Informazione


In memoria di Vittorio Tranquilli

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - onlus si unisce al cordoglio per la scomparsa del prezioso e indimenticabile compagno Vittorio Tranquilli.
Formatosi politicamente alla scuola dei "comunisti cristiani" di Franco Rodano, Vittorio aveva mantenuto fin dopo la fine degli anni Ottanta e dopo lo scioglimento del PCI quella esigenza di impegno sociale e quella impostazione rigorosa che a ogni cosa anteponeva la dignità dell'individuo. Coerentemente con questo imperativo morale, allo scoppio della guerra fratricida in Jugoslavia egli aveva immediatamente riconosciuto l'enorme ingiustizia perpetrata ai danni di milioni di esseri umani dall'altra parte dell'Adriatico ed aveva avuto l'onestà ed il coraggio, mancati a tanti suoi ex-compagni, di andare a guardare anche dall'altra parte della barricata, dai "nemici" serbi, promuovendo da subito iniziative di solidarietà, di conoscenza e di amicizia internazionalista con scuole della Vojvodina (Bačka Topola) e della Repubblica Serba di Bosnia. 
Era ancora la metà degli anni Novanta quando Vittorio ed altri compagni della capitale avviavano anche le prime iniziative di contro-informazione, per contrastare la propaganda di guerra ed abbattere l'ostracismo razzista imperante nei confronti della parte jugoslava e serba; subito dopo gli accordi di Dayton, Vittorio contribuiva ad organizzare e poi presiedeva una due-giorni di discussione su questi temi all'Università di Roma "La Sapienza" (1).
Con il passare degli anni le iniziative di solidarietà aumentavano, ed aumentava in particolare il numero di quelle che lui anziché "adozioni a distanza" preferiva chiamare "borse di studio" attivate dall'Italia a sostegno dei giovanissimi vittime della ferocia dei potenti. Aumentava però purtroppo anche l'estensione di quella guerra scatenata per la distruzione della Jugoslavia, fino ai bombardamenti incostituzionali e criminali del 1999.
In quel periodo alcuni di noi hanno fatto scelte di priorità diverse rispetto a Vittorio, concentrandosi di più sugli aspetti politici e sulla critica alla disinformazione strategica, laddove Vittorio intensificava instancabilmente, nonostante l'età oramai avanzata, le iniziative di solidarietà umanitaria, allargandone anche lo spettro dei beneficiari. Altri, tra di noi, hanno invece incontrato Vittorio e la sua onlus "A, B, C, solidarietà e pace" (2) proprio allora, dopo il '99, e con Vittorio e la sua associazione hanno intrapreso una collaborazione efficace, ad esempio a sostegno delle famiglie degli operai ed ex operai della Zastava di Kragujevac, la grande fabbrica metalmeccanica dapprima bombardata e poi espropriata dalla FIAT. 
Tutti noi - sia chi negli anni ha perso di vista il "vecchio" Vittorio, sia chi invece lo ha sempre di più affiancato nelle iniziative di solidarietà - siamo certi che gli amici di "A, B, C, solidarietà e pace" e tutti quelli lo hanno conosciuto ne continueranno l'opera con lo stesso entusiasmo e lo stesso spirito di fratellanza fra i popoli che egli ci ha insegnato.

Per CNJ-onlus, il segretario
Andrea Martocchia



Inizio messaggio inoltrato:

Da: -- JEDINSTVENA SINDIKALNA ORGANIZACIJA ZASTAVA KRAGUJEVAC<jsozastava @ open . telekom . rs> 
Data: 07 luglio 2012 11.19.49 GMT+02.00

07 07 2012

È MORTO “SUPERDEKA” (SUPERNONNO)

Ci ha profondamento colpita notizia triste sulla scomparsa di nostro supernonno come lo chiamavano i bambini e ragazzi della grande famiglia della Zastava.
L’abbiamo conosciuto nel ’99 mentre le bombe e missili colpivano il nostro paese quando e venuto tra i primi assieme alla sua delegazione per mostrarci che oltre le frontiere bloccate c’era una parte d’Italia che ci era vicina e che aveva rifiutato ad accettare le bugie servite nella guerra massmediatica, l’Italia che richiedeva il rispetto dell’Articolo 11 della Costituzione italiana.
Gia dal ’99 “il nostro” Vittorio Tranquilli era diventato nonno di tutti i ragazzi, non solo di Kragujevac ma anche di parecchie citta in Serbia, Bosnia, Repubblica Srpska e fino all’Africa.
E morta la Yugoslavia, e morta la Zastava, anche tu caro nonno sei andato al tuo ultimo viaggio ma noi ci ricorderemo per sempre di te...
Ti vogliamo bene

SINDACATO ZASTAVA
(Sindacato Unitario – Samostalni)
Kragujevac
e
tutti i bambini e ragazzi adottati dall’
Associazione ABC – solidarieta e pace




Guerra mediatica contro la Siria

1) La storia è il nemico e le "magnifiche" psy-ops diventano notizia (John Pilger)
2) I paesi della NATO conducono una guerra d’informazione con la Siria ed annullano fisicamente i giornalisti siriani (Thierry Meyssan)


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www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - linguaggio e comunicazione - 26-06-12 - n. 415

Traduzione dall'inglese per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
La storia è il nemico e le "magnifiche" psy-ops diventano notizia
 
di John Pilger
 
21/06/2012
  
Arrivando in un villaggio nel sud Vietnam, vidi due bambini che certificavano la guerra più lunga del 20° secolo. Le loro orribili malformazioni erano familiari. Lungo tutto il fiume Mekong, dove le foreste erano state pietrificate e rese silenziose, piccole mutazioni umane vivevano come meglio potevano.
 
Oggi, all'ospedale pediatrico Tu Du di Saigon, un'ex sala operatoria è conosciuta come la "sala di raccolta" e, ufficiosamente, come la "stanza degli orrori". Ha scaffali pieni di grandi ampolle contenenti feti grotteschi. Durante l'invasione del Vietnam, gli Stati Uniti irrorarono un erbicida defoliante sulla vegetazione e i villaggi per negare "copertura al nemico". Era l'Agente Orange, che conteneva diossina, un veleno tanto potente da causare morte fetale, aborto spontaneo, danni cromosomici e cancro.
 
Nel 1970, un rapporto del Senato statunitense rivelava che "gli Stati Uniti hanno scaricato [sul Vietnam del sud] una quantità di sostanze chimiche tossiche pari a tre chili pro capite, compresi donne e bambini". Il nome in codice per quest'arma di distruzione di massa, Operazione Hades (aldilà), fu cambiato nel più benevolo Operazione Ranch Hand (vaccaro). Oggi, si stima che 4,8 milioni di vittime dell'Agente Orange sono bambini.
 
Len Aldis, segretario della Società di amicizia Gran Bretagna-Vietnam, è da poco tornato dal Vietnam con una lettera per il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) da parte dell'Unione delle donne del Vietnam. La presidente, Nguyen Thi Thanh Hoa, descrive "le gravi malformazioni congenite [causate dall'Agente Orange] di generazione in generazione". Ha chiesto al CIO di riconsiderare la sua decisione di accettare la sponsorizzazione per le Olimpiadi di Londra della Dow Chemical Corporation, una delle società che ha prodotto il veleno e che si è rifiutata di risarcire le sue vittime.
 
Aldis ha consegnato a mano la lettera all'ufficio di Lord Coe, presidente del Comitato Organizzatore di Londra. Non ha avuto risposta. Quando Amnesty International ha sottolineato che nel 2001 la Dow Chemical ha acquisito "la società responsabile della fuga di gas a Bhopal [in India nel 1984] che ha ucciso all'istante tra le 7.000 e 10.000 persone e 15.000 nei successivi venti anni", David Cameron ha descritto la Dow Chemical come una "rispettabile società ". L'imperativo è sorridere allora, quando le telecamere faranno una panoramica sull'abito da parata da 7 milioni di sterline che rivestirà lo Stadio Olimpico, il prodotto di 10 anni di "accordo" tra il CIO e un rispettabile distruttore.
 
La storia è sepolta con i morti e i deformi del Vietnam e di Bhopal. La storia è il nuovo nemico. Il 28 maggio, il presidente Obama ha lanciato una campagna per falsificare la storia della guerra in Vietnam. Per Obama, non c'era Agente Orange, non c'erano le "free-fire zone" [aree in cui venivano eliminati tutti i civili, ndt] e i tiri al bersaglio, nessuna fossa di occultamento dei massacri, nessun razzismo dilagante, né suicidi (molti americani che si tolsero la vita diventano caduti nel conflitto), nessuna sconfitta per opera di un esercito partigiano nato da una società ridotta in miseria. E' stata, dice il signor Hopey Changey, "una delle storie più straordinarie di coraggio e integrità negli annali della storia militare [USA]".
 
Il giorno seguente, il New York Times ha pubblicato un lungo articolo che documenta come Obama scelga personalmente le vittime dei suoi attacchi con i droni in tutto il mondo. Lo fa durante il "martedì di terrore", visionando foto segnaletiche da una "kill list", alcune delle quali di adolescenti, tra cui "una ragazza che sembrava ancora più giovane dei suoi 17 anni". Molti sono sconosciuti o semplicemente in età militare. Guidati da "piloti" seduti davanti a schermi di computer a Las Vegas, i droni sparano missili Hellfire che risucchiano l'aria dai polmoni prima di fare la gente a pezzi. Lo scorso settembre, Obama ha ucciso un cittadino americano, Anwar al-Awlaki, unicamente sulla base di una voce che lo descriveva incitante al terrorismo. "Questo non è facile", ha detto nel firmare la condanna a morte dell'uomo, come riportano i suoi collaboratori. Il 6 giugno, un drone ha ucciso 18 persone in un villaggio in Afghanistan, tra cui donne, bambini e anziani, che stavano festeggiando un matrimonio.
 
L'articolo del New York Times non era una soffiata alla wikileaks o una denuncia. Era un pezzo di pubbliche relazioni progettato dall'amministrazione Obama per mostrare che tipo duro può essere il "comandante in capo" in un anno elettorale. Se rieletto, il marchio "Obama" continuerà a servire i ricchi, perseguendo chi racconta la verità, minacciano paesi, diffondendo virus informatici e uccidendo diverse persone ogni martedì.
 
Le minacce contro la Siria, coordinate a Washington e Londra, scalano nuove vette di ipocrisia. Contrariamente alla grezza propaganda di prima presentata come notizia, il giornalismo d'inchiesta del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung identifica i responsabili della strage di Houla, come i "ribelli" appoggiati da Obama e Cameron. Le fonti del giornale includono i ribelli stessi. Questo non è stato completamente ignorato in Gran Bretagna. Scrivendo nel suo blog personale, mai così in silenzio, Jon Williams, redattore di BBC world, svela in modo efficace la sua "copertura", citando funzionari occidentali che descrivono la "psy-ops" (operazione psicologica) contro la Siria come "magnifica". Magnifica come la distruzione della Libia, dell'Iraq e dell'Afghanistan.
 
Magnifica come le psy-ops, è la recente promozione al Guardian di Alastair Campbell, il principale collaboratore di Tony Blair durante l'invasione criminale dell'Iraq. Nei suoi "diari", Campbell cerca di schizzare sangue iracheno sul demone Murdoch. C'è talmente tanto sangue da inzuppare tutti, ma il riconoscimento che questo media rispettabile, liberale e adulatore di Blair è stato un accessorio fondamentale per un crimine epocale viene omesso e rimane una singolare prova di onestà intellettuale e morale in Gran Bretagna.
 
Per quanto tempo ancora dobbiamo essere sottoposti ad un tale "governo invisibile"? Il termine di insidiosa propaganda, usato la prima volta da Edward Bernays, nipote di Sigmund Freud e inventore delle moderne pubbliche relazioni, non è mai stato più appropriato. La "falsa realtà" richiede un'amnesia storica, basata sull'omissione e il mutamento dal significato all'insignificante. In questo modo, i sistemi politici che promettono sicurezza e giustizia sociale sono stati sostituiti da pirateria, "austerità" e "guerra perpetua": un estremismo dedicato al rovesciamento della democrazia. Applicato ad un individuo, questo lo farebbe identificare come uno psicopatico. Perché noi lo accettiamo?


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La NATO abbatte la libertà di parola


Aleksandr Artamonov, Natalja Kovalenko
4.07.2012

I paesi della NATO conducono una guerra d'informazione con la Siria ed annullano fisicamente i giornalisti siriani.

È sicuro di questo il giornalista francese e direttore del portale d'informazione online «Voltaire», Thierry Meyssan, che ha rilasciato un'intervista a «La Voce della Russia».

«Stati Uniti e NATO dirigono sistematicamente la distruzione di mass media scomodi. Proprio loro, avidi difensori della libertà di parola. Questo è già avvenuto in Jugoslavia, Afghanistan, Iraq e Libia».

Negli ultimi mesi, la CIA ha creato dei canali televisivi per camuffare il segnale di canali nazionali siriani. Sono state create negli studi grafici fotografie fittizie destinate a demoralizzare completamente la popolazione del paese, ha riferito il giornalista.

“La frode è stata scoperta e le informazioni sono passate su centinaia di siti e mezzi di comunicazione di massa. In definitiva, la compagnia addetta alle connessioni satellitari MilSat si è rifiutata di spegnere i canali siriani dal satellite, mentre la Lega dei paesi arabi è stata obbligata a rinunciare alle proprie attività contemporaneamente all'operatore ARABSAT”.

Allo stesso tempo, il Capo del Ministero degli Affari Esteri, Sergej Lavrov, ha inserito nell'agenda dei lavori del gruppo per i legami con la Siria la questione del rigetto di una guerra d'informazioni da parte dei protagonisti della scontro.

«La NATO ha deciso di vendicarsi — afferma Thierry Meyssan — sono state inviate forze speciali contro la stazione televisiva siriana situata a qualche chilometro da Damasco. Là c'erano in tutto quattro guardie. Illuminati da dispositivi ad infrarossi, gli agenti sono entrati nell'edificio, hanno ucciso i guardiani e fatto fuori sul posto tre conduttori. Dopodiché l'edificio è stato fatto saltare in aria. Ecco come da vent'anni la NATO e gli Stati Uniti mantengono la loro tattica. Le stesse persone si ergono a difensori della libertà di parola. Il mondo è stato messo sotto sopra! I giornalisti non riescono più a lavorare! Se un Paese non rispetta adeguate misure di autodifesa, allora ognuno di noi è in pericolo».

71 giornalisti sono morti nel mondo nei primi sei mesi di quest'anno. Si parla di questo nella relazione della ONG «Press emblem campaign», con base a Ginevra. Questo valore è di un terzo più grande rispetto agli indicatori degli anni scorsi. Il primo posto nella triste lista è occupato dalla Siria. Dall'inizio dell'anno sono stati uccisi venti giornalisti.




(Lo scorso 29 giugno cadeva l'ottavo anniversario della morte di Stipe Šuvar, comunista jugoslavo, già Ministro dell'Istruzione nella Croazia socialista, poi fondatore della rivista Hrvatska ljevica e del Partito Socialista dei Lavoratori di Croazia)



Data: 29 giugno 2012 14.47.12 GMT+02.00
Oggetto: Stipe Šuvar
Autore: SRP

Na danasnji dan 2004 godine umro je doktor profesor Stipe Šuvar, prvi predsjednik Socijalističke radničke partije.


Njegovim odlaskom, na ljevici ovih prostora ali i europi nastala je velika praznina.

Bio je dubok i eksplicitan, socijalizam ili barbarstvo , bez kontraverze koje mu podmeću protivnici.

Članovi Socijalističke radničke partije, nose ga u trajnom sjećanju i ponosni su što su s njim i u najtežim vremenima ostali u kontinuitetu ostvarivanja ideje socijalizma.

Zagreb Predsjedništvo



Stipe Šuvar

Datum i vrijeme: 1.7.2012. u 20:21h
By: Dragan Markovina

Bila je negdje kasna 1997. godina kad sam kao buntovni srednjoškolac pročitao intervju Stipe Šuvara u Feralu u kojem najavljuje osnivanje Socijalističke radničke partije, a nekoliko dana potom i razgovor s jednim od vodećih sdp-ovaca u Slobodnoj Dalmaciji, pod naslovom „Ne bojim se Šuvarovog Srp-a“. Sve mi je to nekako ostalo u magli sjećanja, ali dobro pamtim kako sam govorio sam sebi: Konačno. Proteklih sedam godina rušio se jedan svijet višenacionalne državne zajednice kojoj sam pripadao. Bio je to svijet koji me odgojio, svijet čije sam naravno brojne negativnosti kasnije i spoznao, no to je bio svijet kojeg je bijesna rulja tako bezočno pljuvala iz dana u dan, bez ikakvih posebnih argumenata, sem puke mržnje prema imenu i ideji Jugoslavije i socijalizma. S posebnim gađenjem promatrali su djecu miješanih brakova i onih koji su se još uvijek deklarirali kao ljevičari, što sam bio i sam, tako da mi se cijelo vrijeme činilo da neće proći još dugo dok nas ne počnu kao u Južnoafričkoj Republici stavaljati na posebnu stranu autobusa i na posebne klupe po gradskim parkovima.

Taj posljednji korak je i simbolički poduzet uvođenjem vjeronauka u škole, kad je kao navodna alternativa ponuđena etika, tada još bez ikakvog napisanog programa ili udžbenika, sa jasnom nakanom da ti režim pokaže da ti je mjesto među otpadnicima i kužnima. Ja sam, naime u prvom razredu gimnazije iskusio čari prve generacije kojoj su uveli crkvu u javne škole i moram priznat da sam, ne bez ponosa, spadao u onih 8 (osam) ljudi iz dva spojena razreda, koji su odbili biti dio stada, dok je ostalih šezdeset i nešto ljudi bilo na drugoj strani. Svih tih godina sdp, koji je trebao biti taj koji će nešto odgovoriti, uporno je šutio, na prvu crtu gurnuo Zdravka Tomca, isključio sve intelektualce iz partije i reklamirao se pod sloganom Sdp - važna kockica u mozaiku hrvatske demokracije. Kakav dosljedan luzerski i domobranski pristup partije izrasle na revolucionarnoj tradiciji.

Da to nije bio samo taktički ustupak postalo je definitivno jasno svih kasnijih godina, pa i danas, kada je sdp postao vodeća stranka u zemlji, dok su ideje ljevice i jasna osuda fašizma devedesetih poispadali negdje po putu, Račanovom direktivom. Ništa ta partija nije rekla o progonima građana srpske nacionalnosti u gradovima, o sveopćoj pljački, niti o devastaciji antifašističkih spomenika. Sve su to prekrili ruzmarin, snjegovi i šaš. U tom sveopćem ništavilu, javno pastoralne, a iznutra najmračnije Hrvatske, jedinu svijetlu točku predstavljao je Feral Tribune, zahvaljujući kojem smo svi skupa vidili da nismo sami i da taj naš jedinstveni kulturni prostor i dalje postoji. Sve da su u njemu pisali i najnetalentiraniji autori na svijetu, a znamo da nisu, zavrijedio je postati nezaobilazna kulturna činjenica. I tada se, odjednom ukazao Stipe Šuvar. Čovjek koji se nije libio stati iza svog stava, niti ga je mijenjao.

Onaj isti kome su skandirali na stadionima, da bi kasnije gazili autima i premlaćivali u restoranima. Naravno da sam odmah otišao u srp, čim sam došao na studij u Zagreb te sam se svih tih pet godina, nekad više, nekad manje, redovito viđao sa Stipom Šuvarom, slušao njegove ekspozee i uživao u tom nadrealnom svijetu koji se sastajao u prostranom stanu u Palmotićevoj ulici. Svega je tu bilo: starih partizana, razočaranih idealista, obespravljenih Srba, Stipinih zemljaka Imoćana, vrhunskih intelektualaca, poput Matvejevića i sjajnih novinara. Svi su oni iz raznih razloga dolazili u tih par zadimljenih prostorija koje su vonjale na lošu rakiju, dim jeftinih cigareta i tursku kavu, a Stipe je uvijek isti, pun posla, sitnim rukopisom ispisivao stranice i stranice tekstova i uključivao se u razgovore kad bi mu se tema svidila pa bi s nogu održao takvo predavanje, koje bi te bacilo s nogu.

Nije sada mjesto da pišem o stranačkom raskolu i tome koliko ga je to pogodilo, njegovoj iznenadnoj smrti koja je došla tijekom tih previranja i općenito svim ljudskim niskim strastima i dnevnoj politici. Zadnji put sam nazvao taj telefon u Palmotićevoj dva dana prije njegove smrti, a s druge strane čuo sam rastrojenog i izdanog čovjeka, intelektualca kojeg je vrijeme natjeralo da se bavi birokratskim zavrzlamama i u naponu snage gleda kako gaze po nečemu u što je toliko vjerovao, nešto što je omogućilo njemu, težačkom djetetu iz Zagvozda da doktorira sociologiju, postane ministar kulture i član Predsjedništva SFRJ. Zauvijek će ostati upamćen njegov gordi i cinični odgovor Vladimiru Šeksu, koji ga je na primopredaji dužnosti pokušao isprovocirati, a meni će biti žao što je tako rano otišao i što onaj zadnji razgovor nije mogao trajati vječno. Hrvatskoj je ostavio novu zgradu Nacionalne i sveučilišne knjižnice u Zagrebu, Mediteranske igre u Splitu, Muzej hrvatskih arheoloških spomenika u Splitu, Muzej Mimara u Zagrebu i rukopis memoara za koje je stalno govorio da će ih nazvati „Za sve su mi krivi Hrvati i Srbi“. Da, ostavio je i poštenje i čist obraz, ako nekome to još nešto znači.

Na današnji dan, 29. 06. 2004. godine umro je Stipe Šuvar, možda i posljednji čovjek koji je vjerovao i kojem sam vjerovao.




La Libia che ha voluto Giorgio Napolitano

1) Patto segreto tra Italia e Libia contro i migranti. La denuncia di A.I.
2) La Libia che ha voluto Giorgio Napolitano
3) La Nato: un aiuto per le locuste in Sahel
4) La Libia tribale come un videogioco di stragi: centinaia di vittime alla settimana


LINK: Fotografie della pulizia etnica dei neri nella nuova Libia razzista

mediapart.fr 27/06/2012: "En Libye, les geôles pour migrants de l'après Kadhafi"

... Le « nettoyage du pays des illégaux » est considéré comme un diktat révolutionnaire, en rupture avec l'image que vantait Kadhafi de l'amitié avec les Africains...

http://www.mediapart.fr/content/en-libye-les-geoles-pour-migrants-de-lapres-kadhafi


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LINKS:

La Stampa: Accordo Italia-Libia - documento

L'unità: Accordo Libia- Italia sui respingimenti: Scoppia la polemica

Stranierinitalia.it 19/06/2012: "Italia-Libia. Il testo del nuovo accordo sull’immigrazione"
http://www.stranieriinitalia.it/attualita-italia-libia._il_testo_del_nuovo_accordo_sull_immigrazione_15386.html

Stranierinitalia.it 19/06/2012: "Accordo Italia-Libia. Amnesty: "Diritti umani a rischio"
http://www.stranieriinitalia.it/attualita-accordo_italia-libia._amnesty_diritti_umani_a_rischio_15395.html

Asca.it 19/06/2012: "Immigrati: Terzi, patto Italia-Libia rispetta convenzioni Onu"
http://www.asca.it/news-Immigrati__Terzi__patto_Italia_Libia_rispetta_convenzioni_Onu-1167208-ATT.html

CRONACHE DI ORDINARIO RAZZISMO.IT : Italia-Libia: la politica non cambia rotta
http://www.cronachediordinariorazzismo.org/2012/06/italia-libia-la-politica-non-cambia-rotta

Corriere immigrazione 21/06/2012: "Nuove e vecchie intese tra Italia e Libia. Mentre continua l'embargo stampa"
http://corriereimmigrazione.blogspot.it/2012/06/nuove-e-vecchie-intese-tra-italia-e.html

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arcireport
anno X - n. 22
19 giugno 2012

Secondo Amnesty l’accordo Italia-Libia sull’immigrazione mette a rischio i diritti umani

Un nuovo accordo per fermare i migranti in partenza per l'Italia sarebbe stato firmato lo scorso aprile tra il nostro governo e la Libia. La denuncia è di Amnesty International, secondo la quale l'intesa dà alle autorità italiane il diritto di respingere i migranti in Libia senza alcuna forma di protezione umanitaria. Una palese violazione della Convenzione europea sui diritti umani, un accordo che non tiene conto della situazione di persone in fuga da un Paese appena uscito da 40 anni di regime e da una guerra sanguinosa e che quindi potrebbero configurarsi come profughi e richiedenti asilo. «L'Italia – secondo Amnesty - nella migliore delle ipotesi ha ignorato la terribile situazione dei migranti. Nella peggiore si è mostrata disponibile a passare sopra gli abusi dei diritti umani in nome del proprio tornaconto politico interno ». A sottoscriverlo con il Cnt sarebbe stato il Ministro Cancellieri durante una visita a Tripoli. Ma i contenuti non sono ancora stati resi noti, nonostante le ripetute sollecitazioni. Secondo lo scarno comunicato stampa emesso allora «l'accordo prevede collaborazione contro le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico dei migranti, nella formazione delle forze di polizia, per il controllo delle coste e il rafforzamento della sorveglianza delle frontiere libiche, per favorire il rientro volontario dei migranti nei paesi di origine».
«Attualmente – continua Amnesty - non è dato di sapere se, come sostiene il Cnt, siano ancora in vigore gli accordi del 2008 sottoscritti da Berlusconi con Gheddafi che prevedevano respingimenti in mare, peraltro condannati dalla Corte Europea di Strasburgo, oppure se un nuovo corso sia stato dato dal Governo in carica».
In una situazione ancora caotica, ogni collaborazione in materia di controllo dell'immigrazione sarebbe impossibile. «Nel Paese - dice l’organizzazione - mancano le minime garanzie nei confronti dei diritti e delle libertà fondamentali e la situazione dei migranti in partenza è peggiore che ai tempi del regime perché i centri di detenzione sono nelle mani delle milizie». La denuncia si estende anche ad altri Paesi dell'Unione accusati di anteporre la lotta all'immigrazione clandestina alla tutela della vita umana.

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Il patto segreto tra Italia e Libia per fermare i migranti


Scritto da Redazione il 15 June 2012 in AsiloNotizie e appuntamenti

di Monica Ricci Sargentini

Un nuovo accordo tra l’Italia e la Libia sull’immigrazione è stato firmato in gran segreto il 3 aprile scorso dalla ministra dell’Interno Annamaria Cancellieri e il leader del Consiglio nazionale  di transizione Mustafa Abdul Jalil che è al potere nel Paese nordafricano dopo la caduta del colonnello Muhammar Gheddafi. Lo denuncia Amnesty International in un rapporto pubblicato oggi a Bruxelles dal titolo “Sos Europe” sull’impatto dei controlli in materia di immigrazione sui diritti umani. ”Nonostante le rimostranze di Amnesty International e altri gruppi sulle violazioni dei diritti umani – è scritto nel documento -il 3 aprile del 2012 l’Italia ha firmato un nuovo accordo con la Libia per limitare il flusso dei migranti. I termini dell’accordo non sono stati resi noti. Un comunicato stampa si limitava a dare la notizia senza fornire ulteriori dettagli sulle misure decise o denunciare la terribile situazione di migranti e rifugiati nel Paese” (nella foto sopra un somalo in un campo profughi).

Già all’indomani della visita effettuata a Tripoli da Cancellieri, Amnesty International Italia aveva scritto al ministro dell’Interno  rinnovando le preoccupazioni per lo sviluppo degli accordi tra Italia e Libia, in considerazione della negativa situazione dei diritti umani nel paese nordafricano, con particolare riferimento ai maltrattamenti di migranti subsahariani, ritenuti collettivamente, assieme ai libici di pelle nera, lealisti pro-Gheddafi o sanzionati da uno status d’immigrazione irregolare. Nella lettera, Carlotta Sami, direttrice di Amnesty International Italia, chiedeva alla ministra di rendere pubblico il testo dell’accordo ricordandole le assicurazioni ricevute nel corso di un incontro il 15 marzo scorso circa la trasparenza delle negoziazioni.

Secondo Amnesty l’intesa dà alle autorità italiane il diritto di respingere i migranti e rispedirli in Libia. Ma questi termini rappresentano una violazione della Convenzione europea sui diritti umani perché non contengono le tutele adeguate per chi fugge dalla sua patria: “L’Italia – si legge nel rapporto -, nella migliore delle ipotesi, ha ignorato la terribile situazione dei migranti. O, nella peggiore delle ipotesi, si è mostrata disponibile a passare sopra agli abusi dei diritti umani in nome del proprio tornaconto politico interno”. Nel 2011, si legge nell’ultimo rapporto sui diritti umani di AI,  almeno 1500 persone sono affogate tentando di raggiungere l’Europa e quelli che sono riusciti a traversare il mare non hanno di certo trovato una calda accoglienza.

E’ noto che i rifugiati dall’Eritrea o dalla Somalia rischiano di subire abusi e persino torture una volta rientrati a Tripoli. Molti di loro vengono accusati di aver lavorato comemercenari per le truppe pro-Gheddafi.  Lo scorso febbraio la Corte Europea dei diritti umani aveva condannato l’Italia per i respingimenti in mare. La sentenza riguardava il caso  Hirsi Jamaa e altri, ossia il ritorno forzato in Libia nel 2009 di 11 somali e 13 eritrei (insieme ad altre 200 persone) a bordo di navi italiane. I migranti non avevano avuto alcuna possibilità di presentare richiesta di protezione. L’Italia aveva sostenuto che l’operazione era un salvataggio e che gli accordi bilaterali con il Paese avevano dei precedenti nel diritto internazionale. Ma per la Corte chiunque salga a bordo di una nave italiana deve essere soggetto alla Convenzione dei diritti umani. Al tempo il governo Monti aveva accettato la sentenza e si era impegnato al “rispetto assoluto dei diritti umani e alla salvaguardia della vita degli uomini in mare”.

Secondo Amnesty International al momento è impossibile “una qualsiasi collaborazione con la Libia in materia di controllo dell’immigrazione, giacché nel paese mancano anche le minime garanzie nei confronti dei diritti e delle libertà fondamentali”.

L’Ong ha già chiesto più volte al governo italiano che:

  • qualsiasi forma di cooperazione con la Libia abbia come presupposto un miglioramento dei diritti umani nel paese, sia trasparente e subordinata all’impegno e alla capacità delle due parti di rispettare appieno i diritti umani di richiedenti asilo, rifugiati e migranti, e risulti in linea con il diritto internazionale dei diritti umani e il diritto internazionale dei rifugiati;
  • il governo utilizzi i propri rapporti diplomatici privilegiati con la Libia per chiedere alle autorità di Tripoli di stabilire al più presto la base legale della presenza dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati in Libia, attraverso un memorandum d’intesa che consenta lo svolgimento di attività di protezione quali registrazione, determinazione dello status di rifugiato e visita ai luoghi di detenzione; fermare le uccisioni illegali e altri attacchi violenti; porre fine agli arresti e alle detenzioni arbitrarie; prevenire la tortura e altri trattamenti disumani e degradanti; ripristinare lo stato di diritto, anche combattendo il razzismo e la xenofobia e attuando un processo di disarmo e di smantellamento degli organismi responsabili delle violazioni dei diritti umani.

Ora si attende la risposta del premier Monti e della ministra Cancellieri.

Fonte: lepersoneeladignita.corriere.it

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"Per i suoi interessi interni, l’Italia ha condonato gli abusi su migranti, rifugiati e richiedenti asilo". Il rapporto S.O.S. Europe sull’esternalizzazione del controllo dell’immigrazione
 

Roma – 13 giugno 2012 - “Quando l’Italia ha stretto accordi con la Libia, il governo sapeva o avrebbe dovuto sapere che in Libia migranti irregolari, rifugiati e richiedenti asilo erano soggetti a detenzioni arbitrarie e prolungate, pestaggi e altre violazioni dei diritti umani”. Anche l ’accordo dell’aprile del 2012 con le nuove autorità del Paese è stato siglato nonostante sia di dominio pubblico che “le violazioni continuano e sono ampiamente diffuse e che in Libia non ci sono ancora norme per la determinazione dello status di rifugiato”.

È l’ atto di accusa lanciato da Amnesty International nel rapporto "SOS Europe", pubblicato oggi e dedicato all'impatto sui diritti umani dell’”esternalizzazione” del controllo dell’ immigrazione, l’affidare cioè ai Paesi di partenza o di transito il compito di fermare i flussi, con accordi che troppo spesso rimangono segreti. L’organizzazione umanitaria  chiede ai governi e alle istituzioni dell’ Ue di non mettere più a rischio la vita di chi cerca di varcare le frontiere europee.

“Per l'Ue, il rafforzamento delle frontiere europee è chiaramente prevalente sul salvataggio delle vite umane. Nel tentativo di stroncare la cosiddetta immigrazione irregolare, i paesi europei hanno rafforzato misure di controllo delle frontiere oltre i loro confini, senza riguardo per i costi umani. Queste misure, di cui l'opinione pubblica non è informata, pongono le persone in serio pericolo" ha dichiarato Nicolas Beger, direttore dell'Ufficio di Amnesty International presso le Istituzioni europee.

Nel 2011 – sottolinea l’organizzazione  - almeno 1500 uomini, donne e bambini sono annegati nel Mediterraneo mentre cercavano di raggiungere l'Europa. Alcune di queste morti avrebbero potuto essere evitate. I soccorsi ritardati significano perdita di vite umane. In diverse occasioni, l'Italia ha respinto persone verso la Libia, paese in cui sono state poi arrestate e sottoposte a maltrattamenti. In un contesto nel quale trasparenza e controlli sono scarsi, le violazioni dei diritti umani lungo le coste e le frontiere europee finiscono spesso per rimanere impunite.

Nel rapporto  l’Italia ha un ruolo da protagonista, per le conseguenze che l’accordo con la Libia ha avuto sulla vita di migliaia di persone.

Anche se sono note quelle dei respingimenti ai tempi di Gheddafi, Amnesty fa notare che il segreto sui nuovi accordi siglati ad aprile non garantisce che verranno affrontate le attuali gravi violazione dei diritti umani.  “Nel migliore dei casi – si legge in Sos Europe – L’Italia ha ignorato la grave situazione di migranti, rifugiati e richiedenti asilo, nel peggiore ha mostrato di voler condonare gli abusi sui diritti umani pur di soddisfare i suoi interessi politici interni”.

Nelle conclusioni del rapporto si raccomanda quindi al governo italiano di sospendere gli accordi con la Libia e di non stringerne altri finchè il paese nordafricano non dimostrerà che rispetta e protegge i diritti umani di rifugiati, richiedenti asilo e migranti e che ha messo in piedi un sistema soddisfacente per valutare e accogliere le richieste di protezione internazionale.  Si chiede inoltre che vengano resi pubblici tutti gli accordi bilaterali stretti dal nostro Paese sul controllo dell’immigrazione.

A tutti i paesi europei e all’Ue, l’organizzazione raccomanda di assicurare che le loro politiche e pratiche di controllo dell’immigrazione non causino, contribuiscano o traggano benefici da violazione dei diritti umani. Gli accordi dovrebbero prevedere clausole di salvaguardia in questa direzione ed essere pubblici. Quando si intercettano migranti in mare, bisognerebbe puntare innanzitutto al loro salvataggio e garantire valutazioni persona per persona, compresa l’opportunità di chiedere asilo.


Scarica
Amnesty International. S.O.S. Europe. Human rights and migration control (in inglese)



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LA LIBIA CHE HA VOLUTO GIORGIO NAPOLITANO



Su La Stampa del 29 giugno, si legge:
“Nel caotico dopo-Gheddafi gli islamisti si preparano a prendere il potere in Libia”. “In tutto il paese si registrano scontri armati. Bengasi da culla della Rivoluzione è diventata regno della paura controllato soprattutto dagli integralisti, con agguati e sparatorie (...) Gli islamisti si sentono i padri e i martiri della Rivoluzione e non sanno cosa sia il rispetto delle regole, delle leggi, dello Stato. Qualsiasi contrasto i bengasini lo risolvono con l’uso della forza (...) Oggi nel paese regna il caos (...) La Libia è una polveriera, non c’è polizia e l’esercito nazionale, lasciando alle milizie il pieno controllo del territorio“.
Questa è la Rivoluzione che ha avuto gli auspici di Napolitano e del Pd, nel silenzio generale. Il 26 aprile 2011 Napolitano dichiarava: L’ulteriore impegno dell’Italia in Libia costituisce il naturale sviluppo della scelta compiuta dall’Italia a marzo, secondo la linea fissata nel Consiglio supremo di difesa da me presieduto e quindi confortata da un ampio consenso del parlamento. (http://www.repubblica.it/ultimora/24ore/NAPOLITANO-LIBIA-BOMBARDARE-NATURALE-SVILUPPO/news-dettaglio/3958676)


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La Nato: un aiuto per le locuste in Sahel

Marinella Correggia
27 giugno 2012
 
Gli eventi libici del 2011 hanno regalato una grande libertà di movimento alle locuste del deserto, che stanno scendendo a fare terra bruciata in paesi saheliani già attanagliati dalla penuria alimentare e dai conflitti. Dopo il cambio di regime e l’attuale caos, nessuno più in Libia si occupa di controllare questa piaga come avveniva prima. Ecco un altro dei danni collaterali che la guerra Nato in Libia ha procurato ai paesi dell’Africa occidentale, i quali hanno oltretutto visto rientrare in patria dalla Libia centinaia di migliaia di lavoratori.
Ma che cosa succede? Ce lo spiega il funzionario della Fao Keith Cressman, che si occupa proprio del monitoraggio e della prevenzione relativo alle locuste. Il cui luogo d’origine è localizzato nelle aree meridionali dell’Algeria e della Libia (dalle parti di Ghat); una volta adulte migrano grazie ai venti verso il nord del Niger (Arlit, Agadez, montagne Air, pianure Tamesna e altipiani Djada), ed eventualmente verso il nord del Mali (Kidal e Gao), verso il nord-ovest del Ciad (Borkou, Ennedi, Tibesti) e verso la Mauritania.  Possono anche spostarsi nella parte meridionale di quei paesi, viaggiando a una velocità di 100-200 chilometri al giorno...Solo i venti contrari arrestano queste legioni mortali impedendo loro di arrivare ancora più a sud.
La loro presenza era già segnalata in Libia e in Algeria dopo le inusuali piogge di ottobre e novembre 2011, che le avevano aiutate a crescere in fretta. Adesso sono arrivate nel nord del Niger e del Sahel, nelle zone dove si sono verificate piogge precoci e dove dunque c’è già vegetazione sufficiente ai loro bisogni e alla loro riproduzione. Sciami di giovani e voracissime locuste possono azzerare la stagione della semina che si apre in Sahel. Se le (pur auspicabili) piogge continuano e le locuste non sono fermate, potrebbero avere una seconda generazione nei prossimi mesi; in ogni generazione il loro numero si moltiplica per sedici. E procederebbero verso sud, verso aree ben più coltivate.
Nel nord del Niger sono già segnalati danni alle palme da datteri e a piccole aree coltivate. Le locuste sono pronte a deporre le uova, che dopo quindici  giorni si schiuderanno.
La Fao ha lanciato un appello ai donatori ottenendo flebili risposte per ora. I paesi colpiti hanno in realtà team esperti in grado di fermare le locuste. Però, oltre ai finanziamenti, debbono poter ottenere rapidamente le segnalazioni dalle popolazioni locali, e poi accedere alle aree. Il governo del Niger ha squadre attrezzate le quali, certo con pochi mezzi, possono andare sul posto (ma con scorta armata...) e intervenire distruggendo uova e adulti. Il problema è che occorre far presto. Ma in Mali non si potrà. Perché proprio in quell’area ci sono scontri (post-guerra libica anch’essi) e le squadre di Bamako né possono andare né possono avere informazioni...Operare là è difficile da qualche anno ma ora appare impossibile.
Oltre alle (peraltro auspicabili) precoci piogge e al conflitto in Mali , qual è il fattore che ha tanto aiutato le locuste? Come dicevamo, la guerra Nato alla Libia; anche se la Fao parla solo di “recenti eventi in Libia”. Perché in anni normali, Algeria e Libia sarebbero state capaci di controllare le popolazioni di locuste sui loro territori impedendo loro di muoversi verso Sud. In particolare la Libia destinava squadre di tecnici formati, macchine e parecchio denaro al monitoraggio e al trattamento. Mandava anche squadre e denaro ad altri paesi africani a questo scopo, precisa il funzionario della Fao. Adesso è tutto smantellato, nessuno se ne occupa, e i team e i loro mezzi sono spariti da qualche parte.
Le locuste dalle ali d’acciaio aiutano le locuste con le zampe


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Scritto da RT.com
Venerdì 22 Giugno 2012

da RT.com

Gli scontri tra fazioni in guerra si stanno infiammando nella Libia occidentale. Tribù che una volta sostenevano insieme la rivolta nel paese stanno ora combattendo tra loro e contro le tribù rivali filo-Gheddafi - tutto sullo sfondo di armi disponibili gratuitamente. L’addetto stampa del governo libico Nasser al-Manaa ha riferito che gli scontri tra tre tribù dei villaggi Az Zintan, Mizda e Al-Shegaiga hanno provocato almeno 105 morti e oltre 500 feriti appena la scorsa settimana. È stato riferito che il conflitto si sarebbe acceso per via di una striscia di terra rioccupata da una delle tribù. Al-Manaa ha rivelato che la violenza è stata fermata solo dopo che una presenza militare del governo è stata stabilita nella regione. Il numero di morti e feriti in Libia è paragonabile al conteggio dei caduti che si fa per la Siria e a seguire la retorica dell’Onu, la violenza in corso in Libia assomiglia sorprendentemente a una guerra civile (tribale).

Il tribalismo è una sfida datata per la Libia, e da sempre la minaccia in termini di stabilità e sicurezza. Il leader di un tempo, il colonnello Muammar Gheddafi, era riuscito a frenare molti conflitti tribali nel corso dei 42 anni del suo governo, spesso usando la forza. Quando esplose una ribellione armata tribale, nel 2009, Gheddafi ha dovuto usare l’aeronautica per portare i ribelli sotto controllo.

Sostenuta dall'estero, una rivolta contro Muammar Gheddafi iniziò nel febbraio 2011. Gravi scontri tra ribelli e sostenitori di Gheddafi sono durati fino al 20 ottobre, quando il colonnello Gheddafi fu linciato da una schiera inferocita nei pressi della città di Sirte dopo che i ribelli avevano preso il controllo della capitale Tripoli.

Scomparso Gheddafi, il Consiglio nazionale di transizione che è giunto al potere si trova ad affrontare gli stessi pericoli del precedente regime. Il CNT ha a che fare con tribù irrequiete che approfittano della posizione instabile del governo centrale per conquistare i territori dei gruppi vicini più deboli.

Quando la situazione si fece difficile, il colonnello distribuì ben un milione di fucili d'assalto Kalashnikov tra coloro che esprimevano almeno un minimo di adesione nei confronti del regime. E questo numero è solo una frazione di quanto è stato in seguito sottratto dagli arsenali militari devastati.

La Libia sembra essere così tanto sommersa di armi, in questo momento, che perfino i nipoti dei combattenti di oggi avranno abbastanza mitragliatori con il caricatore a forma di banana da usare per regolare i conti negli anni a venire.

 
 

Fonte: http://www.rt.com/news/libya-tribal-clashes-war-350/

Traduzione per Megachip a cura di Daniela Rombia