Informazione
Le 17 septembre 2018, le secrétaire US à la Défense, le général Jim Mattis, est arrivé à l'aéroport de Skopje (Macédoine). Le personnel de l'ambassade US ne semble pas l'accueillir avec enthousiasme et son homologue macédonien est absent...
Partito Comunista di Grecia (KKE) | kke.gr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
02/10/2018
Il dato principale emerso durante il referendum di ieri è stato la scarsa affluenza della popolazione dell'ex Repubblica jugoslava di Macedonia (Former Yugoslav Republic of Macedonia, FYROM), nonostante la pressione esercitata dal paese vicino di un folto gruppo di personalità della NATO, degli USA e dell'UE schierate per l'approvazione dell'Accordo di Prespa e per accelerare il processo di adesione del paese nelle organizzazioni imperialiste di cui sopra.
Nonostante la pressione internazionale, la scarsa partecipazione al referendum che poneva la questione di aderire o meno all'integrazione nella NATO e nell'UE, accettando l'Accordo, dimostra che una parte della popolazione dell'ex Repubblica jugoslava di Macedonia ha una posizione negativa, o almeno un atteggiamento prudente nei confronti del ricatto contenuto nel quesito referendario: ossia che l'adesione a queste alleanze - sfavorevoli alle popolazioni - costituisca l'unica opzione possibile.
I risultati del referendum esprimono soprattutto le acute contraddizioni interimperialiste tra NATO - USA - UE da un lato e Russia dall'altro, nonché l'intervento delle forze nazionaliste..
Il governo SYRIZA - ANEL risulta compromesso per aver promosso, portando la bandiera della NATO, il ricatto di far approvare questo pericoloso accordo. Si dimostra ancora una volta che l'espansione delle alleanze imperialiste non può essere una risposta al nazionalismo, che è il rovescio della stessa medaglia.
La posizione avventurista di Zaev, che in sostanza ha annunciato di voler ignorare la bassa affluenza al referendum, mette in evidenza l'essenza della democrazia borghese. Non è la prima volta che si tenta di rovesciare i risultati di un referendum non graditi dai centri imperialisti. Su questo tema, il signor Tsipras può offrire una grande esperienza al signor Zaev.
È ovvio che nel futuro prossimo continueranno le pressioni per far accettare l'Accordo ai due popoli e che progredisca l'integrazione euro-atlantica nei Balcani occidentali. Gli antagonismi tra le grandi potenze, che stanno trasformando la regione più ampia in una polveriera, continueranno e si intensificheranno.
Il KKE invita il popolo greco e il popolo dell'ex Repubblica jugoslava di Macedonia a delineare la loro lotta comune sulla base della solidarietà e del genuino internazionalismo, contro il nazionalismo e l'imperialismo, contro la NATO e l'UE e i loro governi e partiti. Su queste basi si può trovare una soluzione reciprocamente accettabile, tralasciando tutti i fenomeni irredentisti, con l'adozione di un nome che contenga un riferimento geografico.
Atene 1/10/2018
Ufficio stampa del CC del KKE
Traduzione
Rachele Marmetti
Il Cronista
by the NATO Secretary General Jens Stoltenberg and the President of the European Council Donald Tusk on the consultative referendum in the former Yugoslav Republic of Macedonia¹
DI ALBERTO TAROZZI
I greci avrebbero accettato una modifica della denominazione da loro fin qui imposta (Fyrom, che suona più o meno Repubblica di Macedonia della ex Jugoslavia) in una versione che doveva suonare come Macedonia del nord. Così facendo avrebbero anche tolto il veto alla entrata dei macedoni nella Ue.
L’iter per l’approvazione definitiva del cambio del nome non era comunque semplice. Dapprima il parere consultivo del referendum. Poi il voto del Parlamento macedone con la maggioranza dei due terzi. Infine un voto del parlamento greco. Sulla carta dunque referendum in sé importante ma non decisivo. Da come sono andate le cose, invece, risulterà probabilmente tale.
E’ andata infatti che il quorum è rimasto ben lontano (35% di votanti anziché il 50+1). Adesso il già difficile passo successivo si presenta come missione impossibile. Sulla carta infatti il parlamento vede 73 favorevoli al cambio del nome su 120 eletti. Mancanti 7 voti che i favorevoli pensavano di recuperare sull’onda di una marea di sì al referendum. Senza onda l’impresa diventa disperata e paiono avere ragione quei sostenitori del No che esultano nelle piazze.
Ma è una questione solo greco-macedone o si tratta di un problema internazionale? Senza dubbio è la seconda la risposta giusta. Non a caso il quesito referendario domandava non solo l’assenso alla nuova denominazione, ma indicava anche come, di conseguenza, l’elettore esprimesse parere favorevole all’entrata nella Ue e addirittura nella Nato. Qualcuno riteneva che così il Sì sarebbe divenuto più attraente, ma così non è stato.
I contrari, che si presentano come conservatori, ma sono anche filorussi sul piano internazionale, hanno saputo far valere non solo l’orgoglio nazionale, ma anche alcune contraddizioni della recente storia politica locale. L’equilibrio politico della Macedonia si era a lungo basato sul fatto che al governo del paese ci fosse una coalizione che contenesse un partito degli slavi e uno della minoranza albanese. Una sorta di vaccinazione contro eventuali guerre etniche di cui, sia pure per un periodo relativamente breve, anche i macedoni avevano sofferto.
Viceversa l’attuale coalizione maggioritaria (filo occidentale) vede al governo il partito socialdemocratico slavo e a lui alleati tre partiti albanesi. All’opposizione, e alla presidenza della Repubblica, i rappresentanti del partito slavo e conservatore, ma nemmeno un partito albanese. Prima di risolvere la questione in parlamento erano volati pugni e schiaffi.
Poi era prevalsa l’accettazione di un governo Zaev cui bastava sì il 50 % + 1 degli eletti per governare il paese. Ma al quale non bastano 73 parlamentari su 120 per ratificare l’accordo con i greci. Tanto più dopo che l’opposizione e la presidenza della Repubblica si erano espresse per il boicottaggio.del referendum
Macedonia dunque ancora lontana dalla Ue e non tanto vicina alla Nato, con grande soddisfazione della Russia, che intravvede la possibilità che la Macedonia Fyrom possa rappresentare una tappa dei suoi futuribili gasdotti.
Delusione anche per Tsipras che con la Ue avrebbe potuto probabilmente acquisire qualche merito in più. Delusi anche quegli intellettuali come Toni Negri e Etienne Balibar che avevano firmato una sottoscrizione a favore della nuova denominazione, a sbloccare un contenzioso greco macedone pluridecennale.
Zaev appena conosciuto l’esito, ha sostenuto che l’opposizione dovrebbe rispettare il volere dei cittadini che hanno partecipato al referendum votando Sì al 91%, alla modifica del nome del paese in parlamento. Zaev ha anche detto che se ciò non accadesse si dovranno fare elezioni anticipate. Là dove il clima si preannuncia particolarmente caldo.
La storia non permette rotture. Ogni cosa a suo tempo e questo non pare essere il tempo della Macedonia del nord.
Наводно не знамо какво се решење припрема за статус Косова и Метохије. Наводно позиције преговарача још увек су удаљене па смо још далеко од договора, односно, од решења. Наводно, Београд и Приштина преговарају а други само подржавају „свеобухватан“ договор који ће бити у интересу мира...
VIDEO: https://www.facebook.com/237292086351340/videos/1903920453033752/
Реч амбасадора Драгомира Вучићевића на промоцији књиге „1244 – кључ мира у Европи“ 28. септембра 2018. у СКЗ
Прилог одбрани права Србије на Косово и Метохију
У Српској књижевној задрузи промовисана је књига „1244 – кључ мира у Европи“, аутора Живадина Јовановића, дипломате и министра инстраних послова Југославије (1998. – 2000.). У присуству представника медија о књизи су говорили: Драгн Лакићевић, главни уредник Српске књижевне задруге, проф. др Мило Ломпар, Драгомир Вучићевић амбасадор у пензији и аутор.
Књига је збирка чланака, интервјуа и јавних иступања аутора објављених у домаћим и страним медијима у периоду од 1997. до септембра 2018. године (890 стр.) Подељена је у 5 поглавља – Време тероризма, Време агресије, Време илузија, Време отрежњавања и Прилози. Рецезенти су академик Владо Стругар, проф Мило Ломпар и амбасадор Чедомир Штрбац, а уредници амбасадор Драгомир Вучићевић и књижевник Драган Лакићевић. Издавачи су Београдски форум за свет равноправних и Српска књижевна задруга.
Говорећи о књизи, професор Мило Ломпар је указао да она одражава континуитет ставова аутора у заступању државотворног и националног интереса Србије и српског народа, који се препознаје у његовом вешедеценијском дипломатском раду и јавним иступањима. Истицање значаја Резолуције СБ УН 1244, треба разумети као израз дугорочног али и актуелног погледа на значај Косова и Метохије за Србију и српски народ. Питање Косова и Метохије дубоко задире у питање националне егзистенције и свести, а књига Живадина Јовановића снажно реафирмише државотворну традицију српског народа успостављену у 19. веку – нагласио је, поред осталог, професор Мило Ломпар. Као посебну вредност књиге, он је истакао њен документарни карактер.
Амбасадор Вучићевић је као основне тезе аутора издвојио: потребу да се Србија више окрене себи и својим дугорочним интересима а мање актуелним очекивањима од међународних фактора који се у односу на Србију руководе искључиво својим експанзионистичким геополитичким циљевима. Србија треба да се држи основних принципа међународног права и одлука СБ УН, свидело се то некоме или не, да гради уравнотежене однесе са свим међународним чиниоцима, а посебно са пријатељима који нису учествовали у агресији НАТО нити су признали једнострану сецесију. Вучићевић је издвојио и став аутора да је Европска унија потребна Србији само онолико колико је Србија потреба Унији, те да је чланство у ЕУ легитиман циљ уколико није условљено одрицањем од суверенитета и територијалног интегритета. Праведно и одрживо решење за Косово и Метохију могуће једино на основу поштовања принципа Повеље УН, Завршног документа ОЕБС-а, Резолуције СБ УН 1244 и Устава Србије. Настојања да се Србији уценама наметну решења која представљају легализацију кршења тих принципа и одлука водили би продубљивању нестабилности и гомилању конфликтног потенцијала на Балкану и у Европи – упозорио је Вучићевић.
Аутор је подсетио да се до Резолуције СБ УН 1244 дошло тешким двомесечним преговорима током агресије НАТО, уз посредовање Русије. По њему ни данас нема изгледа за постизање уравнотеженог, праведног и одрживог решења у билоком ужем формату, без директног учешћа Русије. Резолуција СБ УН 1244 је компромис интереса Србије али и интереса свих кључних чинилаца европских и светских односа укључујући Русију и Кину као сталне чланице СБ УН и силе растуће глобалне моћи. Ако агресија НАТО-а 1999. године није могла да се оконча без директног ангажовања Русије председника Јељцина, онда је данас, у условима мултиполарних светских односа, директно ангажовање Русије председника Путина у решавању проблема који су последица те агресије, императив. Покушај решавања проблема Косова и Метохије у уском оквиру ЕУ израз је тежњи да се искључе Русија и Кина и да се уценама наметну једнострани геополитички интереси Запада, односно ЕУ и НАТО. Ти интереси су огољени - конфронтација са Русијом и Кином
Прихватање или мирење са таквим настојањима не би водило одрживом компромису већ даљој дестабилизацији Балкана и Европе. Формат преговора у Брислу без Русије, подсећа на формат преговора у Минхену када су западне силе, тачно пре 80 година «бранила» људска права припадника нем,ачке националне мањине и «спашавале» мир силом одузимајући Судетску област од Чехословачке, игноришући супротне ставове СССР-а и спречавајући његову улогу. Ко је у том „споразумевању“ учествовао а ко је био искључен и до чега је „свеобухватни правно обавезујући споразум“ од 30. септембра 1938. довео, добро је познато – упозорио је Јовановић.
28. септембар 2018.
L'accordo tecnico-militare è una delle testimonianze più significative del dominio della politica di forza nelle relazioni, che non portarono mai nulla di buono né alla Serbia né all'Europa, né al mondo intero. La Serbia fu la prima vittima di una strategia di dominio e interventismo che, dopo il 1999 e il 2000, assunse un carattere globale.
L'aggressione della NATO del 1999, fin dall’inizio, non ha portato i risultati sperati dai pianificatori di Washington, Londra e Bruxelles, in quanto la S.R.J. (Difesa della Serbia) ha dimostrato di essere molto più forte e più dura di quanto da essi auspicato.
Parallelamente, all'interno dell'Alleanza ci sono stati conflitti, perché i generali americani non prendevano molto in considerazione le opinioni dei loro colleghi degli eserciti alleati europei sulla gestione delle operazioni, sulla scelta degli obiettivi e non solo.
Sul piano mediatico, l'Occidente stava vivendo fallimenti a causa delle bugie e delle pianificazioni come, ad esempio, il "Piano ferro di cavallo".
In queste condizioni, per la NATO e i governi degli stati membri era sempre più difficile mantenere il sostegno dell’opinione pubblica. Le proteste si moltiplicavano non solo nei paesi amici, specialmente in Russia e Cina, ma anche in tutto l'emisfero occidentale.
La Jugoslavia, attraverso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, chiese un'azione di condanna della violazione della Carta delle Nazioni Unite; chiese altresì che venisse dato l’ordine di cessare l’aggressione. Inoltre cercò di far condannare l’aggressione e gli aggressori, e fermare la devastazione, le sofferenze delle persone, l’avvelenamento e la distruzione dell’ambiente, agendo in centri internazionali, come Ginevra (ONU), Vienna (OSCE), Parigi (UNESCO), L'Aia (Corte di giustizia), Nairobi (UNEP).
La nostra diplomazia in tutto il mondo ha insistito sulla condanna degli attacchi illegali, mettendo in evidenza, in particolare, il pericolo di creare un precedente che metterebbe in discussione l'intero sistema di sicurezza, per decenni pazientemente costruito sull’eredità della seconda guerra mondiale. Tutto ciò non ha avuto un impatto diretto sul processo decisionale nei forum internazionali, ma ha anche creato insoddisfazione e resistenza a livello internazionale, specialmente nell’opinione pubblica dei principali stati membri della NATO. Né i politici né i comandanti della NATO potevano ignorare tutto questo.
Nel processo di creazione di questo pacchetto di pace, tutte le principali potenze del mondo moderno sono state coinvolte direttamente, tra cui Russia e Cina, tutti i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'ONU, tutti gli Stati membri del G8, l'Unione europea e la NATO.
In queste condizioni, da e attraverso la Russia, fin dall'inizio dell'aggressione, ci sono state iniziative finalizzate a trovare il modo di porre fine alla guerra.
La notizia dell’inizio dell'aggressione contro la Serbia (SRJ), ha sorpreso e irritato l'amministrazione di Bill Clinton, che era abituato ad un alto livello di cooperazione di Mosca, determinando l’inversione di rotta dell’aereo del primo ministro Yevgeny Primakov sopra l'Atlantico, con conseguente annullamento della sua visita a Washington e dei colloqui programmati con il vice presidente Al Gore.
In seguito, questo episodio porterà Al Gore e Clinton a chiedere a Jeltsin di nominare Viktor Chernomyrdin come suo inviato personale e mediatore nei negoziati con Slobodan Milosevic, escludendo totalmente Primakov, logico interlocutore.
In particolare, Milosevic e Primakov si conoscevano molto bene, si rispettavano a vicenda dato che, per un certo numero di anni, avevano condotto colloqui diretti, sia in merito alle questioni delle relazioni bilaterali, sia per la risoluzione della questione del Kosovo e Metohija.
Inoltre, durante le prime settimane dell'aggressione della NATO, Primakov, per conto della Russia, aveva mantenuto regolari contatti con i primi ministri di Germania (Gerhard Schroeder), Francia (Lionel Jospin), Gran Bretagna (Tony Blair), Italia (Massimo d'Alema), così come con i rappresentanti dell'amministrazione statunitense.
Primakov era quindi lo statista russo più informato su tutto ciò che era significativo sulla questione del Kosovo e Metohija.
Ma questo non servì a nulla. Gli americani non volevano Primakov ma Chernomyrdin, e Jeltsin ci teneva all'opinione degli americani.
Chernomyrdin, da un lato, teneva colloqui con i rappresentanti dell’amministrazione degli Stati Uniti; soprattutto con il Vice Presidente Al Gore e il Vice Segretario di Stato Strobe Talbott, con Martti Ahtisaari, che aveva lo status di SG delle Nazioni Unite e l'Unione europea, e con i leader dei principali paesi occidentali, e dall’altra parte, con il presidente Slobodan Milosevic.
Durante l'aggressione, Chernomyrdin ha visitato Belgrado quattro volte e ha tenuto colloqui con Milosevic, con la partecipazione di Milan Milutinovic, il presidente della Serbia, Nikola Sainovic, vice primo ministro, Zivadin Jovanovic, il Ministro degli Esteri e altri.
Dopo diversi round di negoziati e la mediazione, il 2 giugno 1999, Marty Ahtisaari e Viktor Chernomyrdin arrivarono a Belgrado e diedero a Slobodan Milosevic il testo del documento sulla fine della guerra.
Durante i colloqui a Palazzo Bianco di Belgrado, la parte jugoslava cercò di apportare alcune modifiche al documento, al fine di garantire un maggiore rispetto degli interessi della Serbia e della Jugoslavia, ma senza risultati.
In risposta alla mia domanda posta a Chernomyrdin sul perché il testo prevedesse l'implementazione del cap. 7 e non del cap. 6 della Carta delle Nazioni Unite, come concordato nei precedenti cicli di colloqui, Martti Ahtisaari, posando teatralmente il braccio sopra la spalla di Chernomyrdin disse: "Perché lo abbiamo deciso io e mio fratello Chernomyrdin".
Il giorno seguente, il 3 giugno 1999, il documento fu accettato dall'Assemblea nazionale della Serbia e Ahtisaari e Chernomyrdin lasciarono Belgrado. Il bombardamento venne ripreso.
Kosovo e Metohija non devono essere considerati come persi perché persi non sono.
Il negoziato che viene offerto nel cosiddetto capitolo 35 intrapreso con l’UE, le pressioni e il ricatto, confermano che Kosovo e Metohija continuano ad appartenere alla Serbia.
La realtà sostenuta dai commissari di Bruxelles, Washington, Londra e Berlino è che la Serbia è limitata nella sua posizione negoziale.
Il giorno successivo, il 4 giugno, sulla base del documento di Ahtisaari-Chernomyrdin, sul confine jugoslavo-macedone iniziarono i negoziati per il raggiungimento dell'accordo tecnico-militare. Questi negoziati durarono sei giorni, dal 4 al 9 giugno 1999. Furono tenuti in condizioni di continuo bombardamento del paese e, secondo la testimonianza della nostra delegazione, furono estremamente difficili. A causa di atteggiamenti contraddittori, i negoziati venivano frequentemente interrotti per permettere ad entrambe le delegazioni di effettuare le consultazioni.
In uno di questi momenti, la nostra delegazione ha consegnato alla controparte un foglio con il seguente contenuto:
1. La parte Jugoslava dichiara che, ai sensi del paragrafo 2 e 10 del documento di Ahtisaari-Chernomyrdin, è pronta per iniziare il ritiro delle forze dal Kosovo e Metohija in conformità con il piano, che è stato concordato in una riunione di rappresentanti militari il 5 giugno del 1999, tra le delegazioni guidate rispettivamente dai generali Blagoje Kovačević e Mike Jackson. L'inizio del ritiro in conformità con il documento di Ahtisaari-Chernomyrdin implica la sospensione del bombardamento.
2. Tutte le altre questioni relative alla risoluzione della crisi, secondo il piano M. Ахтисари - В. Chernomyrdin, sono di competenza del Consiglio di sicurezza dell'ONU.
Anche questo dettaglio illustra non solo il corso dei negoziati e il rapporto di rispetto tra le parti negoziali, ma la posizione iniziale forte e chiara della parte jugoslavo-serba.
Inoltre, i problemi tecnici e tutte le altre questioni legate alla soluzione politica della crisi, in accordo con il documento di Ahtisaari e Chernomyrdin, devono essere di competenza esclusiva del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e non possono essere oggetto di negoziati con i rappresentanti della NATO, cioè, della KFOR.
Una tale posizione di principio e la necessità della sua affermazione coerente, a tutt’oggi, non ha perso d’importanza.
Al contrario, questo principio negoziato, concordato, accettato e difeso durante l’aggressione militare non può essere dimenticato o occultato in tempo di pace e di "offerte", non importa quanto grandi siano le pressioni e le insidie attuali.
L'accordo tecnico-militare, noto come Accordo di Kumanovo, è stato firmato, a nome della parte jugoslavo-serba, dal generale VJ Svetozar Marjanovic e dal generale-tenente della polizia della Serbia Obrad Stevanovic e, per conto della KFOR, dal generale britannico Mike Jackson.
Durante i negoziati, Slobodan Milosevic ha condotto una lunga conversazione telefonica con Ahtisaari.
In tale circostanza, mi sono trovato vicino a Milosevic e ricordo che, durante quella conversazione, ho insistito sul fatto che l'Accordo tecnico-militare non può snaturare il documento del 3 giugno e che la KFOR, con il mandato delle Nazioni Unite, deve essere il garante di pari sicurezza per tutti i cittadini in Kosovo e Metohija.
Immediatamente dopo la firma dell'Accordo tecnico militare a Kumanovo, il 9 giugno 1999, in serata, tutte le ambasciate, le missioni e i consolati della SRJ ricevettero informazioni e istruzioni urgenti, con i seguenti elementi:
- l'accordo tecnico-militare rappresenta la concretizzazione di una parte del documento di Ahtisaari-Chernomyrdin del 3 giugno 1999. Prevede un graduale ritiro delle nostre forze militari e di sicurezza, con il dispiegamento sincronizzato delle forze delle Nazioni Unite (KFOR).
Si è cercato di non creare situazioni di vuoto di sicurezza eventualmente utilizzabili dai terroristi per mettere in pericolo i cittadini in KiM (Kosovo i Metohija). Il testo è privo di contenuto politico che la parte avversa ha cercato di imporre.
- la leadership e il governo della FSRJ sono rimasti coerenti con gli obiettivi della difesa del paese contro l'aggressione e una soluzione politica pacifica in KiM (Kosovo i Metohija).
- da una situazione di aggressione e distruzione da parte della NATO, la questione è stata trasferita all'ONU su una serie di diritti e principi.. L'ONU si assume grandi responsabilità, ha l'opportunità, dopo tre mesi di sospensione e blocco completi, di recuperare parte del prestigio e della fiducia perduti.
- l'ONU ha la responsabilità speciale di garantire la sicurezza di tutti i cittadini del KiM (Kosovo i Metohija), di eliminare il terrorismo e l'organizzazione terrorista UCK, di disilludere le possibilità di realizzare idee e progetti separatisti, di creare le condizioni per il processo politico e i negoziati sull'autonomia, sulla base del rispetto dell'uguaglianza di tutti i cittadini e le comunità nazionali, sovranità e l'integrità territoriale della Serbia e della SRJ.
- la forza e l'efficienza della nostra difesa, l'unità delle forze difensive, del popolo e della leadership hanno sbalordito il mondo. Il più grande macchinario militare della storia che ha intrapreso una "operazione chirurgica" e "blickrig" non è riuscito a conquistare il paese pronto a difendersi. La nostra nazione è un vincitore morale.
- Il mondo è diventato consapevole dei pericoli posti dalla strategia della NATO come poliziotto mondiale.
- Il tempo mostrerà molteplici effetti devastanti dell'aggressione della NATO contro un Paese sovrano europeo, con la grave violazione della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale in generale, con l'imposizione della forza al di sopra della legge.
- La NATO, e le forze dietro di essa, non hanno nulla di cui vantarsi, hanno perpetrato inganni, distruzione e massacri di civili, hanno usato in modo criminale missili all'uranio impoverito e causato la conseguente catastrofe umanitaria in nome della "protezione dei diritti umani".
- Invece di "preservare la loro faccia" con "operazione lampo", hanno svelato a tutto il mondo di aver violato l'ordine giuridico mondiale, di essere i portatori dell'egemonia e fonte di destabilizzazione globale.
- Il nostro governo rispetterà coerentemente gli obblighi assunti. Ci aspettiamo lo stesso da tutti gli altri. Soprattutto per rispettare la sovranità e l'integrità territoriale della Serbia e della SRJ. Siamo aperti alla cooperazione con altri paesi e organizzazioni internazionali, nel rispetto dell'uguaglianza.
- Esigiamo e lotteremo per: a) determinare la responsabilità di chi ha dato l’ordine e chi ha eseguito l’aggressione come crimine contro la pace e l'umanità; b) avere un risarcimento per danni di guerra a economia, infrastrutture, servizi pubblici, città, villaggi e tutto il resto; c) l'abolizione di tutte le sanzioni e la restituzione dei diritti di associazione sospesi nelle organizzazioni internazionali.
- L'ordine è: la sospensione istantanea delle aggressioni, con il ritiro dal KiM in 11 giorni.
- È in corso la discussione sulla risoluzione SB (consiglio di Sicurezza ONU). Non abbiamo partecipato alla stesura della risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Diverse disposizioni sono per noi sfavorevoli, riflettendo gli sforzi dell'aggressore per giustificare e legittimare l'aggressione e i crimini. Riflette il rapporto globale delle forze, comprese le debolezze della Russia.
Tuttavia, il documento, di fatto, testimonia l'aggressione, la distruzione e il gran numero di vittime umane; la Provincia KiM, è presa dalle mani della NATO e posta sotto l'autorità del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite; si apre quindi la possibilità di una migliore protezione degli interessi legittimi del paese; il rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale del paese è confermato; si va verso il processo politico per la risoluzione dello status della Provincia come autonoma e con autogoverno, all'interno della Serbia, con la garanzia dell'uguaglianza di tutte le comunità nazionali; si condanna il terrorismo e si stabilisce l'obbligo di disarmare l'organizzazione terrorista UCK; è previsto il ritorno dei contingenti del nostro esercito e della polizia; si sta aprendo la possibilità di ricostruzione, sia nel KiM che in tutta SRJ e nella regione.
- La menzione degli "Accordi di Rambouillet" nel documento del 3 giugno e nella bozza di risoluzione SB è solo una delle dimostrazioni degli sforzi degli Stati Uniti e di altri per dimostrare che essi hanno, apparentemente, il diritto di presentare una tesi sulla continuità dei loro tentativi di "pace" e di giustificare l'aggressione. Ciò, tuttavia, si applica solo ai principi di autogoverno e autonomia, che non sono stati contestati da noi, ma non sui documenti nel loro insieme, specialmente sui capitoli II, V e VII. Rambouillet è stato un tentativo di fornire un alibi per l'attuazione del piano per l'aggressione armata.
Cosa dire oggi, 20 anni dopo?
In primo luogo, l'Accordo tecnico-militare è una delle testimonianze più significative del dominio della politica di forza nelle relazioni, che non portarono mai nulla di buono né alla Serbia né all'Europa, né al mondo intero. La Serbia fu la prima vittima di una strategia di dominio e interventismo che, dopo il 1999 e il 2000, assunse un carattere globale.
L'aggressione della NATO del 1999, fin dall’inizio, non ha portato i risultati sperati dai pianificatori di Washington, Londra e Bruxelles, in quanto la S.R.J. (Difesa della Serbia) ha dimostrato di essere molto più forte e più dura di quanto da essi auspicato.
Nel frattempo, gli abitanti di molti paesi, sulla propria pelle, hanno sperimentato il vero significato di un intervento "umanitario", "diritto alla protezione" e "democratizzazione" attraverso "rivoluzioni colorate". Era il piramidale, gerarchico, ordine mondiale che, avendo avuto il suo periodo di massimo splendore, gradualmente, come il sedimentare del terreno dopo l'eruzione vulcanica, volge al termine.
Sono in corso cambiamenti più profondi e completi dell'ordine mondiale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
La costruzione un nuovo ordine mondiale multipolare, basato sui principi di uguaglianza, sull’interesse reciproco e su un maggior ruolo del diritto internazionale, sta inesorabilmente scuotendo la strada, aprendo lo spazio per la democratizzazione delle relazioni internazionali. La resistenza dei centri di potere occidentali e gli sforzi per preservare, a tutti i costi, i privilegi e le vecchie relazioni superate, sono la fonte di grandi pericoli. Il riconoscimento di nuove realtà e l'accettazione della collaborazione come base delle relazioni tra grandi e piccoli sono l'unica via per la pace, la salvezza e il progresso della civiltà.
In secondo luogo, l'Accordo tecnico-militare è parte integrante del pacchetto di pace le cui parti essenziali risultano essere il Documento Milosevic-Ahtisaari-Chernomyrdin, del 3 giugno, e la Risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'ONU 1244 del 10 giugno 1999.
Questi tre documenti, nei contenuti e nella forma, rappresentano un’unità nel suo complesso e nessuno di essi può essere giudicato isolato dagli altri.
Oltre alla Costituzione, per la Serbia, questi documenti sono gli unici parametri affidabili e stabili per l'orientamento e il funzionamento nelle condizioni di grandi sfide, profondi cambiamenti e confusione. Questi documenti, forse, non sono sufficienti, ma l’uscita della Serbia in uno spazio completamente aperto e non demarcato, in cui i poteri forti di una parte del mondo non vedono e non riconoscono niente e nessuno, tranne i loro interessi egoistici, equivarrebbe al gioco d'azzardo. La saggezza e il coraggio nel difendere i diritti e gli interessi acquisiti attraverso la lotta e i grandi sacrifici delle generazioni precedenti escludono qualsiasi unilateralismo, occasionale sottovalutazione del carattere nazionale, della storia o della spiritualità. Dobbiamo essere consapevoli che la glorificazione delle donazioni, degli investimenti e dei benefattori di quei paesi e leader, le cui politiche negli anni '90 hanno inflitto danni enormi al popolo serbo – sua spaccatura, satanizzazione, sanzioni, bombe e armi radioattive - non è in linea con la preoccupazione di preservare l'identità nazionale, la dignità e una vita migliore.
In terzo luogo, questo pacchetto di pace è parte integrante del sistema di diritto pubblico internazionale, per cui ha il carattere giuridico vincolante in generale. Carattere imperativo della risoluzione SB UN 1244 rende questo pacchetto di pace un segmento con più grande potere legale nella gerarchia degli atti giuridici e, pertanto, non può essere cambiato, annullato o ridotto, con un qualsiasi nuovo atto giuridico o politico, a meno di una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dello stesso valore.
Va ricordato che nel processo di creazione di questo pacchetto di pace furono direttamente coinvolte tutte le principali potenze del mondo moderno, tra cui Russia e Cina, tutti i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, tutti i membri del G-8, l'Unione Europea e la NATO. Pertanto, questo pacchetto di pace rappresenta un compromesso tra vari interessi, ma anche l'obbligo di tutti gli attori della comunità mondiale che tutto ciò che è stato concordato e firmato sarà anche rispettato, e non solo la volontà o il diritto di una parte ristretta della comunità mondiale.
Nella sua genesi, contenuto e gerarchia legale, il pacchetto di pace del giugno 1999 è parte integrante del sistema di sicurezza europea e mondiale. Pertanto, la presenza di tentativi di ignorare, aggirare o denigrare tali documenti, non sarebbe possibile senza minacciare seriamente il sistema stesso, e senza nominare attesi e possibili effetti boomerang.
In quarto luogo, la Serbia, che in buona fede ha rispettato e osservato tutti gli obblighi di tutti i documenti del pacchetto di pace, tra cui quelli derivanti dall'accordo tecnico-militare, ha il diritto e l'obbligo morale di continuare a cercare di far rispettare anche agli altri gli obblighi accettati, e non ancora eseguiti, e in conformità con questi documenti.
Inoltre e soprattutto, ha il dovere:
- di rispettare le garanzie date per la sovranità e l'integrità territoriale della Serbia con il Kosovo e Metohija, avente l'autonomia più ampia, come parte integrante (nell'Accordo, tra le altre cose, c’è scritto che la KFOR avrebbe "provveduto a fornire adeguato controllo dei confini della SRJ” verso l'Albania e FYRM, art. 2, punto “h");
- i suoi confini internazionalmente riconosciuti;
- di accettare i negoziati sul ritorno delle unità militari e di polizia nella provincia;
- di garantire le condizioni per il ritorno libero, sicuro e dignitoso di circa 250.000 espulsi tra serbi e altri non albanesi;
- di garantire la sicurezza a tutti i cittadini della provincia, compresi i serbi;
- di garantire l'inviolabilità della proprietà privata di serbi, Serbia e SPC.
Se le altre parti ostacolano, non vogliono o non accettano tali impegni ed obblighi, questo non dovrebbe essere visto come aggravante per la posizione della Serbia o come l’obbligo di fare passi indietro, ma deve essere visto come comportamento assolutamente inaccettabile.
In questo caso, la Serbia dovrebbe considerare altre opzioni legali, politiche e diplomatiche disponibili.
In quinto luogo, i documenti relativi al pacchetto di pace, compreso l'accordo tecnico-militare, non erano particolarmente favorevoli per la Serbia.
Tuttavia, la guerra e le altre condizioni hanno reso più difficile dare seguito al contenuto di questi documenti, che proteggevano gli interessi importanti della Serbia, e soprattutto la sovranità e l'integrità territoriale del paese.
È vero che l'Occidente usa ancora oggi i metodi di minacce, ricatti e inganni. Tuttavia, è difficile essere d'accordo sul fatto che oggi ci sono ragioni giustificate per abbandonare o negare i diritti e gli interessi riconosciuti alla Serbia sotto le bombe della NATO del 1999. Oggi, anche l'Occidente richiama sempre più la necessità di rispettare le relazioni internazionali basate sulla legalità. La velocità e la profondità del cambiamento nelle relazioni globali contribuiranno al fatto che L’Occidente richiami sempre più di frequente il rispetto del diritto internazionale nel prossimo periodo.
Il cancelliere tedesco Angela Merkel non ha detto mercoledì scorso nel Bundestag che il G-7 è stato "definito da membri che rispettano le leggi internazionali" ("Politika", 7 giugno 2018)!
Sesto: in difesa del diritto della Serbia al Kosovo e Metohija, la sua Costituzione, la Carta delle Nazioni Unite, il Documento finale dell'OSCE e il diritto internazionale sono gli argomenti e i supporti più importanti. Il Pacchetto di pace del 1999, in particolare la risoluzione SB UN 1244, ha un significato insostituibile e duraturo che deve essere affermato in ogni momento, senza cedere né ai desideri, né alle aspettative o alle varie pressioni, da qualunque parte, per rimuovere e portare quei documenti in secondo piano o nell’ombra. Questi documenti non devono in alcun modo essere subordinati ai nuovi "documenti giuridicamente vincolanti".
Kosovo e Metohija non devono essere considerati come persi perché persi non sono.
Il negoziato che viene offerto nel cosiddetto capitolo 35 del negoziato con EU, le pressioni e il ricatto confermano che Kosovo e Metohija continuano ad appartenere alla Serbia. Questa è la realtà ripetuta dai commissari di Bruxelles, Washington, Londra e Berlino. Per la Serbia, la realtà è molto più ampia e complessa. Invece di dichiarazioni disfattiste che rafforzano inconsciamente la posizione e l'intransigenza di Pristina, sono necessari maggiori sforzi e creatività per esplorare le direzioni per rafforzare la posizione negoziale della Serbia. Abbiamo abbastanza conoscenze ed esperienza per capire che l'appartenenza all'UE è utilizzata come mezzo per estorcere le continue concessioni della Serbia, che l'UE non è quella che era e che il suo ruolo e la sua influenza stanno rapidamente diminuendo. Pertanto, non abbiamo il diritto di fare affidamento su alcun tipo di sue garanzie e promesse. Questo potrebbe portarci in situazione dove Serbia consegna tutto e non ottiene nulla.
Zivadin Jovanovic, Presidente del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali
12 giugno 2018 - Traduzione di Jovanka A. per Forum Belgrado Italia/CIVG
СВЕДОЧИМ О ИСКУСТВИМА
Живадин Јовановић:
Одговори на питања новинара „Политике“ Дeјана Спаловића, о дипломатији
Да ли дипломата икада иде у пензију?
Зависи од личности. Ако не сви, онда већина нас који смо својевремено радили у дипломатији волела је тај позив, спремно је прихватала све изазове и била задовољна својим својим статусом и угледом како у земљи тако и у светској дипломатији. Отуда је природно што и после пензионисања настављамо да се интересујемо о спољној политици и међународним односима. Осећам се пријатно кад видим колико мојих колега, дипломата у пензији данас пише и иступа у медијима, објављује књиге, учествује на конференцијама, путује по свету. Пензија означава престанак редовног запослења, али није забрана за друштвено корисне активности, алиби за интелектуалну непокретност или јадиковање због немоћи.
[IMG: Prijem kod Premijera NR Kine Dzurondzija, decembar 1999.]
Чиме се данас конкретно бавите?
Пишем о спољној политици, мултиполаризацији, кинеској иницијативе „Појаса и пута“, решавању статуса Покрајине Косово и Метохија, хаосу у Европској унији, изворима угрожавања мира.
Сведочим о искуиствима Југославије и Србије и њиховом значају за политичку стратегију данас. Добро је што чешће одајемо пошту жртвама за одбрану, не ваља што као нико на свету, своју часну историју проглашавамо погрешном, митоманском, небеском. Чудимо се и жалимо Унији, Немачкој, Аустрији - свима, од Рејкјавика до Владивостока - што други, дрско, оправдавају обнову неонацифашизма, славе своје цивилизацијске падове и злочине, укључујући геноцид над српским народом, као да не схватамо да их ниподаштавањем наше историје и нације охрабрујемо да буду још дрскији према Србији. Ко на свету даноноћно тврди да је имао погрешну историју, да је зато све изгубио, али да непријатељима попушта зато што је јак!
Повремено иступате у име Београдског форума?
Волим рад у Форуму јер је слободан, независтан, непоткупљив. Основала га је 2000. године група интелектуалаца, дипломата и слободно мислећих људи из тадашње СРЈ и српског расејања. Међу оснивачима су били, сада покојни академик Михајкло Марковић, професор Гавро Перазић, писци Радош Калајић и Чедомир Мирковић. И данас у Форуму имамо научника, дипломата, професора, генерала, привредника, хуманиста. Сви до једнога волонтирамо.
[IMG: Jevgenij Primakov, raniji MIP, potom Premijer Rusije, bio je rado vidjen gost u Beogradu ]
А како се финансирате?
Од чланарине, продаје књига и помоћи српског расејања. Нисмо миљеници ни буџета, ни страних фондација. Није лако јер треба плаћати закупнину за седиште, комуналије, сале за конференције, штампање књига... Али је пријатно када не дугујете, нарочито, не у погледу мишљења која јавно заступате. Деси се да појединци, из Србије или иностранства, кад чују или прочитају нешто о нашем активностима, ставовима, књигама, затраже број рачуна Форума и уплате извесну помоћ. То нам далеко више значи као признање и охрабрење, него што нам решава финансијске тешкоће.
Пре две године основали смо Центар за истраживање повезивања на путу свиле (ЦИПО) који је партнер бројним удружењима у Европи, Кини и другим деловима света који подржавају Иницијативу Пута и појаса као стратешки важну за мир и развој. Она, поред осталог, омогућава Србији да свој геополитички положај, «кућу насред друма» први пут у историји претвори у важан фактор развоја. ЦИПО је издао књигу амбасадора Александра Јанковића «Повезивање на кинески начин», неку врсту приручника «Кина за почетнике из Србије». Поред тога, волонтирам и у хуманитарној организацији Расејање за матицу која је само за саниррање поплава у Србији и Републици Српској обезбедила преко милион евра.
Форум је члан Светског савета за мир, са седиштем у Атини и један од оснивача Светског удружења тинк танкова Пута свиле, са седиштем у Пекингу. Недавно сам учествовао на оснивачкој скупштини међународног удружења градова лука са седиштем у Тијенцину, Кина. Огранак Форума функционише и у Италији (Forum di Belgrado Italia).
Учествујем у раду Шангајског форума, једне с�
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http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/955-velike-sile-o-kosovu-i-metohiji.html
Saccheggiato il villaggio di Glina abitato solamente da un pugno di anziani. Belgrado chiede l’intervento delle forze internazionali presenti sul terreno
Il leader del Kosovo ha ammesso che la Serbia non accorderà l'indipendenza e nessuna forza potrà costringerla a cambiare. E' la tanto attesa vittoria diplomatica di Belgrado, riconosciuta anche da Thaci, suo principale avversario nella contesa politica, aggrappato ad una poltrona traballante?
Cela devait être un « nouveau Sommet de Thessalonique », marquant la relance du processus d’élargissement de l’Union européenne aux Balkans, mais le Sommet de Sofia s’ouvre ce 17 mai dans une ambiance plombée : le Premier ministre espagnol ne restera pas à Sofia pour ne pas risquer de croiser les représentants de Pristina. Pour Mariano Rajoy, en castillan, « Kosovo » se prononce « Catalogne »...
Citato dai media serbi, Dacic ha detto che i rappresentanti kosovari - il presidente Hashim Thaci, il premier Ramush Haradinaj e il ministro degli esteri Behgjet Pacolli - hanno avuto incontri bilaterali con personalità internazionali nei corridoi del Palazzo di vetro, unico spazio per il quale la dirigenza kosovara ha ottenuto il permesso. Il ministro serbo ha citato il caso del premier del Marocco che, ha detto, era seduto in uno dei corridoi a bere un caffè.
"I kosovari si sono avvicinati, hanno chiesto se potevano sedersi, hanno scattato delle foto che hanno poi messo su Facebook affermando di aver parlato dell'allacciamento di relazioni diplomatiche. Cosa che il premier del Maroccco ha immediatamente smentito", ha affermato Dacic. Il ministro ha precisato che la delegazione kosovara è entrata al Palazzo di vetro con un lasciapassare sul quale vi è la lettera 'O' a significare 'altri'. "Hanno chiesto di poter andare a New York sfruttando il fatto che in Kosovo è presente la missione dell'Onu Unmik". (ANSAmed).
http://www.rts.rs/page/stories/ci/story/1/politika/3272843/posle-maroka-i-tunis-demantuje-pacolija.html
ПЕТАК, 28. СЕП 2018 – (Tanjug) Косовски министар спољних послова Беџет Пацоли поново је "симулирао" састанак у УН, наводећи да је имао одличан разговор са шефом дипломатије Туниса Кемаисом Жинауијем, који је то демантовао, као и званичник Марока, пре неки дан.
Иначе, пре три дана је и премијер Марока Садедин Ел Отмани демантовао Пацолијеве наводе да је имао конструктивне разговоре са мароканским званичником у Њујорку.
"Током паузе нашој делегацији је пришао и наметнуо се господин с Косова. Нисмо разговарали о билатералним односима као ни о успостављању контаката. Позиција Марока је константна. Мароко не признаје Косово и нема односе са њим", написао је Ел Отмани тада на Твитеру.
http://www.telegraf.rs/vesti/politika/2995235-drama-na-kosovu-albanski-specijalci-zauzeli-gazivode
Srbi poslušali Vučića i sklonili barikadu: Predsednik se obratio naciji (FOTO) (VIDEO)
Specijalci ROSU zauzeli su danas veštačko jezero i hidrocentralu Gazivode, saznaje Telegraf, a potom i Zubin Potok. Akciju je izvelo 60 naoružanih specijalaca, a ako Telegraf saznaje na terenu, građani su vidno uznemireni, a jedinice ROSU su naoružane "dugim cevima".
22.10 - Srbi sa KiM poslušali predsednika
Na molbu predsednika Aleksandra Vučića uklonjenje su barikade kod Zubinog potoka.
21.00 - Predsednik Srbije se obratio naciji
- Danas se videlo da srpska suza nema roditelja, da moramo sami o sebi da brinemo, da naš narod nema na koga da se osloni, osim na sebe i svoju srpsku državu - rekao je Vučić.
18.45 - KFOR poziva na mir i suzdržanost, nakon protivrečnih izveštaja koji su se pojavili o događaju na području jezera Gazivode
- Potvrđeno je prisustvo kosovske policije u oblasti Gazivode. Pripadnici policije bili su u pratnji Hašima Tačija, koji je bio u poseti području Zubin Potok - navedeno je iz KFOR-a.
- KFOR ispituje navodno prisustvo specijalne jedinice ROSU i naše patrole i helikopteri nastavljaju da nadgledaju situaciju - dodaje se u odgovoru KFOR-a.
18.30 - Narod ogorčen potezom Prištine
- Narod je ogorčen potezom Prišine i od svoje države Srbije traži i zahteva da zaštiti goloruki narod na KIM. Želimo da osudimo licimerje EU i međunarodnih predstavnika, ali i KFOR koji je opet pokazao nesposobnost i koji nije hteo da postupi u skladu sa rezolucijom 1244 - kazao je predsednik Privremenog organa Zvečana Ivan Todosijević.
- Branićemo se svim demokratskim i pravnim sredstvima - rekao je on.
17.45 - Niko ne može da ugrožava srpski narod
- Upad specijalaca iz Prištine u kompleks jezera Gazivode, ilegalan je i nasilan čin i direktno ugrožava politički proces u kojem se traži kompromisno i dugoročno rešenje za Kosovo. Samo zahvaljujući pribranosti i državničkoj odgovornosti predsednika Vučića, ova nova avantura prištinskih vlasti je propala, uz još jednu potvrdu da niko ne može da ponižava Srbiju i ugrožava srpski narod - rekao je ministar rudarstva i energetike, Aleksandar Antić.
17.15 - Srbi podigli blokadu
Kod Zubinog Potoka grupa Srba podigla je barikadu, blokirajući put iz pravca Mitrovice ka Zubinom Potoku reagujući na taj način na napad jedinica ROSU na jezero i branu Gazivode.
Srbi ističu da su se na ovaj čin odlučili iz straha, jer strahuju da bi se tokom noći mogle dogoditi slične provokacije. Svi zaposoleni na brani Gazivode večeras će raditi i treću smenu.
16.45 - Srpska lista: Ovo je napad na mir i bezbednost Srba na Kosovu i Metohiji
Predsednik Srpske liste i gradonačelnik Severne Mitrovice Goran Rakić izjavio je da poslednji upad naoružanih kosovskih specijalaca na sever Kosova predstavlja napad na mir i bezbednost Srba na Kosovu i Metohiji.
- Ovo je napad sa nesagledivim posledicama na život Srba na severu Kosova i Metohije - ocenio je Rakić u saopštenju i istakao da se to više neće dozvoliti.
- Ako već Kfor ne želi, kao predsednik Srpske liste pozivam državu Srbiju da zaštiti srpski narod i svoju imovinu, i da naši organi najhitnije intervenišu. Neka svi znaju da Srbi neće više nikada dozvoliti da se ovakav upad dogodi. Mi ćemo sa svojim narodom braniti svoju slobodu, život u svoju imovinu, jer Gazivode su srpske - rekao je Rakić i dodao da su "Tačijevi mentori ćutanjem poslali jasnu poruku da podržavaju ovakve poteze".
16.15 - Đurić potvrdio: ROSU se povukla pre 10 minuta sa severa Kosova
Direktor kancelarije za KiM, Marko Đurić, potvrdio je da su se pripadnici ROSU "pre 10 minuta" povukli sa severa Kosova..
Srbija je, kaže, dobila izvinjenje od pojedinih ambasada i zvaničnika koji su tvrdili da nije bilo napada na našu zemlju.
16.00 - Predsednik Vučić se večeras obraća naciji
Direktor Kancelarije za KiM Marko Ðurić rekao je u trećem vanrednom obraćanju da će se predsednik Srbije Aleksandar Vučić povodom najnovijih dešavanja na KiM obratiti večeras u 21 čas.
Ðurić je rekao i da se Vučić trenutno nalazi u obilasku naših oružanih snaga.
Ðurić je obavestio javnost da su Srbi sa severa KiM započeli sa okupljanjem na više lokacija.
15.40 - Vojska Srbije postupa u skladu sa naređenjem Vrhovnog komandanta
Vojska srbije je stavljena u odgovarajući stepen pripravnosti, izjavio je ministar odbrane Aleksandar Vulin, i postupa u skladu sa naređenjem Vrhovnog komandanta.
- Naređenje Vrhovnog komandanta je i dalje na snazi i dok je tako Vojska Srbije prati situaciju i spremna je da odgovori na svaki razvoj situacije - rekao je Vulin, saopštilo je Ministarstvo odbrane.
15.30 - Oglasila se Maja Kocijančić: U kontaktu smo sa svim akterima
Portparolka EU Maja Kocijančić pozvala je u ime EU na mir i uzdržanost povodom situacije na Severu Kosova.
- Mi smo u bliskom kontaktu sa svim relevantnim akterima, kako na terenu, što uključuje KFOR, tako i na nivou vrhovnih centara, odnosno vlasti u Beogradu i Prištini - poručila je Kocijačić.
Marko Đurić je najoštrije osudio izjavu portparolke EU Maje Kocijančić koja je ponovo pozvala obe strane na uzdržanost.
- Kao da su Srbi na KiM ponovo napali sami sebe, pa obe strane poziva na uzdržanost. Smatram da je ovo vrhunac bezobrazluka i neozbiljnosti u ovako teškim okolnostima i da je to još jednom dokazalo da ništa ne treba da očekujemo od predstavnika EU - rekao je Ðurić na drugoj vanrednoj konferenciji za novinare u Vladi Srbije.
15.20 - Direktor Kancelarije za KiM ponovo sazvao konferenciju
Đurić je demantovao navode prištinskih medija da su se pripadnici ROSU povukli sa severa Kosova i da niko od Srba nije uhapšen.
- Pripadnici ROSU se nisu povukli sa Kosova, još uvek su na severu. Radnici Centra za ekologiju i sport, Nemanja Milovanović i Miloš Milić uhapšeni su prilikom upada pripadnika ROSU na Gazivode, kao i građevinski radnici Nikola Đurović i Nenad Galjak. Dakle, laž je da niko nije hapšen- izjavio je Đurić.
14.50 Vučić imao hitan razgovor sa generalnim sekretarom NATO Jensom Stoltenbergom
Predsednik Srbije Aleksandar Vučić u stalnom je kontaktu sa generalnim sekretarom NATO Jensom Stoltenbergom, posle raspoređivanja ROSU na Gazivodama, na severu Kosova i Metohije.
Predsednik Vučić je "izrazio protest zbog bezobzirne akcije Hašima Tačija i prištinskog rukovodstva".
14.40 - Pripadnici ROSU se povukle sa Gazivoda
Gradonačelnik Zubinog Potoka Stevan Vulović izjavio je za RTS da su se kosovske specijalne jedinice povukle sa veštačkog jezera Gazivode.
- Jedinice ROSU su se povukle, trenutno je mirno - rekao je on.
14.30 - Hašim Tači na Gazivodama
Predsednik Kosova, Hašim Tači, trenutno se nalazi na hidrocentrali Gazivode, koju su danas zauzeli pripadnici ROSU.
Telegraf sa lica mesta saznaje da se Tači u pratnji policije provozao gumenim čamcem jezerom, a potom je prošetao pored hidrocentrale, a više fotografija možete pogledati OVDE.
14.25 - Oglasio se komandant kosovske policije: Mi smo na Gazivodama zbog "jedne posete"
Zamenik komadanta kosovske policije za sever Besim Hoti odbacio je danas tvrdnje zvaničnika Srbije o zauzimanju veštačkog jezera i hidrocentrale Gazivode i hapšenjima na tom području, te navodi da su oni tamo zbog "jedne posete", ali da za sada ne poseduje više informacija.
14.20 - Upad pripadnika ROSU udarna vest u svim regionalnim i svetskim medijima
Upad pripadnika ROSU na sever Kosova udarna je vest u svim svetskim i regionalnim medijima, pa je hrvatski "24sata" preneo da su "Kosovski specijalci zauzeli važnu branu i vezali Srbe", dok je ruski RT naveo da je "Vojska Srbije stavljena u stanje najviše borbene gotovosti".
13.45 - KFOR još uvek nema informacije o upadu pripadnika ROSU na sever Kosova
Glavni portparol Kfora Vinćenco Graso izjavio je danas Tanjugu da ta misija još nema informacija o tome da su pripadnici kosovskih specijalnih jedinica ROSU ušli na sever Kosova, u neposrednu blizinu hidroelektrane Gazivode.
On je za Tanjug kazao da je u toku provera tačnosti takvih informacija i da se vrši monitoring situacije.
13.25 - Direktor Kancelarije za KiM održao vanrednu konferenciju
Marko Đurić, direktor Kancelarije za KiM, održao je vanrednu konferenciju povodom upada pripadnika ROSU na sever Kosova.
- To su učinili kako bi Hašim Tači mogao nesmetano da dođe na jezero Gazivode, zbog čega su pohapsili sve ljude koji su im se našli na putu - rekao je on, a više detalja o tome možete pročitati OVDE.
Ovo je najslabija tačka Prištine: Dva ključna razloga zašto Albanci kidišu na Gazivode
13.15- Vojska Srbije stavljena u stanje najviše borbene gotovosti
Predsednik Srbije, Aleksandar Vučić, naredio je stavljanje kompletne Vojske Srbije u stanje najviše borbene gotovosti, potvrđeno je Tanjugu u Kabinetu predsednika, koji je i vrhovni komandant Vojske Srbije.
Više o tome možete pročitati OVDE.
12.30 - Pripadnici ROSU naoružani dugim cevima, građani vidno uznemireni
Kako Telegraf saznaje sa terena, pripadnici ROSU su naoružani dugim cevima, situacija na Gazivodama je napeta, a građani su vidno uznemireni.
Prema pisanju prištinskih medija, tamo su uvedene policijske snage kroz Centar za razvoj ekologije i sporta koji se nalazi blizu jezera.
Redazione ANSA, 29 settembre 2018 – E' tornata improvvisamente a salire la tensione in Kosovo, dove oggi una sessantina di agenti delle forze speciali kosovare (Rosu), pesantemente armati, hanno preso posizione intorno al lago di Gazivode, nel nord del Paese abitato in maggioranza da serbi. Questo lago, per metà in territorio kosovaro e per metà in Serbia, è ritenuto di importanza strategica sia da Pristina che da Belgrado per l'approvvigionamento idrico e di energia elettrica. Nelle scorse settimane, in una atmosfera di estrema tensione, si era recato in visita a Gazivode il presidente serbo Aleksandar Vucic, a sottolineare la sovranità serba sul territorio.
"L'ordine è stato dato al capo dello Stato Maggiore dell'esercito serbo", ha detto l'agenzia.
Anche tutte le unità speciali del Ministero degli affari interni sono state portate al massimo livello di allerta.
In precedenza, circa 60 soldati di una speciale suddivisione del Ministero degli Interni della Repubblica autoproclamata del Kosovo, ROSU, hanno preso una posizione vicino al lago artificiale della centrale idroelettrica Gazivoda e sono entrati nel centro ecologico e sportivo vicino alla diga nel nord della provincia.
La centrale idroelettrica Gazivoda è controllata da Belgrado. Come ha detto Vucic, negli ultimi anni le autorità serbe hanno investito circa due milioni di euro nelle infrastrutture, nelle strutture e nella diga del suo lago di artificiale.
Nel 1999, lo scontro armato tra i separatisti albanesi dell'esercito di liberazione del Kosovo e l'esercito e la polizia serba ha portato al bombardamento della Jugoslavia (all'epoca composta da Serbia e Montenegro) da parte delle forze della NATO. Nel marzo 2004, gli albanesi del Kosovo hanno organizzato pogrom che hanno portato al reinsediamento di massa dei serbi dalla regione e alla distruzione di numerosi monumenti della loro storia e cultura.
Nel febbraio 2008, le strutture del Kosovo-albanesi a Pristina hanno dichiarato unilateralmente l'indipendenza dalla Serbia. La repubblica autoproclamata non è riconosciuta da Serbia, Russia, Cina, Israele, Iran, Spagna, Grecia e altri stati.
Nell’incontro di ieri a Mosca con Vladimir Putin, il presidente serbo Aleksandr Vucic ha discusso con ogni evidenza, oltre ai temi della collaborazione economica, anche dei rapporti di Belgrado con il Kosovo, che continuano a inasprirsi.
Sabato scorso, Vucic aveva messo in assetto di guerra l’esercito e le truppe speciali del Ministero degli interni, in relazione all’arrivo di reparti speciali kosovari, sotto la supervisione di elicotteri e droni NATO-KFOR, nell’area del bacino che serve la centrale idroelettrica “Gazivode”, parte del sistema idroelettrico serbo, e attorno al centro di Zubin-Potok, abitato da una maggioranza serba nel nord del territorio kosovaro. I reparti di Priština dovevano assicurare la protezione del presidente Hashim Thaci, durante la sua veleggiata in barca sul bacino. Nondimeno, Belgrado l’ha considerata una provocazione bella e buona.
Denunciando l’intervento dei reparti speciali di Priština, Vucic aveva sottolineato come questi si fossero mossi con l’aperto beneplacito della NATO, ignorando gli elementari diritti della popolazione serba: “Ancora una volta, nessuno ha chiesto il parere dei serbi. Per loro, i serbi non esistono; o, quantomeno, loro vorrebbero così”, aveva dichiarato Vucic. Nonostante la linea filo-atlantica e proUE della Serbia, Vucic aveva immediatamente espresso la volontà di incontrarsi al più presto con Vladimir Putin, per chiedere il sostegno di Mosca, “in tutte le sedi internazionali”, sulla questione kosovara. Ed ecco che già ieri era a Mosca, anche se il portavoce presidenziale, Dmitrij Peskov, ha tenuto a sottolineare che l’incontro era programmato da mesi.
Vucic ha denunciato “l’ipocrisia dei funzionari UE” sulla questione del Kosovo. Dopo che la responsabile UE per i media, Maija Kotsiancic aveva chiesto moderazione alle parti, Vucic aveva replicato: “Ditemi, signori di Bruxelles, perché dovremmo ancora moderarci? O non siete piuttosto voi che dovete astenervi dall’ipocrisia, se potete”. Dopo aver “espresso sorpresa” per la violazione da parte kosovara di “tutti gli accordi raggiunti”, Vucic ha inviato una protesta al segretario generale della NATO Jens Stoltenberg “in relazione agli atti insolenti di Hashim Thaci e della leadership di Priština”. Proprio in relazione alle mosse della NATO, dopo la mobilitazione kosovara, gruppi di popolazione serba, servendosi di camion piazzati sul percorso, avevano bloccato l’afflusso di truppe NATO verso nord e il confine serbo, sulla direttrice Mitrovitsa-Ribaric.
L’occidente non permetterà al Cremlino di sostenere la Serbia, titolava ieri Aleksej Polubota su Svobodnaja Pressa. Il politologo Aleksandr Šatilov ritiene che, al di là di qualche dichiarazione di appoggio a Belgrado, anche eventuali forniture militari russe potrebbero ben poco aumentare la capacità serba di contrapporsi alla NATO; oltretutto, afferma Šatilov, dopo l’aggressione NATO del 1999, Belgrado stessa difficilmente si deciderebbe a ricorrere alla forza contro Priština, anche nel caso di altre provocazioni come quella recente: troppo forte la vocazione filo-NATO e filo-UE di Vucic. Dopo Miloševic, nessun leader serbo si è preso cura, se non a parole, dei serbi del Kosovo e la NATO, continua Šatilov, ha più volte fatto intendere a Belgrado che sarà punita, nel caso tenti di difendere i propri connazionali con la forza. Anche l’ipotesi di fornire S-300 e S-400 a Belgrado, sicuramente sarebbe osteggiata dallo stesso Montenegro, un tempo unito alla Serbia e oggi membro della NATO.
Oltretutto, osserva il politologo Mikhail Aleksandrov, la leadership serba, compreso Miloševic, non è mai stata ferma nell’ipotesi di stabilire un’alleanza militare con Mosca o di entrare nell’Unione Euroasiatica: in caso contrario, avrebbero potuto forse evitarsi i bombardamenti NATO e la separazione del Montenegro e Mosca avrebbe dislocato in Serbia una forte base militare. Oggi, conclude Aleksandrov, un’alleanza militare con Belgrado potrebbe non essere così vantaggiosa per Mosca, dato l’accerchiamento NATO della Serbia. Al massimo, nel caso la NATO si avventuri in azioni nel nord del Kosovo, si potrebbe difendere il territorio serbo coi missili “Kalibr”, dislocati a bordo delle navi sul mar Nero, che coprono l’intero territorio europeo. Ma, ancora una volta: si deciderà Vucic a proporre un’alleanza militare a Mosca?
Al momento, sembra che la tensione si sia “allentata”, pur se il problema dei rapporti Belgrado-Priština è più che mai attuale e l’aperto sostegno UE e NATO alla “indipendenza” del Kosovo, insieme alla presenza permanente, qui, di truppe atlantiche, continua a testimoniare, non fosss’altro, del doppio standard adottato da Bruxelles nelle questioni di “indipendenza referendaria”.
Tra gli altri paesi che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo, oltre ovviamente alla Serbia, ci sono Russia, Cina, Israele, Iran, Spagna, Grecia.
http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=3583
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=cnaQcJsLVKo
L'arte della guerra. Si discute della finanziaria in deficit, ma si tace sul fatto che l’Italia spende ogni anno miliardi a scopo militare
Mercati e Unione europea in allarme, opposizione all’attacco, richiamo del presidente della Repubblica alla Costituzione, perché l’annunciata manovra finanziaria del governo comporterebbe un deficit di circa 27 miliardi di euro. Silenzio assoluto invece, sia nel governo che nell’opposizione, sul fatto che l’Italia spende in un anno una somma analoga a scopo militare. Quella del 2018 è di circa 25 miliardi di euro, cui si aggiungono altre voci di carattere miitare portandola a oltre 27 miliardi. Sono oltre 70 milioni di euro al giorno, in aumento poiché l’Italia si è impegnata nella Nato a portarli a circa 100 milioni al giorno.
Perché nessuno mette in discussione il crescente esborso di denaro pubblico per armi, forze armate e interventi militari? Perché vorrebbe dire mettersi contro gli Stati uniti, l’«alleato privilegiato» (ossia dominante), che ci richiede un continuo aumento della spesa militare.
Quella statunitense per l’anno fiscale 2019 (iniziato il 1° ottobre 2018) supera i 700 miliardi di dollari, cui si aggiungono altre voci di carattere militare, compresi quasi 200 miliardi per i militari a riposo. La spesa militare complessiva degli Stati uniti sale così a oltre 1.000 miliardi di dollari annui, ossia a un quarto della spesa federale. Un crescente investimento nella guerra, che permette agli Stati uniti (secondo la motivazione ufficiale del Pentagono) di «rimanere la preminente potenza militare nel mondo, assicurare che i rapporti di potenza restino a nostro favore e far avanzare un ordine internazionale che favorisca al massimo la nostra prosperità».
La spesa militare provocherà però nel budget federale, nell’anno fiscale 2019, un deficit di quasi 1.000 miliardi. Questo farà aumentare ulteriormente il debito del governo federale Usa, salito a circa 21.500 miliardi di dollari. Esso viene scaricato all’interno con tagli alle spese sociali e, all’estero, stampando dollari, usati quale principale moneta delle riserve valutarie mondiali e delle quotazioni delle materie prime.
C’è però chi guadagna dalla crescente spesa militare. Sono i colossi dell’industria bellica. Tra le dieci maggiori produttrici mondiali di armamenti, sei sono statunitensi: Lockheed Martin, Boeing, Raytheon Company, Northrop Grumman, General Dynamics, L3 Technologies. Seguono la britannica Bae Systems, la franco-olandese Airbus, l’italiana Leonardo (già Finmeccanica) salita al nono posto, e la francese Thales.
Non sono solo gigantesche aziende produttrici di armamenti. Esse formano il complesso militare-industriale, strettamente integrato con istituzioni e partiti, in un esteso e profondo intreccio di interessi. Ciò crea un vero e proprio establishment delle armi, i cui profitti e poteri aumentano nella misura in cui aumentano tensioni e guerre.
La Leonardo, che ricava l’85% del suo fatturato dalla vendita di armi, è integrata nel complesso militare-industriale statunitense: fornisce prodotti e servizi non solo alle Forze armate e alle aziende del Pentagono, ma anche alle agenzie d’intelligence, mentre in Italia gestisce l’impianto di Cameri dei caccia F-35 della Lockheed Martin. In settembre la Leonardo è stata scelta dal Pentagono, con la Boeing prima contrattista, per fornire alla Us Air Force l’elicottero da attacco Aw139. In agosto, Fincantieri (controllata dalla società finanziaria del Ministero dell’Economia e delle Finanze) ha consegnato alla Us Navy, con la Lockheed Martin, altre due navi da combattimento litorale.
Tutto questo va tenuto presente quando ci si chiede perché, negli organi parlamentari e istituzionali italiani, c’è uno schiacciante consenso multipartisan a non tagliare ma ad aumentare la spesa militare.
Unanime è stata la soddisfazione degli organizzatori e dei partecipanti per la ottima riuscita della iniziativa, tenuta sabato 22 settembre 2018 a 75 anni esatti dalla grande fuga di cui furono protagonisti circa 1200 prigionieri jugoslavi detenuti nell'allora campo di concentramento. Durante la guerra, nel campo di Colfiorito erano stati rinchiusi tra gli altri circa 1500 partigiani del Montenegro che si erano opposti all’invasione del loro territorio da parte dell'esercito italiano: il 22 settembre 1943 in grande maggioranza fuggirono trovando salvezza presso le famiglie contadine dell’Appennino, per poi prendere parte alla lotta di Liberazione.
Il programma dell'inedita iniziativa, promossa dal Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia (Jugocoord) Onlus e patrocinata da Regione Umbria e Comune di Foligno, si è articolato in una intera giornata di memoria e di studio, conclusa con uno spettacolo teatrale.
Ad aprire la prima parte dell'evento, dedicata ai saluti istituzionali ed agli interventi di saluto e testimonianza, è stato l'ex sindaco Manlio Marini, attuale presidente dell’Officina della Memoria di Foligno. Gli ha fatto seguito il presidente di Jugocoord Onlus, Ivan Pavičevac, che ha introdotto la giornata spiegandone le motivazioni ed i criteri adottati per la sua organizzazione: si è mirato a coinvolgere tutte le realtà potenzialmente interessate – istituzionali, antifasciste, istituti di storia – senza escludere proprio nessuno, per creare un tavolo comune di incontro e confronto reciproco, nel quale peraltro la questione della memoria delle “Casermette” fosse messa in relazione con analoghe esperienze in atto anche altrove, dall’Abruzzo al Friuli.
Sono seguiti gli interventi di ben quattro sindaci: Nando Mismetti, sindaco di Foligno, dopo avere ammonito a non dimenticare mai i crimini del passato, tenendo ben distinte le responsabilità storiche, affinché si possa affrontare con cognizione di causa il difficile presente ed il futuro, ha tra l'altro garantito la disponibilità della sua amministrazione a sostenere ulteriori iniziative di valorizzazione delle Casermette; Massimo Tiberini, sindaco di Casoli (CH) dove era presente un'analoga struttura di internamento durante la Seconda Guerra Mondiale, ha esposto le iniziative realizzate dal suo Comune a salvaguardia della memoria di chi è stato rinchiuso nel campo di Casoli auspicando l'instaurazione di un rapporto stabile tra i due Comuni nel segno della memoria storica;
Pietro Cecoli, sindaco di Monte Cavallo (MC), ha ricordato la strage dell'Eremo della Romita proponendo la creazione di un percorso tematico attraverso i comprensori limitrofi interessati da episodi di guerra, internamento e Resistenza collegabili alla storia delle Casermette; infine Giovanni Bontempi, sindaco della vicina Nocera Umbra, ha parlato delle iniziative sviluppate da anni sul suo territorio per ricordare i fatti sanguinosi di Collecroce e la Resistenza.
Paolo Gubbini, consigliere comunale di Foligno delegato per il Parco di Colfiorito, ha descritto gli ambienti originali dell'ex campo in cui si teneva l'incontro, sottolineando l'opportunità di annoverare anche questi temi tra le molteplici attività culturali attivate a Colfiorito sin dall'istituzione del Parco.
Diversi relatori hanno fatto riferimento a preoccupanti fatti di cronaca che indicano una recrudescenza dell'intolleranza e della prevaricazione di stampo fascista: è stata tra l'altro espressa solidarietà alla eurodeputata Eleonora Forenza ed agli altri feriti nel corso di una aggressione a Bari la sera prima.
Da registrare inoltre il messaggio pervenuto alla Onlus dall'Ambasciatore di Serbia Goran Aleksić, che, rammaricandosi per non poter essere presente, ha espresso apprezzamento per la "dedizione ai condivisi valori e tradizione antifascisti".
In qualità di testimoni hanno preso la parola Giorgio Vitali, ex postino di Taverne, Raniero Seri, parroco di Serravalle e Dignano, il generale Di Spirito, che fu in servizio negli ultimi anni in cui le Casermette erano ancora usate per addestramento militare. Due gli ospiti stranieri: Vladimir Kapuralin, figlio di un prigioniero politico istriano a Fossoli, e Dejan Karadaglić, nipote di uno dei 30 montenegrini ex-internati che risultano sicuramente caduti per mano nazifascista dopo la fuga dal campo. L'elenco dei prigionieri di Colfiorito caduti sul suolo italiano dopo la fuga e fino alla Liberazione è però ben più lungo.
In occasione della giornata di studio è stato presentato l'opuscolo "La lotta antifascista dei prigionieri di Colfiorito", curato da Andrea Martocchia e edito da Jugocoord Onlus, distribuito a latere del Convegno. Attraverso l'opuscolo sono state presentate significative novità storiografiche – come anche il testo integrale in lingua italiana della Risoluzione del Comitato del Fronte di Liberazione che fu istituito dai prigionieri stessi – oltre alle informazioni indispensabili a intavolare la discussione, sia di carattere storico sia sulle iniziative per la memoria realizzate negli anni.
La sessione scientifica è stata aperta da Andrea Giuseppini, curatore del progetto Campifascisti.it, che ha descritto il sistema concentrazionario fascista di cui faceva parte anche il campo di concentramento di Colfiorito. La storica Luciana Brunelli, esperta della storia delle Casermette, ha dato conto di come la struttura nei vari periodi abbia confinato una articolata pluralità di soggetti ed ha anche evidenziato alcune false concezioni che dominano la narrazione pubblica sulla II Guerra Mondiale. Alessandra Kersevan, intervenendo sulle politiche della memoria dell’internamento fascista, ha invece parlato di vero e proprio oblio, facendo risalire la rimozione della vicenda dei campi di concentramento fascisti alle operazioni della diplomazia italiana post-bellica, mirate a ottenere migliori condizioni al tavolo delle trattative di pace. Giuseppe Lorentini, storico dell’Università di Bielefeld (Germania) ed esperto del campo di Casoli, ha fornito esempi concreti di interventi per la salvaguardia della Memoria, ulteriormente sollecitando la costruzione di una rete dei siti d'internamento italiani. Infine Renato Covino, docente universitario, ha illustrato cause e conseguenze della prigionia dei montenegrini a Colfiorito, soffermandosi sulle loro strategie di lotta toccando poi alcune problematiche storiografiche relative al ruolo degli jugoslavi nello sviluppo della Resistenza in zona.
La Tavola Rotonda è stata introdotta da Andrea Martocchia, segretario di Jugocoord Onlus, che si è riallacciato ai precedenti riferimenti a oblio e rimozione auspicando una appropriata toponomastica dedicata a queste vicende e personaggi nonché la necessità di realizzare, a Colfiorito, qualche monumento, targa, centro visita, museo o manufatto che richiami la centralità del luogo per l’antifascismo umbro, italiano ed europeo – in attuazione di prese di posizione e deliberazioni che, negli scorsi anni, hanno attestato una volontà di realizzare un centro di visita e di documentazione storica proprio in quei locali.
A nome della Onlus, Martocchia ha perciò presentato il progetto di una targa commemorativa, che si potrebbe apporre in tempi molto brevi visti i costi contenuti ed il sostegno dichiarato da parte dei rappresentanti del Comune: si tratterebbe di un primo passo, da compiere a beneficio di tutti i soggetti interessati, grazie ad un testo inclusivo già condiviso con storici e rappresentanti istituzionali, del quale è stata data lettura.
Ezio Palini, dirigente dell'Area Sviluppo Economico del Comune, ha riferito del progetto presentato dalla Associazione Officina della Memoria, concordemente al Comune di Foligno, per la realizzazione di un museo / centro di documentazione a valere su fonte di finanziamento GAL Valle Umbra e Sibillini, di cui si attende l'esito a breve. Un tale spazio espositivo integrerebbe la offerta culturale di Colfiorito, contribuendo a rimediare per quanto possibile a trasformazioni urbanistiche e cambi di destinazione d'uso che l'area ha subito in passato, non sempre rispettosi della storia del sito, e potrebbe inoltre contribuire alla costruzione di una rete culturale e della memoria tra i luoghi che ospitarono strutture di concentramento.
Maura Franquillo, assessora delegata alle Iniziative per la pace e la memoria, ha ribadito l'appoggio del Comune per questi progetti, sottolineandone l'opportunità soprattutto nella pericolosa fase storico-politica che stiamo attraversando.
Nella discussione sono intervenuti i rappresentanti di ANPPIA (Serena Colonna, segretaria nazionale), ANED(Maria Pizzoni, responsabile per l'Umbria), ANPI (con la presidente provinciale Mari Franceschini – che ha rimarcato la positività dello spirito unitario con cui è stato convocato l'incontro – ed il rappresentante di Macerata Lorenzo Marconi – che ha menzionato il progetto di centro di documentazione sull'internamento riguardante l'Abbazia di Fiastra – nonché la rappresentante di Casoli Piera Della Morgia, che ha ricordato anche la formazione della Brigata Majella in quel territorio, ed il coordinatore della sezione di Bevagna il quale ha fornito una significativa traccia per l'approfondimento storiografico, riguardante un anonimo montenegrino ucciso su quel territorio). Günther Rauch di Bolzano ha riferito sul campo di concentramento di Blumau / Prato Isarco.
La lunga e densa giornata è stata inframezzata da quattro emozionanti letture dell'attore Pietro Benedetti, e precisamente: la Risoluzione dei prigionieri (Comitato del Fronte di Liberazione); la fuga dal Campo (Drago Ivanović); il partigiano Milan (Enzo Rossi); la visita del fratello di un ex-prigioniero (Bato Tomašević). Lo stesso Benedetti ha coronato il convegno-celebrazione con un ulteriore momento artistico, e cioè la pièce teatrale “Drug Gojko”, ispirata alle vicende di Nello Marignoli, partigiano italiano in Jugoslavia: un vero e proprio inno alla fratellanza fra i popoli ed al ripudio della guerra.
(a cura di Jugocoord Onlus e Comune di Foligno)
Galleria fotografica e intervento audio di I. Pavičevac: https://www.cnj.it/home/it/valori/8912-colfiorito2018-2.html
Va ricordato che ben quattro monasteri medievali serbi su questo territorio sono considerati Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO: il Monastero di Dečani, il Monastero patriarcale di Peč, Nostra signora di Ljeviš e il Monastero di Gračanica. Il film consente allo spettatore di ammirare la bellezza di questi edifici, la cui esistenza è purtroppo minacciata proprio da chi intende presentarsi in qualità di "protettore", e che ha avanzato la proposta di ammettere il Kosovo tra gli Stati membri dell'UNESCO.
In questo territorio, dal 1990 a oggi, sono stati distrutti più di 150 chiese e monasteri. Tuttavia, è bene precisarlo, il regista non è animato da alcun intento vendicativo: mostrando la realtà dei fatti, egli si prefigge lo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica mediante l'amore per l'arte, che deve essere alla base del progetto di conservazione di qualunque patrimonio culturale.
Attraverso il racconto della propria infanzia, il presentatore australiano di origini serbe, Stefan Popović, conduce lo spettatore alla scoperta dell'importanza spirituale che questi monasteri rivestono per i serbi e della rilevanza artistica per l'intera umanità.
Il testo narrato è a cura del teologo Miloš Ninković
Direttore della fotografia: Mladen Janković
Regia: Boris Malagurski >>
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8731
https://www.cnj.it/documentazione/ucraina.htm#mh17
Secondo lo Spiegel hanno dichiarato che:
1. Le fotografie fornite dal governo ucraino sono false;
2. La tesi russa secondo la quale l’aereo sarebbe stato abbattuto da jet dell’esercito ucraino che si sarebbero avvicinati all’aereo civile è parimenti falsa [4].
Traduzione
Rachele Marmetti
Il Cronista
[1] « Vol MH17, les 10 questions de Moscou à Kiev », Réseau Voltaire, 20 juillet 2014.
[2] « Résolution 2166 sur le vol MH 17 de la Malaysia Airlines et débats », Réseau Voltaire, 21 juillet 2014.
[3] « Crash du vol MH17 : le BND allemand avait été démenti par Frans Timmermans », Réseau Voltaire, 21 octobre 2014.
[4] « Ostukraine : BND macht Separatisten für MH17-Absturz verantwortlich ». Version anglaise : « Deadly Ukraine Crash : German Intelligence Claims Pro-Russian Separatists Downed MH17 », Der Spiegel, 19 octobre 2014.
[5] “Analisi delle cause del disastro del volo MH17”, di Ivan A. Andrievskii, Traduzione Guido Fontana Ros, Оdnako (Russia) , Rete Voltaire, 6 novembre 2014.
[6] “Capitano Voloshin: “l’aereo era nel posto sbagliato al momento sbagliato“”, di Dmitry Steshin, Nicholas Varsegov, Vladimir Sungorkin, Traduzione Alessandro Lattanzio, Komsomolskaïa Pravda(Russia) , Rete Voltaire, 31 dicembre 2014.
[7] “Only Ukraine could bring down MH17”, Regnum (Russia) , Voltaire Network, 21 March 2016.
[8] « Lettre de l’Australie et des Pays-Bas à la Russie concernant le vol MH17 », Réseau Voltaire, 25 mai 2018.
[9] “Statement by the Foreign Ministry regarding the press conference of the Joint Investigation Team on the preliminary findings of the criminal investigation into the crash of the Malaysian Boeing in eastern Ukraine”, Voltaire Network, 24 May 2018.
Durante la conferenza stampa di oggi, i rappresentanti del ministero della Difesa hanno anche diffuso una serie di audio che dimostrano la complicità del regime di Kiev e capovolgono la versione parziale fatta dal cosiddetto "Gruppo di esperti"
Tre prove molto convincenti presentate oggi dal Ministero della difesa russo smentiscono il resoconto molto parziale formato dal cosiddetto gruppo di esperti sull’abbattimento del volo malese MH17 avvenuto nel 2014. Il ministero della Difesa russo, nel dettaglio il portavoce portavoce del ministro, il generale Igor Konashenkov, e il capo del dipartimento missilistico e dell'artiglieria del ministero della Difesa russo, il tenente generale Nikolai Parshin, hanno mostrato come i video che mostrano il movimento di un sistema missilistico Buk dalla Russia all'Ucraina - preso per valido dal Joint Investigation Team (JIT) che riunisce la visione parziale di Ucraina, Malesia, Paesi Bassi, Australia e Belgio - sono stati in realtà fabbricati; hanno mostrato ai giornalisti come i numeri di serie trovati sui detriti del missile Buk che hanno abbattuto il volo MH17 della Malaysian Airlines sull'Ucraina orientale rivelino che l’arma sia stata prodotta nel 1986 e che il proiettile era di proprietà dell'Ucraina; hanno fatto ascoltare, infine, ai giornalisti presenti una registrazione audio che dimostra la complicità dell'Ucraina nel disastro del MH17 nel 2014. Lo riporta nel dettaglio Tass.
L'esercito russo lunedì ha annunciato di aver rintracciato il missile che ha abbattuto l’aereo malese. Il missile aveva il numero di serie 8868720. Parlando con i giornalisti, il gen. Nikolay Parshin ha mostrato una scia documentale del missile Buk. Secondo i documenti, alcuni dei quali sono stati declassificati per la presentazione, il missile è stato prodotto in uno stabilimento militare a Dolgoprudny nella regione di Mosca nel 1986 per poi essere trasferito il 29 dicembre 1986 e consegnato all'unità militare 20152 situata nell'attuale Ucraina. Secondo Parshin, i frammenti di missili presentati dal Joint Investigation Team (JIT) che ha esaminato l'incidente del MH17 riportavano il numero dell'ugello e del motore del missile. "Una volta avuti i numeri siamo stati in grado di scoprire la matrice del missile", ha detto. "Ci sono documenti negli archivi del Dolgoprudny Research Institute, che hanno permesso di scoprire il numero di coda del missile: è emerso che il missile è stato assemblato il 24 dicembre 1986 e consegnato per ferrovia all'unità militare numero 20 / 152, ufficialmente chiamata la 223a Brigata missilistica di difesa aerea, è stata dispiegata nella regione Ternopol della Repubblica socialista sovietica ucraina, che faceva parte del Distretto Militare Subcarpatico ", ha aggiunto. Il 223esimo reggimento di difesa antiaerea delle forze armate ucraine è l'unità che ha partecipato alla repressione di Kiev contro i ribelli nell'est dell'Ucraina nel giugno 2014.
La prova confuta quindi le accuse dell'Ucraina e di altri paesi vicini al regime di Kiev, secondo cui ad abbattere l’aereo sarebbe stato un missile sparato da un lanciatore, segretamente consegnato dalla Russia ai ribelli. Tutti i materiali sono stati inviati agli investigatori olandesi, ha aggiunto l'esercito russo.
Il volo Malaysia Airlines MH17, un aereo passeggeri Boeing-777 in viaggio da Amsterdam a Kuala Lumpur, è stato abbattuto il 17 luglio 2014, nella regione orientale dell'Ucraina di Donetsk. L'incidente ha ucciso tutti i 283 passeggeri e i 15 membri dell'equipaggio. C'erano cittadini di dieci stati tra i morti. Il Joint Investigation Team (JIT) che esamina l'incidente comprende rappresentanti di Paesi Bassi, Australia, Belgio, Malesia e Ucraina. Il 24 maggio, il cosiddetto team di esperti ha dato un aggiornamento sullo stato delle cose nell'indagine criminale, sostenendo che "il BUK-TELAR che era usato per scendere MH17, proviene dalla 53a brigata missilistica antiaerea .... un'unità del russo esercito di Kursk nella Federazione Russa. "
Il ministero della Difesa russo ha respinto tutte le accuse e ha affermato che nessuno dei sistemi missilistici appartenenti alle forze armate russe è mai stato portato all'estero. Tuttavia, il 25 maggio, Australia e Paesi Bassi hanno rilasciato una dichiarazione in cui affermano di "ritenere la Russia responsabile per il proprio ruolo nel downing del volo MH17".
BERLIN/ROME(Own report) -The German government's remarkable decision to establish diplomatic relations with a religious order will have its first anniversary in the next few days. During its last session prior to last year's parliamentary elections, the German cabinet chose to establish diplomatic relations with the Sovereign Order of Malta, thereby ostensibly valorizing this Catholic organization. The Order disposes of no genuine sovereign territory, is seen as an archconservative association of aristocrats, and has been repeatedly suspected of involvement in dubious financial transactions in Germany and elsewhere. It has proven, however, to be a useful tool for Berlin's foreign policy - with its medical emergency missions accompanying NATO operations or in regions of German interests, such as Syria and Northern Iraq. Within the Order, which is active on a global scale, the German Association has systematically risen in status over the past few years to assume leadership of the organization today.
Diplomatic Relations
A year ago, in its last session before parliamentary elections, the German cabinet ruled to grant diplomatic recognition to the Order of Malta - with its full name being the "Sovereign Military Hospitaller Order of St John of Jerusalem of Rhodes and of Malta."[1] In mid-November, Sigmar Gabriel (SPD), Foreign Minister at the time, traveled to Rome, to formally seal the establishment of relations.[2] Annette Schavan (CDU), former Minister of Education and, at the time, Ambassador to the Vatican, also became Germany's first ambassador to the Sovereign Order of Malta.[3] Together with politicians of the CDU/CSU and the SPD, Schavan had been pushing for Berlin's recognition of the Order.
From the Era of the Crusades
From a formal point of view, the Order of Malta is a subject of international law without a genuine sovereign territory - comparable to the Vatican, only smaller. The Order was founded in Jerusalem in 1048. Down through the centuries, it moved its seat to Cyprus and later to Malta. After Napoleon Bonaparte's troops forced it out of Malta, it settled in 1834 in Rome, where it resides today. Since 1869, the Order has extraterritorial status - analog to that of the Vatican. In 1994, the Order received permanent observer status at the United Nations General Assembly. Four years later, the Maltese government leased the Order a late-medieval fortress, which today serves as its diplomatic academy, playing an important role in its foreign policy. At present, the subject of international law without a genuine sovereign territory has diplomatic relations with 107 countries, mainly in Europe and Latin America and those parts of Africa that had become Catholic during colonialism.
Archconservative Aristocrats
The Order of Malta is subdivided in several classes, some, reserved exclusively for men. The First Class is made up of "Knights of Justice," "who have made vows of poverty, chastity, and obedience aspiring to perfection according to the Gospel." The members of the Second Class, the "Knights of Obedience," are only required to make a "Promise of Obedience." Until 1998, only men had been accepted in the Second Class, whose families had been bearing titles of aristocracy for at least 300 years.[4] Since 20 years, commoners may, in principle, join the Order - and even move up to the First Class. However, still around 75 percent of the Order's German members are aristocrats.[5] The archaic structure is accompanied by archconservative mindsets. The crucial and ambiguous influence exerted by the Order of Malta on the "Malteser Hilfsdienst" (MHD, Emergency Corps of the German Association of the Order of Malta) has already provoked criticism. The MHD has been repeatedly suspected of "mobbing out homosexuals, if their orientation becomes apparent." Divorcees have complained of having encountered particular difficulties, as well as employees demanding better pay.[6]
The Rise of the "German Faction"
Over the years, a "German Faction" began to have considerable influence within this Catholic order. The German Faction is considered - comparatively - liberal and has good ties to the Vatican under Pope Francis, who, on some questions, is reform-oriented. The best-known representative of this Faction is Albrecht Freiherr von Boeselager, who, since 2014, officiates as Lord High Chancellor of the order, and therefore as quasi its foreign minister. The archconservative "Anglo-Saxon Faction" around Cardinal Raymund Burke, from the USA, on the other hand, had sought to depose Boeselager back in late 2016 - early 2017. Burke maintains very close ties to the well-known far-right wing US American Steve Bannon, as well as to influential extreme right-wing European leaders, including Matteo Salvini, who has been Italy's minister of internal affairs since June 2018.[7] Boeselager referred to the attempts to depose him, as a "rebellion against the Pope."[8] In fact, Francis, under whom the Order of Malta is a subordinate, intervened in its affairs of state and confirmed Boeselager in his office.[9]
An Image Campaign
The rise of the "German Faction" was accomplished against the backdrop of a systematically prepared empowerment of the German Association of the Order of Malta, which was playing an increasingly important role among the numerous other Maltese associations. To promote the German branch, the US McKinsey business management consultancy donated "pro bono" its services for a new image campaign of the German Hilfsdienst.[10] The bookkeeping was modernized with the help of software from the SAP Group, and the various regional organizations were centralized. "All of the instruments of business administration" were activated,[11] to create a "modern emergency aid network" out of a volunteer association, according to observers.[12] Alongside the strong German Association, the "Maltese International" has its headquarters in Cologne, from where it administers 200 projects in many countries of the global south.[13]
A Partisan of NATO
"Maltese International" has carried out several emergency medical missions parallel to NATO interventions as well as UN missions involving NATO countries. The German Ministry of Foreign Affairs helped finance some of these. For example, "Maltese International" has dispatched first aid teams to Bosnia-Herzegovina, to Afghanistan and Kuwait - at times, when Bundeswehr soldiers were stationed there.[14] Even though the Order of Malta has no genuine national territory of its own, since 1877, it has maintained a military corps within Italy's Armed Forces. Currently, it has around 600 members, who participate in humanitarian interventions - for example, administering to the humanitarian refugee crisis on Lampedusa island.[15] In 2013/14, the Maltase Corps participated in the Italy's "Mare Nostrum" naval operations rescuing refugees from the Mediterranean.[16] The German foreign ministry explicitly characterizes the Order of Malta as an "important partner." This is referring to Syria or Northern Iraq, but also "to many other locations in Africa and Asia," the ministry declares. "Germany and the Order of Malta are working together all over the world."[17]
Dubious Financial Transactions
The Order of Malta - the German section, and the association as a whole - has been suspected for many years of engaging in dubious financial transactions. In the Maltese branch office in Munich, according to one report, there is often the "impression of self-service and nepotism."[18] For example, some of the members of the Order financed a pilgrimage to the Middle East with money that had been earmarked for "supporting youth." From 2001 - 2003 the aristocratic chair of Germany's Maltese Association had collected funds for an Earl in financial difficulties. The Munich headquarters of the Maltese Emergency Corp had accepted these donations and even issued donation receipts to the donors, it is reported - clearly an illegal practice, which was halted in 2003. However, these irregularities have had no consequences on the Order of Malta's close cooperation with the German government.[19]
[1] Peter Brors, Tanja Kewes: Für Gott und die Welt. Handelsblatt 29.03.2018.
[2] Gabriel bei Maltesern erwartet. Frankfurter Allgemeine Zeitung, 24.10.2017.
[3] First german Ambassador presents her credentials to the Lieutenant of the Grand Master. orderofmalta.int 27.04.2018.
[4], [5] Klaus Werle: Mantel und Segen. Manager Magazin 01.05.2010.
[6] Nicolas Richter, Matthias Drobinski: Hilf dir selbst. Süddeutsche Zeitung 02.07.2018.
[7] Anna Miller, Lukas Häuptli: Umstrittener Trump-Berater befeuert den Machtkampf im Vatikan. Neue Zürcher Zeitung am Sonntag 16.04.2017.
[8] Anna Miller: Das Malteser-Komplott. Neue Zürcher Zeitung am Sonntag 16.04.2017.
[9] Matthias Rüb: Ein Ministaat in Aufruhr, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung, 18.07.2018.
[10], [11] Werle: Mantel und Segen. Manager Magazin 01.05.2010.
[12] Peter Brors, Tanja Kewes: Für Gott und die Welt. Handelsblatt 29.03.2018.
[13] Werle: Mantel und Segen. Manager Magazin 01.05.2010.
[14] Bosnia-Herzegovina: first-aid service in the pilgrim village of Medjugorje. orderofmalta.int 19.07.2005. United Nations assistance mission Afghanistan. orderofmalta.int 10.11.2002. The Order action in Kuwait and Afghanistan. orderofmalta.int 14.02.2003.
[15] Defence - Military Order of Malta: cooperation agreement. difesa.it 29.01.2014.
[16] Pierluigi Musarò: Mare Nostrum: The Visual Politics of a military-humanitarian Operation in the Mediterranean Sea, in: Media, Culture & Society, Jg. 39 (2017), Nr. 1, S. 11-28 (hier: S. 16).
[17] Deutschland nimmt diplomatische Beziehungen mit Malteserorden auf. auswaertiges-amt.de 15..11.2017.
[18], [19] Nicolas Richter, Matthias Drobinski: Hilf dir selbst. Süddeutsche Zeitung 02.07.2018.
BERLIN/ROM(Eigener Bericht) - In diesen Tagen jährt sich die ungewöhnliche Entscheidung der Bundesregierung, diplomatische Beziehungen zu einem religiösen Orden aufzunehmen, zum ersten Mal. Vor einem Jahr beschloss das Bundeskabinett in seiner letzten Sitzung vor der Bundestagswahl, diplomatische Beziehungen zum Malteserorden zu etablieren und die katholische Organisation damit sichtbar aufzuwerten. Der Orden verfügt nicht über ein echtes Staatsgebiet, gilt als erzkonservative Adligenvereinigung und stand im In- wie auch im Ausland des Öfteren im Verdacht, in undurchsichtige Finanzgeschäfte verwickelt zu sein. Für die Berliner Außenpolitik hat er sich allerdings immer wieder als nützliches Instrument erwiesen - indem er NATO-Operationen mit Sanitätseinsätzen flankierte oder auch in Gebieten, in denen die Bundesrepublik Interessen verfolgt, humanitär tätig war, etwa in Syrien oder im Nordirak. Innerhalb des weltweit aktiven Ordens ist die deutsche Sektion ("Assoziation") in den vergangenen Jahren systematisch gestärkt worden und stellt heute die Führung der Organisation.
Diplomatische Beziehungen
Vor einem Jahr, in seiner letzten Sitzung vor der Bundestagswahl, hat das Bundeskabinett beschlossen, den Malteserorden - mit vollem Namen heißt er "Souveräner Ritter- und Hospitalorden vom heiligen Johannes von Jerusalem von Rhodos und von Malta" - diplomatisch anzuerkennen.[1] Mitte November reiste der damalige Bundesaußenminister Sigmar Gabriel (SPD) dann nach Rom, um die Aufnahme der Beziehungen zu besiegeln.[2] Die damalige Botschafterin Deutschlands beim Vatikan, Ex-Bundesbildungsministerin Annette Schavan (CDU), erhielt die Aufgabe, die Bundesrepublik von nun an zusätzlich beim Malteserorden zu vertreten.[3] Zuvor hatte sich Schavan gemeinsam mit weiteren Politikern aus den Unionsparteien sowie der SPD für die Anerkennung des Ordens durch Berlin eingesetzt.
Aus der Ära der Kreuzzüge
Der Malteserorden ist, formal betrachtet, ein souveränes Völkerrechtssubjekt ohne ein wirkliches eigenes Staatsgebiet - vergleichbar mit dem Vatikan, nur noch kleiner. Gegründet wurde der Orden im Jahr 1048 in Jerusalem. Im Lauf der Jahrhunderte verlegte er seinen Sitz zunächst nach Zypern und später nach Malta. Nach der Vertreibung von dort durch napoleonische Truppen ließ er sich 1834 in Rom nieder, wo er bis heute residiert. Seit 1869 hat der Ordenssitz exterritorialen Status - analog zum Sitz des Vatikans. Im Jahr 1994 wurde der Orden als Beobachter in die Generalversammlung der Vereinten Nationen aufgenommen. Vier Jahre später verpachteten ihm die Behörden der Republik Malta eine spätmittelalterliche Festung; dort unterhält er jetzt eine diplomatische Akademie, die eine wichtige Rolle in seiner Außenpolitik spielt. Derzeit unterhält das staatenlose Völkerrechtsgebilde offizielle diplomatische Beziehungen zu 107 Staaten, die meisten davon in Europa, Lateinamerika und den infolge des Kolonialismus katholisch geprägten Teilen Afrikas.
Erzkonservativer Adel
Der Malteserorden ist in mehrere Stände untergliedert, von denen einige ausschließlich Männern vorbehalten sind. Der erste Stand besteht aus "Justizrittern" ("Professrittern"), die ein Armuts-, Keuschheits und Gehorsamsgelübde abgelegt haben. Die Mitglieder des zweiten Standes ("Obödienzritter") müssen lediglich ein religiöses Versprechen geben. In den zweiten Stand wurden bis 1998 nur Männer aufgenommen, deren Familien bereits seit mindestens 300 Jahren über einen Adelstitel verfügen.[4] Seit 20 Jahren dürfen im Prinzip auch Nichtadlige in den Orden eintreten - und sogar in den oberen Stand aufrücken. Dennoch sind weiterhin rund 75 Prozent der rund 700 deutschen Ordensmitglieder Adlige.[5] Die archaische Struktur geht einher mit erzkonservativen Haltungen. Für Aufsehen sorgt immer wieder der - entscheidende und zugleich intransparente - Einfluss des Malteserordens auf den Malteser Hilfsdienst, der des Öfteren etwa im Verdacht stand, "dass Homosexuelle" aus ihm "herausgedrängt werden, wenn ihre Orientierung auffällt". Außerdem beklagten sich, heißt es in Berichten, Geschiedene über besondere Schwierigkeiten im Malteser Hilfsdienst, darüber hinaus auch Mitarbeiter, die sich für eine bessere Bezahlung einsetzen.[6]
Der Aufstieg der "deutschen Fraktion"
In den vergangenen Jahren hat in dem katholischen Orden eine "deutsche Fraktion" erheblich an Einfluss gewonnen. Sie gilt als - vergleichsweise - liberal und unterhält gute Beziehungen zum Vatikan unter dem in mancher Hinsicht reformorientierten Papst Franziskus. Bekanntester Vertreter dieser Fraktion ist Albrecht Freiherr von Boeselager, der seit 2014 als Großkanzler des Ordens und damit als dessen Quasi-Außenminister amtiert. Die erzkonservative "angelsächsische Fraktion" um US-Kardinal Raymund Burke wiederum hatte Ende 2016, Anfang 2017 versucht, Boeselager abzusetzen. Burke pflegt enge Beziehungen zu dem bekannten US-amerikanischen Rechtsaußen Steve Bannon, aber auch zu einflussreichen Anführern der extremen Rechten in Europa, darunter Matteo Salvini, der seit Juni 2018 das Amt des italienischen Innenministers innehat.[7] Boeselager sprach angesichts der Bestrebungen, ihn abzusetzen, von einer "Rebellion gegen den Papst".[8] In der Tat hat Franziskus, dem der Malteserorden untersteht, in dessen Regierungsgeschäfte eingegriffen und Boeselager in seinem Amt bestätigt..[9]
Eine Imagekampagne
Der Aufstieg der "deutschen Fraktion" gelang vor dem Hintergrund eines systematisch vorbereiteten Erstarkens des deutschen Landesverbandes ("Assoziation") des Malteserordens, die eine immer wichtigere Rolle unter den zahlreichen Assoziationen der Malteser einnimmt. Um den deutschen Ableger zu fördern, hatte die US-Unternehmensberatung McKinsey dem deutschen Hilfsdienst eine neue Imagekampagne "pro bono" spendiert.[10] Mithilfe von Software des SAP-Konzerns wurde die Buchhaltung modernisiert; die verschiedenen regionalen Organisationen wurden zentralisiert. Das "ganze BWL-Instrumentarium" sei angewandt worden [11], um aus der ehrenamtlichen Vereinigung ein "modernes Hilfsnetzwerk" zu machen, urteilen Beobachter.[12] Neben dem starken deutschen Verband hat "Malteser International" seinen Sitz in Köln und verwaltet von dort 200 Projekte in vielen Ländern des Globalen Südens.[13]
An der Seite der NATO
"Malteser International" hat - teilweise finanziert durch das Auswärtige Amt - mehrere Sanitätseinsätze parallel zu NATO-Interventionen sowie zu UN-Einsätzen mit Beteiligung von NATO-Staaten durchgeführt. So entsandte "Malteser International" Sanitäter nach Bosnien-Herzegowina, Afghanistan und Kuweit - zu einer Zeit, als dort auch Bundeswehrsoldaten stationiert waren.[14] Obwohl der Malteserorden kein eigenes Staatsgebiet hat, unterhält er - seit 1877 - ein eigenes Militärkorps innerhalb der italienischen Streitkräfte. Aktuell gehören ihm rund 600 Mitglieder an, die an humanitären Einsätzen teilnehmen - so zum Beispiel an der Versorgung von Flüchtlingen auf Lampedusa.[15] In den Jahren 2013/14 nahm das Malteserkorps an der Operation "Mare Nostrum" der italienischen Marine zum Aufgreifen von Geflüchteten im Mittelmeer teil.[16] Das Auswärtige Amt stuft den Malteserorden ausdrücklich als einen "wichtige[n] Partner" ein. Dies gelte etwa in Syrien oder im Nordirak, aber auch "an vielen Orten in Afrika und Asien", teilt das Ministerium mit: "Deutschland und der Malteserorden arbeiten rund um die Welt zusammen."[17]
Undurchsichtige Finanzgeschäfte
Dabei steht der Malteserorden - die deutsche Sektion, aber auch der Gesamtverband - seit vielen Jahren im Verdacht, undurchsichtige Finanzgeschäfte zu tätigen. In der Münchner Zweigstelle der Malteser etwa entstehe des Öfteren der "Eindruck von Selbstbedienung und Vetternwirtschaft", heißt es in einem Bericht.[18] So hätten einige Ordensmitglieder eine Pilgerreise in den Nahen Osten über Gelder des Malteser Hilfsdienstes in München finanziert; dabei habe es sich um Mittel gehandelt, die eigentlich für die "Unterstützung von Jugendlichen" vorgesehen waren, heißt es. Von 2001 bis 2003 sammelte der adelige Vorsitzende der deutschen Malteserassoziation Gelder für einen in Finanznot geratenen Grafen. Die Münchner Zentrale des Hilfsdienstes habe die Spenden angenommen und sogar Spendenquittungen ausgestellt, wird berichtet - eine klar rechtswidrige Praxis, die 2003 unterbunden wurde. Auswirkungen auf die enge außenpolitische Zusammenarbeit der Bundesregierung mit dem Orden hatten die Unregelmäßigkeiten nicht.[19]
[1] Peter Brors, Tanja Kewes: Für Gott und die Welt. Handelsblatt 29.03.2018.
[2] Gabriel bei Maltesern erwartet. Frankfurter Allgemeine Zeitung, 24.10.2017.
[3] First german Ambassador presents her credentials to the Lieutenant of the Grand Master. orderofmalta.int 27.04.2018.
[4], [5] Klaus Werle: Mantel und Segen. Manager Magazin 01.05.2010.
[6] Nicolas Richter, Matthias Drobinski: Hilf dir selbst. Süddeutsche Zeitung 02.07.2018.
[7] Anna Miller, Lukas Häuptli: Umstrittener Trump-Berater befeuert den Machtkampf im Vatikan. Neue Zürcher Zeitung am Sonntag 16.04.2017.
[8] Anna Miller: Das Malteser-Komplott. Neue Zürcher Zeitung am Sonntag 16.04.2017.
[9] Matthias Rüb: Ein Ministaat in Aufruhr, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung, 18.07.2018.
[10], [11] Werle: Mantel und Segen. Manager Magazin 01.05.2010.
[12] Peter Brors, Tanja Kewes: Für Gott und die Welt. Handelsblatt 29.03.2018.
[13] Werle: Mantel und Segen. Manager Magazin 01.05.2010.
[14] Bosnia-Herzegovina: first-aid service in the pilgrim village of Medjugorje. orderofmalta.int 19.07.2005. United Nations assistance mission Afghanistan. orderofmalta.int 10.11.2002. The Order action in Kuwait and Afghanistan. orderofmalta.int 14.02.2003.
[15] Defence - Military Order of Malta: cooperation agreement. difesa.it 29.01.2014.
[16] Pierluigi Musarò: Mare Nostrum: The Visual Politics of a military-humanitarian Operation in the Mediterranean Sea, in: Media, Culture & Society, Jg. 39 (2017), Nr. 1, S. 11-28 (hier: S. 16).
[17] Deutschland nimmt diplomatische Beziehungen mit Malteserorden auf. auswaertiges-amt.de 15.11.2017.
[18], [19] Nicolas Richter, Matthias Drobinski: Hilf dir selbst. Süddeutsche Zeitung 02.07.2018.
=== 1 ===
Inizio messaggio inoltrato:
Da: Maurizio Vezzosi
Oggetto: Memoria - Nikolaj Bujanov: un capriccio italiano
Data: 9 luglio 2018
Grazie ad Emilio Polverini e Davide Torelli sono riuscito a recuperare un prezioso documentario e metterlo in rete in occasione del settantaquattresimo anniversario della morte di Nikolaj Bujanov, partigiano sovietico caduto nei dintorni di Cavriglia (Arezzo) l'8 luglio del 1944.
Nikolaj Bujanov - Capriccio italiano (URSS,Italia 1988) Regia di Anatolij Dmitrievich Sirikh
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=PsYO7feg28Y
Lo scarso profilo tecnico del documentario è compensato dal suo immenso valore storico: al regista sovietico Anatolij Dmitrievich Sirikh va infatti il merito inestimabile di aver raccolto le testimonianze dei commilitoni di Nikolaj Bujanov e di parenti e conoscenti allora in vita della cittadina di Mogilev-Podolskij (Oblast’ di Vinnitsa, Ucraina). Per approfondire rimando all'articolo Nikolaj Bujanov. Più in alto del sole di Luglio da me pubblicato lo scorso anno [LINK: http://contropiano.org/news/cultura-news/2017/07/08/nikolaj-bujanov-piu-alto-del-sole-luglio-093736 ].
In alcune centinaia tra città e paesi dell'Italia vi sono sepolture di soldati sovietici. Le maggiori sono a Torino, Cuneo, Genova, Firenze, Milano, Bologna e Verona. I locali portano fiori sulle tombe, malgrado ciò, spesso esse sono ignote.
Risultato finale di questo lavoro è il libro "I partigiani sovietici in Italia", pubblicato dalla casa editrice "Veche".
Secondo Massimo Eccli, molti soldati sovietici, arrivati in Italia negli anni di guerra, ancora oggi sono considerati dagli archivi sovietici come dispersi. Durante il lavoro sul libro, si riuscì a ricostruire alcuni dei loro nomi.
In Italia, durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, molti soldati furono prigionieri nei campi di lavoro. Solamente i soldati dell'Armata Rossa furono più di 20000. Coloro che riuscirono a fuggire si unirono al movimento della Resistenza e ai distaccamenti partigiani. Alcuni nostri connazionali sono leggendari membri della Resistenza italiana: Fjodor Poletaev, Nikolaj Bujanov, Daniil Avdeev, Fore Mosulišvili, furono insigniti della più alta decorazione italiana, per le prodezze sul campo di battaglia: la medaglia d'oro "al Valor Militare". Vennero premiati con il titolo di "Eroe dell'Unione Sovietica" Fjodor Poletaev, Fore Mosulišvili, Daniil Avdeev e Nikolaj Bujanov. Molti ricevettero le più alte onoreficenze sovietiche soprattutto ad Memoriam.
Alla presentazione si esibirà il cantante lirico Luca Lattanzio. Il 9 maggio 2018 egli si è esibito al Cremlino, durante la festa per il Giorno della Vittoria.
Alla presentazione prenderanno parte parenti dei partigiani sovietici, rappresentanti dell'Ambasciata d'Italia, delle organizzazioni culturali ed educative della Russia e dell'Italia: l'Associazione Dante Alighieri, la scuola "Italo Calvino", il liceo "Paolo Diacono", il "Fotozentr" di Gogolevskij Boulevard e Dom Žurnalista.
Nova ljevica – NL, Održivi razvoj razvoj Hrvatske – ORaH,
Socijalistička radnička partija – SRP i Radnička fronta – RF,
potpisali su u Šibeniku 8. rujna 2018. “ŠIBENSKU DEKLARACIJU O
USPOSTAVI UJEDINJENE LJEVICE – ZAJEDNIČKE PLATFORME LIJEVIH SNAGA”.
Deklaracija je otvorena za potpisivanje svim pojedinkama i
pojedincima, predstavnicama i predstavnicima stranaka i platformi,
udruga, inicijativa i pokreta i sindikata, koji se žele priključiti
platformi.
Šibenska deklaracija započinje analizom stanja – da Hrvatska “ni
nakon četvrt stoljeća od uspostave liberalne demokracije i
kapitalizma, nije konsolidirana demokracija ni ekonomija i da je
Hrvatska, s pozicije druge zemlje po bogatstvu i potencijalu u odnosu
na ostale zemlje u tranziciji s početka 90-tih – danas po većini
pokazatelja (BDP-a, iznosa minimalne plaće, zaposlenosti) zemlja na
začelju EU.
“Hrvatska treba ljevicu utemeljenu na aktivnom sudjelovanju svih koji
žele promjenu paradigme u skladu s potrebama obespravljene većine,
nakon višedesetljetnog, očito neuspješnog, vođenja zemlje od strane
vlada lijevog i desnog centra”, navodi se u Šibenskoj deklaraciji.
Hrvatska nova lijeva paradigma želi uspostavu novog društvenog ugovora
koji će biti usmjeren postizanju ciljeva na sljedećim područjima:
A) POVRATAK POLITIKE LJUDIMA I LJUDI POLITICI, OPĆA DEMOKRATIZACIJA I DECENTRALIZACIJA POLITIČKOG I UPRAVNOG ŽIVOTA
B) VRAĆANJE EGZISTENCIJALNE I EKONOMSKE SIGURNOSTI U SREDIŠTE
POLITIČKOG I EKONOMSKOG ŽIVOTA ZEMLJE
C) SOCIJALNA POLITIKA KOJA POTIČE EKONOMSKU SAMOSTALNOST, SIGURNOST i AKTIVNOST SVIH LJUDI
D) KULTURA, OBRAZOVANJE I SPORT KAO POTREBA, A NE TROŠAK
E) PREOBRAZBA U ZEMLJU KOJA U VANJSKOJ POLITICI VELIČA DEMOKRACIJU, MIR I SURADNJU MEĐU NARODIMA.
Potpisnici Šibenske deklaracije obvezali su se da će radi
maksimalizacije mogućnosti za provedbu postavljenih ciljeva, u svom
političkom i civilnom radu promovirati suradnju, te sklapati
potencijalne koalicije, otvorene za doprinos i utjecaj pojedinaca i
pojedinki, lokalnih, regionalnih i nacionalnih platformi sličnih
težnji i ciljeva, kao i udruga, građanskih inicijativa te sindikata
“kako bismo putem trajne nacionalne platforme lijevih snaga osigurali
složene promjene – ostvarenje ekonomskih, političkih i socijalnih
prava i konsolidaciju demokracije i ekonomije u Hrvatskoj.”
U prilogu: cjeloviti tekst Šibenske deklaracije.
<<
Mi, pojedinke i pojedinci, predstavnici i predstavnice stranaka i platformi, udruga, inicijativa i pokreta, zabrinuti za socijalnu i ekonomsku perspektivu Hrvatske i budućnost demokracije u Hrvatskoj i Evropi – donosimo
ŠIBENSKU DEKLARACIJU O USPOSTAVI UJEDINJENE LJEVICE –
ZAJEDNIČKE PLATFORME LIJEVIH SNAGA
1.
Hrvatska ni nakon četvrt stoljeća od uspostave liberalne demokracije i kapitalizma nije konsoldirana demokracija ni ekonomija.
S pozicije druge zemlje po bogatstvu i potencijalu u odnosu na ostale zemlje u tranziciji s početka 90-tih, Hrvatska je danas po većini pokazatelja (BDP-a, iznosa minimalne plaće, zaposlenosti) zemlja na začelju EU.
Dok vladajuće stranke zemlju vode primjenjujući zastarjele modele političkog jednoumlja izraženog kroz eufemizam nacionalnog zajedništva i dok kapitalizam na poluperiferiji Evrope većinu ljudi vodi u sve dublju krizu i spiralu unutrašnjih i vanjskih dugova, osiguravajući prosperitet samo onima koji pristaju na koruptivnu isprepletenost kapitala i vlasti – Hrvatska je izgubila i još gubi stotine tisuća radnih mjesta i stanovnika.
Partitokratske stranke na vlasti u tom razdoblju, kao i danas, provode svoje interese bez osjećaja i odgovornosti za radno, socijalno, zdravstveno, obrazovno i opće stanje stanovništva.
Hrvatska je izgubila ekonomski suverenitet nad bankama, telekomunikacijama, turizmom, trgovinom, sirovinama, a po istom, kompradorskom principu (posredovanjem političke elite u korist stranih vlasnika), vladajući će uskoro predati stranim vlasnicima velike dijelove prehrambene industrije, kao i koncesije nad poljoprivrednim zemljištem, pitkom vodom, morem i obalom, dok su odlučivanje o ostacima brodograđevne industrije već prepustili Evropskoj komisiji.
Danas su plaće u Hrvatskoj među najnižima u Evropi. Radnicima u Hrvatskoj plaće su pale na 37 % prosjeka zapadne Evrope. Problem predstavlja i visoka nezaposlenost – podatak o 10% nezaposlenih (otprilike 176.000 ljudi) ne dočarava u potpunosti situaciju jer ne uključuje veliki broj atipičnih ugovora o radu. Već je oko 300.000 ljudi moralo iseliti iz Hrvatske kao ekonomska emigracija. Od početka krize 2008. izgubljeno je svako 11. radno mjesto, a nova se ne otvaraju.
U Hrvatskoj praktički je na djelu zabrana zapošljavanja na neodređeno vrijeme. Na početku krize u zemlji je bilo 12,3% zaposlenih na određeno vrijeme. Danas, nakon što je kriza upotrijebljena za daljnje uništavanje sigurnosti radnika i širenje prekarnih modela zaposlenja, radnika s takvim ugovorima dvostruko je više, čak 22,2%. Prema atipičnim oblicima rada Hrvatska je na 4. mjestu u EU.
Istovremeno, Vlada inzistira na politici iscrpljivanja radnika snižavanjem plaća, ograničavanjem radničkih prava, otpuštanjem radnika iz javnog sektora, mjerama štednje, a sve zbog navodnog povećanja kompetitivnosti. Vladajući inzistiraju na mitovima o stranim investitorima kojima samo treba stvoriti “povoljnu klimu”, ne pitajući koliko je ta klima povoljna za radnike i većinu stanovništva. Strani investitori pak ulažu u sektore gdje već postoji uređena infrastruktura, poput telekomunikacija i trgovine, te nemaju interes financirati proizvodne kapacitete. Umjesto rizičnih ulaganja u velike fiksne troškove (zgrade, infrastrukturu, itd.), investitori preuzimaju javna poduzeća i šire se na prirodne resurse, preuzimaju obalne i šumske resurse – kupuju pravo na rentu.
Vladajući kao i njihova parlamentarna oporba ponavljaju mit o blagodatima EU fondova, zanemarujući činjenicu da je iznos koji je na raspolaganju Hrvatskoj osjetno manji od hrvatskih investicija u privatnom i javnom sektoru u samo jednoj godini prije krize. Iznos koji EU fondovi nude nije dostatan da bi proizveo pozitivne efekte na ekonomiju, te Hrvatska 10-50% svakog iznosa treba dati sama.
Za Hrvatsko se gospodarstvo uglavnom zamišlja da mu spas treba doći izvana. dok se u potpunosti negira asimetrični odnos između centra i periferije Evrope, gdje gospodarstvo bogatih ne počiva na njihovim vještinama i sposobnostima, već na povoljnijim uvjetima u kojima se njihove ekonomije razvijaju, povoljnijim kreditima, privilegijama na perifernim tržištima, međunarodnim lobijima, državnim subvencijama poljoprivrede, znanosti i tehnologije.
Klanjanje “slobodnom tržištu” dovelo nas je do skoro potpune deindustrijalizacije, a danas su na udaru i posljednji ostaci industrije, poput brodogradnje, jer nam EU zabranjuje državne subvencije.
Vladajuće stranke su u proteklih 28 godina u potpunosti monopolizirale politički život u Hrvatskoj, ostavljajući marginalni prostor utjecaja na kreiranje i provedbu politika. Ta isključenost većine iz stvarne uloge u političkom odlučivanju temeljni je uzrok apolitičnosti i glasačke apatije, a vladajućima odgovara jer im omogućuje daljnje oslanjanje na klijentelističku glasačku mašineriju.
U Hrvatskoj je preslab otpor neokonzervativnom valu koji nedvosmisleno kani srušiti preostale ostatke građanskih prava i osnova republike, usmjeravajući se posebno na prava žena, etničkih i seksulnih manjina, migranata kao i na slobode medija, dok navodne “protusistemske“ stranke svoju političku poziciju održavaju na valu opravdanog nezadovoljstva građana, ne nudeći održiva ekonomska i politička rješenja, utemeljena na ekonomskoj i političkoj demokraciji.
Hrvatska treba ljevicu utemeljenu na aktivnom sudjelovanju svih koji žele promjenu opisane paradigme u skladu s potrebama obespravljene većine, nakon višedesetljetnog, očito neuspješnog, vođenja zemlje od strane vlada lijevog i desnog centra.
2.
Hrvatska nova lijeva paradigma želi uspostavu društvenog ugovora koji će biti usmjeren postizanju ciljeva na sljedećim područjima:
Želimo zaštiti i sačuvati javna dobra od eksploatacije koja donosi dobit za 1% stanovništva, a uništava osnovne resurse za našu djecu i unuke i uspostaviti ekonomiju koja je održiva i otporna na krize kreiranjem novih oblika ekonomske proizvodnje koji nisu vođeni logikom kratkoročne maksimalizacije profita za elite, već osiguranjem egzistencijalne sigurnosti za sve. Želimo pravila i uvjete poslovanja i porezne obveze gradirati s obzirom na financijsku snagu i veličinu poduzeća.
Ekonomska sigurnost treba se temeljiti na osiguravanju potreba svih, a ne na bogaćenju manjine na račun radnika, nezaposlenih, studenata i umirovljenika. Ekonomija mora biti u interesu većine, a zaposlenost, prehrambena sigurnost, stambeno pitanje trebaju biti temeljni, a ne samo usputni proizvod profitne ekonomije koji se eventualno tek djelomično ostvaruje (ali nikada potpuno i nikada za čitavo društvo).
Posebno želimo poticati jačanje civilnog društva u području zaštite ljudskih prava, posebice prava žena i prava LGTBIQ osoba, te promociji pozitivnih društvenih vrijednosti koje će doprinijeti stvaranju otvorenog, modernog i progresivnog društva.
3.
Mi, pojedinke i pojedinci, predstavnici stranaka i platformi, udruga, inicijativa i pokreta kao potpisnici ove Deklaracije obvezujemo se da ćemo radi maksimalizacije mogućnosti za provedbu opisanih ciljeva u svom političkom i civilnom radu promovirati suradnju, te sklapati potencijalne koalicije, otvorene za doprinos i utjecaj pojedinaca i pojedinki, lokalnih, regionalnih i nacionalnih platformi sličnih težnji i ciljeva, kao i udruga, građanskih inicijativa te sindikata kako bismo putem trajne nacionalne platforme lijevih snaga osigurali složene promjene – ostvarenje ekonomskih, političkih i socijalnih prava i konsolidaciju demokracije i ekonomije u Hrvatskoj i u čitavoj Evropi – radi demokratske i održive budućnosti svih njenih stanovnika.
4.
Deklaracija je otvorena za potpisivanje svim pojedinkama i pojedincima, predstavnicama i predstavnicima stranaka i platformi, udruga, inicijativa i pokreta i sindikata, a 8.9.2018. u Šibeniku potpisali su je
– za Novu ljevicu________________________Dragan Markovina, predsjednik
– za Održivi razvoj razvoj Hrvatske – ORaH_______Mladen Novak, predsjednik
– za Socijalističku radničku partiju – SRP___________Vlado Bušić, predsjednik
– za Radničku frontu – RF_____Sanja Kovačević i Aleksandar Dolić, delagat/kinja
5.
Radnička fronta – RF ističe, kao svoje izdvojeno mišljenje:
Radikalna promjena zahtijeva ukidanje nepomirljive suprotnosti između dvije osnovne klase – kapitalista (onih koji imaju monopol na sredstva za proizvodnju – banke, poduzeća, tvornice, trgovačke lance, hotele itd. – i svoj profit ostvaruju radom drugih) i radnika (svih onih koji iznajmljuju svoju radnu snagu da bi preživjeli).
Ta politika podrazumijeva re-industrijalizaciju u interesu većine, osiguravanje radnih mjesta, poticanje industrijske politike koja pokreće i povezuje različite industrijske grane, monetarnu, tečajnu i fiskalnu politiku u funkciji industrije, uvođenje radničke participacije i samoupravljanja u privredne subjekte bez obzira na njihovo vlasništvo.
Demokracija mora prestati biti fraza kojom kapital maskira svoju diktaturu i postati društvena stvarnost kojom se ostvaruju interesi radnog naroda, stoga je potrebno smjesta prekinuti svaku rasprodaju/privatizaciju i sve temeljne resurse od općeg značaja nacionalizirati te uvesti kontrolu javnosti i radnika nad njihovim raspolaganjem.
– za Radničku frontu – RF_____Sanja Kovačević i Aleksandar Dolić, delagat/kinja
https://www.balcanicaucaso.org/eng/Areas/Croatia/Croatia-Must-Not-Whitewash-the-Horrors-of-Jasenovac-189824
https://www.balcanicaucaso.org/bhs/zone/Hrvatska/Hrvatska-ne-smije-zataskavati-strahote-Jasenovca-189824
(Articolo pubblicato originariamente da Balkan Insight il 27 agosto 2018)
Ci sono realtà terribili della storia che non devono essere messe in discussione, distorte o negate da nessuno che abbia un minimo di integrità morale o senso di decenza.
Rientra in questa categoria il massacro di milioni di ebrei nei campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau, Treblinka, Majdanek, Belzec, Chelmno e Sobibor durante l'Olocausto della Seconda guerra mondiale..
Questo vale anche in quanto la Germania nazista ha perpetrato questo crimine ultimo contro l’umanità insieme ai suoi complici internazionali fascisti.
Qualsiasi tentativo di negare, banalizzare o minimizzare la gravità di questo genocidio, o di assolvere in qualunque modo i suoi esecutori, è, in poche parole, moralmente osceno.
Per questo motivo negare l’Olocausto è un reato penale in Germania, Francia, Russia, Italia, Austria, Romania, e in molti altri paesi.
Papa Francesco ha denunciato la negazione dell’Olocausto come “follia” e il suo predecessore, Papa Benedetto XVI, l’ha definita “intollerabile”.
È anche molto importante tenere a mente che i tedeschi non sono stati gli unici a uccidere in massa ebrei, rom e altri, durante l’Olocausto. Nella regione corrispondente all'attuale Transnistria, all’epoca parte della Romania, la Guardia di Ferro di Ion Antonescu, alleata di Hitler, partecipò appassionatamente al massacro di circa 150.000-250.000 ebrei. Mentre nello stato indipendente della Croazia fascista degli ustascia, guidato Ante Pavelić, venivano commessi brutali genocidi contro serbi, ebrei e rom.
Secondo il Museo del Memoriale dell’Olocausto degli Stati Uniti, le autorità croate hanno ucciso tra i 320.000 e i 340.000 serbi residenti in Croazia e Bosnia durante il regime degli ustascia e più di 30.000 ebrei croati, questi ultimi uccisi in Croazia o ad Auschwitz-Birkenau.
Per portare a termine il genocidio gli ustascia crearono una rete di campi di concentramento locali, infami per brutalità e paragonabili alla barbarie dei campi di sterminio e di concentramento tedeschi.
Il più tristemente noto era formato da cinque campi, insieme denominati Jasenovac, vicino a Zagabria, nonché spesso chiamati “Auschwitz dei Balcani”.
Di nuovo, secondo il Museo del Memoriale dell’Olocausto degli Stati Uniti, in questi campi gli ustascia hanno brutalmente ucciso tra le 77.000 e le 104.000 persone, serbi, ebrei, rom e croati oppositori del regime. Il complesso del Memoriale di Jasenovac ha identificato 83.145 serbi, ebrei, rom e antifascisti uccisi in quei campi.
Per anni, elementi estremisti in Croazia hanno cercato di assolvere gli ustascia e minimizzare le atrocità perpetrate a Jasenovac.
L’esempio più recente di questa tendenza è il commento di Milan Ivkosić, “Jasenovac ripulito dall’ideologia, dai pregiudizi e dalle falsità comuniste”, pubblicato il 17 agosto sul quotidiano croato Večernji list, il più letto nel paese.
Ivkosić scrive con convinzione e apparentemente senza vergogna in riferimento al libro di Igor Vukić ‘Il campo di lavoro di Jasenovac’, che, secondo Ivkosić “è in opposizione al mito decennale di Jansenovac”.
Pur riconoscendo che le condizioni nel campo erano dure, Ivkosić dichiara, grottescamente, che “c’era divertimento all’interno del campo. C’erano incontri sportivi, in particolare calcio, concerti, performance teatrali, alcune create dai detenuti stessi”.
Divertimento? A Jasenovac? Il tentativo di Ivkosić di ripulire quel luogo e gli ustascia dalla loro essenza malvagia è riprovevole. Lo stesso vale per il suo sprezzante riferimento a un “mito di Jasenovac”.
La brutale uccisione di decine di migliaia di esseri umani in quel campo non è un mito, signor Ivkosić.
“Jasenovac era un inaudito campo di sterminio, non ne esisteva un altro simile nel mondo,” ha affermato l’ ex prigioniero Milo Despot, in un’intervista di storia orale, fatta e conservata al Museo del Memoriale dell’Olocausto degli Stati Uniti.
“I tedeschi si sbarazzavano dei detenuti in modo rapido, mentre a Jasenovac l’uccisione era più crudele – con mazze, martelli e coltelli, meno con i proiettili,” ha raccontato Milo.
“Non c’erano camere a gas, ma non mancavano altre barbarie. Molti prigionieri finivano con la gola tagliata o con il cranio sfondato; altri venivano fucilati o impiccati agli alberi lungo la Sava”, ha scritto nel 2006, il reporter Nicholas Wood del New York Times, parlando di Jasenovac.
Mi chiedo se Ivkosić consideri uno dei precedenti quattro esempi di comportamento degli ustascia a Jasenovac come “divertente” per i detenuti: nel suo racconto orale, Milo Despot ha raccontato di aver assistito all’uccisione di più di cento ragazze serbe su di una chiatta, eseguita da un’unità di ustascia, che, prima di ucciderle le hanno fatte spogliare. Poi hanno tagliato loro la gola e le hanno gettate nel fiume.
In un’altra intervista, Mara Vejnović, altra testimone, ha dichiarato di aver visto gli ustascia uccidere un gruppo di bambini con gas tossici, in una caserma di Jasenovac.
Eduard Sajer era stato incaricato di scavare una fossa comune in uno dei campi di Jasenovac. Raccontò come le guardie ustascia uccidevano i detenuti, colpendoli alla testa con delle mazze; anche il fratello più giovane di Eduard è stato ucciso in questo modo. Eduard spiegò che lui e gli altri ragazzi che scavavano hanno dovuto poi trascinare i corpi nella fossa. L’unica cosa che Eduard ha potuto fare per il fratello è stato prenderlo tra le sue braccia e metterlo delicatamente a riposare per sempre..
Egon Berger, nelle sue memorie, "44 mesi a Jasenovac", ha descritto così il frate francescano croato Tomislav Filipović Majstorović, conosciuto anche come Fra Sotona ("fratello di Satana"), il famigerato comandante di Jasenovac: “Frate Majstorović, con il volto completamente truccato, vestito elegantemente e con un cappello verde da caccia, guardava con piacere le sue vittime. Si avvicinava ai bambini, anche accarezzando loro la testa. Era accompagnato da Ljubo Milos e Ivica Matković.
“Frate Majstorović disse alle madri che i loro bambini sarebbero stati battezzati e li prese. Il bambino che frate Majstorović teneva in braccio toccò innocentemente il falso viso del suo assassino. Le madri, sconvolte, capirono la situazione. Offrirono le loro vite in cambio della misericordia per i bambini. Due bambini vennero messi a terra, mentre il terzo venne lanciato in aria come un pallone. Frate Majstorović, con un pugnale rivolto verso l’alto, lo mancò per tre volte, ma alla quarta, tra una battuta e una risata, il bambino venne trafitto dal pugnale. Le madri si gettarono a terra, tirandosi i capelli e gridando terribilmente. Le guardie ustascia della 14esima divisione le portarono via e le uccisero. Dopo che anche i bambini furono brutalmente uccisi, le tre bestie si scambiarono del denaro, a quanto pare c’era una scommessa in atto, avrebbe vinto chi per primo avesse conficcato un pugnale in un bambino.”
Distorcendo la terribile realtà di Jasenovac, Ivkosić ha profanato la memoria di migliaia e migliaia di uomini, donne e bambini innocenti che sono stati assassinati in quel luogo.
Večernji list, pubblicando questa vergognosa rubrica di Ivkosić, si è fatto complice dell’inammissibile campagna volta all’assoluzione degli ustascia e dei loro crimini. Ora, sia Ivkosić che Večernji list, dovranno essere chiamati a rispondere.
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VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=DoiC73rrkDU
TESTO: https://ilmanifesto.it/e-nato-il-neonazismo-in-europa/
La “democrazia diretta” del boldriniano “Adolf” Parubij
A beneficio dei propri fans liberugualpiddini, ancora zoppicanti sui vecchi concetti della democrazia rappresentativa tardonovecentesca, l’euronazista speaker della Rada ucraina, Andrej Parubij ha ribadito quale sia il modello cui debba attenersi ogni sincero estimatore della democrazia “diretta”.
Nel corso di un dibattito televisivo sulla prospettata riforma elettorale ucraina e rispondendo a una domanda relativa all’istituto referendario, il boldriniano Andrej ha confermato di essere “un grande sostenitore della democrazia diretta. C’è stato un tempo in cui mi sono occupato della questione in maniera scientifica. Anzi, dirò di più: il più grande personaggio che abbia praticato la “democrazia diretta” negli anni trenta è stato Adolf Aloisovic”, ha detto con la voce rotta dall’emozione il padrino della strage nazista del 2 maggio 2014 a Odessa.
Forse non ritenendosi degno di pronunciare cotanto cognome, non potendo ancora vantare i “successi” del proprio idolo dalla croce uncinata, l’ucraino è ricorso all’uso ossequioso slavo di nome e patronimico; e ha aggiunto: “Anche noi dobbiamo ricordarlo.. Negli anni ’30 questo era uno dei metodi chiave, anche della manipolazione”.
Che sia tempo per gli italici estimatori di tale studioso di ripassare qualche lezione di storia su cosa siano stati gli anni ’30 in Germania e quali metodi di “democrazia diretta” ne mutui l’odierna Ucraina nazigolpista?
https://www.german-foreign-policy.com/news/detail/7459/
Sowing Chaos (I)
The Power of the Oligarchs
Four years after the beginning of the Maidan protests on November 21, 2013, the abuses, which also had provoked the demonstrations, are still prevalent throughout the country, which is now oriented on the West. The power of the oligarchs is still intact. Already one year ago, experts noted that even though there have been some reshuffles amongst divers fractions of the oligarchs, (german-foreign-policy.com reported [1]) it does not change the fact that they are still largely controlling Kiev's politics. This has been confirmed by recent studies. The last two decades have shown "that the periodical changes of political regime in Ukraine have had merely a limited effect on the oligarchic system," according to the authors of an analysis by the Swedish International Development Cooperation Agency (SIDA). Even after the February 2014 putsch, oligarchs are still in control of "strategic branches of the economy" - for example, around 80% of the Ukrainian television market.[2] "There has not been much change," notes the Brussels think tank Bruegel, "the political influence of some oligarchs increased even further."[3] In fact, since 2014, an oligarch is officially leading the country - President Petro Poroshenko.
Corruption and Fake News
Corruption continues at high levels. For example, the case of Interior Minister Arsen Avakov's son, who sold backpacks to the army at six times their normal price, allegedly, causing damage in the six-digit euros. When the National Anti-Corruption Bureau searched the man's house, the National Guard, under the responsibility of the interior minister intervened and halted the search - under the pretext of having to vacate the building because of a bomb threat.[4] This is but a minor case, when compared to others. Serhiy Leshchenko, a staunch supporter of the putsch, who has worked as an investigative reporter for the pro-western daily Ukrainska Prawda, before he was elected to the Ukrainian parliament and became a member of the its Anti-Corruption Committee, is regularly voicing sharp criticism. In the parliament, Leshchenko reports, "corruption is in the air," which is particularly evident when the budget has to be passed. The respective parliamentary sessions last "until five in the morning, because the corrupt interests of all the politically influential centers must be satisfied."[5] According to Leshchenko, the President not only personally controls the state attorney's office, but even the secret service that has "civil society activists, independent journalists and politicians of the opposition" under surveillance and intervenes "in the settlement of business conflicts." To discredit the critics, a "Ukrainian troll factory" has been established - "a center to produce fictitious internet users and fake news for information attacks on regime opponents."
Decay and Chaos
Oligarchic rule and corruption in a persisting disastrous social and economic situation is now having an effect on the mood of the Ukrainian population. For example, only 17 percent of the Ukrainians have the feeling that a "consolidation" - by whatever definition - is taking place in the country; 75 percent describe the current development as "decay," 85 percent call it simply "chaos," and 69 percent are convinced that it is easily conceivable that demonstrations against the pro-western government could take place throughout the country.[6] President Poroshenko's popularity rating has plunged dramatically - according to varying opinion polls - to between two to six percent.[7]
Freedom of the Press under Attack
Not just the Ukrainian government's corruption but even some of its exorbitant Russophobia has provoked criticism from some of the foreign Maidan sympathizers. For example, President Poroshenko's decision last May, not only to annul the Russian television's Ukrainian license, but also to shut down the popular Russian social network "VKontakte" ("In Contact") and "Odnoklassnike" ("Classmates") as well as the "mail.ru" email provider has provoked angry protests. Human Rights Watch criticized these measures as "cynical, politically calculated attacks on millions of Ukrainians' right to information." Reporters Without Borders complained that this amounts to an "unacceptable assault on freedom of expression and the press."[8] Kiev also recently passed a new language law, which severely restricts the use of the country's minority languages. This affects, above all the Russian-speaking minority, which, even after the secession of Crimea and parts of Eastern Ukraine, is still quite large. However, because these measures also affect Ukraine's Hungarian-speaking minority, the Hungarian government has announced that it would block Kiev's rapprochement efforts toward the EU and NATO until this law is repealed.
On Orders of Pro-Western Forces
Whereas the political leaders of the pro-western Ukraine festively celebrate the fourth anniversary of the beginning of the Maidan demonstrations, new reports have become available indicating that the February 20, 2014 bloodbath in Kiev - which gave the last incitement to escalation of protests, leading to the overthrow of the Yanukovych government - had been triggered by snipers, working on orders of government opponents. One of the snipers had already admitted to this back in February 2015, thereby confirming what had become common knowledge just a few days after the bloodbath in Kiev. In a secretly recorded telephone call, the Estonian Foreign Minister Urmas Paet had reported to the EU*s head of Foreign Policy, Catherine Ashton, in early March 2014, that there was widespread suspicion that "someone from the new coalition" in the Ukrainian capital may have ordered the sniper murders. (german-foreign-policy.com reported.[9]) In February 2016, Maidan activist Ivan Bubenchik confessed that in the course of the massacre, he had shot Ukrainian police officers. Bubenchik confirmed this in a film that had attracted international attention.[10]
"Shooting Indiscriminately"
Last week, the Italian daily "Il Giornale," as well as the "Canale 5" television channel published a report revealing more details. Three Georgians reported that on the day of the shooting, they too had been employed by the opponents of the government at the time as snipers. They say that they had been explicitly ordered to shoot at both policemen and demonstrators - to "sow chaos."[11] If this is true, the official narrative, also propagated by the government in Berlin - that the Ukrainian government's repressive forces had deliberately committed the February 20 massacre - caves in. Equally grave is the fact that the three Georgians are not only heavily implicating themselves, but their testimonies substantiate grave suspicions around some of the influential politicians in the current pro-western Ukraine. german-foreign-policy.com will report more soon.
[1] See also Zauberlehrlinge (III).
[2] Wojciech Konończuk, Denis Cenușa, Kornely Kakachia: Oligarchs in Ukraine, Moldova and Georgia as key obstacles to reforms. Swedish International Development Cooperation Agency 24.05.2017.
[3] Marek Dabrowski: Ukraine's oligarchs are bad for democracy and economic reform. bruegel.org 03.10.2017.
[4] Reinhard Lauterbach: Solide zerstritten. junge Welt 04.11.2017.
[5] Sergej Leschtschenko: Markenzeichen Korruption. zeit.de 05.05.2017. See also Das korrupteste Land in Europa.
[6] Umfragen zur Entwicklung der sozialen Lage und zur Proteststimmung in der Bevölkerung. In: Ukraine-Analysen Nr. 191, 15.11.2017.
[7] Reinhard Lauterbach: Solide zerstritten. junge Welt 04.11.2017.
[8] Zitiert nach: Steffen Halling: Kritiklos heraus aus dem Netz des Feindes? In: Ukraine-Analysen Nr. 186, 14.06.2017. S. 2f.
[9] See also The Kiev Escalation Strategy and From Račak to Maidan.
[10] Katya Gorchinskaya: He Killed for the Maidan. foreignpolicy.com 26.02.2016.
[11] Gian Micalessin: La versione dei cecchini sulla strage di Kiev: "Ordini dall'opposizione". ilgiornale.it 15.11.2017.
Sowing Chaos (II)
KIEV/BERLIN(Own report) - In an Italian TV documentary on the February 20, 2014 Maidan massacre, serious accusations were made against several politicians in Ukraine, including influential politicians, who are Germany's cooperation partners. In the documentary, three Georgians, incriminating themselves for their own participation, report that some of the leaders of the protests, who are today members of Kiev's parliament, had supplied weapons to the snipers, who, at the time, indiscriminately killed policemen and demonstrators. Officially, this massacre is still being attributed to Ukrainian repressive organs or to unspecified Russians. The Georgians also report that the current speaker of the parliament, Andriy Parubiy, was often seen in the hotel, from where the snipers were firing that day. As "Maidan Commander," Parubiy had been in charge of controlling armed gangs on that square. The man, whose real role at the time remains unclear, was a guest at a conference held by the Konrad Adenauer Foundation and a speaker at NATO events.
Escalation Strategy
The Italian Canale 5 TV channel recently aired a documentary on the February 20, 2014 Maidan massacre [1] that focuses on the testimonies of three Georgians reporting on the Maidan protests and the escalation of violence in February. The three Georgians, who had had military training - and no personal relationship to the demonstrators in Kiev - were recruited in the Georgian capital Tbilisi in mid-January 2014 and flown to Ukraine. One of the Georgians explains that he had been chosen because of his sniper skills. According to the reports, their main job was to provoke the Ukrainian repressive forces into brutally cracking down on the demonstrators. The three Georgians had their role to play in the strategy of escalation, previously agreed upon by the leaders of the protest - including Vitali Klitschko, the protégé of Germany’s foreign policy,[2] and today's mayor of Kiev. "I think we have paved the road for a more radical escalation of the situation," one can read in an email dated January 9, 2014, which later circulated online and is attributed to Klitschko. "Is it not high time to continue with more resolute actions?" the author of the email asks.[3]
Furnished Weapons
In the documentary, the three Georgians describe how they had been positioned on the morning of February 20, 2014 - one in the Conservatory, two in the Ukraina Hotel, both buildings adjacent to the Maidan. The first shots that day were fired from the Conservatory killing policemen. Later that day, snipers in the Ukraina Hotel deliberately killed demonstrators. With their reports, the Georgians confirm what has been known for years from two other snipers, who had also incriminated themselves for their participation in the massacre. (german-foreign-policy.com reported.[4]) The snipers had acted on orders of government opponents with the aim of sowing chaos and thus initiating President Yanukovych’s overthrow. According to the three Georgians, Serhiy Pashynsky, at that time member of the parliamentary opposition, was playing a key role. He had furnished the snipers in the Conservatory and in the Ukraina Hotel with the necessary weapons. This testimony is confirmed by documentary video footage showing Pashynsky shielding the transport of a sniper rifle through the middle of the demonstration during the escalation of violence. Following the putsch in late February 2014, Pashynsky became the head of Kiev's Presidential Administration and, as member of the governing People’s Front Party, is today presiding over the Rada Committee on National Security and Defense.
On the Maidan Stage
According to the three Georgians, Volodymyr Parasyuk was also involved in delivering weapons. Parasyuk had been the leader of one of the fascist combat units on the Maidan. Following the putsch, he had first participated in one of the ultra rightwing irregular militias (the Battalion Dnipro) in the East Ukraine civil war, before he was elected to parliament in October 2014. On the evening of February 21, 2014 - the day following the massacre - it was Parasyuk, who, from the stage at the Maidan, called out for President Viktor Yanukovych to step down immediately or he would be overthrown at gunpoint. Parasyuk made a name for himself with this threat. Videos depict him standing right beside Vitali Klitschko on the stage. Berlin had maintained regular contact to Klitschko at the time. Yanukovych - fully aware of the massacre - probably took Parasyuk's threat seriously and immediately fled Kiev.
National Hero of Ukraine
Their testimonies are probably most incriminating for the fourth Georgian, Mamuka Mamulashvili, who, they say, had recruited the three Georgians in Tbilisi, and - together with a US soldier under the assumed name of Brian Christopher Boyenger - brought them to Kiev. Mamulashvili had been a military advisor to the long-time Georgian President Mikheil Saakashvili, from whose entourage the three snipers had been recruited for the Kiev mission. Following the putsch, Mamulashvili fought with the "Georgian Legion" in the East Ukrainian civil war, for which he was officially awarded the honorary title of "National Hero of Ukraine." Saakashvili, on the other hand, who fled to the United States after his presidency in 2013 to avoid standing trial in Georgia, had always supported the Maidan protests and in 2015, began his new political career in the now pro-western Ukraine - first as presidential advisor, then as Governor of Odessa and - since his rift with President Poroshenko - as an opposition politician seeking the overthrow the government. In late 2003, Saakashvili had also come to power in Georgia through a putsch, which, in turn, had served as a model for the Maidan.
The Commander of the Maidan
The Georgians' accusations also implicate, at least indirectly, the "Commander of the Maidan," Andriy Parubiy. Parubiy comes from the Ukrainian fascist scene. In the early 1990s he was one of the founders of the extreme right-wing Social National Party of Ukraine. Since 1996, he was the leader of its militarist street fighting subsidiary "Patriot of Ukraine." Following his retirement from the party, this experienced protest activist became one of the main organizers of the 2004 "Orange Revolution." In 2013, he assumed the same function at the Maidan, where he was responsible for none other than security and the "self-defense units," which were often made up of heavily armed thugs. In the Italian TV documentary, it was reported that Parubiy was going in and out of Hotel Ukraina, from where numerous deadly shots were being fired. Parubiy, claims that the hotel from which these shots were being fired - which was firmly under the Maidan demonstrators' control - had been taken over "by snipers who arrived from Russia and who were controlled by Russia."[5] Parubiy, who, according to former US Vice President Joe Biden, was conferring with the US Ambassador to Ukraine, Geoffrey Pyatt throughout the upheavals almost on an hourly basis, has never really had his role in the putsch explained. Following the putsch, he was first appointed to the post of head of the National Security and Defense Council. Since April 14, 2016 he has been serving as President of Ukraine's Parliament.
Berlin's Cooperation Partner
Thanks to this position, Parubiy can now serve as a cooperation partner for German foreign policy. He has headed, for example, a delegation of Ukrainian parliamentarians, who, from May 22 - 25, 2016 were in Cadenabbia, Italy with CDU/CSU parliamentarians at the CDU-affiliated Konrad Adenauer Foundation's Educational Center. A fellow at the German Institute for International and Security Affairs (SWP) and Matthias Lüttenberg, Head of the Russia and Ukraine Department of the German Chancellery made presentations. At this meeting, it was agreed that Parubiy would visit the Bundestag in the summer of 2016.[6] As the then German President Joachim Gauck participated at the Ukrainian state ceremony in memory of the massacre of nearly 34,000 Jews in Babi Yar, on September 29, 2016, he was commemorating - at the side of Parubiy - the victims of the German war criminals and their Ukrainian collaborators. In late May 2017, Parubiy gave a talk at the spring session of NATO's Parliamentary Assembly in Tbilisi, where German parliamentarians were also participating. When NATO's Secretary General Jens Stoltenberg addressed the Ukrainian Parliament on July 10, 2017, he discussed with the Maidan's former arms supplier, Serhiy Pashynsky - and then met with the former Maidan Commander Parubiy for a private conversation. What they talked about is not known.
For more information in this subject see: Sowing Chaos (I).
[1] Ucraina, le verità nascoste. Canale 5, 15.11.2017. Gian Micalessin: La versione dei cecchini sulla strage di Kiev: "Ordini dall'opposizione". ilgiornale..it 15.11.2017. Stefan Korinth: Maidanmorde: Drei Beteiligte gestehen. heise.de 19.11.2017.
[2] See also Our Man in Kiev.
[3] See also The Kiev Escalation Strategy.
[4] See also From Račak to Maidan and Sowing Chaos (I).
[5] Gabriel Gatehouse: The untold story of the Maidan massacre. bbc.co.uk 12..02.2015.
[6] Deutsch-ukrainische parlamentarische Zusammenarbeit. kas.de 22.05.2016.
I comunisti ucraini contro la glorificazione del nazismo
Intervento di Pëtr Simonenko al seminario “Glorificazione del nazismo – reato o diritto”, nel quadro della 32° sessione del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti dell’uomo (Ginevra, 29 Giugno 2016)
Gentili signore e signori, gentili partecipanti al seminario!
Permettetemi di esprimere la mia gratitudine per l’opportunità offertami di intervenire di fronte a un pubblico così autorevole e di trasmettere, al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, le informazioni sulla reale situazione dei diritti umani in Ucraina, in considerazione del tema della 32° sessione: “Glorificazione del fascismo e attivizzazione dei neonazisti in Ucraina”.
Come cittadino dell’Ucraina, un paese la cui popolazione, negli anni dell’occupazione hitleriana e della Seconda guerra mondiale, ha sopportato pesantissime sofferenze, sottoposto a eliminazione fisica, io non posso guardare, senza preoccupazione, al fatto che, in violazione della Costituzione, nella mia Patria, quale ideologia di stato, sia stata di fatto adottata quella nazional-socialista e la pratica politica abbia acquisito un carattere totalitario e terroristico.
Il fascismo nell’attuale Ucraina indipendente non è apparso dal nulla, ma ha propri presupposti storici e socio-economici.
Parlando dei presupposti storici, desidero ricordare e richiamare la vostra attenzione sul fatto che, ancor prima del 1939, cioè prima della unione dei territori ucraini occidentali all’Ucraina – allora RSSU – in quei territori fosse attiva l’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN), la cui base ideologica era costituita dal nazionalismo integrale ucraino, che riuniva i postulati ideologici di nazismo e fascismo.
La collaborazione dell’OUN con la Germania hitleriana è confermata da numerosissimi documenti e da testimonianze oculari, dalle dichiarazioni dei leader stessi dell’OUN, dai materiali del tribunale di Norimberga del 1946.. Come esempio, desidero citare un frammento della testimonianza, a Norimberga, del vice comandante della Seconda sezione dell’Abwehr, colonnello Erwin Stolze,
che aveva esplicitamente dichiarato di aver attirato Bandera – uno dei leader dell’OUN – nell’ottobre del 1939, al lavoro direttamente nell’Abwehr: “Per carattere, Bandera era un agente energico e al tempo stesso un gran demagogo, carrierista, fanatico e bandito, che, per il raggiungimento dei propri obiettivi, non rispettava principio alcuno della morale umana, sempre pronto a commettere qualsiasi crimine”.
Ecco la testimonianza diretta, circa il sostegno dato agli occupanti nazisti e la collaborazione con essi dell’OUN, resa dal camerata di Bandera, Jaroslav Stetsko: “Dichiaro apertamente e sinceramente, che ho sempre guardato e guardo al Reich tedesco come a un amico dell’Ucraina. Sul piano politico mi attengo alla struttura monopartitica e autoritaria dell’Ucraina; sul piano sociale, alla solidarietà nazionale, che è vicina al programma nazional-socialista, ma se ne differenzia per le particolarità ucraine. Mi attengo alle posizioni della eliminazione degli ebrei e all’opportunità del trasferimento in Ucraina dei metodi di sterminio dell’ebraismo. Credo che solo con la vittoria della Germania sia possibile il ristabilimento di uno stato Ucraino Sovrano e Unito”.
Il collaborazionismo dell’OUN e la creazione, sotto la sua egida, dell’Esercito Insurrezionale Ucraino (UPA) è stato ideologicamente predeterminato; di ciò parlano apertamente i suoi leader. Ecco le parole di uno di essi, Jaroslav Oršan: “Il nazionalismo ucraino usa il termine “nazionalismo” nel senso del nazionalismo tedesco e del termine italiano “nazional-socialismo” o “fascismo”. Nazionalismo: fascismo, nazional-socialismo, nazionalismo ucraino – sono varie manifestazioni dello stesso spirito”.
L’appoggio criminale dei nazionalisti ucraini a Hitler e il collaborazionismo furono benedetti dalla chiesa uniate, che aveva e ha anche oggi un’influenza significativa sulle menti e sulle azioni dei propri fedeli, che costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione nelle regioni occidentali. Ecco cosa è detto nel “Rapporto OUN sull’organizzazione del potere ucraino nei territori dell’Ucraina occidentale”, redatto nel luglio 1941: “Il metropolita Šeptitskij ha ordinato al clero di preparare bandiere tedesche, addobbare con esse gli edifici di culto ed esortare la popolazione a obbedire al potere tedesco”.
Non a caso, mi sono permesso di fare questo breve excursus storico. La OUN è attiva in Ucraina anche oggi. Agisce, come altre organizzazioni nazionalistiche radicali, basandosi sulla stessa ideologia del nazionalismo integrale, cioè del nazismo e del fascismo e con gli stessi metodi dei loro predecessori
Nel periodo di acutissima crisi mondiale, quale quello del primo decennio del nostro secolo, le organizzazioni naziste e fasciste ucraine sono state finanziate dal grande capitale e utilizzate da quello (come negli anni ’30 del secolo scorso in Germania) per raggruppare le masse del lümpenproletariat nella lotta contro le forze di sinistra, in primo luogo i comunisti, che godono di un largo sostegno tra la popolazione.
I presupposti socio-economici.
Un quarto di secolo di cosiddette riforme, si è risolto per il mio paese in un’autentica catastrofe. In questi anni è stata completamente distrutta la base di ogni indipendenza, vale a dire la capacità concorrenziale della nostra economia sul mercato mondiale. I processi di deindustrializzazione del paese e il degrado del suo potenziale produttivo e manageriale hanno assunto un carattere rovinoso. Centinaia di imprese hanno cessato di esistere o hanno ridotto bruscamente la propria produzione. Milioni di persone hanno perduto il diritto al lavoro, hanno cioè perso l’occupazione. Molti sono stati costretti a emigrare per guadagnare qualcosa.
Le basi produttive fondamentali del paese, in generale, sono logorate per l’85%. Della arretratezza tecnologica dell’industria totalmente privatizzata, del livello estremamente basso di sviluppo innovativo, è testimonianza il solo fatto che il quinto settore tecnologico (microelettronica, informatica, biotecnologia, ecc.) prevalente nei paesi occidentali, da noi supera appena il 5%.
A causa dei miseri stanziamenti in bilancio (0,2% del PIL quest’anno), il settore scientifico, conosciuto per le sue notevoli realizzazioni nelle sfere più diverse, è venuto a trovarsi sotto la minaccia di eliminazione di fatto.
In pratica, sono state completamente eliminate le conquiste sociali del nostro popolo: piena occupazione, alloggi e servizi sociali accessibili a tutti. Calpestando rozzamente la Costituzione, il potere oligarchico ucraino riduce la rete delle strutture statali e comunali in cui dovrebbe essere assicurata l’assistenza medica gratuita. La stessa cosa si verifica per gli istituti di istruzione e le strutture infantili prescolastiche: non vengono considerati i bisogni della popolazione e non si richiede l’opinione della gente.
Negli ultimi due anni e mezzo dopo il colpo di stato del febbraio 2014, colpi particolarmente duri sono stati assestati alla nostra economia, alla sfera sociale, al livello di vita delle persone. Il regime, insediatosi con gli slogan della “separazione degli affari dal potere”, della “eliminazione della corruzione”, ha di fatto rafforzato ancor più i fondamenti criminal-oligarchici della struttura statale affermatasi nel paese dopo il 1991.
Alle cariche più alte, sia al centro che alla periferia, sono stati platealmente candidati supericchi per miliardi e milioni di dollari. La cosiddetta “limpieza”, avviata come per una pulizia di facciata del potere dagli usurpatori, dai corrotti, da tutti coloro che minano le basi della sicurezza e della difesa nazionali dell’Ucraina, o che violano i diritti e le libertà degli individui, di fatto si è rivelata un’arma extragiudiziale per fare i conti con gli avversari politici. Il potere ha calpestato i principi fondamentali di uno stato democratico e di diritto: cioè, la presunzione di innocenza e il principio della responsabilità personale per un concreto reato, sanzionato da una sentenza del tribunale. Questo, è stato sostituito dal principio della responsabilità collettiva.
Tutto ciò si è risolto in una nuova caduta dell’economia, nel disordine del sistema finanziario; ha portato all’impoverimento catastrofico – relativo e assoluto – di milioni di persone. Dopo il crollo devastante del 2014, lo scorso anno il PIL dell’Ucraina si è ridotto di un altro 15%. La svalutazione di quasi tre volte della moneta nazionale, la grivna, ha prodotto un’inflazione galoppante, che ha raggiunto il 48,7% alla fine dell’anno e ha portato a un aumento di una volta e mezzo del costo della vita. I prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati del 44,4%. In un anno, le tariffe comunali sono aumentate del 115% e il gas domestico di 4,5 volte.
Come risultato, una piccola percentuale di clan affaristici è riuscita ad accumulare miliardi di dollari. Utilizzando il potere e la corruzione, derubano il paese, esportando miliardi di dollari nei siti offshore. La criminalità è aumentata vertiginosamente. La maggioranza della popolazione è costretta a sopravvivere con stipendi e pensioni miseri.
Solo negli ultimi due anni il salario medio degli ucraini, calcolato in dollari, è precipitato da 450-500 a 140-150 al mese. Già oggi 9 milioni di famiglie (su quasi 17 milioni) non riescono a pagare i servizi pubblici senza contributi statali, sono cioè stati gettati oltre la soglia della sopravvivenza. E il governo, eseguendo incondizionatamente le pretese del FMI, ha di recente adottato la decisione di un nuovo aumento (più che doppio), proibitivo per la maggioranza dei cittadini, su riscaldamento e acqua calda, che non solo acuisce l’impoverimento di massa, ma disorganizza anche tutta la vita economica.
Il popolo ucraino è venuto a trovarsi al limite della sopravvivenza. A questo riguardo, permettetemi di citare le parole del Segretario generale dell’ONU, Ban Ki Moon, da lui pronunciate il marzo scorso durante la sua visita in Libano: “La situazione è estremamente complessa e stiamo assistendo all’estinzione di fatto di paesi dell’Europa dell’Est quali Lettonia, Lituania, Estonia e Ucraina. Il calo sostanziale del tenore di vita dei cittadini di questi paesi, il rating estremamente basso del governo, il significativo aumento della criminalità e la progressiva crescita del numero di coloro che desiderano abbandonare quei territori, indicano che la strada scelta da questi stati è assolutamente errata e la loro statualità è in pericolo di auto-distruzione”.
Parallelamente alla distruzione delle basi economiche e sociali della società civile, in Ucraina vengono distrutte le basi spirituali, culturali e i fondamenti legali della democrazia reale, si violano grossolanamente i diritti e le libertà fondamentali degli individui.
Invece di promuovere i valori universali, i principi democratici di organizzazione della società, sin dai primi anni dell’indipendenza è iniziata nel paese l’esaltazione strisciante di fascismo e nazismo. E ciò viene fatto da chi, alternandosi l’un l’altro, è al potere da 25 anni.
Iniziata con il presidente Kravčuk, direttamente coinvolto nella scissione delle chiese canonica e ortodossa e con la graduale riabilitazione degli ideali del nazionalismo ucraino (cioè, di fatto, gli ideali del nazismo e del fascismo, come ho già detto prima), la politica di glorificazione è continuata con il presidente Kučma.
Negli anni della presidenza Juščenko, poi, le fiaccolate naziste divengono norma. Con decreti presidenziali, ai complici di Hitler si assegna la massima onorificenza statale, quella di “eroe dell’Ucraina”.
Ci si dà un gran da fare a riscrivere i libri scolastici e i testi didattici per gli istituti superiori; nell’ambiente accademico e nei media si propaganda la teoria del “popolo eletto” e della “esclusività” della nazione ucraina, per analogia con le teorie razziste del Terzo Reich. Vedono la luce una serie di documentari e film in cui si esaltano inesistenti imprese gloriose dell’OUN-UPA e dagli archivi si cancella con cura ogni riferimento ai loro crimini durante e dopo la Seconda guerra mondiale.
Durante la crisi, il grande capitale asservito alla finanza straniera ha iniziato a finanziare attivamente la conquista di tutte le strutture di potere e l’ingresso in politica (come negli anni ’30 del XX secolo in Germania) dei rappresentanti delle forze che professano l’ideologia del nazionalismo integrale, cioè l’ideologia del nazismo e del fascismo.
Dopo di che, il regime di Janukovič e i suoi clan oligarchici utilizzano i gruppi nazionalisti come un ariete politico nella lotta contro i partiti di sinistra, mentre continuano attivamente a dividere l’Ucraina e il suo popolo per linee linguistiche, territoriali, etniche e religiose. Proprio durante questo periodo, con il sostegno finanziario del Partito delle Regioni al potere, il partito nazionalista “Svoboda” (fino al 2004 porta il nome di Partito ucraino social-nazionale, vale a dire nazista) guadagna peso politico e diventa partito parlamentare. Tra l’altro, l’attuale speaker della Rada suprema, Andrej Parubij, è stato uno dei suoi fondatori, insieme a Oleg Tjagnibok. Così che, de facto, il parlamento ucraino è diretto da un nazista dichiarato.
Come risultato, in 25 anni di indipendenza, con gli sforzi di cinque presidenti, una serie di malversatori governativi e di populisti, con l’appoggio del grande capitale, anche straniero, con la protezione e il sostegno di una serie di governi stranieri, il nazismo ucraino non solo è uscito dalla clandestinità, ma è addirittura salito al potere.
Come nella Germania degli anni ’30 del secolo scorso, nell’Ucraina contemporanea il terreno di coltura per lo sviluppo di neofascismo e neonazismo è stato costituito dal populismo sociale, dalla demagogia, dalla sottoproletarizzazione totale della società, con il finanziamento, da parte del grande capitale, a favore dei partiti nazionalisti e dei movimenti che si dichiarano eredi ideologici dell’OUN-UPA. Vale a dire, eredi di quelle stesse organizzazioni coinvolte nei crimini della Germania nazista e i cui leader sono stati agenti dell’Abwehr, hanno militato nelle file di SS, SD e Wehrmacht.
Il colpo di stato del 2014 ha portato a un mutamento radicale del corso politico del paese, a un brusco peggioramento della situazione nel campo dei diritti umani. Non è esagerato dire che mai, dopo la dichiarazione d’indipendenza, la nostra gente ha così sofferto come ora a causa dell’illegalità. Nell’Ucraina odierna, nessuno si sente veramente difeso dall’arbitrio, dal banditismo e dalle scorribande dei raggruppamenti illegali armati, o dagli abusi del potere e dei servizi speciali. La forza del diritto è stata sostituita dal diritto della forza.
Nel 14° rapporto ONU sul rispetto dei diritti umani in Ucraina, è detto apertamente che i cittadini vengono sottoposti a torture nelle carceri del Servizio di Sicurezza (SBU). Nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di detenuti politici. In generale, i funzionari ONU hanno documentato centinaia di casi di detenzione illegale, crudeltà e torture da parte dei Servizi speciali. Nel tentativo di nascondere le malefatte, il SBU, a fine maggio, ha vietato alla missione ONU di accedere alle proprie prigioni segrete, dove sono rinchiuse persone detenute illegalmente.
Un altro elemento che minaccia la sicurezza dei cittadini, è il possesso in mani private di circa 9 milioni di armi da fuoco non registrate, compresi mitra e mitragliatrici. Pensate un po’, colleghi, cosa potrebbe accadere se questa merce prendesse la strada dell’Europa.
In Ucraina viene perseguita e repressa qualsiasi manifestazione di opposizione. Sottoposto a brutale repressione è, prima di tutto, il nostro Partito comunista. L’attuale governo fa grandi sforzi per eliminarlo dalla scena politica ucraina. Oggi, nelle segrete del regime neonazista, ci sono decine di nostri compagni, e circa cinquecento sono perseguiti con accuse di crimini che non hanno commesso.
Uno dei primi passi del regime instaurato in Ucraina in seguito al colpo di stato armato del 2014, è stato lo scioglimento – in violazione della Costituzione – della fazione parlamentare del Partito comunista. Dai vertici, è stato ordinato al Ministero della giustizia di mettere al bando il partito – “senza tentennamenti” – per via giudiziaria. L’indagine, durata due anni, non ha prodotto alcuna prova che il partito comunista violasse la Costituzione. Tuttavia, le autorità giudiziarie hanno deciso la fine delle sue attività motivandola con il solo fatto che il partito non ha rinunciato al suo nome di comunista e alla sua simbologia.
Arraffato il potere, i nazional-radicali fanno sforzi titanici per privare il nostro popolo della memoria storica:
– si demoliscono barbaramente in massa i monumenti a ricordo delle realizzazioni economiche, scientifiche, culturali del periodo sovietico;
– si distruggono i monumenti dedicati agli eroi della Grande guerra patriottica, personaggi eminenti dell’epoca sovietica;
– si rinominano città e strade in onore dei collaborazionisti e dei nazisti. A Kiev, per esempio, propongono di rinominare la prospettiva Generale Vatutin, che liberò la capitale ucraina nel 1943 e fu ucciso dall’OUN, in prospettiva Bandera, a onore del capo di quegli assassini.
Sotto questo aspetto, i nazionalisti ucraini e i seguaci della “hitlerjugend” da loro diretti, non si distinguono in nulla dallo Stato Islamico, che ha distrutto un monumento simbolo dell’architettura antica, come Palmira.
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