik mit den logischen Instrumenten der Mathematik nicht weit, denn diese
gehen von rein geistigen Grundbegriffen und Axiomen aus, die ihrer Natur
nach nicht hinterfragbar sind. Wenn man sich wissenschaftlich mit
gesellschaftlichen (oder überhaupt realen) Erscheinungen befasst, muss man
sich aber gerade vor solchen "Axiomensystemen" hüten. In Bezug auf Syrien
wollen uns interessierte Kreise mittels der von ihnen kontrollierten Medien
glauben machen, dass ein Volk gegen einen Unterdrücker kämpft. Schon
dadurch, dass in den Nachrichten wie selbstverständlich von der syrischen
Regierung als dem "Regime" gesprochen wird und ihre Gegner als "Opposition"
bezeichnet werden, wird uns tagtäglich eingehämmert, was wir zu glauben
haben. Dabei ist es schon lange kein Geheimnis mehr, dass die der
"Opposition" zugerechneten Kämpfer zu einem großen Teil aus dem Ausland mit
Waffen versorgt und angeleitet, ja sogar aus anderen Ländern nach Syrien
eingeschleust werden, dass sie nackten Terror nicht nur gegen den
Staatsapparat, sondern auch gegen die Zivilbevölkerung ausüben und dass ihre
Ziele nichts mit "Demokratie" zu tun haben, sondern, dass sie "für eine
Handvoll Dollar" (auch wenn die Währung in Katar anders heißt) die
Zerstörung einer modernen Gesellschaft und ihre Spaltung entlang religiöser
und ethnischer Linien betreiben. Geld und Waffen kommen aus Saudi-Arabien
und Katar, die Türkei gewährt den Terroristen einen Rückzugsraum, die USA
und andere NATO-Staaten koordinieren ihre Einsätze und liefern ihnen zu
diesem Zweck Kommunikationstechnologie. Israel hat bereits mehrfach direkte
Luftangriffe gegen Syrien verübt. Die regulären syrischen Streitkräfte
schützen die Bevölkerung vor diesem Terror. D.h., die - immer noch weit
verbreiteten - Grundannahmen über den Krieg in Syrien halten den Tatsachen
nicht stand. Es handelt sich im Kern nicht um einen Volksaufstand, sondern
um einen Krieg der NATO-Mächte im Verbund mit den Golfmonarchien und Israel
gegen Syrien. Dass ich mich in dieser Situation - wie Sie es ausdrücken -
“auf die Seite Assads schlage”, halte ich für eine Selbstverständlichkeit.
Ich bin mit dem syrischen Volk, wie mit allen angegriffenen Völkern,
solidarisch in seiner Abwehr dieses Angriffs. Aber diese kann ihm nur
gelingen, wenn es sich fest hinter seiner Führung zusammenschließt.
Vorausgesetzt, dass die Führung das Volk nicht verrät. Assad hätte jede
Gelegenheit gehabt, sich mit seiner Familie aus dem Staub zu machen und sich
von den Feinden ein “goldenes” Exil finanzieren zu lassen, wenn er ihnen im
Gegenzug Syrien überließe. Dass er das nicht getan hat, sondern - mit allen
möglichen Konsequenzen - auf seinem Posten an der Spitze des Widerstands
verharrt, sehen viele Syrer und auch ich als heldenhaftes Verhalten an, das
ihn erst recht zu einer Integrations- und Symbolfigur gemacht hat. Assad
steht nicht nur für die Verteidigung der Souveränität Syriens, sondern auch
für die Verteidigung des Säkularismus und der Einheit und Einigkeit des
syrischen Volkes. Das ist im Moment die Rolle, die ihm durch die Ereignisse
und, weil er den Verrat abgelehnt hat, zugewiesen wurde. Sie anzuerkennen
bedeutet nicht, ihn zu vergöttern oder ihm für alle Zeiten blind ergeben zu
sein, wie manche Leute gerne argwöhnen.

MM: Worin besteht die Aufgabe und Zielsetzung des Frankfurter
Solidaritätskomitees für Syrien?

Bahlo: Wir sind ein sehr breiter Zusammenschluss unterschiedlichster
Menschen und Organisationen, die auf politischem, religiösem oder
kulturellem Gebiet aktiv sind. Was uns eint, ist die Einsicht, dass gegen
Syrien ein imperialistischer Krieg geführt wird, wie ich eben umrissen habe,
und natürlich die Ablehnung dieses Krieges sowie die Verurteilung der
allgegenwärtigen Medienmanipulationen. Wir wollen durch unsere Aktivitäten
teils unsere Auffassung in die Öffentlichkeit tragen, andererseits wollen
wir Menschen, die bereits im Stillen zu der gleichen Überzeugung gelangt
sind wie wir, ermutigen, sie offen zu vertreten, da sie nicht allein sind.
Wir veranstalten regelmäßig Kundgebungen und Diskussions- oder
Informationsabende in Frankfurt und rufen gerade zu unserer dritten
Demonstration auf. Am 31. August gehen wir mit Gleichgesinnten aus ganz
Deutschland anlässlich des traditionellen Antikriegstags (1. September) in
Frankfurt auf die Straße unter der Losung “NATO, Golfmonarchien, Israel:
Hände weg von Syrien!” Unsere Antikriegstagsdemonstration im letzten Jahr
war unsere erste Aktion, die gerade einmal vier Wochen nach unserer Gründung
stattfand und mit rund 3.000 Teilnehmern ein bedeutender Erfolg wurde. Auch
in diesem Jahr rechnen wir mit einer beeindruckenden Demonstration, denn
erstens hat die von der Kriegspropaganda gelieferte Interpretation der
Geschehnisse in Syrien im Laufe des zurückliegenden Jahres stark an
Glaubwürdigkeit verloren, und selbst Medienorgane, die sie vorher vehement
vertreten hatten, mussten sich korrigieren; zweitens wird die Drohung einer
direkten militärischen Invasion durch eine US-geführte Koalition immer
greifbarer. Gerade jetzt dient der angebliche Giftgasangriff in Ghouta als
Vorwand, um die Angriffsvorbereitungen zu verstärken. Und das, obwohl sogar
öffentlich starke Zweifel daran geäußert werden, dass die regulären
syrischen Streitkräfte einen etwaigen Giftgasangriff verübt haben sollten.
Diese mit Händen greifbare Verlogenheit wird viele weitere Menschen
wachrütteln. Man ist schon längst kein einsamer “Verschwörungstheoretiker”
mehr, wenn man vermutet, dass hier eine grausame Provokation im Auftrag der
Kriegstreiber verübt wurde, um ihnen einen Vorwand für die weitere
Eskalation des Krieges bis hin zur direkten Invasion zu liefern.

Was unsere Ziele betrifft: Natürlich könnten selbst 10.000 Demonstranten in
Frankfurt den Imperialisten nicht das Handwerk legen. Aber jeder muss in
seinem Wirkungskreis das ihm mögliche tun, und ich bin sicher, dass unsere
vergangen Aktivitäten keinen unerheblichen Einfluss auf die Veränderung der
öffentlichen Wahrnehmung des Krieges hatten. In diesem Sinne setzen wir
unsere Arbeit zuversichtlich fort.

MM: Sehen Sie Parallelen zu früheren Kriegsfällen; schließlich haben Sie
sich auch bei der Aufarbeitung des Jugoslawienkrieges ungewöhnlich
positioniert?

Bahlo: Die Kriege, die seit dem Ende des Kalten Krieges geführt wurden und
werden, haben viele Gemeinsamkeiten. Sie alle dienten der Unterwerfung
souveräner Länder unter das Diktat der imperialistischen Länder unter
Führung der USA, wurden aber von gleichgeschalteten Medien als
“Befreiungsmissionen” ausgegeben, nachdem die politische Führung der
angegriffenen Länder vorher gründlich und unter Verbreitung von allerhand
Lügen als Geißel ihrer Bevölkerung dämonisiert wurde. Besonders frappierend
sind die Parallelen zwischen den Szenarien, die in den Amtszeiten der
“demokratischen” US-Präsidenten Clinton und Obama geschaffen wurden - in
Jugoslawien, Libyen und Syrien. In allen drei Fällen wurden innere ethnische
oder religiöse Konflikte durch Unterstützung terroristischer Elemente und
durch diplomatische Coups sowie das Ausspielen sämtlicher Register der
psychologischen Kriegsführung von außen angeheizt, um den Boden dafür zu
bereiten, auf einer Seite in den Krieg einzugreifen - vorgeblich zu deren
“Schutz”, aber natürlich nicht, um ihr tatsächlich an die Macht zu
verhelfen, sondern um instabile, zersplitterte, allein nicht lebensfähige
Staaten zu kreieren. Erfunden wurde dieses Vorgehen allerdings schon früher.
Ich erwähne in diesem Zusammenhang besonders Hitlers Strategie zur
Vorbereitung der Annexion des Sudetenlandes, die darin bestand, von Berlin
aus deutschen Terror in der Tschechoslowakei zu unterstützen, um zu
erreichen, dass die damalige “Internationale Gemeinschaft” die deutsche
Minderheit vor den konsequenten Gegenmaßnahmen der Prager Regierung
“schützen” würde.

MM: ... und Jugoslawien ...?

Bahlo: Es würde hier wohl den Rahmen sprengen, detailliert auf die
Entwicklung der Kriege in Jugoslawien einzugehen. Zentral ist aber die
Feststellung, dass es sich dabei um einen einzigen Krieg ausländischer
Mächte gegen Jugoslawien handelte. Anfangs spielte die deutsche
Kohl-Genscher-Regierung eine treibende Rolle, vor allem durch die einseitige
völkerrechtswidrige diplomatische Anerkennung der kroatischen und
slowenischen Separatstaaten. Nach der Wahl Clintons zum US-Präsidenten
übernahmen die USA das Ruder in der gewaltsamen Aufspaltung des
jugoslawischen Staates. Ihr Hauptfeind war dabei stets die serbische
Volksgruppe, denn diese lebte nicht nur in Serbien, sondern auch in Kroatien
und Bosnien-Herzegowina in großen zusammenhängenden Gebieten, so dass sie
naturgemäß das stärkste Interesse an der Erhaltung Jugoslawiens hatte. Die
Aggressoren ergriffen also vorgeblich Partei für die kroatische und
bosnisch-muslimische Seite und stellten sie als Opfer eines angeblichen
“großserbischen” Wahns dar. Zu diesem Zeitpunkt wurden zum ersten Mal
islamistische Terroristen aus den Golfstaaten auf der Seite der NATO
eingesetzt - wie später in Libyen und Syrien. Letztlich waren alle
jugoslawischen Völker gleichermaßen Opfer des Imperialismus, der sie in
einem zerstörerischen Krieg gegeneinander hetzte. Was haben sie gewonnen?
Statt einem großen, international gewichtigen Staat gibt es nun viele
kleine, ausgeblutete, wirtschaftlich und politisch machtlose
Splitterstaaten. Ihre Leser dürften sich insbesondere für das Schicksal der
bosnischen Muslime interessieren. Diese haben heute ihren eigenen Staat,
aber dessen Verfassung wurde im tausende Kilometer entfernten Dayton
beschlossen, sie enthält alle möglichen Regelungen für das direkte
Eingreifen internationaler Organisationen in die bosnische Politik und
Verwaltung. Darüber hinaus wurde das Amt des internationalen Hohen
Repräsentanten für Bosnien-Herzegowina eingeführt, der die Macht hat, jedes
Gesetz zu annullieren und jeden Amtsträger abzusetzen. Das Land ist ein
Protektorat. Noch schlimmer ist die Situation im Kosovo, das nach dem
Angriffskrieg der NATO gegen Jugoslawien 1999 faktisch von Serbien
abgetrennt wurde. Dort herrscht unter dem Schutz der USA, die dort eine
riesige Militärbasis errichtet haben, die kosovo-albanische Mafia. Eine
vielleicht noch größere Katastrophe droht den Menschen in Syrien, wenn ihr
Staat fällt, der seine Stärke nicht nur aus der Koexistenz, sondern aus der
organischen Verwobenheit verschiedener ethnischer und religiöser Gruppen
bezieht.

MM: Sowohl die bosnische Gesellschaft, als auch die heutige syrische
Gesellschaft sind religiös geprägt (Gegner wie Befürworter). In wie weit
kann ein Vertreter des Freidenkerverbandes eine religiöse Gesellschaft
überhaupt verstehen und beurteilen?

Bahlo: Ich halte es für ein Vorurteil religiöser Menschen, dass sie davon
ausgehen, wer sich vom Glauben abgewandt hat, müsse völlig anders ticken,
quasi aus einer anderen Substanz gemacht sein. Das Bestreben, dem Leben
einen Sinn zu geben, den eigenen Platz in der Welt zu finden, einen Maßstab
für richtiges und falsches Handeln zu haben, sich stets auf das Wesentliche
zu besinnen, einem festen Lebensrhythmus zu folgen, das ist allen
kultivierten Menschen gemeinsam. Wir Freidenker schöpfen seine Erfüllung
nicht aus dem Glauben, sondern aus der rationalen Erkenntnis der Welt und
der menschlichen Gesellschaft. Ich persönlich habe große Sympathie und
Achtung für alle Menschen, die Religion im genannten Sinne praktizieren,
sicher mehr als für die ignoranten Banausen, die einem trügerischen
Individualismus frönen und jede Besinnung auf höhere Werte verspotten. Um
auf Ihre Frage zurückzukommen: Ich maße mir in der Tat nicht an, die
bosnische oder die syrische Gesellschaft vollständig verstehen und
beurteilen zu können. Religion ist dafür aber viel weniger ausschlaggebend
als die Tatsache, dass ich Deutscher bin.

MM: Zweifelsohne steht der Syrienkonflikt auch im Zusammenhang mit der
Besetzung Palästinas. Können derartige Konflikte überhaupt separat
betrachtet werden?

Bahlo: Der Krieg gegen Syrien fügt sich in die imperialistische Unterwerfung
der arabischen Länder ein, und es ist kein Wunder, dass Israel klar an der
Seite der Aggressoren gegen seinen alten Feind Syrien kämpft. Wundern könnte
man sich darüber nur, wenn man die jahrzehntelang von den Zionisten
verkündete Propaganda, Israel verteidige sich gegen islamistischen Terror,
für bare Münze genommen hätte. Denn in Syrien steht Israel an der Seite der
schlimmsten salafistischen Terrorbanden. Israel stellt fast seit seiner
Gründung einen Brückenkopf des US-Imperialismus in der Levante dar und
erfüllt jetzt seine strategische Rolle. Dabei spielen die eigenen
zionistischen Interessen eine große Rolle, sind aber meiner Meinung nach
nicht ursächlich für die Ereignisse in Syrien. Hier stehen die globalen
imperialistischen Interessen im Vordergrund: Syrien unterhält enge
Beziehungen mit Russland und beherbergt den einzigen russischen
Marinestützpunkt im Mittelmeerraum, es ist der engste Verbündete des Iran,
es ist ein wichtiger Partner Nordkoreas, es ist ein Knotenpunkt für den
Güterverkehr zwischen Europa, Asien und Afrika. Separat betrachten sollte
man keinen Konflikt, allerdings muss man in der Lage sein, auf einzelne
Konflikte separat zu reagieren, wie wir es zum Beispiel mit unserem Komitee
tun, das sich bewusst nur auf Syrien bezieht. So lassen sich verschiedene
Kräfte bündeln, die selbst in nahe verwandten Fragen auseinanderstreben.
Angesichts der Bedeutung Syriens bei der imperialistischen
Weltkriegseskalation ist es auch notwendig, sich derart auf die
Unterstützung des syrischen Widerstands zu fokussieren.

MM: Es ist geschichtlich belegt, dass der Zusammenbruch eines
internationalen Finanzsystems mit allerlei Kriegen verbunden ist. In wie
weit wird ein solcher globaler Zusammenhang bei der Beurteilung der
Syrienkrise berücksichtigt?

Bahlo: Ich betrachte den Zusammenhang zwischen Kapitalismus und Krieg stets
als Ausgangspunkt für die Beurteilung militärischer Konflikte. Die
kapitalistischen Konzerne brauchen eine gesicherte Rohstoffzufuhr und
Absatzmärkte. Wenn das eine oder das andere nicht mehr langfristig gesichert
erscheint, laufen ihnen die Aktionäre davon. Wenn die Aktionäre den
Konzernen eines Landes davonlaufen, stürzt das Land in die Krise. Zur
Sicherung der nationalen Wirtschaftskraft werden politische Maßnahmen zur
Sicherung der Rohstoffzufuhr und der Erschließung neuer Absatzmärkte
ergriffen. Wenn die politischen Maßnahmen nicht ausreichen, stehen
gewaltsame Maßnahmen auf dem Plan. Da gibt es für die Regierungen der
wichtigsten kapitalistischen Länder kaum einen Spielraum. Natürlich kann man
nicht immer sagen: Land X wird überfallen, um Rohstoff Y zu kontrollieren,
im Rahmen der imperialistischen Gesamtstrategie spielen vielfältige
Erwägungen eine Rolle. Verschärft wird das durch eine globale
kapitalistische Krise, die als Krise des Finanzsystems erscheint, aber
ursächlich eine Krise des Produktions- und Verteilungsprozesses materieller
Güter ist, d.h. die produzierten Waren werden nicht verkauft, die Aktien
sinken, die Wetten auf die Aktien und die Wetten auf die Wetten, alles
zerplatzt, Banken und Fondgesellschaften gehen pleite. Jetzt wird es für die
Menschheit besonders gefährlich, denn in dieser Situation ist Krieg der
einzige Ausweg und das einzige noch lohnende Geschäft. Dass wir uns
gegenwärtig in so einer Krisenperiode befinden, muss tatsächlich bei der
Beurteilung des Krieges gegen Syrien berücksichtig werden: Das Handeln der
Imperialisten wird nicht mehr nur durch nüchterne Abwägung ihrer
Möglichkeiten und der Möglichkeiten ihrer Gegner und eine Kalkulation zu
erwartender und in Kauf zu nehmender Verluste sowie vorausschauende Analysen
bestimmt, sondern durch den ökonomischen Druck sind auch unüberlegte
Schritte denkbar. Während jeder vernünftige Mensch den USA von einer
direkten Invasion Syriens abraten würde, angesichts der Erfahrungen in Irak
und Afghanistan, angesichts der Erfolge des syrischen Streitkräfte und
angesichts der Gefahr eines Krieges mit Russland, so kann man nicht sicher
sein, dass die politische und militärische Führung diesen Argumenten den
Vorrang geben wird, wenn das Kapital nach der Frischzellenkur des Krieges
ruft. Derzeit sieht es in der Tat so aus, als ob ein solcher direkter
Angriff kurz bevor steht.

MM: Was kann ein Deutscher tun, um das zu verhindern?

Bahlo: Bahlo: Wenn Sie mit Deutschen normale Bürger meinen, so lautet die
Antwort: Nichts. Die deutsche Regierung ist mit im Boot der Aggressoren,
selbst wenn sie sich auch zurückhaltend gibt, was teils mit ihren eigenen
kolonialen Interessen in der Region, teils mit Rücksichtnahme auf Russland
zu tun hat. Die Stimmen der Kriegsgegner sind nicht einmal laut genug, um
wenigstens in Wahlkampfzeiten auf die Bundesregierung einwirken zu können.
Wir können unmittelbar nichts tun, um einen direkten Angriff der Aggressoren
gegen Syrien zu verhindern, so wie wir bisher nichts tun konnten, um ihre
indirekten Angriffe zu verhi

(Message over 64 KB, truncated)

(italiano / english)

Aggression Against Serbia as Precedent for Syria

LE ANALISI:
1) Siria, opzione Kosovo in Medio Oriente (Manlio Dinucci)
2) Air War in Kosovo Seen as Precedent in Possible Response to [Fake] Syria Chemical Attack (NYT)
3) Usa, intervento militare in Siria su ‘modello Kosovo’ (IRIB)
4) Gianandrea Gaiani: «il modello Kosovo non funzionerà»(Il Secolo XIX)

LE INIZIATIVE:
5) 36 Partiti Comunisti e Operai contro l'aggressione imperialista alla Siria (Risoluzione del 22° Seminario Comunista di Bruxelles)
6) SIRIA. APPELLO. AGIAMO CONTRO UNA NUOVA GUERRA IMPERIALISTA SENZA PROVE (No War Roma, 27 agosto 2013)
7) Bari 29/8: Associazione Marx21, Appello per una mobilitazione contro la guerra alla Siria. Assemblea pubblica


(Also worth reading / à lire aussi / vale la pena di leggere anche:


Entretien de Bachar el-Assad aux Izvestia

« Du gaz naturel au gaz sarin… le fond du bourbier syrien »
Khaled ABDELHAFIZ, 20 août 2013
http://www.michelcollon.info/Du-gaz-naturel-au-gaz-sarin-le.html

Bosnia and Syria: Intervention Then and Now
by Michael Ignatieff- Boston Review, 15. 8. 2013
including the comments:
http://www.nspm.rs/component/option,com_yvcomment/ArticleID,89009/url,aHR0cDovL3d3dy5uc3BtLnJzL25zcG0taW4tZW5nbGlzaC9ib3NuaWEtYW5kLXN5cmlhLWludGVydmVudGlvbi10aGVuLWFuZC1ub3cuaHRtbCN5dkNvbW1lbnQ4OTAwOQ==/view,comment/#yvComment89009 )


=== 1 ===


L’arte della guerra

Siria, opzione Kosovo in Medio Oriente

Manlio Dinucci (il manifesto, 27 agosto 2013)

Un uomo sospettato di voler compiere un omicidio, per metterlo in pratica sceglie il momento in cui gli entra in casa la polizia. Lo stesso avrebbe fatto il presidente Assad, sferrando l’attacco chimico nel momento in cui arrivano gli ispettori Onu per effettuare l’indagine sull’uso di armi chimiche in Siria. Le «prove» sono state esibite dai «ribelli», il cui centro propaganda a Istanbul, organizzato dal Dipartimento di stato Usa, confeziona i video forniti ai media mondiali. 
Avendo ormai «ben pochi dubbi» che è Assad il colpevole e ritenendo «tardiva per essere credibile» l’indagine Onu, il presidente Obama sta valutando una «risposta» analoga a quella del Kosovo, ossia alla guerra aerea lanciata senza mandato Onu dalla Nato nel 1999 contro la Iugoslavia, accusata di «pulizia etnica» in Kosovo. 
A tal fine il Pentagono ha convocato in Giordania, il 25-27 agosto, i capi di stato maggiore di Canada, Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Turchia, Arabia Saudita e Qatar. 
In Giordania gli Usa hanno dislocato caccia F-16, missili terra-aria Patriot e circa 1.000 militari, che addestrano gruppi armati per la «guerra coperta» in Siria. Secondo informazioni raccolte da «Le Figaro», un contingente di 300 uomini, «senza dubbio spalleggiato da commandos israeliani», è stato infiltrato dalla Giordania in Siria il 17 agosto, seguito da un altro due giorni dopo. Si aggiungono ai molti  già addestrati in Turchia. In maggioranza non-siriani, provenienti da Afghanistan, Bosnia, Cecenia, Libia e altri paesi, appartenenti in genere a gruppi islamici tra cui alcuni classificati a Washington come terroristi. Riforniti di armi, provenienti anche dalla Croazia, attraverso una rete internazionale organizzata dalla Cia. 
Sotto la cappa della «guerra coperta» niente di più facile che dotare qualche gruppo di testate chimiche, da lanciare con razzi sui civili per poi filmare la strage attribuendola alle forze governative. Creando così il casus belli che giustifichi una ulteriore escalation, fino alla guerra aerea, visto che la guerra condotta all’interno non riesce a far crollare lo stato siriano. 
Tale opzione, motivata dall’imposizione di una «no-fly zone», prevede un massiccio lancio di missili cruise, oltre 70 solo nella prima notte, unito a ondate di aerei che sganciano bombe a guida satellitare restando fuori dallo spazio aereo siriano. I preparativi sono iniziati non dopo, ma prima del presunto attacco chimico. A luglio è stato dispiegato il gruppo d’attacco della portaerei Harry Truman, comprendente due incrociatori e due cacciatorpediniere lanciamissili con a bordo unità dei marines, che opera nelle aree della Sesta e Quinta Flotta. Un altro cacciatorpediniere lanciamissili, il Mahan, invece di rientrare in Virginia, è rimasto nel Mediterraneo agli ordini della Sesta flotta. Solo la U.S. Navy ha quindi già schierate cinque unità navali, più alcuni sottomarini, in grado di lanciare sulla Siria centinaia di missili cruise. I cacciabombardieri sono pronti al decollo anche dalle basi in Italia e in Medio Oriente. Alle forze aeronavali Usa si unirebbero, sempre sotto comando del Pentagono, quelle dei partecipanti alla riunione in Giordania (Italia compresa) e di altri paesi. 
La Siria dispone però di un potenziale militare che non avevano la Iugoslavia e la Libia, tra cui oltre 600 istallazioni antiaeree e missili con gittata fino a 300 km. La guerra si estenderebbe al Libano e ad altri paesi mediorientali, già coinvolti, e complicherebbe ulteriormente i rapporti di Washington con Mosca. Su questo stanno riflettendo a Washington, mentre a Roma attendono gli ordini. 


=== 2 ===


August 23, 2013

Air War in Kosovo Seen as Precedent in Possible Response to Syria Chemical Attack


By MARK LANDLER and MICHAEL R. GORDON


WASHINGTON — As President Obama weighs options for responding to a suspected chemical weapons attack in Syria, his national security aides are studying the NATO air war in Kosovo as a possible blueprint for acting without a mandate from the United Nations.

With Russia still likely to veto any military action in the Security Council, the president appears to be wrestling with whether to bypass the United Nations, although he warned that doing so would require a robust international coalition and legal justification.

“If the U.S. goes in and attacks another country without a U.N. mandate and without clear evidence that can be presented, then there are questions in terms of whether international law supports it, do we have the coalition to make it work?” Mr. Obama said on Friday to CNN, in his first public comments after the deadly attack on Wednesday.

Mr. Obama described the attack as “clearly a big event of grave concern” and acknowledged that the United States had limited time to respond. But he said United Nations investigators needed to determine whether chemical weapons had been used.

Mr. Obama was meeting on Saturday morning with his national security staff to discuss Syria, according to a White House official, having returned from a two-day bus tour of upstate New York and Pennsylvania.

“We are going to act very deliberately so that we’re making decisions consistent with our national interest as well as our assessment of what can advance our objectives in Syria,” the official said.

Kosovo is an obvious precedent for Mr. Obama because, as in Syria, civilians were killed and Russia had longstanding ties to the government authorities accused of the abuses. In 1999, President Bill Clinton used the endorsement of NATO and the rationale of protecting a vulnerable population to justify 78 days of airstrikes.

A senior administration official said the Kosovo precedent was one of many subjects discussed in continuing White House meetings on the crisis in Syria. Officials are also debating whether a military strike would have unintended consequences, destabilize neighbors like Lebanon, or lead to even greater flows of refugees into Jordan, Turkey and Egypt.

“It’s a step too far to say we’re drawing up legal justifications for an action, given that the president hasn’t made a decision,” said the official, who spoke on the condition of anonymity to discuss the deliberations. “But Kosovo, of course, is a precedent of something that is perhaps similar.”

In the Mediterranean, the Navy’s regional commander postponed a scheduled port call in Naples, Italy, for a destroyer so that the ship would remain with a second destroyer in striking distance of Syria during the crisis. Pentagon officials said the decision did not reflect any specific orders from Washington, but both destroyers had on board Tomahawk cruise missiles, long-range weapons that probably would be among the first launched against targets in Syria should the president decide to take military action.

On Friday, the Russian government called on President Bashar al-Assad of Syria to allow United Nations investigators into the areas east of Damascus where the attack occurred. But American and foreign diplomats said Russia’s move did not reflect any shift in its backing of Mr. Assad or its resistance to punitive measures in the Security Council.

In a statement, Russia’s foreign ministry put the onus on Syria’s opposition forces to provide secure access to the site of the “reported incident.” A second statement suggested that the Russians believed the attack was actually a provocation by the rebels. It cited reports criticizing government troops that were posted on the Internet hours before the attack.

“More and more evidence emerges indicating that this criminal act had an openly provocative character,” Aleksandr K. Lukashevich, a spokesman for Russia’s foreign ministry, said in the statement. “The talk here is about a previously planned action.”

However, Mr. Lukashevich may have been confused by YouTube’s practice of time-stamping uploaded videos based on the time in its California headquarters, no matter the originating time zone. The attacks occurred early Wednesday in Syria, when it would still have been Tuesday in California for about eight more hours.

Mr. Lukashevich praised the Assad government for welcoming Carla del Ponte, a member of a United Nations commission on Syria who suggested in May that the rebels had used chemical weapons, and he accused the Syrian opposition of not cooperating with the investigation by United Nations experts.

The Syrian government did not comment on Friday.

On Friday CBS News, citing administration officials, reported that American intelligence agencies detected activity at locations known to be chemical weapons sites before Wednesday’s attack. The activity, these officials believe, may have been preparations for the assault.

Other Western officials have been less cautious than Mr. Obama. “I know that some people in the world would like to say that this is some kind of conspiracy brought about by the opposition in Syria,” said William Hague, Britain’s foreign secretary, in an interview with Sky News. “I think the chances of that are vanishingly small, and so we do believe that this is a chemical attack by the Assad regime.”

Mr. Hague did not speak of using force, as France has, if the government was found to have been behind the attack. But he said it was “not something that a humane or civilized world can ignore.”

Such statements carry echoes of Kosovo, where the Yugoslav government of Slobodan Milosevic brutally cracked down on ethnic Albanians in 1998 and 1999, prompting the Clinton administration to decide to act militarily in concert with NATO allies.

Mr. Clinton knew there was no prospect of securing a resolution from the Security Council authorizing the use of force. Russia was a longtime supporter of the Milosevic government and was certain to wield its vote in the Security Council to block action.

So the Clinton administration justified its actions, in part, as an intervention to protect a vulnerable and embattled population. NATO carried out airstrikes before Mr. Milosevic agreed to NATO demands, which required the withdrawal of Yugoslav forces.

“The argument in 1999 in the case of Kosovo was that there was a grave humanitarian emergency and the international community had the responsibility to act and, if necessary, to do so with force,” said Ivo H. Daalder, a former United States ambassador to NATO who is now the president of the Chicago Council on Global Affairs.

In the case of Syria, Mr. Daalder said, the administration could argue that the use of chemical weapons had created a grave humanitarian emergency and that without a forceful response there would be a danger that the Assad government might use it on a large scale once again. Another basis for intervening in Syria, Mr. Daalder said, might be violation of the 1925 Geneva Protocol, which outlaws the use in war of poison gas. Dennis B. Ross, a former adviser to Mr. Obama on the Middle East, said that if the president wanted to develop a legal justification for acting, “there are lots of ways to do it outside the U.N. context.”

Reporting was contributed by Mark Mazzetti and Thom Shanker from Washington, Steven Lee Myers from Moscow and David Jolly from Paris.

=== 3 ===

Usa, intervento militare in Siria su ‘modello Kosovo’

 

24.ago 2013

 

Washington – Il Pentagono sta spostando le forze navali statunitensi più vicino alla Siria in vista di una possibile decisione del presidente Barack Obama di ordinare attacchi militari.

È quanto ha suggerito il segretario alla Difesa, Chuck Hagel. Il capo del Pentagono ha riferito infatti che Obama ha chiesto al Pentagono di preparare le opzioni militari per la Siria aggiungendo che alcune di queste opzioni “richiedono il posizionamento delle nostre forze”. Hagel si è rifiutato di descrivere qualsiasi movimento specifico delle forze Usa, ma fonti della Difesa coperte dall’anonimato riferiscono ad Associated Press che la marina degli Stati Uniti ha inviato nel Mediterraneo orientale una quarta nave da guerra armata con missili balistici, ma senza ordini immediati che prevedano alcun lancio di missili contro la Siria. Ieri tuttavia, in una intervista rilasciata al programma ‘New Day’ della Cnn, Obama aveva frenato sulla possibilità di un intervento militare Usa, sottolineando che servirebbe un mandato Onu. “Se gli Stati Uniti intervenissero e attaccassero un altro Paese senza un mandato delle Nazioni unite e senza chiare prove che possano essere presentate, allora sorgerebbero questioni in termini di diritto internazionale”, aveva detto Obama, aggiungendo che l’idea secondo cui gli Stati Uniti possono da soli porre fine alla guerra civile in Siria è “sopravvalutata”.

Intanto il New York Times ha scritto che gli Stati Uniti vedono nella guerra aerea della Nato in Kosovo del 1999 il modello per un possibile intervento militare in Siria per rispondere agli attacchi con armi chimiche. Secondo il giornale l’amministrazione Obama sta studiando l’intervento di 14 anni fa contro la Serbia come precedente su cui fondare “un’azione senza il mandato delle Nazioni Unite”, visto il probabile veto della Russia a qualsiasi intervento. Il Kosovo, rileva il quotidiano Usa, ha molte analogie con la Siria perché anche lì c’erano state stragi di civili e la Russia aveva legami di lunga durata con il governo che ne era considerato responsabile. “Nel 1999 il presidente Bill Clinton aveva usato l’appoggio della Nato e il fondamento logico di tutelare una popolazione vulnerabile per giustificare 78 giorni di incursioni aeree”, ha osservato il Nyt. Fonti dell’Amministrazione Obama hanno però precisato che si tratta solo di valutazioni preliminari in quanto non c’è ancora alcuna decisione su un eventuale intervento militare.

Fonte: Irib

http://www.losai.eu/usa-intervento-militare-in-siria-su-modello-kosovo/

 


=== 4 ===


 

25 agosto 2013


Siria, «il modello Kosovo non funzionerà»


Luigi Guelpa

 

Roma - «L’opzione Kosovo per la Siria? Improbabile. Furono sufficienti 73 giorni di raid aerei della Nato per indurre i serbi alla resa. Nel caso del regime siriano sarebbe poco attuabile. Non credo che Obama stia pensando davvero all’intervento simile a quello di 14 anni fa contro la Serbia, organizzato senza il mandato delle Nazioni Unite». A spiegarlo è il professor Gianandrea Gaiani, tra i massimi esperti di analisi storico-strategiche e direttore del mensile web Analisidifesa.it. Gaiani valuta le varie opzioni, ma appare scettico di fronte a un attacco militare in bello stile.

 

Come si stanno muovendo gli Usa sulla questione siriana?

«Obama ha convocato lo staff di consiglieri per la sicurezza nazionale. Però deve fare i conti con il parere del generale Martin Dempsey, capo degli stati maggiori riuniti, che si è finora mostrato scettico di fronte all’ipotesi di un intervento armato in Siria».

 

Se dovesse prevalere la linea di Obama che cosa accadrebbe?

«Si prospetterebbe un raid punitivo. Gli Stati Uniti avvertirebbero Al Assad a darsi una calmata. Gli obiettivi sarebbero i centri di comando e controllo delle forze armate, i palazzi governativi, radar e postazioni della difesa aerea che verrebbero attaccati con missili da crociera Tomahawk lanciabili da sottomarini, incrociatori e cacciatorpediniere statunitensi. I rischi di questa opzione limitata sono bassi in termini di perdite tra gli attaccanti ma difficilmente simili raid potranno indebolire significativamente le forze governative impegnate contro i ribelli».

 

Si parla anche di aiuti ai ribelli senza intervento armato...

«È un’opzione morbida e comprende aiuti e addestramento dei ribelli gestito direttamente dagli Stati Uniti e dagli alleati arabi e occidentali con l’aumento dei consiglieri militari dislocati in Turchia e Giordania il cui compito sarebbe anche di evitare che armi ed equipaggiamenti finiscano nelle mani di gruppi terroristici o estremisti islamici».

 

In ultima analisi ci sarebbe l’invasione siriana, sulla falsa riga di quella irachena...

«La conquista di Damasco richiederebbe uno sforzo bellico globale aereo, terrestre e navale che ricadrebbe per lo più sugli Stati Uniti per l’aspetto tecnologico e dei mezzi mentre in termini di truppe turchi e arabi potrebbero mettere in campo molti soldati. Più improbabile un coinvolgimento massiccio di militari europei nelle operazioni terrestri ma è difficile anche ipotizzare che Barack Obama, dopo aver ritirato i militari dall’Iraq e avviato il ripiegamento dall’Afghanistan intenda mandare ingenti reparti militari a combattere sul suolo siriano».

 

© Riproduzione riservata

http://www.ilsecoloxix.it/p/mondo/2013/08/25/AQG5YJD-funzionera_kosovo_modello.shtml




=== 5 ===


Risoluzione del 22° Seminario Comunista di Bruxelles 
[31/05 - 02/06/2013 - vedi anche: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7707 ]
da www.solidnet.org
Traduzione di Marx21.it

Noi, partecipanti al 22° Seminario Comunista Internazionale

Affermiamo che le politiche e le azioni sovversive dell'imperialismo con l'obiettivo di imporre la sua egemonia nel Medio Oriente sono la ragione principale dei conflitti, tensioni e guerre nella regione. L'imperialismo degli Stati Uniti, dell'Unione Europea e della NATO, ma anche Israele e i regimi reazionari filo-imperialisti della regione, condividono le responsabilità nei crimini commessi contro i popoli della regione.

Condanniamo la strumentalizzazione da parte dell'imperialismo e dei suoi alleati nella regione delle differenze e dei conflitti religiosi. L'imperialismo interviene brutalmente negli affari degli stati, appoggiando le forze reazionarie interne e non esitando a intervenire a sostegno diretto delle organizzazioni di provocazione fondamentaliste e terroriste, con il pretesto dell'intervento umanitario.

Condanniamo l'aggressione militare israeliana contro la Siria in flagrante violazione del diritto internazionale e denunciamo l'appoggio incondizionato dell'imperialismo a questo atto di guerra.

Appoggiamo l'assoluto diritto del popolo siriano, che soffre gli attacchi sovversivi e terroristi appoggiati dall'imperialismo e dai regimi reazionari della regione, a scegliere il suo percorso politico e il suo governo senza ingerenze straniere. Dichiariamo la nostra solidarietà piena e senza riserve al popolo della Siria.

1. Algeria, Parti Algérien pour la Démocratie et le Socialisme (PADS) 
2. Azerbaijan, Communist Party of Azerbaijan
3. Belarus, Belarussian Communist Workers’ Party
4. Belgium, Workers' Party of Belgium (PTB) 
5. Bénin, Parti Communiste du Bénin
6. Brazil, Communist Party of Brazil (PCdoB) 
7. Brazil, Partido Patria Livre (PPL) 
8. Bulgaria, Party of Bulgarian Communists
9. Cyprus, Progressive Party of the Working People (AKEL) 
10. Denmark, Communist Party of Denmark 
11. France, Union des Révolutionnaires Communistes de France (URCF) 
12. France, Pôle de Renaissance Communiste en France (PRCF) 
13. Germany, German Communist Party (DKP) 
14. Greece, Communist Party of Greece (KKE) 
15. Hungary, Hungarian Workers' Party 
16. Iran, Tudeh Party of Iran
17. Ireland, Workers' Party of Ireland 
18. Lebanon, Lebanese Communist Party 
19. Luxembourg, Communist Party of Luxembourg (KPL)
20. Malta, Communist Party of Malta 
21. Mexico, Partido Popular Socialista de México 
22. Netherlands, New Communist Pary of Netherlands (NCPN)
23. Palestine, Palestinian Communist Party
24. Philippines, Communist Party of the Philippines
25. Portugal, Portuguese Communist Party
26. Serbia, New Communist Party of Yugoslavia
27. South Sudan, Communist Party of South Sudan
28. Spain, Communist Party of Spain (PCE)
29. Spain, Spanish Communist Workers' Party (PCOE)
30. Sri Lanka, People's Liberation Front - JVP 
31. Sweden, Communist Party (KP)
32. Switzerland, Parti Suisse du Travail
33. Tunisia, Parti des Patriotes et Démocrates Uni 
34. Turkey, Communist Party of Turkey (TKP)
35. USA, Freedom Road Socialist Organization (FRSO)
36.  Venezuela, Communist Party of Venezuela (PCV)


=== 6 ===


27 agosto 2013

SIRIA. APPELLO. AGIAMO CONTRO UNA NUOVA GUERRA IMPERIALISTA SENZA PROVE
No War Roma
Siria. Senza sapere che cosa è successo e chi è stato, applicando il principio di colpevolezza senza provo e a dispetto del cui prodest, gli Use e le altre potenze rivendicano la necessità di un attacco diretto alla Siria parlando di “oscenità morale del regime siriano”. L’oscenità morale è questa guerra. Chiediamo a tutti in tutto il mondo di opporsi nelle strade. 1.Non si può permettere agli USA, Gran Bretagna e Francia di attaccare la Siria, scatenando un’ennesima guerra, senza prove che individuino in modo certo i reali autori e responsabili del lancio di gas la cui natura tra l’altro è ancora da definire come indicano i pareri di vari esperti internazionali sentiti da vari media (http://www.repubblica.it/esteri/2013/08/22/news/gwyn_winfield_troppe_anomalie_sull_uso_del_nervino_in_siria_adesso_serve_un_indagine_approfondita-65146723/). Anche il generale Camporini, presidente dello IAI, ritiene che al regime siriano non convenga affatto usare i gas attirandosi le prevedibili reazioni mondiali, oltretutto in un momento di vantaggio militare e all’arrivo degli ispettori. Gli esperti parlano di casus belli. 2.Nel maggio del 2013, Carla Del Ponte, membro della Commissione Onu che indaga sui crimini di guerra in Siria, dichiarò: “Abbiamo potuto raccogliere alcune testimonianze sull’utilizzo di armi chimiche, e in particolare di gas nervino, ma non da parte delle autorità governative, bensì da parte degli oppositori e dei resistenti”. “Per il momento noi abbiamo solo elementi sull’uso di armi chimiche da parte dagli oppositori.” In quel caso gli stessi paesi che oggi sono pronti ad attaccare la Siria non presero alcun provvedimento, lasciando cadere nel dimenticatoio una informazione di questa portata. Del resto il 30 maggio la polizia turca trovò un deposito di armi chimiche detenuto dal fonte Al Nusra. 3. Sugli autori. Il sito dell’opposizione nonviolenta Syriatruth, il cui coordinatore è un oppositore ad Assad in esilio, Nizar Nayouf, sostiene che due missili provenienti dall’opposizione armata, dal quartiere di Duma, con componenti chimiche, sono caduti in quell’area per errore mentre volevano colpire l’esercito di Assad ad Al-Abbasiyyen Square. Syriatruth riferisce che l’ambasciatore russo ha dato all’Onu immagini da satellite sospette di missili che proverebbero che l’attacco è arrivato da zone controllate dall’opposizione. 4. Medici senza frontiere ha ricevuto telefonate da presidi medici clandestini nel governatorato di Damasco gestiti dall’opposizione (e nei quali il personale di Msf non è presente), che denunciano un afflusso di migliaia di pazienti con sintomi da avvelenamento da gas neurotossici, con oltre trecento morti. Ma di questo non esistono video né foto. Soprattutto Bart Janssens, direttore delle operazioni di Msf, dichiara: “MSF non può né confermare scientificamente la causa di questi sintomi, né stabilire chi è responsabile per l'attacco". Quanto ai video che circolano da giorni, essi suscitano vari dubbi e fanno credere a manipolazioni perché… 5. …I video sono stati caricati su youtube il 20 agosto attraverso il conto Majler Rif. Eppure l’opposizione parla dell’attacco avvenuto il 21 agosto alle 3 del mattino. Anche considerando il fuso orario, comunque sono stati caricati varie ore prima dei presunti attacchi. Secondo esperti citati dai media,

(Message over 64 KB, truncated)


Su Avaaz e su altre operazioni manipolatorie del movimentismo si veda anche la ulteriore documentazione alla nostra pagina dedicata:
--------


Cos'è Avaaz e cosa vuole da me


Tutti i dubbi sulla ong virtuale finanziata da Soros e vicina a Obama. Forse troppo vicina [Checchino Antonini, da Liberazione]

Redazione
sabato 24 agosto 2013 23:41


di Checchino Antonini, da Liberazione (*)

Capita che stai su facebook, vedi l'icona di una persona cara sulla colonna delle mail ricevute. Apri impaziente e trovi questo messaggio: "Ho appena firmato questa petizione: ti unisci a me?". Novanta su cento, è uno spam di avaaz.org. Wikipedia, come faremmo senza?, dice che «è un'organizzazione non governativa internazionale istituita nel 2007 a New York che promuove attivismo su diversi problemi quali il cambiamento climatico, i diritti umani, i diritti degli animali, la corruzione, la povertà e i conflitti. La sua missione dichiarata è quella di permettere che i processi decisionali di portata globale vengano influenzati dall'opinione pubblica. L'organizzazione opera in quindici lingue diverse, e ad oggi conta, stando al sito ufficiale, oltre 24 milioni di membri iscritti in 194 paesi diversi. Essendo una comunità on-line, i membri effettivi sono considerati gli iscritti al sito. Tutti i membri della community possono essere definti "attivi" dal momento in cui, via web, partecipano, sottoscrivono e diffondono le attività dell'associazione. L'associazione utilizza anche l'attività "concreta" di alcuni membri che agiscono nella vita reale (per esempio la consegna di petizioni direttamente ai referenti politici) e si avvale di alcuni membri stipendiati che sono direttamente assunti dalla Fondazione "Avaaz.org", con sede a New York. Il quotidiano britannico The Guardian ha scritto: "Avaaz ha solo 5 anni, ma è diventata una delle più grandi e influenti reti di attivismo online"». Il nome deriva dalla radice indo-persiana che indica "il suono che rompe il silenzio". 

Secondo Patrick Boylan, però, avaaz «con grande efficacia, espropria e contamina ideologicamente la Sinistra (pacifista) planetaria». 

Boylan, californiano, ex docente all'università Roma Tre, fa parte della redazione di PeaceLink.it e ha co-fondato a Roma gli Statunitensi per la pace e la giustizia e la Rete NoWar. In questo momento, sta pubblicando a puntate su Megachip, un libro sui "Progressisti in divisa: la Sinistra pacifista viene arruolata ", ossia quegli enti che mimano un'azione pacifista senza intaccare i rapporti di produzione che producono la guerra globale. «Avaaz mobilita virtualmente l'opinione pubblica mondiale a favore di varie iniziative politiche senz'altro progressiste... e non pericolose per i piani egemonici delle potenze occidentali. Ma poi promuove altre iniziative che, invece, assecondano quei piani egemonici e non favoriscono la pace, come le petizioni ufficiali a favore dell'intervento militare immediato in Siria (con la scusa di creare zone protette - vedi: bit.ly/link-5 ). Nel contempo Avaaz si astiene dal lanciare petizioni ufficiali per il ritiro immediato e totale delle truppe dall'Afghanistan».

Insomma, secondo Boylan, Avaaz orienta e manipola l'opinione pubblica di sinistra. Una delle ultime campagne eco-pacifiste di Avaaz (in data 27 gennaio 2013) è una petizione che critica implicitamente Rafael Correa, l'anticonformista Presidente dell'Ecuador - colui che ha offerto asilo, nella sua ambasciata a Londra, al fondatore di Wikileaks, Julian Assange. La petizione chiede a Correa di ritirare la sua (deprecabile) autorizzazione per la ricerca del petrolio a Isla Sani, nel nord-est dell'Ecuador, perché l'eventuale trivellamento rovinerebbe le foreste pluviali e sradicherebbe gli indigeni, a beneficio di una "potente compagnia petrolifera". «Si tratta dunque di una campagna a favore dell'ambiente, a favore dei diritti umani, e contro una Multinazionale del Male: che c'è di più progressista? 

Ma il dubbio di Boylan è che la "potente compagnia" è la PetroAmazonas, la compagnia nazionale, mai nominata dalla petizione, visto che nel 2006 l'Ecuador ha cacciato le sette sorelle Usa. La situazione è ingarbugliata dal fatto che in Ecuador, l'estrazione petrolifera è possibile solo dopo un referendum popolare, che la popolazione di Isla Sani era favorevole ma poi ha cambiato parere grazie a un'imprenditrice inglese. Tuttavia il governo ecuadoriano ha già rinunciato a sfruttare il suo giacimento petrolifero più grande, lo Yasuni, perché si trova sotto una foresta primaria di straordinaria biodiversità. Isla Sani, invece, si trova fuori da quella zona. «Si scopre anche che, se oggi la PetroAmazonas osserva severi vincoli ambientali, nei ventennio prima del 2006 le compagnie petrolifere USA deturpavano senza restrizioni l'ambiente ecuadoriano. Una di esse, la Chevron, deve ancora pagare una multa di sei miliardi di euro per disastro ambientale. In tutti quegli anni non c'è stata una sola protesta ambientalista», aggiunge Patrick Boylan, "vecchia" conoscenza del movimento della Pantera romano. 

Washington trova "deprecabile" il Presidente Correa (l'epiteto è della Heritage Foundation) non soltanto perché rifiuta di pagare una parte del debito alla Manca mondiale, offre asilo politico a Julian Assange o perché ha nazionalizzato le industrie petrolifere ma pure perché ha chiuso la base militare Usa e ha scippato i profitti alle case farmaceutiche straniere facendo produrre in proprio i farmaci. E s'è alleato con la Cina. «Avaaz arruola i suoi seguaci per sostenere una causa progressista in teoria giusta, ma, guardando meglio, anche parecchio strumentale. Una causa, dunque, da prendere con le pinze», avverte ancora l'attivista statunitense da tempo trapiantato a Roma, segnalando che Avaaz offre sul proprio sito, per par condicio, anche una petizione che chiede alla Chevron di ripulire l'ambiente che ha devastato in Ecuador ma la petizione contro la PetroAmazonas è stata a lungo sulla prima pagina del sito, mentre quella contro la Chevron sta, da più tempo, nascosta nelle pagine interne senza richiami sulla copertina né email. Le firme sono cinque volte meno. 

L'accusa è terribile: «Avaaz sa espropriare abilmente l'area politica progressista per fini non sempre del tutto progressisti. E' stata creata ex novo grazie alle sovvenzioni di George Soros, speculatore miliardario e - tramite le sue fondazioni - potere forte mondiale». Soros, com'è noto, è lo sponsor di tutte le "rivoluzioni colorate" in alcuni paesi dell'ex URSS nel periodo 2000-2005, rivoluzioni sponsorizzate anche dal governo Usa per introdurre le basi della NATO in quell'area. «Quello che ne è venuto fuori non è il mondo che sognavano tutti coloro che hanno lottato duramente contro il passato regime, convinti che la rivolta avrebbe dato loro finalmente la libertà».

Così, con le sue petizioni, Avaaz, arruolandoci "dalla parte giusta", ci insegna quali siano i "paesi buoni" e quali siano i "paesi cattivi" nel mondo. Ci arruola per la neo Guerra Fredda che sta alle porte, in cui il pacifismo sarà un orpello». 

E' la post-democrazia, secondo Boylan, ed è già qui. Altrove, nel web, la polpetta si fa avvelenata, ossia non si riesce a distinguere la carne buona dalle gocce di veleno - come è evidente dalle parecchie condivisibili petizioni e si legge spesso che Avaaz ha contribuito a fabbricare le rivolte contro Assad e Gheddafi, che attacca la Cina strumentalizzando la questione della pena di morte o del separatismo del Tibet, che ha strumentalizzato le preoccupazioni degli indios contro Morales oppure che a febbraio, Avaaz ha iniziato una petizione contro il movimento BDS, un "movimento globale per una campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni" (BDS) contro Israele fino a quando non si conformerà al diritto internazionale e al diritto dei palestinesi, che è stata avviata dalla società civile palestinese nel 2005." BDS sostiene gli sforzi del popolo palestinese per essere liberi dalla tirannia genocida impostagli dal governo israeliano controllato dai sionisti. E Avaaz sarebbe contro questa lotta per la libertà. La petizione online di Avaaz ha promesso di fare pressione sui funzionari eletti, in favore dei coloni israeliani "discriminati" dal popolo palestinese. 

La faccenda è intrigante: chi è il complottista, chi il complottato? Che si tratti di scampoli di campismo? Di certo che Avaaz sarebbe alla fonte della bufala Sakineh del 2010, la donna iraniana condannata alla "lapidazione" perché "adultera". In realtà si verrà a sapere che Sakineh è stata condannata per aver assassinato il marito, non per averlo tradito; e in ogni caso la lapidazione nel codice penale iraniano non esiste più da decenni. 

"Avaaz" è stata creata da Ricken Patel, personaggio politicamente ben schierato a destra che gode del sostegno finanziario del patron della multinazionale informatica "Microsoft" Bill Gates e della Fondazione Rockefeller. Collabora strettamente con la famosa Fondazione Soros, una struttura vicina al governo Obama. 

Anche Indymedia Barcellona e un sito svizzero di sinistra sostengono che la sigla serva a "coprire a sinistra" gli interessi geopolitici ed economici dei poteri forti occidentali, soprattutto Usa. Tra le centinaia di petizioni su temi umanitari, democratici, anti-corruzione che trovano immediato consenso fra il pubblico di sentimenti progressisti (ma che non sortiranno alcun risultato) il trucco consisterebbe nell'inserire questioni «strategiche per i padroni nascosti di "Avaaz" (governi, multinazionali, eserciti) che così potranno più facilmente superare la diffidenza da parte della popolazione genericamente di "sinistra", che non sospetterà mai che dietro a questi presunti critici degli USA è nascosto proprio il Partito Democratico del presidente Obama e dell'ex-presidente Cliton, attraverso l'organizzazione "MoveOn" che sta alla base di "Avaaz"». 

Dopo un lavoro incessante contro Gheddafi, il nuovo governo liberista libico, secondo i detrattori, non sembra interessare Avaaz nemmeno dopo che ha riabilitato non solo la figura del dittatore fascista Benito Mussolini, ma ha pure definito quale "periodo fiorente" l'epoca in cui il fascismo italiano aveva colonizzato e saccheggiato quel paese. Il lavoro di "Avaaz" in Siria, secondo gli osservatori di www.sinistra.ch, «è molto pericoloso poiché qualora si scatenasse una guerra dell'Ue, di Israele e degli USA contro questo paese mediorientale, molto probabilmente la Cina e la Russia dichiarerebbero guerra per impedire agli occidentali di colonizzare il bacino mediorientale e asiatico». 

In fondo all'articolo non so dire se sia vera la teoria di Patrick, o se sia esagerata, ma ogni volta che l'icona di un amico apparirà nella colonna delle mail e leggerò il fatidico: "Bisogna fermare questa cosa. Mi dai una mano? Firma qui», ci penserò su. Ma già ora, che un clic non si nega a nessuno, il senso di impotenza mi assale. Una petizione non cambia il mondo. E la rete può diventare, malgrado noi, uno strumento di passivizzazione di massa.


(*) per abbonarsi a LIBERAZIONE: http://www.liberazione.it/abbonati




(Il commento del SRP a proposito del film "Vedo Rosso" di S. Benussi, recentemente proiettato nell'ambito delle giornate del cinema italiano a Rovigno)


Jedno je borba za prava manjina; drugo je propagiranje poražene ideologije


REAGIRANJE ROVINJSKOG SRP-a NA FILM "VEDO ROSSO"
U utorak 6. kolovoza, na ljetnoj terasi Zajednice Talijana grada Rovinja, u sklopu 13. Italian Film Festivala, projektiran je dokumentarni film "Vedo Rosso" Sabrine Benussi. Oko 150-200 gledatelja moglo je još jednom slušati staru, nikad izumrlu, dosadnu, često ponovljenu, talijansku iredentističku propagandu, i njen povijesni revizionizam u vezi događaja poratnoga doba. Moglo se slušati o "tisućama talijana ubijenih (bačenih u fojbe) samo zato što su bili talijani" od strane jugoslavenske revolucionarne vlasti. 
Usprkos toga što ne postoje nikakve evidencije o takvim stvarima (nego su one izmišljene još 40ih u vezi ideološkog i političkog rata kojeg je Zapad vodio protiv Jugoslavije i drugih socijalističkih država); dapače postoji evidencija o zločinima talijanske vlasti protiv antifašista i slavenskog stanovništva okupiranih područja, koje uključuju progone, deportacije, masakre, kao i o programirano etničko čišćenje, koji su fašisti provodili. Ali o tome u filmu ni riječi, gdje je povijesna istina potpuno preokrenuta. Partizani su u filmu predstavljeni kao krvoločni i fanatički rasisti koji su mrzili talijane. 
Ni riječi o stotinama tisuća palih partizana u borbi protiv nacifašizma, kao ni riječi o 40 tisuća talijanskih vojnika (od kojih 20 tisuća palih) koji su se od rujna ‘43. borili u NOVJ. Jugoslavija je predstavljena kao država u kojoj za talijane nije bilo mjesta, osim kao sluge, iako je Jugoslavija bila multinacionalna država u kojoj su talijani zauzimali važna mjesta, čak i u predsjedništvu CK SKH. Film je - željeno - dekontekstualiziran i povijesno i geografski, apstraktiziran, izoliran iz realnosti: jedina realnost postaje "patnja" 2. generacije talijanskih emigranata, a jedina dostojna ideologija je nacionalizam, kao što je najviša ljudska vrijednost etnička pripadnost.  
Intervjuirani gosti uključujući kulturnog savjetnika grada Rima (kojeg gradskog odbora presjeduje fašistički militant 70ih Alemanno: autorica Benussi dakle naglašava fašiste, što dovoljno govori o njenim težnjama), koji je govorio o "između 300 i 350 tisuća" talijanskih emigranata iz Jugoslavije (takozvanih "ezula", t.j. optanataa), poznata izmišljotina svećenika Flaminia Rocchia; dobili su riječ i predstavnici ANVGD, reakcionarna udruga malograđanskih ezula; pa Unione degli Istriani, kvazifašistička udruga ezula; i razni emigranti (pretežito 2. generacije) ili talijani koji još žive u Hrvatskoj i Sloveniji, koji govore o njihovoj verziji zbivanja koju niti ne poznaju i o kojima mogu dakle govoriti samo parcijalno, kao što je to planirano etničko čišćenje, naravno lažna povijesna činjenica: međutim oni koji se osjećaju žrtvama, uvijek će uveličati ili čak izmisliti uzroke za njihove patnje, odnosno u ovom su slučaju vrlo lako vjerovali desetljećima talijanske revanšističke, anti-jugoslavenske propagande.  
Kada se osobama koje nemaju pojma o povijesnim zbivanjima (da ne govorimo o uzrocima tih zbivanja, t.j. o povijesnom kontekstu) i bijesnim iredentistima kao što su to ANVGD i Unione Istriani - koji uopće ne skrivaju njihove težnje da se Istra, Rijeka i Dalmacije pripoje Italiji - daje riječ bez ikakve rasprave ili komentara sa strane režisera (to jest totalno akritički) onda je to propagandistički film a ne "znanstveni" dokumentarac. Jedina istina o tom čuvenom etničkom čišćenju, kao i o tisućama talijana ubijenih, kao i o teroru tijekom okupacije Trsta, je da su to totalne izmišljotine talijanskog mainstream revanšizma, koje lako "prolaze" sada kada nema više SFRJ nego nacionalističke i podaničke Hrvatske, ali i Slovenije. Bilo je ubijenih, ali ne na tisuće i ne zbog etničku mržnju, nego su ubijeni bili pretežito fašistički krvnici (osim toga daleko je više ustaša i četnika eliminirano nego talijana, kao što je u samoj Italiji ubijeno daleko više talijana od strane talijanskih partizana). Ono što talijanske elite žele, masno finansirajući razne udruge ezula i povijesne revizioniste (među koje spada i Rovinjski Centar za Povijesna Istraživanja), je stjecati bogatu imovinu koju su nakon rata ezuli i talijanski koloni napustili, ali i zgražanje povijesnog sjećanja na otpor fašizmu i kapitalizmu, odnosno sjećanje na NOB i na njene vrijednosti, t.j. solidarnost, internacionalizam, antikapitalizam, socijalna pravda, itd. 
Te su izmišljotine jasno i profesionalno demantirane sa strane hrabrih povjesničara udruženih u Dieci Febbraio Millenovecentoquarantasette (http://www.diecifebbraio.info/) i koji ih mainstream iredentisti i nacionalisti (velika većina povjesničara i parapovjesničara Italije) - da ne govorimo o udrugama ezula - pretežito zbog oportunizma, napada. Ali napada ih vrijeđanjem, a ne znanstvenom debatom, jer dobro znaju da ovi prvi sve što pišu i govore, to i ozbiljno dokumentiraju; za razliku od njihovih protivnika. Zanimljivo je bilo da dokumentarac nije imao hrvatske podnaslove… a ironično čak su i neki gosti negodovali što u Istri nije bilingvizam poštivan! Sramotno je što rovinjski IDS (koji ima većinu vijećnika u Gradskom vijeću) takve manifestacije tek tako dopušta. Jedno je borba za prava manjina; drugo je propagiranje poražene i odvratne ideologije, kao što je to revanšistički iredentizam, ideologija koja širi laži i etničku mržnju. Ali to je sasvim dosljedno IDS-ovom „antifašizmu“ koji ujutro učestvuje na obilježavanju događaja iz antifašističke prošlosti, a uvečer odobrava prostor u Poreču za Thompsonovo ustaško arlaukanje. Toliko o IDS-u i prisutnosti „lijevog“ u njegovom DNK.





===

Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it/
http://www.facebook.com/cnj.onlus/

=== * ===



Invita i tuoi amici e Tiscali ti premia! Il consiglio di un amico vale più di uno spot in TV. Per ogni nuovo abbonato 30 € di premio per te e per lui! Un amico al mese e parli e navighi sempre gratis: http://freelosophy.tiscali.it/


(english / italiano / srpskohrvatski)


Da Ljiljana Banjanin, membro del nostro Comitato Scientifico, riceviamo e giro questo Appello ricevuto da una sua collega dell'università di Kragujevac in cui si chiede di sensibilizzare tutti coloro che possano aiutare una giovane assistente/ricercatrice della loro Facoltà, colpita da un tumore, ad affrontare le spese di un intervento negli Stati Uniti:



-------- Original Message --------

Subject:Apel
Date:Mon, 19 Aug 2013 12:04:04 +0200
From:Jasmina Teodorović <jasminateodorovic.kg @...>

 
Poštovani,

 

U ime Filološko-umetničkog fakulteta Univerziteta u Kragujevcu i u ime Organizaciono-programskog odbora Međunarodnog skupa dostavljam priloge.

 

Unapred zahvalni.

-- 
Jasmina Teodorović
Sekretar organizaciono-programskog odbora
Filološko-umetnički fakultet
Univerzitet u Kragujevcu
-- 

ОСТАЛЕ САМО ЈОШ ДВЕ НЕДЕЉЕ ЗА АНИНО ИЗЛЕЧЕЊЕ

Ани Живковић (1985), асистенткињи Филолошко-уметничког факултета у Крагујевцу, дијагностификован је тумор карличне кости. Једини начин да јој се сачува живот и здравље је операција и трансплатација костију која може да се изведе само у Њујорку, на клиници Memorial Cancer Centar. Због специфичности тумора, који спада у изузетно тешка и ретка обољења, операција се мора извршити почетком септембра, а у противном би могла да се догоди ампутација нога и дела карлице.

Иако Анин живот нема цену, ипак је излечење има – 80000 долара је потребно да се уплати клиници само за депозит. Већ су покренуте различите акције прикупљања помоћи, али до сада смо сакупили само половину новца за депозит.

Преостало је свега две недеље да се новац за депозит, пут и хоспитализацију сакупи! Не дозволимо да Ану изгубимо кад смо већ пронашли могућност за њено излечење!

Апелујемо на све који могу да што пре уплате новчану помоћ на рачуне за хуманитарну помоћ:

- динарски рачун: 160-5300101293477-62; Banca Intesa, RC Jagodina

- за уплате из иностранства:

SWIFT Banca Intesa: DBDBRSBG;

IBAN/ Account Number: RS35160533020081474474,

Ana Živković, Kneza Milete S3/18, 35000 Jagodina, Republic of Serbia


---

 

HUMANITARIAN AID


For Ana Zivkovic (Serbian: Ana Živković), (28), Street Knez Mileta S3/18, Jagodina


Dear all,


Our twenty eight year old daughter Ana, a teaching assistant at the Faculty of Philology and Arts in Kragujevac, is diagnosed with a rare type of tumour (fibrosarcoma epitelioide) in her pelvis.


Ana is in need of urgent iliac bone and pelvis transplantation so as to successfully remove the tumour and thus prevent leg amputation and partial pelvic amputation.


The transplantation can be successfully performed at the Memorial Sloan-Kettering Cancer Center in New York. However, we do not have the funds necessary for the surgical procedure. The overall treatment and the extensive surgical procedure amounts to 60 000 euros (80 000 US dollars).


We are aware of the difficult financial situation in Serbia. Nevertheless, we wish to appeal to all the people of good will, should they find them in a situation to help us, to financially contribute and thus support the treatment of our daughter Ana and help our daughter walk again.


The following accounts have been opened in Banca Intesa for donations:



Name: Ana Zivkovic (Ana Živković – Serbian)

Local currency account: 160-5300101293477-62

Purpose of paymenthumanitarian aid for medical treatment



Foreign currency account

SWIFT Banca Intesa: DBDBRSBG

IBAN/ Account Number: RS35160533020081474474



Contact:

Slavoljub Zivkovic, father

(mobile: +38164/410- 8180)

Vesna Zivkovic, mother

(mobile: +38163/ 821- 3776)





Унапред ЗАХВАЛНИ,


_________________________________

(Славољуб Живковић) 




La sera di Ferragosto RaiUno ha mandato in onda il concerto-tributo di Simone Cristicchi a Sergio Endrigo.
Lo spettacolo contiene tra l'altro un monologo, recitato dopo la canzone "1947", che dipinge a tinte fosche gli "jugoslavi occupatori" delle case degli italiani esuli da Istria e Dalmazia. La canzone ed il monologo si possono riascoltare qui: http://www.youtube.com/watch?v=sfbtan4Nqyc .
Questo passaggio può essere considerato una anticipazione dello spettacolo "Magazzino 18" che Cristicchi sta lanciando in pompa magna e con la evidente e potente sponsorizzazione della "lobby degli esuli".

Questa operazione, molto più politica che musicale o teatrale, innanzitutto tradisce ed insulta la memoria di Sergio Endrigo, che nella sua vita personale ed artistica si ispirò sempre all'internazionalismo ed alla fratellanza tra i popoli delle due sponde dell'Adriatico: http://www.diecifebbraio.info/2012/01/omaggio-a-sergio-endrigo/ .

Il Presidente del Comitato provinciale ANPI di Viterbo è intervenuto inviando una lettera personale a Cristicchi, che paradossalmente risulta essere anche iscritto all'ANPI. Ne sono seguite la risposta del cantante ed una replica più dura del segretario di CNJ-onlus, Andrea Martocchia, alla quale Cristicchi si è rifiutato di rispondere:
----------------------------


Da:  ANPI Viterbo
Oggetto:  I: Lettera per Simone Cristicchi
Data:  21 agosto 2013 17.08.00 GMT+02.00
A:  CNJ-onlus

V'inoltro la lettera che ho appena inviato a SIMONE CRISTICCHI a seguito delle anticipazioni e dell'anteprima del suo spettacolo Magazzino 18 sugli italiani in Istria.



Caro coetaneo Simone Cristicchi,

sono il Presidente del Comitato provinciale Anpi di Viterbo. Ti scrivo perché dagli aggiornamenti della tua pag. Facebook apprendo che ti stai occupando, previa la rievocazione della figura di Sergio Endrigo, di quanti, ricostituitasi la Jugoslavia, scelsero di riparare in Italia. Chi è costretto o decide di migrare, per qualsivoglia ragione, salvo quelle fiscali, ha tutto il diritto di farlo, allora come oggi, e non esistono argomenti indegni di trattazione e riflessione. Sulla cosiddetta complessa vicenda del Confine orientale italiano, però, sono state fatte così tante speculazioni e mistificazioni per denigrare l’Antifascismo e la Resistenza tutta, che ho voluto approfondire la tua produzione in merito, anche perché la storiografia corretta non può essere elusa, sebbene nell‘arte si debba necessariamente mediare con le esigenze di drammatizzazione. Ho letto i vari post e visionato l’estratto dello spettacolo Magazzino 18 che hai pubblicato (https://www.youtube.com/watch?v=sfbtan4Nqyc). Ebbene, da un noto artista antifascista e fiero iscritto all’Anpi quale sei, è lecito pretendere una corretta ricostruzione delle vicende riportate o, quantomeno, una pur minima contestualizzazione delle medesime.

Nella tua trattazione non si riscontrano cenni alle politiche antislave adottate dal regime fascista, iniziate con lo squadrismo e proseguite con zelo per tutto il Ventennio tra snazionalizzazioni, divieti di parlare lingue non italiane, internamenti ed esecuzioni. Su questo tema, c’è un luogo della memoria proprio nella tua città, forte Bravetta, ove sono stati fucilati anche patrioti e antifascisti slavi (vedi: Augusto Pompeo, Forte Bravetta, Roma, Odradek, 2012). Nulla circa i crimini commessi dagli occupanti fascisti nei Balcani: deportazioni e omicidi di massa, distruzioni e incendi di interi villaggi, e efferatezze d’ogni tipo con cui sono state martoriate le inermi popolazioni jugoslave (vedi: Davide Conti, L‘Occupazione italiana dei Balcani, Roma, Odradek, 2008). Nessun riconoscimento, infine, alla Resistenza jugoslava, trattata quasi come elemento criminale, con il suo enorme tributo di sangue, determinante per la sconfitta del nazifascismo. Una Resistenza cui, dopo l’8 settembre 1943, si affiancarono decine di migliaia di soldati italiani che, in migliaia, morirono poi per mano nazista o per il tifo, riscattando il nostro Paese dall’ignominia in cui l’aveva gettato il fascismo (vedi: Giacomo Scotti, Bono Taliano, Roma, Odradek, 2012, I ed. 1977). Partigiani italiani nelle Divisioni Garibaldi, Matteotti etc., o entrati direttamente nell’Esercito popolare di liberazione jugoslavo (Eplj). A tal proposito, visto che ti cimenti, tra l’altro con ottimi risultati, nella drammaturgia, ti suggerisco un monologo teatrale prodotto dal nostro Comitato provinciale, che stiamo portando in giro con molto successo: Drug Gojko di Elena Mozzetta con Pietro Benedetti, su Nello Marignoli, nostro Presidente onorario, viterbese radiotelegrafista nella Marina militare italiana e, dopo l’8 Settembre, nell’Eplj. La piece si basa perlopiù su una nostra precedente docuintervista Mio fratello Gojko, per la regia d’un altro nostro coetaneo, Giuliano Calisti. Sempre dello stesso anche la docuintervista Pokret! (Avanti!), Partigiani italiani nella Resistenza jugoslava, 1943-45, con le interviste ai romani Rosario Bentivegna e Avio Clementi, e a Zarko Besenghi, di origini slave.

È tutta documentazione audiovisiva che ti posso inviare qualora mi dessi un recapito. Nelle pubblicazioni cartacee ho citato la romana Odradek, una delle case editrici con all’attivo le pubblicazioni più significative sull’argomento. Tralascio per ora la questione Foibe, per cui riprendi per filo e per segno la vulgata antislava, e su cui, checché ne dicano i detrattori, “antifascisti” o meno che si definiscano, importanti lavori sono stati portati a termine dalle studiose Claudia Cernigoi e Alessandra Kersevan, pubblicati dalla Kappa Vu di Udine.

Sono, inoltre, a disposizione per eventuali chiarimenti e confronti su questioni che non si possono certo liquidare con una lettera.

Un’ultima considerazione. Nello spettacolo ti fai latore del sentimento di sdegno provato verso l’omaggio del Presidente della Repubblica Pertini al feretro di Tito. Suona così ancor più amara la profezia fatta proprio da Pertini riguardo la mancata epurazione dei fascisti:

“Verrà un giorno in cui dovremo vergognarci di aver combattuto contro il fascismo”.

Con immutata stima per il cantante e l’artista a tutto tondo.

Salute & solidarietà.

Silvio Antonini



Da:  ANPI Viterbo
Oggetto:  risposta Cristicchi
Data:  21 agosto 2013 18.57.41 GMT+02.00
A:  CNJ-onlus

Caro coetaneo Silvio,

Grazie infinite per i suggerimenti.

Sono certo che nella visione dello spettacolo integrale (i 5 minuti andati in onda sono ovviamente pochi per narrare tutto) si potrà riscontrare l'attenzione e la giusta considerazione di tutte le prospettive, dove lo spettatore sarà messo in grado di farsi una propria opinione, senza così voler propagandare alcuna tesi preconcetta o come le chiami tu: "vulgata".

L'argomento a quanto pare è ancora delicato, ma tengo a precisare che "Magazzino 18" non è uno spettacolo sulla Jugoslavia comunista, né sulla Resistenza, oggetto di altri miei spettacoli.

è incentrato soprattutto sul dramma degli italiani che hanno dovuto subire sulla loro pelle un evento storico come l'esodo, evento che -ne converrai - ancora oggi pochissimi conoscono.

Lo spettacolo quindi non sarà certo una conferenza della Kersevan, o di altri storici... né mi diletterò a snocciolare tesi, numeri, ma si propone di emozionare e far riflettere il pubblico attraverso testimonianze reali raccolte in questi anni insieme all'amico Jan Bernas.

Quello che mi interessa e mi ha sempre affascinato, è l'umanità inghiottita dalla Storia. Vedi "Li romani in Russia", "mio nonno è morto in guerra" e lo spettacolo con il coro dei minatori.

Per quanto riguarda l'episodio di Pertini, da ricercatore, ho solo interpretato il sentimento di imbarazzo di tanti esuli italiani, che hanno visto in quel gesto, solo una mancanza di rispetto.

Senza voler recare alcuna offesa a Pertini, non credo si possano biasimare per questo.

Grazie ancora

Simone Cristicchi



Da:  CNJ-onlus
Oggetto:  Re: risposta Cristicchi
Data:  22 agosto 2013 15.11.11 GMT+02.00
A:  ANPI Viterbo

Con preghiera di inoltro a Simone Cristicchi:
----

Leggo il vostro scambio di messaggi con Silvio Antonini dell'ANPI di Viterbo. Forse non sono esattamente vostro coetaneo, in quanto classe 1969, ma in compenso sono romano anch'io, e da una ventina di anni mi trovo ad occuparmi di questioni jugoslave, tanto da essere segretario di una associazione di amicizia, di scambi culturali e di impegno per una corretta informazione, denominata Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS. Temo perciò di essere tenuto a scrivere alcune parole anch'io, benché veramente di malavoglia, vista la circostanza.

Gli italiani, hai ragione, conoscono ben poco della loro storia, figuriamoci della storia dei popoli vicini.
Generalmente, purtroppo, non solo sono ignoranti - il che non è una colpa - ma coprono la propria ignoranza con atteggiamenti saccenti, e questo, si, li rende veramente colpevoli. Un altro difetto facilmente riscontrabile è che tendono troppo spesso ad autoassolversi: in fondo in fondo, sono sempre "brava gente", no? Le colpe le hanno sempre gli altri: allora tedeschi o jugoslavi, oggi rumeni o albanesi.
Il tuo spettacolo "Magazzino 18" non è uno spettacolo sulla Jugoslavia comunista, né sulla Resistenza, eppure contiene un attacco preciso contro la Jugoslavia partigiana, uscita da una guerra infame che non erano stati gli jugoslavi a volere. La Jugoslavia esce da quella guerra come paese unito e pacifico, programmaticamente avviato ad essere mosaico di popoli, lingue e culture: un paese cioè non "nazionale", come l'Italia, bensì "multinazionale" (oltreché internazionalista: promotore del Movimento dei Non Allineati).
Nel tuo monologo c'è pertanto innanzitutto un errore concettuale, di principio: i partigiani jugoslavi, liberando vasti territori - inclusa l'Istria, e la stessa Trieste - dal mostro nazifascista, non intendevano usurparli ai legittimi proprietari, ma viceversa unirli a una nuova struttura statuale e sociale che fosse patria per tutti quelli che vi abitavano, purché ovviamente non ostili al nuovo Stato: ça va sans dire. Tant'è vero che circa 30mila autoctoni di lingua italiana decisero di rimanere. Hai mai sentito parlare dei "rimasti"? Forse valeva la pena che tu raccontassi anche la loro vicenda, che per un iscritto all'ANPI dovrebbe avere degli aspetti ancor più interessanti della vicenda degli "esuli". 
Quello spirito di fratellanza internazionalista per il quale anche tanti italiani combatterono al fianco dei partigiani jugoslavi, e che li spinse non solo a rimanere in quella che diventava la Jugoslavia, ma a contribuire entusiasticamente alla sua formazione, lo puoi ritrovare ad esempio nella storia personale e nelle pagine di Eros Sequi, grande italianissimo scrittore ed intellettuale, sconosciuto agli italiani:

<< Ora, eccomi qui, a scrivere da mattina a sera. Prepariamo il "Nostro Giornale" e "Lottare", prepariamo traduzioni ed opuscoli, volantini ed appelli... Sono commosso e contento. Ho scoperto il mio mondo... Ho saputo anche che cos'è l'Istria, dove la popolazione croata soffriva sotto l'oppressione degli imperialisti italiani ed oggi combatte la sua rivoluzione per esser libera nazionalmente e socialmente. Vorrei che tutti gli italiani sapessero che queste terre appartengono di diritto alla Jugoslavia; vorrei che tutti gli italiani fossero giusti  e amati per la loro giustizia.
Vorrei che sempre più grande fosse l'affluire dei miei connazionali tra le file del movimento di liberazione. E so che solo pochi non risponderebbero, se l'appello della verità giungesse fino a loro... Sarebbe bello se anche l'Adriatico fosse un lago, sulle cui sponde lavorassero in pace e in concordia uomini fratelli.  Ma so che la fratellanza stringerà almeno italiani e croati e tutti gli jugoslavi nel paese nuovo che andiamo creando con lotta e sacrifici... >> (Monti di Kukuljani, 31 luglio 1944. Da "Eravamo in tanti", diario della sua esperienza di combattente partigiano).

L'abbandono di Istria e Dalmazia di gran parte della popolazione di lingua italiana, anche quella non compromessa con il nazifascismo, per la Jugoslavia federativa e socialista fu percepito come una sconfitta, e non come una vittoria. Viceversa, ci fu una precisa volontà da parte dei ricostituiti poteri italiani, a che gli italiani di Istria e Dalmazia venissero via, allo scopo di delegittimare la nuova struttura statale che si andava formando oltre Adriatico. Hai mai sentito parlare di Radio Venezia Giulia, la radio messa su dai servizi segreti italiani per fare pressione psicologica sugli italiani di Pola, di Fiume, eccetera, perché andassero via? Lo sai che quelli che rimanevano erano bollati come "italiani sbagliati", e non certo da parte jugoslava? Ci sono tante cose da sapere, se solo interessa andarle a cercare. E sugli esuli istriani e dalmati, oltre a tutti i libri opportunamente menzionati da Silvio, ed anziché appoggiarti ai contatti selettivi di Jan Bernas, potresti dare almeno un'occhiata al testo "Esuli a Trieste. Bonifica nazionale e rafforzamento dell'italianità sul confine orientale", di Sandi Volk (KappaVu Edizioni, Udine 2004), che è un autentico esperto della problematica degli "esuli"... Perché di cose da dire ce ne sarebbero molte altre, nemmeno riassumibili qui: lo sai che gran parte degli "esuli" non erano nemmeno autoctoni, ma "regnicoli" (veri e propri "coloni")? Lo sai che non andarono via solo italiani, ma anche tanti croati e sloveni, vuoi per ragioni politiche, vuoi per ben più generali necessità economiche? Lo sai, infatti, che cosa è stata l'emigrazione dai piccoli centri verso le grandi città nell'immediato dopoguerra, in tutta Italia e in tutta la Jugoslavia? Lo sai che cosa vuol dire "optanti"?

Esistono ignoranze che determinano vere e proprie colpe. In ogni attività, anche in quella artistica, si tratta di sentire o non sentire la responsabilità delle proprie scelte. Da ogni canzone di Sergio Endrigo trapela il senso forte della responsabilità: perché, lui, era veramente un cantante impegnato, nel senso pieno e bello del termine, un senso che in questa Italia è andato perduto. Non fu mai un opportunista, né nelle scelte di vita né in quelle artistiche: comunista e ateo, gli stava cordialmente antipatico tutto l'apparato massmediatico - antipatia ricambiata, tant'è vero che negli ultimi anni fu veramente dimenticato dal teatrino dominante, televisivo e non. Quale Sergio Endrigo vogliamo ricordare? Il Sergio Endrigo che cantava in lingua serbocroata con Arsen Dedic, e vinceva festival della canzone jugoslavi, il Sergio Endrigo che cantava la Resistenza tradita dagli opportunisti di turno (La ballata dell’ex), il Sergio Endrigo che ricordava con nostalgia la sua città come metafora di tutti gli abbandoni... Oppure un Sergio Endrigo immaginario, un Sergio Endrigo inventato, di comodo, revanscista e rancoroso contro gli "usurpatori della propria terra"?
Non credo che Sergio Endrigo, che è stato gettato nel dimenticatoio per anni in quanto cantante "scomodo", avrebbe mai approvato di essere strumentalizzato a fini di revanscismo antipartigiano. Era meglio nessuna carriera, per lui, che una carriera sulla cresta dell'onda della lobby "vincente" di turno.

Chiudo su Tito e Pertini. La percezione che alcuni italiani originari di Istria e Dalmazia possono avere avuto guardando il nostro amato presidente che rendeva omaggio all'amato presidente degli jugoslavi, è solo ed esclusivamente una loro percezione. Per la stragrande maggioranza degli italiani quel gesto è stato un gesto di fratellanza e di pace, il suggello di due vite parallele da partigiani, ispirati ai valori della fratellanza tra i popoli. Per noi antifascisti quel gesto fa grande onore a Pertini, più ancora che a Tito.

Andrea Martocchia
segretario, CNJ-onlus


Da:  Simone Cristicchi 
Oggetto:  Re: Contributo Andrea Martocchia
Data:  22 agosto 2013 19.36.00 GMT+02.00
A:  ANPI Viterbo
Cc:  CNJ-onlus

Trovo alquanto imbarazzante ricevere queste parole, senza nemmeno aver visto lo spettacolo integrale, che non ha certo istanze revansciste.
Non accetto lezioni da nessuno, soprattuto con questi toni.
Arrivederci 

Inviato da Simone Cristicchi




(castellano / italiano / francais.

Vedi anche: SANDZAK, ELOGIOS AL YIHAD



YIHADISTAS BOSNIOS CAEN EN EGIPTO


22/08/2013

Según recoge el diario bosnio “Dnevne novine” hace unos días en este artículo, el ejército egipcio ha detenido a varios ciudadanos de Bosnia y Herzegovina por los delitos de terrorismo y rebelión contra el gobierno egipcio que serán juzgado en breve.

La grabación publicada por la televisión egipcia “ONTV” muestra treinta terroristas detenidos, todos ellos miembros de Al Qaeda.

Los militantes han sido detenidos por la policía egipcia y las fuerzas militares especiales no sólo en El Cairo, sino en todo el país. Cientos de terroristas de Al Qaeda están detenidos y acusados de rebelión militar y el terrorismo, por lo tanto, serán “juzgados sumariamente.”

Todos los sospechosos estaban involucrados en ataques terroristas, hiriendo y matando a las fuerzas de seguridad egipcias y los civiles y en la rebelión armada contra el gobierno.

Uno de los sospechosos, que era el líder del grupo, dijo que él había venido de Pakistán, de una aldea en la frontera con Afganistán, junto con su primo que llegó de Afganistán.

Miembro de las fuerzas de seguridad le dijo “ONTV” que este grupo de extremistas ha demostrado que el terrorismo no conoce fronteras, porque los terroristas detenidos son procedentes no solo de Bosnia sino también de Afganistán, Pakistán y otros países europeos.

Según él, vinieron a Egipto el mes pasado, y algunos de ellos cruzaron ilegalmente la frontera antes de unirse a “Hermanos Musulmanes”, una organización radical que ha sido prohibida durante décadas en ese país.

Hablando de los terroristas bosnios, se dijo que llegaron a través de Estambul con un portátil que contiene “instrucciones para llevar a cabo ataques en El Cairo”. La policía cree que hay más islamistas bosnios que llegaron como parte de un paquete turístico.

El número de mezquitas en Bosnia y Herzegovina, donde se llevó a cabo un servicio especial para los muertos en la violencia en Egipto está creciendo. También hubo una protesta en Sarajevo que reunió a varios centenares de personas que se presentaron como miembros de la diáspora egipcia en Bosnia y Herzegovina.

La Comunidad Islámica en Bosnia y Herzegovina emitió una declaración en la que “el CI de Bosnia y Herzegovina” condena enérgicamente los asesinatos en masa brutales de los ciudadanos de Egipto y la violencia de que fue causada y llevada al cabo por las autoridades militares “, así como una ” llamada a detener de inmediato la violencia” y “devolver el poder al presidente democráticamente electo de Egipto Mohamed Morsi”.


VER MAS SOBRE EL ISLAMISMO RADICAL EN BOSNIAhttp://global-security-news.com/tag/radical-islam-in-bosnia/


----


Crisi in Egitto: bosniaci arrestati per terrorismo

23 agosto 2013

Alcuni cittadini della Bosnia Erzegovina sarebbero in prigione al Cairo a seguito della loro partecipazione ai moti che stanno scuotendo l'Egitto.

Sono accusati di “terrorismo” e la maggior parte tra loro sarebbero arrivati nello scorso mese dalla Siria dove combattevano contro le forze leali ad Assad.

La notizia è stata diffusa dall'egiziana ONTV.

Le autorità islamiche della Bosnia Erzegovina hanno risolutamente preso le distanze da questi “estremisti” ma hanno confermato la loro solidarietà ai Fratelli Mussulmani: “Condanniamo la violenza brutale e la morte di cittadini egiziani, come condanniamo la violenza perpetrata dalle autorità militari” hanno scritto in un comunicato stampa, nel quale si chiede il ritorno del presidente Mohamed Morsi, eletto democraticamente.

In questi ultimi giorni in Bosnia Erzegovina numerose moschee hanno dedicato le loro preghiere alle vittime della violenza in Egitto. A Sarajevo è stata organizzata una manifestazione alla memoria delle vittime degli scontri al Cairo e nelle altre principali città egiziane.

---


Le Courrier des Balkans

Crise en Egypte : des ressortissants bosniens arrêtés pour « terrorisme »


De notre correspondant à Sarajevo

Mise en ligne : vendredi 23 août 2013
Plusieurs citoyens de Bosnie-Herzégovine sont en prison au Caire suite à leur participation aux émeutes qui secouent la capitale égyptienne. Arrêtés par l’armée et accusés notamment de « terrorisme », la plupart d’entre eux seraient arrivés de Syrie, où ils se battaient contre les forces loyales au président Bachar el-Assad.

Par Rodolfo Toè


L’agence de presse de Republika Srpska, « SNRA », a repris cette information diffusée par la chaîne égyptienne ONTV, qui dispose d’images montrant une trentaine de personnes détenues dans une caserne militaire. Selon ONTV, il s’agirait de « terroristes » provenant de « Bosnie-Herzégovine, du Pakistan, d’Afghanistan et de pays européens ».

Ces hommes ont été arrêtés lundi 19 août et auraient « participé activement », selon les autorités égyptiennes, au soulèvement initié par les Frères musulmans et auraient « blessé ou tué des membres des forces de l’ordre et des civils ».

Les Bosniens arrêtés seraient entrés en Egypte de façon illégale, le mois dernier, pour soutenir les Frères musulmans. Il est très probable, selon Dževad Galjašević, expert en terrorisme islamique interviewé par Nezavisne Novine, que la plupart d’entre eux aient décidé de se rendre en Egypte après avoir combattu en Syrie.

Les autorités islamiques de Bosnie-Herzégovine se sont déclarées « étonnées » et ont résolument pris leurs distances de ces « extrémistes », mais confirment leur solidarité avec la « lutte » menée par les Frères musulmans : « nous condamnons la violence brutale et les meurtres de citoyens égyptiens, ainsi que la violence perpétrée par les autorités militaires », peut-on lire dans le communiqué officiel, qui « demande aussi la restitution des pouvoirs au président Mohamed Morsi, qui a été élu démocratiquement ».

Ces derniers jours en Bosnie-Herzégovine, de nombreuses mosquées ont dédié leurs prières aux victimes des violences en Egypte. A Sarajevo, une manifestation a été organisée en mémoire des victimes des affrontements au Caire et dans les grandes villes égyptiennes.




(english / italiano / hrvatskosrpski)

Hrvatska / EU: Okupacija u 26 slika

1) Croazia: caos alle frontiere e stop ai lavoratori anche da Parigi (S. Giantin, Il Piccolo)
2) The lure of membership fades as Croatia joins the European Union (O. Markovic, WSWS)
3) Ok a privatizzazione banca pubblica e prima assicurazione / Al via privatizzazione ferrovie statali (ANSA)
4) Hrvati opet izvisili: Njemačka koristi situaciju i traži jeftinije radnike izvan EU (D. Katalinić, Dnevno.hr)
5) Hrvatsku ne očekuje ništa dobro u Europskoj uniji (A. Filimova, Pravda.ru)
6) Okupacija u 26 slika (A. Sejdić, SRP)
7) Pobjeda jednoetničke Hrvatske (D. Vidović, SRP)


=== 1 ===

Croazia: caos alle frontiere e stop ai lavoratori anche da Parigi 

di Stefano Giantin, su Il Piccolo del 4 luglio 2013

Non ci sarà alcun esodo di lavoratori, assicurano politici locali, studi e sondaggi. Ma nell’Europa della crisi economica e sociale in tanti non si fidano e preferiscono evitare qualsiasi problema. E così anche la Francia ha deciso. Stop ai croati, dal primo luglio a tutti gli effetti cittadini dell’Unione europea, che vogliano cercare lavoro in territorio transalpino. Come nel caso di bulgari e romeni, stessa sorte dunque anche per gli abitanti di Zagabria, Spalato e Ragusa.
Parigi ha deciso infatti di adottare «misure restrittive» per i croati che volessero lavorare in Francia, ossia l’obbligo di «essere in possesso di una carta di soggiorno» e di una «autorizzazione di lavoro», si specifica su Service-Public.fr, il sito ufficiale dell’amministrazione pubblica francese. Se le restrizioni per romeni e bulgari cadranno a partire dal 31 dicembre 2013 – e così gli abitanti di Sofia e Bucarest «beneficeranno della stessa libertà di circolazione» di tutti gli altri cittadini Ue –, per i croati l’“embargo” francese durerà invece «come minimo fino al 30 giugno 2015» e potrà «essere prolungato per altri tre anni», fino all’estate del 2018.
Ed eventualmente per ancora 24 mesi, sempre che «la situazione» relativa alla «disoccupazione in Francia lo giustifichi», aggiunge la nota. Francia che così, malgrado i calorosi abbracci tributati alla Zagabria entrante nell’Ue da tutti i membri dell’Europa che conta, si unisce a un “gruppone” di Paesi europei che sembrano non fidarsi delle non buone condizioni economiche della Croazia, temendo una fuga verso lidi più felici, almeno sulla carta, dei lavoratori locali. Gruppo che finora comprende, ricorda l’agenzia di stampa croata Hina, «Germania, Austria, Paesi Bassi, Cipro, Gran Bretagna, Slovenia, Belgio, Spagna e Lussemburgo».
Naturalmente, specifica la Hina, Zagabria ha sempre «il diritto di reciprocità», ossia quello di imporre restrizioni simili a cittadini Ue dei Paesi sopra riportati che vogliano cercare impiego all’interno dei confini croati. Confini, il nuovo “limes” dell’Ue a sbarrare la strada al resto dei Balcani, che da due giorni hanno cominciato a produrre i primi temuti problemi. Problemi che si sono registrati in particolare alla dogana tra Croazia e Serbia a Batrovci-Bajakovo, dove in due giorni si è formata una colonna di camion che ha raggiunto in alcuni momenti i 15 chilometri. Tutto a causa di una falla nel sistema informatico doganale installato in Croazia, che ha impedito ai doganieri di Zagabria di smaltire il traffico di Tir, rimasti fermi sul versante serbo. Circa 1.200 camionisti, con i nervi a fior di pelle, sono così stati costretti ad attendere sotto il sole, in coda, che il problema venisse risolto. Ma il collo di bottiglia, tra Serbia e Croazia-Ue, ancora resiste, mentre tonnellate di derrate alimentari trasportate dai Tir rischiano di dover essere gettate tra i rifiuti.


=== 2 ===


The lure of membership fades as Croatia joins the European Union

By Ognjen Markovic 
1 July 2013


Today, Croatia joins the European Union (EU) as its 28th member-state. Much as was the case with the last EU expansion in 2007, when poverty-stricken Bulgaria and Romania joined, the decision to grant membership to crisis-ridden Croatia was based more on political and geo-strategic considerations than on economic ones. The lure of membership has faded since the early days, after the break-up of the former Yugoslavia in the 1990s and Croatia’s formal application to join the bloc in 2003.

Under conditions of deepening social austerity and economic crisis within Croatia and continent-wide, Croatia’s politicians have tried to present its joining the EU as a significant step forward. They have also clearly signalled that further austerity is coming.

Premier Zoran Milanovic of the ruling Social Democratic Party (SDP), who describes himself as a “social democrat, free marketeer, libertarian”, declared, “There will be plenty of possibilities, a plethora of possibilities, a new market, new chances. You might get them if you work hard, if you prepare well, but you can also end up as a loser...which would be a curse.” Milanovic added, “We’re under pressure...to downsize spending and explain to people there are no entitlements for life.”

However, a number of EU and international policy makers and analysts have voiced concerns about Croatian accession, particularly in Germany, whose recognition of Croatia and Slovenia in 1991 sparked the dissolution of Yugoslavia. The speaker of the German parliament, Norbert Lammert, stated bluntly last October that “Croatia is clearly not yet ready for membership,” and more recently, Bild magazine called the country a “new cemetery for EU billions.” The German Parliament was the last in Europe to ratify the accession treaty, only doing so last month.

The Croatian population has also lost its previous enthusiasm for the EU. Almost 80 percent of the population supported accession in 2000 and less than 10 percent were against. Latest polls show only 45 percent view the accession as a positive move. In the EU membership referendum in January 2012, extensively promoted as a historically significant decision, only 43.5 percent of the voters bothered to show up. This was even lower than the 54 percent turnout for the parliamentary elections held a month earlier.

It should be added that all of the parliamentary political parties called for a yes vote at the time, leaving half of the population opposing the EU with no political voice whatsoever.

The disastrous social conditions plaguing Croatia as it accedes to the EU expose the nationalist claims made at the time—that independence would bring prosperity to the whole nation—as nothing but lies.

Largely dependent on international capital, the Croatian economy was hit hard by the financial crisis of 2008, going into deep recession in 2009 and staying there ever since. The country’s GDP is now almost 12 percent lower than in 2008, and even the most optimistic estimates forecast a further contraction this year, with virtually no growth in 2014. Foreign direct investment has plunged 80 percent since 2008, and last year was at its lowest level since 1999.

Croatia’s credit rating was downgraded to junk status in recent months, and, with interest on government 10-year bonds of over 6 percent, the former head of the International Monetary Fund’s mission to Zagreb, Nikolay Gueorguiev, called the country “a hostage to sentiment on international markets.”

As in other former Stalinist countries in Eastern Europe, the criminal dismantling and privatisation of former state-run industries—a process dictated by the EU and international capital—have enriched a tiny, corrupt elite and pauperised the working class. A staggering 80 percent of the manufacturing base has been lost. Official unemployment is 20 percent, and more than 50 percent amongst the youth. At the same time, prices are skyrocketing. One recent study found that utilities were as expensive as in Germany, but the average wages are only a third of the German level.

Presiding over and enforcing such social inequality, the political elite as a whole stands largely discredited in the eyes of the population.

First of all, there is the right-wing, conservative Croatian Democratic Union (HDZ), which has ruled Croatia for all but some five years since independence. Made up of nationalist right-wing émigrés, conservative Catholic layers and ex-Stalinists—its infamous leader Franjo Tudjman was a former Yugoslav army general—its long legacy in power has left it widely despised today and rife with corruption. In what is only the tip of the iceberg, former premier Ivo Sanader, who succeeded Tudjman as HDZ head, was sentenced to 10 years in prison in 2011 for accepting bribes in excess of €5 million.

The SDP, the other political pillar of the Croatian bourgeoisie, is likewise discredited. It was the successor to the former League of Communists of Croatia, the Croatian branch of the League of Communists of Yugoslavia. The SDP was briefly in power between 2000 and 2003 and then the recipient of a protest vote against HDZ in the last elections in 2011, ruling with minor coalition partners since and continuing with the same policies.

In 2012, the SDP-led government imposed an austerity budget and increased Value-Added Tax by 2 percent to 25 percent—the highest in Europe after Hungary and Iceland. Latest surveys show that only 23.8 percent of voters support the SDP, a 10 percent drop from just a year ago. The HDZ, even though currently in opposition, polls even lower at 21.5 percent, and none of the smaller parties come even close.

Croatia is the second of the ex-Yugoslav republics—Slovenia was the first in 2004—to be admitted into the EU. Slamming the door on accession is seen as carrying even more significant risks. Throughout the decades-long attacks on the position of the working class in Eastern Europe, EU politicians and their local counterparts have justified the process as a necessary “transition” to a more stable and prosperous market economy. The continent-wide crisis is exploding this lie. The ruling class fears that the working class is realising that austerity is not only the “new normal,” but a prelude to their further impoverishment and a threat to capitalist rule.

Croatian foreign minister Vesna Pusic admitted as much in a recent Financial Times ( FT ) interview: “If the EU loses its soft power, then it loses the power to stabilise southeast Europe. And without stabilising southeast Europe, the danger of instability spreading from southeast Europe, from the southern Mediterranean and from the Middle East into Europe, becomes much bigger.”

The FT also points to wider, geo-strategic considerations behind Croatian membership, commenting, “Southeast Europe is the continent’s transition zone to the Middle East; political ferment in Turkey and war in Syria lie just beyond.” Croatia has been a vital link in the supply of weapons to the Western-backed Syrian “rebels, via Jordan and Saudi Arabia, helped by the CIA.

Earlier this year, the New York Times revealed that there had been “a combined 36 round-trip flights between Amman and Croatia from December through February” and that these carried weapons including “a particular type of Yugoslav-made recoilless gun, as well as assault rifles, grenade launchers, machine guns, mortars and shoulder-fired rockets for use against tanks and other armored vehicles.”

Croatia was thus conveniently serving imperialist interests in arming the Syrian Islamist-dominated opposition, while the official EU arms embargo was still in force, and the US preferred, at that stage, not to be too directly associated with arming them.



=== 3 ===

Croazia, ok a privatizzazione banca pubblica e prima assicurazione

Il governo croato ha dato oggi il via libera alla privatizzazione di due società operanti nel settore finanziario, l’ultima banca ancora di proprietà pubblica e la maggiore società assicurativa in Croazia. Lo scopo, secondo il ministro delle Finanze, Slavko Linic, è realizzare per l’erario un entrata consistente che potrà aiutare le finanze pubbliche a ridurre il deficit del bilancio e il debito estero.
Saranno messe in vendita il 50 per cento delle azioni della Croatia Osiguranje, maggiore società per le assicurazioni del Paese che opera con consistenti profitti. Il valore della società, con un’ottima posizione sul mercato croato e immobili di ingente valore, e’ stimato a circa 400 milioni di euro. Lo Stato croato continuerà a controllare il 25 per cento delle azioni. L’altra società in via di privatizzazione, la Hrvatska postanska banka, detiene l’otto per cento del settore bancario in Croazia, ed è stimata a circa 200 milioni di euro. Al nuovo proprietario sarà probabilmente richiesto di presentare anche un piano di ricapitalizzazione.
I bandi saranno pubblicati nei prossimi giorni, scadranno a metà settembre, mentre le decisioni sugli acquirenti dovrebbero essere note a ottobre.

www.ansa.it 19 luglio 2013

Croazia: al via privatizzazione ferrovie statali

La società croata per il trasporto ferroviario, la Hz Cargo, sarà venduta nelle prossime settimane alla romena Feroivar, parte del gruppo Grampet. Lo ha annunciato il ministro dei Trasporti croato, Sinisa Hajdas Doncic, dopo la conclusione del bando per la privatizzazione, spiegando che l’offerta giunta dalla Romania era la migliore. La vendita fa parte di un grande piano di ristrutturazione e privatizzazione delle ferrovie croate, avviato dal governo di centro-sinistra.
L’acquirente romeno si farà carico di tutti i debiti e delle garanzie statali dell’Hz Cargo, per circa 120 milioni di euro, e dovrà investire altri 30 milioni di euro nella modernizzazione dei treni. In futuro saranno banditi i concorsi per la privatizzazione di altri settori delle ferrovie croate.

www.ansa.it 23 luglio 2013


=== 4 ===


Hrvati opet izvisili: Njemačka koristi situaciju i traži jeftinije radnike izvan EU

Javni poziv nezaposlenima izvan Europske unije samo je još jedna u nizu pljuski najjačeg europskoga gospodarstva istočnim članicama Europske unije, čiji nezaposleni radnici, među kojima su i Hrvati, očajnički čekaju završetak ograničenja koje su razvijenije članice Unije uvele za radnu snagu iz siromašnjih članica, među kojima je opet Hrvatska

Autor: Dražen Katalinić

I dok se gotovo sve europske zemlje bore s rastućom nezaposlenošću, Njemačka je početkom tjedna prvi put objavila popis poslova na kojima želi angažirati radnike, ali iz zemalja koje nisu članice Europske unije! Konkretno su naveli da traže medicinske sestre, njegovatelje za starije osobe, stručnjake iz područja robotike, električare i strojovođe. Kao razlog navode nedostatak radne snage zbog starenja populacije, a ministrica rada Ursula von der Leyen poručuje kako su im potrebni kvalificirani imigranti da bi se osigurala dugoročna dobrobit Njemačke.

Javni poziv nezaposlenima izvan Europske unije samo je još jedna u nizu pljuski najjačeg europskoga gospodarstva istočnim članicama Europske unije, čiji nezaposleni radnici, među kojima su i Hrvati, očajnički čekaju završetak ograničenja koje su razvijenije članice Unije uvele za radnu snagu iz siromašnjih članica, među kojima je opet Hrvatska. Zanimljivo, Njemačka je s Hrvatskom (i Filipinima) prije našeg ulaska u Europsku uniju imala bilateralni sporazum za privlačenje radnika, posebno medicinskih sestara, no najnoviji poziv radnicima za zaposlenje u Njemačkoj više se ne odnosi na Hrvate, jer smo punopravna članica EU. Ipak, predsjednik Hrvatskog društva ekonomista dr. Ljubo Jurčić navodi da je riječ o deficitarnim zanimanjima u Njemačkoj u kojima su Hrvati nalazili posao i za koja se još uvijek mogu prijaviti, no pitanje je hoće li dobiti posao zbog velike konkurencije.
Radnici izvan Europske unije su jeftiniji od radne snage u EU, posebno radnici iz Indije, Pakistana, Bliskog istoka i Afrike koji će raditi za dvostruko nižu nadnicu od Hrvata i tu bi mogao nastati problem – pojašnjava Jurčić. Europska je unija prihvatila model slobodnog kretanja ljudi i kapitala, podsjeća Jurčić, a Njemačka ima višak kapitala, ali manjak ljudi, dok je u Hrvatskoj situacija obrnuta – nemamo kapitala, ali imamo jako puno nezaposlenih i takvu situaciju, koju susrećemo kod siromašnijih zemalja, Njemačka koristi, što baš nije u duhu europske suradnje, zaključuje Jurčić.

Direktora američkog Instituta za svjetske probleme u Hrvatskoj dr. Slavka Kulića takav stav Njemačke uopće ne čudi. Navodi da smo mi Hrvati prijateljstvo između Njemačke i Hrvatske shvatili na način da će nam Njemačka uvijek pomagati i otvarati tržište rada samo za nas, što je potpuno pogrešno razmišljanje.
Prema podacima portala MojPosao.net u prvih sedam mjeseci ove godine u Hrvatskoj su objavljena 334 oglasa za radnim mjestima u inozemstvu, a za rad u Njemačkoj bila su ukupno 64 oglasa ili 19 posto od ukupnog broja inozemnih oglasa. Najviše oglasa rad u Njemačkoj odnosilo se na građevinarstvo i geodeziju, zatim poslovi vezani uz održavanje, popravke i instalacije te IT stručnjaci i poslovi vezani uz telekomunikacije. Hrvati su se, pak, najviše javljali na oglase u kojima su se tražili programeri, voditelji gradilišta i građevnski radnici.
Da će Hrvati i radnici siromašnih članica EU zaista dobiti veliku konkurenciju pri zapošljavanju ne samo u Njemačkoj nego i cijeloj EU, govori i takozvani plavi karton, agenda koju je izdala Eurospka komisija, a koji svim visokookvalificiranim imigranitima izvan EU i njihovim obiteljima jamči sva socijalna prava koja uživaju državljani Europske unije.

Zadnja Promjena: Srijeda, 24 Srpanj 2013 18:53


=== 5 ===


Hrvatsku ne očekuje ništa dobro u Europskoj uniji


29. srpanj 2013. pravda.ru
Hrvatska je postala članica Europske unije. Kakve posljedice donosi ulazak Hrvatske u EU za portal Pravda.ru govori Ana Filimonova, znanstvena suradnica Centra za proučavanje suvremene balkanske krize.

Bez obzira na optimistična očekivanja jednog dijela hrvatske političke elite, Hrvatsku u Europskoj uniji ne očekuje tako vedra budućnost kako se to moglo očekivati. Postoje nesretni primjeri država Istočne Europe (Bugarska, Rumunjska, Mađarska i Poljska) koji su od 2004. ušli u EU. Na njihovom primjeru vidimo jednu te istu tužnu sliku. Kod tih zemalja karakteristični su moćni degradacijski procesi u društvenom i ekonomskom području. Osnovni pokazatelji kvalitete života (razina vanjskog duga, nezaposlenost, životni vijek, odljev stanovništva) padaju i zasad se taj proces ne zaustavlja. Čak se ne može naslutiti ni njegova stagnacija.  
U Hrvatskoj su se ti isti procesi primjećivali i prije ulaska u EU. Ogromni rast vanjskog duga premašuje 40 mlrd. dolara, to je katastrofalna brojka za tako malenu državu. Mađarska ima dug od 50 mlrd. dolara, to je brojka koja se ne da usporediti s nacionalnim budžetom.
Vrlo je visoka nezaposlenost. U Hrvatskoj iznosi oko 20%, no među mladima ta brojka je naprosto zastrašujuća – 50%. Ove zime napravljena je sociološka anketa u kojoj se pokazalo da bi samo 7% hrvatske mladeži željelo ostati u Hrvatskoj. 93% je spremno napustiti svoju domovinu i otići u Austriju, Italiju, Njemačku, SAD, Kanadu.
Potpuno uništenje bankarskog nacionalnog sustava. Sva su nacionalna financijska središta okupirana od strane austrijskih i talijanskih banaka, a sad nakon što je Hrvatska ušla u Europsku uniju u potpunosti će izgubiti svoj nacionalni financijski sustav.
Loša je situacija u proizvodnji, u tom sustavu događa se ista stvar: Njemačka kupuje proizvođačke linije, one postaju njemačkom proizvodnjom a sav prihod se izvozi iz Hrvatske. Hrvatska proizvodnja se zatvara. Država živi na račun turizma.
U Njemačkoj se jasno vidi tendencija nezadovoljstva s tim što je Hrvatska ušla u EU. Djelomično se čuju tvrdnje da je to još jedna država u kojoj će propadati njihove milijarde. 
Hrvatska je na granici ekonomske recesije koja se s poteškoćom zaustavlja. Vlada se oštro kritizira, mnogi je smatraju za jednu od najnetalentiranijih vlada u proteklih 20 godina, budući da slijepo ispunjava sve zahtjeve europske, briselske birokracije. Sve to dovodi do zaključka da se pred Hrvatskom nazire grčko-ciparski scenarij. Morat će napraviti velike strukturne reforme zbog kojih će dobiti udarac po nacionalnoj društvenoj i ekonomskoj strukturi. Recimo, nedavno je vlada Hrvatske donijela odluku da će se plaćati poziv hitne pomoći koji neće koštati manje od 200 eura. Argumentiraju time da postoji jako puno lažnih poziva. No u plaćanje se računa korištenje opreme za reanimaciju, odnosno ako se ona upotrebljava, to znači da poziv nije bio lažan. Taj primjer lijepo prikazuje stanje hrvatske medicine.   
Tijekom ove godine u Hrvatskoj su bili veliki društveni prosvjedi. Ljudi postaju svjesni da ulazak u Europsku uniju neće riješiti ekonomske probleme, samo će pogoršati socijalne prilike u državi“. 
Je li Hrvatska imala neki drugi put osim ulaza u EU?
„Sve balkanske države ovako razmišljaju: što da radimo, mi geografski pripadamo Europi, oko nas je samo Europska unija i države NATO-a. Kako država može biti jača, ako će se podčinjavati institucijama Europske unije i euroatlantskim integracijama, ispunjavati njihove zahtjeve te još više slabjeti i uništavati vlastitu nacionalnu državnost? Danas Europa nije više ono što je bila šezdesetih i sedamdesetih godina, za vrijeme njezinog procvata kad je gospodarila određena društvena ravnopravnost i pravednost.
Pogledajte što se dogodilo s Bugarskom nakon ulaska u EU. Stanovništvo se tijekom zadnjih 10 godina katastrofalno smanjilo. Državu nazivaju zemljom europskih penzionera koji iznajmljuju svoju imovinu u Europi, kupuju jeftine stanove u Bugarskoj i žive tamo od te razlike. Slični procesi se primjećuju i u Mađarskoj. Osim toga, Mađari trenutno jako prosvjeduju, pokušavaju obnoviti nacionalnu ekonomiju.
Hrvate je uvijek karakterizirao zdravi pragmatizam. Upravo je zbog toga za hrvatsku elitu jasno da u ovim uvjetima primjeri istočnoeuropskih država govore o jako mračnoj perspektivi. I zasad takva ista budućnost očekuje Hrvatsku.“

Ana Filimonova je znanstvena suradnica Centra za proučavanje suvremene balkanske krize Ruske akademije znanosti.

=== 6 ===


Okupacija u 26 slika



Prvi mjesec hrvatskog članstva u EU obilježila je vrlo dinamična aktivnost Vlade RH na polju uspostavljanja reda i poretka u državi. To bi bilo za svaku pohvalu jer je kriminalna anarhija stvorena od strane “stranaka s hrvatskim predznakom” velikoj većini građana već odavno dozlogrdila. No, postavlja se pitanje svrhe i ciljeva tih mjera te kome one trebaju donijeti poboljšanje. Da li svim građanima RH, jednom dijelu hrvatskog društva ili nekome trećem. Intencija aktualne hrvatske vlade, kako njeni članovi tvrde, je ispravljanje negativnosti stvorenih za vrijeme HDZ-ovskih vlada. Pitanje je je li to baš tako ili se aktivnost aktualne vlade može shvatiti kao nastavak procesa započetog stjecanjem tzv. neovisnosti.

Da se radi o kontinuitetu jedne antinarodne politike moglo se zaključiti po najnovijem nizu poteza Vlade. Prvi je bio objava da se ide u prodaju Hrvatske poštanske banke i Croatia osiguranja. Nebitno je tko će preuzeti udjele u tim poslovnim subjektima jer njihovom privatizacijom hrvatsko društvo iz svojih ruku ispušta oruđe razvoja, odnosno, kreiranja razvojnog kapitala. Posebna je zanimljivost, što je praksa u cijeloj istočnoj Europi, privatiziranje domaće (hrvatske) državne firme kao što je bio slučaj privatizacije Hrvatskog telekoma od strane njemačke državne firme. Mazohistički dodatak na cijelu tragikomediju bio je svojevremeni izbor namještenika njemačke državne kompanije na mjesto predsjednika Hrvatske udruge poslodavaca.

Druga mjera vrijedna pažnje je povećanje trošarine na motorna goriva što predstavlja jasan dokaz kontinuiteta politike ove sa svim prethodnim hrvatskim vladama. Vrijedi zabilježiti skoro pa antologijsku izjavu ministra financija koji je ustvrdio da će se ti novci vratiti građanima. Jasno je kome se novac uzima. Uzima se svima jednako, bez obzira na primanja, no ministar nije pojasnio kome se, kojem dijelu građanstva, taj novac vraća. Striktno logički gledano, ako se novac uzima svima, a isti u punom iznosu vraća samo određenim klasama građana, onda se ne može reći da se on nekamo vraća. On se nekome daje. Pitanje je kome. I zašto?

Sljedeća postaja hrvatske propasti se zove monetizacija cesta. Ministar financija je domoljubno izjavio da ceste ne (pro)daju ispod tri milijarde eura dok se i sam premijer našao ponukanim da miroljubivo i razborito, u maniri svog prethodnika na čelu stranke, objasni kako je alternativa monetizaciji otpuštanje 30 % zaposlenih u državnim i javnim službama. Jer za njihove plaće, bez monetizacije, novaca nema.

Tu treba napraviti prvu međupostaju u rješavanju ove zagonetke koja to u biti i nije. Premijer i njemu potčinjeni ministri nisu pokazali nimalo razumijevanja za probleme tisuća radnika koji su ostali bez posla tijekom njihovog mandata. Samo mali dio novaca koji se troši i koji će biti potrošen na birokratsku klasu bi spasio mnoga poduzeća, poslovne subjekte kadre stvoriti novu vrijednost, od stečaja. Spasio bi brodogradnju, koja prema izračunima bivšeg direktora riječkog 3. maja ionako posluje pozitivno, jer brodogradnja svojom djelatnošću, neposrednom i kroz kooperante, državnom proračunu daje više no što prima. Svejedno, vlada steže omču oko vrata brodogradnje dok junački brani privilegije klase preplaćenih parazita i neradnika, klase višestruko uvećane od vremena propasti “birokratskog komunističkog sustava”.

Na ovom stupnju razmatranja sve je banalno jasno. Vlada, kako ova tako i prethodne, uzimaju svima kroz trošarine, PDV i slično i daju odabranima. Isto tako, ova i sve prethodne vlade smatraju da imaju pravo prodavati zajedničku stečevinu svih građana Hrvatske, uključujući i protjeranih Srba, a da bi osigurali ugodnu egzistenciju jednom dijelu hrvatskih građana. Samo po sebi se nameće pitanje motiva takvog postupanja. On sigurno nije altruistički premda se u krajnjoj instanci građane opomene da bi odustajanje od takvih mjera dovelo u pitanje isplate mirovina. Prijetnja je to koja svakog savjesnog građanina uznemiri, a osobito umirovljenike i njihove nezaposlene članove obitelji. Prijetnja je to koju je otvoreno uputila ministrica vanjskih poslova pred referendumom o pristupu Hrvatske Europskoj uniji. Ista je prijetnja došla i ovih dana.
U momentu pristupanja EU, u Hrvatskoj je istekao rok za pokretanje postupka za legalizaciju bespravno sagrađenih građevinskih objekata. Podneseno je preko 700 000 zahtjeva, s tim da se veliki broj zahtjeva ne bavi samo jednom nekretninom, već sa više njih. Prema tome, u Hrvatskoj će se legalizirati preko milijun bespravno sagrađenih objekata. Veliki dio njih je sagrađen u vrijeme prijašnjeg sustava kad je društvo stimuliralo izgradnju vikendica, no još više posljednjih dvadesetak godina. Tu se ističu dvije kategorije nekretnina: stambene jedinice koje su sagradili građani protjerani iz BiH, te nekretnine, mahom turističke namjene, izgrađene na moru zadnja dva desetljeća. Radi se o ogromnom bogatstvu hrvatskih građana, ali i budućem velikom poreznom utegu oko vrata vlasnika tih nekretnina. Građani su rado platili postupak legalizacije vlasništva dok je država napravila popis nekretnina o trošku samih vlasnika. Kad vlada, ova ili neka buduća, krene s uvođenjem poreza na nekretnine, većina tih građana će se naći u situaciji da neće moći servisirati svoje “dugove”.
Tu je i problem tzv. fiskalizacije. Jasno je da se treba uvesti reda na tržnicama, kao i svugdje, no postavlja se pitanja svrsishodnosti. Pitanje je koliko će država dobiti od toga, a koliko će ljudi izgubiti kakvu-takvu egzistenciju ostvarenu kroz, neki put polulegalni, rad na tržnicama. Najvjerojatniji rezultat ove mjere, bio on njegov cilj ili ne, je usmjeravanje građana na velike trgovačke centre gdje cijene hrane već divljaju.

Nekretninama, kao mjerama bogatstva, se bavi i zakon o podrijetlu imovine. Kako je to slavodobitno opisala novinarka HTV, također pripadnica armije parazita, građani će morati dokazati gdje su stekli dvjesto tisuća eura za kupnju kuće te da se objašnjenja poput preminulog ujaka u Americi bez dokaza o tome neće prihvaćati.
Posljednja je mjera osobito intrigantna i iritantna. Vrlo različiti ljudi se stavljaju u istu košaru. S kriminalcima koji su izbjegli ruci pravde, a svi veliki kriminalci u Hrvatskoj su je izbjegli, bile bi izjednačene na desetke, ako ne i stotine, tisuća građana koji su, izgubivši nadu za zaposlenje u domovini, posao našli izvan granica Hrvatske. Radi se tu, prije svega, o desecima tisuća mornara, naftaša, profesionalnih vozača, te građevinskih radnika. Ova kategorija ljudi uglavnom radi izvan EU, rade za male, ponekad iznimno male, nadnice. U (prešutnom) dogovoru s poslodavcima, neplaćanje poreza u matičnoj zemlji se podrazumijeva. Veći prihodi se ostvaruju velikim brojem radnih sati. Ti ljudi odsustvuju od svojih obitelji šest, osam ili deset mjeseci na godinu. Oni se ne vode u statistikama za nezaposlenost jer ih je revna Račanova vladao već odavno otud izbrisala. Oni u Hrvatsku donose više svježeg novca od famoznog turizma jer se radi o milijardama dolara na godinu. Za antipod ovoj grupi građana mogu se uzeti dobro plaćeni državni službenici, a osobito vlasnici mnoštva uspješnih privatnih tvrtki koje imaju samo jednog klijenta – državu. Te strukture legalno, no ne i legitimno, pljačkaju državu prelijevajući društveno u svoje privatno. Njih ove mjere neće obuhvatiti, no neke buduće, socijalističke, će se morati pozabaviti i njima.

Iz gore navedenog, može se zaključiti da se država bavi isključivo sama sobom i svojim ogromnim i neefikasnim birokratskim aparatom. Sve se čini da se očuva njegov status premda je jasno da to ne može ići unedogled. Prije ili kasnije, država će morati srezati svoj aparat za gore spomenutih trideset, ili čak i više, posto. Jasno je da i članovi vlade razumiju ovu jednostavnu i neumitnu matematiku, no oni uporno nastavljaju s istom politikom. Razlozi za takve postupke svih naših vlada izlaze izvan okvira ovog članka te će biti objašnjeni u posebnom članku, no za sada treba samo razumjeti da birokratski aparat, u nekoj većoj slici, nema funkciju da služi svojoj državi i narodu, već da stvara deficit i zemlju gura u dugove. Kad se zemlja zaduži do dizajnirane razine, birokratski će aparat biti djelomično demontiran. No tada će već biti kasno za bilo kakve suštinske promjene.

Tijekom povijesti, pojedinci ili narodi su dolazili u ovakvu bezizglednu situaciju nakon velikih nepogoda poput suša, poplava, najezde skakavaca, peronospore, agresije i okupacije barbara i slično. Hrvatskoj se nijedna od spomenutih nedaća nije dogodila, no dogodio joj se ekvivalent za sve njih uzetih skupa. Dogodio joj se HDZ. HDZ je uništio industriju, poljoprivredu i domaću znanost te stvorio klijentalističko društvo u kome su postupno u građane drugog reda gurane cjele skupine stanovništva. Započeli su sa Srbima da bi danas tamo završili svi koji nisu povezani s vlašću. Oni su doveli državu u stanje u kome nijedna vlast skoro da nema manevarskog prostora. Oni su krivi za stvaranje uvjeta za potpuno podjarmljivanje Hrvatske od strane neoimperijalističkih i neokolonijalnih snaga. Ipak, politika prethodnih vlada ne abolira aktualnu. Sadašnja vlada predstavlja zlosretan spoj iskustva i mladosti, spoj makijavelizma i potpune nekompetentnosti. Aktualni ministar financija je još prije dvanaest godina svojim glasačima, opljačkanim i ojađenim radnicima, objasnio da SDP nije stranka rada, već stranka kapitala. Navedene mjere aktualne vlade, a one mahom dolaze iz Ministarstva financija, to zorno i pokazuju. Još gore je s Ministarstvom gospodarstva gdje je na čelo došla osoba koja spada među iznimne raritete. Naš vrli ministar iskreno vjeruje u najprimitivniju filozofiju ikad oblikovanu ljudskim umom. On vjeruje u nevidljivu ruku tržišta. On vjeruje u investicije. Veliki “privatni ulagači” će doći u Hrvatsku, investirati svoje novce, cijelih 50 milijardi kuna, te nas izvući iz kronične krize. Po podacima iz javnih medija od prije dvije godine, jedan od najbogatijih Hrvata, poduzetnik i gradonačelnik, u to je vrijeme dvije trećine svog bogatstva (radi se o 50 milijuna kuna) radije držao oročeno u banci umjesto da investira u zemlju koja mu je omogućila da se vine od mjesta skladištara u lokalnom poduzeću do političke, poslovne i medijske zvijezde. Pedeset milijuna kuna predstavlja jedan promil od potrebnih milijardi o kojima ministar sanja. Jasno je da bogati Hrvati, čak i kad bi htjeli, ne mogu investirati potrebnu sumu. Trebaju doći stranci, investitori koji će odustati od Kine, Turske, Poljske itd. da bi došli u Hrvatsku. Ako zanemarimo nacional-romantičnu retoriku, jedini razlog dolaska investitora bila bi niska cijena rada. Onoliko niska koliko je potrebno.

Spomenuta dva ministra predstavljaju paradigmu mučne hrvatske realnosti. Oni su nastavljači zločina koji je započeo prije dvadeset i tri godine. Svjesno ili nesvjesno, oni produbljuju krizu i zemlju drže na pogrešnom kursu. Oni su, baš kao i stotine tisuća pripadnika njihove klase, odgovorni za sadašnjost i budućnost, tim prije što su

(Message over 64 KB, truncated)



Croazia, Unione Europea. La linguista Snježan Kordić subisce violente intimidazioni perché da sempre sostiene scientificamente il carattere unitario della lingua serbocroata. La sua macchina è stata fatta oggetto di teppismo dai nazionalisti locali.
S. Kordic da anni porta avanti pressoché in solitudine la sua limpida attività di slavista: nel mondo accademico europeo prevalgono infatti squallide figure di opportunisti, del tipo di quelli che hanno subito diviso e rinominato le cattedre di lingua serbocroata in cattedre di "croato", "serbo", eccetera, non appena è scoppiata la guerra fratricida nel 1991... con la benedizione della Unione Europea. Fascismo euro-universitario!

Sul lavoro di S. Kordic e sulla surreale controversia linguistica serbo-croato-bosgnacco-montenegrina si veda la documentazione raccolta alla nostra pagina:

---


VANDALI U AKCIJI


Jezikoslovki Snježani Kordić pred stanom razbijen auto


Pred zgradom u kojoj živi u Zagrebu, Snježani Kordić, jezikoslovki koja je tezom da su hrvatski i srpski jedan policentrični jezik uzburkala jezikoslovne i nacionalističke duhove u Hrvatskoj i Srbiji, zasad nepoznati počinitelj razbio je vjetrobransko staklo na automobilu

Automobil je razbijen prošlog vikenda, a vandalski čin prijavljen je policiji koja je u nedjelju obavila očevid. Razbijač se popeo na auto kako bi nogom polupao staklo i pritom ostavio vidljive otiske cipela na limariji. 
Kordić želi zadržati kakvu-takvu anonimnost u Hrvatskoj nakon što je, kako tvrdi, primila brojna prijeteća pisma zbog svoje knjige 'Jezik i nacionalizam' u kojoj kritizira dobar dio domaće jezikoslovne zajednice.
Podsjetimo, u spomenutoj knjizi objavljenoj 2010. kod Durieuxa Kordić je pisala o kroatistici, razgradila mitove o jeziku i naciji, ukazala na učinke jezičnog purizma, a ono što je najviše uzburkalo strasti bila je teza o hrvatskom i srpskom kao jednom policentričnom jeziku kojim govori nekoliko nacija u nekoliko država, s prepoznatljivim nacionalno uvjetovanim razlikama, kao u slučaju engleskog, njemačkog, francuskog i drugih takvih jezika. 
Znanstvenica koja je petnaest godina predavala na sveučilištima u Njemačkoj svoj je stav potkrijepila i dokazima, među kojima i onima o graničnoj zoni za uvrštavanje u isti jezik koja se nalazi između 75 i 85 posto međusobne razumljivosti, a hrvatski i srpski čak su znatno iznad tog postotka. Reakcije na knjigu i na preko trideset intervjua autorice bile su vrlo burne i u Srbiji.