Informazione
Dalla dissoluzione della ex-Jugoslavia ai pericoli del Jihad a pochi passi dai confini europei e non distante da Trieste. Odio e rabbia covano nei villaggi in Bosnia-Erzegovina dove si issano le bandiere nere dell'Isis.
Trieste 20--29 Gennaio 2017
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L’Italia si dota della Legge per la guerra
Piuttosto in sordina, il 31 dicembre scorso è entrata in vigore la Legge quadro sulle missioni militari all'estero. La legge era già stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale fin dal 1̊ agosto; ma ne era stata rimandata l'attuazione a fine anno, tranne che per la disposizione all'integrazione del Copasir, cioè dell'organismo di controllo sulle attività dei servizi segreti (venuto fuori come problema in occasione delle “missioni coperte” in Libia), anche se valido solo per la legislatura in corso.
L'Italia si è così dotata di una legge organica dello Stato per l'invio di contingenti militari all'estero che dovrebbe azzerare le contraddizioni di incostituzionalità sul ricorso alle azioni militari contro, verso o in altri paesi vincolate al rispetto dell'art.11. Infatti il nostro ordinamento fino ad oggi prevedeva solo la disciplina della "guerra". Ma lo stato di guerra deve essere deliberato dalle Camere, che conferiscono al Governo i poteri necessari (art. 78 Cost.), mentre la dichiarazione di guerra è prerogativa del Presidente della Repubblica (art. 87, 9° comma). ll tutto nei limiti sanciti dall'art. 11 Cost., che vieta la guerra di aggressione e consente l'uso della violenza bellica solo in ipotesi ben determinate (la difesa).
La storia di questi ultimi venticinque anni, con numerose operazioni militari all'estero e il coinvolgimento dell'Italia in teatri di guerra (Iraq, Afghanistan, Jugoslavia ma anche Somalia, Libano etc.), ha reso inevitabile una legge organica che legittimasse sul piano legale la partecipazione dei militari italiani a guerre e operazioni militari in altri paesi.
La Legge individua la tipologia di missioni, i principi generali da osservare e detta disposizioni circa il procedimento da seguire. La newsletter Affari Internazionali ne offre una sintesi molto utile:
a) Le missioni militari all'estero, sia di peace-keeping che di peace-emforcement, sono in primo luogo quelle con il mandato delle Nazioni Unite, ma aadesso lo sono anche quelle istituite nell'ambito delle organizzazioni internazionali di cui l'Italia è membro, comprese quelle dell'Unione Europea;
2) La Nato non è menzionata espressamente, ma è automaticamente inclusa. La Legge poi si riferisce anche alle missioni istituite nelle coalition of willing, cioè coalizione create su una crisi specifica sulla base di decisioni unilaterali dei paesi che vi aderiscono, infine si riferisce alle missioni "finalizzate ad eccezionali interventi umanitari".
3) La Legge specifica che l'invio di militari fuori dal territorio nazionale può avvenire in ottemperanza di obblighi di alleanze, o in base ad accordi internazionali o intergovernativi, o per eccezionali interventi umanitari, purché l'impiego avvenga nel rispetto della legalità internazionale e delle disposizioni e finalità costituzionali (che a questo punto vengono aggirate dalla legge stessa)
“Resterebbe da chiarire il significato di accordi intergovernativi e come questi si differenzino dagli accordi internazionali. Si tratta di accordi sottoscritti dall'esecutivo o addirittura di accordi segreti?” si interroga Affari Internazionali. “In parte tali dubbi dovrebbero essere fugati dai paletti volti a scongiurare una deriva interventista. Le missioni devono avvenire nel quadro del rispetto: a) dei principi stabiliti dall'art. 11 Cost., b) del diritto internazionale generale, c) del diritto internazionale umanitario, d) del diritto penale internazionale”.
Quanto al procedimento per la partecipazione alle missioni internazionali, viene reso centrale il ruolo del Parlamento, razionalizzando una prassi, qualche volta in verità disattesa, che faceva precedere l'invio del contingente militare all'estero da una discussione parlamentare. Ma spesso la ratifica parlamentare avveniva a posteriori, in occasione della conversione in legge del decreto-legge (DL) di finanziamento della missione.
L'iter disegnato dalla L. 145/2016 è il seguente: la partecipazione alle missioni militari è deliberata dal Consiglio dei ministri, Cdm, previa comunicazione al Presidente della Repubblica ed eventuale convocazione del Consiglio supremo di difesa.
La Legge quadro mette mano anche ad un'altra spinosa questione, ossia se ai militari impegnati nelle missioni debba essere applicato il codice penale militare di pace o il codice penale militare di guerra. Anche la soluzione indicata lascia aperta tutte le strade. La nuova legge dispone che sia applicabile il codice penale militare di pace, ma il governo potrebbe deliberare l'applicabilità di quello di guerra per una specifica missione. In tal caso è però necessario un provvedimento legislativo e il governo deve presentare al Parlamento un apposito disegno di legge.
E' dalla partecipazione alla prima Guerra del Golfo (1991) che si pone il problema di conformare la legislazione italiana al ripetuto ricorso alla guerra "nella risoluzione delle controversie internazionali" che di volta in volta è stata mascherata con acronimi sempre più improbabili: operazione di polizia internazionale, guerra umanitaria, protezione di civili, difesa preventiva etc. etc. Operazioni militari che hanno visto negli anni migliaia e migliaia di soldati italiani prendere parte a guerre in altri paesi e miliardi di euro spesi per parteciparvi. Quando le furberie sulla guerra diventano una Legge organica dello Stato, vuole dire che il punto di non ritorno si è avvicinato ancora di un altra spanna.
13 gennaio 2017
Come ricorda Natalija Meden su fondsk.ru, nel 1947 la libera città anseatica di Brema fu estromessa dalla zona di occupazione britannica per diventare un'enclave in quella americana, comoda agli USA perché comprendeva il porto di Bremerhaven, sul mar del Nord, che un anno dopo fu eletto a punto logistico del piano di Winston Churchill “Unthinkable” per un attacco all'Urss. Dopo settant'anni, venerdì scorso la Deutsche Welle annunciava che centinaia di mezzi militari USA – 250 carri armati, oltre a obici semoventi M-109, artiglierie pesanti, centinaia di mezzi “Humvee” e di trasporti truppe blindati – erano stati sbarcati al porto “Kaiserhafen” di Bremerhaven, per poi essere trasferiti in Polonia e Paesi baltici. Le operazioni di sbarco, iniziate mercoledì scorso, si sono concluse ieri con l'arrivo di tre cargo statunitensi (“Resolve”, “Endurance” e “Freedom”) e per tutta questa settimana i mezzi militari attraverseranno la Germania settentrionale a bordo di 900 vagoni merci per una lunghezza totale di 14 km. “Gli USA scaricano panzer in Germania per la guerra contro la Russia”, scriveva nei giorni scorsi la Bundesdeutsche Zeitung, aggiungendo allarmata che la carovana attraverserà “una serie di länder: Brema, Bassa Sassonia, Mecklenburg-Pomerania, Brandeburgo e forse anche Amburgo e Berlino”, con la Bundeswehr e la sua scuola di logistica di Garlstedt che “si fa carico dell'intera logistica di questa operazione militare”.
Insieme ai mezzi, giungono anche 3.500 militari della “Iron Brigade” della 4° Divisione di fanteria USA. Stando a rusvesna.su, altri duecentocinquanta soldati della 3° brigata meccanizzata della stessa 4° Divisione sono stati trasferiti direttamente a Breslavia, in Polonia, a bordo di aerei militari e nei prossimi giorni sono attesi a Illesheim, in Baviera, più di 60 elicotteri, tra cui 50 "Black Hawk" multiuso, oltre a 24 “Apache” da combattimento. L'arrivo del contingente statunitense in Europa – in tutto il 2017 è previsto l'invio di 5.700 militari USA – era stato annunciato nei primi giorni del 2017 dal portavoce del Ministero della difesa Peter Cook, ma già nella primavera scorsa il Segretario alla difesa Ashton Carter aveva parlato del dispiegamento in Europa di un'ulteriore brigata.
“La macchina da guerra è in movimento”, titola stamani la Junge Welt: “Dispiegamento di soldati alle frontiere orientali della NATO – la Germania è la chiave di volta per l'aggressione USA alla Russia”.
Al rafforzamento Nato a oriente, nota Deutsche Welle, contribuisce anche il Battaglione tedesco di circa 500 uomini stanziato in Lituania, a nord della cosiddetta “finestra” di Suwalki, una specie di saliente di circa 65 chilometri, in territorio polacco, per qualche ragione considerato il “tallone d'Achille” della Nato nella regione.
Ma, in Polonia e nei Paesi baltici, da diversi anni e soprattutto a partire dal 2014, militari americani, britannici, canadesi, tedeschi, stanno addestrando sia reparti regolari e battaglioni neonazisti ucraini, sia militari attivi e della riserva dei tre Paesi baltici. In questi ultimi, in particolare, si è preso a focalizzarsi sulla preparazione a una presunta “guerra partigiana” contro la “minaccia russa”. A tale preparazione, che sta andando avanti da almeno un anno, secondo il New York Times, che cita il generale Raymond Thomas, comandante delle US Special Operations Command, prendono parte attiva corpi speciali statunitensi; in particolare, secondo rusvesna.su, si tratterebbe di addestratori dei “berretti verdi” (Special Forces Operational Detachment-A), specializzati in operazioni di ricognizione e diversione dietro le linee. La presenza di tali distaccamenti sarebbe indirettamente confermata anche da alcune dichiarazioni pubbliche dell'ambasciatore USA a Riga, del tipo: “concentrano la preparazione sull'abilità da cecchino, nelle attività di genio e brillamento e nelle comunicazioni da campo". In generale, il fatto che, sia da parte dei Paesi baltici, sia da parte statunitense, si stia dando pubblicità alla cosa che, dal punto di vista strettamente militare non può certo rappresentare un “pericolo”, costituisce un preciso segnale lanciato a Mosca.
Dunque, “è possibile scongiurare il rafforzamento della Nato in Europa orientale?”, si chiede Andrej Polunin su svpressa.ru, che ricorda come, in ogni caso, Washington avesse già impegnato 3,4 miliardi di $ aggiuntivi al bilancio 2017 (quattro volte più che nel 2016), per l'aumento della presenza in Europa. A differenza delle altre due brigate USA presenti in Germania e Italia, questa terza brigata non disporrà di caserme proprie, essendo previsto un avvicendamento ogni nove mesi e sarà suddivisa tra Polonia, Paesi baltici, Romania e Bulgaria. In tal modo, viene formalmente rispettata la clausola base del trattato Russia-Nato del 1997, secondo cui l'Alleanza non deve dispiegare in modo permanente “forze militari considerevoli” in Europa orientale. Ma, comunque, nota il politologo Mikhail Aleksandrov, Barack Obama ha dato il via con un mese di anticipo, prima dell'insediamento di Donald Trump, al dislocamento della 3° Brigata, programmato dal vertice Nato di Varsavia del luglio 2016 e che prevede l'arrivo di quattro Battaglioni in Polonia e Paesi baltici. Battaglioni che, in forza della loro natura di forze di pronto intervento, in brevissimo tempo possono costituire una forte testa di ponte, puntata soprattutto sull'area di Kaliningrad, con le flotte tedesca e polacca che tengono a guardia la flotta russa del Baltico. Secondo Aleksandrov, la risposta russa più appropriata potrebbe consistere, più che in un concentramento di forze nella regione di Kaliningrad (per sua natura, non in grado di accogliere un numero sufficiente di truppe) nella creazione di due armate corazzate da dislocare ai confini con Estonia e Lettonia, pronte a intervenire in caso di attacco occidentale su quella direttrice. Ma, prima di tutto, a parere del politologo, Mosca dovrebbe cercare di convincere Donald Trump a rivedere la decisione di Obama sul dispiegamento delle forze USA e Nato in Europa, che porterebbe a un'adeguata risposta russa e a una spirale al rialzo che lascerebbe gli USA sguarniti sui fronti asiatico e mediorientale.
Non è difficile osservare come l'amministrazione americana uscente, proprio nelle ultime settimane, si stia dando un gran daffare per creare i maggiori ostacoli al possibile entente Washington-Mosca. Ne è un esempio anche la preoccupazione Nato per il possibile riavvicinamento alla Russia del neo presidente moldavo Igor Dodon che, nonostante la maggioranza parlamentare euroatlantica, ha iniziato un “repulisti” ai vertici militari – a partire dal dimissionato Ministro della difesa, il liberale Anatol Șalaru – legati alla Nato nel quadro del cosiddetto Individual Partnership Action Plan. La Moldavia è un obiettivo significativo nel contesto aggressivo dell'Alleanza, non foss'altro perché confina con la Romania – che dal maggio scorso ospita il sistema “Aegis”, forte di missili USA Mk-41 – e l'Ucraina.
Per il momento, purtroppo, sembra che le uniche resistenze ai piani USA e Nato siano limitate a quelle poche centinaia di pacifisti che, come riporta Junge Welt, attenderanno i convogli militari che nei prossimi giorni attraverseranno la Germania e che, contro quello che la BBC definisce il più grande dispiegamento Nato dalla fine della guerra fredda, sabato scorso si erano dati appuntamento al porto di Bremerhaven, riunendo attivisti del Forum di Brema per la pace, militanti di Die Linke, del DKP di Brema e dell'Associazione della Comunità curda.
Che, ad altre latitudini, la strategia atlantica venga tenuta molto sul serio, lo testimonia il fatto che proprio oggi la Rossijskaja Gazeta riporta la notizia di emendamenti alla legge russa sull'obbligo di servizio militare, secondo cui si “consente di concludere contratti temporanei, per un massimo di 12 mesi, con richiamati e riservisti”, apparentemente per la lotta “contro i terroristi fuori dei confini russi e per spedizioni navali”. Sarà un caso.
Kriegsmaschine rollt
Truppenaufmarsch an NATO-Ostgrenze – BRD ist Drehkreuz für US-Aggression gegen Russland. Friedensaktivisten protestieren
Von Sönke Hundt, BremenDer US-Aufmarsch gen Osten ist in vollem Gange, und die BRD ist das Drehkreuz für diese Kriegsmaschinerie. Bundeswehr und private Unternehmen agieren als willige Vollstrecker der Aggression gegen Russland. Doch es gibt auch Widerspruch: Auf ihrem Weg werden die Militärs von protestierenden Friedensaktivisten erwartet.
Bereits am Mittwoch hatte der erste Frachter »Resolve« (Entschlossenheit) und am Freitag der zweite mit dem Namen »Endurance« (Ausdauer) im Bremerhavener Kaiserhafen angelegt. Am Sonntag kam der dritte an. 2.500 »Ladungsstücke«, darunter 446 Kettenfahrzeuge einschließlich Kampfpanzern und 907 Radfahrzeuge, werden entladen und in den kommenden Tagen nach Polen und von dort weiter nach Litauen, Estland und Lettland transportiert. Dafür sind unter anderem 900 Bahnwaggons im Einsatz, die aneinandergereiht rund 15 Kilometer lang wären. »Bis zum 16. Januar werden täglich drei Züge mit Militärgerät rollen«, sagte ein Sprecher des Landeskommandos Brandenburg der Bundeswehr laut NDR. Außerdem sind etliche Konvois auf den Straßen unterwegs. Es ist die Ausrüstung für 4.000 Soldaten der in Colorado stationierten 3. Kampfbrigade der 4. US-Infanteriedivision (»Iron Brigade«). Sie lassen künftig an der NATO-Ostgrenze gegenüber Russland provokativ die Muskeln spielen. Eine Vorhut ist bereits am Sonnabend angekommen, rund 250 US-Soldaten landeten im polnischen Wroclaw, wie die Nachrichtenagentur PAP berichtete.
Die gesamte Operation »Atlantic Resolve« läuft offiziell unter der Verantwortung des US-Militärs. Aber die Streitkräftebasis der Bundeswehr ist für die gesamte Logistik verantwortlich. Und das Löschen der Frachter übernimmt die Bremer Lagerhaus-Gesellschaft (BLG), die dieses Geschäft schon seit 1945 für die US-Army betreibt. Mit sichtlichem Stolz verkündete deren Sprecher im Regionalfernsehen: »Alle Panzer werden mit eigenen Fahrern entladen.«
Gegen den größten NATO-Aufmarsch seit Ende des Kalten Krieges hatte in Bremerhaven ein breites Bündnis – darunter das Bremer Friedensforum, die Partei Die Linke, die DKP Bremen, der Kurdische Gemeinschaftsverein – am Sonnabend zur Demonstration am Liegeplatz der Panzerfrachter aufgerufen. Etwa 400 Menschen kamen zum Hafen. Sebastian Rave, Mitglied des Landesvorstandes der Linkspartei Bremen, erklärte: »Wir trotzen hier der Kälte, weil wir keinen neuen Krieg haben wollen.« Wie schon während der Proteste im Jahr 1983 zu Zeiten des NATO-Doppelbeschlusses müsse auch heute klar sein: »Bremerhaven ist kein ruhiger Hafen für das Militär!«
Tobias Pflüger vom Linke-Bundesvorstand ging auf die Verantwortung der Bundeswehr und der BRD-Regierung ein. Sie würden sich aktiv an der Kriegsvorbereitung beteiligen. Die Ansage, die US-amerikanische Panzerbrigade solle nach neun Monaten wieder ausgetauscht werden, sei nichts als »Trickserei«, deren Verlegung in Wahrheit ein Bruch des NATO-Russland-Abkommens. Das sollte die Stationierung von Militär des Paktes in Osteuropa ausschließen. Auf Donald Trump wollte Tobias Pflüger lieber keine Hoffnungen setzen. »Ich rechne damit, dass der nächste US-amerikanische Präsident diesen Aufrüstungskurs nicht nur fortsetzen, sondern vermutlich sogar eskalieren wird.«
Anfang dieser Woche sollen weitere Proteste gegen die Militärtransporte stattfinden. So sei etwa geplant, am Montag gegen 18 Uhr am Truppenübungsplatz Lehnin im Landkreis Potsdam-Mittelmark, auf der Straße zwischen Emstal und Busendorf, zu demonstrieren, war von Aktivisten zu erfahren.
- Notizie dalla Jugoslavia: "la stampa di parte" (Foreign Policy / Die Weltwoche / Internazionale, 1994)
- An interview to James Harff of Ruder&Finn Public Global Affairs
http://espresso.repubblica.it/opinioni/vetro-soffiato/2017/01/04/news/la-russia-di-putin-e-un-serpente-a-sonagli-1.292851
http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/siamo-al-ministero-della-verita-come-in-1984-di-orwell/
Chi per anni ha affermato che la verità non esiste, oggi invoca agenzie statali per intercettare le notizie non vere. Il parere di Vladimiro Giacché, autore de “La fabbrica del falso”
L’anno nuovo sembra essersi aperto con una sindrome che sta contagiando diversi ambienti, quella delle cosiddette “fake news”, le notizie false.
Il leader del M5S, Beppe Grillo, invoca la necessità di formare improbabili giurie popolari con il compito di controllare la veridicità delle notizie diffuse da stampa e tv. Facebook ha elaborato un software che avrebbe la capacità di segnalare agli utenti le notizie ritenute inattendibili. C’è poi chi, come il presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, propone un’agenzia statale di vigilanza.
Quest’ultima idea ha suscitato diverse critiche. Molti la paragonano a quegli uffici statali, tipici dei totalitarismi, che hanno il compito di controllare ogni pubblicazione e sequestrare quelle potenzialmente pericolose o esplicitamente ostili al potere. Altri ancora, più in vena letteraria, agitano l’accostamento con il ministero della Verità del libro 1984, di George Orwell.
Tra questi c’è Vladimiro Giacchè, economista e filosofo, presidente del Centro Europa Ricerche, autore de La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea (nuova ed. aggiornata 2016). ZENIT lo ha intervistato.
Cosa non la convince della proposta di Pitruzzella?
Mi sembra una proposta sbagliata e pericolosa. Sbagliata per molti motivi. Perché oggi le fake news non passano soltanto attraverso la rete ma anche attraverso i media tradizionali. Perché la menzogna veramente pericolosa non è il singolo enunciato falso, ma la falsa cornice interpretativa generale che viene offerta per certi fatti. E perché spesso la menzogna non si presenta come tale: pensiamo alle mezze verità (per cui ti parlo degli atti di violenza dell’aggredito, ma non ti dico che si sta difendendo da un aggressore), a quello che non ci viene detto (pochi giorni fa un rapporto sulla povertà in Germania è stato depurato dal governo di alcune frasi “spiacevoli”), agli eufemismi che consentono di rendere la verità meno brutta (“uso della forza” per parlare della guerra, “interrogatori rafforzati” al posto di “tortura”, e così via). Ma è anche una proposta pericolosa, perché adombra una sorta di controllo governativo o paragovernativo sulla rete, che può facilmente tradursi nella chiusura di siti non graditi a chi è al potere.
Qualcuno sta coniando un nuovo termine per indicare la nostra epoca: post-verità. Di orwelliano c’è anche la neo-lingua? Quanto è importante il potere delle parole?
Le parole sono importantissime. Harold Pinter diceva che “il linguaggio viene adoperato per tenere a distanza il pensiero”. Questo avviene tutti i giorni, e proprio attraverso i termini chiave del nostro lessico politico. Basti pensare alla metamorfosi che hanno conosciuto parole come democrazia o riforma. Quanti ancora associano al termine democrazia il concetto di “potere del popolo”, che poi dovrebbe essere il suo significato letterale? Angelo Panebianco ha denunciato anni fa che la stessa “democrazia rappresentativa” (concetto comunque già più ristretto di quello di democrazia) “a voler essere realisti, è poco più di un sistema di oligarchie in competizione”. Ancora più clamoroso il caso di una parola come “riforma”. Un tempo le “riforme” indicavano provvedimenti di legge per migliorare la condizione delle persone. Oggi le “riforme” indicano tagli allo Stato sociale e alle pensioni.
Anche complottista è un termine coniato in modo artificiale? Magari per screditare chi la pensa in modo non allineato…
I complottisti ci sono davvero, e ci sono sempre stati. Ma spesso hanno lavorato al servizio del potere: ad esempio i Protocolli dei savi di Sion, un documento falso costruito per dimostrare un presunto complotto degli ebrei, fu opera della polizia segreta zarista. Oggi spesso si usa il termine contro chi mette in dubbio che alcune “verità” del potere siano realmente tali. Anni fa si diede del complottista a chi sosteneva che la famosa fialetta con le armi chimiche di Saddam agitata da Powell all’assemblea dell’Onu fosse una messinscena. All’epoca tutti i principali giornali, anche in Italia, presero per buono quel falso vergognoso. È chiaro che in rete girano molte notizie inventate di sana pianta, ma in genere si attirano il discredito che meritano. E comunque la pericolosità delle sciocchezze sulle scie chimiche è ben diversa da quella delle menzogne sulle armi di distruzione di massa di Saddam, che sono servite a scatenare una guerra in cui sono morte centinaia di migliaia di persone.
Nel libro “La fabbrica del falso” afferma che “la menzogna è il grande protagonista del discorso pubblico contemporaneo”. Lei ha citato le fialette di antrace agitate da Colin Powell. Qualche altro eclatante esempio?
C’è l’imbarazzo della scelta. Praticamente tutte le più recenti guerre sono state giustificate e vendute all’opinione pubblica attraverso la costruzione di fake news e la loro diffusione attraverso i grandi media. A sostegno della prima guerra in Iraq si disse che i soldati di Saddam avevano staccato la corrente alle incubatrici degli ospedali di Kuwait City, per giustificare la seconda – come abbiamo detto – si tirarono fuori le armi di distruzione di massa, in Libia ci hanno fatto vedere fosse comuni che erano normali cimiteri, per di più fotografati mesi prima. È importante capire che in tutti questi casi la falsa notizia è funzionale a costruire una cornice interpretativa (il dittatore cattivo, pericolo per l’umanità, ecc.): una volta recepita questa interpretazione, le persone collocheranno entro di essa le altre notizie che ricevono, dando meno importanza – o non prendendo in considerazione – quelle che la contraddicono. Ad esempio, nel caso della Siria, i monasteri e le chiese distrutti dai cosiddetti “ribelli” e non dalle truppe governative.
Facebook ha elaborato un software per individuare e segnalare agli utenti le notizie inattendibili. Questo lavoro di vigilanza è affidato alla Poynter Institute, società finanziata dalla fondazione Open Society di George Soros. C’è il rischio che il controllore non sia propriamente super partes…
Sarebbe divertente applicare il software alla notizia che Facebook ha elaborato un software per segnalare le notizie inattendibili: se il software è ben fatto, dovrebbe segnalarla come inattendibile. Scherzi a parte, trovo molto significativo che fondazioni nate (a loro dire) per diffondere gli ideali delle “società aperte” contro i “totalitarismi” finiscano poi per farsi promotrici… della chiusura delle società aperte. E per di più facendo uso di algoritmi e altri strumenti automatici. Non mi sembra un passo avanti. Più in generale, credo che lo stato di salute dei paesi del “libero Occidente” sia ben definito dal ruolo conferito a uno speculatore di borsa che, dopo aver tratto profitto per decenni dalla destabilizzazione dei mercati finanziari, ora con i soldi così guadagnati si dedica a destabilizzare regimi che non gli piacciono e a promuovere “rivoluzioni colorate”.
Eppure fino a ieri ci era stato insegnato che la verità non esiste, che è un retaggio oscurantista medievale, che tutte le opinioni sono uguali e relative. Non evince anche Lei una contraddizione?
La contraddizione c’è eccome. Ma entrambi gli atteggiamenti rappresentano una scorciatoia. Quando si è in difficoltà perché non si riesce a confutare le argomentazioni di qualcuno, spesso si gioca la carta del relativismo, mettendo sullo stesso piano tutte le opinioni (la propria, infondata, e quella altrui, più fondata). Ma anche l’accusa di costruire fake news o di credere ad esse è una via di fuga: in questo caso, dal fatto che non si riesce ad imporre il proprio punto di vista, pur avendo dalla propria parte tutti o quasi gli organi di informazione “ufficiali”. Questo apre un problema gigantesco: chi è legittimato a decidere se una notizia è vera o falsa, e a comminare sanzioni su questa base? In realtà, il fatto di ritenere che non esista qualcosa come la Verità assoluta non impedisce di demistificare un enunciato falso. Ma a mio giudizio questo può e deve emergere dal libero confronto delle opinioni. E deve riguardare tutti i media.
Chi può decidere quando una notizia è falsa?
Ciascuno di noi, se è posto in condizione di esercitare il ragionamento e di verificare contenuti e contesto della presunta notizia. Però, per chi non si occupa professionalmente di queste cose, la possibilità di ragionare è resa complicata dalla velocità con cui le notizie si susseguono e la verifica dei contenuti dalla difficoltà di accesso alle fonti. Precisamente a questo dovrebbero servire i professionisti dell’informazione: a renderci disponibili notizie quanto più possibili verificate, basate su fonti attendibili e riferite con onestà. Come sappiamo, purtroppo le cose spesso non vanno così. È per questo che occorre che ciascuno di noi eserciti in prima persona il proprio senso critico. Nella “Fabbrica del falso” parlo di “strategie di resistenza”, che vanno dalla demistificazione del linguaggio usato per dare certe notizie all’utilizzo delle incongruenze presenti nel discorso ufficiale. Meglio adoperare queste strategie che far decidere a un’agenzia statale se una notizia è vera o falsa.
* Vladimiro Giacché è Vice Presidente dell'Associazione Politica e Culturale Marx XXI
2017, l'anno della mobilitazione per la difesa della libera espressione su internet
Affronteremo il 2017 consci che si tratterà di un anno duro: eventi come la vittoria di Trump nelle elezioni statunitensi, la Brexit e le fake news del mainstream sulla guerra in Siria hanno segnato una grave sconfitta per l’informazione tradizionale.
Sempre più persone preferiscono informarsi sui media alternativi come il nostro.
In Europa sta accadendo lo stesso. Tutto è partito con la famigerata risoluzione del Parlamento europeo che ha addirittura equiparato la “propaganda” della Russia a quella dell'Isis. Siamo alla follia di un nuovo maccartismo molto periocoloso che noi, come AntiDiplomatico, vi abbiamo denunciato per primi in Italia. E siamo alla prova, l'ennesima, di come l'Unione Europea oggi sia un esperimento fallito e contro la storia.
E in Italia? Beh Italia, i cavalieri delle “fake news” Boldrini, Orlando e ora Pitruzzella hanno gettato la maschera e dichiarano senza mezze misure che anche nel nostro paese si debba mettere un bavaglio alla rete e ripercorrere la scure in corso negli Stati Uniti.
Ma sempre più persone stanno dicendo “basta” alle menzogne delle corporazioni mediatiche. La dimostrazione l'abbiamo avuta proprio in questa settimana: quando “Left” ha deciso di nominare “persone dell'anno” niente meno che gli amici di Al-Nusra (Al-Qaeda) ad Aleppo est, gli “Elmetti bianchi”, la reazione consapevole degli utenti ci ha sorpreso e ha dato un senso compiuto al nostro lavoro quotidiano.
Del resto, se ci riflettete, la mancata invasione della Siria sulla “fake news” delle armi chimiche utilizzate da Assad nel 2013 è la sconfitta pià grande della propaganda guerrafondaia occidenale. Le armi di distruzione di massa di Saddam e il viagra utilizzato dalle milizie di Gheddafi hanno permesso lo stupro di Iraq e Libia; la nuova consapevolezza dell'opinione pubblica, al contrario, non ha permesso che lo stesso potesse essere fatto in modo completo in Siria.
E veniamo agli ultimi giorni dell'anno. La liberazione di Aleppo è stata descritta dai propagatori delle fake news come un “assedio” - un po' come se dicessimo che “le truppe di De Gaulle hanno assediato Parigi contro i rivoluzionari nazisti”.
La liberazione di Aleppo è una vittoria dell'umanità e uno spartiacque storico di una nuova epoca per l'informazione.
Non potendo più controllare l'opinione pubblica come in passato, tuttavia, l'obiettivo delle corporazioni mediatiche è chiaro: censura. Le dichiarazioni di Boldrini, Orlando e Pitruzzella hanno gettato un cammino preciso contro cui noi de l'AntiDiplomatico saremo pronti a combattere. Ma la mobilitazione deve essere generale, da parte di tutti coloro che hanno a cuore il futuro della libera espressione in rete.
Buon 2017 in difesa della libera espressione del pluralismo dell'informazione mai così in pericolo!
IL FALLIMENTO DEI GRANDI GRUPPI EDITORIALI
Il Sole 24 Ore perde 100 milioni di euro all'anno.
Il New York Times 114 milioni di dollari all'anno.
Il Guardian 173 milioni di Sterline all'anno.
L'elenco potrebbe continuare con Corriere della Sera, Repubblica, Le Monde, Washington Post etc... il senso è che tutti i grandi gruppi, da qui ai prossimi cinque anni, probabilmente falliranno.
Il motivo è quanto mai scontato e banale: hanno perso credibilità. Nessuno crede più loro. Il livello giornalistico è imbarazzante. Il 98% dei pezzi sono brutali scopiazzature di articoli già scritti negli Stati Uniti.
Il cittadino medio non ha più alcun interesse ad informarsi tramite quotidiani o siti internet che riciclano false notizie, parziali o volutamente errate come forma estrema di propaganda.
Questo trend è stato confermato dalle tendenze di voto in Europa e Stati Uniti.
Più il cittadino incrementa la sua capacità di informarsi correttamente, ad esempio comprendendo causa-effetto (soprattutto collegando questo aspetto alle difficoltà economiche quotidiane) e più vota nel proprio interesse. Esattamente il contrario di ciò che le elite vorrebbero.
Naturalmente, l'interesse dell'uomo medio non coincide con quello dei padroni dei grandi gruppi editoriali e ancor meno con i candidati prescelti dal 'sistema' o dalle loro politiche. Da qui, la notevole incazzatura dei tempi recenti mirata ai siti e ai quotidiani di autentica informazione .
Come se aver invaso un paese come l'Iraq, con il falso pretesto costruito ad arte delle armi di distruzione di massa, provocando circa 1 milione di morti, potesse essere ignorato di colpo o far parte delle notizie "autentiche".
Basta aprire un giornale o accendere la TV, osservare come viene descritta la situazione ad Aleppo, per comprendere come sia già iniziato, da tempo, il canto del cigno di queste nullità. Stanno impazzendo.
Non dobbiamo dimenticare o sottovalutare il fatto che è iniziata una guerra sleale e scorretta, diretta verso analisti e giornalisti che informano in maniera indipendente, con mezzi infinitamente inferiori rispetto ai grandi gruppi editoriali. Siamo tutti in prima linea.
Hanno dichiarato guerra alla verità, in barba a tutti i principi di democrazia e libertà di parola con cui questi fetenti si sono riempiti le bocche per decenni, giustificando guerre, morti e distruzione degli Stati Uniti. Hanno gettato la maschera. Si mostrano per quello che sono: organi di propaganda. Nient'altro.
Appostiamoci sulla classica riva del fiume e attendiamo i cadaveri-editoriali che scorrano... il loro destino è già segnato.
Come disse Lincoln: "Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo".
Difendi l'AntiDiplomatico. Difendi la tua Liberta' di "Stampa" contro il nuovo Maccartismo
La Stampa, 5 novembre 2016.
Negli ultimi mesi il nostro sito, l'AntiDiplomatico, ha notevolmente aumentato il numero dei suoi lettori. Non è stato solo merito nostro, lo dobbiamo ammettere. Tanto hanno fatto anche tutti coloro che hanno scelto di utilizzare a nostro favore la loro cattiva fama e il loro essere sempre dalla parte sbagliata della storia. Tutto potevamo aspettarci, dobbiamo essere onesti, tranne che ad attaccarci arrivasse anche il giornale di Fiat Chrysler.
L'articolo che ci chiama in causa è il sequel di un precedente che ha l'obiettivo di far passare questo messaggio: la Russia del nemico Putin ha deciso di investire tanti miliardi in propaganda per far vincere il No al referendum del 4 dicembre, utilizzando siti satelliti italiani "grillini" che fanno da ponte. Per non offendere ulteriormente la vostra intelligenza, non aggiungiamo nulla di più rispetto alle considerazioni puntuali di Francesco Santoianni sul nostro sito (qui e qui), ma lasciateci solo una considerazione tragi-comica che denota lo stato dell'arte della nostra "informazione": dopo che l'ambasciatore del paese più potente del mondo e che controlla direttamente o indirettamente quasi tutti i mezzi di informazione occidentale ha fatto un endorsment diretto per il SI; dopo che lo stesso presidente della prima potenza del mondo e che controlla quasi tutti i mezzi di informazione occidentali ha organizzato una serata di gala in onore di Renzi per dire agli italiani che devono votare Si per non compromettere gli investimenti; e dopo che, infine, il presidente di Fiat Chrysler, Marchionne, si è espresso per il Si ripetutamente, non si è forse sbagliato indirizzo per cercare una violazione del nostro diritto di non ingerenza negli affari interni?
Abbiamo deciso di riproporre la citazione che ci chiama in causa all'inizio dell'articolo perché l’isteria maccartista di chi vede in un giornale (e in un movimento politico) non allineato alle direttive di Renzi una quinta colonna al soldo del “nemico" non è solo de La Stampa àma infetta oggi anche l’Unione Europea, che nell’aprile di quest’anno, ha creato una struttura finalizzata a contrastare la “propaganda” e la “disinformazione” proveniente dalla Russia: cioè la UE pagherà (con soldi nostri) giornalisti per scrivere articoli contro Putin.
Ma soffermiamoci su due velenose affermazioni contenute nella citazione, le più preoccupanti.
Il sito "l'AntiDiplomatico" nasce nel 2013 per iniziativa di giovani studiosi di relazioni internazionali e giornalisti interessati a vario titolo e varie esperienze alla politica internazionale. Credevamo che la politica estera nel nostro paese venisse raccontata male e ci siamo lanciati in quest'avventura. Tanti amici abbiamo incontrato nel nostro percorso e tanti sono i blog che stiamo aprendo.
C'è una visione di mondo nell'AntiDiplomatico e c'è una scelta redazionale negli articoli che pubblichiamo? Certamente si.
Ci sono dei valori di riferimento? Certamente si.
Si combatte ogni giorno contro le menzogne, le bufale e la propaganda dell'universalismo neo-liberista e i crimini delle guerre d'aggressione occidentali? Certamente si.
Crediamo che fenomeni in corso a livello internazionale (Alba, Brics e le sfide al Washington consensus) debbano essere raccontati bene? Certamente si.
Non si vuole dettare nessuna "direttiva" ma, più semplicemente, presentare – soprattutto attraverso gli articoli tradotti da siti come Telesur, Zero Hedge, Hispan Tv, Al Masdar, Press Tv, Russia Today, Correo de l'Orinoco, El Telegrafo, Cubadebate, Guardian, Telegraph, Indipendent... e tanti altri - una visione del mondo diversa da quella della propaganda dell'universalismo neo-liberista e guerrafondaio così brillantemente portata avanti da giornali italiani come La Stampa.
Il tutto con libertà assoluta, dignità e passione. Abbiamo deciso di inserire la pubblicità nel nostro sito, nella speranza di poter trasformare nel minor tempo possibile la nostra redazione informale di volantari volentorosi in una struttura più consolidata.
2) "(L’AntiDiplomatico) che si distingue per il suo sostegno a Putin, Assad e Trump".
Una affermazione falsa che, per quanto riguarda il nostro presunto "sostegno" a Trump (che riteniamo la stessa faccia della tragica medaglia di un regime, il più violento dalla seconda guerra mondiale ad oggi, al capolinea) è smentito da articoli come questo, questo, questo, questo, questo (e potremmo continuare) che contrasta con le nostre simpatie dichiarate per Jill Stein, candidata verde alle elezioni nord-americane, censurata in Italia da tutti, giornale di Fiat Cyrsler compresa.
Per quanto riguarda il presunto sostegno a Putin, e Assad (anche esso smentito da innumerevoli articoli de L’Antiplomatico) non fa i conti con una realtà elementare e cioè che essi oggi, indipendentemente dal giudizio che si può dare del loro operato e delle loro politiche interne, sono l’obbiettivo di una colossale operazione, anche mediatica, portata avanti dai governi di quasi tutto l’Occidente che vede in una guerra (forse peggiore della Seconda guerra mondiale) lo sbocco finale.
L’inaudito attacco a L’Antiplomatico da parte di uno dei più importanti giornali padronali italiani deve preoccupare tutti coloro che hanno a cuore le sorti della libertà di stampa e della democrazia nel nostro Paese; anche perché il maccartismo, che trasforma in “nemico interno” chiunque non accetti i diktat del Governo, delle banche, dell’Unione Europea… diventerà una costante nei prossimi tempi. Per questo, lungi dal volere ergerci a “vittime” di alcunché, chiediamo solidarietà ai nostri lettori e ai tanti altri siti che – come L’Antiplomatico – operano “per un’altra visione del Mondo”. Noi continueremo a raccontarvela con ancora maggiore forza e passione.
La Redazione de L’Antidiplomatico
"Fake news": il Convegno autogol della Boldrini
“Operazione sporca”, “altera la realtà”, “è illegale”. Con queste parole la Presidentessa della Camera Laura Boldrini ha oggi aperto la sessione dei lavori del Convegno organizzato alla Camera dei Deputati "Non è vero ma ci credo – Vita, morte e miracoli di una falsa notizia" presso la Sala della Lupa di Montecitorio. “C'è una strategia precisa: si vuole delegittimare, ridicolizzare e gettare discredito”, prosegue la Boldrini che indica nelle “ragioni politiche e nel profitto” il movente. Quello che è stato organizzato oggi alla Camera è in linea con il processo di demonizzazione della rete e di censura preventiva delle voci dissonanti che negli Usa ha prodotto le prime "liste di proscrizione" e in Italia una nuova forma di maccartismo.
Dopo aver citato la definizione di “post truth” della Oxford University – a cui