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http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/6616/1/51/

Montenegro: un omicidio senza colpevoli

09.01.2007

Il 27 maggio 2004, il caporedattore del quotidiano di opposizione Dan
veniva assassinato a Podgorica. Due anni e mezzo più tardi, la
giustizia ha scagionato il principale indiziato. Sul banco degli
imputati non resta che lo Stato

Di Petar Komnenic, per Monitor, 29 dicembre 2006
Traduzione di Persa Aligrudic per Le Courrier des Balkans e di Carlo
Dall’Asta per Osservatorio sui Balcani

Il processo per l’omicidio di Dusko Jovanovic si è concluso
rapidamente, in silenzio. La sentenza del consiglio dei giudici che
scagionava Damir Mandic dall’accusa di complicità nell’omicidio è
stata letta da Radovan Mandic in un silenzio assoluto. La moglie del
defunto Dusko Jovanovic, Slavica, ha lasciato la sala del tribunale
in gran fretta, come anche la famiglia di Damir Mandic che senza
emozione apparente attendeva la sentenza.

Fin dall’inizio del processo, Monitor ha sempre ricordato che l’atto
di accusa emesso contro Damir Mandic, accusato di complicità
nell’omicidio di Dusko Jovanovic, capo redattore del quotidiano Dan,
si fondava su prove vaghe e pressoché prive di validità in sede
giudiziale. La sentenza emessa dal tribunale contraddice le tesi
della polizia e della Procura, che sostenevano che le prove raccolte
fossero irrefutabili.

La lettura della sentenza, dopo un processo di due anni e mezzo, non
è durata che qualche minuto. Il giudice Mandic ha brevemente spiegato
che sulla base delle prove fornite non era possibile concludere che
Damir Mandic si fosse trovato sul posto o nell’autoveicolo modello
Golf 3, dal cui interno erano state sparati su Jovanovic i proiettili
mortali, e che delle testimonianze oculari provavano che Damir Mandic
era stato visto nella discoteca Manija di Podgorica al momento del
crimine.

Una sentenza su commissione?

Contemporaneamente il tribunale ha condannato Damir Mandic a due anni
di prigione per il rapimento di Miodrag Nikolic. Dato che Mandic ha
trascorso più di due anni come detenuto in attesa di giudizio per
l’omicidio Jovanovic, tale pena è stata considerata come già
scontata, cosicché Damir Mandic è ormai un uomo libero. Naturalmente,
la decisione dell’Alta corte è solo di prima istanza, ed il
procuratore competente può sempre presentare un ricorso nei termini
di tempo stabiliti dalla legge.

La sentenza dell’Alta corte ha provocato vive reazioni da parte dei
colleghi del defunto Dusko Jovanovic. Si insinuano dubbi sul giudice
Radovan Mandic, che non avrebbe rispettato la legge. «È chiaro anche
ai profani che le prove sono più che sufficienti per condannare
l’imputato. Questa sentenza prova che noi non viviamo in uno Stato di
diritto», afferma il redattore capo di Dan, Mladen Milutinovic.

Anche i deputati di cinque partiti di opposizione hanno presentato un
comunicato congiunto al Parlamento, in cui definiscono scandalosa la
decisione dell’Alta corte. «O la Procura è incapace, e nel corso di
tutti questi anni ha ingannato i cittadini dicendo che i risultati
delle analisi effettuate a Wiesbaden confermavano senza ambiguità i
suoi sospetti, oppure la magistratura è corrotta a tal punto che le
prove non sono state prese in considerazione, mentre il diritto e la
giustizia sono stati svenduti in cambio di denaro sporco», nota
questo comunicato.

Antichi dubbi

Ricordiamo che il nostro giornale (Monitor, NdT) ha più volte messo
in dubbio la validità delle prove materiali che la Procura descriveva
come irrefutabili. In questo contesto si è spesso menzionata la
lattina di Red Bull ed il pacchetto di pistacchi trovati in
prossimità del veicolo utilizzato dagli autori del crimine. Questa
lattina, che presentava tracce del DNA di Mandic, è stata trovata in
circostanze assai strane, successivamente al sopralluogo e ad una
cinquantina di metri dal veicolo in questione. In sede di processo si
è stabilito che questa prova era stata acquisita seguendo una
procedura dubbia, dato che dalle note della polizia risulta che essa
sarebbe stata inviata al laboratorio di analisi prima ancora di
essere stata scoperta! Gli avvocati di Mandic accusano pubblicamente
la polizia di avere fabbricato questa prova.

In effetti questa prova non stabilisce alcun legame tra Mandic ed il
veicolo del crimine. Sull’arma trovata nel veicolo, usata per
uccidere Jovanovic, non si è rilevata alcuna traccia, mentre sul
fucile di riserva, che non è stato utilizzato, sono state trovate
diverse tracce di DNA, ma gli esperti non le hanno potute
identificare con certezza come appartenenti all’imputato.

La situazione è analoga per le particelle di polvere trovate sulla
maglietta di Mandic, che non possono con sicurezza essere imputate
all’arma dell’omicidio e che potrebbero avere un’origine del tutto
diversa.

Sulla base di tutte le prove fornite, il tribunale non ha potuto
concludere che due cose: che Mandic aveva probabilmente tenuto in
mano il fucile che sicuramente non è servito ad uccidere Dusko
Jovanovic; e d’altra parte che egli si trovava, a un’ora imprecisata,
a cinquanta metri dal luogo in cui il veicolo del crimine è stato
ritrovato. Ciò naturalmente a condizione che la lattina di Red Bull,
che porta la «firma» DNA di Mandic possa essere accettata come prova,
ma la provenienza di questa lattina è estremamente discutibile.

In assenza di serie prove materiali, il consiglio dei giudici ha
stimato che le prove addotte non sono convincenti. Il tribunale non
ha trovato ulteriori prove per suffragare una sentenza di
colpevolezza neppure nel tabulato delle telefonate fatte da Damir
Mandic, con cui la Procura aveva cercato di contestare il suo alibi.
Anche le dichiarazioni dei reporter di Dan, che hanno rimarcato la
presenza de Mandic alla discoteca Manija, sono state interpretate a
favore dell’imputato. La Corte ha spiegato che Mandic non poteva
trovarsi in due posti nello stesso momento. Così tutte le tesi della
polizia e della Procura sono state smentite.

Le lacune

In realtà fin dall’inizio questo caso è stato segnato da errori
investigativi e da sbrigative condanne. Ricordiamo che, stando a
quanto affermato dagli ispettori di polizia, la scena del crimine
dell’omicidio Jovanovic è stata ricostruita sulla base della
confessione di Damir Mandic che nel corso del primo colloquio
informale avrebbe, a quanto egli stesso afferma, descritto il delitto
ed identificato i complici. Questo famoso rapporto di polizia, in
ogni caso non utilizzabile in sede giudiziaria, non è mai stato reso
pubblico.

Ma la polizia, basandosi su queste presunte informazioni, ha accusato
Vuk Vulevic, di Berane, e Armin Musa Osmanagic, di Bar, di essere i
complici che erano stati ricercati per mesi dopo l’omicidio. Si
annunciava allora, ufficiosamente, che il loro arresto avrebbe chiuso
il caso Jovanovic.

Ci si è ben presto accorti che la polizia aveva sparato un colpo nel
vuoto. Vuk Vulevic è stato arrestato a Belgrado, ed è attualmente
sotto processo per un caso completamente diverso, di traffico di
stupefacenti. In mancanza di prove, contro di lui non è stata sporta
alcuna denuncia per l’omicidio di Jovanovic.

Armin Musa Osmanagic, dopo molti mesi di ricerche, si è
spontaneamente presentato alla polizia e, dopo un breve
interrogatorio, è stato rimesso in libertà, anch’egli per mancanza di
prove.

Il fallimento dell’inchiesta

Con il verdetto di assoluzione di Damir Mandic, questo complicato
caso ritorna dunque al suo punto di partenza. Le prove materiali non
sono state sufficienti a persuadere il consiglio dei giudici del
tribunale della colpevolezza di Mandic. Le indagini successive ed un
processo di due anni contro Damir Mandic non hanno gettato alcuna
luce sulle ragioni dell’assassinio di Dusko Jovanovic: gli eventuali
committenti del crimine non sono stati scoperti, e i veri motivi
dell’omicidio non sono stati resi noti all’opinione pubblica.

Nel caso in cui la sentenza venisse confermata, Damir Mandic avrebbe
diritto a chiedere allo Stato un risarcimento per una detenzione
ingiustificata di quasi sei mesi: il periodo cioè che egli ha passato
in prigione, oltre ai due anni di reclusione comminati per il
rapimento di Miodrag Nikolic. Si sono già valsi del diritto a fare
ricorso Vuk Vulevic ed Armin Musa Osmagnagic, che sono stati trattati
pubblicamente come assassini, senza prove, dai più alti funzionari di
polizia.

Da come si stanno mettendo le cose, sul banco degli imputati non
rimarrà che lo Stato. Se lo merita, perché ha creato un'atmosfera in
cui gli assassini possono respirare a pieni polmoni. Purtroppo ciò
non può essere di consolazione per la famiglia di Dusko Jovanovic. Un
delitto rimasto insoluto è uno scacco in più per le nostre speranze
di giustizia in Montenegro. E nessuna delle autorità competenti se ne
assume la responsabilità.


=== EN FRANCAIS ===

http://balkans.courriers.info/article7508.html

MONITOR

Monténégro : un meurtre sans coupable ?

TRADUIT PAR PERSA ALIGRUDIC
Publié dans la presse : 29 décembre 2006
Mise en ligne : mercredi 3 janvier 2007
Le 27 mai 2004, le rédacteur en chef du quotidien d’opposition Dan
était abattu dans la rue, en plein centre de Podgorica. Deux ans et
demi plus tard, la justice a innocenté le seul suspect jugé dans
cette affaire. Le meurtre de Dusko Jovanovic reste donc inexpliqué,
au grand dam de l’opposition, qui dénonce la faillite de la justice.
En effet, sur le banc des accusés, ne reste plus guère que l’État
monténégrin...

Par Petar Komnenic

Le procès pour le meurtre de Dusko Jovanovic s’est rapidement
terminé, en silence. La sentence du Conseil des juges énoncée par
Radovan Mandic, acquittant Damir Mandic de l’inculpation de
complicité de meurtre a été lue dans un silence absolu. L’épouse du
défunt Dusko Jovanovic, Slavica, a quitté la salle du tribunal en
grande hâte, ainsi que la famille de Damir Mandic qui, sans
exaltation apparente, attendait la sentence.

Depuis le début du procès, Monitor a toujours rappelé que l’acte
d’accusation lancé contre Damir Mandic, inculpé de complicité dans le
meurtre de Dusko Jovanovic, le rédacteur en chef du quotidien Dan,
reposait sur des preuves floues et sans guère de validité pour le
tribunal. La sentence énoncée par le Tribunal contredit les
allégations de la police et du Parquet, qui prétendaient que les
preuves recueillies étaient irréfutables.

La lecture de la sentence, après un procès de deux ans et demi, n’a
duré que quelques minutes. Le juge Mandic a brièvement expliqué que
sur la base des preuves fournies, on ne pouvait conclure que Damir
Mandic se trouvait sur les lieux ou dans le véhicule de type Golf 3,
à partir duquel les balles meurtrières ont été tirées sur Jovanovic,
et que des témoignages de témoins prouvaient que Dami Mandic avait
été vu dans la discothèque Manija de Podgorica au moment du crime.

Une sentence sur commande ?

Dans le même temps, le tribunal a condamné Damir Mandic à deux ans
d’emprisonnement pour l’enlèvement de Miodrag Nikolic. Comme il a
passé plus de deux ans en détention dans l’attente de son procès pour
le meurtre de Jovanovic, cette peine est considérée comme ayant été
déjà effectuée, de sorte que Damir Mandic est désormais un homme
libre. Naturellement, la décision du Haut tribunal n’est que de
première instance, et le procureur compétent a toujours la
possibilité de déposer une plainte dans le délai légal.

La sentence du Haut tribunal a provoqué de vives réactions de la part
des collègues du défunt Dusko Jovanovic. Le doute s’insinue sur le
juge Radovan Mandic, qui n’aurait pas respecté la loi. « Il est
clair, même pour les profanes, que les preuves sont plus que
suffisantes pour condamner l’accusé. Cette sentence prouve que nous
ne vivons pas dans un État de droit », affirme le rédacteur en chef
de Dan, Mladen Milutinovic.

Les députés de cinq partis d’opposition ont également publié un
communiqué commun au Parlement, déclarant que la décision du Haut
tribunal était scandaleuse. « Ou bien le Parquet est incapable et,
durant toutes ces années, il a trompé les citoyens en disant que les
résultats des analyses effectuées à Wiesbaden confirmaient sans
ambiguïté ses soupçons, ou bien la Justice est corrompue à tel point
que les preuves n’ont pas été prises en considération, tandis que le
droit et la justice ont été bradés contre de l’argent sale », note ce
communiqué.

Des doutes anciens

Rappelons que notre journal a plusieurs fois mis en question la
validité des preuves matérielles, proclamées irréfutables par le
Parquet. Dans ce contexte, on a très souvent mentionné la canette de
Red Bull et le paquet de pistaches trouvés à proximité du véhicule
utilisé par les auteurs du crime. Cette canette, présentant les
traces ADN de Mandic, a été trouvée dans d’étranges circonstances,
après la fin du constat, à une cinquantaine de mètres du véhicule en
question. Lors du procès, il a été établi que cette preuve avait été
inscrite selon une procédure douteuse, car il résulte des notes de la
police qu’elle aurait été envoyée à l’expertise avant qu’elle ne soit
découverte ! Les avocats de Mandic accusent publiquement la police
d’avoir fabriqué cette preuve.

En fait, cette preuve n’établit aucun lien entre Mandic et le
véhicule du crime. Sur l’arme trouvée dans le véhicule, utilisée pour
le meurtre de Jovanovic, aucune trace n’a été relevée, tandis que sur
le fusil de réserve qui n’a pas été utilisé, différentes traces d’ADN
ont été trouvées, mais les experts n’ont pas pu les identifier avec
certitude comme étant ceux de l’accusé.

Il en est de même avec les particules de poudre décelées sur le
maillot de Mandic, qui ne peuvent avec fiabilité être imputées à
l’arme du meurtre et qui peuvent avoir une toute autre origine.

Sur la base de toutes les preuves fournies, le tribunal pouvait
conclure deux choses : que Mandic avait probablement tenu dans ses
mains le fusil qui n’a sûrement pas servi à tuer Dusko Jovanovic, et
d’autre part qu’il se trouvait, à une heure imprécise, à cinquante
mètres du lieu où le véhicule du crime a été retrouvé. Ceci, bien
sûr, à la condition que la canette de Red bull, portant la «
signature » ADN de Mandic soit acceptée comme preuve, mais l’origine
de cette canette est extrêmement discutable.

En l’absence de preuves matérielles sérieuses, le Conseil judiciaire
estime que les preuves avancées ne sont pas convaincantes. Le
tribunal n’a pas davantage trouvé de quoi étayer une sentence de
culpabilité dans les listings des appels téléphoniques de Damir
Mandic, avec lesquels le Parquet avait essayé de contester son alibi.
Même les déclarations des reporters de Dan, qui ont remarqué la
présence de Mandic à la discothèque Manija, ont été interprétées en
faveur de l’accusé. Le Conseil de la cour a expliqué que Mandic ne
pouvait se trouver à deux endroits en même temps. C’est ainsi que
toutes les allégations de la police et du Parquet ont été démenties.

Les lacunes

En réalité, depuis le début, cette affaire est empreinte d’erreurs
d’investigation et de condamnations à la hâte. Rappelons que les
inspecteurs de police affirment que le scénario du meurtre de
Jovanovic a été conçu sur la base des aveux de Damir Mandic qui
aurait, soi-disant, lors du premier interrogatoire informel, décrit
le crime et identifié les complices. Ce fameux rapport de police, par
ailleurs inacceptable pour le tribunal, n’a jamais été rendu public.

Or, la police, en se fondant sur ces présumées informations, a accusé
Vuk Vulevic, de Berane, et Armin Musa Osmanagic, de Bar, d’être les
complices qui ont été recherchés pendant des mois après le meurtre.
On annonçait alors, officieusement, que leur arrestation mettrait fin
à l’affaire Jovanovic.

On s’est aperçu très vite que la police avait tiré dans le vide. Vuk
Vulevic a été arrêté à Belgrade, et il est actuellement jugé pour une
toute autre affaire de trafic de stupéfiants. Faute de preuves,
aucune plainte n’a été déposée contre lui pour le meurtre de Jovanovic.

Armin Musa Osmanagic, après plusieurs mois de recherche, s’est lui-
même rendu à la police et, après un bref interrogatoire, il a été
remis en liberté, également pour manque de preuves.

Débâcle de l’enquête

Avec le verdict d’acquittement de Damir Mandic, cette affaire
compliquée revient donc à son point de départ. Les preuves
matérielles n’ont pas été suffisantes pour persuader le conseil du
tribunal de la culpabilité de Mandic. L’enquête poursuivie et le
procès de deux ans contre Damir Mandic n’ont apporté aucune lumière
sur les raisons du meurtre de Dusko Jovanovic : les éventuels
commanditaires du crime n’ont pas été découverts, et les véritables
motifs du tueur n’ont pas été communiqués à l’opinion publique.

Dans le cas où la sentence serait validée, Damir Mandic aurait le
droit de demander des dédommagements à l’Etat pour une détention
infondée de près de six mois qu’il a passée en prison, au-delà des
deux ans d’emprisonnement prévus pour l’enlèvement de Miodrag
Nikolic. Le droit de recours a déjà été acquis par Vuk Vulevic et
Armin Musa Osmagnagic, qui ont été publiquement traités de tueurs,
sans preuves, par les plus hauts fonctionnaires de la police.

De la façon dont les choses se déroulent, il ne restera plus que
l’État sur le banc des accusés. Il le mérite bien, car il a créé une
atmosphère dans laquelle les tueurs peuvent respirer à pleins
poumons. Malheureusement, cela ne peut pas être une consolation pour
la famille de Dusko Jovanovic. Un crime non élucidé, c’est un échec
de plus pour nos espoirs de justice au Monténégro. Or, personne parmi
les autorités compétentes n’en assume la responsabilité.

No alla base militare USA a Vicenza

Venerdì 19 gennaio alle ore 16.00 in piazza a Roma anche una delegazione dei Comitati vicentini per il NO

 


Questo governo e la coalizione di forze che lo sostengono, oggi sono chiamate a scegliere tra sovranità popolare e lealtà ad un esecutivo orientato su una scelta antidemocratica e bellicista.

La nuova base militare USA al Dal Molin sarà una base pienamente operativa e funzionale alla dottrina della guerra preventiva statunitense per le aggressioni contro i popoli nel Medio Oriente.

Il servilismo e la subalternità agli USA e alla NATO, la presenza delle loro basi militari nel nostro territorio e la partecipazione alle missioni militari nei teatri di guerra, vanno rimessi in discussione radicalmente.

Venerdi 19 gennaio concentramento a Montecitorio alle ore 16.00 a sostegno del movimento che si oppone alla nuova base militare a Vicenza. Sarà presente anche una delegazione dei Comitati vicentini per il NO all’allargamento della base militare USA.

 

Comitato per il ritiro dei militari italiani, Confederazione Cobas, Federazione RdB/CUB, Rete dei Comunisti, Partito Comunista dei Lavoratori, Comitati Iraq Libero, CARC, Utopia Rossa, Associazione Officina Comunista, Comitato comunista "A. Gramsci", redazione di www.infromationguerrilla.org.


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Dal Molin, ovvero
IL RE E’ NUDO

 

Con il placet di Romano Prodi all'insediamento di una base USA nel cuore di Vicenza si chiude l’ultimo barlume di speranza in una azione di governo vagamente autonoma dalle strategie politico-militari statunitensi.

 

Il servilismo con il quale la decisone è stata presa traspare dai tempi, in largo anticipo sulla enfatizzata “dichiarazione chiarificatrice di venerdì 19 gennaio”, e dai modi, esposti dal ministro degli esteri  durante la trasmissione televisiva “Ballarò” di martedì 16 gennaio , durante la quale D’Alema ha rivelato una proposta alternativa al Dal Molin, evidentemente rifiutata dal padrone americano. Il Pentagono ha battuto forte sul tavolo, ha dettato le condizioni per la realizzazione della base ora, subito, adesso. Il "governo amico" ha battuto i tacchi.
Alcune affermazioni di Prodi, che addossano ora la responsabilità della scelta al voto del consiglio comunale di Vicenza ed al passato governo Berlusconi aggiungono al servilismo un forte sapore di ridicolo.

 

Mentre migliaia di cittadini vicentini occupano la stazione di Vicenza, le trivelle sono pronte a scavare le fondamenta per l’installazione della 173° brigata aviotrasportata USA, tristemente nota per i massacri in Vietnam e più recentemente a Falluja..
La strada tracciata è evidente: una reiterata subalternità dell’Italia alle presenti e future operazioni di guerra in Medio Oriente. I nostri territori saranno ancora di più trampolino di lancio per le aggressioni contro l’Afghanistan, la Siria, l’Iran,  il Libano, la Somalia e il corno d’Africa.

 

In base a queste scelte politiche decine di civili afgani muoiono quotidianamente sotto i bombardamenti della NATO, in Libano i soldati italiani difendono (dichiarazioni di D’Alema e Prodi) gli interessi di Israele e dell’illegittimo governo Siniora, è stata varata una finanziaria che - prima volta nella storia repubblicana - investe più fondi per le spese militari rispetto a quelle sociali.
La cosiddetta “sinistra radicale” di governo si trova ora di fronte ad una nuova, gravissima scelta presa dal “nocciolo duro” dell’esecutivo prodiano, contro la quale l’unica strada possibile sarebbe quella di determinare una vera crisi di governo, con il ritiro dei propri ministri dall'esecutivo. 
Dubitiamo fortemente sulle reali intenzioni di questo ceto politico,  prono sino ad oggi di fronte a scelte guerrafondaie e liberiste.

 

La base USA al Dal Molin apre la strada ad una riorganizzazione strategica dell’esercito statunitense nel nostro paese. Le notizie trapelate in questi ultimi anni su ipotesi di raddoppio ed ampliamento a camp Darby, Sigonella, Taranto, Brindisi, Napoli si tramutano oggi in una drammatica attualità.

 

Il movimento contro la guerra si trova di fronte ad una sfida a tutto campo, su tutto il territorio nazionale. Le lotte di questi mesi a Vicenza indicano però una strada, in grado di far uscire le mobilitazioni da un generico pacifismo.
Dobbiamo costruire una forte rete nazionale di resistenza attiva sui territori, contro la militarizzazione della politica e dell’economia, contro l’occupazione di intere aree da parte di eserciti in guerra oggi contro i popoli mediorientali, domani contro chiunque metta in discussione l’ordine delle cose esistente.

 

Esprimiamo la nostra totale solidarietà alle mobilitazioni di queste ore a Vicenza, chiamando tutte le realtà coerentemente pacifiste a scendere in piazza, contro un ulteriore, vergognoso schiaffo alla dignità nazionale, subìto oggi da un governo che qualcuno spacciava come “amico”.
Occorre mobilitazione immediata e riorganizzazione strategica del movimento contro la guerra.

Il convegno nazionale “Disarmiamoli” del prossimo 10 febbraio a Bologna si porrà al servizio di queste urgenze.

 

Il Comitato nazionale per il ritiro delle truppe italiane
www.disarmiamoli.org  info@...

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No alla base militare USA a Vicenza. La posta in gioco

 

Il governo Prodi intende dare il via libera alla costruzione di una nuova base militare USA a Vicenza che affianchi quella già esistente nel cuore della città (Camp Ederle).
Sono evidenti a tutti la gravità e le conseguenze di questa scelta. La decisione del governo pone serissimi problemi di democrazia e di collocazione internazionale dell’Italia.

 

1) La nuova base militare USA al Dal Molin infatti sarà una base pienamente operativa e funzionale alla dottrina della guerra preventiva. Da essa dovrebbero partire i blitz dei paracadutisti statunitensi in tutto l’arco di crisi mediorientale e eurasiatico, sussumendo così Vicenza dentro un sistema operativo di guerra che vede l’Italia coinvolta pienamente. La base al Dal Molin diventerebbe uno dei “santuari” delle aggressioni contro altri popoli.

 

2) L’ampiezza del dissenso e della mobilitazione popolare contro la nuova base militare a Vicenza, è stata tale che la decisione del governo di procedere comunque all’installazione della base al Dal Molin, cozza frontalmente con la sovranità popolare. Questo governo si regge su una coalizione di forze che oggi sono chiamate a scegliere tra questa e la lealtà ad un esecutivo orientato su una scelta antidemocratica

 

3) E’ tempo che si apra una vasta e radicale battaglia democratica, popolare e antimilitarista contro i vincoli e i trattati internazionali a cui è sottoposto il nostro paese. La “relazione speciale con gli USA” o la fedeltà atlantica nella NATO, non possono più essere dei dogmi indiscutibili per l’Italia del XXI Secolo. Il rapporto di servilismo e subalternità agli USA e alla NATO (e la presenza delle loro basi militari nel nostro territorio) vanno rimessi in discussione radicalmente. A fronte della continuità della subordinazione atlantica, diventano risibili e ridicoli i discorsi sulle iniziative “autonome” dell’Italia in Libano o in Medio Oriente. Al contrario, le missioni militari in questi teatri assumono il segno della complicità con la dottrina USA della divisione e della guerra civile diffusa in quella regione.

 

E’ necessario avviare una mobilitazione locale e nazionale che prenda di petto i nodi centrali della politica militare e internazionale del governo italiano e ne renda sempre più difficile la realizzazione. La parola d’ordine “disarmiamoli” può indicare una nuova politica e una nuova etica su cui costruire una alternativa e una alterità di modelli.

 

Mettiamo in campo subito una giornata di mobilitazione in tutte le città contro la costruzione della nuova base militare USA a Vicenza e a sostegno del movimento popolare che si oppone alla base

 

Prepariamo una grande manifestazione nazionale  per il ritiro dei militari italiani da tutti i teatri di guerra, per lo smantellamento delle basi militari USA e NATO e per il taglio alle spese militari.
 
16 gennaio
 
La Rete dei Comunisti




DANAS

Corruption, fric et fraudes : scènes ordinaires de la vie politique au Monténégro indépendant

TRADUIT PAR JASNA ANDJELIC
Publié dans la presse : 30 décembre 2006
Mise en ligne : mercredi 10 janvier 2007

La première impression des étrangers qui arrivent à Podgorica est celle de croissance économique. De nouveaux immeubles luxueux en construction, des rues en chantier, des places publiques réaménagées... Pourtant, 10% des Monténégrins vivent dans la pauvreté, et les enseignants ne gagnent que 250 euros par mois. Seuls s’enrichissent les amis du pouvoir.

Par Veseljko Koprivica 

Le Monténégro présente aujourd’hui des images comparables à celles que l’on pouvait voir dans les années 1990, lorsque la population faisait la queue pour acheter du pain, du lait, de l’huile, de l’essence... Les habitants de Podgorica font la queue pendant des jours au centre ville pour acheter de nouveaux téléphones portables ! Ca fait longtemps que le Monténégro est classé au sommet de la liste européenne du nombre de portables par habitant, mais la soif de nouveaux modèles de marques prestigieuses ne semble pas encore assouvie. Il en est de même avec les conversations téléphoniques qui se prolongent à l’infini. Les citoyens monténégrins ont dépensé l’année dernière environ dix millions d’euros pour les conversations téléphoniques et les SMS, indiquent les données d’un opérateur mobile. Combien d’appartements et de nourriture auraient-ils pu acheter... ?

La première impression des étrangers qui arrivent à Podgorica est celle de croissance économique. De nouveaux immeubles luxueux en construction, des rues en chantier, des routes en reconstruction, des places publiques réaménagées... Les derniers modèles des marques automobiles sont garés sur les trottoirs. Un habitant sur deux de la capitale monténégrine en possède une, ce qui représente plus de 100.000 voitures au total à Podgorica. Le nombre de familles qui possèdent plus d’une voiture augmente rapidement. On achète des voitures d’occasion, mais aussi les modèles les plus chers. Les vendeurs des voitures d’occasion à la périphérie de Podgorica et ceux de la route Podgorica-Cetinje-Budva offrent tout ce que l’on peut imaginer en industrie automobile. Les Monténégrins sont des passionnés d’automobiles, mais aussi de conduite. En dépit du nombre impressionnant de voitures, qui provoque des embouteillages fréquents en ville, Podgorica possède treize compagnies de taxis. Il semble que ce nombre de taxis par rapport au nombre d’habitants soit unique au monde.

Deux avions, s’il vous plaît !

Il ne serait pas étonnant de voir se créer des associations privées de transport aérien. En effet, il est possible d’obtenir gratuitement des avions de combat sur trois ans. Deux avions, même. C’est ce qui est récemment arrivé à « Nasa krila », le club aérien privé de Podgorica. Milo Djukanovic, ancien Premier ministre et Ministre de la Défense, lui a accordé l’utilisation triennale gratuite de deux avions de combat type « supergaleb ». Le fait que le club en question ait été fondé par ses amis (son ancien garde du corps et plusieurs agents de police) est bien sûr une pure coïncidence.

Les partis d’opposition ont dénoncé ce cadeau surprenant, et ont posé des questions ennuyeuses sur les lois qui permettent au Ministre de la Défense de donner du matériel militaire en cadeau. Le successeur de Milo Djukanovic, Boro Vucinic, a justifié ce cadeau par le fait que ces avions n’étaient plus utilisables par l’armée et que le don avait permis à l’État de « décharger le budget militaire, et de contribuer en même temps à l’affirmation du sport au Monténégro ».

Les députés de l’opposition ont vraiment titillé les partis au pouvoir : ils ont voulu savoir l’origine des moyens financiers qui permettent à d’anciens policiers - les fondateurs du club aérien, d’entretenir et de réparer ces avions. Ranko Kadic, président du parti démocrate serbe a même osé demander : « Cela nous ferait très plaisir, à nous, de faire de la plongée et de la conduite. Pouvez-vous nous offrir un sous-marin et un char de combat ? »

On accuse le gouvernement de dissiper la fortune de l’État, mais en réalité, le gouvernement se comporte en bon maître de maison. L’exemple le plus récent est celui de la privatisation de l’Institut technique marin « Sava Kovacevic » de Tivat, vendu au milliardaire canadien Peter Monk. Le gouvernement affirme que c’est une des affaires les plus réussies dans la récente histoire du Monténégro.

En plus d’environ 280.000 m² de terrains équipés d’une infrastructure excellente et situés sur la plus belle partie de la baie de Tivat, en complément de 90.000 m² de bâtiments, l’homme d’affaires canadien a obtenu un équipement technique d’une valeur de 5.476.975 euros, pour un prix total de 3,26 millions d’euros, indique le journal Vijesti de Podgorica. Le syndicat de l’Institut a demandé au gouvernement de ne pas accepter une offre inférieure à 80 millions d’euros, et cette demande a été unanimement soutenue par l’assemblée municipale de Tivat. Cependant, le gouvernement a décidé de céder le terrain, les bâtiments et des équipements d’une valeur de 5,5 millions euros à M. Monk pour la somme totale de 3,26 millions d’euros. De plus, le milliardaire canadien a obtenu une concession de 30 ans renouvelable deux fois sur les terrains appartenant à l’Institut, bien que cette décision soit illégale car le complexe en question est située sur une zone côtière.

Qui pourrait dire que le Monténégro n’est pas riche ?

Ce sont toujours les étrangers qui se croient beaucoup plus avancés dans tous les domaines que les habitants des Balkans. Un récent sondage du Programme des Nations Unies pour le développement (PNUD) a démontré qu’environ 70.000 habitants du Monténégro étaient pauvres. 12% des citoyens vivent sous le seuil de pauvreté, au fond de la misère. Les experts étrangers n’ont pas réussi non plus à calculer le nombre de riches, mais ils affirment que la différence entre les pauvres et les riches au Monténégro est aujourd’hui la plus impressionnante de la région. Les riches dépensent sept fois plus que les pauvres. Il y a une chose qui n’a pas été démontrée par le sondage mais qui est évidente : les pauvres ont honte de leur pauvreté tandis que les riches n’ont pas honte de leur fortune, même si elle est acquise en peu de temps et de façon plus que douteuse.

Les statistiques nationales présentent une situation sociale idéalisée : le salaire moyen en novembre serait de 250,34 euros, et le panier du consommateur contenant les produits alimentaires et les boissons pour une famille avec deux enfants serait de 273,01 euros.

Les enseignants et les médecins ont les salaires les plus bas. C’est pourquoi le Syndicat des enseignants a longtemps lutté contre le gouvernement, mais aussi contre la Confédération des syndicats, pour augmenter le salaire minimum. De nombreux économistes proposent d’abolir les prix fixés au niveau national et de laisser le marché se réguler. Le gouvernement a proposé en novembre une augmentation du salaire minimum de deux euros. Le syndicat des enseignants a organisé des protestations devant le Parlement. En même temps, les enseignants se sont fait accuser par la Confédération des syndicats de vouloir compromettre sa réputation de protecteur des droits des travailleurs.

Le niveau des salaires des enseignants est un exemple de ce souci constant des syndicats et de l’État de veiller aux droits des travailleurs. Les indemnités pour les transports et les repas sont toujours en retard et certains enseignants attendant deux ans pour obtenir l’assistance financière obligatoire en cas de décès d’un membre de leur famille...

Ces derniers jours, les partis d’opposition et ceux au pouvoir ont débattu sur une proposition de budget. Devinez qui l’a emporté ! Le budget total pour 2007 sera de 616,86 millions d’euros. La recherche scientifique se verra décerner 0,5% du budget, tandis que l’armée et la police, considérées comme des appareils de répression dans d’autres pays, obtiendront la modeste enveloppe de 110 millions d’euros.

Les critiques de l’opposition n’ont pas fait renoncer le gouvernement à l’idée de se construire un nouveau bâtiment au centre de Podgorica, financé par les impôts des citoyens. Il coûtera un peu plus de six millions d’euros. En effet, le gouvernement est actuellement locataire, puisque son bâtiment est par magie devenu la propriété du Parti démocrate des socialistes (DPS).

Le Monténégro entame son huitième mois d’indépendance, mais de nombreux indépendantistes sont plus préoccupés par leur propre enrichissement et la construction de villas que par la construction d’un État de droit. Les médias monténégrins ont publié les noms des personnalités qui construisent des maisons de manière illégale : Mladen Vukcevic, président de la Cour suprême du Monténégro, Miomir Mugosa, maire de Podgorica, Rajko Kuljaca, maire de Budva.

Les hommes politiques n’aiment pas exposer leurs richesses en public, même s’ils y sont obligés par la loi. La Commission de contrôle des conflits d’intérêts a décidé d’entamer des procédures contre 38 députés nationaux et élus des assemblées locales pour avoir caché leurs revenus et leurs propriétés, dont le vice-Ministre du travail, le maire-adjoint de Podgorica, le directeur exécutif de l’Agence de construction de Podgorica...

Ces personnes appartiennent probablement à la même catégorie sociale que ces gens qui ont réservé toutes les chambres d’hôtel à Zabljak en janvier, qui ont payé si cher pour passer les fêtes de fin d’année sur la côte ou à étranger, et dont les enfants font leurs études dans le monde entier... 



http://www.ansa.it/balcani/italia/20070111135734162882.html

GIORNATA MEMORIA: A BARI MOSTRA SU CAMPO STERMINIO CROAZIA

BARI - In occasione della 'Giornata delle memoria', 'Most za Beograd-
Un ponte per Belgrado in terra di Bari' l' associazione culturale di
solidarieta' con le popolazioni jugoslave che ha sede a Bari ha
curato una mostra fotografica sul campo di sterminio di 'Jasenovac
(1942-1945) in cui morirono, tra gli altri, 12.432 bambini al di
sotto dei 14 anni. la mostra sara' inaugurata il 25 gennaio prossimo.
Nel darne notizia un comunicato ricorda che l'associazione promuove,
tra l'altro, iniziative di conoscenza della storia e della cultura
jugoslave, iniziative di solidarieta' nei confronti delle vittime
della guerra nel campo sanitario, scolastico, alimentare e in ogni
altro campo e di adozioni a distanza di bambini jugoslavi. La mostra
e' stata organizzata in collaborazione con il 'Museo delle vittime
del genocidio' di Belgrado, l'Istituto pugliese di Storia
dell'antifascismo e dell'Italia contemporanea, gli assessorati alla
cultura del Comune e della provincia di Bari, con il patrocinio del
consolato di Serbia e dell'assessorato al Mediterraneo della Regione
Puglia. La mostra, che propone anche audiovisivi, riguarda Jasenovac,
il piu' grande campo di concentramento e di sterminio dell'area
balcanica, in Croazia, sulle rive del fiume Sava, un centinaio di
chilometri a sud di Zagabria. Jasenovac fu costruito nell'agosto 1941
e rimase attivo fino all'aprile del 1945, quando fu smantellato. Le
vittime di Jasenovac, secondo stime attendibili degli studiosi - e'
detto nel comunicato - si aggirano intorno a seicentomila (anche se
una storiografia 'riduzionista' tende a ridimensionarne il numero a
meno di centomila), in prevalenza serbi, rom, ebrei, e chiunque si
opponesse al regime filonazista degli ustascia di Ante Pavelic. A
Jasenovac furono imprigionati circa 25.000 ebrei di tutta la regione,
a partire da Sarajevo, quasi tutti sterminati nell'agosto del 1942.
Molti dei morti di Auschwitz provenivano da Jasenovac. In condizioni
inumane, venivano tenuti in vita coloro i quali potevano essere utili
al regime: farmacisti e dottori, fabbri e ciabattini, gli altri
venivano sterminati nei campi di Granik e Gradina. Jasenovac e'
considerato dagli storici, ''per crudelta' e torture'', uno dei
luoghi infernali della storia. La mostra e' stata realizzata con la
collaborazione del 'Museo delle vittime del genocidio' di Belgrado,
che ha fornito ampia documentazione e la mostra 'Bili su samo
deca' (erano solo bambini) sulla storia delle 19.432 vittime
accertate al di sotto dei 14 anni del campo. Altro materiale
documentario proviene dal 'Jasenovac Research Institute' (JRI) di New
York. La rassegna sara' arricchita da pannelli realizzati con la
collaborazione del prof. Antonio Leuzzi, direttore dell'Istituto
pugliese per la Storia dell'Antifascismo e dell'Italia Contemporanea
(c/o la Biblioteca del consiglio regionale), sulla presenza in Puglia
e Basilicata, di numerosi internati di origine jugoslava. La mostra
sara' allestita nella Sala Murat e aperta al pubblico fino al 4
febbraio. XBN
11/01/2007 13:57

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CROAZIA 1941-1944: UNA CATTOLICISSIMA MACELLERIA

Il nazista Pavelic e l'arcivescovo Stepinac, alleati di genocidio

di Karlheinz Deschner

-- Il testo che segue è la traduzione letterale di quello
presentato da Karlheinz Deschner il 26/12/1993 in occasione
dell'ultima puntata della sua serie televisiva sulla politica
dei Papi nel XX secolo. Questa serie è stata trasmessa
in Germania da Kanal 4, sulle frequenze di RTL. Il testo
e' stato ripreso dalla rivista marxista tedesca "Konkret"
(n.3-1994, pg.47) e tradotto in italiano a cura del Coord.
Romano per la Jugoslavia. --

Il Papato di Roma - divenuto grande attraverso la
guerra e l'inganno, attraverso la guerra e l'inganno
conservatosi tale - ha sostenuto nel XX secolo il
sorgere di tutti gli Stati fascisti con
determinazione, ma più degli altri ha favorito proprio
il peggior regime criminale: quello di Ante Pavelic
in Jugoslavia.
Questo ex-avvocato zagrebino, che negli anni '30
addestrò le sue bande soprattutto in Italia, fece
uccidere nel 1934 a Marsiglia il re Alessandro di
Jugoslavia in un attentato che costò la vita anche al
ministro degli Esteri francese. Due anni più tardi
celebrò con un libello le glorie di Hitler, "il più grande
ed il migliore dei figli della Germania", e ritornò
in Jugoslavia nel 1941, rifornito da Mussolini con armi
e denari, al seguito dell'occupante tedesco. Da despota
assoluto Pavelic si pose nella cosiddetta
Croazia Indipendente a capo di tre milioni di Croati
cattolici, due milioni di Serbi ortodossi, mezzo
milione di Musulmani bosniaci nonchè numerosi
gruppi etnici minori. Nel mese di maggio cedette
quasi la metà del suo paese con annessi e connessi
ai suoi vicini, soprattutto all'Italia, dove con
particolare calore fu accolto e benedetto da Pio XII
in udienza privata (benchè già condannato a
morte in contumacia per il doppio omicidio di
Marsiglia sia dalla Francia che dalla Jugoslavia). Il
grande complice dei fascisti si accommiatò da lui
e dalla sua suite in modo amichevole e con i migliori
auguri, letteralmente, di "buon lavoro".

Così ebbe inizio una crociata cattolica che non ha
nulla da invidiare ai peggiori massacri del
Medioevo, ma piuttosto li supera. Duecentonovantanove
chiese serbo-ortodosse della "Croazia
Indipendente" furono saccheggiate, annientate,
molte trasformate persino in magazzini, gabinetti
pubblici, stalle.
Duecentoquarantamila Serbi ortodossi furono costretti
a convertirsi al cattolicesimo e circa
settecentocinquantamila furono assassinati. Furono
fucilati a mucchi, colpiti con la scure, gettati nei
fiumi, nelle foibe, nel mare. Venivano massacrati
nelle cosiddette "Case del Signore", ad esempio
duemila persone solo nella chiesa di Glina. Da vivi
venivano loro strappati gli occhi, oppure si
tagliavano le orecchie ed il naso, da vivi li si
seppelliva, erano sgozzati, decapitati o crocifissi. Gli
Italiani fotografarono un sicario di Pavelic che
portava al collo due collane fatte con lingue ed occhi di
esseri umani.
Anche cinque vescovi ed almeno 300 preti dei Serbi
furono macellati, taluni in maniera ripugnante,
come il pope Branko Dobrosavljevic, al quale furono
strappati la barba ed i capelli, sollevata la pelle,
estratti gli occhi, mentre il suo figlioletto era
fatto letteralmente a pezzi dinanzi a lui. L'ottantenne
Metropolita di Sarajevo, Petar Simonic, fu sgozzato.
Ciononostante l'arcivescovo cattolico della città
di Oden scrisse parole in lode di Pavelic, "il duce
adorato", e nel suo foglio diocesano inneggiò ai
metodi rivoluzionari, "al servizio della Verità, della
Giustizia e dell'Onore".
Le macellerie cattoliche nella "Grande Croazia" furono
così terribili che scioccarono persino gli stessi
fascisti italiani; anche alti comandi tedeschi
protestarono, diplomatici, generali, persino il servizio di
sicurezza delle SS ed il ministro degli Esteri nazista
Von Ribbentrop. A più riprese, di fronte alle
"macellazioni" di Serbi, truppe tedesche intervennero
contro i loro stessi alleati croati.

E questo regime - che ebbe per simboli e strumenti
di guerra "la Bibbia e la bomba" - fu un regime
assolutamente cattolico, strettamente legato alla
Chiesa Cattolica Romana, dal primo momento e sino
alla fine. Il suo dittatore Ante Pavelic, che era
tanto spesso in viaggio tra il quartier generale del
Führer e la Berghof hitleriana quanto in Vaticano,
fu definito dal primate croato Stepinac "un croato
devoto", e dal papa Pio XII (nel 1943!) "un cattolico
praticante". In centinaia di foto egli appare fra
vescovi, preti, suore, frati. Fu un religioso ad
educare i suoi figli. Aveva un suo confessore e nel suo
palazzo c'era una cappella privata. Tanti religiosi
appartenevano al suo partito, quello degli ustasa,
che usava termini come dio, religione, papa, chiesa,
continuamente. Vescovi e preti sedevano nel
Sabor, il parlamento ustasa. Religiosi fungevano
da ufficiali della guardia del corpo di Pavelic. I
cappellani ustasa giuravano ubbidienza dinanzi a
due candele, un crocifisso, un pugnale ed una
pistola. I Gesuiti, ma più ancora i Francescani,
comandavano bande armate ed organizzavano
massacri: "Abbasso i Serbi!". Essi dichiaravano
giunta "l'ora del revolver e del fucile"; affermavano
"non essere più peccato uccidere un bambino di
sette anni, se questo infrange la legge degli ustasa".
"Ammazzare tutti i Serbi nel tempo più breve
possibile": questo fu indicato più volte come "il nostro
programma" dal francescano Simic, un vicario militare
degli ustasa. Francescani erano anche i boia
dei campi di concentramento. Essi sparavano, nella
"Croazia Indipendente", in quello "Stato cristiano
e cattolico", la "Croazia di Dio e di Maria", "Regno
di Cristo", come vagheggiava la stampa cattolica
del paese, che encomiava anche Adolf Hitler
definendolo "crociato di Dio". Il campo di
concentramento di Jasenovac ebbe per un periodo
il francescano Filipovic-Majstorovic per
comandante, che fece ivi liquidare 40.000 esseri
umani in quattro mesi. Il seminarista francescano
Brzien ha decapitato qui, nella notte del 29 agosto
1942, 1360 persone con una mannaia.
Non per caso il primate del paradiso dei gangsters
cattolici, arcivescovo Stepinac, ringraziò il clero
croato "ed in primo luogo i Francescani" quando
nel maggio 1943, in Vaticano, sottolineò le conquiste
degli ustasa. E naturalmente il primate, entusiasta
degli ustasa, vicario militare degli ustasa, membro
del parlamento degli ustasa, era bene informato di
tutto quanto accadeva in questo criminale eldorado
di preti, come d'altronde Sua Santità lo stesso
Pio XII, che in quel tempo concedeva una udienza dopo
l'altra ai Croati, a ministri ustasa, a diplomatici
ustasa, e che alla fine del 1942 si rivolse alla
Gioventù Ustasa (sulle cui uniformi campeggiava
la grande "U" con la bomba che esplode all'interno)
con un: "Viva i Croati!". I Serbi morirono allora,
circa 750.000, per ripeterlo, spesso in seguito a
torture atroci, in misura del 10-15% della
popolazione della Grande Croazia - tutto ciò
esaurientemente documentato e descritto nel mio
libro La politica dei papi nel XX secolo [Die Politik
der Paepste im XX Jahrhundert, Rohwohl 1993; si veda
pure "L'Arcivescovo del genocidio", di M.A. Rivelli,
ediz. Kaos 1999]. E se non si sa nulla su questo
bagno di sangue da incubo non si può comprendere
ciò che laggiù avviene oggi, avvenimenti
per i quali lo stesso ministro degli Esteri dei nostri
alleati Stati Uniti attribuisce una responsabilità
specifica ai tedeschi, ovvero al governo Kohl-Genscher.

Più coinvolto ancora è solo il Vaticano, che
già a suo tempo attraverso papa Pio XII non solo
c'entrava, ma era così impigliato nel peggiore degli
orrori dell'era fascista che, come già scrissi
trent'anni fa, "non ci sarebbe da stupirsi, conoscendo la
tattica della Chiesa romana, se lo facesse santo".
Comunque sia: il Vaticano ha contribuito in maniera
determinante alla instaurazione di interi regimi
fascisti degli anni venti, trenta e quaranta. Con i
suoi vescovi ha sostenuto tutti gli Stati fascisti
sistematicamente sin dal loro inizio. E' stato il
decisivo sostenitore di Mussolini, Hitler, Franco,
Pavelic; in tal modo la Chiesa romano-cattolica si
è resa anche corresponsabile della morte di circa
sessanta milioni di persone, e nondimeno della morte
di milioni di cattolici. Non è un qualche secolo
del Medioevo, bensì è il ventesimo, per lo meno dal
punto di vista quantitativo, il più efferato nella
storia della chiesa.


-- POSTILLA: In occasione del primo viaggio in Croazia di
Giovanni Paolo II, il quotidiano italiano la Repubblica
taceva su tutto quanto sopra raccontato, pero' scriveva:
"...Ma il contatto con la folla fa bene a Giovanni Paolo
II. I fedeli lo applaudono ripetutamente. Specie quando
ricorda il cardinale Stepinac, imprigionato da Tito per
i suoi rapporti con il regime di Ante Pavelic, ma sempre
rimasto nel cuore dei Croati come un'icona del
nazionalismo. Woityla, che sabato sera ha pregato sulla
sua tomba, gli rende omaggio, però pensa soprattutto
al futuro..." (la Repubblica, 12/9/1994). Tre anni dopo,
lo stesso papa proclamava beato il nazista Stepinac, con
una pomposa cerimonia alla quale partecipava pure Franjo
Tudjman, regista della cacciata di tutta la popolazione
serba delle Krajne nella versione di fine secolo della
"Croazia indipendente". --
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Sulla mostra organizzata a Bari da Most za Beograd si veda anche:

https://www.cnj.it/INIZIATIVE/jasenovac_most.htm

Sui crimini degli ustascia si vedano anche i link e i documenti
raccolti alla pagina:

https://www.cnj.it/documentazione/ustascia1941.htm