Informazione

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=13491

La questione "rom"

di Adriano Ascoli

su Liberazione del 10/01/2007

Vista la crescente attenzione riguardo alla "vicenda rom", proponiamo
ai lettori un articolo del 25 marzo 1999, pubblicato da Liberazione
all'indomani dell'avvio della guerra contro la Federazione Jugoslava.

L'articolo è tratto da una intervista di Adriano Ascoli a un rom
jugoslavo riparato in un campo nomadi fiorentino.

A distanza di tanti anni da quella sciagurata aggressione militare, è
il caso di ricordare che la massiccia presenza rom in Italia è in
larga parte conseguenza annunciata di quella guerra non dichiarata,
ed illegale, qualcuno potrebbe definirla pure "eversiva", contro la
Federazione Jugoslava, ciò ha determinato gravi conseguenze sociali
sul nostro territorio che ora, a dispetto di facili rimozioni, stanno
assumendo centralità politica.

Il numero dei rom jugoslavi in Italia è andato aumentando di pari
passo con la destabilizzazione della rfsj, e con la "liberazione" del
Kossovo e l'instaurazione della dittatura terroristica criminale che
ad oggi continua a governarlo, grazie alla protezione delle forze
militari alleate, la quasi totalità dei rom kossovari ha dovuto
lasciare il proprio paese per riparare, in larga parte, proprio in
Italia. La prima volta che si ebbe a parlare sulla stampa italiana
dei rom del Kossovo, sfatando la falsa notizia di un Kosovo tutto
albanese, fu appunto in questo articolo del marzo 99.
Quella guerra, i cui risultati sono oggi così impietosi, fu anche
all'origine di altri drammi umani, con la malattia e la morte di
numerosi militari italiani e di un numero imprecisato di civili
jugoslavi (vedi
http://italy.indymedia.org/news/2004/09/635576.php)

MARZO 99. ROM: GLI INNOMINATI DEL KOSOVO

Incontriamo Ferat in un bar vicino al suo campo "nomadi", uguale a
tanti altri campi in cui sono ammassati a centinaia nelle città
italiane. Commentiamo insieme il rapido precipitare degli eventi
nella Federazione Jugoslava. Conosciamo Ferat da tempo, ma mai
avevamo compreso come ora la pesantezza della menzogna sul Kosovo.
Con tono mite e pacato, ci racconta la sua storia.
Nato nella Croazia scappa con moglie e figli abbandonando casa e
lavoro, scacciato dalle autorità di quella Croazia che fa impallidire
per la somiglianza con i peggiori regimi fantoccio del periodo
nazista. Ripara in Kosovo, da profugo non viene accolto in un campo,
come accade da noi, ma in una casa costruita a metà, come molte case
in questa regione, già povera e ancor più indebolita dal successivo
embargo. Periodici sono i viaggi in Italia per comperare stracci e
vestiti da rivendere al mercato. Lui, come i suoi compagni di
sventura, non rientra in nessuna delle etichette etniche
pubblicizzate sui nostri mezzi di informazione: non è serbo, non è
neanche albanese, è rom (quelli che vengonp chiamati zingari e che
parlano un misto di serbo e sancrito). Dunque non è vero che in
Kosovo ci sono solo albanesi e una infima minoranza di serbi?
Ferat ci risponde che i numeri riportati dai nostri giornali non
corrispondono al vero e, senza nulla togliere agli albanesi, non
viene mai ricordato che oltre al noto 15% di serbi vi è una secolare
presenza della comunità rom e che la consistenza numerica degli
albanesi è inferiore di quanto ci viene fatto credere. La questione
dei numeri, quasi maniacale nei Balcani, merita la sua attenzione
perché su di essa si è costruita la politica e la storia di questa
regione. in Kosovo vi è una minoranza di albanesi cattolici e una
maggioranza di albanesi musulmani, una nutrita minoranza rom e una
minoranza turca entrambe musulmane, ed infine una minoranza serba di
religione ortodossa (o anche atea) originaria di questa terra da
oltre mille anni. Tutte le componenti musulmane, spiega Ferat, sono
state assimilate, forza della statistica e degli interessi che questa
deve servire, all'etnia albanese.
Un capolavoro che ha consentito di presentare la situazione kosovara
estremamente diversa da come è in realtà. Le etnie musulmane ma non
albanesi non hanno partecipato infatti in alcun modo ai fermenti
autonomistici, paventando proprio quella pulizia etnica di cui sono
sempre state vittime dalla disgregazione della Jugoslavia, unico
stato, insieme alla successiva federazione serbo-montenegrina, a
garantire loro cittadinanza e dignità (con diritti nettamente
superiori a quelli che noi concediamo loro). I dati su cui si basano
gli esperti sono invece relativi alla semiotica dei cognomi: a un
cognome musulmano corrisponde una croce nella casella "etnia
albanese". Restiamo sbigottiti da queste affermazioni, pronunciate in
modo semplice e defilato dal nostro interlocutore e chiediamo quale
sia stato il trattamento riservato dalle forze serbe a questi
musulmani, né albanesi né serbi, i rom del Kosovo, gli innominati di
questa crisi, ma Ferat non vuole perdersi in chiacchiere e taglia
corto: nella federazione jugoslava la comunità musulmana è
perfettamente integrata, accettata in Serbia come in Montenegro,
stati entrambi multietnici come fu la Jugoslavia di Tito. E le
repressioni contro la popolazione civile? Tutta la comunità,
sostiene, sa distinguere: "C'è la guerra e nella guerra la povera
gente soffre sempre". Ma la preoccupazione più forte è sempre stata
il nazionalismo razzista dell'Uck privo di qualsiasi rivendicazione
sociale, "non si sa neanche cosa vogliono fare con un nuovo stato, si
sa solo che deve essere albanese puro e che non ci saranno né serbi
né zingari". Ferat ci ricorda ancora come, nel paese che con maggior
forza seppe liberarsi dai nazisti, circa un anno orsono è stato
rinvenuto un forno crematorio (vi si bruciavano serbi e albanesi
"collaborazionisti"), e le recenti stragi ai mercati opera dell'Uck
per terrorizzare la stessa popolazione albanese e impedire un accordo
tra le parti più moderate. Una guerra di bassa intensità,
strisciante, andata avanti a lungo per destabilizzare il paese,
dividerlo ed annettere le zone minerarie dove si estraggono minerali
preziosi (come a Mitrovica) ad una grande Albania etnica e pura,
assoggettata agli Usa e all'Europa. Ecco ora La Guerra, vera e cruda,
ultima di un calvario di disgrazie.
Ferat è convinto: i serbi non lasceranno il Kosovo, terra sacra, con
le più belle e antiche chiese (come lo splendido monastero di
Gracanica), meta privilegiata di pellegrinaggio e culla della storia
e della cultura serba. Stiamo per chiudere la conversazione quando il
telegiornale annuncia il lancio dei primi missili "intelligenti".
Cala un silenzio gonfio di lacrime; una corsa al telefono del bar,
una voce risponde: "A Vuctrin i negozi sono chiusi, ma stiamo bene".
All'improvviso: "E' andata via la luce! Come proseguirà questa
nottata?".



(english / italiano)

http://poisondust.org/


1) Preševo: 161 depleted uranium missiles found / SERBIA: RAID NATO 99, TROVATE ALTRE BOMBE ALL'URANIO IMPOVERITO 

2) VIDEO: Poison DUst. A NEW  LOOK AT U.S. RADIOACTIVE WEAPONS 

3) Intervista a Gigi Malabarba: Nuova indagine parlamentare sull'uranio impoverito

4) D. Leggiero: “Uranio. Storia di un’Italia impoverita”

5) Importante convegno a Modena

6) D.U. E FINANZIARIA: 15 milioni di euro per i militari ammalati / FINANZIARIA: BULGARELLI (VERDI), "BENE INTERVENTI PER ASSISTENZA MILITARI MALATI E BONIFICA AREE POLIGONI"

7) ARMI ALL'URANIO IN LIBANO ED IRAQ

8) BREVI / IN SHORT:

- URANIO: NUOVO CASO DI CONTAMINAZIONE DI UN MILITARE

- Italia. Uranio impoverito, due contaminati in Puglia

- Bosnia, Kosovo: Uranium 'killing Italian troops' 


=== 1 ===

http://www.b92.net/eng/news/society-article.php?yyyy=2006&mm=12&dd=11&nav_category=111&nav_id=38546

Beta (Serbia)
December 11, 2006

Preševo: 161 depleted uranium missiles found

RELJAN - In the past nine weeks, 161 depleted uranium
missiles were recovered in Reljan, near Preševo.

Directorate for the protection of the environment
representatives say that the missiles were left in the
area after the 1999 NATO bombing campaign.

The works in the area started on October 1.

So far, 6.5 out of 12 hectares of contaminated grounds
have been searched and cleared.

A total of 2.4 cubic meters of contaminated soil has
also been collected and removed.

The government has funded the cleanup operation in the
Reljan site with 350,000 euros. 

---

SERBIA: RAID NATO 99, TROVATE ALTRE BOMBE ALL'URANIO IMPOVERITO

BELGRADO - Altri 161 ordigni con uranio impoverito, sganciati dalla Nato sulla Serbia nel 1999, durante i bombardamenti della guerra del Kosovo, sono stati trovati e stoccati da ottobre a oggi nella piu' recente operazione di bonifica ad hoc compiuta nella repubblica ex jugoslava.

Le bombe in questione - il cui impiego e il cui presunto impatto sulla salute degli stessi militari Nato hanno suscitato in passato accesi contrasti in Italia e in vari Paesi occidentali - sono state rinvenute nella zona di Presevo (Serbia meridionale), a pochi chilometri dal confine amministrativo con la provincia secessionista a maggioranza albanese del Kosovo.

Esse erano sparpagliate in un area di 6,5 ettari e sono state messe ora in sicurezza, ha riferito all'agenzia Beta il Dipartimento governativo per la protezione ambientale di Belgrado. L'operazione e' stata condotta tra il primo ottobre e l'11 dicembre ed e' consistita anche nella delimitazione di 2,4 metri cubi di ''suolo tossico'', destinato a essere decontaminato nel giro di poco piu' di tre mesi.

Nella zona di Presevo - per la cui bonifica il governo serbo ha stanziato sino a oggi 27,5 milioni di dinari - restano da controllare ulteriori 5,5 ettari di terreno che si presumono soggetti alle conseguenze della contaminazione da uranio impoverito di sette anni orsono.
12/12/2006 14:08 


=== 2 ===


Poison DUst

A NEW  LOOK AT U.S. RADIOACTIVE WEAPONS

Join us in a campaign to expose and stop the use of these illegal weapons

On November 1, the BBC reported that the U.S. and British governments have continued to use radioactive and chemically toxic Depleted Uranium weapons in Iraq, disregarding warnings that these weapons pose a cancer risk and are linked to numerous other health issues.

According to the article, a report by a senior UN scientist said research showing how depleted uranium could cause cancer and other health problems was suppressed in a recent World Health Organization report:
But Dr Keith Baverstock, who worked on the project, ...described a process known as genotoxicity, which begins when depleted uranium dust is inhaled.   "The particles that dissolve pose a risk - part radioactive - and part from the chemical toxicity in the lung," he said.  Later, he said, the material enters the body and the blood stream, potentially affecting bone marrow, the lymphatic system and the kidneys.  The research was not included in the WHO report, and Dr Baverstock believes it was blocked.

During the current Iraq War the U.S. use of radioactive DU weapons increased from 375 tons used in 1991 to 2200 tons. Geiger counter readings at sites in downtown Baghdad record radiation levels 1,000 and 2,000 times higher than background radiation. The Pentagon has bombed, occupied, tortured and contaminated Iraq. Millions of Iraqis are affected. Over one million U.S. soldiers have rotated into Iraq. Today, half of the 697,000 U.S. Gulf War troops from the 1991 war have reported serious medical problems and a significant increase in birth defects among their newborn children.

The effects on the Iraqi population are far greater. Many other countries and U.S. communities near DU weapons plants, testing facilities, bases and arsenals have also been exposed to this radioactive material which has a half-life of 4.4 billions years.

---

You thought they came home safely from the war. They didn’t.

Poison DUst tells the story of three young men from New York who could not get answers for their mysterious ailments after their National Guard unit’s 2003 tour of duty in Iraq. A mother reveals her fears about the extent of her child’s birth defects and the growing disability of her young husband – a vet.

Filmmaker Sue Harris skillfully weaves, through interviews, their journey from personal trauma, to ‘positive’ test results for uranium poisoning, to learning the truth about radioactive Depleted Uranium weapons. Their frustrations in dealing with the Veterans Administration’s silence becomes outrage as they realize that thousands of other GI's have the same symptoms.

Veterans, anti-war organizers, environmentalists and health care providers will find this wake-up call to today’s GIs invaluable.

Today more than 1/3 of all 1991 Gulf war vets are on VA Disability Benefits. Meanwhile U.S. use of radioactive DU weapons has increased six-fold from 1991 to Gulf War II!

Scientists expose the Pentagon Cover-Up!

Poison DUst includes a powerful indictment of past U.S. use of radioactive weapons....

The U.S. military now admits that it deliberately radiated its own soldiers, known as the “Atomic Veterans,” during the Cold War. This documentary exposes U.S. use of radioactive weapons on peoples in not only Iraq, but the Marshall Islands; Vieques, Puerto Rico; Meihyang-Ri, South Korea; and Yugoslavia.

Poison DUst mixes interviews with soldiers with experts such as Dr. Helen Caldicott, Dr. Michio Kaku, and Dr. Rosalie Bertell explaining how DU contamination spreads and how residue from exploded DU shells radiates people.

A growing global resistance is expressed by former Attorney General Ramsey Clark, scientists and activists from Vieques, Puerto Rico, by New York Daily News reporter Juan Gonzalez, Sara Flounders of the International Action Center’s DU Education Project and Major Doug Rokke - the former U.S. Army DU Project head.

Poison DUst is an important educational tool in building the movement to stop this horror.

Help us get the word out--this important film is already being shown in schools, churches, community centers, and in a Coffee House set up for GIs outside of Fort Drum.

---

From: The Queens Tribune, 4/21/2005

    Queens veterans of the War in Iraq share military stories, pay tribute to their fallen comrades and talk to each other about their experiences – and one element keeps ringing true to many of the soldiers. Depleted uranium.

    On Tuesday night, in the basement of All Saint’s Episcopal Church in Sunnyside, there was a screening of Poison DUst, a documentary that chronicles the United States government’s use of depleted Uranium. ...

    The movie makes a convincing case for its argument that depleted uranium is being used rampantly in Iraq, among other places, and that wherever it is used it causes terrible health problems. The audience was clearly disturbed by the film.

    “Isn’t there some crime being committed?” Bill Hagel, who attended, asked in the question and answer session that followed. “Shouldn’t someone be in jail?” 

---

Join the campaign to stop the use of these illegal weapons.

How you can help:

Order the video from http://poisondust.org - arrange showings in your community 

Donate - You can make a difference! Funds are urgently needed to publicize and distribute Poison DUst. Send donations to the Depleted Uranium Education Project; 55W. 17 St., Rm. 5C, New York, NY 10011. Or donate on-line: http://iacenter.org/iacdonate.shtml

For more information, additional resources, bibliography, and more, see: PoisonDUst.org
Call 212-633-6646 for information 



=== 3 ===


Nuova indagine parlamentare sull'uranio impoverito

08.11.2006    scrive Nicole Corritore


Il parlamento italiano ha istituito una nuova Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito, operativa da dicembre. Si indagherà questa volta non solo sui militari ma anche sui civili. Nostra intervista al primo firmatario, senatore Gigi Malabarba


Ad inizio ottobre è stata istituita una nuova Commissione parlamentare d’inchiesta sulla questione uranio impoverito. Quali le differenze rispetto alla precedente? 

La Commissione Difesa ha deciso l’istituzione di una nuova Commissione d’inchiesta sull'uranio impoverito in sede deliberante, sulla base dell'accordo tra tutti i gruppi, e questo dovrebbe far superare le difficoltà che abbiamo avuto nella passata legislatura. Il dato estremamente positivo è che non abbiamo neanche dovuto ricorrere al voto dell’aula. L’istituzione di questa Commissione è stata la più veloce nella storia della nostra Repubblica, anche perchè si tratta della continuazione di un lavoro già avviato che gode del sostegno del 20% dei senatori di tutti i gruppi, concordi sul fatto che il lavoro debba continuare. Io sono il primo firmatario, ma se non ci fosse stato il sostegno di tutti i gruppi non ci sarebbe stata la possibilità di istituirla così velocemente. 

Che cosa era successo allora? Sappiamo che sono state molteplici le difficoltà incontrate durante l’anno di lavoro della prima Commissione... 

C’erano state reticenze di alcuni gruppi, in particolare Forza Italia, che aveva sia il Ministro della Difesa che il Presidente del Senato, ed ha avuto un ruolo forte di freno e sabotaggio. Questa volta, credo grazie soprattutto al lavoro fatto da tutta la Commissione l’anno passato, si sono fugati tutti i dubbi relativi a possibili attività propagandistiche che avrebbe potuto svolgere la Commissione ai danni delle gerarchie militari, del ministero della Difesa o delle Forze armate. Le cose che avevamo chiesto e che non ci sono state date allora le dobbiamo ottenere assolutamente ora, da parte del ministero della Difesa, e riguardano innanzitutto i dati su cui è possibile costruire degli elementi statistici fondanti. 

Con quali presupposti parte il lavoro della nuova Commissione? 

Allo stato attuale il lavoro è stato parziale, perché non ci sono mai stati forniti i dati. Penso che la Commissione possa entrare in funzione già prima di Natale e possa riconfermare la squadra molto valida che abbiamo avuto l’anno passato. Conterà sempre 21 membri e anche il numero dei consulenti dovrebbe essere riconfermato, anche perché sono persone che si sono dimostrate molto valide e sono ormai diventate di fama internazionale. Dopodiché abbiamo avuto anche la possibilità, che ho voluto introdurre come elemento legato alle valutazioni che avevamo fatto nella passata legislatura, di allargare il campo alle popolazioni civili sia attorno ai poligoni di tiro sia ai teatri di guerra che sono stati oggetto dell’intervento delle nostre missioni militari. 

Come intendete allargare il campo di indagine ai civili? 

Non è possibile pensare di fare un’indagine epidemiologica di massa nei territori dei Balcani, in Afghanistan e Iraq. Però è possibile acquisire degli elementi mirati in situazioni specifiche in cui ci sono state delle evidenze sulle popolazioni civili, che possono essere di conforto rispetto alle presenze più limitate nel tempo dei nostri militari. Raggiungere la verità sul rapporto causa effetto rispetto a determinati munizionamenti, all’uranio impoverito ma anche altri, è più facile se allarghiamo la possibilità d’indagine sul territorio a chi è stato stabilmente in quella realtà dall’inizio. Per quanto riguarda i Balcani questo è fondamentale perché lì abbiamo popolazioni civili che, benché vi siano dati dispersi, hanno vissuto tragedie immani, sono cadute come mosche. 

Nel 2001, scoppiato lo scandalo a seguito delle prime denunce di militari morti, si era avviato in Italia con decreto il monitoraggio sanitario dei militari e dei civili italiani che avevano operato nei Balcani. Si è concluso il primo quinquennio di raccolta dati. Sebbene l’adesione al monitoraggio fosse su base volontaria e i numeri dei soggetti che hanno aderito non siano alti, esistono oggi dati sui risultati? 

Sappiamo che ci sono delle persone che durante il servizio civile si sono ammalate, ma non abbiamo i dati statistici neppure di quelli che avevamo chiesto istituzionalmente, e cioè dei militari. C’è stato un sabotaggio da parte del ministero delle Difesa, che è quello che ci potrebbe dare degli elementi e che ha fatto di tutto per disperdere i dati. Parlo soprattutto di militari, perché è ciò di cui ci siamo occupati nel lavoro di indagine della prima Commissione. Avremmo avuto la possibilità, attraverso anche la stessa Commissione Mandelli che prevedeva monitoraggi prima, durante e dopo la missione, di avere un passaggio anche in alcune zone particolari, cioè in alcuni ospedali militari. Lavorando a ritmo serrato, ad esempio presso l’ospedale militare di Padova, avremmo potuto avere una campionatura molto precisa di tutti i dati. Invece, nonostante ci fosse il problema di recuperare questi dati statistici, i militari sono stati invitati a rivolgersi a ospedali qualsiasi con la scusa che sarebbe stato più comodo magari curarsi vicino a casa. Il risultato è che si è disperso il dato degli stessi militari, e neppure i distretti militari delle singole realtà sono stati in grado di fornire il dato specifico della loro zona. 

La nuova Commissione prevede di allargare l’indagine ai civili, potreste quindi pretendere di conoscere i dati del monitoraggio effettuato su di loro in questi anni, per quanto esiguo... 

La Commissione non ha oggi a disposizione nessun dato rispetto ai civili. Introducendo il nuovo elemento della ricerca anche su questa categoria, però, la Commissione è abilitata oggi ad occuparsene e dunque a pretendere di analizzare i dati. In alcune realtà, anche a Baghdad, piuttosto che a Kabul o altrove, ci sono ospedali che possiedono elementi relativi all’evoluzione sanitaria nel corso degli anni. Conosciamo i disastri della guerra… Ma esistono pur sempre dei dati. Anche a Sarajevo, che è stata completamente distrutta, e i cui archivi sono stati dispersi, ci sono dati significativi che, se utilizzati all’interno della prima Commissione d’inchiesta, ci avrebbero aiutato a capire meglio l’evoluzione delle patologie in relazione ai bombardamenti. Mettere ad esempio la dottoressa Gatti [responsabile del laboratorio dei biomateriali presso l'Università di Modena, ndr] in condizione di poter analizzare le persone che hanno subito gli effetti dei bombardamenti è un percorso che ci può aiutare per scoprire la verità rispetto ai nostri militari. 

Il sistema Italia opera nei Balcani con interventi di cooperazione grazie a fondi, come la legge 84/01, stanziati ad hoc per la stabilizzazione dell’area. Progetti di tutela e recupero ambientale, di sviluppo del turismo, di valorizzazione delle risorse locali, di sminamento, e tanto altro. Possibile pensare di chiudere il cerchio e far sì che l’Italia, se dovesse essere riconfermato il rifinanziamento della legge 84, possa indagare ma anche riparare in qualche maniera ai danni causati dai bombardamenti con uranio impoverito di cui siamo anche noi responsabili? 

Si tratta di un auspicio. La mia valutazione è molto negativa e sono un po’ pessimista, a riguardo, sebbene mi auguro di sbagliarmi. Io ho chiesto al sottosegretario Casula, che si occupa della parte sanitaria presso il ministero della Difesa, che ci sia la possibilità di avere nel nostro paese un centro di eccellenza per riuscire a monitorare queste situazioni. Il centro potrebbe basarsi sul lavoro fatto all’Università di Modena e Reggio Emilia dalla dottoressa Gatti, e all’ospedale militare di Padova dal dottor Enzo Chinelli. Se noi mettessimo insieme queste energie potremmo dare un contributo importante anche ai fini dell’attività disinquinante di quei territori, perché mettiamo a disposizione anche le competenze del nostro paese in quel settore. Se però non abbiamo la volontà di andare a concentrare le energie laddove le cose stanno funzionando, ho l’impressione che anche la cooperazione rischi di vanificarsi e addirittura diventare uno dei supporti alle attività militari… La mia preoccupazione è data dal fatto che su questo il nuovo governo non ha espresso una forte discontinuità, almeno fino ad oggi. Mi auguro di sbagliarmi… 


=== 4 ===


L'Italia dell'uranio

10.11.2006    scrive Nicole Corritore


A Sesto Fiorentino, nel quadro delle iniziative della giornata internazionale per la messa al bando delle armi all'uranio impoverito, è stato presentato il libro “Uranio. Storia di un’Italia impoverita” del Maresciallo Domenico Leggiero. Nostra intervista all'autore


Questo libro denuncia la vicenda di militari italiani ammalatisi di tumore dopo essere stati in missione in luoghi dove è stato usato munizionamento all'uranio impoverito. Quali sono i motivi che la hanno spinta a scriverlo? 

Verba volant, scripta manent. Volevo che il ricordo di questi ragazzi rimanesse vivo, quindi c’è un libro e c’è una testimonianza. Inoltre io ero carico, carico di emozioni che questi ragazzi mi avevano trasferito e che in qualche modo dovevo esprimere. L’ho fatto quindi con un libro, qualcosa che resta. Purtroppo, in base ai dati che abbiamo raccolto come Osservatorio Militare, dall’uscita del libro ad oggi sono morti altri tre soldati e il numero dei deceduti è salito a 42, mentre sono 492 quelli che fino ad ora si sono ammalati di tumore. 

Nel libro lei fa denunce molto dure, raccontando i retroscena delle storie dei singoli soldati con un unico filo conduttore: quello di un apparato, non solo militare, che ha voluto in tutti i modi nascondere la verità, attraverso falsificazione e omissione di dati, minacce, informazione censurata o pilotata. Quali sono state le reazioni a queste sue denunce? 

L’ho detto e l’ho scritto nel libro, affinché qualcuno di questi signori si degni di rispondere, un giorno. Anche se penso che i casi siano due: o non hanno letto il libro e quindi non mi arrestano perché non sanno che ho scritto tante sciocchezze, oppure sanno che sciocchezze non sono e non leggono il libro per non arrestare i veri responsabili. 

Voglio fare l’esempio di una trasmissione di Costanzo, che credo sia emblematica di un'informazione pilotata. La delusione, in questo caso, è stata enorme. Era appena morto un soldato, e nell’arco di sei ore hanno organizzato una puntata del Costanzo show facendo un addestramento dei miei colleghi. Il messaggio che doveva partire dai soldati in missione in Bosnia era: “Mamma, babbo, stiamo bene… venite qua, stiamo tutti bene”. 

Stiamo tutti meglio, si mangia bene, c’è il sole, qui non piove mai e l’uranio fa bene perché rinforza i tessuti… Questo era il messaggio che Costanzo ha voluto dare, a causa dei legami con Mandelli e con un sistema militare con il quale bisogna trovare il modo di convivere. Perché non ci si può mettere contro determinati militari... 

Il suo libro è uno specchio dell'attività del vostro Osservatorio Militare, che dal momento della sua istituzione segue questi ragazzi malati. Che cosa è cambiato dopo un anno di vostra attività? 

L’unica cosa che è cambiata è stata lo stanziamento in finanziaria di una piccola somma, che è stata aperta a tutti e non solo a questi ragazzi. Cioè non solo a quelli morti per leucemia, ma a tutti quelli che hanno avuto delle cause di servizio, che vanno dal dito slogato alla gamba rotta. Si tratta di dieci milioni di euro, da dividere tra le decine di migliaia di persone che hanno i requisiti, un’elemosina. Ma io lo considero comunque un primo segnale, la giustizia vera arriverà nei tribunali. Il 25 novembre ci sarà a Roma la prima udienza sul procedimento civile avviato dall’avvocato Tartaglia. Ogni procedimento è singolo, per evitare che un unico giudice possa decidere per tutti. Si tratta di una tecnica utilizzata dal legale per dar modo alla magistratura di dare un giudizio più allargato, nel senso che saranno molti i giudici destinati a giudicare e valutare. 

Il libro ha messo in movimento anche il ministero della Difesa. Infatti, al di là dell’ostruzionismo che c’è stato, il ministero sta utilizzando anche le informazioni contenute nel libro per preparare le contromosse. La cosa che il libro ha più evidenziato è che ancora non ci vuole essere collaborazione. La Difesa tende a voler nascondere le proprie colpe, mentre il mio libro voleva favorire una presa di coscienza e una chiarezza nel capire chi ha sbagliato e quindi tutelare, per assurdo, il ministero stesso. Perché nel momento in cui sappiamo che si lavora per individuare immediatamente il colpevole e c’è collaborazione da parte dell’intera istituzione, abbiamo la certezza di lavorare in un’istituzione, quella militare, più pulita, più chiara e corretta. Non va colpevolizzata l’intera istituzione, essa va salvaguardata. Si deve però capire se la politica ha la forza di salvaguardare le istituzioni e se le stesse hanno voglia di guardarsi all’interno ed eliminare le mele marce. 

Come Osservatorio Militare avete rapporti di collaborazione con vostri omologhi di altri paesi europei e americani? Avete ottenuto dei dati significativi al convegno internazionale di Hiroshima sul bando delle armi all'uranio impoverito dell’agosto scorso? 

Abbiamo rapporti di collaborazione con la Avigolfe francese ma anche con le associazioni di reduci americani e inglesi. Con i giapponesi, seppure ci sia stato un grande e importantissimo scambio di informazioni, è diverso perché non hanno la realtà e la dimensione di quello che è il caso uranio in Italia. Da un lato è fatto addirittura divieto ai militari di parlare di questioni militari, e dall’altro non c’è ancora un caso uranio, perché il Giappone opera solo da poco in ambito internazionale. Rispetto alla nostra collaborazione con Avigolfe e le associazioni americana e inglese non possiamo fornire pubblicamente alcun dato. Questa è stata la loro espressa richiesta e inoltre abbiamo intenzione di far presente tutti insieme la situazione. Vorremmo farlo entro breve a Strasburgo anche se, purtroppo e con grande dispiacere, le uniche forze politiche che si sono rese disponibili ad organizzare un incontro con la Commissione Difesa europea sono forze identificate come estremiste sia a destra che a sinistra… e non vorremmo essere strumentalizzati. 


(Message over 64 KB, truncated)



Trieste: quando morì mio padre

Giovedì, 04 Gennaio 2007
Risiera di San Sabba

Disegni e testimonianze di bambini sloveni deportati durante la Seconda Guerra Mondiale nei campi di concentramento del confine orientale. La mostra, aperta fino al 28 gennaio presso la Risiera di San Sabba, si rivolge soprattutto ai giovani, per conoscere il passato e riflettere sul futuro

Fonte: Comune di Trieste

"Quando morì mio padre" è il titolo di una mostra realizzata dal Centro isontino di ricerca e documentazione storica e sociale "Leopoldo Gasparini" e resa possibile grazie alla collaborazione dell'Archivio di Stato della Slovenia e dal Museo di Storia Contemporanea di Lubiana.

La mostra, che si tiene nella cornice della Risiera di San Sabba, è curata da Metka Gombac, Boris M. Gombac e Dario Mattiussi. E' strutturata in ventisei grandi pannelli a colori, che riproducono scritti e disegni di bambini sopravvissuti alla deportazione nei campi di concentramento del confine orientale Gonars, Visco, Arbe-Rab e Monigo (Treviso) tra il 1942 ed il 1943. Essa è corredata da un volume dallo stesso titolo, che ripercorre le vicende storiche che portarono alla deportazione dei civili sloveni nei campi di concentramento italiani, posti a ridosso del confine orientale, ed in particolare indaga l'odissea dei bambini sloveni deportati in questi campi tra il 1942 ed il 1943.

I saggi contenuti nel volume sono l'accompagnamento storico indispensabile all'approfondimento dei temi affrontati dalla mostra, realizzata grazie agli scritti e disegni di bambini sopravvissuti alla deportazione e messi per la prima volta a disposizione dall'Archivio di Stato della Repubblica di Slovenia e dal Museo Sloveno di Storia Contemporanea di Lubiana.

Disegni e scritti vennero composti durante i corsi di terapia post traumatica avviati in strutture mediche partigiane dopo la liberazione dai campi, successiva all'8 settembre 1943. Diversi vennero raccolti in una sorta di concorso, organizzato nella zona libera della Kocevska, dalle istituzioni scolastiche locali. I maestri che proponevano i temi erano, normalmente, anche loro reduci dai campi ed erano quindi le persone più adatte per comunicare con i bambini, quasi tutti orfani. Ai tentativi di terapia, attuati stimolando i bambini a far riemergere la memoria delle sofferenze patite per poterle elaborare, ed ai temi svolti nelle scuole elementari organizzate dalle forze partigiane, dobbiamo la conservazione di questi materiali che costituiscono oggi una delle testimonianze più preziose e drammatiche di una delle pagine più buie della nostra storia.

L'orrore della deportazione e dei campi di concentramento ha colpito la nostra regione con una violenza ed una dimensione che hanno pochi riscontri nel resto del Paese. Sicuramente, in rapporto alla popolazione, il numero dei deportati dai nostri Comuni, anche senza tener conto della tragedia vissuta dalla comunità ebraica, è uno dei più alti in assoluto. Molti dei campi di concentramento - come Sdraussina, Fossalon, Gonars, Visco - che ospitarono donne, anziani e bambini deportati sia dalle zone d'occupazione militare sia dal nostro territorio, sono luoghi che conosciamo ed in cui tutti noi ci siamo trovati, probabilmente senza immaginare che sono stati teatro di tante sofferenze.

La conoscenza del nostro passato, anche delle sue pagine più buie, deve costituire uno stimolo per rafforzare il nostro impegno oggi contro intolleranza, violenza e razzismo. La ricerca che ha dato origine alla mostra e al volume è dunque importante perché si rivolge in modo particolare alle generazioni più giovani, a coloro che devono rendere concrete nella realtà parole come "uguaglianza", "pace", "rispetto dell'altro".

Risiera di San Sabba - Monumento Nazionale
via Giovanni Palatucci, 5
Tel.: 040 826202
Fax: 040 8330974
E-mail: risierasansabba@ comune.trieste.it

Per informazioni e prenotazioni e per le visite guidate:
Direzione Civici Musei di Storia ed Arte
Tel. 040 310500 - 040 826202
E-mail: serviziodidattico@ comune.trieste.it.



LA STAZIONE FERROVIARIA DELLA CITTÀ... DEL VATICANO


Riceviamo e volentieri giriamo, con l'intento di denunciare le scelte
bigotte del sindaco di Roma, Water Veltroni, di cui ricordiamo anche
l'appoggio entusiasta alla guerra di aggressione contro la RF di
Jugoslavia nel 1999 (CNJ)

---

COMUNICATO STAMPA

La pretesa di intitolare al papa Giovanni Paolo II la stazione
centrale "Termini" della capitale della Repubblica italiana non è che
il culmine del confessionalismo istituzionale. La decisione è stata
assunta con un colpo di mano antidemocratico, non trasparente, in
periodo di silenzio-stampa, nonostante fosse stata già
precedentemente contestata da migliaia di cittadini e da centinaia di
associazioni italiane ed estere. Il sindaco Veltroni ha così negato
il carattere laico delle istituzioni e il profondo pluralismo
culturale, politico e religioso della società in cui viviamo. Ha
perduto il rispetto per ogni convinzione che non sia quella
cattolica. Riteniamo che, quanto meno, decisioni destinate a segnare
a tempo indeterminato il volto di Roma dovrebbero essere prese senza
demagogia e senza opportunismo.
Il 23 dicembre sarà ricordata a Roma come una data infausta per la
laicità e la democrazia delle istituzioni.
L’Assemblea delle associazioni laiche romane tenuta a Roma il
27-12-2006 in via delle Carrozze, 19
- invita tutti i cittadini a far sentire la propria protesta sui
giornali, sul sito del Comune di Roma e al call center 06.0606.
- richiede la convocazione di una riunione straordinaria del
Consiglio comunale per dibattere pubblicamente questa improvvida
decisione.
- invita i comuni italiani a protestare contro lo stravolgimento del
nome storico della Stazione della capitale italiana e contro la
prassi inedita del Comune di Roma con cui si è appropriato di un
simbolo della comunità nazionale.
- invita tutti i cittadini a sottoscrivere questo documento di
protesta presso info@..., in vista di una prossima
assemblea cittadina.

L’ASSEMBLEA DELLE ASSOCIAZIONI LAICHE ROMANE

---

E' possibile protestare contro questa decisione utilizzando il form
presente sul sito del Comune di Roma:

http://www.comune.roma.it/was/wps/portal/!ut/p/_s.7_0_A/7_0_6MP?
menuPage=/&flagSub=

selezionando dal menu a tendina, come destinatario, il campo
'sindaco' e compilando il campo 'mittente' e lasciando un breve
messaggio.

Questo è il testo che ho inviato io:
"Desidero manifestare la mia indignazione per la decisione assunta di
Comune di Roma di voler rinominare la Stazione Termini.
Tempi, modi e contenuto di questa decisione dividono la cittadinanza
mentre l'approvazione del Consiglio Comunale lungi dal significare il
consenso dei romani non fa che indebolire la loro fiducia nella
rappresentanza elettorale."
(Andrea Baglioni)