Informazione

STRIKE AT US-OWNED SERBIAN PLANT

(PRIMI SCIOPERI ALLE ACCIAIERIE SERBE ACQUISITE DAGLI STATUNITENSI)

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Da: Rick Rozoff
Data: Mar 14 Ott 2003 20:12:53 Europe/Rome
Oggetto: Strike At (Now) US-Owned Serbian Steel Plants

http://www.rferl.org/newsline/2003/10/4-SEE/see-141003.asp

Radio Free Europe/Radio Liberty
October 14, 2003

STRIKE AT U.S.-OWNED SERBIAN STEEL PLANTS

Workers at the Sartid steelworks in Smederevo and
Sabac downed tools on 14 October after the new U.S.
owners rejected demands for raising the minimum hourly
base pay from $0.40 to $1.00, dpa [Deutsche
Presse-Agentur] reported. The union also wants new
jobs for the 450 workers in parts of Sartid not
included in the recent $23 million purchase by US
Steel Balkan, which is a subsidiary of US Steel. About
one-third of Sartid's facilities are currently
operational. PM

---

Da: Rick Rozoff
Data: Gio 16 Ott 2003 18:58:30 Europe/Rome
Oggetto: [yugoslaviainfo] 8,500 Serbian Steelworkers Call For Dismissal
Of New American Boss


http://www.b92.net/english/news/
index.php?&nav_category=&nav_id=25075&order=priority&style=headlines

B92
October 16, 2003

US Steel workers turn on American boss

SMEDEREVO -- Thursday – Workers at the US Steel
factory in Smederevo are demanding the dismissal of
manager Thomas Kelly, as a general strike enters its
third day.

“Nothing’s working. We expect our demand that Kelly
‘jet off overseas’ or some other place be met”, one of
the workers said.

Kelly had written to the workers accusing them of
breaking the law.

Some 8,500 US Steel employees are on strike, demanding
a pay rise of one dollar per hour and the employment
of 450 workers not included in the original sale
contract. The strike is said to be costing US Steel
700-800,000 dollars per day.

The Labour Ministry has said it will establish whether
or not the strike is legal, adding that if it does
prove to be above board the ministry will protect
workers against possible redundancies.
------------------------------------------------------
http://www.post-gazette.com/pg/03289/231444.stm

Pittsburgh Post-Gazette
October 16, 2003

U.S. Steel hit by overseas strike at new Serbian plant

Union officials demanding hourly wage of less than $1
By Len Boselovic, Post-Gazette Staff Writer

One month after expanding its Central European
beachhead by acquiring a bankrupt Serbian steelmaker,
U.S. Steel has its first overseas strike on its hands.

Union workers at USS Balkan walked off the job Tuesday
over a pay dispute, halting production. Union
officials are asking for hourly pay of 55 dinars, a
little less than $1 per hour.

As the strike entered its second day yesterday, U.S.
Secretary of State Colin Powell presented U.S. Steel
Chairman Thomas J. Usher with the agency's Award for
Corporate Excellence, citing the company's
"outstanding corporate citizenship, innovation and
exemplary international business practices" in the
Slovak Republic. Powell commended U.S. Steel for
"exhibiting the qualities of conscience, character and
integrity."

U.S. Steel acquired Slovakia's bankrupt steelmaker
three years ago. The overseas unit, known as USS
Kosice, has been consistently profitable since then.

It hopes to duplicate that success in Serbia, where it
paid $23 million Sept. 12 to acquire Sartid, located
about 25 miles southeast of the capital city of
Belgrade. As part of the agreement, U.S. Steel
promised to preserve about 9,000 jobs for three years
and invest up to $157 million over the next five years
to rehabilitate the plant as well as for community
support and economic development. Similar commitments
at Kosice were one of the reasons for yesterday's
award.

Spokesman Mike Dixon said the Serbian labor dispute is
part of a series of generalized strikes throughout
Serbia.

"For the safety of employees, we went ahead and shut
down," Dixon said. "It's not expected to have a
significant impact on our operations."

Production at the mill has been curtailed in recent
years by political and economic unrest in the country.
U.S. Steel estimates it will take four or five years
to achieve full production.

Until then, U.S. Steel expects the plant will account
for only three percent of annual revenue.

Dragan Matic, president of the Nezavisnost
Metalworkers Branch, urged Executive Vice President
John H. Goodish to appoint a new lead negotiator to
replace Thomas Kelly, who is in charge of the Serbian
mill.

"I think that you managed to make a historical
agreement with [United Steelworkers union] in USA and
with [the] trade union in Kosice. That can be done
with USS Serbia," Matic said in a letter to Goodish.

Gonars ed oltre: nonostante tutto la memoria vive

In seguito ai nostri piu' recenti messaggi sulla problematica dei
crimini di guerra italiani, abbiamo ricevuto due interessanti repliche
che crediamo necessario riportare:

1.

Ho letto il vostro messaggio del 10/10 "I lager in Italia", in esso non
viene menzionato il cimitero che nel paese di Gonars (Udine), raccoglie
1500 corpi di slavi deceduti nei campi di prigionia (naturalmente
escluso il lager di San Sabba).
15 anni fa era ancora vivo un vecchio che raccontava delle torture che
venivano praticate ai prigionieri di guerra raccolti nello stesso paese.
Quest'anno sono tornato a visitare il luogo ed ho notato UNA NUOVA
TARGA che specifica che nel luogo sono conservate le ossa di sloveni e
croati, mentre la parola serbi non compare. Ho letto i cognomi elencati
e molti sembrano serbi. Forse un esperto potrebbe fare meglio. 
Sperando di poter essere utile
Uberto Tommasi

2.

complimenti mia zia 90 anni diede una fetta di polenta a internati
fuggiti da campo gonars ritornarono a ringraziarla finita la guerra
s giorgio nogaro toio

---

Riportiamo anche il seguente dispaccio ANSA, risalente ad alcuni mesi
fa, con la richiesta a chiunque eventualmente ne sapesse di piu' di
mettersi in contatto con noi:

ITALIA-CROAZIA: DETENUTI CAMPI FASCISTI PENSANO A INDENNIZZI

(ANSA) - ZAGABRIA, 8 MAG -Il ministro degli esteri croato Tonino Picula
ha ricevuto oggi i rappresentanti delle associazioni degli ex detenuti
dei campi di prigionia fascisti esistiti durante l'occupazione italiana
della Croazia nella seconda guerra mondiale. Lo ha reso noto un
comunicato del ministero diffuso oggi a Zagabria. Gli ex detenuti e i
familiari delle vittime dei campi, in particolare di quello dell'isola
di Molat, si sono interessati a quali siano le possibilita' di inserire
le loro richieste di risarcimento nell'agenda dei lavori della
Commissione congiunta italo-croata. Nel 1994, hanno detto, il governo
di Roma ha risposto alle loro richieste di risarcimento affermando che
la questione e' risolta con gli accordi internazionali, ma l'indennizzo
alle vittime croate non e' previsto ne' dal trattato di pace del 1947
ne' dai seguenti accordi italo- jugoslavi. Il ministro ha dichiarato
che Zagabria e Roma rispettano in pieno i principi degli accordi
internazionali e che per questo motivo la questione non puo' essere
trattata dalla Commissione congiunta, formata nell'ottobre del 2002 per
discutere la possibilita' che cittadini italiani vengano risarciti dei
beni espropriati dopo la seconda guerra mondiale dal regime comunista
jugoslavo. I rappresentanti delle associazioni croate hanno annunciato
che cercheranno il sostegno delle organizzazioni antifasciste italiane
perche' il governo di Roma istituisca eventualmente delle fondazioni per
l'indennizzo delle vittime dei campi di concentramento sul modello
della Germania. Hanno anche ipotizzato l'avvio di un procedimento
davanti alla Corte europea per i diritti umani di Strasburgo. (ANSA)
COR*VD 08/05/2003 17:18

Fonte:
http://www.ansa.it/balcani/croazia/20030508171832558910.html

Tra una bottiglia di champagne e l’altra

di Boris Jez (Delo - Sobotna Priloga, Ljubljana 20/9/ 2003)

Silvio Berlusconi si è scusato! E noi non avremo pensato davvero,
quando ha dato l’intervista alla rivista britannica "The Spectator",
che le sue parole siano state qualcosa di più che quattro chiacchiere
tra una bottiglia di champagne e l’altra! E di cosa si chiacchierava?
Del fatto che non si può mettere sullo stesso piano Mussolini e Saddam
Hussein, perché il fascismo italiano è stato un regime benevolo, e
dunque innocuo. Mussolini poi non si è mai macchiato le mani di sangue.
E se sono esistiti dei campi di concentramento, e ce ne sono stati, non
erano altro che località di villeggiatura come le altre.

Silvio Berlusconi ha avuto la premura di recarsi alla sinagoga di Roma,
dove si è scusato di queste frasi con il presidente dell’Unione delle
comunità ebraiche in Italia Amos Luzzato. A sera sono giunte anche le
scuse ufficiali da palazzo Chigi. Naturalmente, non è il caso che
Israele si offenda. Ma davvero Silvio non sarebbe stato Silvio se non
avesse fatto notare incidentalmente che non ha colpe per la malafede
dei giornalisti e poi, dice, c’è anche di peggio: il direttore della
testata inglese, pensate, è nel mio stesso gruppo parlamentare nel
parlamento europeo! Luzzato non ha fatto commenti, ha detto però che
Berlusconi dovrebbe scusarsi con tutti gli italiani.

E perché solo con gli italiani, perché non con gli sloveni e con tutti
gli altri? Nei campi italiani sono stati “in vacanza”, durante la
seconda guerra mondiale, quasi quarantamila sloveni, e più di
cinquemila non ne hanno mai fatto ritorno. Evidentemente si sono
trovati così bene, che hanno deciso di restare. Secondo altre fonti
sono state rinchiuse in tutto settantamila persone, di cui ne sono
morte dodicimila. Quattromila bambini. Nella nostra storiografia
ufficiale, quella che si studia a scuola, si accenna soltanto di
sfuggita a questi fatti, perché si raccontano quasi esclusivamente le
sofferenze nei campi di concentramento tedeschi, come Auschwitz e
Dachau.

Anche il fascismo “benigno” di Mussolini, però, aveva i suoi campi,
naturalmente non soltanto per gli ebrei, ma anche per gli oppositori
politici e soprattutto per quelli di etnia slava. Nelle sue intenzioni
c’era il genocidio, soprattutto degli sloveni e croati del Gorski
Kotar, che avrebbe poi fatto ricoprire di boschi. Il legno era
economicamente più interessante delle persone! Così è sorto il
famigerato lager di Rab (Arbe), dove la gente moriva come mosche,
soprattutto sloveni, poiché mentre con gli ebrei il regime intendeva
ingraziarsi gli alleati, la morte degli sloveni non lasciava spazio ad
alcun rimorso.

Non si sa esattamente quanti siano stati i campi di concentramento
italiani, i numeri oscillano tra duecento e quattrocento, a seconda che
vengano conteggiate anche le località in cui venivano mandati al
confino gli antifascisti e chiunque si opponesse al regime. Gli sloveni
furono internati soprattutto a Rab, Gonars, Renicci in Toscana, Monigo
in Borgo Chiesanuova vicino Padova, Alatri presso Roma, Fossoli in
Cairo Montenotte in Piemonte e naturalmente nella lontana Sicilia e
nell’ancor più remote isole Lipari.

Oggi in Toscana, a Padova o in Sicilia viaggiamo da turisti, e mentre
ammiriamo le loro bellezze storiche e naturali non ci rendiamo conto
che in quei luoghi c’è anche un triste pezzetto della nostra storia.
Sottoterra, spesso senza una croce. E come potremmo saperlo, se la
nostra stessa diplomazia, nelle relazioni con quella italiana, ha messo
cautamente da parte il termine “campo di concentramento”, anche se
durante il regime fascista era proprio questo il termine ufficiale?
Abbiamo tradotto in sloveno il termine “foibe”, ma nel caso dei campi
facciamo ancora i finti tonti.

Ma chi fa davvero il finto tonto sono gli stessi italiani, che fanno di
tutto perché venga dimenticato questo vergognoso episodio della loro
storia. Perché si ritengono “un popolo di cultura”, mentre noi sloveni
ai loro occhi non siamo che “un popolo senza storia”, da sterminare per
far posto ad una razza superiore. Ma comunque chi glielo potrebbe
rinfacciare, lo stesso Marx ha definito gli slavi un popolo “senza
storia”. Gli italiani non sanno uccidere, perché sono “brava gente” [in
italiano nell'originale - N.d.T.], e in ogni caso migliori di quegli
sporcaccioni dei tedeschi, che hanno ucciso e sterminato, anzi, sono
stati loro stessi vittime del fascismo e della guerra (?).

Il film “La vita è bella” è un tipico esempio di come gli italiani
sanno diffondere nel mondo questo mito di sé: i tedeschi sono
criminali, che rinchiudono gli italiani nei campi di concentramento e
li uccidono a sangue freddo. Berlusconi non è il primo che dice
sciocchezze e offende anche i tedeschi: nel 1990 il presidente italiano
Francesco Cossiga dichiarò durante una sua visita in Germania: “Noi
italiani non abbiamo conosciuto gli orrori dei campi di concentramento”.

Abbiamo a che fare con la logica della “rimozione intenzionale”, che è
arrivata così lontano che il premier dei nostri vicini occidentali si
fa beffe di tutto ciò “tra una bottiglia di champagne e l’altra”! Quale
amnesia da parte della “brava gente”! Carlo Spartaco Capogreco, medico
pediatra, che ha pubblicato nel 1998 il libro “Un campo di
concentramento in riva al Tevere”, racconta : “Per puro caso sono
venuto a conoscenza dell’esistenza del campo di concentramento fascista
di Ferramonti, vicino a Cosenza, del quale nella storia locale non
esiste alcuna traccia…”. E da qui ha dedotto che, se la scoperta di
fatti così grandi è possibile al profano, allora senz’altro deve
esserci molto di più, di cui non si sa niente.

Il campo di Renicci, dice Capogreco, è vicino a importanti università,
come sono quelle di Firenze e Siena, e ciò nonostante del tutto
dimenticato. Nessuna letteratura al riguardo. E ad essere sinceri, di
questo campo non c’era notizia neppure da noi, sebbene vi fossero stati
rinchiusi sloveni a centinaia.

Nel momento in cui la propaganda italiana sulle foibe raggiungeva il
culmine, i nostri diplomatici avrebbero potuto mettere a sangue freddo
il libro di Capogreco nelle mani dei colleghi italiani, non ci sarebbe
stato bisogno di alcun commento. Ma a quanto pare il pensiero non gli è
nemmeno passato per la mente, oppure è stato messo da parte in fretta.
Cinque anni fa lo scrittore triestino Boris Pahor sollevò un piccolo
scandalo, quando con un suo articolo su Rab, uscito sul Corriere della
Sera, ha accusato l’allora segretario di stato del ministero degli
Esteri Franco Juri di respingere la collaborazione di professori
italiani su questo tema.

Ma questi “scandaletti” sono troppo poco per destare la nostra
diplomazia, che nella sua servilità verso i vicini occidentali evita
termini così naturali e documentati come “campo di concentramento”,
figuriamoci poi adoperarsi per i diritti delle vittime e per
risarcimenti adeguati! Quindi niente di strano se Berlusconi si
permette di farsi beffe di tutto ciò “tra una bottiglia di champagne e
l’altra”. E che in seguito si scusi solo con gli ebrei, perché Israele
è sempre Israele, ma con gli Sloveni, Croati e Montenegrini non c’è di
che scusarsi, poiché questi ultimi non hanno avuto niente da ridire.

Gli italiani nascondono sistematicamente ciò di cui dovrebbero
vergognarsi, fanno sparire accuratamente i fatti storici più scomodi
dagli scaffali degli archivi e soprattutto li cancellano dal ricordo.
La nostra vergogna è però davanti agli occhi di tutti, ed è la nostra
diplomazia, incapace di un solo gesto di protesta di fronte alle
chiacchiere ingiuriose di Berlusconi.

Tradotto da: Francesco Martino
» Fonte: © Osservatorio sui Balcani
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=2493

Social massacre in Serbia / Massacro sociale in Serbia


1. RAPPORTO AMNESTY DENUNCIA TORTURE POLIZIA / Amnesty International
denounces police brutalities (4/9/03)

2. SPARATI COLPI DAVANTI SEDE GOVERNO (12/9/03)

3. CIO' CHE RESTA DELL'ESERCITO JUGOSLAVO SARA' INVIATO IN AFGHANISTAN,
IRAQ, LIBERIA ECC. COME CARNE DA MACELLO PER GLI AMERICANI

4. SERBIA/MONTENEGRO: ESERCITO A DIETA PER NATO E BILANCIO (ANSA
19/9/03)


--- LINKS:

BANCA MONDIALE E FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE SONO ENTUSIASTI DI
SERBIA-MONTENEGRO

World Bank continues support to Serbia-Montenegro

http://www.serbia.sr.gov.yu/cgi-bin/printpage.cgi?filename=/news/2003-
09/23/331080.html

IMF welcomes Serbia-Montenegro's economic policy

http://www.serbia.sr.gov.yu/cgi-bin/printpage.cgi?filename=/news/2003-
09/19/331032.html

--- I PRECEDENTI ARTICOLI DELLA SERIE:

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2680

1. US STEEL TO BUY SERBIA'S SARTID STEEL PLANT
(La "USA Acciaio" firma per l'acquisto delle acciaierie serbe "Sartid")
2. US AMBASSADOR: INTERNATIONAL COMMUNITY SUPPORTS SERBIA
(L'ambasciatore USA: noi appoggiamo la Serbia perche' reprime e
privatizza)
3. SERBIA: DETAINEES ALLEGE TORTURE
(Serbia: i detenuti denunciano di aver subito torture)
4. UNIONS OF SERBIA "DECLARE WAR" ON THE SERBIAN GOVERNMENT
(Federazione sindacale "dichiara guerra" al governo)
5. WORLD BANK OFFERS $80 MILLION TO PRIVATIZE SOCIALLY-OWNED FIRMS
(La Banca Mondiale offre 80 milioni di dollari per la privatizzazione
delle imprese a capitale sociale)
6. UNHCR CUTS AID TO BELGRADE; CASH CRISIS SHUTS SOUP KITCHENS;
SERBIA-MONTENEGRO HAS GRAVEST REFUGEE PROBLEM IN EUROPE
(Alto Commissariato ONU per i Rifugiati ed altri organismi "umanitari"
tagliano drasticamente i fondi alla Serbia, benche' il paese abbia la
situazione piu' drammatica d'Europa)

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2683

7.A) Serbian Regime Passes Sweeping Law To Purge Former
Officials From All Government, Public, Media Positions
7.B) Last US Sanctions Lifted As Serbia And Montenegro 'Integrate Into
International Community'
7.C) German Businesses To Invest In Serbia
8. Serbia: Workers' protests held in Nis, Kragujevac
9. 58 COMPANIES IN SERBIA PRIVATIZED IN APRIL; PROPERTY OF PRIVATIZED
ENTERPRISES WILL BE PROTECTED, VLAHOVIC
10. Free press under fire in Serbia (by David Binder)
11. Serbia prepares ground for oil privitisation
12. Financial Times:
A) River traffic falls as users get Danube blues
B) Walk-out at central bank strips Serbia of top economic talent
13. THREE WAZ [GERMAN] TOP MANAGERS TO HEAD POLITIKA
14. SERBIAN PREMIER VISITS USA:
15. CONTINUING DROUGHT COULD SPELL DISASTER
16. SERBIAN MILITARY PURGES TO ESCALATE:
17. [Serbia-Montenegro Minister of International Economic Relations
Branko] LUKOVAC SAYS BOTH SERBIA AND MONTENEGRO SHOULD BE INDEPENDENT

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2699

A. DEFENSE MINISTERS OF ISRAEL AND SERBIA-MONTENEGRO SIGN COOPERATION
AGREEMENT
B. Links to Human Rights Watch documents on the mistreatment of
political prisoners in Serbia
C. OUTRAGEOUS REGIME ATTACKS CONTINUE
D. Massive Army purge has begun
E. SERBIAN SOLDIERS TO "PEACEKEEPING" MISSIONS: DOS AND OTPOR
"WHOLEHEARTEDLY SUPPORT"
F. The New Janissaries. How Low Can Serbia's Rulers Go? (N. Malic)


=== 1 ===


SERBIA: RAPPORTO AMNESTY DENUNCIA TORTURE POLIZIA

(ANSA) - BELGRADO, 4 SET - Amnesty International ha chiesto una
indagine internazionale su presunti abusi da parte della polizia
serba ai danni dei fermati nell'ambito dell'operazione 'Sablja'
(sciabola), che ha seguito l'uccisione, nel marzo scorso, del premier
Zoran Djindjic. Stando ad Amnesty, che ha raccolto decine di
testimonianze, gli agenti sono ricorsi anche alla tortura per
estorcere confessioni e informazioni ai fermati, soprattutto a quelli
ritenuti piu' in basso nella scala gerarchica delle cosche.
Dal rapporto dell'organizzazione, i metodi piu' frequenti di tortura
sono stati il soffocamento per mezzo di sacchetti di plastica,
scariche elettriche, percosse e anche finte esecuzioni. Il
ministro della giustizia serbo Vladan Batic ha smentito che nelle
prigioni serbe si siano verificato episodi di tortura, ma ha aggiunto
di ''non poter affermare con sicurezza altrettanto per cio' che e'
avvenuto nei commissariati di polizia o durante l'arresto dei
sospetti''. L'operazione 'Sablja' si e' svolta in un regime di
emergenza nazionale, che prevedeva la sospensione di molti diritti
dei fermati, compreso quello del contatto con i propri legali. In
tutto, circa 11.000 persone sono state arrestate, e per 4.500 di loro
e' stata confermata la detenzione. (ANSA). OT 04/09/2003
18:08

SEE ALSO / VEDI ANCHE:

MEMORANDUM CONFIDENZIALE UNHCHR

United Nations Office Of The High Commissioner For Human Rights, Serbia
And Montenegro: Confidential Memorandum To The Ministries Of Justice
And The Interior Of The Republic Of Serbia. Initial findings and
recommendations arising from the visit to detainees in Belgrade 14-15
April 2003
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2537
"POVERLJIVI MEMORANDUM MINISTARSTVIMA PRAVDE I UNUTRASNJIH POSLOVA
REPUBLIKE SRBIJE"
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2536

COMUNICATI STAMPA HRW

Serbia: Emergency Should Not Trump Basic Rights
Certain restrictions on rights imposed by the Serbian government in the
wake of the assassination of Prime Minister Djindjic may not be
justified under international law, Human Rights Watch said in a letter
(http://hrw.org/press/2003/03/serbia032503-ltr.htm) to Prime Minister
Zoran Zivkovic today. (March 25, 2003     Press Release)
http://hrw.org/press/2003/03/serbia032503.htm

Serbia: End Complete Isolation of Detainees
Serbia Should Uphold Council of Europe Standards
Serbia should immediately end the isolation of those detained during
the ongoing state of emergency, Human Rights Watch said today. (April
7, 2003     Press Release)
http://hrw.org/press/2003/04/serbia070403.htm

Serbia: Detainees’ Access to Lawyers Long Overdue
Serbia should ensure that all persons detained during the state of
emergency promptly get access to lawyers, Human Rights Watch said
today. (May 10, 2003     Press Release)
http://www.hrw.org/press/2003/05/serbia051003.htm

Serbia: Run-Around on Prison Visits
The Serbian authorities are obstructing efforts by Human Rights Watch
and other nongovernmental organizations to visit people arrested during
the state of emergency, Human Rights Watch said today. (May 14, 2003  
  Press Release)
http://staging.hrw.org/press/2003/05/serbia051403.htm

LE DICHIARAZIONI INFAMI DI COLIN POWELL

Colin Powell: "Finalmente in Serbia si rispettano i diritti umani"
Colin Powell: " Status of human rights in SCG satisfactory"
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2425

BHHRG: THE KIROV MURDER REVISITED?

An analysis of the events surrounding the assassination of Serbia's
prime minister on 12th March 2003
http://www.oscewatch.org/CountryReport.asp?CountryID=20&ReportID=197


=== 2 ===


SERBIA/MONTENEGRO: SCONOSCIUTI SPARANO DAVANTI SEDE GOVERNO

(ANSA-AFP) - BELGRADO, 14 SET - Sconosciuti a bordo di un'auto hanno
sparato in aria ieri sera davanti alla sede del governo serbo a
Belgrado, il medesimo luogo in cui il 12 marzo scorso fu ucciso il
premier serbo Zoran Djindjic. Lo ha reso noto oggi la radio B92
precisando che, secondo la polizia, i colpi esplosi sono stati tre.
La fonte ha aggiunto che i media hanno constatato una forte
presenza di polizia per tutta Belgrado la scorsa notte. Per il
momento restano sconosciute le motivazioni del gesto. (ANSA-AFP).
TV
14/09/2003 10:46


=== 3 ===


CIO' CHE RESTA DELL'ESERCITO JUGOSLAVO SARA' INVIATO IN AFGHANISTAN,
IRAQ, LIBERIA, ECC. COME CARNE DA MACELLO PER GLI AMERICANI

---

http://www.seeurope.net/en/Story.php?StoryID=43727&LangID=1
Seeurope.net
Reuters, September 17, 2003

Ex-foe Serbia to Boost NATO's Kabul Peace Force

Four years after their war over Kosovo, Serbia and
NATO are cooperating on the Afghanistan peace mission
with Serb forces destined for Kabul by the end of the
year, a senior Serbian official said on Wednesday.
He said Serbia was prepared to contribute "several
hundred" troops to the NATO-led International Security
Assistance Force (ISAF) which numbers 5,000 and is
seeking to expand its mission beyond the limits of the
Afghan capital.
"We are readying troops for the mission in
Afghanistan," said the Serb official, who requested
anonymity. They would leave for Kabul before the end
of the year.
In March 1999, NATO launched a war to force Serbian
leader Slobodan Milosevic to withdraw his forces from
the province of Kosovo and cease the repression of
ethnic Albanians there.
Serbia was bombed for 78 days before Milosevic
buckled, with over 1,000 troops and civilians killed.
Milosevic was toppled by reformers in 2000 and the
country's reconciliation with the Western alliance has
progressed rapidly since.
The Kabul government and the United Nations have
appealed for more peacekeepers to police Afghanistan,
where warlords defy the central authority and Taliban
guerrillas are attempting a comeback after they were
scattered by U.S. and allied Afghan forces in 2002.
The official said the Serb force would be professional
soldiers. Serbia expected the United States to supply
them with special military equipment required for
Afghanistan's tough conditions.

---

http://www.b92.net/english/news/index.php?nav_id=24894&style=headlines
B92, October 3, 2003

Belgrade brass in Florida for mission talks

BELGRADE -- Friday – Serbia-Montenegro Army and
Serbian special police representatives today visited
the US Army central command Florida to discuss
technical issues in the deployment of troops in
peacekeeping missions.
Defence Minister Boris Tadic told media that the three
possible destinations discussed were Liberia,
Afghanistan and Iraq.
“Afghanistan is the most likely potential arena in
which the Serbia-Montenegro Army could contribute,”
said Tadic, underlining that the talks did not
emphasise that any decisions had been made.
The chief of the Army General Staff, Branko Krga, said
that peacekeeping missions are being discussed every
day, mainly with in the context of international
humanitarian law and anti-terrorist operations.
He added that there were no concrete preparations
under way for any particular mission.

---

http://www.time.com/time/magazine/article/0,9171,1101031006-
490708,00.html
Time Magazine, October 6, 2003

Serbs On Our Side

By DEJAN ANASTASIJEVIC
The last time Serbian soldiers saw combat, they were
being bombed out of Kosovo by U.S. Tomahawk missiles.
Now they're all set to fight alongside their former
American foes. During a trip to Washington this
summer, sources tell TIME, Serbian Prime Minister
Zoran Zivkovic pledged to send up to 1,000 troops to
aid American forces in Iraq and Afghanistan. The U.S.,
which is trying hard to persuade allies to share some
of the military burden in Iraq, quickly agreed. The
initial deployment: a mix of 250 army officers and
members of the gendarmerie. "We don't need
peacekeepers," says a U.S. official involved in the
deal. "It's going to be a combat mission."
Preparations are under way to send a Serbian battalion
to Kandahar, Afghanistan, to hunt down al-Qaeda
terrorists and Taliban guerrillas.
But controversy could be stirred up by the Serbs'
choice of leader for the force — General Goran
Radosavljevic, a.k.a. Guri, chief of the gendarmerie.
During the Kosovo war, he led a cluster of
antiguerrilla teams called Operative Posse Groups
(OPG). Several human-rights organizations claim OPG
committed atrocities against civilians; the 2001 Human
Rights Watch report alleges, for instance, that they
killed 41 ethnic Albanian civilians in the village of
Cuska in western Kosovo in May 1999, though no
indictment has been issued against Radosavljevic. A
New York court is also considering charges that he and
other police officials are responsible for the deaths
of three Albanian Americans from New York City,
captured and then executed in southern Serbia by
Serbian police in the summer of 1999. The Serbs — who
admit that unknown police officials were behind the
killings — say the men were trying to join Albanian
guerrillas.
Despite these allegations, a senior Serbian security
official tells TIME that Radosavljevic "insists that
he be the commander of the unit." Neither
Radosavljevic nor the Serbian government would
comment. But Radosavljevic recently told a Belgrade
newspaper that he has never been implicated by the
Hague war-crimes tribunal and that "I'm ready to go to
court to prove my innocence if it turns out to be
necessary." A U.S. State Department official,
meanwhile, would confirm only that Serbian and
Montenegrin officials visited U.S. military leaders in
Washington and at Central Command headquarters in
Tampa, Fla., last week for consultations on their
possible participation in the Afghanistan campaign.
Radosavljevic was not part of that delegation — he
sent his deputy instead.

---

http://www.rferl.org/newsline/2003/10/4-SEE/see-091003.asp

[Note: Kandahar Province, in Southeastern Afghanistan
near the Pakistani state of Baluchistan, where
according to the British Daily Telegraph of two days
ago an estimated 2,500 battle-hardened Taliban
fighters are perched for an assault on Kandahar, is
the last place in the world any representative
government would choose to deploy its young men and
women.
So contemptuously does the United States continue to
view the Serbian people that Washington would choose
to deploy Serbian military personnel, prohibited from
re-entering the Serbian province of Kosovo where they
are desperately needed at the moment, in direct
contravention of United Nations Resolution 1244, and
instead dispatch them to the farflung corners of the
world's war zones, from Afghanistan to Iraq, Liberia
to Congo, East Timor to wherever else they may be
sitting targets. Rick Rozoff]

Radio Free Europe/Radio Liberty, October 9, 2003

SERBIA AND MONTENEGRO TO SEND TROOPS TO AFGHANISTAN?

The Supreme Defense Council agreed in Belgrade on 8
October to send a 1,000-strong force to Afghanistan to
support international peacekeeping efforts, apparently
in the Kandahar area under U.S. command, RFE/RL
reported. Several Western media have reported that
unnamed U.S. officials accepted the offer during a
recent visit by a delegation from Serbia and
Montenegro to Washington and Central Command
headquarters in Florida. Serbia and Montenegro's
government and parliament must approve the Supreme
Defense Council's decision before it can take effect.
It is not clear whether the troops will come entirely
from the Army or also from the police, who have a
strained relationship with the military. Nor is it
clear who will vet the force's officers for the
possible presence of war crimes suspects. Belgrade is
anxious to improve its standing in Washington's eyes,
even if, as Prime Minister Zoran Zivkovic recently
said in the U.S. capital, "there are three things
Serbs cannot stand: an independent Kosovo, NATO, and
the United States". PM

---

http://www.b92.net/english/news/
index.php?&nav_category=&nav_id=24958&order=priority&style=headlines
Beta, October 9, 2003

Army gets green light to join peace missions

BELGRADE -- Wednesday – Serbia-Montenegro’s highest
military authority today gave the go-ahead to the
country participating in international peacekeeping
operations.
The Supreme Defence Council ordered the Defence
Ministry to draft the necessary legislation to
regulate the army’s involvement in such missions, said
a statement issued after the Council meeting today.
Military analyst Zoran Dragisic said today it was
likely around 500 Serbia-Montenegro troops would be
deployed in the Kandahar region of Afghanistan, while
some may even go to Liberia.
He predicted the forces would be in place by early
next year.
The Defence Council announced a number of personnel
changes within the military, including a new head of
the Defence Inspectorate.

---

SEE ALSO / VEDI ANCHE:

FINANCIAL TIMES E WALL STREET JOURNAL:
LA SERBIA OFFRE TRUPPE ALLA NATO

FT: Serbia offers troops for Nato (by E. Jansson & S. Wagstyl)

http://groups.yahoo.com/group/decani/message/77404

WSJ: Our Friends the Serbs are to send soldiers to Afghanistan

http://www.freerepublic.com/focus/f-news/995941/posts


=== 4 ===


http://www.ansa.it/balcani/serbiamontenegro/20030919190532695027.html

SERBIA/MONTENEGRO: ESERCITO A DIETA PER NATO E BILANCIO/ANSA

PARTE RIFORMA FORZE ARMATE, FRA RESISTENZE E INCOGNITE (di
Beatrice Ottaviano) (ANSA) - BELGRADO, 19 SET - Drastica cura
dimagrante per l'esercito che fu di Josip Broz Tito: le elefantiache
forze armate di Serbia e Montenegro si preparano a una radicale
riforma che portera' in futuro al quasi dimezzamento degli effettivi,
facilitando l'ingresso di Belgrado nel programma 'Partnership per la
pace' dell'ex nemico Nato. La parola d'ordine e' 'modernizzazione
ed efficienza', e mai quello slogan si e' sposato meglio alle esigenze
di un bilancio di difesa sempre piu' esiguo. La composizione delle
forze armate serbo-montenegrine, 78.000 uomini in tempo di pace (l'1%
della popolazione, in proporzione e sulla carta uno degli eserciti
piu' forti d'Europa), e' rimasta immutata dall'epoca della guerra
fredda, quando l'allora Jugoslavia dei non allineati aveva come
dottrina militare la necessita' di difesa dalle minacce sia sovietiche
che capitaliste. Al ridimensionamento politico, si e' aggiunto
con le secessioni e le vicende belliche degli anni '90 un deciso
ridimensionamento territoriale: alcuni settori delle forze armate,
come la marina, non hanno quasi piu' ragione di esistere con una costa
ridotta a circa 150 chilometri e alla quale la Serbia potrebbe dover
rinunciare fra tre anni, quando verra' deciso se l'unione con il
Montenegro verra' mantenuta o meno. Il 'gigante dai piedi
d'argilla' e' poi macrocefalo: fino a pochi mesi fa, fino alla nomina
del democratico Boris Tadic a ministro della difesa, contava 100
generali. Pensionamenti forzati hanno ridotto il numero a 54, ma gli
alti ranghi continuano ad essere inflazionati, con circa 10.000
ufficiali all'attivo. Nei tre anni di democrazia seguiti alla
caduta del regime di Slobodan Milosevic la leva e' stata gradualmente
ridotta, per fare fronte a un deciso impoverimento delle risorse.
Ciononostante, da quest'anno i comandi hanno dovuto istituire una
sorta di 'settimana corta' per i soldati, spedendoli in licenza il
sabato e la domenica perche' si facciano a casa docce, lavatrici e
pasti abbondanti: sapone, acqua calda e rancio scarseggiano nelle
caserme. Sul ridimensionamento degli effettivi sono tutti
d'accordo, molto meno sulla sua entita'. Il Montenegro, che non
abbandona le sue aspirazioni indipendentiste e spera di poter secedere
dalla Serbia al termine del concordato 'periodo di prova' di tre
anni, non ha interesse a investire nelle forze armate comuni.
Chiede quindi un esercito di 5.000, massimo 15.000 uomini. Gli
ufficiali serbi sottolineano invece come il paese abbia, a differenza
di altri stati europei, un reale problema di sicurezza alle frontiere
amministrative con il Kosovo e lungo il confine con la Macedonia,
abitato da una forte maggioranza albanese ostile a Belgrado. Stando ai
militari serbi, 10.000 uomini sono necessari solo per coprire quelle
zone, e occorre quindi un esercito di 50.000 soldati. Il ministero
della difesa vede per parte sua in 35.000-40.000 il numero ottimale.
Su questo, come sulla nuova dottrina militare il cui varo e' dato
per imminente, si continua a discutere. Ma la dieta di Tadic, pur
imposta dalle finanze e dal desiderio di integrarsi con i paesi Nato -
Belgrado ha anche offerto all'Alleanza un non meglio precisato
contingente di uomini per l'Afghanistan - non manca di suscitare
malumori fra vertici militari un tempo potenti e ora costretti ad
accettare un inedito controllo civile sullo Stato maggiore. Fra le
stellette crea irritazione anche il varo, a lungo atteso, di un
decreto sul servizio civile, che entrera' in vigore seppure con molte
limitazioni il 15 ottobre. Su quest'ultimo punto comunque le cifre
sembrano smentire le preoccupazioni dei graduati: dei 33.000 coscritti
di quest'anno, finora solo 44 si sono dichiarati obiettori di
coscienza. L'esercito resta l'istituzione di gran lunga piu'
rispettata fra i serbi. Soprattutto nelle campagne, avere un riformato
in famiglia e' considerato un disonore. Quando un giovane parte per
la leva, e' tradizione dare una grande festa che puo' durare anche tre
giorni, detta 'Ispracaj' (Addio). Recentemente in un villaggio vicino
a Smederevo (Serbia centrale), un genitore particolarmente orgoglioso
ha speso ben 50.000 euro e invitato 1.000 persone per festeggiare la
partenza in divisa del figlio. (ANSA). OT 19/09/2003
19:05

Lunedi scorso, 6 ottobre, e' morto a Roma Antonio Jerkov.

Jerkov nasce nel 1922 presso Benkovac, tra la Krajina e Dalmatinska
Zagora. Frequenta le scuole superiori a Valjevo in Serbia. All'inizio
degli anni Quaranta, durante la guerra di Liberazione, Jerkov e' a
Zagabria. Impegnato nel movimento giovanile cattolico, egli guarda con
stupore ed angoscia a quello che sta succedendo nello Stato
Indipendente Croato degli ustascia, guidato dal nazista Ante Pavelic
con l'appoggio di tutto il clero. Sono anni di traumi e scissioni per
ogni coscienza: lo stesso Alojzije Stepinac, arcivescovo di Zagabria
collaborazionista di Pavelic, viene colto da Jerkov mentre piange la
morte del fratello partigiano. La disapprovazione di Stepinac per la
lotta partigiana non fa esitare Jerkov, che entra a far parte del
Movimento Popolare di Liberazione (NOP), per il quale svolge compiti
della massima importanza, e pericolosi.

E' il periodo della storica assemblea del Comitato Antifascista di
Liberazione Popolare della Jugoslavia (AVNOJ: Jajce, Bosnia, fine
novembre 1943), che promuove la lotta per la liberta' dall'occupazione
straniera e la creazione di una Federazione di tutti i popoli
dell'area. Jerkov e' ormai uno jugoslavista convinto, e tale rimarra'
fino alla morte. A noi diceva: dobbiamo sempre parlare di "Jugoslavia",
e lo "jugoslavo" e' la nostra lingua. Atteggiamento valido a maggior
ragione adesso, quando si vuole cancellare il nome della Jugoslavia
dalle coscienze, dalle mappe geografiche e dalla Storia.
 
Trasferitosi a Roma si laurea, nel primo dopoguerra, in Storia e
Filosofia. Diventa giornalista, analista della politica vaticana,
addetto culturale all'Ambasciata. Fonda un Centro di informazione
politica, e prosegue fino agli anni Novanta in un lavoro di
documentazione ed analisi minuziosa, sui mille risvolti della vita
politica jugoslava, che lo portera' a creare e dirigere il bimestrale
"Balcanica", unica fonte di informazione di orientamento jugoslavista
in un panorama politico-diplomatico devastato dalla guerra e dai
voltafaccia. E' l'ennesima occasione, per Jerkov, di dimostrare il suo
amore per la sua terra, i popoli e le nazionalita' che la abitano.

Negli ultimi anni continuava a viaggiare, nonostante la salute
precaria: si recava alle terme di Rogaska Slatina in Slovenia, si
fermava a Trieste, ed in ogni occasione curava i contatti con i
rappresentanti delle comunita' serba, croata, slovena, e con tutti gli
amici della Jugoslavia. Su "Balcanica" si impegno' in particolare a
promuovere la conoscenza della Macedonia di Gligorov, che del suo
grande paese ormai frammentato manteneva la struttura multinazionale,
fondata sui valori di Unita' e Fratellanza. La vittoria elettorale
delle destre nazionaliste muto' tragicamente lo scenario anche in
Macedonia, con esiti tuttora imprevedibili. I valori ai quali Antonio
Jerkov ha dedicato tutta la propria vita restano oggi piu' giusti e
indispensabili che mai.

I compagni del Coordinamento Romano

http://www.nonluoghi.info/article.php?sid=9
http://www.nonluoghi.org/lager.html

FABIO GALLUCCIO: "I LAGER IN ITALIA"

LA MEMORIA SEPOLTA NEI DUECENTO LUOGHI DI DEPORTAZIONE FASCISTI

Un viaggio nella memoria, in una storia non raccontata e rimossa. Una
scoperta in cui l'autore snocciola come un rosario laico uno dopo
l'altro i campi di internamento italiano durante il fascismo in un
attonito viaggio in un'Italia spesso sconosciuta, straordinariamente
bella e affascinante.

Il viaggio inizia casualmente a Ferramonti in Calabria, dove l'autore
scopre proprio sotto un cavalcavia dell'autostrada Roma-Reggio
Calabria, all'uscita di Tarsia, un campo di concentramento deturpato
dall'autostrada, ma recuperabile, con le garitte e le baracche ancora
in piedi. Da lì si avventura in un labirinto, dove ogni campo scoperto
è una crudele sorpresa per le parole non dette e la memoria non
recuperata. Fino ad arrivare ad un numero di oltre cento campi,
cosciente, alla fine, di averne trovato solo la metà. Un racconto che
si snoda come un giallo scritto da chi non si occupa di storia, ma da
un un cittadino come tanti che si indigna di fronte all' occultamento,
alla non verità.

Campagna, Alatri, Farfa Sabina, Anghiari, Roccatederighi, Civitella del
Tronto, Urbisaglia, Pollenza, Carpi, Risiera di S.Sabba, sono alcune
delle tappe nel buco nero della storia italiana. Dove l'autore spesso
si muove in una panorama onirico da incubo, quasi a voler dimostrare a
se stesso che non è vero, non è possibile. Ma il risveglio è più amaro
della realtà.

I campi furono istituiti con decreto del 4 settembre 1940, n.439 e
dovevano ospitare inizialmente soltanto cittadini stranieri dei paesi
belligeranti con l'Italia, ma diventarono ben presto campi per ebrei
stranieri, slavi, zingari, oppositori politici e omosessuali. Da circa
40 campi iniziali si arrivò ad un numero che, secondo lo storico
Luciano Casali, professore di storia contemporanea all'Università di
Bologna, ammonta a 259. L'autore ne ha catalogati 113 in Italia e 22
nei territori occupati dall'Italia. Alcuni furono campi provinciali
istituiti durante la Repubblica Sociale Italiana. Pochissima la
letteratura sulla materia e pochi gli storici che se sono occupati :
tutto rende il tema più misterioso e affascinante, ma anche più
terribile.

I campi non furono campi di sterminio, se si esclude quello della
Risiera di San Sabba, ma soprattutto nei campi del centro-nord dove
gli alleati arrivarono più tardi, i deportati furono prelevati dai
nazi-fascisti e portati in Germania per la soluzione finale. In tutto
questa storia appare, come un'ombra, la presenza della Chiesa che
sorveglia, dietro le quinte, che il regime non superi certe efferatezze.

Il libro è anche l ' occasione per ripercorrere un periodo storico
dalle leggi razziali del 1938 alla fine della guerra, dove la
maggioranza degli italiani visse con leggerezza e superficialità
quegli orrori senza accorgersi responsabilmente di quello che stava
accadendo. Ma anche un severo monito a coloro che fondarono la
democrazia e cercarono di cancellare con un colpo di spugna quello che
era avvenuto. La storia non perdona chi dimentica e i fatti e la
cronaca di questi giorni nel nostro Paese ce lo ricordano con
severità e ci ammoniscono degli errori passati e, purtroppo, presenti.


UNA RECENSIONE DEL LIBRO

Uno storico non accademico decide, dopo anni di ricerche archivistiche,
di mettersi in viaggio e di dare la caccia alle tracce dei luoghi di
deportazione che furono istituiti dal regime fascista dopo l'entrata in
guerra, sulla scorta delle leggi razziali.
È la storia del libro di Fabio Galluccio, edito da Nonluoghi Libere
Edizioni, che sarà presentato martedì 22 ottobre a Roma, alla sala
della Stampa estera (via dell'Umiltà, 83/c). Interverrà il professor
Giuseppe Tamburrano, presidente della Fondazione Nenni. Introdurrà Eric
Jozsef, corrispondente di Liberation e presidente dell'Associazione
Stampa Estera. Saranno presenti l'Autore e il direttore editoriale,
Zenone Sovilla.

"I lager in Italia. La memoria sepolta nei duecento luoghi di
deportazione fascisti" di Fabio Galluccio (Nonluoghi Libere Edizioni,
settembre 2002, p. 226, euro 13) è un libro sui generis: più che un
saggio storico un diario di viaggio nella memoria tragica delle leggi
razziali e nel territorio che ha ospitato i luoghi della vergogna.
Luoghi nella gran parte dei casi dimenticati: caserme, ex conventi,
ville fatiscenti, sedi di vari istituti oggi non ricordano neanche con
una misera targa l'orrore che si consumò tra quelle mura.
Ma nemmeno dei campi che Mussolini fece costruire ad hoc la Repubblica
democratica ha conservato la memoria, salvo rare eccezioni come
Ferramonti di Tarsia (Cosenza) che prima fu sovrastato dall'autostrada
e offeso dai suoi viadotti, ma in un secondo tempo divenne oggetto
dell'impegno di una Fondazione guidata dallo storico Carlo Spartaco
Capogreco, autore della prefazione al libro di Galluccio.
Ad Alatri, vicino a Roma, per esempio, le baracche sono ancora in piedi
e al visitatore si presenta una visione spettrale il cui significato
non è indicato da nessuna targa, come ha spiegato l'autore presentando
in anteprima il libro alla Fiera dei piccoli editori a Belgioioso.
«Ho girato l'Italia ha raccontato Galluccio alla ricerca di questi
luoghi che oggi sono quasi sempre difficili da individuare, sia nei
paesini sperduti tra le montagne sia nelle città. Ho parlato con la
gente, ho cercato di ricostruire la storia e la vita di questi lager;
ma è una memoria in buona parte rimossa. Ho cercato i sindaci, i
parroci, ho chiesto che almeno si pensasse di mettere un cartello per
ricordare quei fatti orribili di sessant'anni fa. Per ricordare che in
quei luoghi furono rinchiuse migliaia di persone. Ebrei, dissidenti
politici, zingari, stranieri, omosessuali. Molti da quei luoghi furono
trasferiti ai lager e ai campi di sterminio nazisti e non tornarono mai
a casa».
Galluccio riapre una pagina inquietante della storia italiana, una
pagina vergognosamente coperta dall'omertà storiografica e politica nel
dopoguerra, quando l'Italia doveva rifarsi una verginità, evitare i
tribunali internazionali e alimentare la leggenda degli "italiani brava
gente". Il libro di Galluccio racconta il crescendo propagandistico
razzista, le leggi del '38 e la loro applicazione dalle prime
discriminazioni alle deportazioni verso i campi che ogni prefetto
avevfa ordine di istituire e l'autore cerca di indagare e ricostruire e
le condizioni di vita in una parte di queste prigioni per innocenti.
Dopo la guerra, fu minimizzata la responsabilità del popolo italiano e
persino quella del regime fascista: si tentò di accollare ai nazisti
anche la responsabilità dei lager in Italia. Eppure, come confermò lo
stesso De Felice, erano centinaia (per il noto storico del fascismo
400, comprendendo però anche i luoghi di confino) i campi di
concentramento voluti da Mussolini. Galluccio, nel suo libro,
ricostruisce il percorso che condusse all'orrore: mette a nudo non solo
la cinica crudeltà degli uomini del regime (ministri, sottosegretari,
prefetti...) ciecamente asserviti alla ragion di Stato, ma anche
l'ambiguità della Chiesa cattolica (presente in molti campi forse per
evitare le efferatezze che invece si tolleravano altrove, come in
Germania e in Polonia) e più in generale la connivenza di una società
che assistette senza reagire all'apoteosi razzista, celebrata per anni
sulle prime pagine dei giornali "ariani" che avevano costruito ad arte
l'idea collettiva del "pericolo del diverso".
L'Autore, nel corso di due anni, ha girato l'Italia, dall'Alto Adige
alla Calabria, per un'indagine che ha avuto quasi sempre come unico
sostegno documentale delle pubblicazioni locali sconosciute ai più,
opera di storici dilettanti. Il diario di questo percorso fa da
contrappunto alla ricostruzione storica e accompagna nella lettura,
pagina dopo pagina, sviscerando fino in fondo la doppia colpa di un
popolo che prima ha sbagliato e poi, diversamente da quanto hanno fatto
i tedeschi, ha preferito sorvolare e rimuovere tutto. Con rischi
sociali che si proiettano anche sul presente.
Le centinaia di lager istituiti in tutta Italia (e in ex Jugoslavia e
Albania), infatti, secondo l'Autore, sono una pagina che va indagata
sia per onorare le vittime di quell'orrore sia per
comprendere fino in fondo i meccanismi che lo resero possibile.
Sessant'anni fa tutto avvenne quasi sfuggendo alla percezione
collettiva dei più; eppure i giornali per anni scrissero nelle prime
pagine - con toni agiografici - delle leggi razziali, della loro
applicazione, dell'istituzione dei lager e di altre nefandezze compiute
nel nome della "Legge" e contro il pericolo straniero, ebreo,
comunista, americano...
Per questa ragione, come spiega l'autore, il libro di Galluccio vuole
essere anche un monito sul rischio che anche nell'Italia di oggi si
mettano in atto iniziative legislative, con la complicità di
un'opinione pubblica addomesticata o vile, che con forme nuove e molto
più striscianti e inafferrabili calpesti la dignità degli esseri umani
- oltre che ogni principio di giustizia e di Diritto naturale - siano
essi immigrati stranieri o zingari.
Sia pure evitando azzardati e fuorvianti parallelismi storici, l'Autore
invita a riflettere sul rischio che il formarsi di una percezione
collettiva di "pericolo" proveniente da un'idea del "diverso"
alimentata dalle istituzioni politiche e amplificata dai mass media,
possa assecondare la codificazione di norme apparentemente "difensive"
e obbligate da fenomeni preoccupanti, ma in realtà invasive e
contrastanti con i principi universali del rispetto della persona umana.
Il rischio di morte civile per qualche gruppo sociale, in altre
parole, è sempre in agguato, anche se i suoi strumenti e le sue forme
cambiano radicalmente nelle varie epoche. Questo sembra dirci un libro
che copre, con un grido, un vuoto storiografico e si propone come
spiega Galluccio di fungere da stimolo agli storici accademici affinché
il tema dei lager italiani venga indagato e fatto riemergere per
consegnarlo al dibattito collettivo e rendere possibile un tentativo di
rielaborazione della colpa. Il che non sarebbe poco, data l'aria che
tira per vari gruppi sociali deboli anche nell'Italia di oggi.


FABIO GALLUCCIO

"I LAGER IN ITALIA. LA MEMORIA SEPOLTA NEI DUECENTO LUOGHI DI
DEPORTAZIONE FASCISTI"

(Nonluoghi Libere Edizioni, settembre 2002, p. 226, euro 13)


I LAGER IN ITALIA - INDICE DEL LIBRO

Prefazione di Carlo Spartaco Capogreco
1 - La banalità del male
2 - L'Italia e le leggi razziali
3 - Perché dimenticare?
4 - Chiesa, monarchia e fascismo
5 - Il fascismo e l'antifascismo
6 - Bottai e il «fascismo famigliare»
7 - Il censimento razzista del fascismo
8 - Le disposizioni antiebraiche del 1938
9 - L'incontro con il mondo ebraico
10 - I conti con il passato
11 - Revisionismi
12 - Per tornare a credere nella mia gente
13 - La storia che non c'è
14 - Palermo
15 - Ferramonti
16 - Civitella del Tronto
17 - Tuscania
18 - Emanuele
19 - Campagna
20 - Carpi - Fossoli
21 - La storia di Fossoli
22 - Alatri - Le Fraschette
23 - Il racconto di Luigi Centra
24 - Urbisaglia
25 - Petriolo - Pollenza - Treia
26 - Sforzacosta
27 - Anghiari - Renicci
28 - Agnone
29 - Estate e autunno 1999
30 - Risiera di San Sabba
31 - L'incontro con Luigi
32 - Trieste e Padova
33 - Roccatederighi
34 - Farfa Sabina
35 - Bolzano
36 - Il processo di Bolzano
37 - Ferrara
38 - Scipione
39 - Montechiarugolo e Monticelli
40 - Mantova
Epilogo
Documenti e bibliografia

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Fabio Galluccio, nato a Messina il 13 luglio del 1954, laureato a Roma
in giurisprudenza con una tesi su "La libertà nelle prospettive
politico-giuridiche di Karl Jaspers", ha studiato in particolar modo la
colpa del popolo tedesco durante il nazismo.
Scrive per Nonluoghi.it il diario, "Le Berluscate", sulle malefatte del
governo di destra. È uno studioso di Gobetti e del mondo
liberal-socialista. Al suo primo libro storico-narrativo. Il suo lavoro
è nell'ambito della comunicazione attraverso i nuovi media.

---

Comunicato stampa del 1. settembre 2002

ESCE A META' SETTEMBRE "I LAGER IN ITALIA. LA MEMORIA SEPOLTA NEI
DUECENTO LUOGHI DI DEPORTAZIONE FASCISTI" DI FABIO GALLUCCIO

A metà settembre uscirà il secondo volume edito da Nonluoghi Libere
edizioni. Si tratta di un lavoro che per noi rappresenta un'operazione
culturale significativa. Si tratta del saggio, in forma quasi
diaristica, "I lager in Italia. la memoria sepolta nei duecento luoghi
di internamento fascisti" di Fabio Galluccio. Il libro riapre una
pagina inquietante della storia italiana che fu chiusa frettolosamente
dopo la guerra per togliere un grave imbarazzo alla neonata Repubblica
in cerca di sostegni internazionali. Purtroppo, in questo modo fu
cancellato l'orrore delle leggi razziali e delle deportazioni che ne
seguirono, fu minimizzata la sresponsabilità del popolo italiano e
persino quella del regime fascista: si tentò di accollare ai nazisti
anche la responsabilità dei lager in Italia. eppure, come confermò lo
stesso Renzo De Felice, erano centinaia (per il noto storico del
fascismo 400, comprendendo però anche i luoghi di confino) i campi di
concentramento voluti da Mussolini, diversi dei quali costruiti ad hoc.

Fabio Galluccio, nel suo libro, ricostruisce il percorso che condusse
dapprima alle leggi razziali e poi alle deportazioni di ebrei,
stranieri, dissidenti politici, zingari e omosessuali. L'Autore, nel
corso di due anni, ha girato l'Italia, dall'Alto Adige alla Calabria,
alla ricerca delle tracce - spesso quasi completamente cancellate - dei
lager fascisti. Ne ha ricostruito - in qualche caso con l'aiuto di
pubblicazioni locali sconosciute ai più - le vicende, ha indagato il
destino degli internati, che spesso da questi campi di internamento
furono trasferiti al centro di smistamento di Fossoli, con destinazione
finale i campi di sterminio tedeschi.
Galluccio, studioso della colpa dei popoli tedesco e italiano nel
nazismo e nel fascismo, con questo lavoro vuole contribuire alla
riapertura di una pagina tragica della storia italiana che fu subito
chiusa perché scomoda e imbarazzante. Ma le centinaia di lager
istituiti in tutta Italia (e in Grecia e Albania) dal regime fascista
con la con nivenza di una società silenziosa, secondo l'Autore, sono
una pagina che va indagata sia per onorare le vittime di quell'orrore
sia per comprendere fino in fondo i meccanismi che lo resero possibile.
Sessant'anni fa tutto avvenne quasi sfuggendo alla percezione
collettiva dei più; eppure i giornali per anni scrissero nelle prime
pagine - con toni celebrativi - delle leggi razziali, della loro
applicazione, dell'istituzione dei lager e di altre nefandezze compiute
nel nome della "Legge".
Per questa ragione, il libro di Galluccio vuole essere un saggio
storico ma anche un monito sul rischio che anche nell'Italia di oggi si
mettano in atto iniziative legislative, con la complicità di
un'opinione pubblica addomesticata o vile, che con forme nuove e molto
più striscianti e inafferrabili calpesti la dignità degli esseri umani
- oltre che ogni principio di giustizia e di Diritto naturale - siano
essi immigrati stranieri o zingari.
Il viaggio di Galluccio ha toccato numerose località italiane e solo in
rari casi ha trovato nel luogo della vergogna (campi istituiti ad hoc,
ex caserme, ex conventi o altri edifici) un segno che ricordasse gli
avvenimenti del periodo 1940-1945. Uno dei rari casi di tentativo di
restituire la memoria storica di quei fatti è la Fondazione Ferramonti,
a Tarsia (Calabria), dove solo ora si sta ricostruendo la fisionomia
del campo che oggi è sovrastato dai viadotti dell'autostrada. Il
presidente della Fondazione, lo storico Carlo Spartaco Capogreco, ha
scritto la prefazione al volume di Fabio Galluccio.

IN LIBRERIA

 

Milosevic "trial": "Tribunal" abandons last traces of judiciary

1. TRIBUNAL ABANDONS LAST TRACES OF JUDICIARY
Statement by Sloboda/ICDSM, October 8, 2003

2. SUPPORT THE STRUGGLE FOR TRUTH AND JUSTICE
Statement from the CDSM in the United Kingdom

3. TO THE MINISTER OF FOREIGN AFFAIRS OF THE RUSSIAN FEDERATION I.S.
IVANOV
Letter from Duma to Foreign Minister Ivanov on President Milosevic

(All documents have been forwarded to us by V. Krsljanin of
SLOBODA Association, Belgrade: http://www.sloboda.org.yu/ )


LINK:
Dutch TV documentary on the Hague process, in two parts:
http://info.vpro.nl/info/tegenlicht/index.shtml?7738514+7738518+8048024


=== 1 ===


TRIBUNAL ABANDONS LAST TRACES OF JUDICIARY
WHILE ITS PRESIDENT PRAISES WARMONGERS BEFORE GOING TO UN

Total Desperation and Harassment of Law in the "Trial" of President
Milosevic

In another astonishing development at the political creation known as
the ICTY, the Appeals Chamber has granted the Prosecution's request to
admit written statements instead of testimony, if the witness attends
the hearing and affirms that the statement is true, and makes himself
available for cross-examination and questions from the bench.

After the world's major news media abandoned any significant coverage
of this shameful farce, now the even the Prosecutor wishes to avoid the
embarrassment of public testimony. Her own witnesses shielded from
public view, like dust swept under a rug. It will now be possible to
request that not a single witness actually testify before being
cross-examined! And it is likely that cross-examination will be as
brutally limited as what has been "granted" to President Milosevic in
the past: only one hour!!!

The International Covenant on Civil and Political Rights guarantees the
right to a public trial. Throughout this process, all have observed the
increasingly private proceedings in the matter of President Milosevic.
More secret applications by the Prosecutor, more closed sessions, more
secret witnesses, and now witnesses who do not have to testify at all
before being cross-examined. Cross-examinations cannot make sense to
the public if they have not heard the witness' evidence! This
institution is violating the public's right to understand the content
of President Milosevic's cross-examinations ! The right to a public
trial benefits everyone, including the public, for who will judge the
judges?

If the Prosecution had a case, would she really want to hide it? Where
is the right to a fair and public hearing? Where is the search for
truth? NOT AT THE HAGUE, to be sure!

Why the rush to judgment? Do the ICTY staff have something better to do
than hear the witnesses who were supposed reveal the "truth" and bring
about "reconciliation"?

In the worst manipulative sense, one can expect now that the
Prosecution submits immediately couple of dozen of written statements
and claims that they have proved the indictment. But what about
cross-examinations? Well, the witnesses are too busy to come just in
the days when President Milosevic is not too ill.

At the same time, his life-threatening illness is a matter of the
particular care of the tribunal. Yesterday, having the illness as a
pretext, the so-called judges granted surrogate counsels called "Amici
Curiae" more rights. A step towards imposing a counsel against
defendant's will.

And then, another gesture of generosity. A nurse measured President
Milosevic's blood pressure in one of the breaks. Only 160/110! Not
enough! He will certainly not have an infarct in the next three hours!
So he can go on!

Adding insult to injury, the ICTY President Theodor Meron ("a man of
continuity" - once Israeli Ambassador to Canada, then Clinton's
negotiator for the Rome Treaty and finally Bush's executive at The
Hague) yesterday, only two days before delivering his annual report to
UN (October 9 to the Security Council and October 10 to the General
Assembly) addressed the "US Helsinki Commission", praising the US which
refuses to be subjected to the authority of any international judicial
body for the atrocities committed in Yugoslavia, Afghanistan, Iraq or
anywhere else - for its "contribution to international justice".
Special, well deserved homage he devoted to the murderers of
Yugoslavia, to the father and mother of the tribunal, Bill Clinton and
Madeleine Albright, by quoting their hypocritical blasphemies from
Srebrenica (crocodile tears over "the vulnerability of ordinary people
to the dark claims of religious and ethnic superiority") and New York,
from the time of the creation of the tribunal: "This will be no
victor's tribunal. The only victor that will prevail in this endeavour
is the truth."

The only "Truth" now is that this is a Show Trial. The only trappings
of justice left at the ICTY are judicial robes and the ability to turn
off President Milosevic's microphone.

The "task of the continuity" of crime is there. That's why Meron says:
"I chair a group of judges assigned to search for additional ways to
improve our efficiency, and the Prosecutor has also offered a number of
helpful suggestions that the judges are actively considering." What it
means in practice, we have seen yesterday and today.

All this proves that the end of the tyranny is near. The magnificent
struggle of President Milosevic backed by all the Serbian people has
completely defeated the attempt to cover the blood of innocent victims
with the Hague robes.

Now, when everything is so rudely clear, let us all rise to save the
life of Slobodan Milosevic and future of Serbia from the deadly hug of
The Hague!

Sloboda/ICDSM, October 8, 2003


=== 2 ===


Statement from the CDSM in the United Kingdom.

SUPPORT THE STRUGGLE FOR TRUTH AND JUSTICE – SAY NO TO THE NEW WORLD
ORDER.

Crisis at The Hague: President Milosevic demands a two-year suspension
of case.

"At the ICTY there is only prosecution and no defence." Slobodan
Milosevic 2nd September 2003.


The CDSM in the United Kingdom strongly support the demand for a
two-year suspension both of the ICTY proceedings and of the
incarceration of Mr Milosevic in The Hague as essential conditions so
that 1) the defendant can prepare a proper and effective response to
the allegations against him and against Serbia and 2) he can recuperate
his health.
Imprisoned for over two years by the ICTY at The Hague, the former
Yugoslav head of state has endured 19 months of the prosecution’s
allegations at this so-called ‘trial of the century’.
Suffering acute hyper tension and life threatening heart and blood
conditions and being denied proper medical care, the ex-President has
been presented with over one million pages of alleged ‘evidence’ to
respond to.
Since Mr Milosevic has insisted on his right to represent himself, he
has been refused access to the media, refused visitations from his
family and now, indefinitely refused visitations from his advisors and
associates in Serbia. Meanwhile the prosecution has been given every
liberty and convenience and enjoys a privileged position within this
‘tribunal’.
It is a basic principle of justice that prosecution and defence should
enjoy an ‘equality of arms’. It is axiomatic that the defendant should
be given adequate opportunity to prepare his response. But how can Mr
Milosevic interview witnesses and prepare his presentations from the
extreme and totally arbitrary isolation he endures in the prison cell?

Therefore:

We demand a two-year break in the proceedings.

We demand suspension of the incarceration.

We demand that Mr Milosevic be afforded these essential conditions in
order to protect his life and to prepare his case.

       For Freedom, Truth & Justice.


=== 3 ===


Letter from Duma to Foreign Minister Ivanov on President Milosevic

TO THE MINISTER OF FOREIGN AFFAIRS OF THE RUSSIAN FEDERATION

I. S. IVANOV

Dear Igor Sergeyevich,

           Already for nearly two years in The Hague a trial is being
held against the former President of the Federal Republic of
Yugoslavia, Slobodan Milosevic. In all that time, its extremely
expensive efforts notwithstanding, the Prosecution of the International
Tribunal for the former Yugoslavia has failed to produce convincing
evidence of guilt of the Serbian leader for the crimes attributed to
him. 

           The Prosecution’s case, following a court ruling, should be
concluded by the end of 2003 or by the beginning of 2004. After that,
the case for the Defendant should begin. As we all know, until now
Slobodan Milosevic had the possibility only to participate in the
examination of the witnesses for the Prosecution. As far as we know, he
intends to present to the Tribunal exceptionally compelling proof of
his innocence. However, mounting a defence takes systematic
preparations.  

           The Indictment against Slobodan Milosevic was being prepared
for more than four years with the participation of hundreds of the
Tribunal’s officials. And Slobodan Milosevic is self-represented. He is
entitled to be allotted as much preparation time for his defence as the
Tribunal’s Prosecution had to prepare its Indictment. As we all know,
the Defendant’s right to have adequate time and necessary conditions
for the preparation of his defence is provided for in many
international documents, including the European Convention on Human
Rights.

           The equality of arms between defendants and prosecutors is
one of the basic norms of the international law. The violation of that
right would serve as a confirmation of numerous allegations that under
the mask of a trial at The Hague the political settling up with
Slobodan Milosevic is in fact being carried out. At the same time, the
persecution of his family is taking place, with the purpose of
deepening his isolation.

           In this regard, our deep concern has arisen from the recent
ruling of the Tribunal to ban visits to Slobodan Milosevic by the
representatives of the Socialist Party of Serbia, whose President he
is, as well as by the SLOBODA Association, which supports him. We see
this ruling as a dangerous act of moral and psychological pressure
against a political prisoner and as the additional abridgement of his
rights.  

           In order to make his defence effective (in the sense of
gathering documents, communication with witnesses and with his legal
assistants), Slobodan Milosevic has to have the possibility to defend
himself not from a prison but from freedom. At the same time, he needs
to be restored to health, which has been undermined by the prolonged
custody and gruelling court proceedings.  

           In view of certain moral obligations, taken on by the
Russian part at the time of well-known events of October 2000, we
believe that as a minimum Russia is obligated to make sure that time is
allotted and conditions secured to the former President of the friendly
Federal Republic of Yugoslavia for an effective defence, as provided
for by the international law.  

           The settling up with Milosevic and his colleagues creates a
precedent for analogous actions against the heads of other states,
Russia included. As we all know, the preparations for such actions are
already under way.  

           We ask you to make necessary efforts in order to contribute
for a purpose of securing the equality of arms in the court
proceedings. In view of the scope of the charges (covering multi-year
conflicts in Kosovo, Bosnia and Croatia), the trial has to be
interrupted for at least two years. Such a solution is fully in
compliance with the norms of the international law.  

           At the same time, in accordance with the principle of the
presumption of innocence, Slobodan Milosevic has to be released, which
would give him the possibility to get prepared more fully for his
defence. Our presupposition is that the international community has the
interest to establish all the circumstances related to the aforesaid
conflicts. The documents and witnesses that Slobodan Milosevic intends
to present could help establishing the truth about the events in
Yugoslavia in 1990s.  

           We also believe that he has to be given the possibility of
his returning to Belgrade in order to be given a qualified medical care
by his physicians who treated him for many years.  

 

DEPUTIES OF THE STATE DUMA

(LOWER HOUSE OF PARLIAMENT):

Followed by 22 signatures of the deputies representing the absolute
majority within Duma, among them the Caucus Chairmen Zyuganov (KPRF –
Communist Party of the Russian Federation), Kharitonov (Agroindustrial
Faction), Raykov (People’s Deputy Faction – a centrist,
pro-presidential faction); the Deputy Speaker of the Duma Romanov; the
State Duma Committee Chairmen: General Nikolaev (Defence Committee),
Rizhkov (Committee for Yugoslavia), Nikitin (National Debt Committee);
as well as the Deputy Chairmen of the Committees on Foreign Affairs, on
Security Affairs, on CIS (Commonwealth of Independent States) Affairs
and Compatriots, on Defence, on Environment, on Culture, on Energy, on
Capital Construction.   

 
=== * ===


SLOBODA urgently needs your donation.
Please find the detailed instructions at:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm
 
To join or help this struggle, visit:
http://www.sloboda.org.yu/ (Sloboda/Freedom association)
http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend Slobodan
Milosevic)
http://www.free-slobo.de/ (German section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)

FASCISTI SINISTRATI
BAMBINI DESPOTTATI
DISOBBEDIENTI OBBEDIENTI                                      

MONDOCANE FUORILINEA

28/09/03

FULVIO GRIMALDI

Tre sono al momento le categorie di fascisti. Fascisti in senso lato,
biblico ma “moderno”, alla Bush, Sharon, Berlusconi, Fini, Bossi,
D’Amato, esplosi alla grande con lo schianto dell’11 settembre;
fascisti repubblichini manifesti e a braccio teso, tipo Forza Nuova,
MSI-Fiamma Tricolore, Le Pen, Deutsche National Partei, National Front;
fascisti “oltre la dicotomia destra-sinistra”, antiamericanisti, ma
imperialisti nazionaleuropei con nostalgie carolingie, comunitaristi,
socialibertari, impegnati nella pratica dell’infiltrazione tra tutto
quello che si muove nella sinistra autentica, movimenti, organizzazioni
extraparlamentari, settori radicali di partiti comunisti. Hanno tutti
in comune due aspetti costitutivi: l’essere pappa e ciccia con i
servizi segreti, con le agenzie di operazioni sporche e di guerra
psicologica, a volte come datori di lavoro, a volte come dipendenti, a
volte ancora come terminali inconsapevoli; e l’essere discepoli
laureati di Leopoldo Fregoli (1867-1936), che aveva nel DNA la
diabolica capacità di passare da un personaggio all’altro, cambiando
radicalmente stile di recitazione, costume e trucco con rapidità
straordinaria.

Nella categoria dei Bush (che comprende i soci d’affari e di macelleria
Perle, Wolfowitz, Abrahms, Ashcroft, Condoleezza, Cheney, Rumsfeld e
altri), quest’arte si avvale di un armadio rotante nella Casa Bianca in
cui si entra con l’abito scuro e cravatta del politico
democratico-borghese e se ne esce, mezzo giro dopo, con la divisa e il
ra-ta-ta-ta-stonff di Robocop-Terminator e, dopo altra girata, con la
tunica gialla degli Hara Krishna, il bastone di Ghandi e il canto dei
diritti umani. Invisibile resta sotto, in ogni caso, la biancheria
intima fornita dalla ditta Al Capone-Licio Gelli & Brothers.

Lo schieramento FN-Le Pen riserva curiosità minori: non possiede che un
cambio, indossato molti anni fa, mai lavato e portato a pelle, sotto
giubbotti di cuoio e zazzere rasate, pronto a essere esibito una volta
che se ne è dileguato il fetore. E’ vuoi di colore nero, vuoi bruno. A
volte verde con tanto di sole padano.

Coloro che qui interessano di più sono quelli della terza posizione,
bravi come nessuno a trasformarsi da bombaroli stragisti di ascendenza
statale in scorreggioni di periferia con in testa una runa, in mano una
spranga e nella strozza un sole che sorgi. O, ancora, in studiosi
compunti di un Marx da riscattare dal suo rintronamento ottocentesco e
da proiettare verso l’abbraccio-fine della storia e dell’arcaica
differenza destra-sinistra, con Julius Evola, Dino Grandi e Bombacci.
Insomma, sono i paggetti che reggono lo strascico al matrimonio tra il
vecchio Marx e il giovane Mussolini.

Hanno case editrici, riviste, quotidiani, siti-web, mailing-list, ma
anche covi, labari e inni a Thor, e, dopo De Benoist e Thiriart in
Francia, un famoso filosofo italiano di Torino, teorico, anche
abbastanza rancoroso, del superamento dell’ idiota (termine suo)
contrapposizione destra-sinistra.

Non oserei mai misurarmi con l’eletto accademico, con in capo tanti bei
testi di acuta analisi storica, con Marx su una spalla, D’Annunzio
sull’altra e il duo Pericle-Plotino sulla terza. Qui voglio soltanto
pizzicare alcune delle vibranti corde di un suo grande concerto
sinfonico, eseguito giorni fa in rete, per ridurlo a canzonetta,
accessibile alle moltitudini assetate di nuove e definitive verità.  

Parla, dunque, così, il vate di tanti piccoli corifei che, spiazzati ed
emarginati a ruoli di pura testimonianza dall’Estrema Destra Moderna,
dotata di FMI, piantagioni d’oppio, carabinieri, Banche, F-16 e Bombe
all’uranio, cercano di guadagnare numeri e funzione mescolandosi,
sorridenti e con spilla di Lenin, in qualunque assembramento
antagonista si presenti in piazza:

“(La) questione del mantenimento e/o superamento della polarità di
Destra e Sinistra…In realtà non è affatto una bestemmia. In linguaggio
filosofico (!), si tratta solo di una sorta di dubbio iperbolico cui
far seguire una catena di dubbi metodici(!)… Tenterò una doppia ipotesi
filosofica, per cui la patologia comune delle due posizioni polari e in
entrambi i casi un deficit di universalismo… E questo ci costringe a
ricercare un nuovo terreno universalistico”.

Quanto ragiona bene il filosofo piemontese! Infatti, la destra coltiva
una visione davvero riduttiva e localistica: il nazismo in un solo
paese e, se fosse stato per Hitler, lo avrebbe fatto solo a Salisburgo,
il fascismo in un solo paese, il franchismo in un solo paese, il
papadopulismo in un solo paese, il pinochettismo in un solo paese e via
sminuzzando. Tutto il resto, o colonie o hic sunt leones. Nella
società, poi, piuttosto che far produrre a tutte le fabbriche solo
camicie brune o camicie nere, colori da universalizzare fin dal primo
pannolino, tollerava, almeno in salotto e camera da letto, pigiami e
guepiere di svariati altri colori.

Invece la sinistra, quella comunista (non ce ne sono davvero altre),
limitava il suo messaggio, pur proiettandolo in un onirico futuro senza
classi e senza stato per tutti, alle minoranze povere, deboli,
sfruttate, a una classe operaia in estinzione, a qualche studente
problematico, fuori ed entro i propri confini. Un atteggiamento
strutturalmente minoritaristico, travolto e superato dal nuovo, unico e
definitivo “universalismo umanistico” del filosofo.

“Perché feticizzare la dicotomia fra destra e sinistra – si chiede
angosciato il pensatore – quando i gruppi fondamentali della sinistra
di tipo politico-elettorale ed intellettuale-culturale hanno cessato di
rappresentare…un punto di vista conflittualista ed emancipazionista ed
hanno variamente adottato un punto di vista di aperta integrazione
politico-culturale e di gestione sistemica?”

E qui, se mi è consentita questa impertinenza dal basso, ho
l’improntitudine di notare una lieve contraddizione nel ragionamento
del vate: invoca a ogni piè sospinto la sacrosanta panacea
universalista, sfuggita a una sinistra miope e gruppettara, ma poi
ammette di aver guardato solo all’Europa. E, come ipnotizzato dalla
visione di Fassino, Blair, Schroeder o Chirac (gente che, tuttavia,
prima di coricarsi, si netta con getti d’aria a 1000 atmosfere di ogni
contaminazione, anche solo verbale, di sinistra), trascura di
evidenziare come nel resto del mondo miliardi di persone abbiano
ugualmente “cessato di rappresentare un punto di vista conflittualista
ed emancipazionista” e si siano sistemicamente integrati. E penso a
quei fasulloni dei bolivariani in Venezuela, regressivamente tornati a
Marx, Bolivar e culture indie, al formicolio di Senza Terra in Brasile
che hanno pensato di fare la rivoluzione rosicchiando qualche ettaro
agli agrari; a quegli 11 milioni di cubani che credono di aver fatto
cose epocali nella loro isoletta, universalizzando l’alfabeto e
Schopenhauer a tutti, come anche l’aspirina, la casa, l’acqua, gli
alberi, e in più sono andati a diffondere queste cose tra qualche
capanna dall’Angola al Congo alla Bolivia. Penso anche a quegli
irriducibili localisti di palestinesi e iracheni che insistono a
dissanguarsi per cose loro, particolaristiche, come il recupero della
dignità nazionale, delle conquiste sociali, della sovranità dei loro
minimalisti statarelli, ignorando l’ampio e possente respiro che gli ha
portato l’universalismo imperiale sionista-statunitense, l’unico in
atto, almeno fino a quando le genti del pianeta non saranno
affratellate dall’Umanesimo Universalista – o è l’Universalismo
Umanista? – di Costanzo Preve.

Prosegue il Nostro:” La dicotomia opposizionale fra destra e sinistra
risponde a un bisogno primario, antropologico prima ancora che
politico, che ha l’uomo moderno in alcune, non tutte, le parti del
mondo (certo non nell’amato Tibet, dove il dominio assoluto dei monaci
sull’indistinto brulichio rurale di vivi e morti, passato, presente e
futuro, ha liberato quel popolo da ogni dicotomia. FG) di conseguire
un’identità e una appartenenza che strutturi simbolicamente la propria
percezione, quasi sempre intuitiva e prerazionale, della totalità
sociale in cui vive…Alla vecchia dicotomia Ortodossia/Eresia si
sostituisce la nuova dicotomia destra/sinistra”.

E qui siamo davvero a una potenza dialettica da “shock and awe”. C’è da
arrossire a continuare a spilucchiarci attorno. In ogni caso, è balsamo
per il deviante e miscredente, appiccicato a vecchie categorie della
ragion pura e di quella pratica, con preoccupante pencolamento verso la
seconda. Pensate, m’ero illuso, da “uomo moderno”, per quanto ancorato
al pretenzioso leguleismo dell’illuminismo, di aver fatto un, seppur
piccolo, ragionamento, magari primario, magari antropologico, quando,
scivolando fuori da bibliche subalternità gerarchiche, ho cercato di
conseguire “un’identità e un’appartenenza che strutturasse
simbolicamente”, ma anche molto materialmente, la mia percezione della
totalità sociale in cui vivevo. Mi avevano fatto credere – e come se ci
avevo creduto! – che a sinistra mi ero schierato perché, scendendo i
gradini della chiesa, uscendo dal portone della scuola e facendo
ciao-ciao ai miei genitori, avevo incontrato persone perbene e, dunque
quasi sempre povere e sempre lavoratrici, cui il padrone
screstava l’80% del frutto del loro lavoro, cattolici irlandesi
falciati da parà a Derry, arabi palestinesi e iracheni seduti tra le
macerie con il Kalachnikov in mano, indios, chicanos e neri delle
Americhe alla ricerca di un orto, o di un facchinaggio. Nonché,
decisivo, perché certe magliette a strisce, nel 1960 di Tambroni, avevo
visto emergere dal porto di Genova e tenere per un po’ teste di
celerini dentro la fontana di Piazza De Ferrari.

Quella mia “percezione”, ho imparato, era “largamente intuitiva e
prefazionale”. Come dire che avrei potuto benissimo stare dalla parte
degli americani che mi avevano incenerito città e compagni di scuola,
anziché dietro a una mitragliatrice a tentare (avevo 10 anni) di
sparargli sul muso. O a fianco di un bravo pilota di F-16 con le
insegne israeliane.

Del resto, quella erratica dicotomia “non è affatto originaria, ha solo
circa due secoli di vita”. Cioè da quando i giacobini si sono messi a
sinistra per l’esigenza “primaria ed antropologica” di stare vicino ai
termosifoni. Spartaco, Cola di Rienzo, le guerre contadine, Voltaire, i
pigmei con tutta la foresta in comune e l’ultimo dei mohicani chissà
dove si trovano, ora che non c’è più l’infernale dicotomia. E pure
Torquemada, Luigi XIV, Silla, Carlomagno e Giulio II. La loro,
poverini, era solo una “vecchia dicotomia spaziale religiosa” e, più
tardi, squallidamente laicizzata e secolarizzata (vedete che
vocabolario: paghi uno e prendi due!). Come l’hanno difesa, questa
dicotomia? In “modo feroce e talvolta irrazionale”.

E non finisce qui. Anzi, c’è un piatto forte. Da quanto sopra discende
che è “potenzialmente paranoico quello che chiamo il paradigma
dell’infiltrazione che è, a sua volta, una modalità della difesa della
purezza, e considera ogni sconvolgimento del rassicurante modello
dicotomico di strutturazione identitaria del mondo come un pericoloso
complotto di infiltrati. Così, se l’originariamente “sinistro” Adriano
Sofri è schierato per i massacri sionisti ed americani e per i
bombardamenti umanitari, mentre l’originariamente “destro” Alain De
Benoist è schierato contro, questo fatto non è interpretato
dialetticamente come normale evoluzione di posizioni, ma come un’astuta
e perfida manovra della destra eterna di infiltrarsi nelle pure fila
della parte sana della società politica…. Si tratta di una stupidità
tale…di una modalità patologica di difesa psicologica della propria
identità minacciata.”

Che stupidoni! Se il ministro di polizia Fouchè era passato
elegantemente dal difendere la ragioni di principi, duchi e banchieri a
quelle dei sanscoulottes e poi, de retour, a quelle dei Bonaparte, non
di infiltrato dell’aristocrazia, prima, della borghesia poi e
dell’impero, dopo, si trattava, bensì di evoluzione verso il
superamento della dicotomia! E io che avevo sempre pensato che Sofri
fosse un infiltrato! Prima il PCI come nemico principale, il
socialimperialismo sovietico, le imprese editoriali realizzate insieme
a un rampollo della CIA, passato poi a sopprimere tutta Lotta Continua
(comprese molte vite) e a rivelarsi facinoroso pannelliano, bombarolo,
provocatore, sionista, iperatlantico, uomo d’ordine, bambolotto di
Giuliano Ferrara. Aveva superato la dicotomia. Difatti le ovazioni si
sprecavano, da Berlusconi a Rossana Rossanda! Si è evoluto, Adriano,
guadagnandosi non solo la grazia, ma il ruolo di portalabari dell’era
della nuova dicotomia fascismo/ riformismo, sicuramente a Preve un
po’meno ostica di quella vecchia, anche perché assai più
“universalistica” della precedente.

Quando 50 milioni di sovietici si fecero ammazzare da Wehrmacht,
Gestapo e SS, nonchè dalle scarpe di cartone di Mussolini,e chissà
quanti partigiani serbi e italiani, e un milione di “dissidenti”
tedeschi, pensando di buttar giù regimi di destra per salvare popoli di
sinistra, che “stupidità” manifestavano. Era solo una “modalità
patologica di difesa psicologica della propria identità minacciata”.
Ah, se si fossero levati dalla dicotomia destra/sinistra!

E qui, temo, il Professore polemizza col sottoscritto e altri “quattro
gatti” (è il nome d’arte che ci hanno attribuito), quando allude ai
paranoici dell’infiltrazione, infiltrazione di gente che, invece, si è
solo evoluta. Cademmo nella paranoia dell’infiltrato quando ci
accorgemmo che, da un capo all’altro dell’Europa, giusto nel momento
del fiorire di una grande movimento di incazzati e vogliosi, ma
ritenentisi, grazie alla maledetta dicotomia, a sinistra o
sinistrissima, vecchi arnesi dell’estremismo di destra, che avevamo
intravisto tra spranghe e fumi di bombe, in librerie con svastiche ad
abatjour e fasci a montanti di scaffali, stavano iscrivendosi a liste,
gruppi, manifestazioni e orizzonti antimperialisti. Nello specifico
antiamericani ed antisionisti. Ci condizionava pesantemente il ricordo
di Sofri, Liguori, Cicchitto-P2, di Brandirali, servitore del popolo
rifiorito in Cielle, perfino di D’Alema, comunista e poi sul balcone
dell’Opus Dei e, all’incontro, di Lotta di Popolo e dei nazimaoisti,
vincitori dell’infame dicotomia grazie alla camicia nera con alamari
rossi. Ancora una volta non avevamo visto transitare il Pendolino
dell’evoluzione.

Liberiamoci anche – così sollecita l’accademico – dell’idea che il
nazifascismo, il “totalitarismo sovietico” e lo stesso fordismo
fossero, più o meno equivalenti, tentativi di eternizzare lo
sfruttamento dell’uomo sull’uomo (economia) e la disparità nella
cultura, nei finanziamenti, eserciti, comunicazione, rango sociale
(politica). Macchè, l’economia non contava nulla e Krupp, Agnelli e i
latifondisti di Stroessner in Paraguay facevano le Veline. Quelle che
dirigevano il balletto erano forze che misero “in opera alcuni
tentativi di imporre il primato della politica sull’economia”.
Tentativi falliti. Tra questi, lo scrittore evidenzia il nazifascismo,
di cui considera “particolarmente imperdonabili il colonialismo
razzista e il razzismo di sterminio” (se lo sentono Claudio Mutti, o
Franco Freda, o Maurizio Neri…). Eh già, Mussolini non uccideva nessuno
e al confino si andava in vacanza. E meno male che c’è poi stata la
“doppia e convergente dissoluzione, non della destra e della
sinistra metafisiche (sic) in generale, ma della concreta Destra
Novecentesca e Sinistra Novecentesca”. Tutti ormai “storia passata”. E
tutti bigi, come i gatti che, evitando ogni differenziazione razzista,
passano sul davanzale di Preve nelle lunghe e preferite ore del suo
affanno notturno.

C’è poi un capoverso dedicato alla panna montata del ’68. S’è visto
come è finita, dunque! “C’è da capire – ci invita il maestro – se
questa contestazione scambiata infantilmente per rivoluzione
corrispondesse alla realtà, o fosse solo una forma particolarmente
elaborata e ingannatoria di falsa coscienza in senso marxiano”. Ah, se
c’è il senso marxiano chi osa più parlare di infiltrati! Non si deve
confondere, ci si ammonisce, “lo spinnellaggio e la scopata
generalizzata con l’anticamera della rivoluzione comunista”. Mi piange
il cuore per non aver avuto Preve, per motivi anagrafici, la
possibilità di dire queste cose ai ragazzi che si fecero spaccare la
testa a Chicago, o a farsi fucilare a Berkeley, a Malcom X e alle sue
pantere nere, a Rudi Dutschke (al quale una pistolettata fece seguire
il comprensivo verso la guerra umanitaria Cohn Bendit), ai miei
compagni in Lotta Continua Saltarelli, Bruno, Serantini, Ribecchi,
Varalli, gli altri. Si fossero limitati allo “spinnellaggio” e alla
“scopata generalizzata”, il vero motore del ’68 e seguenti, sarebbero
ancora tra noi, a fraternizzare con gli ultimi boccioli del grande
albero di Evola, Drieu La Rochelle, Alain De Benoist, Freda e Ventura,
Delle Chiaie, Merlino, Signorelli, ben oltre la fatiscente dicotomia.

Dopo tutte queste macerie del Novecento, con la “sconfitta storica,
epocale (c’è del trionfalismo? FG) del “partito della politica” contro
il “partito dell’economia, cioè delle tendenze di sviluppo strategico
della produzione capitalistica, che non è mai in quanto tale né di
destra (ohibò!), né di centro (ohibo!), né di sinistra…”, quale è il
messaggio che scaglia la nostra anima oltre l’ostacolo della putrida
dicotomia (“al cui superamento, giura il peripatetico filosofo, “è in
generale più sensibile la destra della sinistra”. Brava, la destra!)?
Visto che ci hanno fatto un mazzo così a tutti e due, constata il
Nostro, visto che “la sconfitta è stata comune”, mettiamoci insieme là
dove non potrà che esserci la Terza Posizione. “Alla fine di questa
autocritica radicale, la sinistra non sarà più propriamente sinistra,
ma comincerà a essere un’altra cosa (La “Cosa”? Mi batte il cuore) e
cioè una componente essenziale di una nuova sintesi futura.” E l’altra
componente? Non la dice? Ma allora è infiltrata…Per carità, vaneggio.

Dulcis in fundo. La rivelazione ci viene incontro a braccia aperte
dalle ultime righe. C’è solo una risposta: ci vuole un nuovo
universalismo. Quelli della dicotomia sono fottuti, come si sono
fottuti i “totalitarismi del XX secolo”; comunismo e nazifascismo,
naturalmente sullo stesso piano, identicamente depravati e insieme
sciocchi, proprio come il lager e il gulag (un’eco di Bushlusconi?) E
questo nuovo universalismo è l’Universalismo Umanistico”. Cos’è? “Prima
di poter diventare una filosofia articolata e complessa (ci sta
lavorando. FG), è una sorta di punto di vista quotidiano intuitivo
dell’intelletto razionalmente educato” Facile, no? Senza starsi a
sfrucugliare se di destra o di sinistra, eccoci tutti quanto a guardare
il mondo dal “punto di vista quotidiano intuitivo dell’intelletto
razionalmente educato”: io, il mio vicino gioielliere, lo scopino,
Emanuele Filiberto, Benetton e la sua filatrice nel sottoscala di
Calcutta, Del Piero e Zanna Bianca-Moggi, Asor Rosa e Galli della
Loggia, l’amiantato di Porto Marghera e l’ex-ministro Bersani, Oriana
Fallaci tra una crisi epilettica e l’altra, Romoletto di Forza Nuova e
Emiliano di Rifondazione Comunista. E cosa vediamo laggiù in fondo,
luminoso all’orizzonte dove, un tempo, sorgeva il sol dell’avvenir?
Cosa se non “l’universalismo umanistico”.

Sono convinto che non alle sparute schiere del Partito Umanista si
riferisce l’apostolo della nuova sintesi. No, il suo ripescaggio del
futuro dal passato arriva fino ai primi secoli del 2° millennio,
appunto l’umanesimo, antistoricamente e irrazionalmente creduto
superato dal pretenzioso illuminismo, dalla sanguinaria rivoluzione
francese (inauguratrice della dicotomia destra/sinistra), dal
materialone ed antispiritualista capitalismo e
dall’antiuniversalistico, seppure livellatore, socialismo.
Universalismo umanistico, con tanto – presumo in mancanza di
indicazioni – di torri d’avorio, castelli e palazzi animati da mecenati
delle lettere e delle arti, incuranti delle beghe e seghe dei villici,
laggiù nel borgo, con il suo mondo delle idee resuscitato dall’Atene
dei Fidia e degli schiavi. Universalismo umanistico di grande respiro,
cui certo non rende giustizia la riduttiva e derogatoria colonnina
dell’enciclopedia:”Con il termine “umanesimo” si è spesso indicato ogni
tendenza di pensiero… che affermi di esaltare il valore e la dignità
dell’individuo e di volere realizzare compiutamente la sua vera natura.
Ed è appunto in questa accezione, facilmente suscettibile delle
interpretazioni più diverse e contrastanti, che l’U. è stato
appropriato da molte filosofie, presentatesi di volta in volta, come le
genuine rappresentanti delle esigenze perenni dell’umanità….Così, anche
in tempi recenti, i sostenitori di un U. cristiano, di un U.
esistenzialista, di un U. marxista, di un U. fascista, hanno rinnovato
e rese ancora attuale una disputa che affonda le sue radici nelle
origini della cultura moderna”.

L’enciclopedia, meschina, non aveva saputo intravedere il nuovo U.
universalista, quello supremo, da farla finita con tutti gli altri U.  
Chi lo incorpora oggi questo “universalismo umanistico? Il filosofo non
si sbilancia. Fa avanzare la fiaccola nella mani dei corifei.
Prima si stabilisce, con Gianfranco La Grassa (il cenacolo dove gli
intelletti previani, “razionalmente educati” da Pico della Mirandola,
fanno crocchio e formulano “il punto di vista quotidiano intuitivo” è
la rivista “Rosso XXI”), che le “tesi capaci di sostenere che un quinto
della popolazione mondiale si arricchisce, mentre quattro quinti sono
destinati a morire di fame e malattie” vengono ormai sostenute solo
dalla “superficiale ideologia dei buonisti di sinistra, che credono di
far la rivoluzione convincendo piccole torme di sfigati che si sta
avvicinando er ggiorno del Giudizio”.Poi si piazza il colpo forte, con
Miguel Martinez e altri: l’umanesimo universalista, o l’universalismo
umanistico è… l’Islam. Tant’è vero che in Iraq oggi il laicismo è lo
“strumento dell’imperialismo che combatte contro le masse raccolte
sotto la bandiera dell’Islam. In queste condizioni esprimersi in modo
frontale contro lo stato islamico significherebbe per i nazionalisti
laici agire in sostanza negli interessi degli Stati Uniti…”(Willi
Langthaler, “Rosso XXI” sett. 2003). L’Islam di cui qui si parla è
ovviamente quello politico, cioè quello scita.

Ed è la solita perfida disinformazione della grande stampa occidentale
ad averci fatto credere che, se nella gerarchia scita c’era molta
disponibilità a collaborare con gli occupanti, come già c’era nei
confronti dei colonialisti britannici, la massima resistenza veniva
invece dai laici, sunniti o agnostici, perlopiù saddamisti, nei due
terzi del paese che va da Bagdad a Kirkuk e Mossul, dove vivono 8,7
milioni di sunniti, 4 milioni di kurdi e una spruzzata di assiri e
turcomanni (con 8 milioni di sciti tra Bagdad e Bassora). Saranno
sicuramente servigi offerti agli occupanti se, sempre più spesso, a
Mossul e a Kirkuk i laici sunniti attaccano a bazookate gli uffici
dello scita SCIRI. Il Supremo Consiglio scita, accusato di
collaborazionismo per via dei suoi che, nel Consiglio Governativo
nominato dal proconsole Paul Bremer, si adoperano invece indefessamente
per sabotare il controllo USA sul paese e la sua manomorta su tutte le
ricchezze del paese, mentre astutamente fingono il contrario.

Dice lo SCIRI: sono saddamisti e Al Qaida. E Al Qaida, di cui tutti
erano sicuri fosse un ufficio-collocamento CIA nel mondo musulmano,
viene invece annoverato tra i partigiani iracheni, anche dai superatori
del “bipolarismo destra/sinistra e, guarda un po’, da Bush e Sharon.

Dunque è l’Islam la nostra salvezza. Come l’altro ieri Mosè e ieri
Gesù. L’essenziale è che ci siano elite, gerarchia, dogma e disciplina.
Altrimenti che universalismo sarebbe? Ne è convinto anche il noto
psicoterapeuta di Sharon e vindice di Sofri, Mario Pirani (La
Repubblica), che ci informa come siano stati maledetti laici arabi
nazionalisti a rovinare tutto e a fregare sul filo di lana
dell’universalismo i fondamentalisti islamici che, se non fossero stati
trattenuti dai laici, sarebbero al governo in molti paesi. E, sotto
sotto, lo sanno anche gli USA, che hanno incentivato l’estremismo
islamico politico e terroristico dappertutto, a scapito dei laici. Pur
di avere un nuovo nemico, naturalmente universalistico. Per esempio
creando l’organizzazione Al Qaida, con i suoi terminali planetari,
armandola economicamente con miliardi, militarmente con missili Stinger
e tritolo, culturalmente e ideologicamente, stampandogli e diffondendo
in tutti i loro istituti d’istruzione il manualetti della Jihad. Con
tanto di “nemici” da far saltare in aria.

Ci siamo chiariti tante idee in questo nostro viaggio nell’intelletto
razionalmente educato dei post-destra/sinistra. E abbiamo potuto
concluderlo con una schiarita davvero rasserenante in quella che è
risultata essere solo una nostra paranoica nevrosi: il complotto degli
infiltrati. “E’ vero che trent’anni fa, in pieno scontro sociale, ci
furono alcuni neofascisti infiltrati nella sinistra…Oggi, diciamolo, il
problema semplicemente non esiste. Cosa consigliereste a un neofascista
che desiderasse avere successo nella vita? Infiltrarsi nel mondo
piccolo e povero di una sinistra in piena sconfitta, oppure entrare in
un partito che sta al governo, come Alleanza Nazionale” (Miguel
Martinez, “Rosso XXI” sett. 03). E’ vero. E noi che avevamo pensato che
una sinistra stava emergendo dalla tarantolata bancarotta del
capitalismo, come il magma sotto la crosta! E che i nazifascisti si
infiltrassero a sinistra per il gusto di corromperla, perché gli
venivano concesse ampie impunità - e altro - dai servizi, perché non
gli va più di masturbarsi, perché, forse, vorrebbero stare vicini a
qualcuno di vivo.  

BAMBINI DESPOTTATI

Un emendamento di Rifondazione Comunista ha inflitto alla Legge sulle
Comunicazioni (Gasparri) un vulnus grave: via dalla pubblicità i
bambini sotto i 14 anni.

Sconcerto, indignazione, clamori da parte dei pubblicitari. Ovvio, gli
hanno tirato via un osso di niente! Meno ovvio, la faccia di
pastafrolla Mulino Bianco che hanno esibito quando hanno piagnucolato:
“Impedire ai bambini di essere protagonisti dei messaggi pubblicitari
vuol dire impedirgli di venire a contatto con una situazione positiva,
anzi una sorta di esperienza nella quale non c’è nessun pericolo”. E
perdipiù: ”I bambini che fanno gli spot sono seguiti e controllati
durante la realizzazione, sono in mani sicure”. Già, chè non se li
vorrebbero fa sfuggire, come la strega di Haensel e Gretel.

Sullo sfondo il battibecco tra due signore che sembrano essersi
scambiati i ruoli: la nipote del papà dei Figli della Lupa plaude
rumorosamente e spiega:”So che c’è chi si arricchisce sulla pelle dei
bambini che vengono usati per la pubblicità. Per non dire dei
pedofili…” L’ex-ministra nel governo dei cugini di quarto grado di
Gramsci, all’opposto, contesta l’emendamento dicendo ghignando:”Allora
buttiamo anche lo Zecchino d’oro, mago Zurlì e Topo Gigio. Quella della
Mussolini è posizione anarco-clericale. Tra l’altro, le regole
sull’utilizzo dei bambini nella pubblicità ci sono da tempo e presumo
che siano rispettate”. Alla faccia della Belillo! Presume, forse a
ragione, che ai bimbetti né si tocchi il pisello negli studi, né gli si
faccia cadere addosso un faretto e che nessuno spia le bimbette nel
bagno.

Il punto è un altro. Punto grosso come il Monte Bianco. E non vogliamo
qui ripetere la sacrosanta tiritera della mercificazione, dei bambini
ridotti a consumatori nani e a imbonitori gnomi, al valore di scambio
assegnato a esseri viventi, per quanto rintronati dai propri genitori
in transfert narcisistico con sfruttamento della prostituzione. I
pubblicitari sono quelli che, nel sondaggio tivù che ha fatto
schiantare Berlusconi peggio e molto più meritatamente della statua di
Saddam davanti all’Hotel Palestine, quello del “a chi dici basta?”,
avrebbero dovuto avere il doppio delle preferenze-record del
chansonnier piduista. Se lui mente dieci volte al giorno, loro mentono
a ogni sbatter di palpebre. Le pubblicità dei bambini inebetiti di
felicità col nuovo pannolino sono responsabili di almeno una delle
quattro ulcere che mi hanno trovato in pancia.

Il punto è che gli spot sono idioti e oscenamente brutti. Impongono
nella testa dei bambini – unici umani sani su piazza – un’estetica del
cretino e dell’orrendo. Di più: la migliore parte dei prodotti
reclamizzati dai minorenni fa schifo, inquina, produce obesità,
sostituisce il sangue con la chimica. Spesso, con quella moda stronza
del “ti frego”, i quattro disastri in padella “me li mangi tutto io”,
stimolano competitività patologiche e egoismo allo stato puro. Di più
ancora: i pubblicitari mentono per la gola. Tutto quello che dicono è
inficiato di falsità, esagerazioni, iperboli volgari e infondate. Con i
bambini che se ne devono fare portavoce – e capiscono benissimo che
verniciano d’oro, con le loro guance paffutelle e l’occhietto
innocente, l’essenza escrementale dei prodotti – si creano e
manipolano con abuso di autorità e di morale, bambini ipocriti,
bugiardi, corrotti. Che, per sovraprezzo, si convincono che solo a
essere tali si viene ammirati, premiati, applauditi, ricompensati,
lanciati in una vita di spassi e buoni-premio. Come dire,
tanti berlusconini fardati che dilagano, come gli insetti assassini di
quel film dell’orrore. E domani sfasceranno spensieratamente, con bombe
a grappolo, quei bambini tra l’Eufrate e il Rio Bravo che rompono i
coglioni non mangiando merendine.

DISOBBEDIENTI OBBEDIENTI

L’ultimo corteo è stato vivace. Un vecchio compagno del Leoncavallo,
Riccardino, mi ha abbracciato, nonostante fossi da anni in dura
polemica con i Disobbedienti. Una signora che camminava dietro allo
striscione “Ebrei contro l’occupazione”, ha visto in tralice la mia
bandiera irachena, ha fiutato l’aria con fare nauseato e mi ha intimato
di allontanarmi. Frammenti di sionismo nei luoghi più sorprendenti. Del
resto è gente che ti spara “antisemita” (ne hanno una bandoliera piena)
se soltanto osi riferirti a Perle, Wolfowitz, Abrahms, Brezezinski,
Kissinger, Libby come a una lobby ebraica e non dici “terroristi” ogni
volta che vedi una kefiah. Sul finire, per raggiungere il Palazzo dei
Congressi con i costituenti europei, una moltitudine di 100 non è
passata da dietro, per varchi dimenticati, infiltrandosi un po’ per
volta, ma è andata a schiacciarsi proprio dove i poliziotti parevano lo
schieramento delle legioni in Gallia. E’ lì che stavano anche le
telecamere. Però i leoncavallini, che non avevano scudi e caschi, ma
delle fiammeggianti felpe rosse, se n’erano già andati. E il giorno
dopo ne hanno detto di tutti i colori ai Disobbedienti, obbedientemente
mediatici. Fine di un sodalizio?

E’ finito anche un altro sodalizio: quello di Disobbedienti con Giovani
Comunisti, anzi con tutta RC. Lo ha sepolto, con un lieve inciampo
tattico, il Disobbediente-capo-a-vita, Luca Casarini, quando, con un
nugolo di provetti castigamatti, collaudati in cento aggressioni a
“concorrenti” di sinistra, nonché nell’autodafè di Genova, ha impartito
una lezione a Venezia ad alcuni rifondaroli che non la pensavano come
lui sulle foibe e loro “martiri” fascisti. “Che questi stalinisti, o
addirittura comunisti, imparino un po’ di democrazia”, pare abbia
sibilato Casarini, dopo aver lanciato i suoi pretoriani all’assalto in
obbedienza a un paio di capoversi dal “Libro nero del comunismo”.

Casarini, visto l’ambaradan scatenato tra i suoi sostenitori
istituzionali, ha poi chiesto a Marcos se poteva scrivere una risposta,
da far passare come sua, dato che una manganellata gli aveva fatto
scordare tutto quello che aveva imparato dalla Terza elementare in poi.
Marcos si esibì in quella prosa che aveva abbagliato, fatto piangere,
fatto ridere, fatto ballare e fatto camminare domandando un’intera
generazione di mona dei centri sociali. “Rivolta” a Venezia e “Pedro” a
Padova. Pianti e risi di cui aveva reso puntualmente
testimonianza Radio Sherwood. Era tutto uno sfarfalleggiare di “caro”
di “vite, scazzi, esperienze, abbracci, sguardi, emozioni,
pensieri…umanità”, da togliere il respiro e mettere i singhiozzi. Un
florilegio di “camminare” e “domandare” (tacendo pudicamente
l’occasionale “picchiare”), di “folli che ogni giorno rischiano la
galera” e hanno già perso l’onorario dell’amica-dei-migranti Livia,
cara agli stessi per la famosa “Turco-Napoletano”. Spunta, a
interloquire, l’irresistibile Vecchio Antonio (ah, Marcos, ti sei
scoperto!) per “spiegare come pazzia, normalità, sinistra, destra
(ohibò! Vedi sopra), verità e falsità, violenza e pace, siano tutte
parole e concetti in realtà piegabili a proprio piacimento, se non si
ha niente di folle nel cuore e nella mente, se si sta fermi, se ci si
accontenta”.

Diavolo di un Marcos, i compagni di RC, con le cinque dita ancor ben
visibili sulla guancia e la punta dell’anfibio marchiata sullo stinco,
si sono precipitati, commossi, a chiedere scusa a Casarini.

Mi picco di essere un antesignano, quasi un veggente. Correva l’anno
1999, correva la primavera e correvano dall’alto in basso anche le
bombe su una Jugoslavia in corso di democratico e liberista
smantellamento. Tutto l’Occidente assediava i serbi, tutto l’Oriente se
ne stava in disparte. Milosevic e i suoi operai, che volevano limitare
il ricatto dell’FMI a non più di un 25% di privatizzazioni e il ruolo
della Nato al di là dell’Adriatico, erano soli come i compagni di RC
nella Piazza Tommaseo da ridedicare ai “martiri delle foibe”. La
sinistra biascicava “né con la Nato, né con Milosevic” e, guardando i
tiggì che raccontavano di grandi manifestazioni a Belgrado (mai
picchiate tipo G-8), di elezioni amministrative vinte dall’opposizione,
di partiti in massima parte ostili al governo, stigmatizzava inorridita
la “dittatura” del despota.

Noi ci aggirammo tra macerie e schianti su scuole, famiglie e ospedali
per raccontare (niente censura) da dove arrivava la pulizia etnica.
Loro, Casarini, Vitaliano, Beppe Caccia e il noto Bettin vennero a
Belgrado, furono ingenuamente ospitati dalla televisione di Stato,
ancora non polverizzata con i 16 giornalisti e tecnici dentro,
allietarono la Nato sparando a zero contro Milosevic e le sue
nefandezze e furono, non arrestati come provocatori e
collaborazionisti, ma cortesemente riaccompagnati al confine irredento.

Non prima, però, che fossero riusciti a stringere affettuosi rapporti,
saldi nel tempo, con i “giovani democratici” anti-Milosevic e
sostenitori del futuro presidente liberista e Nato Zoran Djindjic.
Quelli della formazione “Otpor”.

Grande e profonda divenne subito l’amicizia tra chi camminava verso “un
altro mondo possibile”, e chi, nel suo programma ufficiale, aveva già
risolto quella possibilità con un altro mondo del tutto americano e
multinazionale, “ visto – come mi disse Otpor – che i capitali
stranieri qui troveranno, caduta la “dittatura”, “mano d’opera
qualificata, lavoratrice e a basso costo e disposizioni fiscali che
neanche i condoni tombali”.

Altra grande amicizia venne stretta tra la radio padovana dei
Disobbedienti (allora “Tute Bianche”), Radio Sherwood, e quella che,
per merito loro, in Italia passò come l’emittente della giovane
sinistra anti-Milosevic serba: “Radio B-92”.

Su Radio B-92 mi venne qualche dubbio, quando, tornato a Roma, fui
invitato a una proiezione dai “compagni” del CSA romano dei
Disobbedienti, “Corto Circuito”. Candidi come nubi-pecorelle, i
“compagni” mi mostrarono un video di B-92, in cui si glorificava
un’aggressione di fighetti alla moda, vuoi alternativi, vuoi
manageriali, a un corteo di operai e contadini, perlopiù anziani,
convenuti a Belgrado per l’anniversario della morte (o nascita) di
Tito. Ruppero la testa a vecchie teste partigiane e misero fiori negli
occhielli dei poliziotti. Chi, accanto a me, vedeva questa porcheria,
commentava compiaciuto:”Hai visto cosa fanno i compagni serbi a quegli
stalinisti?” Le recenti mazzate “disobbedienti” agli esponenti di RC a
Venezia, mi hanno riproposto quelle immagini e quelle valutazioni.

Radio B-92 risultò poi a me e a cento mezzi d’informazione emittente
del circuito Radio Free Europe – Radio Liberty. Un circuito messo in
piedi a Monaco dalla CIA, all’inizio della guerra fredda, per lanciare
propaganda USA oltre la cortina di ferro e, dopo il crollo del Muro,
spostata a Praga, sotto la protezione di quel democratico presidente
Havel che ebbe modo di offrire alla bellezza ebreo-cecoslovacca
Madeleine Albright la presidenza del suo paese. Infatti, a seguirne il
palinsesto, si potevano riascoltare programmi e notiziari già trasmessi
dalle emittenti statunitensi. Per chi volesse sincerarsi, è ad
Amsterdam la sede della società editoriale che gestisce il circuito CIA.

La Serbian connection delle Tute Bianche-Disobbedienti-Ya Basta fiorì
rigogliosa negli anni. Otpor e Radio B-92 venivano invitati a convegni
in Italia e i “compagni” italiani accettavano, a loro volta, scambi e
inviti in Serbia. Nel frattempo dirigenti e militanti di Otpor venivano
addestrati a Budapest e Sofia, da generali USA, a quell’insurrezione
che poi misero in atto il 5 ottobre 2000, con il pogrom contro
sindacalisti, giornalisti, funzionari, militanti di sinistra e con
l’incendio del parlamento che incenerì le schede elettorali dalle quali
risultava la vittoria delle sinistre nelle elezioni parlamentari. Da me
intervistati, due dirigenti Otpor mi dissero di essere “orgogliosi di
essere aiutati dalla CIA, il servizio d’intelligence di un grande paese
che ammiriamo”. Enrico De Aglio pubblicò nel “Diario” una lunga
inchiesta sul “capolavoro della CIA in Serbia” con la creazione di una
quinta colonna collaborazionista fatta passare per organizzazione di
sinistra. Analoga inchiesta trasmise la BBC.

Del resto, madrine di questa formazione erano le anziane agitatrici
anti-Milosevic della defunta “Alleanza Civica”: Sonia Licht, presidente
della Fondazione George Soros a Belgrado e Vesna Pesic. La Pesic è una
diplomata della Fondazione di Washington National Endowment for
Democracy” (NED)una vetrina culturale creata nel 1974 dalla CIA ai fini
della “diffusione della democrazia nei paesi comunisti”. E’ la NED che
ha finanziato gran parte delle eversioni di destra nei paesi
latinoamericani e asiatici e, recentemente, il complotto anticubano dei
cosiddetti “dissidenti”, effettivi mercenari dell’agente USA James
Cason e membri di una rete terroristica che, con dirottamenti e
sequestri, si proponeva di creare le condizioni per un’invasione USA
(per aver detto queste cose, comprovate, sono stato cacciato dal
“quotidiano comunista” Liberazione)

E’ proprio su questo quotidiano, coerentemente, che la versione di
“Otpor”- giovani democratici e di sinistra, che liberano Belgrado dalla
dittatura di Milosevic, fu sposata con entusiasmo, al punto che
Salvatore Cannavò invitò i “compagni” di Otpor a partecipare agli
appuntamenti del Movimento dei Movimenti. Ai disvelamenti inconfutabili
su “Otpor” - articolazione della CIA, Cannavò e il giornale opposero un
silenzio abissale e atemporale. Del resto, cosa ci poteva essere di più
imbarazzante per chi aveva riconosciuto gli amichetti italiani di
“Otpor” (e, con interessante simultaneità, i Disobbedienti, PR in
Italia di Marcos-uomo mascherato - nonviolento) battistrada dell’altro
mondo possibile.

Venezia non pare aver posto fine a tale matrimonio davvero morganatico,
oggi confermato nella vasta cattedrale dell’Ulivo. Disobbedienti a chi?
Obbedienti a chi? Poiché quando l’imperialismo, cosiddetto liberista e
globalizzante, guerreggia per la distruzione degli Stati (altri) e la
loro frantumazione in piccole entità etniche inoffensive, non vi
percuote l’udito l’eco della “democrazia municipale” dei Disobbedienti,
del loro rifiuto di questo “arcaico Stato” ai palestinesi (vedi
comunicato di “Ya Basta” il 9 novembre del 2001), della  loro scelta di
una “scuola muncipale” contro la nostra difesa “di retroguardia” della
scuola pubblica? E il proclama del topgun Bush, che la guerra in Iraq
era stata trionfalmente finita e vinta, non ha trovato una formidabile
risonanza nell’infinito silenzio attuale dei (dis)obbedienti sullo
stupro continuato del popolo iracheno e sulla sua formidabile
resistenza (stesso discorso sulla Palestina della “soluzione finale”)? 

Dal movimento Antiamericanisti ci sono stati rifilati, travestiti da
sciti iracheni e da patrioti palestinesi, stragisti, neofascisti,
nazisti, comunitaristi. Dai “compagni” di Casarini gli infiltrati CIA
di “Otpor”. Tutti molto obbedienti. 

["Under Enver Hoxha, Albania's Stalinist dictator for almost 40 years,
the Kanun was outlawed. Blood feud killers faced execution if they were
caught. Only one blood feud killing was recorded. But since Albania
emerged from the iron rule of communism, more than 2,500 feuds have
filled cemeteries and sent families into hiding. " Just another example
of how bad the communism was? i.s.]

---

http://observer.guardian.co.uk/print/0,3858,4757996-102275,00.html

Blood feuds trap Albania in the past

Thousands forced to take refuge as medieval code targets fathers and
sons

Sophie Arie Pukë in Albania
Sunday September 21, 2003
The Observer

Bujar Laci is a hunted man. If he steps on to the streets of this
remote northern Albanian town, he knows it will only be a matter of
time before he is killed.

'I am trapped. All I can do is hope one day there will be an agreement,
so I can live again,' says Laci, a former policeman, huddled in the
modest room to which he has been confined for over three years because
of a blood feud.

In March 2000, Laci shot and killed a man while trying to break up a
brawl. He immediately found himself embroiled in a blood feud with the
family of his victim. Within hours, all 20 males in the Laci family had
to leave their schools and offices and take refuge in their homes.

'I used to have a job,' he says. 'Now we just sit like animals in a
cage.'

Under a medieval civil law known as the Kanun - revived in Albania
after the fall of communism in 1991 - the enemy family's honour can
only be repaired with more blood. Any male member of the Laci family
tall enough to lift a rifle is a legitimate target.

But the ancient social code - which holds greater sway in these
desolate mountain villages than the Koran or the Bible - defines the
family home as off-limits for revenge killings. So Laci and thousands
of other men and boys across Albania are cowering in their homes, with
enemy families prowling outside.

When schools reopened after the summer break this month, hundreds of
young boys failed to turn up, unable to risk leaving their homes. Their
wives and mothers are left to scrape a living in what is still the
poorest, most lawless corner of Europe.

Some men have taken revenge for killings over land or women that still
rankle from the communist years. Others have started a more modern kind
of feud, shooting human traffickers for luring their daughters and
sisters into slave prostitution.

'Everyone knows the law doesn't work here. You can bribe your way out
in no time,' one woman says. 'The only way to make killers really pay
is to take back the blood.'

The cash-strapped government seems incapable of cracking down on the
feuds. Some people have called for the return of the death penalty,
abolished in 1995.

Under Enver Hoxha, Albania's Stalinist dictator for almost 40 years,
the Kanun was outlawed. Blood feud killers faced execution if they were
caught. Only one blood feud killing was recorded. But since Albania
emerged from the iron rule of communism, more than 2,500 feuds have
filled cemeteries and sent families into hiding.

The Kanun is a complicated set of rules thought to have been
introduced by the hero Lek Dukagjin, Lord of Dagmo and Zadrima, who
fought the Turks until 1472 before fleeing to Italy. Tribal leaders
used the code to mediate truces between rival families.

Under the ancient code, if a man finds his wife with another man, he
has the right to shoot them both, but only with one bullet. If a woman
in his family is killed, he must kill a woman in the enemy family, or
their dog. Both are considered worth half a man.

'If you follow the rules strictly, it is almost impossible to carry out
a perfect killing. The problem is the locals have a rather loose
interpretation of the rules,' said Gjin Marku, a 'blood mediator' whose
Reconciliation Committee has helped settle scores of feuds.

As Albania emerges from lawlessness, economic glimmers of hope are
putting fresh layers of paint on the houses of the capital, Tirana. But
the countryside is a long way from developing its 'mobile phone'
generation.

'The danger is that as people throng to the cities looking for work,
life in the mountains will move backwards. The blood feuds are a sign
of this,' said Mustaq Qureshi, head of the World Food Programme (WFP)
operation in Albania, which provides food and training to families 'in
blood'.

For many of those trapped in blood feuds, the only escape is to leave
the country. But even then they live in fear of being tracked down.

Dile Nobreca, living on state benefit of £11 and 60kg of WFP flour each
month, cannot even dream of moving beyond the dirt track where she
lives. She has not seen her husband since he fled into the mountains
years ago, having killed a neighbour in a dispute. Every year, as her
four sons edge closer to gun-carrying age, the enemy family reminds her
that she owes blood.

'There's nothing I can do. I just tell them to shoot my husband, not my
sons,' she says.


Guardian Unlimited © Guardian Newspapers Limited 2003

Greater Albania: a few articles

1. Greek press reveals situation in Kosmet and Macedonia is
deteriorating - Kathimerini (Athens), 8th and 9/9/2003

2. Austria: Die Presse: Situation in northern Macedonia
deteriorated (9/9/2003)

3. Russia, Novosti: Situation in Macedonia is deteriorationg
(9/9/2003)

4. British press: Kosovo and Macedonia: Fag-ends or freedom fighters?
(Sep 11th 2003 - The Economist)


=== 1 ===


http://www.ekathimerini.com/4dcgi/_w_articles_ell_15873559_08/09/
2003_33820

8/9/2003

Kathimerini (Greece)

Fears of a new upheaval in the Balkans are being fueled by a resurgence
of violent acts

Murders and bomb attacks are creating climate of anxiety anew in the
unstable triangle of FYROM, Kosovo and southern Serbia
One person was killed and four injured in the village of Cernika in
Kosovo, where Serbs also live, while the reappearance of armed
Albanians in FYROM has compelled the authorities to carry out sweeping
inspections.

By Stavros Tzimas - Kathimerini


There are worrying signs of unrest in the FYROM-Kosovo-southern Serbia
triangle. Murders of Serbs are becoming a daily event in Kosovo. In
Presevo and Bujanovac, there is evidence of suspect movement by ethnic
Albanians trying to change the demographics of villages and towns. And
in parts of FYROM where ethnic Albanians live, armed members of the
self-proclaimed Albanian National Army have reappeared, abducting
police officers and making bomb attacks on government targets.
Are we facing new upheaval in the volatile western Balkans that might
spark off armed clashes leading to instability and even the collapse of
the fragile status quo in the region?

Different circumstances

It is far too early to make such a claim. Circumstances are not the
same as those that led to the ethnic-Albanian uprising in Kosovo and
FYROM. And the international community is in no mood to tolerate — much
less to encourage — nationalistic bullying by the ethnic Albanians, who
will not keep quiet unless their demand for the independence of Kosovo
is satisfied.
Moreover, Washington and Brussels have their plates more than full,
with interest focused on the Middle East and greater diplomacy needed
in Palestine, Iran and Iraq. Balkan issues have ceased to be a top
priority on the international agenda, as they once were, with Javier
Solana racing to avert the worst whenever a problem cropped up.
But the balance on which the peace imposed by the West depends is still
fragile and the danger of episodes, such as those in Kumanovo — with
armed Albanians entrenching themselves in villages, claiming “free
zones” and their compatriots murdering children in cold blood in Kosovo
— could very easily dynamite the peace and threaten regional stability.
International diplomats in Skopje, Belgrade and Pristina view the
violent incidents in FYROM, Kosovo and southern Serbia, which they do
not consider unrelated, with interest and concern. They link the unrest
with the coming talks between the Serbs of Belgrade and the Albanians
of Kosovo which were mandated by European Union leaders at the
Halkidiki summit and are due to start next month in Brussels.
Nobody expects anything substantial to emerge from the talks, apart
from the fact that the two opponents will sit down together for the
first time since the war and probably talk about so-called low-profile
issues.
There will be no mention of the burning issues, such as the future
regime in Kosovo or the return of thousands of Serb refugees. The
Albanians won’t discuss anything but independence and when it will be
given to them, while the Serbs won’t hear of it, saying that Kosovo is
an integral part of Serbia.
But there is growing conviction in both western Balkan capitals and the
West that the situation in Kosovo cannot remain as it is today. This
has given rise to thoughts among the Serb leadership of the possibility
of discussing partition as a less painful outcome than complete
secession. The discussions are certainly known to the Albanians, who
are doing everything they can not to allow Serb refugees to return
home, but to get those few who have remained to leave Kosovo.
It is to this plan of terrorizing people into fleeing that the Serbs
attribute the barrage of murders of their compatriots in recent weeks
in Kosovo villages, even though the UN civil administration in Pristina
hastens, after every such event, to speak of an “an isolated incident.”
Ethnic Albanians in FYROM and southern Serbia will not be indifferent
to any developments concerning the future regime of Kosovo. In any
case, they never considered the status imposed after the wars of 1999
and 2001 to be definitive.
The pack of cards may be shuffled dangerously if Kosovo becomes an
independent state. The appearance of armed ethnic-Albanian groups in
FYROM, who undoubtedly have their base in Kosovo, perturbs both the
government and diplomatic missions.
Although attempts are being made to play the matter down, everyone
admits that the situation may become even more dangerous. The
self-proclaimed Albanian National Army has shown by the recent events
in Humanovo — where, in effect, it seized and held three villages for
several hours — that it can easily act in areas populated by ethnic
Albanians and make bomb attacks even in the city of Skopje — such as
the recent attack on a court — and also abduct police officers.
The official government line on these groups, with which which Western
diplomats so far concur, is that they are gangs of organized criminals
who are completely apolitical and must be dealt with mercilessly by the
police.
But such analyses were made of the KLA groups of Ali Ahmeti in 2000,
which eventually proved to be an organized military operation that was
not connected to organized crime but did have political goals.
“We certainly must not underestimate the presence of these groups but
we must not exaggerate either,” an EU ambassador in Skopje told
Kathimerini. “In any case, it seems to be an explosive mixture that we
hope will not develop,” he added.
Sources tell the authorities in Skopje of a few dozen — some say a few
hundred — well-armed men who come and go in Kosovo and who are
connected to the gun and narcotics trade, with a few “commanders” who
appear from time to time and proclaim goals of national liberation.
Their political leaders seem to be Idayet Bekiri — president of the
National Unity Party, the nationalist party in Tirana, whom the
Albanian government has declared persona non grata because of his
extremist activities — and Gafur Abduli, who is already in an Albanian
prison for the same reason.
Former warlords, and first among them Ali Ahmeti who turned out to be a
moderate, have repudiated the so-called Albanian National Army. But
that is not the case with the other large Albanian party of Arben
Xhaferi, the Democratic Albania Party in FYROM. Xhaferi has lost
political ground to the former KLA leader and is using extremist
rhetoric, refusing to condemn the murders and abductions and has not
hesitated to raise issues such as the secession of areas populated by
ethnic Albanians from FYROM.
The activities of these groups might have passed unnoticed, classified
as smuggling, had it not been for overriding suspicion among the two
ethnic groups, had the the Ohrid agreement proceeded more quickly and
had the outstanding Kosovo issue, which is an emotional one for all
Albanians in the region, already been settled.

---

http://www.ekathimerini.com/4dcgi/_w_articles_columns_16506804_09/09/
2003_33846

9/9/2003

Kathimerini (Greece) - COMMENTARIES

Unrest in FYROM

A resurgence of armed conflict between ethnic Albanians and
Slav-Macedonians, which brought the Former Yugoslav Republic of
Macedonia (FYROM) to the brink of dissolution two years ago, is looming
on the horizon again. While international attention is focused on the
Middle East, the situation in FYROM is rapidly worsening, and in the
far more worrying context of the growing dispute between Serbia and
Albania over Kosovo. Last Tuesday, the Albanian Parliament unanimously
condemned a decision by the Parliament in Belgrade, according to which
Kosovo is an integral part of Serbia.

The day before yesterday, hundreds of Slav-Macedonian police officers
and soldiers invaded two villages inhabited by ethnic Albanians on the
Kosovo border, and killed “quite a few” Albanian rebels, according to
the FYROM government. Last week, hundreds of Slav-Macedonian police
officers encircled and besieged another two villages near Kumanovo for
three days, sparking the appearance of groups of armed ethnic Albanian
residents determined to defend their homes. The Slav-Macedonian forces
supposedly attacked in order to arrest the leader of the so-called
Albanian National Army, Avdil Jakupi, who had not only abducted two
police officers but had also declared on a Bulgarian television network
that “Macedonia cannot be a state,” and “it must become a protectorate
under the aegis of the United Nations and the European Union.”

Superficial analyses of the supposedly insignificant influence of this
group on the ethnic Albanian population of FYROM, or of the attempt to
present its members merely as criminals, may contain a grain of truth,
but they in no way go to the heart of the problem.

The EU, the USA and NATO have other priorities and often consider their
mission to be accomplished when they have put an end to armed
hostilities. Greece, which knows the region far better, and which has a
vital interest in its pacification and stability, must act. The
government must inform, warn and mobilize its EU partners, so as to
activate mechanisms for averting crises. It must also promote the
incorporation of the Balkan countries into European institutions.

Meanwhile, the international community must deal with the consequences
of the distorted and essentially unviable solutions it imposed on the
relations between ethnic groups in Bosnia, Kosovo and FYROM, before
they assume an explosive character again.


=== 2 ===


http://www.makfax.com.mk/news1-a.asp?br=49589

Makfax (Macedonia)
September 9, 2003

Austria: Die Presse: Situation in northern Macedonia
deteriorated

Vienna’s daily Die Presse writes about the latest
action of the Macedonian security forces against
Albanian guerillas, noting that the situation in
northern Macedonia has deteriorated. “The action was
targeted at Avdilj Jakupi and his people. This young
Albanian is one of commanders of the Albanian National
Army (ANA), an organization that claimed
responsibility for recent terrorist attacks in
Macedonia,” says Die Presse. “ANA officially claims
that its struggle aims to unite all territories
populated by Albanians, however, sources close to
KFOR, multinational peacekeeping force in Kosovo, told
Die Presse reporter that the rebels operating in
northern Macedonia are smugglers.”

“ANA prefers violence and has no political agenda,”
said the Macedonia’s Deputy Prime Minister Radmila
Sekerinska in an interview with Vienna’s daily Die
Presse.

Sekerinska added that armed persons operating in
northern Macedonia are members of small group of
criminals who roam around the villages and terrorize
the local residents.

“We act against these criminals with particulate
[particular] caution and we attempt to bring the local
Albanian population on our side. We want to assure the
local residents that police actions are not targeted
at local population but at criminals,” said
Sekerinska, adding that vast majority of local
Albanian residents do not support the armed gangs.

“Destabilization is not in the interest of Albanians
in Macedonia,” said Teuta Arifi, Deputy Head of
Albanian party Democratic Union for Integration (DUI),
chaired by Ali Ahmeti. [And the moon is made of green
chese....] Die Presse daily says the Democratic Union
for Integration (DUI) was established by former
members of the National Liberation Army (NLA), adding
that DUI, despite the fact that it has its
Representatives in the Macedonian Parliament, strongly
opposes the armed groups operating in the northern
part of the country. “Situation in northern Macedonia
is highly sensitive, therefore, the police should
desist from demonstration of power,” Arifi told Die
Presse.


=== 3 ===


http://en.rian.ru/rian/
index.cfm?prd_id=160&msg_id=3439577&startrow=21&date=2003-09-
09&do_alert=0

Russian Information Agency (Novosti)
September 9, 2003

COMMENTARY: THE SITUATION IN MACEDONIA IS
DETERIORATING

Valery Asriyan, RIA Novosti analyst

The situation in Macedonia has deteriorated again. The
Front for Albanian National Unification, under whose
cover the illegal Albanian National Army (ANA) is
operating, has announced emergency mobilisation of its
units. Albanians say they were forced to do this
because the Macedonian government refused to react to
the ANA ultimatum on the withdrawal of all security
forces from Kumanovo.
But the question is: Could the Macedonian government
react differently to such an ultimatum? Agreement to
honour the demand would have amounted to withdrawal of
national jurisdiction from a part of the country's
territory. The example of Kosovo, which Albanians
actually tore away from Serbia with NATO assistance,
is too fresh and convincing to disregard it.
The ANA ultimatum and mobilisation order mean that the
Ohrid Agreement signed by Albanian fighters and
Macedonian authorities two years ago turned out to be
a fragile and unreliable instrument, just as many
experts had predicted. It did not and could not
restore peace and international accord in Macedonia
because the goal of one of the sides - Albanians - was
to split the country. They accepted peace only as a
tactical manoeuvre allowing them to regroup for
continued "struggle for independence."
That struggle began in the spring of 2001, when the
Albanian minority of Macedonia (or rather, its most
aggressive part nurturing separatist plans), inspired
by the example of Kosovo, took up arms to fight for
independence and secession of the north-western part
of Macedonia that borders on Kosovo. ANA units, well
armed and replenished with members of the so-called
Kosovo Liberation Army (KLA), waged hostilities
against the Macedonian security forces. When the
Macedonian government decided to use regular army
against the rebels, NATO interfered in the process and
actually tied the hands of President Boris Trajkovski.
It was at NATO initiative that the Ohrid Agreement was
signed. Under it, the Macedonian authorities made
major concessions to Albanians. Though the Albanian
minority had never been discriminated in Macedonia,
the agreement granted it additional rights. Five
Albanians were put on the Macedonian cabinet as
ministers and Albanian was granted the status of an
official language in Albanian regions and actually
became a second state language. The number of
Albanians in police units was increased and the method
of making parliamentary decisions was changed to take
into account Albanians' demands. All of these changes
were reflected in the amended Macedonian Constitution.
In short, yielding to NATO and US pressure, Macedonia
took actions that can eventually turn it into a
federal state of two ethnic groups, something which
Albanians have long demanded and which President
Trajkovski resisted, as he saw this, with good reason,
as a threat to the territorial integrity and
sovereignty of Macedonia.
The thing is that the Macedonian authorities had to
announce an amnesty for those who had fought
government troops. The amnesty was to be preceded by
the liquidation of Albanian bandit groups and
surrender of their weapons, which the NATO group
deployed in Macedonia undertook to supervise. But
"disarmament" was carried out just as in Kosovo, where
nearly all KLA members kept their weapons and the KLA
was not dissolved but changed its name to the Civil
Defence Corps.
In Macedonia, the ANA, now called the Front for
Albanian National Unification, kept its weapons and
its fighters, after a brief respite, resumed their
actions by presenting the aforementioned ultimatum to
the Macedonian government. As you see, the policy of
appeasing extremists in Kosovo and Macedonia did not
do any good.
"The trouble is that the USA and NATO put their stakes
in the Balkans on Albanian separatism," says Prof.
Vladimir Volkov, a prominent Balkans expert and
director of the Institute of Slavic Studies at the
Russian Academy of Sciences. He told this
correspondent that the NATO leadership probably sees
the dangers of Albanian extremism for the Balkans and
the rest of Europe but does not want to admit this.
And it does not do anything to amend the situation.
Why? Because the bloc, which used the Albanian card as
the trump in the game against Yugoslavia of Milosevic,
cannot retrace its steps to disavow its actions and
admit the failure of its Balkans policy that
destabilised the situation in the region, said the
scientist. Besides, NATO is still entertaining hopes
of using Albanian separatism for putting pressure on
maverick Balkan countries.
According to Volkov, if NATO continues to nurture
Albanian extremism and allows the creation of a
two-subject Macedonian state, the outcome of regional
developments will be easily predictable. In a few
years Macedonian Albania will announce secession from
Macedonia and, joining forces with the Kosovo, Greek
and Montenegrin Albanians, attempt to create a new
state. In fact, it is an old plan of creating Greater
Albania, which clearly poses serious threat to the
Balkans.
NATO must decide now. Either it closes its eyes to the
ethnic re-carving of the Balkans (which nationalists
of all stripes want), or works to stabilise the
situation in the Balkans with due respect for the
interests of all regional nations. The latter can be
done if NATO accepts the Russian initiative, under
which all Balkan countries must sign an agreement on
the mutual recognition of sovereignty, territorial
integrity and inviolability of existing borders.


=== 4 ===


http://www.economist.com/World/europe/
PrinterFriendly.cfm?Story_ID=2055584

Kosovo and Macedonia

Fag-ends or freedom fighters?

Sep 11th 2003 | PRISTINA AND SKOPJE
From The Economist print edition

Violence in Kosovo and Macedonia is threatening the area's fragile peace


ONCE again, talk of a Greater Albania—an idea, if it came to fruition,
that would cause chaos in the Balkans—is in the air. This time it is
the guerrillas of the Albanian National Army (better known by its
Albanian-language initials, AKSh) who are trying to spread the word.
They want to unite their cousins in Kosovo and elsewhere in Serbia and
Montenegro, Greece, Macedonia and Albania proper. Their latest violence
is rattling politicians and diplomats across the Balkans, especially in
Pristina and Skopje, capitals of Kosovo and Macedonia respectively.
Their shenanigans are undermining Macedonia's fragile coalition
government, in which the country's ethnic-Albanian minority and Slav
Macedonian majority edgily share power.

Though there have long been whispers about AKSh's plans, it was not
until April, after a bridge in northern Kosovo had been blown up, that
Michael Steiner, the German diplomat then running Kosovo under the UN's
aegis, declared the group a terrorist organisation. It had occasionally
attacked the Serbian army in southern Serbia, and it had claimed
responsibility for blowing up a courthouse in the Macedonian town of
Struga in February. But in the past month or so, it has stepped up its
activity. In the area along Macedonia's border with Kosovo, it has
killed several people; hundreds of Albanian villagers have fled their
homes near Kumanovo for fear of getting caught up in the fighting.

The AKSh says it wants to redress the grievances of Macedonia's
Albanians: “The fighting in Macedonia confirms that the multi-ethnic
state is false. Macedonia's government cannot accept that Albanians
have equal rights. It was waiting for an excuse to use violence.” In
the long run, the group envisages a Greater Albanian state encompassing
all ethnic Albanians.

In fact, the AKSh represents few ethnic-Albanians. Its core consists of
some 50-70 cigarette smugglers drawn from both sides of the border with
Kosovo. Their latest violence has been largely prompted by their desire
to stop Macedonia's police from shutting down their smuggling routes
and putting them behind bars. Hisni Shaqiri, an ethnic-Albanian MP in
Skopje who is trying to help keep the peace between Macedonia's
Albanians and Slavs, describes Avdil Jakupi, the AKSh's “divisional
commander” known as Chakala, as a “mental patient and heroin addict”. A
British brigadier advising the Macedonian government on defence calls
the AKSh “criminals flying a political flag of convenience in the hope
of finding legitimacy”.

The worry, though, is that the Macedonian authorities may
overreact—thus stirring nationalist Albanian passions, whatever the
AKSh's criminal connections. This week Mr Shaqiri said that the
Albanians' Democratic Union for Integration (DUI) would withdraw from
Macedonia's Slav-led coalition government if Macedonian police or
soldiers killed any civilians. In the past month, outsiders have had to
persuade the DUI's leader, Ali Ahmeti, to keep his party in government;
the Macedonian Slavs have not, he complains, consulted his peace-minded
Albanians enough. The accord signed two years ago between
representatives of the two communities is holding. But DUI people in
government say their Slav Macedonian compatriots have not consulted
them properly over how to respond to the AKSh's attacks.

The tension is not just on the Macedonian side of the border. Kosovo is
twitchier too. All three mainstream Albanian parties there say
independence is overdue and fear what they see as Serbia's growing
influence in Washington and at the European Union's headquarters in
Brussels. Ramush Haradinaj, leader of the Alliance for the Future of
Kosovo, the most nationalistic of the three, condemns the AKSh but says
“people are frustrated because there's no progress on [Kosovo's] final
status and the international community shows no commitment to resolve
it.”

Copyright © 2003 The Economist Newspaper and The Economist Group. All
rights reserved.

Da: icdsm-italia@...
Oggetto: In che cosa consiste lo "scandalo di Telekom Serbia"?


IN CHE COSA CONSISTE LO
"SCANDALO DI TELEKOM SERBIA"?

(Lettera aperta a "Liberazione" dalla Sezione Italiana del
Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic)


Fiumi d'inchiostro ed ingorghi di parole sono stati e vengono tuttora
dedicati alla vicenda dell'acquisto di una quota di minoranza di
Telekom Serbia da parte dell'Italia nel 1997.

Particolarmente interessante a riguardo e' l'editoriale di Giovanni
Russo Spena, apparso su "Liberazione" del 28 settembre 2003. Assodato
che lo "scandalo", o meglio il polverone, scatenato soprattutto nelle
ultime settimane attorno alla vicenda serve essenzialmente a fini di
strumentalizzazione politica interna (Russo Spena parla addirittura di
"verminai di Stato"), bisogna tuttavia rilevare che e' impossibile
capire, nel merito, su che cosa si stia effettivamente polemizzando. Lo
"scandalo Telekom Serbia" riguarda uno dei tanti episodi di corruzione
italiana? Oppure si ritiene che tangenti in lire italiane siano state
incassate dall'entourage di Milosevic? Forse si contesta il fallimento
di quella operazione, dal punto di vista economico? O fa scandalo
piuttosto il fatto, in se e per se, che si sia voluta realizzare una
operazione finanziaria con la Jugoslavia di Milosevic (ritenuto un
dittatore sanguinario, vedi una recentissima copertina di "Panorama")?

Andiamo ad esaminare queste ipotesi, una per una.

A tutt'oggi, la magistratura non ha accertato che siano state pagate
tangenti di alcun tipo ad alcuno dei protagonisti italiani, politico o
manager o mediatore che fosse. Viceversa, sono fioccate a raffica
denunce per calunnia e diffamazione contro i cosiddetti
"supertestimoni". Idem sul versante jugoslavo e serbo, dove la locale
magistratura pare abbia avviato una inchiesta su quei fatti solo
qualche giorno fa, e solo in seguito alle forti pressioni del governo
italiano: nessun elemento concreto infatti sussiste a carico di
Milosevic, della sua famiglia o del suo piu' stretto entourage,
nonostante numerosissime siano ormai le inchieste a loro carico, per
reati di tutti i tipi, intentate nell'ambito della campagna
denigratoria condotta dal regime (iperliberista ma profondamente
illiberale) oggi al potere. Gli interrogatori per "Telekom Serbia"
condotti a Belgrado a fine settembre su richiesta dei magistrati
italiani non hanno dato alcun esito, dal punto di vista
dell'accertamento di un qualsivoglia reato.

Piu' verosimili appaiono allora le altre due ipotesi: ovvero che la
polemica sia rispetto all'opportunita' di quella operazione dal punto
di vista finanziario-imprenditoriale, oppure dal punto di vista
strettamente politico, cioe' di politica internazionale. Russo Spena,
legittimamente, non entra nel merito dei risvolti imprenditoriali,
ovvero del successo o meno dell'investimento; ci si attende pero' da
lui, come anche da "Liberazione" ovvero dal PRC, una analisi politica
di merito. Che cosa si evince, in questo senso, dall'articolo di Russo
Spena?

Secondo Russo Spena, "all'epoca dei fatti, la comunita' internazionale
(e il governo USA in primo luogo) aveva investito su Milosevic come
l'uomo della pacificazione nei Balcani, delle liberalizzazioni e delle
privatizzazioni dell'economia jugoslava, di cui molti paesi occidentali
usufruirono."

Dunque, secondo Russo Spena, gli USA volevano la pace nei Balcani, e
per questo si appoggiavano a Milosevic. In realta', ne' l'una ne'
l'altra idea corrispondono al vero: piuttosto, puo' darsi che, dopo gli
accordi di Dayton, ci fosse una linea diplomatica europea di questo
tipo, della quale certamente anche Dini e' stato un rappresentante. Gli
USA, viceversa, preparavano ulteriore destabilizzazione dell'area,
oltre ad un cambiamento di classe dirigente in Serbia: lo dimostrano i
fatti, sui quali non abbiamo nemmeno bisogno di argomentare.

Economicamente, gli USA non investirono neanche un fico secco nella
Jugoslavia di Milosevic: Russo Spena dimostri il contrario, se puo'.
Furono solo pochissimi paesi europei ad interessarsi alle prime
privatizzazioni jugoslave: Italia, Grecia, Francia.

Prosegue Russo Spena: "Successivamente, dopo due anni (...) si
realizzo' il tragico paradosso del governo D'Alema che bombardo', a
Belgrado, manufatti e strutture di telecomunicazioni a partecipazione
azionaria italiana."

Giusto, ma come spiegare questa contraddizione? Anzi: se addirittura
gli USA avessero davvero investito su Milosevic, approfittando della
liberalizzazione dell'economia jugoslava eccetera - come ipotizza Russo
Spena - la contraddizione rappresentata da quei bombardamenti sarebbe
ancora piu' stridente, ed inspiegabile.

"Nutro qualche fondato sospetto che i dossier, in gran parte falsi, sui
quali lavorano le destre in commissione, giungano da Oltreatlantico,
dagli ambienti neoconservatori intorno a Bush, ansiosi di riscrivere,
nell'ottica della guerra preventiva, la storia dei rapporti balcanici
fra paesi europei e la Jugoslavia (presunta comunista) di Milosevic."

E' certo assai probabile che i dossier abbiano questa provenienza. Dini
sin dall'inizio ha parlato esplicitamente, addirittura in Senato, di
"manovali della CIA" (vedi "Il Manifesto",1/3/2001). Tuttavia, i
neoconservatori USA non hanno bisogno di ri-scrivere proprio niente: la
politica USA verso i Balcani negli ultimi 10 anni non e' mai veramente
cambiata: essa e' stata sempre coerentemente ostile alla Jugoslavia. Si
legga ad esempio (su "Panorama" del 4/9/2003) l'intervista a Robert
Gelbard, inviato di Clinton nei Balcani all'epoca dell'acquisto della
società serba da parte della Telecom Italia: "Eravamo contrari
all'operazione ed è falso che l'America incoraggiasse investimenti a
favore di Milosevic". Come puo' Russo Spena asserire il contrario?

Il vero "scandalo di Telekom Serbia" per noi e' allora proprio questo:
e cioe' che si continui ad insistere, a sinistra come a destra, con
l'uso ossessivo dei soliti luoghi comuni sulla Jugoslavia di Milosevic,
nonostante tutto quello che e' successo nel frattempo. Vale a dire a
piu' di 12 anni dalla scelta occidentale di approvare le secessioni; a
piu' di 4 anni dai bombardamenti su Belgrado; a piu' di due anni dalla
cattura di Milosevic da parte dell'illegale e politico "tribunale"
dell'Aia. E mentre resta ancora drammaticamente aperta la crisi
balcanica in tutti i suoi aspetti - a partire dalla situazione ignobile
del Kosovo, trasformato oggi in campo di concentramento e di sterminio,
sorvegliato da aguzzini NATO, per tutte le minoranze non albanesi come
anche per gli albanesi-kosovari democratici.

In realta' quella che emerge dallo scritto di Russo Spena e' una
interpretazione maliziosa, contraddittoria, ma per un verso corretta
delle politiche di Milosevic: politiche da leader socialista moderato,
mirate ad addivenire ad accordi con l'Occidente ed a sostenere
l'economia nazionale nell'epoca della guerra e delle sanzioni,
conservando pero' allo Stato quote di controllo ("golden share") in
tutti i settori strategici. Il centrosinistra al governo nell'Italia di
quegli anni faceva le stesse identiche cose: e cioe' le privatizzazioni
con il "golden share". Ed il partito di Russo Spena, allora, appoggiava
quelle politiche.

L'operazione "Telekom Serbia" fu dunque una legittima operazione tra
due Stati che perseguivano ciascuno il proprio interesse nazionale. Al
di la' di possibili malversazioni - mai da escludere conoscendo il
nostro paese, ma ancora indimostrate - ed al di la' degli aspetti
relativi al successo o meno dell'investimento in quanto tale, il vero
"fallimento" della operazione e' consistito nel suo essere indigesta ed
inaccettabile al padrone statunitense, che non voleva ne' la pace ne'
tantomeno la normalizzazione dei rapporti tra Jugoslavia e resto del
mondo.

Certo, proprio la Serbia - ma quella di oggi e non quella di Milosevic!
- si configura ormai come caso esemplare di privatizzazione selvaggia,
di svendita agli stranieri, con tutto quanto di tragico questo comporta
dal punto di vista sociale ed umano. Di questo, e di centomila scandali
reali inerenti alla selvaggia ricolonizzazione economica dei Balcani,
Russo Spena dovrebbe anche occuparsi.

5 ottobre 2003


ICDSM - Sezione Italiana
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27
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