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Quale loggia copre gli assassini di Piazza della Loggia

<< Il quadro che emerge da tutte le inchieste (...) chiama direttamente in causa nella strategia delle stragi i servizi segreti militari USA più che la CIA. In particolare gli apparati di stanza nella base del comando FTASE di Verona, i quali attraverso i loro agenti italiani (Digilio, Minetto, Soffiatti) agivano in modo coordinato con le cellule neofasciste di Ordine Nuovo e con gli apparati dello stato italiano nella “guerra sul fronte interno” contro i comunisti, i sindacati e i settori della DC recalcitranti a trasformare la “guerra fredda in guerra civile”. L’amerikano supervisore della rete degli uomini neri ha un nome - Joseph Longo - ed è l’agente che cooptò nella guerra di bassa intensità anche alcuni criminali nazisti come Karl Hass... >>

1) Tutti assolti per la strage di Brescia. Perchè la cosa non riesce a sorprenderci? (www.contropiano.org)
2) Sentenza per la strage di Brescia e complicità USA con i criminali nazisti. In Italia troppi finti tonti (Rete dei Comunisti)
3) PIAZZA LOGGIA: PARTI CIVILI PRONTE A APPELLO, STATO HA DEPISTATO (AGI)


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Tutti assolti per la strage di Brescia. Perchè la cosa non riesce a sorprenderci?

di redazione*

Non esiste nessuno stato al mondo in cui una strage di cittadini inermi sia, dopo 36 anni, ancora impunita. Nessuna democrazia, almeno.

Nell'Italia del dopoguerra, invece, tutte le stragi sono rimaste senza colpevoli. Fa eccezione solo quella di Peteano, tre carabinieri uccisi il 31 maggio 1972, grazie a una circostanza irripetuta: l'esecutore materiale - il fascista Vincenzo Vinciguerra – si costituì, ricostruendo nei dettagli la trappola omicida.

Non ci stupisce dunque che il terzo processo per la strage di Piazza della Loggia, a Brescia, 28 maggio 1974, abbia visto concludere il primo grado con l'assoluzione di tutti e cinque gli imputati con una formula equivalente alla vecchia “insufficienza di prove”.

Anzi, ne eravamo praticamente certi. Questo Stato, allora, non aveva sciolto la sua continuità con gli apparati repressivi del fascismo, riciclati in funzione anticomunista dai servizi segreti Usa. Il principale “bombarolo” dei gruppi neo fascisti, Carlo Digilio, ha confessato di esser stato sia un neonazista di Ordine Nuovo che un agente statunitense. Preparando tra l'altro la bomba esplosa in Piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre 1969, di cui era già stata pianificata l'accusa agli anarchici.

Questa parte dello Stato non ha subito mai alcuna riforma effettiva. E' una semplice dependance delle varie agenzie Usa. E la magistratura, quando è stata chiamata a dire una parola chiara sulle stragi, ha sempre preso atto – senza troppe angosce - che esisteva una sovranità superiore, sovraordinante. E intangibile. Ricordiamo che che persino uno degli “eroi” di Tangentopoli, l'attuale senatore Pd Gerardo D'Ambrosio, chiuse le indagini sull'uccisione del ferroviere Giuseppe Pinelli all'interno della questura di Milano sentenziando che era precipitato da una finestra del quarto piano a causa di un “malore attivo” sconosciuto alla scienza medica.

Non esiste infine nessuno Stato che mantenga o imponga, dopo oltre 30 anni, il “segreto di stato” su fatti di questo genere. Indipendentemente dalle coalizioni politiche, anche teoricamente “opposte”, che hanno guidato il governo.

Non ci sono parole abbastanza dure per qualificare uno Stato che, per conservare il potere di una classe dirigente in crisi o incapace, uccide a casaccio i propri cittadini, pretendendo per questo l'impunità. E ogni “assoluzione” in un processo di strage ci ricorda che, dietro la maschera della democrazia, questo potere minaccia il presente e il futuro di questo sventurato popolo. Questa è la realtà da cambiare.

www.contropiano.org 


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Sentenza per la strage di Brescia e complicità USA con i criminali nazisti. In Italia troppi finti tonti


Di fronte all'ennesima sentenza che manda assolto il consorzio tra fascisti, servizi segreti e carabinieri accusati della strage di piazza della Loggia a Brescia, non si possono che ribadire  due tesi fondamentali:

1) la verità giudiziaria sulla stragi (Piazza Fontana, Brescia, treno Italicus, Bologna, treno 204)  è ormai depotenziata da ogni possibile conclusione coerente mentre è possibile, doveroso e necessario praticare il terreno della verità storica e politica che restituisca il senso della realtà a quanto accaduto. 

2) C’è una continuità ideologica, politica, morale tra la rete degli “uomini neri”  - che concepì e realizzò la strategia delle stragi e della Guerra di Bassa Intensità contro la sinistra in Italia - con il blocco reazionario che oggi ancora gestisce il potere nel nostro paese. E’ altrimenti difficile spiegarsi l’odio di classe e l’anticomunismo viscerale che continua a ispirare le azioni del governo in carica, il clima di vendetta che permea quelle forze che da decenni impediscono con campagne di criminalizzazione politica, mediatica e giudiziaria ogni tentativo di spiegare storicamente il conflitto di classe degli anni ’70, la “beatificazione” e la cooptazione e dei neofascisti in tutti gli ambiti interni o collaterali alle forze di governo. E' una continuità che vorrebbe sancire una vittoria della storia contro le forze della sinistra di classe che in Italia si opposero frontalmente alla strategia stragista e alla guerra di bassa intensità.

Il quadro che emerge da tutte le inchieste sul mattatoio scatenato nelle piazze, sui treni, nelle stazioni o nelle banche negli anni '70, chiama direttamente in causa nella strategia delle stragi i servizi segreti militari USA più che la CIA. In particolare gli apparati di stanza nella base del comando FTASE di Verona, i quali attraverso i loro agenti italiani (Digilio, Minetto, Soffiatti) agivano in modo coordinato con le cellule neofasciste di Ordine Nuovo e con gli apparati dello stato italiano nella “guerra sul fronte interno” contro i comunisti, i sindacati e i settori della DC recalcitranti a trasformare la “guerra fredda in guerra civile”. L’amerikano supervisore della rete degli uomini neri ha un nome - Joseph Longo - ed è l’agente che cooptò nella guerra di bassa intensità anche alcuni criminali nazisti come Karl Hass (con cui Longo si è fatto anche fotografare insieme in un matrimonio). 

Salutiamo positivamente il fatto che - assai tardivamente - il New York Times pubblichi i documenti ufficiali che confermano quanto denunciato da anni sulla protezione e il reinserimento che i servizi segreti USA hanno garantito ai criminali nazisti per utilizzarli nella guerra fredda e nella lotta anticomunista in Europa e nel resto del mondo. Ai più distratti, vogliamo ricordare che la "rat line" (il sentiero dei topi) gestita da servizi segreti USA e Vaticano per mettere in salvo i nazisti in Spagna, America Latina e Stati Uniti, aveva come snodo proprio il porto italiano di Genova. Così come vogliamo ricordare che se Verona è stata e continua ad essere il "cuore nero" del nostro paese è anche perchè tra Verona e Vicenza c'è un alta densità di basi militari USA/NATO.

L'inchiesta del giudice Salvini ha portato alla luce tutto o gran parte di quello che c’era da sapere dietro e dopo la strage di Piazza Fontana sul piano giudiziario. Lo stesso hanno fatto i magistrati di Brescia riaprendo l'inchiesta sulla strage di Piazza della Loggia (riaperta proprio grazie ad una derivazione dell'indagine milanese di Salvini).  Ma la sentenze giudiziarie per un verso e la complice inerzia della politica dall’altro (inclusi i partiti della sinistra eredi del PCI), hanno scientemente perseguito l’obiettivo di lasciare impunite le stragi di Stato e di depistare l'attenzione su mille piste diverse che hanno confuso quella giusta. La verità sui mandanti delle stragi era e rimane scomoda per il potere democristiano e per l’opposizione del PCI che allora scelse il compromesso storico con la DC e la subalternità agli USA e alla NATO. Quando nel primo governo Prodi (1996-2001) con la nomina di Giorgio Napolitano a Ministro degli Interni ci fu la speranza e la possibilità di fare chiarezza, prevalse invece la decisione di lasciare la verità sulle stragi seppellita negli archivi e in sentenze assolutorie. Di questo occorre essere consapevoli e da questo occorre partire per una battaglia di verità storica e politica sulle stragi fasciste e di stato che non deve e non può fare sconti a nessuno.

La Rete dei Comunisti



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PIAZZA LOGGIA: PARTI CIVILI PRONTE A APPELLO, STATO HA DEPISTATO


17:19 18 NOV 2010 

(AGI) - Brescia, 18 nov. - "La citta' non smette di chiedere giustizia e continuera' anche in appello la sua battaglia legale per accertare la verita' giudiziaria di una strage che porta la firma dell'eversione di destra e di un pezzo di Stato connivente". E' questo il messaggio emerso oggi da una conferenza stampa alla Casa delle Memoria di Brescia, dove si e' commentata la sentenza di assoluzione giunta martedi' al termine del processo di primo grado per la strage di piazza Loggia. Una sentenza che ha decretato l'assoluzione dei cinque imputati, Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, Pino Rauti e Francesco Delfino ai sensi dell'articolo 530 secondo comma, dunque per insufficienza di prove. Le parti civili - tra loro anche sindacati e Comune - hanno mostrato la volonta' di non arrendersi. Il parere condiviso e' che "non si e' trattato di un processo storico, ne' inutile: le responsabilita' penali c'erano. La corte ha riconosciuto la presenza di elementi di prova, anche se insufficienti - ha detto Michele Bontempi, del collegio difensivo -. Certo la grande mole di atti non ha contribuito a fare luce. Ora procederemo a riorganizzare in sequenza logica tutte le prove, cosi' da prepararle per i giudici d'appello. La sentenza, avendo equiparato posizioni diverse con la formula assolutoria, mostra elementi di debolezza che impugneremo". E ancora: "Il vero responsabile di questa sentenza e' lo Stato, i cui funzionari hanno iniziato dal luglio 74 una sistematica attivita' di depistaggio che forse si e' perpetuata aanche nel corso di questo processo".




A PROPOSITO DI “MARTIRI DELLE FOIBE”.
 
Dopo tanti anni da quando ho iniziato a fare ricerca storica sulle foibe (cioè dal 1995), dopo tutta la documentazione che ho analizzato e tutte le cose che ho pubblicato (e che nessuno storico serio, finora, ha smentito), quando sento ancora parlare di diecimila “infoibati”, di migliaia di “martiri delle foibe”, non so se mi sento più arrabbiata o più demoralizzata. Perché, mi domando, una ricerca storica seria deve venire snobbata, ignorata, vilipesa, mentre si prosegue a parlare a sproposito di certi argomenti, solo per mantenere viva la propaganda anticomunista ed antijugoslava, sostanzialmente per rivalutare il fascismo?
Così, su segnalazione del Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma, che ha elevato una protesta riguardo all’intitolazione in quella città di una via ai cosiddetti “martiri delle foibe” (termine che per la sua genericità e vaghezza di definizione necessiterebbe di un’analisi di svariate pagine, ma su cui tornerò più avanti), sono andata a vedere il forum di Alicenonlosa (http://www.alicenonlosa.it/aliceforum/) e di fronte a tanta (peraltro spocchiosa e saccente) ignoranza relativamente ai fatti storici di cui si pretende di parlare, mi sono davvero cadute le braccia.
Leggere di “almeno diecimila” infoibati, di “compagni del CLN” gettati nelle foibe, di paragoni tra Tito e Pol Pot, così come insulti al presidente Pertini, e citazioni fuori tema su Goli Otok (che fu campo di prigionia, orribile fin che si vuole, ma destinato ad oppositori interni e non c’entra per niente con le “foibe”), il tutto per rispondere all’equilibrata e documentata presa di posizione del Comitato antifascista e per la memoria storica mi ha fatto riflettere sul senso che ha cercare di fare ricerca storica circostanziata se poi quello che continua ad essere diffuso sono stereotipi di falsità e propaganda.
Uno dei vari anonimi polemisti, quello che cita i “compagni del CLN” infoibati, dopo avere parlato di “diecimila” vittime, fa i seguenti nomi: Norma Cossetto, i sacerdoti don Bonifacio e don Tarticchio, le tre sorelle Radecchi, i tre componenti della famiglia Adam. Nove persone. Punto. Dove don Tarticchio, Norma Cossetto e le tre sorelle Radecchi furono uccisi nel settembre 1943 in tre distinte località dell’Istria nel corso del conflitto; don Bonifacio scomparve nel 1946 e non si sa che fine abbia fatto, ma visto che è scomparso nel nulla, dice la propaganda, ovviamente è stato “infoibato”; la famiglia Adam, di Fiume, che faceva parte del CLN filo italiano che nell’estate del 1945, quando Fiume era passata sotto sovranità jugoslava operava per riannettere la città all’Italia, in barba a tutti gli accordi tra Alleati, fu arrestata appunto per questa attività eversiva, e non vi è prova che qualcuno dei tre sia stato “infoibato”.
Ed i “compagni” del CLN di cui parla l’Anonimo (diamogli una dignità di nome proprio con un’iniziale maiuscola) chi sarebbero? Non certo coloro (una ventina) che furono arrestati durante l’amministrazione jugoslava di Trieste perché organizzavano attentati dinamitardi contro l’autorità esistente, che amministrava Trieste in quanto potenza alleata; né i tre membri del CLN arrestati per essersi appropriati dei fondi della Marina militare della RSI pur di non lasciarli in mano agli jugoslavi, due dei quali furono rilasciati un paio di anni dopo, mentre il terzo, già malato al momento dell’arresto, morì in prigionia un anno dopo.
Si possono poi considerare “martiri” i membri dell’Ispettorato Speciale di PS che furono arrestati e condannati a morte dal tribunale di Lubiana, perché colpevoli di essersi macchiati di azioni criminali, come Alessio Mignacca, che picchiò una donna arrestata fino a farla abortire, ed uccise almeno tre persone che cercavano di sfuggire all’arresto, sparando contro di loro?
Si potrebbe continuare a lungo con questi esempi, ma il discorso da fare è, a mio parere, un altro, e ritorno sulla questione della definizione “martiri delle foibe”. Innanzitutto la maggior parte di coloro che vengono così indicati non furono veramente uccisi e poi gettati in una foiba: in parte si tratta di prigionieri di guerra morti durante la detenzione (così come accadde in altri campi di detenzione gestiti dagli Alleati, ad esempio in Africa), in parte di arrestati perché accusati di crimini di guerra o di violenze contro i prigionieri (vedi il caso di Mignacca sopra citato, ma anche quello di Vincenzo Serrentino, giudice del Tribunale speciale per la Dalmazia, che mandò a morte moltissimi innocenti) e condannati a morte dopo un processo. Coloro che finirono nelle foibe furono per lo più vittime di regolamenti di conti o di vendette personali, così come Norma Cossetto, così come don Tarticchio, sul quale gravava il sospetto che fosse un informatore dell’Ovra.
Intitolare strade a generici “martiri delle foibe” significa non rendere giustizia a nessuno, tantomeno alle vittime innocenti, serve solo ad eternare la polemica sulla “ferocia slava” che voleva operare una pulizia etnica contro gli italiani nella Venezia Giulia (teoria nazionalfascista che nessuno storico degno di questo nome ha mai avallato). Per questo sono solidale con il Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma, che con i suoi puntuali interventi cerca di fare un po’ di chiarezza, necessaria per la convivenza civile di questo Paese.
 
Claudia Cernigoi – Trieste


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Chiarezza su alcuni aspetti e punti legati alla vicenda delle foibe  

L’accusa di “negazionismo” dei morti delle foibe rivolta al Comitato antifascista si smentisce da sola considerando che abbiamo iniziato a fare nomi e cognomi di morti delle foibe, nomi di uomini che sono stati capi fascisti o militari o funzionari dell’amministrazione dell’Italia fascista occupante la Jugoslavia o collaborazionisti. Quasi fatale che in quelle circostanze, nel contesto della guerra, siano morti anche degli innocenti. Nel complesso i morti delle foibe del settembre-ottobre ’43 e del maggio ’45 sono stati cinquecento, seicento. Il numero è più alto di un fattore dieci se si considerano i morti, fino a qualche anno dopo, nei campi di concentramento jugoslavi. Campi di concentramento che vi furono anche perché nessuno – nessuno! – dei criminali di guerra fascisti italiani (almeno settecento secondo l’apposita commissione delle Nazioni Unite) è mai stato consegnato alle autorità jugoslave o ha mai scontato alcuna pena in Italia o altrove. Diversamente dai criminali nazisti che sono stati processati a Norimberga.
Riguardo, in particolare, alle guardie di finanza morte nelle foibe, va detto che nelle zone del Litorale Adriatico la Guardia di Finanza, come la Pubblica Sicurezza, era, al pari dei corpi armati dell’esercito, alle dipendenze non già dell’Italia, nemmeno della repubblichina di Salò, ma dei tedeschi. Un’ordinanza di Hitler del 10 settembre ’43 diceva infatti che «Gli Alti commissari nella zona d'operazione Litorale Adriatico, consistente nelle province del Friuli, di Gorizia, di Trieste, dell’Istria, di Fiume, del Quarnero, di Lubiana (...) ricevono le istruzioni fondamentali per lo svolgimento della loro attività da me». Soltanto negli ultimi giorni di guerra alcuni reparti di finanzieri passarono al CNL triestino. Riguardo a Norma Cossetto, figlia del gerarca fascista Giuseppe Cossetto, anch’ella fervente fascista, sulla sua fine la testimonianza alla base del riconoscimento attribuitole, come vittima dei partigiani, è quella fornita da una donna che avrebbe visto, dall’interno della propria casa in cui stava nascosta con le finestre sbarrate, quello che accadeva nella scuola di fronte, anch’essa con le finestre chiuse, mentre dal verbale redatto dal maresciallo dei Vigili del Fuoco di Pola il corpo della giovane non appare essere stato oggetto delle mutilazioni di cui parlano le “cronache”, né sarebbe stato possibile stabilire, con le conoscenze mediche dell’epoca, se fosse stata violentata prima di essere uccisa. (Per il caso di don Bonifacio si veda l’articolo del settembre 2008 “La beatificazione di don Bonifacio” scritto da Claudia Cernigoi su “La nuova alabarda”).
Ci furono sì, comunque, episodi di giustizia sommaria, di crudeltà della popolazione, di jacquerie, e poi i morti nei campi di concentramento jugoslavi. La stessa sorte per altro, e anche di peggio, toccò ai prigionieri tedeschi da parte degli Alleati angloamericani e francesi o in Francia ai collaborazionisti di Vichy o, nella stessa nuova Jugoslavia a guida comunista, agli ustascia fascisti e ai cetnici.
In Italia molti fascisti di quelli imprigionati furono rimessi in libertà appena un anno dopo la Liberazione, grazie alla generosa amnistia del segretario comunista Togliatti allora ministro di Grazia e Giustizia, e già alla fine di quello stesso anno, il ’46, ebbe modo di costituirsi il partito politico “Movimento Sociale Italiano” di reduci della Repubblica di Salò ed ex esponenti del regime fascista, partito che dal ’48 è stato nel Parlamento della Repubblica italiana democratica e che già negli anni cinquanta faceva parte delle Giunte comunali di diverse e importanti città.
Soprattutto, è imprescindibile ricordare che la tragica vicenda delle foibe è avvenuta perché c’è stata l’occupazione italiana di vasti territori della Jugoslavia, costata decine di migliaia di morti civili, anche coi campi di concentramento fascisti, perché c’è stata l’aggressione militare dell’Italia alla Jugoslavia, perché le popolazione slave delle zone di confine sono state oppresse dal regime fascista e fatte oggetto della violenza squadrista.
Non è la Jugoslavia che ha aggredito l’Italia, è l’Italia che ha aggredito la Jugoslavia, non è Lubiana che ha occupato terre italiane, è il fascismo che ha fatto della slovena Lubiana una provincia d’Italia, non sono gli jugoslavi ad aver distrutto centri culturali italiani, sono le squadracce fasciste ad aver incendiato l’hotel Balkan sede del Narodni Dom (centro di cultura nazionale slovena),  non è Tito ad aver espresso razzismo, è Mussolini che nel ’20 a Pola disse: «Di fronte ad una razza inferiore e barbara come quella slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone… I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani».
Il Governo Berlusconi ha riconosciuto i crimini commessi dall’Italia e dal fascismo in Libia,  riconoscerà anche quelli commessi in Jugoslavia? 

Comitato antifascista e per la memoria storica-Parma, 20/11/2010


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Il giorno 17/nov/2010, alle ore 23.27, Coord. Naz. per la Jugoslavia ha scritto:

 
Da: Comitato antifascista e per la memoria storica - Parma <comitatoantifasc_pr @ alice.it>

Oggetto: Comunicato Stampa.  NO  a via 'martiri delle foibe' , SI a una via ai partigiani italiani all'estero

Data: 17 novembre 2010 22.52.09 GMT+01.00


NO  all’intitolazione di una via di Parma ai “martiri delle foibe”
SI    all’intitolazione di una via di Parma ai partigiani italiani all’estero
 
Il Comune di Parma, con la riunione di lunedì 15 novembre ‘10 della Commissione Toponomastica presieduta dall’assessore Fecci, ha deciso l’intitolazione di una via della città ai cosiddetti “martiri delle foibe”.
Esprimiamo la nostra netta contrarietà di democratici antifascisti di Parma a questa scelta.
Vittime delle foibe, al confine nordorientale dell’Italia con l’allora Jugoslavia, sono stati nel settembre-ottobre 1943 e nel maggio 1945 alcune centinaia di italiani in gran parte militari, capi fascisti, dirigenti e funzionari dell’amministrazione dell’Italia occupante  la Jugoslavia , collaborazionisti. Si è trattato nel complesso di circa seicento vittime (escludendo dispersi e fucilati in guerra, deportati e morti in campi di concentramento, ecc.) per mano di partigiani jugoslavi, conseguenza dell’odio popolare e della rivolta nei confronti dell’Italia fascista che aveva dagli anni ’20 sottomesso e oppresso le popolazioni slave delle zone di confine e poi aggredito militarmente e occupato interi territori della Jugoslavia fino a fare della slovena Lubiana una provincia d’Italia.
Dalla foiba di Basovizza, assunta a simbolo di tutte le foibe, sono state rinvenute le spoglie di una decina di uomini soltanto, e tutti militari tedeschi.
Riportiamo alcuni nominativi di italiani  riconosciuti  quali “martiri delle foibe”.
Cossetto Giuseppe, infoibato nel ’43 a Treghelizza, possidente, segretario del fascio a S. Domenica di Visinadacapomanipolo MVSN (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, sottoposta direttamente ai tedeschi), già squadrista sciarpa Littorio;
-  Morassi Giovanni, arrestato a Gorizia nel maggio ’45 e scomparso, Vicepodestà e Presidente della Provincia di Gorizia;
Muiesan Domenico, ucciso nel ’45 a Trieste, irredentista, legionario fiumano, volontario della guerra d’Africa, squadrista delle squadre d’azione a Pirano;
- Nardini Mario, ucciso nel ’45 a Trieste, capitano della MDT (Milizia Difesa Territoriale, sottoposta direttamente ai tedeschi), già XI Legione MACA (milizia fascista speciale di artiglieria controaerei);
- Patti Egidio, ucciso nel ’45, pare infoibato presso Opicina, vicebrigadiere del 2° Reggimento MDT, già MVSN, GNR (Guardia Nazionale Repubblicana), squadrista;
- Polonio Balbi Michele, scomparso a Fiume il 3 maggio ’45, sottocapo manipolo del 3° Reggimento MDT;
- Ponzo Mario, morto nel ‘45 in prigionia, colonnello del Genio Navale, poi inquadrato nel Corpo Volontari della Libertà del Comitato di Liberazione Nazionale (antifascista) di Trieste, arrestato per spionaggio sul movimento partigiano jugoslavo in favore del fascista Ispettorato Speciale di PS (Pubblica Sicurezza, sottoposta direttamente ai tedeschi);
Sorrentino Vincenzo, arrestato nel maggio ’45 a Trieste, condannato a morte da tribunale jugoslavo e fucilato nel ’47, ultimo prefetto di Zara italiana, membro del Tribunale Speciale della Dalmazia che comminava condanne a morte con eccessiva facilità secondo gli stessi comandanti militari italiani (“girava per  la Dalmazia , e dove si fermava le poche ore strettamente indispensabili per un frettoloso giudizio, pronunciava sentenze di morte; e queste erano senz’altro eseguite”).
E’ assolutamente grave, mistificatorio, e inaccettabile che persone come queste, fascisti e criminali fascisti, vengano ricordate definendole “martiri” e attribuendo loro riconoscimenti come l’intitolazione di una via cittadina.
Chiediamo alla Giunta Comunale di Parma città delle Barricate antifasciste del ’22 e medaglia d’oro della Resistenza di desistere dal proposito di realizzare “via martiri delle foibe”.
Chiediamo al Comune di Parma di dedicare una via ai quarantamila soldati italiani che l’indomani dell’8 settembre ’43 si unirono alla Resistenza jugoslava e combatterono insieme con l’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo, la metà di loro dando la vita in quell’epica lotta nei Balcani, per
la liberazione  dal nazifascismo e il riscatto dell’Italia dell’onta in cui il fascismo l’aveva gettata.

COMITATO ANTIFASCISTA  E  PER  LA MEMORIA STORICA  – PARMA



Abbiamo appreso con dolore della morte di Marco Aurelio Rivelli, storico e saggista coraggioso e capace. 

Solo tramite i lavori di Rivelli molti di noi hanno potuto conoscere aspetti della storia del Novecento di cui è negato l'insegnamento nelle scuole, impedita la divulgazione sui media, omesso ogni approfondimento o iniziativa da parte degli Istituti di Storia contemporanea e del mondo accademico in genere.

Rivelli si è spento a Milano pochi giorni fa. Era affetto da alcuni anni da una tremenda malattia che poco per volta aveva paralizzato le sue facoltà cognitive. Per di più, le condizioni economiche ed esistenziali sue e di sua moglie erano diventate critiche, con uno sfratto incombente e senza sapere dove andare. Questa è la sorte che in Italia è riservata agli intellettuali che mantengono il proprio rigore scientifico e morale, uscendo così dal "coro".

Ricordiamo i suoi libri accurati e precisi, frutto di ricerche negli archivi militari e di Stato:

* "Le génocide occulté" (Il genocidio nascosto - Ed. L'Age d'Homme, Losanna 1998) 
basato sulla tesi di dottorato discussa dall'autore nel 1978 all'Università di Milano, pubblicata ben venti anni dopo, in occasione della beatificazione dell'arcivescovo Stepinac (vedi l'articolo più avanti)

* L'Arcivescovo del genocidio (Kaos Edizioni, Milano 1999)
saggio sul clerico-nazismo nella Croazia di Stepinac e di Pavelic, finalmente in versione italiana

Dio è con noi! La Chiesa di Pio XII complice del nazifascismo (Kaos edizioni, Milano 2002)
uno studio dedicato alle responsabilità di Pio XII nei genocidi compiuti dal nazifascismo: eppure ancora vogliono farlo Santo!

(a cura di Italo Slavo)

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L'articolo che segue e' apparso su "il manifesto" del 3 Ottobre 1998, giorno della beatificazione di Alojzije Stepinac da parte del papa di Roma:


REVISIONISMO STORICO

L'arcivescovo Stepinac, altro che martire

MARCO AURELIO RIVELLI *

Costituito il 10 aprile 1941 lo Stato Indipendente Croato, cioè il regime ustascia di Ante Pavelic, fu immediatamente posta in atto una mostruosa crociata volta al totale sterminio dei serbi ortodossi, degli ebrei e dei Rom, gli zingari. Nel corso di quattro anni vennero sterminati all'incirca un milione di esseri umani in una maniera così feroce che non ha avuto eguali, per le modalità, in tutto il corso della seconda guerra mondiale. Se l'atroce sterminio di sei milioni di ebrei avvenne nel chiuso dei campi, e per i più la constatazione dell'Olocausto ebbe luogo solo alla fine del conflitto, i massacri ustascia furono invece posti in atto con la maggiore pubblicità di fronte agli occhi di tutti: nelle strade, nelle piazze, nelle campagne. I torturatori si facevano un vanto di essere ripresi dalle macchine fotografiche nell'atto di uccidere le vittime. Mentre i vescovi tedeschi sostennero sempre di essere stati all'oscuro degli avvenimenti, lo stesso non si può dire dell'episcopato croato, dell'"Ambasciatore Vaticano", Monsignor Ramiro Marcone e dell'Arcivescovo Stepinac. Il numero delle vittime varia da settecentomila ad un milione. L'Enciclopedia Britannica riporta settecentomila, secondo il rapporto redatto dal Sottosegretario di Stato Usa Stuart Eizenstadt nel giugno 1998, inerente l'oro predato alle vittime degli ustascia e nascosto - secondo il rapporto stesso - in Vaticano, sono sempre settecentomila, per l'autore si aggirano intorno al milione. Andrjia Artukovic, Ministro degli Interni dello Stato Croato Indipendente e capo di tutti i campi di sterminio, affermò al suo processo che nel solo campo di Jasenovac i trucidati furono settecentomila. L'orrore della crociata diventa ancora più fosco quando si considera la partecipazione fisica ai massacri di centinaia di preti e frati, in particolare i monaci francescani. Secondo la politica ustascia, i serbi dovevano essere tutti convertiti al cattolicesimo. Il Ministro Mile Budak affermò a proposito dei serbi "... un terzo lo convertiremo, un terzo lo uccideremo, un terzo verrà rimandato in Serbia".

A capo del campo di sterminio di Jasenovac, vi fu per un certo periodo il frate francescano, Filipovic-Majstorovic, detto Frà Satana. Al suo processo si vantò di aver ucciso oltre quarantamila prigionieri. Gli successe alla guida del campo un altro religioso. Nel mio saggio indico i nomi di circa 160 religiosi, colpevoli di partecipazione diretta all'eccidio, ma furono molti di più. Il Resto del Carlino, quotidiano bolognese, in due articoli del 18 e 22 settembre 1941, in pieno periodo fascista, pubblicò a firma di Corrado Zoli due articoli nei quali, inorridito, narrava gli eccidi commessi dai francescani. Altre testimonianze oculari, quelle degli appartenenti all'esercito italiano, la maggior parte delle quali accessibili a tutti conservate negli archivi dello Stato Maggiore - Ufficio Storico.

L'Arcivescovo Alojs Stepinac accolse con calore l'arrivo di Ante Pavelic, il Poglavnik (duce), ordinando che fosse cantato il Te Deum in tutte le chiese dello stato e diffondendo una lettera pastorale che incitava ad appoggiare il nuovo Stato perché esso "... rappresenta la Santa Chiesa Cattolica ...". La Pastorale di totale appoggio al regime di Pavelic vedeva la luce quando già le prime notizie di massacri si erano diffuse e Galeazzo Ciano, Ministro degli Esteri Italiano e genero del Duce, annotava nel suo diario, il 28 aprile 1941, "... spoliazioni, rapine, uccisioni sono all'ordine del giorno". Il 26 giugno 1941, Ante Pavelic, che aveva già al suo attivo il massacro di 180 mila tra serbi ed ebrei, compresi tre vescovi e oltre cento pope ortodossi, concedeva udienza all'episcopato cattolico e, anche in quell'occasione, Stepinac non mancava di esternare lodi per il Poglavnik come documentato dai periodici cattolici, "Katolicki List" e "Hrvatski Narod" del 30 giugno 1941. Da ricordare che il 17 maggio precedente, Ante Pavelic, accompagnato da 120 ustascia in divisa, era stato ricevuto a Roma da Papa Pio XII. Alla fine dell'anno, l'Arcivescovo, che precedentemente con altri 11 religiosi cattolici era stato nominato deputato al Parlamento Croato, riceve la carica di capo dei cappellani delle Forze Ustascia. Più tardi riceverà anche un'altra onorificenza ustascia. Superfluo aggiungere che mai condannerà le efferatezze compiute davanti ai suoi occhi da individui con i quali per quattro lunghi anni intratterrà cordiali rapporti.

Nell'aprile del 1945, gli ustascia in fuga depositano, per ordine di Pavelic, tutti gli atti e i documenti governativi, oltre ad oro gioielli e preziosi rubati alle vittime serbe ed ebree, nell'Arcivescovado di Zagabria, dove verranno nascosti e scoperti dopo alcuni mesi dalle autorità del Nuovo Stato Jugoslavo.

Stepinac non punì mai - naturalmente in maniera ecclesiastica - i sacerdoti che si erano resi colpevoli di delitti, non proibì ai cappellani ustascia di continuare - quanto meno - ad essere testimoni di crimini, né vietò alla stampa cattolica la continua esaltazione del regime e delle sue leggi, e tanto meno censurò pubblicamente un regime reo di siffatte scelleratezze. Qualche apologeta ha scritto in questi giorni che Stepinac elevò alcune proteste contro, si badi bene, le modalità della conversioni ma non,l'affermo recisamente contro i massacri. Mi chiedo se, di fronte ad un eccidio di tale proporzione e nefandezza, per di più non isolato ma commisto ad infiniti altri si possa tacere e non esprimere lo sdegno di uomo di chiesa verso tali assassini. Mi chiedo come si possa assistere a cerimonie cui presenziano criminali conclamati e i loro capi senza rendersi conto di dare con la propria presenza un sostegno di fatto a quel regime sanguinario. Da non dimenticare che il sostegno fu anche dato, dopo la costituzione del Nuovo Stato Jugoslavo alla fine della guerra, alle attività clandestine di terrorismo condotte dagli ustascia che si erano dati alla macchia e dei quali benedì, dentro l'Arcivescovado, alcuni gagliardetti. Infatti, rientrato clandestinamente a Zagabria l'ex capo della polizia ustascia, Lisak, al fine di svolgere un'attività di terrorismo contro la Federazione, appena composta, l'Arcivescovo lo nascose nel suo palazzo, come dichiarato durante il processo dallo stesso Lisak.

Stepinac non fu certamente un martire. Lo stesso Tito chiese a Monsignor Patrizio Hurley, rappresentante ufficiale del Vaticano, di richiamare a Roma l'Arcivescovo, non desiderando una rottura con la Santa Sede, altrimenti avrebbe dovuto arrestarlo, come riportato dall'Unità del 7 novembre 1946 in relazione ad un colloquio fra Tito e Togliatti.

No. Stepinac non fu un martire. Chi scrive, pur avendo visionato migliaia di atti, non ne ha mai trovato uno dove l'Arcivescovo manifestasse la sua pietà per i tanti innocenti trucidati, fra i quali i migliaia di donne e bambini; non ha mai trovato la fiera condanna del Presule per l'uccisione barbara dei vescovi e dei preti ortodossi, nonché dei rabbini: sarebbe stato un gesto di carità cristiana di amore verso il prossimo in un contesto dove imperversava il "Male". No. Questo, Alojis Stepinac non lo fece. Seguitò le sue frequentazioni con i criminali, che in seguito, aiutò a fuggire. Condannato a sedici anni di carcere, fu posto, dopo quattro anni di detenzione, agli arresti domiciliari nel suo paese natale. Morì nel suo letto. Pochi giorni or sono il Centro Simon Wiesenthal ha chiesto al Papa di soprassedere alla beatificazione fino a che non fossero stati meglio accertati i fatti.

Oggi, a Zagabria, Giovanni Paolo II beatifica Alojis Stepinac. Nella teologia cattolica, la santità è il complesso delle perfezioni morali. Propria di Dio in senso assoluto, e, in grado diverso, delle persone che hanno riprodotto in qualche modo la perfezione divina e che hanno modellato la loro vita ad imitazione di quella. Non ci sembra il caso del Cardinale Stepinac.



(english / italiano)

Wesley Clark voleva attaccare i russi in Kosovo

1) James Blunt: «In Kosovo sventai la terza guerra mondiale». Il cantautore non obbedì all'ordine di attaccare i soldati russi

2) Ex-UK Officer: Wesley Clark Ordered Attack On Russians In Kosovo

3) Wesley Clark: The Guy Who Almost Started World War III 
(by Stella Jatras - August 23, 2003)


Sui crimini di guerra di cui si è reso responsabile Wesley Clark in Kosovo nel 1999 da generale della NATO - prima di candidarsi (e fallire) con i Democratici alla vicepresidenza USA - abbiamo dato conto innumerevoli volte nel nostro notiziario. In proposito si veda ad esempio:

Wesley Clark fera-t-il demain le contraire de ce qu'il faisait hier?

Wesley Clark War Crimes amply documented

NATO's War of Aggression against Yugoslavia (by Michel Chossudovsky)

Wesley Clark farà domani il contrario di ciò che ha fatto ieri?

DOSSIER: Wesley Clark, criminale di guerra


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James Blunt: «In Kosovo sventai la terza guerra mondiale»


Il cantautore non obbedì all'ordine di attaccare i soldati russi

LONDRA - Avrebbe sventato la Terza guerra mondiale. Chi sarà mai? Un politico, Un generale? Un agente dei servizi segreti? No, nessuno tra questi. A salvare il mondo fu James Blunt, il cantautore britannico di You 're Beautiful che prima di intraprendere la carriera musicale era un ufficiale della cavalleria, quando, nel 1999 in Kosovo, si rifiutò di obbedire al generale americano Wesley Clark che gli ordinò di attaccare un battaglione di 200 soldati russi. Lo ha raccontato lo stesso Blunt ai microfoni di Bbc Radio 5, aggiungendo che «era una situazione folle»: «Ero l'ufficiale responsabile di una truppa di uomini dietro di me».
LA VICENDA - Blunt, il cui racconto è stato confermato dal generale britannico Mike Jackson, che in quell'occasione si oppose alla decisione di Clark, ha proseguito raccontando come il generale Clark aveva detto loro di raggiungere una pista di atterraggio e di assumerne il controllo, ma i soldati russi erano arrivati prima di loro e «ci puntavano le armi addosso in maniera aggressiva». «Il comando diretto giuntoci dal generale Wesley Clark fu di sopraffarli - racconta il cantautore -. Vennero usate diverse parole che si sembravano strane. Parole come "distruggere" vennero pronunciate alla radio».
CONSEGUENZA DISASTROSE - «Le conseguenze pratiche di questa decisione politica sarebbero state un atto di aggressione nei confronti dei russi» sottolinea il musicista. Blunt non si sentiva di affrontarli, ma il reggimento dei paracadutisti che si trovava insieme a lui era «pronto a dare battaglia». «Ci sono cose che si fanno sapendo che sono giuste e cose che ti senti invece che sono assolutamente sbagliate. Questo senso di giudizio morale viene inculcato nella testa a noi soldati dell'esercito britannico» ha ricordato Blunt, sottolineando che avrebbe disobbedito all'ordine anche se a rischio di finire di fronte ad una corte marziale. Per fortuna, prima che la situazione degenerasse, il generale Jackson intervenne. «Le sue parole esatte furono: "Non voglio che i miei soldati siano responsabili di aver dato inizio alla Terza guerra mondiale" e ci disse: "Perché invece non proseguiamo sulla strada e circondiamo la pista?"», ha raccontato Blunt, dicendosi «assolutamente» sicuro che se le cose fossero andate diversamente le conseguenze sarebbero potute essere disastrose. (fonte: Ansa)

15 novembre 2010(ultima modifica: 16 novembre 2010)


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http://www.smh.com.au/lifestyle/people/i-stopped-world-war-iii-says-james-blunt-20101115-17tab.html

Sydney Morning Herald
November 15, 2010


I stopped World War III, says James Blunt 


James Blunt says he stopped World War III from happening by disobeying a general's order.

The singer, who served in the British army for six years, told the BBC yesterday he refused an order to seize an airfield during NATO's 1999 intervention in Kosovo after the Russians got to it first.

"It was a mad situation anyway," he told BBC Radio 5Live.

"We had 200 Russians lined up pointing their weapons at us aggressively and we've been told to reach the airfield and take a hold of it."

Blunt was a 25-year-old cavalry officer at that time and the head of his unit, which was leading a column of 30,000 NATO troops.

The Kosovo Force (KFOR) soldiers had entered Kosovo under a UN mandate after Yugoslavia withdrew from the region following a 11-week bombing campaign by NATO.

The Yugoslav troops were trying to suppress Kosovo's ethic Albanians' campaign to split from the country.

"I was given the direct command to overpower the 200 or so Russians who were there.

"I was the lead officer with my troop of men behind us....The soldiers directly behind me were from the Parachute Regiment, so they're obviously game for the fight.

"The direct command [that] came in from General and [NATO Supreme Commander Europe] Wesley Clark was to overpower them. Various words were used that seemed unusual to us. Words such as 'destroy' came down the radio."

But Blunt, who said he was "party to the conversation" about the possible attack, said "we were querying our instruction" as it would have meant fighting the Russians.

"Fortunately, up on the radio came [British] General Mike Jackson, whose exact words at the time were, 'I'm not going to have my soldiers be responsible for starting World War III'.

"And after a couple of days the Russians there said 'hang on we have no food and no water. Can we share the airfield with you?'."

Blunt said he would have defied General Clark's orders even without the support of General Jackson, risking a court martial.

"There are things that you do along the way that you know are right, and those that you absolutely feel are wrong, that I think it's morally important to stand up against, and that sense of moral judgement is drilled into us as soldiers in the British army."

General Clark, who has since retired from the US Army, told the BBC in 2000 that he had cleared the possible attack with then NATO Secretary General Javier Solana.

"He talked about what the risks were and what might happen if the Russians got there first, and he said: 'Of course you have to get to the airport'.

"I said: 'Do you consider I have the authority to do so?' He said: 'Of course you do, you have transfer of authority'."

A senior Russian officer also told the BBC in 2000 that the Russians planned to fly in thousands of soldiers after they occupied the airport.

"Let's just say that we had several airbases ready. We had battalions of paratroopers ready to leave within two hours."

Blunt quit the military to become a singer in 2002. His debut album sold 11 million copies, led by the success of his hit song You're Beautiful.


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http://www.antiwar.com/orig/jatras12.html

Wesley Clark: The Guy Who Almost Started World War III

by Stella Jatras
August 23, 2003



General Wesley Clark, former Supreme Allied Commander Europe (SACEUR) and Friend of Bill's (FOB) is considering a run for President of these United States. In an AP report of 29 June, former-President William Jefferson Clinton stated that Wesley Clark would make a fine president, if he ran. After all, what are friends for? There is also a grassroots campaign effort to "draft Wesley Clark" for president which states, "We believe America needs a new president. One who can be a voice for common sense and moderation in these dangerous, uncertain times. One with the unquestionable leadership and foreign policy credentials necessary to win in 2004. We believe that General Wesley Clark might just be – the one. That is why we are trying to convince him to seek the Democratic nomination for president."

Let us look at what kind of a president Wesley Clark would make according to CounterPunch of November 12, 1999, "The poster child for everything that is wrong with the GO (general officer) corps," exclaims one colonel, who has had occasion to observe Clark in action, citing, among other examples, his command of the 1st Cavalry Division at Fort Hood from 1992 to 1994.

"At the beginning of the Kosovo conflict, CounterPunch delved into the military career of General Wesley Clark and discovered that his meteoric rise through the ranks derived from the successful manipulation of appearances: faking the results of combat exercises, greasing to superiors and other practices common to the general officer corps. We correctly predicted that the unspinnable realities of a real war would cause him to become unhinged. Given that Clark attempted to bomb the CNN bureau in Belgrade and ordered the British General Michael Jackson to engage Russian troops in combat at the end of the war, we feel events amply vindicated our forecast. 

"With the end of hostilities it has become clear even to Clark that most people, apart from some fanatical members of the war party in the White House and State Department, consider the general, as one Pentagon official puts it, 'a horse's ass.' Defense Secretary William Cohen is known to loathe him, and has seen to it that the Hammer of the Serbs will be relieved of the Nato command two months early."

This is the guy who received the Kosovo Campaign Medal after having been granted a waiver, although according to an article in Stars and Stripes(European addition), no one seems to know who granted the waiver in time for the general to get the first medal awarded. Even though he led the international alliance in its 78-day blitz against Yugoslavia, the waiver was necessary because General Clark's service did not meet the criteria for the award which required service in the actual theater of operation. It appears that Clark made no effort to secure similar waivers for the thousands of service personnel who supported the effort from bases outside the combat zone.

On 17 July 2001, General Wesley Clark was confronted in an often heated exchange by his critics at Border's book store where the general was promoting his book, Waging Modern War.Although one of the axioms of Clark's book is that, "A Political Problem Cannot be Solved by Military Force," what he practiced and advocated in Kosovo was just the opposite. When confronted with questions about the misuse of air power and grossly exaggerating the results as exposed in aNewsweek article titled Kosovo Cover-Up of 15 May 2000, targeting civilian targets as stated by Sen. Joe Lieberman, and consorting with KLA terrorists such as Hashim Thaci and Agim Ceku, General Clark's replies were always the same: the questioner was wrong, Sen. Lieberman was wrong, and Newsweek was wrong. "I went to the presentation very much opposed to everything Clark stood for, but it wasn't until I heard him speak and answer questions that I realized how dangerous a man like this is," writes Col. George Jatras, USAF (Ret).

'THE GUY WHO ALMOST STARTED WORLD WAR III'

IWaging Modern WarGeneral Clark wrote about his fury upon learning that Russian peacekeepers had entered the airport at Pristina, Kosovo, before British or American forces. In the article "The guy who almost started World War III," (Aug. 3, 1999), The Guardian (U.K.) wrote, "No sooner are we told by Britain's top generals that the Russians played a crucial role in ending the West's war against Yugoslavia than we learn that if NATO's supreme commander, the American General Wesley Clark, had had his way, British paratroopers would have stormed Pristina airport, threatening to unleash the most frightening crisis with Moscow since the end of the Cold War."

"I'm not going to start the third world war for you," General Sir Mike Jackson, commander of the international KFOR peacekeeping force, is reported to have told Gen. Clark when he refused to accept an order to send assault troops to prevent Russian troops from taking over the airfield of Kosovo's provincial capital. The Times of London reported on 23 May 2001 in an article titled, "Kosovo clash of allied generals," that "General Sir Michael Jackson [was] told that he would have to resign if he refused to obey an order by the American commander of Nato's forces during the Kosovo war to stop the Russians from seizing control of Pristina airport in June 1999." 

If General Clark had had his way, we might have gone to war with Russia, or at least resurrected vestiges of the Cold War and we certainly would have had hundreds if not thousands of casualties in an ill-conceived ground war

In his article titled, "A Long, Tough Job," which appeared in the Washington Post on 14 September, Clark writes, "And the American public will have to grasp and appreciate a new approach to warfare. Our objective should be neither revenge nor retaliation, though we will achieve both. Rather, we must systematically target and destroy the complex, interlocking network of international terrorism. The aim should be to attack not buildings and facilities but the people who have masterminded, coordinated, supported and executed these and other terrorist attacks.

"Our methods should rely first on domestic and international law, and the support and active participation of our friends and allies around the globe. Evidence must be collected, networks uncovered and a faceless threat given shape and identity."

"Rely on international law"? Clinton and his gangsters broke every international law on the books regarding Yugoslavia. "Evidence must be collected?" Evidence of what? The Serbs certainly did not have weapons of mass destruction; nor did they attack us first; nor were they ever a threat to us. His words ring hollow. 

You can read "Wes" Clark's letter to the National Albanian American Council of 1 November 2002, in which he says, "Let's stay in touch." For an American general who was supposed to be impartial in a civil war, it is no secret that Clark is the Albanian lobby's fair-haired boy. And why not? He delivered Kosovo to them. 

General Clark brags about the fact that not one solder was killed under his command. Even though the Serbs had every opportunity to kill American soldiers, I contend that the Serbs did not want Americans to die at their hands. This was illustrated when Sgt. Christopher Stone of Smiths Creek, Michigan, upon his release, left a note to his prison guards thanking them for treating him with "dignity and respect." The Pentagon declined to release a copy of Stone's note, but a copy was made available to The Associated Press (5 May 1999). The note ended with "Thank you, you are very kind" and "God help you." 

Col. David Hackworth, in his 1999 commentaryDefending America, wrote of Clark: Known by those who've served with him as the Ultimate Perfumed Prince, he's far more comfortable in a drawing room discussing political theories than hunkering down in the trenches where bullets fly and soldiers die. 

Col. Jatras writes that "General Clark is the kind of general we saw too often during the Vietnam War and hoped never to see again in a position of responsibility for the lives of our GIs and the security of our nation. That it happened once again we can thank that other Rhodes scholar from Arkansas."

In this writer's judgement, what this guy is positioning himself for is the VP slot with Hillary running for President. It would be a marriage made in Hell...a Hell for all of us. 

Knowing all the above, why would anyone want as president or VP a guy who was willing to start World War III for the sake of his own ego and self-importance?