Informazione


Torino 10/2/2018: Giorno del Ricordo, un bilancio


Si terrà il giorno sabato 10 febbraio 2018 a Torino, dalle ore 10 alle ore 17 presso la sala convegni del museo dell\'ex Carcere \"Le Nuove\", in Via Borsellino 3, il convegno nazionale: GIORNO DEL RICORDO, UN BILANCIO


Obiettivo dell\'iniziativa, organizzata dalla associazione Jugocoord Onlus e dalla rivista di storia critica Historia Magistra, è una analisi delle conseguenze della istituzione del \"Giorno del Ricordo\" (Legge n.92 del 2004) e delle sue celebrazioni sino ad oggi. Attraverso qualificate relazioni scientifiche saranno investigate le ricadute dell\'inserimento del \"Giorno del Ricordo\" nel calendario civile della Repubblica, che appaiono molto pesanti a livello politico, culturale e di autopercezione identitaria della Nazione, nonché a livello didattico-scientifico e financo per le casse dello Stato. Per converso, ad oggi il numero totale delle persone alla cui memoria sono stati attribuiti i riconoscimenti previsti dalla Legge è di appena 323, di cui \"infoibati\" in senso stretto una minima frazione, mentre la gran parte di queste figure sono appartenenti alle forze armate o personale politico dell\'Italia fascista, senza contare gli episodi che non hanno niente a che fare con la narrazione ufficiale delle \"più complesse vicende del confine orientale\" cui si riferisce la Legge. Tutto ciò considerato, il 2 aprile 2015 la stessa Segreteria Nazionale dell\'ANPI chiese di interrompere quantomeno l\'attribuzione di onorificenze e medaglie della Repubblica, mentre nel 2017 numerose personalità antifasciste in una Lettera Aperta al MIUR hanno invocato un drastico cambiamento di rotta rispetto alla modalità revisionista e rovescista con cui l\'argomento è trattato nelle scuole.


Al convegno sono previsti gli interventi di Bruno Segre, Angelo Del Boca, Angelo D\'Orsi, Alessandro \"Sandi\" Volk, Gabriella Manelli, Marco Barone, Nicola Lorenzin, Davide Conti, Claudia Cernigoi, Alessandra Kersevan. A seguire dibattito.

Hanno aderito finora [AGG. 19/1 ore 16:00]
sezioni ANPI (Ass. Naz. Partigiani d\'Italia) Grugliasco (TO), Chivasso (TO), Montebelluna (VI – sez. A. Boschieri \"D\'Artagnan\")
ANPPIA (Ass. Naz. Perseguitati Politici Italiani Antifascisti) nazionale e sezione di Torino 
AICVAS (Ass. Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna)
CIVG (Centro Iniziative Verità e Giustizia)
Centro Studi Italia-Cuba
Comitato di lotta antifascista antimperialista e per la memoria storica (Parma)

evento facebook




\n

(english / italiano)

Über Alles ... e anche sopra la legge

1) Ancora liberi in Germania i colpevoli della strage sul lavoro alla ThyssenKrupp

2) Stragi naziste, il giudice condanna la Germania a risarcire ma l’Italia sta con Berlino per “paura di incidenti diplomatici”

3) Reception Refused. Reparations class action lawsuit for the German genocide carried out on the Ovaherero and the Nama threatens again to be aborted (GFP 17.1.2017)
[Sulla impunità della Germania rispetto ai crimini commessi nella ex-colonia della Namibia, oltre ai crimini di guerra in Grecia e Italia]


=== 1 ===


La Germania arresti i colpevoli della ThyssenKrupp – Lettera aperta all’Ambasciatrice Susanne Wasum-Raine

6 dicembre 2017, MASSIMO MARNETTO

Alla Ambasciatrice Susanne Wasum-Raine (*)
Le scrivo perché mi ha colpito molto negativamente la mancanza di collaborazione della Germania, per eseguire l’arresto di  Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, manager condannati per l’omicidio colposo di sette operai morti dopo il rogo avvenuto tra il 6 e il 7 dicembre 2007 nella ThyssenKrupp.  I sette lavoratori – Santino Bruno, Giuseppe De Masi,   Angelo Laurino, Rocco Marzo,  Rosario Rodinò, Antonio Schiavone, Roberto Scola – sono morti per carenze accertate negli impianti di sicurezza della fabbrica. Una gravissima negligenza che ha provocato una tragedia evitabile.
Ambasciatrice Susanne Wasum-Raine
Le chiedo di comunicare al suo Governo la diffusa indignazione di molti cittadini italiani per questa forma di ostruzionismo alla giustizia, incompatibile con il reciproco rispetto che ha sempre caratterizzato i rapporti tra i nostri Paesi.
Con vigilanza democratica,
Massimo Marnetto

(*) Chi volesse scrivere, deve andare sul sito dell’Ambasciata e inserire il testo nell’apposita scheda.
     Per arrivarci facilmente, cliccare quihttps://italien.diplo.de/Vertretung/italien/it/Kontakt.html

---


Torino, i parenti delle vittime Thyssen: \"Andremo in Germania a chiedere giustizia\"

A dieci anni dal rogo che uccise sette operai la ferita è ancora aperta: \"Vogliamo che i politici di Berlino ci spieghino perché i due manager tedeschi sono ancora liberi\"

4 dicembre 2017

\"Il nostro dolore non si è attenuato, le nostre famiglie sono state rovinate. Io sono morta a 49 anni insieme a mio figlio\". Lo dice Rosina Plati, la mamma di Giuseppe Demasi, 26 anni, uno dei sette operai morti alla Thyssen di Torino nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2007, in occasione della presentazione della Settimana della sikcurezza a Palazzo Civico. Dal rogo sono trascorsi dieci anni, ma per i parenti delle vittime la ferita non si è mai cicatrizzata. Si capisce dalle lacrime di Antonio Boccuzzi, l\'unico sopravvissuto, e dal pianto dei familiari, ancora in attesa di giustizia perché i manager tedeschi dell\'azienda, Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, sono ancora in libertà nel loro Paese nonostante la condanna passata in giudicato. \"Presto andremo in Germania - aggiunge la signora - vogliamo che i politici ci guardino negli occhi e ci dicano 
perchè non sono ancora in galera\".
Poco distante c\'è Antonio Boccuzzi, che quella notte riuscì miracolosamente a salvarsi. \"Ricordo Giuseppe che urlava \'non voglio morire\'. Aveva soltanto 26 anni, insieme eravamo andati a vedere la macchina che poi aveva acquistato. A distanza di dieci anni non c\'è ancora giustizia, siamo ancora qui ad aspettare che i due tedeschi scontino un giorno di carcere\".

---


Rogo Thyssen, persa una carta in Germania: e i manager tedeschi condannati restano liberi

Per i tedeschi manca un documento per arrestare i due supermanager condannati per i 7 morti di Torino. Ma Via Arenula: “Spedito a giugno”. E c’è la prova della ricezione

di Andrea Giambartolomei | 28 ottobre 2017

Manca solo un documento. Per questo la giustizia tedesca non ha ancora deciso se arrestare Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, ex componenti del Cda della ThyssenKrupp Acciai Speciali, condannati a nove anni e otto mesi il primo e sei anni e dieci mesi il secondo per l’omicidio colposo di sette operai morti dopo il rogo del 6 dicembre 2007 a Torino.

L’Italia ha inviato quel documento in Germania, ma è andato perso. Questo è quanto il Fatto Quotidiano ha appreso dalla Procura generale di Essen(Renania settentrionale-Vestfalia), città in cui ha sede il colosso dell’acciaio ha la sua sede. “Non si può ancora decidere se eseguire in Germania la sentenza italiana contro Espenhahn e Priegnitz – risponde Anette Milk, procuratore e portavoce –. La procedura è in corso. Stiamo ancora aspettando un documento che è stato chiesto alle autorità italiane”. E questo è il problema: “Ci hanno informato che ci hanno già mandato i documenti mesi fa, ma sfortunatamente non sono mai arrivati ai nostri uffici”.

La Procura generale di Essen spiega che stanno cercando di risolvere e hanno richiesto una copia dell’atto mancante. Poi, una volta ricevuto, sarà possibile decidere se e come arrestare i due manager. In base agli accordi bilaterali, Espenhahn e Priegnitz potranno scontare la condanna nel loro Paese per una durata massima di cinque anni, come previsto dal codice penale tedesco per l’omicidio colposo. Dal ministero della Giustizia italiano, invece, dicono di non aver ricevuto ulteriori richieste. L’ultima risale all’8 maggio, quasi un anno dopo la condanna definitiva datata 13 maggio 2016. La Germania chiedeva chiarimenti sulla presenza dei due imputati al processo: se condannati in contumacia, il loro arresto sarebbe stato più difficile. Il dato, in realtà, era riportato nella sentenza che li indica come “presenti”. Da via Arenula hanno inoltrato la richiesta alla Procura generale di Torino, dove il sostituto pg Vittorio Corsi, poco prima del suo pensionamento, ha firmato un ultimo atto, spiegando che i due presero regolarmente parte al processo di primo grado e furono sottoposti all’esame dibattimentale il 4 novembre 2009, mentre per i due processi di appello non si sono mai presentati e sono stati rappresentati da avvocati di fiducia. Ma insomma, per l’Italia non erano contumaci.

La risposta è stata mandata via mail a Essen il 1° giugno scorso, con tanto di foto dei due imputati in aula: c’è anche l’avviso di ricezione della mail dall’account dell’indirizzo di Essen, dove evidentemente l’hanno persa.

A differenza dei manager italiani che sono entrati in carcere il giorno dopo il verdetto della Cassazione, i due tedeschi sono liberi (e dal curriculum su Linkedin risulta che Gerald Priegnitz è tuttora Cfo, direttore finanziario, della ThyssenKrupp Global Shared Services).

Il 12 ottobre scorso a Lussemburgo è intervenuto direttamente anche il ministro Orlando che, durante il Consiglio dell’Unione europea dedicato alla giustizia, ha chiesto all’omologo tedesco Heiko Maas un suo interessamento per l’esecuzione della condanna: “Alla luce dell’eccellente cooperazione giudiziaria tra Italia e Germania il ministero federale di giustizia ha offerto il suo supporto per migliorare la comunicazione tra le autorità giudiziarie tra i due Stati se necessario”, ha risposto al Fatto un portavoce di Maas.

È possibile che le autorità tedesche aspettassero soltanto l’esito dell’ultimo ricorso straordinario in Cassazione: il 19 ottobre scorso i giudici l’hanno respinto perché le condanne inflitte erano “conformi a legge e adeguatamente giustificate”. Un’ulteriore conferma della loro colpevolezza che solo la Germania fatica a riconoscere.


---



ThyssenKrupp, la giustizia latitante

21 ottobre 2017, VINCENZO FRENDA

Il 6 dicembre prossimo saranno i 10 anni dalla strage della ThyssenKrupp di Torino, in cui morirono 7 operai arsi vivi dall’esplosione della linea 5 dell’acciaieria. Eppure ancora alcuni dei responsabili sono a piede libero. Si tratta dei due manager tedeschi: l’amministratore delegato Harald Espenhahn condannato a 9 anni e 8 mesi e il membro del cda Gerald Priegnitz condannato a 6 anni e 10 mesi.. Tutti in via definitiva. Colpevoli di omicidio colposo plurimo, incendio colposo e omissione dolosa di cautele per la prevenzione degli infortuni. L’acciaieria di Torino doveva chiudere così si smise tempo prima di investire in manutenzione e sicurezza, questa “colpa imponente” ha causato la morte degli operai.

Per arrivare a questa verità definitiva ci sono voluti 9 anni e 5 processi, eppure solo i condannati italiani stanno scontando le pene.  I tedeschi no, perché la loro condanna non è stata ancora recepita dalla giustizia tedesca che potrebbe anche ricalcolarla riducendola, visto che in Germania per lo stesso reato sono previste pene più miti. Ma non basta. I due manager tedeschi insieme al dirigente Daniele Moroni hanno provato a chiedere un nuovo sconto alla giustizia italiana. Un ricorso alla cassazione per avere un ricalcolo della pena rispedito al mittente dalla corte suprema. Un tentativo andato fallito che ha però garantito ai condannati tedeschi altro tempo in libertà.

Il ministro della giustizia Orlando ha sollecitato più volte i tedeschi ad applicare la condanna come previsto dai trattati, finora invano. Un nuovo sfregio alla memoria delle vittime; Graziella Rondinò madre di Rosario, morto ad appena 26 anni non si dà pace: “Le pene sono basse, almeno che non ci siano sconti per gli assassini. Avrebbero dovuto dare loro l’ergastolo, prendere la chiave della cella e buttarla via. Ora speriamo che la Germania si sbrighi a rendere esecutiva la sentenza. Non vogliamo aspettare altri dieci anni”.

Tanti, troppi anni passati per avere giustizia e le pene forse non sono quelle che i parenti delle vittime si aspettavano, ma questo processo mantiene intatta la sua importanza, perché infligge le pene più severe mai date per un incidente sul lavoro e dà un segnale forte a quei capitani d’industria che finora hanno pensato di poter derogare sui diritti dei lavoratori e sostanzialmente sulla loro salute, in virtù di una impunità garantita dal denaro scrivendo, come per il caso della Thyssen di Torino, pagine nerissime nella storia industriale non solo italiana.

---


ThyssenKrupp. Corte di cassazione conferma le condanne ai manager, ma i colpevoli sono liberi in Germania

\"Questa è la realtà della Unione Europea, un sistema autoritario e truffaldino di diseguali\"


di Giorgio Cremaschi
20/10/2017 


Nella notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007 un terribile incendio distrusse lo stabilimento ThyssenKrupp di Torino condannando ad una morte orribile 7 operai. 

Grazie al lavoro instancabile e minuzioso del procuratore Guariniello i colpevoli di quella strage furono individuati, incriminati, condannati. E, caso raro per gli omicidi sul lavoro, le sentenze, pur attenuate, hanno retto fino alla Corte di Cassazione. Che pochi giorni fa ha voluto anche sottolineare la gravità del non rispetto delle norme di sicurezza, che proprio per la sua dimensione assegna la responsabilità della strage ai manager aziendali. Di essi quelli italiani stanno già scontando la pena, ma i due principali responsabili - l\'amministratore delegato Harald Espenhahn (condannato a nove anni di reclusione) e il direttore generale Gerald Priegnitz (condannato a sei anni) - sono liberi in Germania. 

Attenzione non si tratta di ritardi o sviste, perché, già nel 2016, dopo la prima conferma delle condanne, la magistratura italiana aveva spiccato un mandato di cattura europeo per i due manager. Mandato di cattura che le autorità tedesche hanno semplicemente ignorato. Ora il ministro Orlando dice che chiederà la consegna dei colpevoli al suo collega di Germania.

Buffonate.

La verità è che il governo dovrebbe fare una campagna contro l\'impunità dei manager tedeschi e far valere con tutti i mezzi le regole di giustizia europee.

Che però come al solito valgono solo per i paesi deboli e con una classe politica asservita e mai, mai per la Germania. Questa è la realtà della Unione Europea, un sistema autoritario e truffaldino di diseguali, ove se sei manager tedesco sei automaticamente immune dalla giustizia di uno dei paesi che in Germania chiamano PIGS.

---


Rogo Thyssen, manager tedeschi condannati ancora liberi: lettera di Orlando al ministro Maas

L’ex ad Harald Espenhahn e l’ex consigliere Gerald Priegnitz, sono stati condannati in via definitiva il 13 maggio 2016 per omicidio colposo plurimo al termine del processo per il rogo allo stabilimento di Torino in cui, tra il 5 e il 6 dicembre 2007, morirono sette operai

di F. Q. | 12 ottobre 2017

L’ex ad della ThyssenKrupp Acciai Speciali Harald Espenhahn e l’ex consigliere Gerald Priegnitzcondannati in via definitiva il 13 maggio 2016 per omicidio colposo plurimo al termine del processo per il rogo allo stabilimento di Torino in cui, tra il 5 e il 6 dicembre 2007, morirono sette operai, sono ancora liberi. A cinque mesi dalla polemica sulla traduzione della sentenza il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha chiesto al suo omologo tedesco che la Germania dia esecuzione al verdetto.

Per Espenhahn, condannato a nove anni di reclusione, e Priegnitz, condannato a sei anni, è stata chiesta l’estradizione in Italia, ma questa è stata dichiarata non ammissibile in quanto sono entrambi di cittadinanza tedesca. Nei primi mesi del 2017 l’Italia ha quindi chiesto all’autorità giudiziaria tedesca di riconoscere la sentenza ed eseguire in Germania la relativa pena a carico delle due persone coinvolte. Richiesta ora rinnovata da Orlando che a margine della riunione del Consiglio GAI in corso a Lussemburgo, ha incontrato il suo omologo tedesco Heiko Maas, che si è impegnato a svolgere nel più breve tempo possibile un approfondimento sulla questione, al fine di poter dare riscontro alla richiesta italiana. Al termine del colloquio, il Guardasigilli gli ha consegnato una lettera che riepiloga i principali passaggi della vicenda.

Gli imputati condannati invece stanno tutti scontando la pena. La sentenza della Cassazione (qui le motivazioni) è arrivata il 13 maggio 2016, un venerdì sera, e il sabato mattina gli italiani si erano consegnati alle forze dell’ordine per poi andare in carcere a Terni e a Torino. Lunedì 16 maggio, rientrati nei loro uffici, il sostituto procuratore generale Vittorio Corsi e il procuratore generale Francesco Saluzzo avevano emesso un mandato di arresto europeo per Espenhahn e Priegnitz e il 25 maggio erano state diramate le ricerche dei due condannati, localizzati in Germania.

Lì era stata consegnata la documentazione per l’arresto, ma il 4 agosto la procura generale di Hamm aveva comunicato al ministero della Giustizia il rifiuto della consegna: in base alle norme sul mandato di arresto europeo un’autorità giudiziaria può rifiutare di eseguire il mandato contro i suoi cittadini per eseguirla “conformemente al suo diritto interno”. In Germania, in base ai codici, Espenhahn e Priegnitz non sconteranno le pene stabilite dai giudici italiani, rispettivamente nove anni e otto mesi il primo e sei anni e tre mesi il secondo. La detenzione potrà durare fino a un massimo di cinque anni, pena massima prevista dal codice penale tedesco per l’omicidio colposo.

A questo punto il ministero di via Arenula aveva chiesto di seguire le procedure previste da un’altra decisione quadro dell’Unione europea. Così, una volta arrivate le motivazioni della sentenza della Cassazione, il ministero aveva fatto tradurre le sentenze e il 13 marzo le aveva inviate in Germania. La procura generale di Hamm aveva informato il ministero di aver convalidato il “certificato” (o meglio, di aver proceduto alla “delibazione”). Ma da allora nulla più è successo..


=== 2 ===


Stragi naziste, il giudice condanna la Germania a risarcire ma l’Italia sta con Berlino. “Paura di incidenti diplomatici”

Il giudice: “La Repubblica federale è erede del Terzo Reich”. Ma la Farnesina è al fianco dei tedeschi. Il motivo? Evitare un caos diplomatico. Ma anche il timore che altri Stati se la prendano con noi per le stragi fasciste nella ex Jugoslavia o in Grecia. Gli esperti di diritto al fatto.it: “In realtà le soluzioni ci sono, ma manca la volontà politica”. Come gli ex SS condannati ma mai in carcere

di Ilaria Lonigro | 3 dicembre 2017

Contro le vittime dei nazisti, a fianco della Germania. E’ la posizione dello Stato italiano nel processoper la strage di Limmari del 1943, per la quale il tribunale di Sulmona, il 2 novembre, ha condannato la Germania, come erede del Terzo Reich, a risarcire il Comune di Roccaraso e i discendenti delle 128 vittime per danno “non patrimoniale”. Una sentenza storica, perché apre la strada ai risarcimenti anche per le altre numerose stragi naziste in Italia, da Sant’Anna di StazzemaMontesole. Ma che rischia di rimanere lettera morta, perché la Germania si rifiuta di riconoscere il processo. E dove trova sostegno? Nel ministero degli Esteri italiano secondo il quale questi risarcimenti sono inammissibili: violano la sentenza dell’Aja del 2012, che, relativa a un caso simile – Italia contro Germania in tema di risarcimenti per crimini di guerra -, aveva stabilito che gli Stati sono immunidalla giurisdizione di altri Paesi. Eppure, l’Italia dovrebbe sostenere gli eredi delle vittime: la Corte Costituzionale, con una sentenza del 2014 condivisa anche dalla Cassazione, dice che l’immunità degli Stati non vale, se i diritti umani fondamentali sono stati violati. E nel 1943, a Limmari, lo furono. Così finisce come con le condanne definitive nei confronti degli ex soldati delle Ss e della Wehrmacht individuati e processati dalle procure militari italiane per molte delle stragi avvenute tra il 1943 e il 1945, durante la ritirata tedesca che lasciò una scia di sangue dall’Abruzzo al Piemonte“E’ una questione di volontà politica” disse mesi fa al fatto.it Marco De Paolis, procuratore militare che portò a processo tra gli altri i responsabili degli eccidi di Sant’Anna di Stazzema e di Marzabotto. “Tutta una questione di volontà politica” ripetono ora vari esperti di diritto internazionale parlando del risarcimento ai familiari delle vittime di Limmari.


Nel paesino abruzzese sopravvisse solo una bambina
In quel paesino sull’Appennino abruzzese, tra il 16 e il 21 novembre 1943, i paracadutisti tedeschi, sotto il controllo del Federmaresciallo Albert Kesselring, uccisero 128 civili: donne, anziani, alcuni invalidi e bruciati vivi, e bambini, tra cui Giancarlo Iarussi, che aveva meno di 100 giorni. Erano paesani e sfollati che si erano rifugiati lì, pensando di essere al sicuro tra i boschi di Limmari, che, per una tragica ironia della sorte, nel dialetto locale significa Valle della Vita. A seppellire i corpi, abbandonati per mesi, ci pensò la neve. Si salvò solo Virginia Macerelli, di 7 anni: il corpo della madre le fece da scudo, proteggendola dai colpi delle mitragliatrici. Nel 2013 è stata ricevuta al Quirinale dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Il giudice: “Germania colpevole, successore del Terzo Reich”
Chissà cosa avrà pensato Virginia quando, nella causa intentata contro la Germania da lei e dagli altri eredi delle vittime – rappresentati dagli avvocati Lucio OlivieriMonica Oddis e Claudia Di Padova – la Farnesina si è costituita in difesa di Berlino. Il ministero non voleva “incorrere in una violazione del diritto internazionale”, perché l’Italia, ricorda ancora il vertice della diplomazia italiana, ha rinunciato a ogni pretesa nei confronti della Germania nel 1947, con il Trattato di Pace di Parigi. E poi c’è la sentenza della Corte internazionale di giustizia dell’Aja. Ma, forte della sentenza della Corte Costituzionale e di quella della Cassazione, il giudice Giovanna Bilò, del tribunale di Sulmona, il 2 novembre ha condannato in contumacia la Germania, “quale successore del Terzo Reich”, come “responsabile dell’uccisione” con “modalità efferate” dei 128 civili. In più, ha obbligato Berlino a corrispondere al Comune di Roccaraso 800mila euro di “danno non patrimoniale”.

Il governo impedisce i risarcimenti.. Nonostante la Consulta
Peccato che né il Comune né gli eredi vedranno mai questi soldi. “Il governo deve dare applicazione alle sentenze – dice a ilfattoquotidiano.it Dino Rinoldi, docente di Diritto internazionale alla Cattolica di Milano – Invece, in questo caso, non consente di sequestrareconfiscare e vendere all’asta un immobile che appartiene alla Germania. Gli eredi difficilmente riusciranno a trovare un risarcimento. Quello che mi colpisce di più è il comportamento del governo italiano, che non appoggia quello che è il risultato della Corte Costituzionale e della Cassazione. Il governo teme, un domani, trattamenti spiacevoli in Germania. Tutela se stesso: non vuole, un domani, altrove, essere portato in giudizio”.

Stragi fasciste all’estero: la coda di paglia degli italiani
Tra i motivi che frenano il governo italiano probabilmente c’è il timore che un domani Paesi come l’Etiopia, la Slovenia o la Grecia vengano a chiederci il conto per le stragi fasciste, a dispetto del falso mito degli “italiani brava gente”, di un esercito che al contrario di quello tedesco ha sempre rispettato e solidarizzato con le popolazioni invase. In quel caso i risarcimenti complessivamente ci costerebbero diverse centinaia di milioni di euro. “Su questo il nostro Paese è rimasto sempre in silenzio – dice Bernardo Cortese, professore di diritto dell’Unione europea all’università di Padova – Non è da escludere che ci sia anche questo, nella somma delle ragioni che portano il nostro ministero a non muoversi contro la Germania. Ci sono tante cose che spiegano le nostre reticenze. Ovviamente non siamo solo dalla parte delle vittime”. 

Gli esperti di diritto: “Berlino e Roma sbagliano: le vittime vanno risarcite”
Non solo poche le voci autorevoli del diritto internazionale contro la posizione del governo italiano con le vittime degli eccidi. “Gli Stati non possono giocare con dei diritti sacrosanti delle vittime delle stragi – sostiene Tullio Scovazzi, professore di Diritto internazionale all’università Milano Bicocca – Qui c’è un evidente diniego di giustizia. Le vittime di gravi crimini hanno diritto a ottenere un risarcimento, indipendentemente dalla posizione degli Stati. Se l’Italia vuole sostenere le ragioni della Germania, allora si deve sostituire alla Germania e pagare gli addebiti, poi chiedere eventualmente una rifusione da parte della Germania”. Secondo Scovazzi la sentenza dell’Aja sull’immunità degli Stati, dietro cui la Germania si para per schivare i processi, è scorretta. “La Corte internazionale di giustizia – spiega Scovazzi – ha dato ragione alla Germania con un&nbs

(Message over 64 KB, truncated)

\n


Italia ed Europa in armi

Aggiornamenti ed analisi da Manlio Dinucci
1) NUOVO LIBRO di Manlio Dinucci: GUERRA NUCLEARE. IL GIORNO PRIMA
2) Italia in armi dal Baltico all’Africa (16.01.2018)
3) Il vero libro esplosivo è a firma Trump (9.01.2018)


Sulla corsa alla guerra in Italia e in Europa segnaliamo anche:

IN NIGER L’UE SI TRAVESTE DA BENEFATTRICE PER NON FARE IL LAVORO SPORCO (di Andrea de Georgio, LIMES 6/12/2017)
La pletora di aiuti ‘allo sviluppo’ erogati al paese saheliano, snodo strategico dei traffici trans-sahariani, ha come vero obiettivo bloccare i migranti e accaparrarsi le risorse. Il gioco di Niamey. Il ruolo dell’Italia. Sul terrorismo si rischia l’effetto boomerang...

E GLI ATENEI ITALIANI TUTTI IN MARCIA VERSO LA GUERRA… (di Antonio Mazzeo)
Scheda su Ricerca e Sviluppo Militare. Il reclutamento alla guerra dell’università e della scuola, presentata dall’Autore in occasione del Convegno “Basta Guerre ovunque le si chiamino”, Rovato (Brescia), 14 e 15 ottobre 2017


=== 1 ===

NUOVO LIBRO di Manlio Dinucci
Guerra nucleare.. Il giorno prima
Zambon editore, 2017, pp.303, 15 €

Si veda anche la RECENSIONE di ALESSANDRO SANTAGATA (ADISTA, 15-01-2018):


Manlio Dinucci 
 
GUERRA NUCLEARE
IL GIORNO PRIMA

Da Hiroshima a oggi: 
chi e come ci porta alla catastrofe 

La lancetta dell’«Orologio dell’Apocalisse» – il segnatempo che sul Bollettino degli Scienziati Atomici statunitensi indica a quanti minuti siamo dalla mezzanotte della guerra nucleare – è stata spostata in avanti: da 3 a mezzanotte nel 2015 a 2,5 minuti nel 2017. Tale fatto passa però inosservato o, comunque, non suscita particolari allarmi. 

Sembra di vivere nel film The Day After (1983), in quella cittadina del Kansas dove la vita scorre tranquilla accanto ai silos dei missili nucleari, con la gente che il giorno prima ascolta distrattamente le notizie sul precipitare della situazione internazionale, finché vede i missili lanciati contro l’URSS e poco dopo spuntare i funghi atomici delle testate nucleari sovietiche. 

Questo libro ricostruisce la storia della corsa agli armamenti nucleari dal 1945 ad oggi, sullo sfondo dello scenario geopolitico mondiale, contribuendo a colmare il vuoto di informazione creato ad arte su questo tema di vitale importanza. Si è diffusa la sensazione che una guerra nucleare sia ormai inconcepibile e si è creata di conseguenza la pericolosa illusione che si possa convivere con la Bomba. Ossia con una potenza distruttiva che può cancellare la specie umana e quasi ogni altra forma di vita. Lo possiamo evitare, mobilitandoci per eliminare le armi nucleari dalla faccia della Terra.  Finché siamo in tempo, il giorno prima.   
 
L’autore, giornalista e saggista,  collaboratore de il manifesto e di Pandora TV, è membro del Comitato No Guerra No Nato
Con Zambon Editore ha pubblicato L’Arte della Guerra / Annali della strategia USA/NATO (1990-2016).
È stato direttore esecutivo per l’Italia della International Physicians for the Prevention of Nuclear War, associazione insignita nel 1985 del Premio Nobel per la Pace per aver «fornito preziosi servigi all\'umanità divulgando informazioni autorevoli e diffondendo la consapevolezza sulle catastrofiche conseguenze di un conflitto nucleare». 

INDICE

1    La nascita della Bomba 
1.1  Il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki
1.2  Gli effetti dell’esplosione nucleare su una città
1.3  Gli effetti della ricaduta radioattiva
1.4  L’inverno nucleare
 
2    La corsa agli armamenti nucleari 
2.1  Il confronto nucleare USA-URSS
2.2  I missili balistici intercontinentali
2.3  La crisi dei missili a Cuba e l’ingresso della Cina tra le potenze nucleari
2.4  La pianificazione dell’attacco nucleare
2.5  Il Trattato sullo spazio esterno e il Trattato di non-proliferazione 
2.6  I missili balistici a testate multiple indipendenti 
2.7  La bomba N
2.8  I trattati sui missili anti-balistici e sulla limitazione delle armi strategiche
2.9  La Bomba segreta di Israele 
2.10  L’ingresso di Sudafrica, India e Pakistan tra le potenze nucleari
 
3    La polveriera nucleare 
3.1  Un milione di Hiroshima
3.2  La «valigetta nucleare»
3.3  I falsi allarmi di attacco nucleare
3.4  Gli incidenti con armi nucleari
3.5  L’inquinamento radioattivo dei test e degli impianti nucleari
3.6  Il legame tra nucleare militare e civile
3.7  Gli incidenti alle centrali nucleari
3.8  I movimenti antinucleari durante la guerra fredda 
 
4    Le guerre del dopo guerra fredda 
4.1  Il mondo al bivio
4.2  Golfo: la prima guerra del dopo guerra fredda
4.3  Le armi a uranio impoverito 
4.4  Il riorientamento strategico degli Stati Uniti 
4.5  Il riorientamento strategico della NATO
4.6  L’intervento NATO nella crisi balcanica e la guerra contro la Jugoslavia 
4.7  Terreno di prova dei bombardieri da attacco nucleare e uso massiccio di armi a uranio impoverito 
4.8  Il superamento dell’Articolo 5 e la conferma della leadership USA
4.9  Il «Nuovo Modello di Difesa» dell’Italia
4.10  L’espansione della NATO ad Est verso la Russia
 
5    La messinscena del disarmo 
5.1  Le armi nucleari e lo «scudo anti-missili» nella ristrutturazione delle forze USA
5.2  I trattati START sulla riduzione delle armi strategiche 
5.3  La messa al bando dei test nucleari e i test «subcritici»
5.4  Il Trattato di Mosca e il nuovo START
5.5  L’ingresso della Corea del Nord tra le potenze nucleari
5.6  Altri paesi in grado di fabbricare armi nucleari 
5.7  Le armi chimiche e biologiche  
 
6     La nuova offensiva USA/NATO 
6.1  11 Settembre: maxi-attacco terroristico in mondovisione 
6.2  11 Settembre: le falle della versione ufficiale 
6.3  Afghanistan: l’inizio della «guerra globale al terrorismo» 
6.4  La seconda guerra contro Iraq
6.5  La guerra contro la Libia
6.6  La guerra coperta contro la Siria e la formazione dell’ISIS
6.7  Il colpo di stato in Ucraina 
6.8  Le guerre segrete dal volto umanitario 
 
   L’Europa sul fronte nucleare 
7.1  L’Europa nel riarmo nucleare del Premio Nobel per la pace
7.2  Italia: portaerei nucleare USA/NATO nel Mediterraneo
7.3  La B61-12, nuova bomba nucleare USA per l’Italia e l’Europa 
7.4  L’escalation USA/NATO in Europa
7.5  Lo «scudo» USA sull’Europa 
 
8     Gli scenari dell’Apocalisse 
8.1   L’escalation qualitativa del confronto nucleare
8.2   La preparazione del first strike nucleare 
8.3   Armi elettromagnetiche e laser e aerei robot spaziali per la guerra nucleare
8.4   La mortale minaccia del plutonio e il monito inascoltato di Fukushima 
8.5   La minaccia del terrorismo nucleare 
8.6   Le nanoarmi: potenziali detonatori della guerra nucleare

9     Il giorno prima finché siamo in tempo
9..1   La strategia dell’Impero Americano d’Occidente
9.2   Il sistema bellico planetario degli Stati Uniti d’America 
9.3   L’ancoraggio dell’Italia alla macchina da guerra USA/NATO
9.4  Il disancoraggio dalla macchina da guerra USA/NATO, per un’Italia sovrana e neutrale, libera dalle armi nucleari 
 
 
304 PAGINE   /  15 EURO  / NELLE LIBRERIE FELTRINELLI E IN ALTRE / SU AMAZON.IT 


=== 2 ===

VERSIONE VIDEO (PandoraTV, 16 gen 2018)
33 missioni militari internazionali in cui l’Italia è impegnata in 22 paesi. A quelle condotte da tempo nei Balcani, in Libano e Afghanistan, si aggiungono le nuove missioni che – sottolinea la Deliberazione del governo – «si concentrano in un\'area geografica, l\'Africa, ritenuta di prioritario interesse strategico in relazione alle esigenze di sicurezza e difesa nazionali».


L’arte della guerra. La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci

Italia in armi dal Baltico all’Africa 

Manlio Dinucci, su Il Manifesto del 16.01.2018
  

Che cosa avverrebbe se caccia russi Sukhoi Su 35, schierati nell’aeroporto di Zurigo a una decina di minuti di volo da Milano, pattugliassero il confine con l’Italia con la motivazione di proteggere la Svizzera dall’aggressione italiana?

A Roma l’intero parlamento insorgerebbe, chiedendo immediate contromisure diplomatiche e militari.

Lo stesso parlamento, invece, sostanzialmente accetta e passa sotto silenzio la decisione Nato di schierare 8 caccia italiani Eurofighter Typhoon nella base di Amari in Estonia, a una decina di minuti di volo da San Pietroburgo, per pattugliare il confine con la Russia con la motivazione di proteggere i paesi baltici dalla «aggressione russa».

La fake news con la quale la Nato sotto comando degli Stati uniti giustifica la sempre più pericolosa escalation miitare contro la Russia in Europa. Per dislocare in Estonia gli 8 cacciabombardieri, con un personale di 250 uomini, si spendono (con denaro proveniente dalle casse pubbliche italiane) 12,5 milioni di euro da gennaio a settembre, cui si aggiungono le spese operative: un’ora di volo di un Eurofighter costa 40 mila euro, l’equivalente del salario lordo annuo di un lavoratore.

Questa è solo una delle 33 missioni militari internazionali in cui l’Italia è impegnata in 22 paesi.

A quelle condotte da tempo nei Balcani, in Libano e Afghanistan, si aggiungono le nuove missioni che – sottolinea la Deliberazione del governo – «si concentrano in un’area geografica, l’Africa, ritenuta di prioritario interesse strategico in relazione alle esigenze di sicurezza e difesa nazionali».

In Libia, gettata nel caos dalla guerra della Nato del 2011 con la partecipazione dell’Italia, l’Italia oggi «sostiene le autorità nell’azione di pacificazione e stabilizzazione del Paese e nel rafforzamento del controllo e contrasto dell’immigrazione illegale».

L’operazione, con l’impiego di 400 uomini e 130 veicoli, comporta una spesa annua di 50 milioni di euro, compresa una indennità media di missione di 5 mila euro mensili corrisposta (oltre la paga) a ciascun partecipante alla missione. In Tunisia l’Italia partecipa alla Missione Nato di supporto alle «forze di sicurezza» governative, impegnate a reprimere le manifestazioni popolari contro il peggioramento delle condizioni di vita.

In Niger l’Italia inizia nel 2018 la missione di supporto alle «forze di sicurezza» governative, «nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area», comprendente anche Mali, Burkina Faso, Benin, Mauritania, Ciad, Nigeria e Repubblica Centrafricana (dove l’Italia partecipa a una missione dell’Unione europea di «supporto»).

È una delle aree più ricche di materie prime strategiche – petrolio, gas naturale, uranio, coltan, oro, diamanti, manganese, fosfati e altre – sfruttate da multinazionali statunitensi ed europee, il cui oligopolio è però ora messo a rischio dalla crescente presenza economica cinese.

Da qui la «stabilizzazione» militare dell’area, cui partecipa l’Italia inviando in Niger 470 uomini e 130 mezzi terrestri, con una spesa annua di 50 milioni di euro. A tali impegni si aggiunge quello che l’Italia ha assunto il 10 gennaio: il comando della componente terrestre della Nato Response Force, rapidamente proiettabile in qualsiasi parte del mondo. Nel 2018 è agli ordini del Comando multinazionale di Solbiate Olona (Varese), di cui l’Italia è «la nazione guida». Ma – chiarisce il Ministero della difesa – tale comando è «alle dipendenze del Comandante Supremo delle Forze Alleate in Europa», sempre nominato dal presidente degli Stati uniti.

L’Italia è quindi sì «nazione guida», ma sempre subordinata alla catena di comando del Pentagono.


=== 3 ===


L’arte della guerra . La rubrica settimanale a cura di Manlio Dinucci

Il vero libro esplosivo è a firma Trump

Manlio Dinucci, su Il Manifesto del 9.01.2018

Tutti parlano del libro esplosivo su Trump, con rivelazioni sensazionali di come Donald si fa il ciuffo, di come lui e la moglie dormono in camere separate, di cosa si dice alle sue spalle nei corridoi della Casa Bianca, di cosa ha fatto suo figlio maggiore che, incontrando una avvocatessa russa alla Trump Tower di New York, ha tradito la patria e sovvertito l’esito delle elezioni presidenziali. Quasi nessuno, invece, parla di un libro dal contenuto veramente esplosivo, uscito poco prima a firma del presidente Donald Trump: «Strategia della sicurezza nazionale degli Stati uniti».

È un documento periodico redatto dai poteri forti delle diverse amministrazioni, anzitutto da quelli militari.

Rispetto al precedente, pubblicato dall’amministrazione Obama nel 2015, quello dell’amministrazione Trump contiene elementi di sostanziale continuità. Basilare il concetto che, per «mettere l’America al primo posto perché sia sicura, prospera e libera», occorre avere «la forza e la volontà di esercitare la leadership Usa nel mondo».

Lo stesso concetto espresso dall’amministrazione Obama (così come dalle precedenti): «Per garantire la sicurezza del suo popolo, l’America deve dirigere da una posizione di forza»..

Rispetto al documento strategico dell’amministazione Obama, che parlava di «aggressione russa all’Ucraina» e di «allerta per la modernizzazione militare della Cina e per la sua crescente presenza in Asia», quello dell’amministrazione Trump è molto più esplicito: «La Cina e la Russia sfidano la potenza, l’influenza e gli interessi dell’America, tentando di erodere la sua sicurezza e prosperità».

In tal modo gli autori del documento strategico scoprono le carte mostrando qual è la vera posta in gioco per gli Stati uniti: il rischio crescente di perdere la supremazia economica di fronte all’emergere di nuovi soggetti statuali e sociali, anzitutto Cina e Russia le quali stanno adottando misure per ridurre il predominio del dollaro che permette agli Usa di mantenere un ruolo dominante, stampando dollari il cui valore si basa non sulla reale capacità economica statunitense ma sul fatto che vengono usati quale valuta globale.

«Cina e Russia – sottolinea il documento strategico – vogliono formare un mondo antitetico ai valori e agli interessi Usa. La Cina cerca di prendere il posto degli Stati uniti nella regione del Pacifico, diffondendo il suo modello di economia a conduzione statale. La Russia cerca di riacquistare il suo status di grande potenza e stabilire sfere di influenza vicino ai suoi confini. Mira a indebolire l’influenza statunitense nel mondo e a dividerci dai nostri alleati e partner».

Da qui una vera e propria dichiarazione di guerra: «Competeremo con tutti gli strumenti della nostra potenza nazionale per assicurare che le regioni del mondo non siano dominate da una singola potenza», ossia per far sì che siano tutte dominate dagli Stati uniti. Fra «tutti gli strumenti» è compreso ovviamente quello militare, in cui gli Usa sono superiori.

Come sottolineava il documento strategico dell’amministrazione Obama, «possediamo una forza militare la cui potenza, tecnologia e portata geostrategica non ha eguali nella storia dell’umanità; abbiamo la Nato, la più forte alleanza del mondo».

La «Strategia della sicurezza nazionale degli Stati uniti», a firma Trump, coinvolge quindi l’Italia e gli altri paesi della Nato, chiamati a rafforzare il fianco orientale contro l’«aggressione russa», e a destinare almeno il 2% del pil alla spesa militare e il 20% di questa all’acquisizione di nuove forze e armi.

L’Europa va in guerra, ma non se ne parla nei dibattiti televisivi: questo non è un tema elettorale.



\n

(srpskohrvatski / français / italiano)

Assassinato il leader dei serbo-kosovari

1) Kosovo: l\'omicidio di Oliver Ivanović (Francesco Martino)

2) Беофорум: Саопштење Поводом Убиства Оливера Ивановића
[Forum di Belgrado: Comunicato in merito all\'assassinio di Oliver Ivanović]


Vedi anche:

ASSASSINATO UN LEADER SERBO-KOSOVARO: OLIVER IVANOVIC. LE CINQUE PISTE POSSIBILI DELL’OMICIDIO (di Alberto Tarozzi, 17/01/2018)
... chiare le conseguenze: i negoziati, a Bruxelles, tra il governo di Belgrado e i rappresentanti di Pristina (Kosovo) si sono interrotti prima di cominciare e in Serbia è stato convocato il Consiglio di sicurezza. Il capo delegazione serbo a Bruxelles, ha parlato di atto terroristico criminale contro tutto il popolo serbo, chiunque l’abbia compiuto. A Pristina l’accaduto viene stigmatizzato.. Abortisce il dialogo, in una delle tante fragili tregue che attraversano i Balcani in un dopoguerra ventennale...

IN KOSOVO UCCISO INFLUENTE POLITICO SERBO (Sputnik News, 16.01.2018)
Il leader del movimento civile serbo \"Libertà, democrazia, verità\" Oliver Ivanovic è stato ucciso in un agguato a Kosovska-Mitrovica. Lo ha riferito al giornale Blic l\'avvocato del politico...
KOSOVO: UCCISO A MITROVICA OLIVER IVANOVIĆ (Nicole Corritore, 16 gennaio 2018)
A Mitrovica nord, alle 8.15 di stamattina è stato ucciso a colpi di arma da fuoco Oliver Ivanović, leader dell\'Iniziativa civica \"Sloboda, demokratija, pravda - SDP\" (Libertà, democrazia e giustizia)...

STRAH SRBA OD EKSTREMNIH SRBA (Dejan Anastasijević, Vreme br. 1395, 28.9.2017.)
\"U poslednjih par godina u Mitrovici smo imali preko pedeset slučajeva paljenja automobila, bacanja ručnih bombi i dva nerazjašnjena ubistva. Sve se to dešava na teritoriji od dva i po kvadratna kilometra, koja je potpuno pokrivena sigurnosnim kamerama. Očigledno je da se policija boji da se ne zameri počiniocima, ili su počinioci uvezani sa bezbednosnim strukturama\"

KOSOVO : OLIVER IVANOVIĆ ASSIGNÉ EN RÉSIDENCE SURVEILLÉE, « UN PREMIER PAS VERS LA LIBERTÉ » (CdB, 22 février 2017)
Arrêté en janvier 2014 pour de supposés « crimes de guerre », le chef historique des Serbes du Nord du Kosovo, Oliver Ivanović, a pu aujourd’hui quitter la prison de Mitrovica Nord après la décision du tribunal de l’assigner en résidence surveillée. Sa condamnation en première instance a été annulée le 16 février par la Cour d’appel de Pristina...

KOSOVO : OLIVER IVANOVIĆ A ÉTÉ REMIS EN LIBERTÉ CONDITIONNELLE (B 92, mardi 22 septembre 2015)
http://www.courrierdesbalkans.fr/le-fil-de-l-info/oliver-ivanovic-en-residence-surveillee.html

CRIMES DE GUERRE AU KOSOVO : OLIVER IVANOVIĆ, « PUNI AVANT MÊME D’ÊTRE JUGÉ » (B92, 22 août 2015)
http://www.courrierdesbalkans..fr/le-fil-de-l-info/affaire-oliver-ivanovic-point-partiel-sur-la-situation..html

IL LORO KOSOVO \"DEMOCRATICO\", TRA ASSASSINII E REPRESSIONE / ARRESTATO OLIVER IVANOVIĆ (1 feb 2014)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7872

OLIVER IVANOVIĆ: BEOGRAD PROTIV PRIVATIZACIJE \"TREPČE\" (Tanjug 10. 04. 2011.)
http://www.blic.rs/Vesti/Ekonomija/247175/Ivanovic-Beograd-protiv-privatizacije-Trepce


=== 1 ===


KOSOVO: L\'OMICIDIO DI OLIVER IVANOVIĆ

Il brutale omicidio del leader politico serbo-kosovaro Oliver Ivanović non fa che complicare una situazione sul campo già complessa e fragile, gettando il Kosovo in un\'atmosfera di forte tensione

17/01/2018 -  Francesco Martino

Cinque colpi di arma da fuoco in pieno giorno, esplosi da un\'auto in corsa nel centro di Mitrovica nord, la metà serba della città simbolo della divisione tra serbi e albanesi in Kosovo. Così, nelle prime ore del mattino di martedì 16 gennaio, è stato ucciso Oliver Ivanović, uno dei leader politici più noti e discussi della comunità serbo-kosovara.

Al momento è ancora difficile fare supposizioni su mandanti e moventi dell\'omicidio, che fa ripiombare il Kosovo in un\'atmosfera di forte tensione a un mese dalle celebrazioni per il decennale della dichiarazione di indipendenza di Pristina da Belgrado, avvenuta il 17 febbraio 2008.

Di certo Ivanović paga il suo essere un personaggio scomodo, fuori dagli schemi, inviso a molti sia in campo albanese che in quello serbo. Leader dell\'Iniziativa civica \"Sloboda, demokratija, pravda - SDP\" (Libertà, democrazia, giustizia), Ivanović era entrato sulla scena politica kosovara dopo il conflitto armato del 1999-2000.

Dal 2001 al 2007 aveva rappresentato la minoranza serba al parlamento di Pristina, mentre dal 2008 al 2012 era stato segretario di stato del ministero serbo “per il Kosovo e la Metohija”.

Il leader politico serbo-kosovaro era noto per le sue posizioni sfaccettate: fermo sull\'inaccettabilità dell\'indipendenza del Kosovo, ma aperto al confronto alla ricerca di soluzioni pragmatiche per consentire la coabitazione e la collaborazione tra le comunità kosovare. Spesso cercato dai media internazionali, Ivanović era uno dei pochissimi politici serbo-kosovari a rivolgersi agli albanesi-kosovari nella loro lingua.

Negli ultimi anni aveva assunto posizioni sempre più critiche nei confronti di Belgrado, che accusava di voler controllare in modo autoritario la vita politica dei serbo-kosovari attraverso l\'imposizione dall\'alto della “Srpska Lista” (Lista serba), formazione legata al presidente Aleksandar Vučić.

Nel 2014 il colpo di scena: Ivanović viene accusato da una corte EULEX - la missione UE in Kosovo - di crimini di guerra contro la popolazione civile albanese nel biennio 1999-2000. Ivanović si dichiara innocente, ma in primo grado viene condannato a nove anni. A inizio 2017, però, la Corte di Appello di Pristina annulla il verdetto, ordinando una ripetizione del processo, ancora in corso.

In una recente intervista per il settimanale “Vreme”, Ivanović aveva espresso forti preoccupazioni per il clima di instabilità in Kosovo e la propria incolumità personale (lo scorso luglio, l\'automobile del politico era stata data alle fiamme), puntando il dito contro i gruppi malavitosi serbi che operano – secondo il leader di SDP in modo indisturbato – nel Kosovo settentrionale.

L\'uccisione di Ivanović ha avuto subito larga eco in Kosovo e nella regione. Tutti i leader politici, kosovari, serbi e internazionali hanno condannato con fermezza l\'omicidio, che rischia di cementare la situazione di stallo o addirittura di aprire nuovi e imprevedibili scenari di scontro.

La prima conseguenza diretta è stata la decisione di Belgrado di ritirare la propria delegazione a Bruxelles, impegnata nel tentativo di riaprire il difficile negoziato con la controparte kosovara, che negli ultimi anni ha fatto registrare rari e limitati passi in avanti.

I giorni dell\'entusiasmo per la firma degli Accordi di Bruxelles (aprile 2013), voluti e sponsorizzati dall\'UE, sembrano ormai lontani, e il punto centrale di quell\'intesa, la creazione di un\'Associazione delle Municipalità serbe in Kosovo - che dovrebbe garantire un alto grado di autonomia ai serbi del Kosovo - rimane lettera morta.

In questi anni le comunità serba e albanese hanno imparato faticosamente a coabitare, gli incidenti di violenza inter-etnica sono diminuiti, ma le speranze di un vero superamento delle ferite del conflitto e di un nuovo clima di convivenza restano frustrate.

Nel frattempo, il Kosovo continua a vivere una situazione politica, sociale ed economica estremamente difficile. L\'incapacità di raggiungere un accordo col vicino Montenegro sulla definizione dei confini condanna il paese – caso unico nei Balcani occidentali – a rimanere sulla “lista nera” di Schengen, povertà e corruzione restano endemici, lo sviluppo economico anemico.

Nelle ultime settimane, ripetuti tentativi del parlamento di Pristina di azzerare la nuova Corte Speciale - voluta dall\'UE per giudicare i presunti crimini di guerra della guerriglia albanese dell\'UÇK -, che potrebbe portare alla sbarra nomi importanti dell\'élite albanese-kosovara oggi al potere, presidente Hashim Thaçi e premier Ramush Haradinaj inclusi, ha provocato ferme reazioni sia da parte europea che statunitense. C\'è il rischio reale di guastare i rapporti tra Pristina e quelli che restano i principali garanti della fragile indipendenza kosovara..

Una situazione complessa, che l\'omicidio di Ivanović rende ancora più delicata.



=== 2 ===

[Forum di Belgrado: Comunicato in merito all\'assassinio di Oliver Ivanović]


САОПШТЕЊЕ ПОВОДОМ УБИСТВА ОЛИВЕРА ИВАНОВИЋА

уторак, 16 јануар 2018

Београдски Форум за свет равноправних најоштрије осуђује терористички акт убиства Оливера Ивановића, истакнутог српског политичара, 16. јануара 2018. године у Косовској Митровици, и изражава најдубље саучешће породици због овог ненадокнадивог губитка. Београдски форум се придружује захтевима јавности да истрага, у најкраћем року утврди ко су извршиоци и налогодавци овог гнусног злочина и да их приведе правди што је услов за отклањање дубоке забринутости и узнемирености грађана Србије, посебно српског народа на Косову и Метохији. У том погледу, очекује се да цивилно и безбедносно присуство УН – КФОР и УНМИК, као и ЕУЛЕКС, одговорно и ефикасно извршавају своје одговорности, у складу са резолуцијом Савета безбедности УН 1244 (1999).

БЕОГРАДСКИ ФОРУМ ЗА СВЕТ РАВНОПРАВНИХ 

IN MEMORIAM
ОЛИВЕР ИВАНОВИЋ

Оливер Ивановић је био изузетно честит човек. Личност важна не само за своју породицу и пријатеље, већ и за ширу јавност и народ. Један од ретких, ако не и једини политичар, који је истински схватао да је немогуће да сви имају једнако мишљење или поглед на ствари, и прихватао ту чињеницу као неизбежну полазну основу. За њега су разлике у мишљењу биле разлог да се разговара. Никада није одбацивао људе са другачијим виђењима, идејама или плановима за будућност. Никада никога није вређао, ни оне који су му се супротстављали или одбацивали, нити оне који су му правили проблеме. Због тога је временом задобио поштовање и оних који су га волели али и оних који га нису волели, оних који су са њим делили неке или све вредности, али и оних чије су вредности биле другачије. У шали је знао да каже да на Косову и Метохији људе могу да воле или да их поштују, а да је он лично увек давао предност поштовању. 
Увек са осмехом, био оно што јесте: Оливер, Србин са Косова и Метохије, који жели да помогне свом народу тако да то не иде на штету другог или других народа, и који жели да објасни и докаже припадницима другог народа да њихова срећа никако не може да се изгради на несрећи његовог, српског народа.

Одликовало га је потпуно разумевање, иначе, веома сложених прилика на Косову и Метохији, како садашњих тако и свих других околности из ближе и даље историје које су утрле пут данашњем стању ствари. Познавао је све локалне менталитете и системе вредности и све их је уважавао. Познавао је јавну сцену али и закулисне радње, знао је границе до којих иду легалне а преко којих почињу она друга дешавања и радње. И у свему је остао чист. 
Много је знао, али никад није користио своја сазнања да нашкоди другима, да блати друге, па је чак из принципа одбијао да то што му је познато користи као уцену или превентиву да сачува и брани самог себе.
Говорио је или разумевао много језика, укључујући све локалне језике на Косову и Метохији, и то је користио да спаја људе. А резултат је био да је људе придобијао. Са сваким се поздрављао чврстим стиском руке, гледајући саговорника у очи и са осмехом. За њега је свако био човек, личност, а не представник ове или оне групе, нације или организације. За њега нико није био \"обичан\" човек, сви смо за њега били посебни и важни. Много је људи којима је помагао, много је оних који га по добру помињу.
Умео је да води чак и непријатне разговоре тако да никог не увреди, а да при томе свако има прилику да искаже своје мишљење. Никад није одбијао да говори и на скуповима за које је било унапред јасно да ће бити непријатељски интонирани према њему или према ономе што је био: Србин са Косова и Метохије, и ономе шта је представљао: српског политичара. На тим скуповима је углавном знао да изазове осмехе и климање глава у знак прихватања или, бар, разумевања за оно што је говорио.
Стоички је подносио своју наметнуту улогу такозваног алиби ратног злочинца са српске стране којом су одређени заговорници тзв. косовског конструкта хтели да релативизују кривицу и наметну је искључиво Србима. Његова ненаметљива и тиха победа огледала се у томе што су и сведоци тужилаштва говорили о њему са уважавањем.

Оливер Ивановић је био човек мост, који је целог века настојао да спаја људе, јер му је било јасно да изолованост не води никуд. Оливер Ивановић је био човек који је имао визију за будућност која није била заснована искључиво на подељености.
Злочинац који је извршио егзекуцију убио је човека, оца, мужа, брата, рођака, пријатеља, лидера, а можда и наду за будућност коју се Оливер трудио да оствари.
Оно што можемо да урадимо јесте да га памтимо као часног човека, благослов који су многи умели да цене, и да покушамо да следимо његову доброту, да останемо верни себи и да пружимо руку уз јасно очекивање да у разговору добијемо исто поштовање које смо спремни да пружимо.

Нека ти је лака земља Оливере, поносна сам што сам те познавала.

Бранка Митровић




\n