Informazione

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01-12-04


Commemorazione in onore di Jurizza Pietro

4 novembre 2004


Jurizza Pietro nasce a Zara nel 1920 e si chiama  Jurica Petar (pr.
Juriza)
E’ da poco finita la grande guerra, la vita non è facile e la Croazia
poco dopo passa sotto l’occupazione fascista dell’Italia.
Pietro cresce in una famiglia semplice e modesta, con l’ottimismo,
l’animosità e l’impeto tipici della gioventù vissuta nelle città di
mare croate come Zara, ricche di storia, cultura e desiderio di libertà
dalle varie occupazioni subite.

Dopo aver convissuto per anni con le ingiustizie dell’occupazione
italiana, all’età di vent’anni, viene messo di fronte agli  orrori
della seconda guerra mondiale.
Vede la sua città distrutta dai bombardamenti e deturpata dalle atroci
violenze dei fascisti italiani, perde parenti ed amici, e si sente così
obbligato a scegliere: e  Pietro scelse di diventare un partigiano
ancor prima che Tito organizzasse la resistenza a Zara.
E’ un ragazzo convinto, ha paura, non è felice d’aver scelto
d’imbracciare le armi ma non sopporta le ingiustizie.
Pietro diventa presto un partigiano coraggioso ed intelligente:
militerà prima nella resistenza partigiana jugoslava organizzata da
Josip Tito e poi anche in Italia nella lotta di liberazione nazionale
dal nazifascismo .

Durante la guerra dimostrò tutto il suo impeto, la sua abilità e la
sua arguzia riuscendo a combattere i nazifascisti sulle montagne
jugoslave ed anche nelle città del nord Italia da Padova a Trieste
esposto qui a rischi forse maggiori.
Numerosi sono gli episodi in cui si distinse, come ad esempio la
cattura di 400 soldati tedeschi in un’imboscata organizzata da lui con
soli 5 partigiani.
Dimostrò anche il suo equilibrio e la sua umanità aiutando ad esempio
gli ebrei jugoslavi a fuggire dai nazisti ed aiutando la popolazione
italiana di Padova a sopravvivere alla fame con la distribuzione presso
la Chiesa di San Carlo di viveri da lui sottratti ai convogli tedeschi.
Dimostrò equilibrio anche non negando il suo aiuto a quei soldati
tedeschi che in guerra si rifiutarono di obbedire agli atroci ordini
che venivano loro impartiti dai diretti superiori contro la popolazione
civile.

A quei soldati diede rifugio e dieci anni dopo la fine della guerra
vennero a ringraziarlo facendogli visita a Padova.
Jurizza Pietro durante la guerra conobbe la famiglia Perin che a causa
della guerra si trovava in una difficile situazione e ad essa egli
diede tutto il suo sostegno.
Si innamorò di Nella Perin, decise di sposarla e di vivere con lei a
Padova rinunciando poi alla cittadinanza juogoslava.
Al termine della guerra ricevette la medaglia Garibaldina e
l’attestato di Patriota per la libertà dei popoli dal maresciallo
Alexander di encomio in riconoscimento del suo impegno e dei risultati
raggiunti nella lotta contro il nazi-fascismo e spinto da grande
passione sociale e senso civico continuò a distribuire viveri anche
presso le scuole di Padova.

Purtroppo il coraggio che tanto gli era servito in guerra gli creò non
pochi problemi in pace: basti pensare ai due anni di confino cui fu
condannato senza processo per avere osato, a guerra finita, ribadire ad
un comizio pubblico il mancato arrivo a Padova degli aiuti promessi,
con il piano Marshall, alla popolazione civile.
Il coraggio di ribadire i suoi ideali di giustizia sociale assieme
alla sua origine slava hanno alimentato non pochi pregiudizi nei suoi
confronti e proprio nel paese per lui straniero ma per cui tanto aveva
fatto durante la  guerra.
Nell’Italia del dopo guerra non trovò nessuna forma di riconoscimento
per quanto fatto per la liberazione e per la popolazione civile.

A causa delle sue origini slave e degli ideali di cui andava sempre
fiero senza mai nasconderli, per molti anni gli vennero offerti solo i
lavori più faticosi e precari che egli fu costretto ad accettare: ma
lui non si perse mai d’animo e lottò con la stessa determinazione
dimostrata in passato ma questa volta nel lavoro e per la famiglia che
andava costruendosi con sua moglie Nella Perin.
Si dedicò molto alla famiglia: ebbe due figlie Cristina e Antonella.
Burbero nel carattere ha sempre dimostrato nei fatti tutto il suo
amore per sua moglie e per la sua famiglia.
Portava un affetto rispettoso anche per la madre di sua moglie che
aiutò nei momenti difficili e con la quale si dimostrò sempre
disponibile e paziente.
Fu sempre disponibile anche con i familiari della moglie.
Con i suoi quattro nipoti, Emiliano, Miriam, Elisa e Silvia fu sempre
allegro, tenero ed affettuoso, un vero nonno.

Mantenne sempre vivo il suo interesse per la società, trovando sempre
il tempo di informarsi sui fatti e gli avvenimenti della politica
leggendo libri e giornali, e la sua capacità di ragionare e
confrontarsi criticamente con le persone senza perdere mai in questo
una vitalità davvero invidiabile.
La sua vita da pensionato gli permise di dedicare il tempo libero ai
suoi nipoti e all’approfondimento delle sue letture preferite,
conferendogli sempre un animo giovane e dinamico a dispetto dei suoi
crescenti problemi di salute.

Jurizza Pietro passò 60 anni in Italia, che divenne così la sua
seconda terra, ma non dimenticò mai la sua terra madre.
Sempre felice di andare a trovare ogni estate tutti i suoi parenti di
Zara ha permesso alle sue figlie ed alle loro rispettive famiglie di
scoprire, conoscere ed amare la sua terra e la sua gente.
E’ di sole tre settimane fa la triste scomparsa di suo nipote Tonci
Sikic al quale voleva molto bene.
A tutti noi piace pensare che ora si siano ritrovati a discutere,
litigare e scherzare come erano soliti fare.

Questo è Jurizza Pietro: una persona su cui non si possono fare
commenti ma di cui si possono e si devono ricordare le cose fatte, che
tutto dicono della sua anima.
Una persona straordinaria, di poche parole, vissuta sempre lottando e
guidata da tre profondi e grandi ideali: l’eguaglianza, la famiglia e
la giustizia sociale.
Basterà ricordare di lui le grandi cose che ha fatto in vita per
sapere chi era e cosa ci ha insegnato ad essere.
Pietro i tuoi ideali non sono morti, continuano in noi e di questo te
ne saremo eternamente grati.


commemorazione pronunciata dal nipote Emiliano al funerale

Europei e americani nel supermercato serbo

Fonte: il manifesto - 7 Dicembre 2004

Con appena quattro anni di ritardo, al "Manifesto" timidamente danno
segno di essersi accorti che la "rivoluzione democratica" in Serbia ha
portato solo privatizzazioni, corruzione e malversazioni, insieme ad un
attacco generalizzato ai diritti ed all'inglobamento nella sfera di
influenza della NATO. Ci rallegriamo con "Il Manifesto" per queste
conclusioni, benchè tardive e benchè tuttora condite di gratuiti,
demagogici e "politically correct" attacchi contro "vecchi arnesi di
regime" (veri o presunti tali). Auguriamo al "Manifesto" di impiegare
un po' meno tempo per una analisi critica di altri simili scenari,
quale quello ucraino, al di là del pensiero unico dominante. AM


http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/07-Dicembre-2004/
art133.html

SERBIA

Le bollicine nel canestro

Dietro la privatizzazione della più importante acqua minerale serba, la
Knjaz Milos, un tourbillon di interessi, malaffari politici e giganti
del basket come Divac e Danilovic. E la Danone
Crisi politica in un bicchier d'acqua
Anche il governo Kostunica rischia di affogare nella Knjaz Milos. La
joint venture Danone-Divac nell'occhio del ciclone: la concorrenza
slovena offre di più
IGOR FIATTI

Il canestro da segnare ad ogni costo. Volano via gli ultimi secondi di
gioco. Il tempo corre veloce come i giocatori sul parquet. Smarcato da
un assist perfetto, il campione è solo sulla lunetta pronto a infilare
i punti della vittoria. Ma l'arbitro lo ferma sul filo della sirena:
fallo in attacco e si va al tempo supplementare. Inizia così la storia
di Vlade Divac e Danone alla conquista di Knjaz Milos, la principale
azienda produttrice di acqua minerale della Serbia. Nella gara per
privatizzare la società che vende il maggior numero di bottiglie nei
Balcani, il talento del pivot serbo però non conta. Il mondo degli
affari non è infatti quello del basket, e le regole, soprattutto a
Belgrado, sono molto diverse. Adesso è tutto da rifare. A Vlade Divac
non resta che sedersi in panchina, mettersi l'asciugamano al collo e
aspettare la ripresa del gioco. E dire che ormai sembrava cosa fatta.
Forte dell'appoggio della Danone, la stella serba Nba dei Los Angeles
Lakers aveva conquistato il pacchetto azionario di maggioranza della
Knjaz Milos. Dopo quattro mesi di estenuanti trattative, di accordi e
dissidi, di pour parler e intrallazzi, l'alleanza tra il gigante
sportivo e il colosso economico si era assicurata oltre il 54% dei
titoli della società. Per aggiudicarsi la privatizzazione e vincere
l'asta, insieme avevano fondato una compagnia ad hoc chiamata Apurna.
Ma schierare un asso, a volte non è sufficiente per battere gli
avversari; ci vuole qualcos'altro. Un po' di fortuna, ad esempio.
Oppure, se la buona sorte non ti viene incontro, serve un aiuto esterno
ed estremo.

E ad aiutare l'atipica joint venture franco-serba è arrivato in
extremis Predrag Danilovic, talentaccio del basket oramai a riposo e
amico per la pelle di Divac. Forse ricordandosi lo spot natalizio che
ha girato qualche anno fa in Italia, «Babbo» Danilovic ha pensato bene
di regalare l'equivalente di 50 euro ai piccoli azionisti per
convincerli a vendere i loro titoli all'ex compagno di squadra e di
nazionale e alla sua Apurna. E se non si fosse intromessa la
commissione parlamentare serba per i valori immobiliari, che ha
giudicato «irregolare» il regalo del (fu) zar della (fu) Virtus
Bologna, il racconto si chiuderebbe qui. E tutti (la Divac&Danone, gli
azionisti e il governo serbo) sarebbero felici e contenti e la Knjaz
Milos - finalmente - privata. Ma la vittoria a scapito degli altri due
contendenti non è stata solo annullata: i produttori di birra sloveni
della Pivovarna Lasko e la finanziaria delle isole Cayman Fpp Balkan
limited hanno difatti subito presentato ricorso. E per non fare torto a
nessuno, l'agenzia per le privatizzazioni ha riammesso in gara tutti e
tre gli sfidanti e ha prorogato i termini dell'asta.

Chi sono i padroni?

Mentre si attende che le promesse diventino realtà, il pubblico
s'interroga sull'identità dei nuovi padroni dell'azienda. Molti
abitanti di Arandelovac (la città dove viene imbottigliata la Knjaz
Milos) rispondono alla domanda con un proverbio. E, tra indifferenza e
scetticismo, ad ogni possibilità ribattono: «Moz' da bidne, ne mora da
znaci». Può anche essere, ma non significa nulla.

Nella guerra di nervi tra i concorrenti in lizza, tutte le opzioni sono
ancora aperte: sull'epilogo della vicenda peseranno infatti molte
inchieste e qualcuno potrebbe persino rivolgersi a Bruxelles. I più
determinati a seguire questa strada sono i birrai della Pivovarna
Lasko. Gli sloveni hanno già ingaggiato una squadra di avvocati per far
luce sull'asta. Chiederanno al ministro per le privatizzazioni, Predrag
Bubalo, di spiegare con quale logica matematica hanno ritenuto
l'offerta della Divac&Danone la migliore per il pacchetto azionario
dello Stato. Per controllare il 41,28% dell'azienda di Arandelovac in
mano al governo, la stella dei Lakers e l'agroalimentare francese hanno
sborsato solo 34 milioni di euro; i birrai ne promettevano invece oltre
37. Considerando inoltre ogni singola azione, l'offerta oscillava dai
17.500 dinari (250 euro) messi sul piatto dall'Apurna ai 23.000 (328
euro circa) promessi dalla Balkan limited, passando per i 19mila
assicurati della Pivovarna Lasko. Ma se la proposta più appetitosa non
è stata neanche esaminata perché la finanziaria caraibica non era
disposta a comprare tutto il pacchetto, gli sloveni erano più che
decisi e volevano portarsi a casa l'acqua di Serbia. E su questo punto,
il loro consulente legale ha attaccato: «Chiederemo alle autorità di
Belgrado di precisarci con quale formula hanno calcolato il valore
dell'offerta di Apurna e come hanno fatto a ritenerla migliore della
nostra. Se le istituzioni serbe non vogliono rispondere alle nostre
domande, forse altri organi dell'Unione europea lo faranno». Inoltre,
commentando il «regalo» di Danilovic ha aggiunto: «Può darsi che Babbo
Natale venga anche da noi».

I birrai non mollano

E mentre i birrai aspettano fiduciosi le loro strenne, la decisione
della commissione per i valori mobiliari ha scatenato un terremoto
politico. Il vicepremier Miroljub Labus, che fa il tifo apertamente per
Divac, ha minacciato di dimettersi dall'esecutivo. Dal partito
socialista serbo (Sps) è arrivato invece un monito; se saranno
confermati illeciti nella privatizzazione di Knjaz Milos, gli orfani di
Slobodan Milosevic ritireranno l'appoggio esterno necessario al
governo. E sul parquet sono scesi anche gli orfani illustri della
patria, quelli del leader radicale Vojislav Seselj (ospite del giudice
Carla del Ponte nelle celle d'Olanda). Prima formazione politica in
parlamento e anima balcanica del paese, il partito radicale (Srs) ha
accusato Labus di contatti sospetti con esponenti della Danone e ha
chiesto l'apertura di un'inchiesta parlamentare. Il premier Vojislav
Kostunica, che si è limitato a disporre indagini del ministero degli
interni e della procura, rischia però di pagare caro «l'affaire
Arandelovac»: anche se non ci sono ancora prove sulla corruzione di
qualcuno del suo consiglio dei ministri, le voci sul coinvolgimento di
Labus si fanno sempre più insistenti.

«La commissione parlamentare serba per i valori immobiliari voleva
estromettere irrevocabilmente la società di Divac e della Danone
dall'asta, ma il vicepremier Labus ha telefonato ai giudici e lo ha
impedito», ha dichiarato alla stampa il portavoce della Fpp Balkan
Limited, Srdan Muskatirovic. Secondo il direttore della Mv investiments
Dragijana Radonic-Petrovic, che rappresenta la finanziaria delle
Cayman, con la vendita del pacchetto azionario di maggioranza
all'Apurna i piccoli azionisti ci rimettono quasi nove milioni di euro
e lo stato 12 e mezzo. «L'offerta complessiva della Fpp Balkan Limited
è di 106,9 milioni di euro, mentre quella di Divac e della Danone è di
82,2 milioni di euro. Lo stato, che durante tutto il procedimento ha
favorito la cordata del colosso francese, deve spiegare ai cittadini
perché rifiuta questi soldi», ha detto Radonic-Petrovic.

Vecchi arnesi di regime

Nella partita per il controllo della Knjaz Milos, si scontrano anche i
tycoon del vecchio regime. Per il ministro delle finanze Mladjan
Dinkic, l'ex ministro senza portafoglio e gran faccendiere di Slobo,
Milan Beko (il suo nome è comparso più volte nel corso di varie
inchieste, compresa quella su Telekom Serbia) sarebbe «interessato» a
comprare l'azienda di Arandelovac. Alcuni giornali suggeriscono invece
che dietro la Divac&Danone ci sia in realtà Bogoljub Karic, il magnate
convertitosi recentemente alla politica fondando il partito «Forza
Serbia».

La commissione per i valori mobiliari intanto smobilita: il presidente
Milko Stimac non ha neanche partecipato alla decisione di estromettere
- provvisoriamente - Apurna dall'asta perché ricoverato in ospedale.
Ragione ufficiale della degenza: problemi cardiaci. Ma per molti si è
trattato di un ricovero opportuno per sfuggire alle pressioni. Un altro
membro della commissione, Dusan Bajec, ha annunciato invece le
dimissioni. E a chiederle, come ha confermato alla stampa il ministro
delle finanze Dinkic, è stato il presidente democratico Boris Tadic.

Comunque vada, per il governo di Kostunica lo scacco è pesante: quella
di Knjaz Milos - che ha il 55% del mercato interno, senza considerare
le esportazioni negli altri paesi - è infatti la più importante
privatizzazione in agenda quest'anno, e il premier aveva fatto della
trasparenza negli affari pubblici un cavallo di battaglia della sua
campagna elettorale.

Ma oltre alle stelle del basket, ai colossi economici, ai politici e ai
tycoon, nella storia ci sono delle comparse chiamate operai. Zoran
Pavlovic, ad esempio, che imbottiglia la Knjaz Milos da 27 anni,
illustra la vicenda così: «Adesso siamo divisi come nel 1941. Da una
parte i partigiani e dall'altra i cetnici, il padre da una parte e il
figlio dall'altra. Un fratello per la Danone e l'altro per la Balkan».
E per «Vukojica», che con il suo camion trasporta l'acqua di
Arandelovac in tutta la Serbia, la storia e tutti i suoi protagonisti
si ritrovano in una frase di Maksim Gorkij: «Chi è nato per strisciare
sulla terra, non può volare in cielo».


http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/07-Dicembre-2004/
art132.html

MENO STATO

Europei e americani nel supermercato serbo

Per il momento è un'operazione da 1,39 miliardi di euro. Lanciata nel
2001 in Serbia dal governo del premier Zoran Djindic, la campagna di
privatizzazione delle aziende nazionali sinora ne ha messe sul mercato
1.256. Ma l'obbiettivo finale è quello di arrivare a quota quattromila
entro 2005. Solo l'anno scorso, Belgrado ha venduto 220 compagnie,
mentre nel biennio precedente ne ha consegnate ai privati ben 1.036.
Per il governo serbo, la cessione più importante è stata quella
dell'industria del tabacco: gli stabilimenti di Nis e di Vranje sono
stati infatti acquistati nel 2003 dalla Philip Morris e dalla British
American Tobacco (Bat), per un totale di 605 milioni di euro. Sempre
l'anno scorso, la filiale europea della russa Lukoil ha comprato le
raffinerie della Beopetrol per 117 milioni di euro. Al terzo posto
della classifica dei saldi di stato si piazza invece il cementificio
Novi Popovac: gli svizzeri della Holcim lo hanno pagato 60 milioni di
euro. Ma il settore interessava anche i francesi e i greci. E così la
società d'oltralpe Lafarge si è aggiudicata la fabbrica di cementi
Beocin, sborsando 59 milioni di euro, mentre con 40 milioni di euro
l'ellenica Titan si è assicurata quella di Kosjeric. Il terzo settore
più «gettonato» è quello dell'industria farmaceutica: la Merima è
andata agli austriaci della Henkel per 14 milioni di euro; gli
islandesi della Pharmaco, pagandola tre milioni e mezzo, si sono
garantiti invece la Zdravlje (salute in serbo). Ma a spartirsi la torta
sono arrivati anche i croati; con 11 milioni di euro infatti, l'Agrokor
ha conquistato l'agroalimentare serba Frikom.

riceviamo e giriamo questo importante appello:
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Promemoria
Associazione per la difesa dei valori dell’antifascismo e
dell’antinazismo
Društvo za zascito vrednot protifasizma in protinacizma
e-mail: promemoriats @ virgilio.it
Trieste, 8 dicembre 2004

A tutte le organizzazioni e le forze democratiche ed antifasciste,

il 10 Febbraio 2005 l’azienda pubblica delle telecomunicazioni del
nostro paese, la Rai, manderà in onda la fiction “Il cuore nel pozzo”.
Quest’opera, come indicato dagli autori ma anche da rappresentati
istituzionali (innanzitutto dal Ministro delle Telecomunicazioni,
Maurizio Gasparri) vuole essere rappresentativa delle vicende del
confine orientale durante e immediatamente dopo la Seconda Guerra
Mondiale. Non a caso viene messa in onda il 10 Febbraio, data che, come
stabilito da una recente legge, è denominata “giornata del ricordo
dell’esodo degli italiani dell’Istria e della Dalmazia e delle foibe”.
Ebbene, “Il cuore nel pozzo” racconta una storia puramente fantasiosa,
ma molto ben finalizzata dal punto di vista politico giacchè i
partigiani, soprattutto quelli di nazionalità slovena e croata, sono
presentati come stupratori e assassini di bambini. I presunti intenti
di “ricostruire una memoria condivisa” si rivelano, ancora una volta,
come tentativi di infangare coloro che sacrificarono la vita o pagarono
sofferenze immani per sconfiggere il nazifascismo e,
contemporaneamente, di riabilitare la peggior cultura sciovinista e
reazionaria.
L’Associazione Promemoria, che è nata e continua a battersi contro il
monumento in costruzione in Piazza Goldoni a Trieste che equiparerà SS,
camicie nere e altri simili a loro, agli antifascisti caduti e alle
vittime dei deliri razziali del nazifascismo, ritiene che sia
necessario contrastare questa ennesima iniziativa di falsificazione
della storia e di aizzamento all’odio nazionale. Lancia perciò un
appello a tutti i sinceri antifascisti perché si trovino forme di
mobilitazione comune contro questa gravissima operazione di
denigrazione dell’antifascismo e di fomentazione degli odi nazionali.
Saremo pertanto lieti di una vostra risposta, che per esigenze
organizzative vi preghiamo di farci pervenire entro la metà di gennaio
2005, sulla disponibilità a collaborare in questa battaglia dal
profondo valore ideale.

Cordiali saluti
Per l’Associazione Promemoria
Il presidente
Alessandro Volk

Potete indirizzare la vostra risposta all’indirizzo e-mail
promemoriats @ virgilio.it
o a Ass. Promemoria, c/o Volk, vicolo degli Scaglioni, 21, 34141,
Trieste



Promemoria
Associazione per la difesa dei valori dell’antifascismo e
dell’antinazismo
Društvo za zašcito vrednot protifašizma in protinacizma
e-mail: promemoriats @ virgilio.it

Vsem demokraticnim in antifašisticnim organizacijam in ustanovam

Italijanska javna televizijska hiša RAI namerava 10. in 11. februarja
2005 predvajati nadaljevanko »Il cuore nel pozzo«. Kot zatrjujejo
avtorji, a tudi predstvniki italijanskih vladnih ustanov (predvsem
minister za telekomunikacie Maurizio Gasparri), naj bi nadaljevanka
bila prikaz zgodovinskega dogajanja v Julijski krajini v zadnjem
obdobju druge svetovne vojne in neposredno po njenem zakljucku. Ni
nakljucje, da jo bodo predvajali 10. februarja, na dan, ki ga je
italijanski parlament nedavno razglasil za »dan spomina na eksodus
Italijanov iz Istre in Dalmacije in na fojbe«.
V resnici je »zgodovinska« pripoved nadaljevanke povsem izmišljena,
vendar z zelo spretno zastavljenim politicnim ciljem, saj prikazuje
partizane, predvsem tiste slovenske in hrvaške narodnosti, kot
posiljevalce in ubijalce otrok. Domnevni namen ustvarjanja »skupnega
spomin« italijanskega naroda se še enkrat kaže kot pretveza za poskus
blatenja tistih, ki so darovali življenje ali pretrpeli necloveške muke
za zmago nad nacifašizmom, ter za rehabilitiranje najbolj šovinisticne
in nazadnjaške »kulture«.
Društvo Promemoria, ki je nastalo in deluja, da bi preprecilo, da bi
posvetilo spomenika, ki ga bodo postavili na trgu Goldoni v Trstu,
izenacevalo SS-ovce, crnosrajcnike in druge njim podobne, s padlimi
antifašisti in žrtvami nacifašisticnih rasisticnih blodenj, smatra, da
je nujno nastopiti proti temu poskusu ponareditve zgodovine in šcuvanja
k nacionalnemu sovraštvu. Apelira zato na vse resnicne demokrate in
antifašiste, da se najdejo skupne oblike nastopa proti tej nesramni
pobudi, ki blati antifašizem in podpihuje sovraštvo do drugih narodov.
Veseli bi bili vašega odgovora glede priparvljenosti sodelovati pri
organiziranju protestne pobude visoke moralni in idealne vrednosti in
vas pozivamo, da nam odgovor posredujete do polovice januarja 2005, saj
je 10. ferbuar 2005 že za vogalom.

Lep pozdrav
Za društvo Promemoria
Predsednik
Sandi Volk
Odgovor lahko pošljete na e-mail naslov društva ali na naslov Društvo
Promemoria, druž. Volk, ul. Degli Scaglioni 21, 34141, Trst.

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Enrico Vigna [a cura di]: Dalla guerra all'assedio

Lettere di bambini serbi del Kosovo Metohija

«. . . Questo libro fa parte di uno dei Progetti di Solidarietà in cui
l'Associazione SOS Yugoslavia è impegnata; in questo caso i proventi
della vendita di questo libro saranno interamente consegnati ai bambini
della scuola dell'enclave di Orahovac nel Kosovo Metohija. Non sarà
certo la soluzione ad alcuno dei loro gravissimi problemi, non potrà
vincere il loro freddo, le loro malattie, le loro paure, i loro incubi,
le loro indulgenze e le loro tristezze interiori. Ma di una cosa siamo
certi li aiuteranno a coltivare la speranza, a non sentirsi
terribilmente soli, a sorridere anche solo per un momento al pensiero
che, in un altro paese, bambini e bambine, uomini e donne, pur senza
conoscerli direttamente gli hanno teso una mano con un sorriso di
solidarietà, coetanei e adulti che seppur lontani gli sono andati
incontro su "ponte" ideale, dove potranno conoscersi e abbracciarsi
idealmente, come si fa tra piccoli grandi amici. E, come possono fare
solo quegli animi e coscienze dove non regnano l'odio e l'arroganza.
Ecco che allora questo libro avrà avuto un senso, un valore non
effimero e duraturo. Perché gettare piccoli "ponti" di solidarietà è il
senso del nostro modesto ma caparbio lavoro come associazione SOS
Yugoslavia, oltrechè essere voce di chi non ha più voce...»

Enrico Vigna
Progetto "SOS KOSOVO"
Associazione SOS Yugoslavia

Compra un libro,
Sostieni un bambino delle enclavi del Kosovo,
Contribuisci a tenere loro viva la Speranza.

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Enrico Vigna [a cura di]: Dalla guerra all'assedio

Lettere di bambini serbi del Kosovo Metohija

Ed. La citta del sole
Via Giovanni Ninni, 34 - 80135 Napoli
2004
Pagine 68
26 riproduzioni a colori
Prezzo di copertina: 10.00 Euro

per conoscere la tragedia del Kosovo
per non dimenticare
per portare solidarietà alle vittime della pulizia etnica
 
 
L'Università popolare pugliese per la terza e libera età
in collaborazione con l’associazione
Most za Beograd
 
 
venerdì 10 dicembre
Ore 17.00
AULA MAGNA
Istituto tecnico commerciale statale “Vivante”
piazza Diaz 10 -  Bari
 
 
 
presenta il libro-reportage di Uberto Tommasi e Mariella Cataldo

Kosovo Buco nero d’Europa

Introduzione di Andrea Catone - Edizioni Achab, Verona, 2004, euro 11,00
 

 
Intervengono
Prof. Antonio Piglionica docente dei corsi
Prof. Mariella Cataldo coautrice del libro
 
Proiezione del video-inchiesta
I dannati del Kosovo (2002)
di Michel Collon e Vanessa Stojlkovic
 
Il 50% del ricavato della vendita del libro sarà devoluto agli orfani
di Vitina, piccola cittadina del Kosovo, vittima della pulizia etnica
antiserba
 
---
Most za Beograd – Un ponte per Belgrado in terra di Bari - Associazione
culturale di solidarietà con la popolazione jugoslava - via Abbrescia
97 - 70121 BARI -  most.za.beograd @...
tel. 0805562663

GLI EFFETTI DEVASTANTI DELLA GLOBALIZZAZIONE


----- Original Message -----
From: luciano Moroni
Sent: Friday, November 26, 2004 8:30 PM
Subject: CONSIDERAZIONE EFFETTI DEVASTANTI GLOBALIZZAZIONE!!!!!!!!!!!!!

carissimi AMICI
oggi mentre facevo la prima colazione per caso i miei occhi si sono
soffermati su di una etichetta di JOGURTH che stavo consumando con
altre cose ebben sono andato oltre ed ecco cosa ho scoperto:
intanto lo jogurth è prodotto in Egitto ma da una società svizzera, la
MARMELLATA sempre prodotta in egitto ma da una compagnia francese, il
THE viene dal Kenia, il BURRO di una ditta Danese ma prodotto in
Egitto, l'acqua minerale imbottigliata da Perrier-Vittel prima era in
mano egiziana, il depuratore che ho messo per togliere il sapore di
cloro all'acqua del rubinetto è MADE IN ITALY, cosi pure la pompa
dell'acqua che la porta al 13.mo piano è MADE IN ITALY, cosi pure MADE
in ITALY sono la macchina del gas il FRIGO e la LAVATRICE ed il pane
egiziano ma il grano è per il 70% importato, la piastra scaldapane è
MADE IN CINA, la grattugia elettrica dalla Spagna, i PIATTI smaltati
dalla CINA, i bicchieri dall'ITALIA, rubinetteria IDEAL STANDARD
dall'ITALIA  e non so se ho saltato qualcos'altro
 
Non sono andato nelle altre stanze
 
COSA NE PENSATE ?????????
 
CARI SALUTI
luciano

UCK / BND: la rete del Terrore operativa in Kosovo,
chiave per comprendere le rivolte di marzo


1. Quando agenti dell'intelligence soffiano sul fuoco
(NIN, Belgrado, Nov 25, 2004)

2. La violenza in Kosovo è stata tollerata?
Intervista con l'esperto del servizio segreto Erich Schmidt-Eenboom
(Stefan Tenner su Neues Deutschland, Berlino, 23 Novembre 2004)

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Per foto e grafici si veda l'URL originaria /
see the original URL for the many interesting pictures:

http://groups.yahoo.com/group/decani/message/85182
UCK / BND: Terror network operating in Kosovo
A key for understanding March riots

Traduzioni di Alessandro Lattanzio
E-mail: alexlattanzio @ yahoo.it
Sito Generale: http://www.aurora03.da.ru
Archivio Bollettini:
http://xoomer.virgilio.it/sitoaurora/Archivio.htm
http://xoomer.virgilio.it/aurorafile/home.htm
Sito sull'11 settembre e Dintorni: http://sitoaurora.cjb.net/
Atlante sulla Politica Internazionale: http://atlante.cjb.net/
L'Italidiota, sulla tragicommedia italiota: http://italidiota.cjb.net/

Adattamento a cura di AM per il CNJ

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VEDI ANCHE :

BND-Skandal schlägt weiter Wellen
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4067
BND-Mann an UCK-Spitze
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4024

Artel / S. Nikolic: KFOR I UNMIK, VIDE, CUJU I ZNAJU ALI...
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4062
BND - sredstvo operativne spoljne politike SR Nemacke
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4035

Kosovo: On the complicity of German KFOR troops in the March 2004
pogroms
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4026


=== 1 ===

www.nin.co.yu

Nedeljne Informativne Novine
Belgrado 25 Novembre 2004

Quando agenti dell'intelligence soffiano sul fuoco

Perché la comunità Serba è silenziosa sui reportage
della televisione tedesca ZDF che presentano serie
accuse contro l'intelligence service della Germania
(BND) in connessione con i pogroms di Marzo in Kosovo
e Metohija.


In due segmenti di più di quattro minuti ciascuno
trasmessi il 18 e 20 Novembre all'interno di un
programma di informazione più lungo, i reporters della
ZDF documentano quanto segue: che l'intelligence service
della Germania (BND - Bundesnachrichtendienst) sapeva
tre settimane prima del 17 Marzo che si
preparavano attacchi organizzati contro i Serbi in
tutto il Kosovo e Metohija; che il BND sapevo ciò perché
aveva registrato le conversazioni di uno degli
organizzatori del pogrom; che quest'uomo si chiama
Samedin Xhezairi, noto anche come "Comandante Hoxha", e
che Xhezairi, da parte sua, era una spia del BND ma
anche un intermediario tra gli estremisti albanesi ed
al-Q'aida.
I reporters citano trascrizioni di conversazioni
dell'intelligence services così come documenti
confidenziali della NATO, e il dilemma che aprono,
direttamente e indirettamente, è: perché il BND non
trasmise le informazioni al governo tedesco, e
attraverso di esso ai comandanti del contingente
tedesco della Kfor a Prizren ed a Holger Kammerhof,
allora comandante in capo delle truppe NATO in Kosovo?
Si potevano prevenire le violenze se le strutture chiave
politico-militari a Berlino e in Kosovo e Metohija
avessero ricevuto in tempo le informazioni dagli
agenti dell'intelligence della Germania? E, infine,
con quali tipi sospetti coopera il BND?

Che queste informazioni della ZDF fossero volatili lo ha
dimostrato la rapida reazione del governo tedesco. Appena
il giorno dopo la prima trasmissione TV, il portavoce del
governo Bela Anda ha negato decisamente in una conferenza
stampa le accuse della ZDF sul BND, ma non ha negato che le truppe
tedesche sul campo sapessero che gli albanesi in Kosovo e Metohija
stavano preparando violenze contro i Serbi. Anda ha
sottolineato che il BND e l'esercito tedesco avevano una
"visione mutualmente corrispondente della situazione" ma ha
rifiutato di commentare la cooperazione tra il BND e
l'estremista Xhezairi.

I media tedeschi e i media delle regioni dove si parla la
lingua tedesca hanno accolto le informazioni della ZDF
tanto quanto la reazione del governo, talvolta con apparente gioia.
Il giornale austriaco "Kurir", per esempio, ha
titolato "Al-Q'aida alimenta la violenza in Kosovo"
nel suo reportage. Sebbene vi siano aspetti non così
chiari come parrebbe dal titolo.

I giornalisti di NIN hanno accompagnato i giornalisti della
ZDF durante le loro indagini nella regione, ed hanno appreso
ulteriori informazioni. Grazie ad informazioni esclusive a nostra
disposizione possiamo ricomporre un puzzle che è assai
lontano dall'essere completo, ma tuttavia abbastanza chiaro per
poter capire i contorni di un oscuro scenario.

Il protagonista di questa storia è Samedin Xhezairi,
detto Comandante Hoxha, un cittadino austriaco di
origine albanese che oggi vive a Prizren. Nell'ultimo
numero di NIN abbiamo presentato altri fatti riguardo
costui, che ci dicono che Xhezairi viveva in Austria e si
unì al Kosovo Liberation Army [UCK] quando esplose il
conflitto armato in Kosovo, prendendo parte ad attività in
tre zone operative. Combattè in Cecenia, fu addestrato
in Afghanistan e fu comandante della 112.ma Brigata
mujaheddin operante nell'estate 2001 nella regione di
Tetovo [in Macedonia / FYROM].
Nell'agosto dello stesso anno 80 membri del
battaglione 3/502 dei paracadutisti USA lo evacuarono
da Aracinovo [in Macedonia / FYROM], assieme ad altri
estremisti albanesi ed a 17 istruttori della compagnia privata
militare statunitense MPRI, che addestrava le formazioni
paramilitari albanesi.

Secondo informazioni confidenziali della NATO, addestrato sin
dal 2002 dagli intelligence service tedeschi BND
e ZNBw (Zentrum für Nachrichtenwesen della Bundeswehr),
a Xhezairi fu richiesto di formare un ramo
dell'"Esercito di Allah - Hezbollah", e il suo
numero di telefono è stato trovato in certi documenti
confiscati a persone identificate come membri di al-Q'aida.
Samedin Xhezairi è un attivo membro dell'Associazione
'Veterani' dell'UCK, che raccoglie denaro per
"aiuti umanitari" in una banca tedesca. Gli albanesi
lo considerano un carismatico "sant'uomo" e lo
annoverano tra i più eminenti leader albanesi.

Le stesse informazioni NATO presentate al quartier
generale della KFOR il 17 maggio 2002 indicano che il
suo coinvolgimento con elementi islamisti in Kosovo è
di lunga data. Al centro delle locali strutture
islamiste a Prizren c'è Hoxha Mazlumi, attivo nella
moschea Jeni Mahala ("Nuovo Territorio"). Tramite
i suoi più stretti associati, incluso Xhezairi, Mazlumi ha
stabilito una organizzazione con propri servizi
paramilitari d'intelligence ed una rete logistica,
finanziaria e di propaganda.
Tramite la sua gente Mazlumi ha stretto legami con il
Kosovo Protection Corps [formazione fittizia di "protezione
civile" istituita da KFOR ed UNMIK per riciclare l'UCK,
ndCNJ], la polizia del Kosovo, l'UNMIK e al-Q'aida.

Documenti NATO affermano che le
potenziali intenzioni e capacità dell'organizzazione
di Mazlumi sono "la rapida mobilitazione di masse per le
dimostrazioni, alimentare atteggiamenti aggressivi tra la
popolazione non-islamista verso la Kfor, sviluppare
un fronte islamista a Prizren, dimostrare il fallimento
della comunità internazionale, trarre vantaggio dal
fatto che Kosovska Mitrovica è al centro della
attenzione della Kfor, mentre il sud del Kosovo non è
sotto osservazione da parte delle forze
internazionali..."

[Ultime notizie - il BND ammette - al
momento di stampare questo numero di NIN abbiamo
saputo che il capo del BND August Hanning ha ammesso
che i documentsi della ZDF in possesso anche di NIN sono
autentici].

Quindi, era noto almeno da due anni che a Prizren era
nata una cellula di estremisti islamisti, proprio
sotto agli occhi della Kfor tedesca. Non è sorprendente
che la temperatura in tale città sia salita quando i
giornalisti della ZDF sono arrivati ed hanno iniziato a fare
domande sia sulle truppe tedesche sia sugli estremisti
islamisti. Allo stesso tempo, è interessante che i
tedeschi fossero meno loquaci dei loro temporanei
vicini. Hanno affermato caparbiamente la versione ufficiale
dei fatti: nessuno sapeva nulla della preparazione dei
pogrom di marzo; la Kfor tedesca, come tutti i membri
delle forze internazionali nel Kosovo, sono stati colti
di sorpresa dalla violenza, e quindi sono stati incapaci
di reagire adeguatamente. Di fronte alle prove che il BND
era informato riguardo alla preparazione dei terroristi
albanesi, i soldati tedeschi hanno negato categoricamente
ogni possibilità di essersi da soli privati delle
informazioni.

Diversamente da loro, Samedin Xhezairi
non è particolarmente riluttante ad ammettere qualcosa
ai reporters tedeschi, perfino se il suo nervosismo
è evidente. Ha avvertito i suoi interlocutori, non meno di
quattro volte, che dovevano mostrare il reportage che
preparavano al BND, prima di trasmetterlo: era
necessario chiedere all'intelligence service la sua
approvazione sulle scoperte dei reporters.
Apparentemente, Xhezairi ha capito di avere degli
obblighi verso i suoi ex datori di lavoro. Il
"Comandante Hoxha" non nega di aver lavorato per il BND
come spia ma dipinge ciò come una forma di
divertimento. Non nega di aver preso parte alle
conversazioni registrate riguardanti la preparazione
delle violenze né tantomeno nega il fatto che
esistano strutture organizzate: "Siamo ex combattenti;
ci conosciamo bene proprio come dei veterani USA.
Finchè la gente è viva, tali strutture rimarranno."

Ha anche spiegato l'uso di conversazioni cifrate ai
reporters tedeschi: "Ci si metteva d'accordo prima che,
per esempio, la parola 'salute' significasse
'liquidateli', e allora si diceva solo 'salute' e la
gente registrava la conversazione senza saperne
il significato." In effetti, le conversazioni di Xhezairi
che si ebbero alla fine di febbraio e all'inizio di
marzo non furono sempre ben codificate, ed ogni
ascoltatore con un livello di istruzione medio poteva
capirle, figuriamoci gli esperti dell'intelligence
service. Si menzionava, per esempio, che "in due o tre
settimane la festa sarebbe partita" e che "a Prizren
ogni cosa è pronta per una calda festa", mentre una
domanda posta era: "Potete garantire che si farà un
botto a Urosevac?". Alcuni degli interlocutori di Xhezairi
si lamentavano di non aver preparato abbastanza autobus
per trasportare gli attivisti. Secondo le trascrizioni in
possesso dei giornalisti della ZDF, Samedin Xhezairi
comandava le operazioni di marzo a Prizren e Urosevac,
e probabilmente anche a Orahovac.
Il BND sapeva, ma non solo il BND.

NIN ha anche ricevuto conferma di quanto riferito
dall'esperto dell'intelligence service tedesco Erich
Schmidt-Eenboom, che ci ha detto: "Fino al 4 marzo - due
settimane prima dei pogrom - il Comandante Hoxha era
una spia del BND per 500 euro al mese, probabilmente
più per i suoi legami con al-Q'aida che non per il Kosovo.
Il 4 marzo egli venne dimesso dal BND, che era stato informato
dai servizi partner - probabilmente l'intelligence service
militare austriaco - i quali avevano registrato le sue
conversazioni. Il BND lo avvertì di ciò."
Secondo alcune fonti, dopo tale scoperta Xhezairi
scappò in Bosnia, ritornando immediatamente prima del
17 marzo a Prizren. Non si sa se qualcuno temporaneamente
lo abbia allontanato o se partì per motivi personali.
È noto, e Erich Schmidt-Eenboom lo conferma a NIN, il
fatto che Xhezairi lavorava almeno per un altro
intelligence service, la CIA. Ecco perché i parà USA
lo evacuarono nel 2001 da Aracinovo.

Alcuni media e politici tedeschi in questi giorni non discutono
nemmeno dell'affidabilità dei reports della ZDF su come
la BND fosse consapevole dei crimini del suo
collaboratore Xhezairi. Per esempio, il portavoce dei
Verdi in materia di Difesa, Winfried Nachtwei, ha
affermato che le indagini della ZDF erano basate su
"dati solidi e certi". E l'ex coordinatore dei servizi
segreti tedeschi del governo Bernd Schmidbauer ha detto
che le informazioni della ZDF riguardo al ruolo sospetto
del BND "devono essere prese sul serio", ed ha richiesto
indagini sulla mancanza di comunicazioni tra
BND ed esercito tedesco.

Le dichiarazioni di Nachtwei e Schmidbauer seguono lo
scandalo su gli eventi di marzo in Kosovo in cui il
ministro della difesa tedesco Peter Struck e il suo
esercito sono stati implicati. Struck e il contingente
tedesco in Kosovo si sono ritrovati al centro
dell'attenzione pubblica dopo che i media hanno rivelato
che all'epoca degli attacchi terroristici albanesi c'era il
caos tra le truppe tedesche, e che il corpo
carbonizzato di un Serbo fu ritrovato a Prizren dopo che
Struck aveva dichiarato che non vi erano state vittime
nella zona sotto responsabilità tedesca.
Le ultime rivelazioni sul ruolo del BND
corrispondono ad un imbarazzante quadro di
disorganizzazione da parte delle strutture militari e
della sicurezza. Se il BND ha le informazioni e manca
di trasmetterle al governo ed all'esercito, ciò significa
che non vi sono aiuti per chi dipende dalla protezione
dello Stato. Questa è tutto sommato l'immagine
dell'intelligence service e dell'esercito presso il pubblico
tedesco oggi.

Tuttavia, Erich Schmidt-Eenboom categoricamente
respinge tale interpretazione e dice a NIN che il
portavoce del governo tedesco diceva la verità quando
negava i report della ZDF:
"Il BND certamente informò il Cancellierato. È
inconcepibile che il BND non facesse ciò in tale
condizione politica e di buona cooperazione con il
governo tedesco. Le dichiarazioni del portavoce Anda
sono corrette - il BND e l'esercito tedesco avevano
'un quadro della situazione mutualmente
corrispondente'. Ciò significa che il contingente tedesco a
Prizren ed il suo comandante colonnello Hinkelmann
consciamente non hanno risposto agli attacchi, e che essi
hanno permesso che questi accadessero evitando
ogni contatto diretto con gli albanesi. Se avessero agito
diversamente, l'esercito tedesco avrebbe subito la
violenza albanese, e ciò avrebbe rovinato la buona
immagine della missione di peacekeeping [SIC].
L'ironia di tutta questa storia è che il governo
tedesco e l'UCK hanno uno scopo finale comune, e cioè
uno Stato indipendente del Kosovo senza alcuna
concessione territoriale ai Serbi. Solo che Berlino ha
bisogno di curare e rispettare la tabella di marcia,
fintantochè gli alleati ancora si oppongono a ciò e sono
preoccupati, come nel caso della Francia."

Schmidt-Eenboom ricorda anche la storia della
cooperazione tra BND e UCK: "Ciò che i giornalisti
tedeschi e i loro colleghi olandesi della
RadioTelevisione VPRO hanno investigato ha una lunga
tradizione. Fin dai primi anni '90 il BND mantenne dei
contatti con l'UCK, che allora era considerato una
rete di organizzazioni terroristiche. Ciononostante dobbiamo
ammettere che l'UCK aveva più forti legami con la CIA
che con il BND. Il 'Comandante Hoxha' ha legami con la
CIA, con il BND e con l'intelligence service militare
austriaco, che ha prestato grande attenzione a questa regione
ed ha dei veri, buoni agganci con l'UCK."

Tali fatti, certo, non sono menzionati dai media nè
presso il pubblico in Germania poiché la vita non è
facile per coloro che sanno. Dopo che i reportage
della ZDF sono stati trasmessi, il BND ha lanciato una
campagna contro uno degli autori, il giornalista Franz
Josef Hutsch, ed ha iniziato a spargere storie a Berlino
che tali rivelazioni fossero basate su false informazioni
dell'intelligence services serbo, e che il giornalista fosse
di orientamento pro-serbo visto che era un
testimone a difesa al processo Milosevic e per aver
rilasciato una intervista a NIN. Essere filoserbo è
equivalente presso il pubblico tedesco ad essere, per
esempio, un membro di al-Q'aida.

Tuttavia, gli editori della ZDF hanno sostenuto decisamente
Hutsch, come Hans-Ulrich Gack, uno dei co-autori della controversa
trasmissione, secondo NIN.
Vi sono altri materiali compromettenti per il BND e il
governo tedesco, e adesso tutti attendono ulteriori
rivelazioni.

Il pubblico tedesco, per esempio, non conosce i
reportage di NIN del suo ultimo numero: secondo i quali
le strutture terroristiche in Kosovo sono dotate del
fucile di precisione G-22, il più avanzato, che
arriva nelle province meridionali della Serbia in
grandi quantità. Tenendo in mente le affermazioni che
il "Comandante Hoxha" ha fatto nella sua intervista alla
televisione tedesca -- secondo cui egli può immediatamente
mobilitare 30.000 combattenti, e che "non è necessario
aspettare molto per l'esplosione di nuovi attacchi; tutti noi
abbiamo bisogno di una scintilla" -- se questo accadrà il
pubblico tedesco dovrà improvvisamente confrontarsi
con la nuova-vecchia questione senza una
chiara risposta: chi biasimare se i terroristi
albanesi attueranno ancora una, forse definitiva, pulizia
etnica in Kosovo? Può la Kfor proteggere i Serbi da
queste nuove violenze, ed è nel suo interesse farlo?
Sono state create in Kosovo, sotto gli occhi delle forze di
peacekeeping, cellule islamiste fondamentaliste che
potrebbero divenire una minaccia per l'Europa?
Vi sono fonti dell'intelligence occidentale che
partecipano, attivamente o passivamente, in tali
processi e creano un nuovo esercito di "talebani" che
un giorno gli si rivolteranno contro? E così via.

Vi sono molte domande, e le risposte hanno strappato il
velo di silenzio o di coscienzioso oblio. Sembra che
sia il pubblico Serbo che i politici Serbi stiano
evitando di affrontare la realtà. Non abbiamo sentito
nessuna dichiarazione ufficiale a seguito alle
notizie dalla Germania, mentre la "European Serbian
National Television", per esempio, parla della
questione del Kosovo e Metohija come di una provincia
del Congo, e non come una provincia il cui fato, anche
retoricamente, riguarda gli interessi di Stato della Serbia.
Sembra che tali questioni di interesse siano solo roba da
"oscure forze del passato", che avrebbero i giorni contati.

Mira Beham


=== 2 ===

La violenza in Kosovo è stata tollerata?

Cosa sapevano l'Intelligence Service tedesco, la
Bundeswehr e il governo tedesco riguardo la
pianificazione degli attacchi da parte degli
estremisti Albanesi alla minoranza Serba in Kosovo,
che è sotto protettorato NATO?

Neues Deutschland, BERLINO

Intervista con l'esperto del servizio segreto Erich
Schmidt-Eenboom

Stefan Tenner
Berlino, 23 Novembre

Testo originale in tedesco:
http://www.nd-online.de/artikel.asp?AID=63282&IDC=2


Nel marzo di quest'anno, dopo il sanguinoso pogrom
degli estremisti Albanesi contro i Serbi in Kosovo, la
leadership della Bundeswehr ha stabilito con
dispiacere che "nessuno sospettava nulla riguardo tale
operazione concentrata". Reportage della televisione
ZDF e del quotidiano "Junge Welt" dell'ultima
settimana, tuttavia, sostengono che almeno
l'Intelligence Service tedesco (BND) sapesse degli
attacchi molte settimane prima che accadessero.
Durante conversazioni registrate, l'ex combattente
UCK Samedin Xhezairi ordinò ai suoi complici di
occuparsi di "umori esplosivi" nel sud del Kosovo
in due o tre settimane.
Xhezairi era una spia al soldo del BND e legato con
al-Q'aida. Almeno 19 persone morirono nei susseguenti
moti violenti, tra cui un serbo ucciso nell'area di
responsabilità tedesca di Prizren. Deputati di CDU,
FDP e dei Verdi questo fine settimana hanno chiesto
spiegazioni riguardo a quando il BND ricevette le
importanti informazioni.
Il governo tedesco nega. Ma perchè tale risposta
inadeguata? L'allora comandante della Kfor Holger
Kammerhof dichiara che non venne informato in
anticipo. In ogni caso, non vi erano truppe per
proteggere le enclaves serbe.

Domanda: quanto è affidabile l'informazione che il BND
sapesse della preparazione dei pogrom antiserbi?

Risposta: Le investigazioni già trasmesse dai nostri
colleghi olandesi della VPRO Radio sono corrette. Fin
dai primi anni '90 il BND mantenne dei legami con
l'UCK, che era considerata una organizzazione
terroristica. Allo stesso tempo, tuttavia, va ammesso
che il BND non ebbe il ruolo principale e più importante.
L'UCK è innanzitutto figlio della CIA. Ciò è
specialmente evidente nell'estate del 2001 in
Macedonia quando i combattenti dell'UCK vennero
evacuati con i militari USA a proteggerli.

Domanda: cosa sapete di Samedin Xhezairi?

Risposta: Tale comandante della 112.ma Brigata (UCK),
che combattè con lo pseudonimo di Hoxha, prese parte
alla ribellione in Macedonia contro il locale governo.
Ebbe legami con la CIA, che risultò capace di
raccogliere 17 consiglieri militari USA attorno a
lui. Oltre al BND, l'intelligence service militare
austriaco dovrebbero essere menzionato come dedito
ad una speciale attenzione verso tale regione, e fornito
di buone connessioni con l'UCK.

D: Xhezairi era una spia del BND?

R: Connessioni con il BND esistono fino ai primi di
marzo del 2004. Cessarono 14 giorni prima del pogrom
in Kosovo. Ciò significa che il BND rinunciò alla sua
fonte quando sembrava troppo sospetta e militante.

D: Cosa accadde alle informazioni riguardo alla
preparazione del pogrom?

R: Assumiamo che il BND avesse informato
il governo. È alquanto inconcepibile che tali
importanti informazioni del BND, il cui presidente
August Hanning è membro del Cancellierato, non
siano state trasmesse. Così, credo che da altri del
governo o direttamente dal BND le informazioni
pervennero alla Bundeswehr. Ciò significa che gli
attacchi Albanesi ai Serbi in Kosovo del 17 e 18 marzo
siano stati tollerati dalla Bundeswehr perché questa
non voleva rovinare le sue relazioni con l'UCK.
Soprattutto, se una azione fosse stata effettuata contro
le forze militanti UCK, da un lato ci si sarebbe dovuto
attendere che strutture esistenti si sarebbero rivoltate,
un giorno, contro la Bundeswehr in quanto esercito
d'occupazione. Dall'altro lato, in una
prospettiva di lungo termine, è interesse della
Germania avere un Kosovo indipendente. Essa condivide
tale interesse con l''UCK, che con tali violenze cerca di
aumentare la pressione politica per agire.
Soprattutto, il futuro politico del Kosovo non è
ancora stato determinato. Secondo il modello tedesco,
la provincia deve divenire uno Stato indipendente.
Tuttavia, altri alleati della NATO, anche gli USA,
desiderano giocare un altro ruolo politico.

D: Samedin Xhezairi sarebbe legato ad al-Q'aida.
Al-Q'aida, allora, partecipò direttamente alla
preparazione dei moti in Kosovo?

R: Non dobbiamo sovrastimare al-Q'aida e pensarla in
termini di organizzazione centralizzata. Si tratta di fatto di
un ampio network che coinvolge molti terroristi islamici
con comuni principi ideologici e un comune passato in
campi d'addestramento in Afghanistan, che condividono
un comune scopo, per cui non vi è la necessità di un
quartier generale di al-Q'aida che stabilisca un
solo ordine, un comando politico.

D: Come descrivete la situazione in Kosovo, tenendo
presente la posizione della minoranza serba e la
risoluzione dello status prevista per l'anno
prossimo?

R: C'è la forte necessità politica di dire chiaramente agli
Albanesi quale sarà per il Kosovo la finale
configurazione politica che sarà adottata. Uno Stato
indipendente del Kosovo, albanese, considerando la
milizia UCK, significherebbe che la minoranza serba
nella regione non potrà vivere al sicuro. Conseguentemente
forse si dovrebbe pensare che per la maggioranza dei Serbi
che vivono nella regione, vicino al confine della Serbia,
una qualsiasi linea di separazione potrà essere tracciata
cosicchè le parti abitate soprattutto dei Serbi potrebbero unirsi
alla ex Repubblica Federale di Jugoslavia. Credo che un
eventuale Stato indipendente del Kosovo nei suoi
attuali confini sarebbe una soluzione politica
esplosiva poiché significa l'espulsione dei Serbi da
secolari regioni, ovvero che essi potrebbero, dal canto loro,
scatenare una contro-violenza con il sostegno di
Belgrado.

D: Cosa si deve cambiare nella politica estera della
Germania?

R: Non è sufficiente giocare un ruolo militare e
mantenere un contingente Kfor che si suppone preservi
una relativa pace. La gente della regione ha bisogno di
opportunità politiche. E se il Kosovo ha il desiderio
di avere un più stretto legame o di unirsi all'Unione
Europea allora vi saranno forti argomenti politici per
domandare protezione per le minoranze. Allo stesso
tempo, deve iniziare un processo di mediazione: i diplomatici
di molti paesi devono sedersi al medesimo tavolo con le
parti in conflitto allo scopo di trovare una soluzione
politica.

[Questo testo è stato tradotto in inglese da una
traduzione serba]


ERP KIM Info-Service è il Servizio d'Informazione
ufficiale della Diocesi Serba Ortodossa di Raska e
Prizren e opera con la benedizione di sua Grazia
Vescovo Artemije. Il nostro Servizio d'Informazione
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L'ISOF-CNR, Area della Ricerca di Bologna,
organizza

Christmas Lecture 2004:

Prof. Ing. Massimo Zucchetti, Politecnico di Torino - DENER

"Utilizzo bellico dell'uranio impoverito.
Inquinamento ambientale e rischi per la salute"

22 dicembre 2004 ore 11

Centro Congressi
Area della Ricerca di Bologna del CNR
Via Gobetti 101

http://www.bo.cnr.it/educational/christmas-lecture2004.pdf

NEOCOLONIALISMO: SOLO IN BOSNIA 40MILA I MILITARI ITALIANI IN NOVE ANNI


BOSNIA: DA SFOR A EUFOR, 40 MILA ITALIANI IN NOVE ANNI /ANSA - (di
Nadira Sehovic) (ANSA) - SARAJEVO, 30 NOV - Nella forza militare che la
Nato costitui' per la Bosnia, agli italiani tocco' la zona piu'
turbolenta e difficile: una parte di Sarajevo, Gorazde e l'area di
Pale, quel villaggio di montagna da dove i serbi di Radovan Karadzic
lanciarono la guerra e l'assedio della capitale bosniaca. Negli anni
del conflitto era stata esclusa una partecipazione italiana alla
missione dell'Onu (Unprofor) per evitare di mandare sul campo soldati
di paesi vicini che erano stati coinvolti nella Seconda guerra
mondiale. Nonostante cio', i bersaglieri della Garibaldi che arrivarono
alla fine del dicembre 1995 furono bene accolti da tutte le etnie
bosniache. Dispiegati 2.500 uomini in quattro basi e numerosi posti di
controllo e osservazione, i militari italiani mostrarono fin
dall'inizio l'efficacia di un mix di forza militare e di grande
capacita' di dialogo. Il primo compito dell'Italfor riguardo' la
'reintegrazione' della capitale prevista da Dayton, il ritorno cioe' al
governo di Sarajevo dei quartieri controllati dai serbi durante i tre
anni e mezzo di assedio. Il ritiro delle truppe militari serbe
significo' l'abbandono, non sempre volontario, di quei quartieri da
parte anche dei civili di etnia serba, accompagnato da incendi
appiccati, devastazioni con ordigni esplosivi e minacce ai pochi che
non volevano andarsene. Pochi mesi dopo, la prima imponente operazione
della missione Nato, nell'estate del 1996, fu affidata ai militari
italiani: il comando della brigata Folgore guido' la distruzione, con
successo e senza incidenti, di 400 tonnellate di munizioni ed
esplosivi, trovate da una pattuglia italiana nei pressi di Sokolac,
nella Republika Srpska. A questa sono seguite altre grosse operazioni
militari alle quali si sono col tempo succeduti interventi di minore
visibilita'. Costanti pattugliamenti e la conoscenza capillare del
territorio, lavoro di intelligence, ma anche ingenti aiuti umanitari e
interventi di vario tipo a favore della popolazione, hanno permesso ai
militari itliani di contribuire in misura importante a mantenere la
pace e la stabilita' in Bosnia. In nove anni della missione Ifor/Sfor,
si sono avvicendati nel Paese circa 40.000 soldati italiani. Fino al
2000, le brigate che si sono avvicendate a Sarajevo, Garibaldi,
Folgore, Taurinense, Friuli, Ariete e Sassari, hanno guidato, fino al
2000, la Brigata multinazionale nord inquadrata nella Divisione sud-est
della Sfor a comando francese. In seguito, con la riduzione degli
effettivi della Sfor, il contingente italiano ha operato come Italian
battle group, fino al novembre 2002, e poi nell'ambito di
German-Italian battle group fino al maggio di quest'anno. L'attuale
'Italfor Bosnia' guidato dal 3/o reggimento artiglieria di montagna
della brigata Julia, forte di circa 600 uomini, passera' il 2 dicembre
sotto il comando di Eufor senza cambiamenti. La seconda componente
militare italiana della Forza Nato, l'Unita' multinazionale
specializzata (Msu), costituita in Bosnia nell'agosto del 1998, opera
alle dirette dipendenze del comandante della Sfor, ed e' guidata dai
carabinieri. L'Msu e' stata costituita dopo i disordini di Brcko
(Bosnia nord) dell'estate del 1997, quando i militari statunitensi, a
bordo dei loro carri armati, si trovarono nella situazione di dover
fronteggiare disordini di piazza molto violenti senza poter usare le
armi militari e dovendo anche trarre in salvo, dalla folla inferocita,
gli agenti, disarmati, della Polizia internazionale dell'Onu. Su
richiesta degli Usa furono chiamati i carabinieri a guidare una forza
militare di polizia per gestire soprattutto le questioni di ordine
pubblico. Nei sei anni successivi, l'Msu ha acquistato un ruolo sempre
piu' importante perche' le situazioni da fronteggiare diventavano
sempre meno militari e sempre piu' civili. Il reparto di Msu, forte di
circa 350 carabinieri, comprende anche unita' romene, slovene e
austriache. Dal 2 dicembre operera' alle dipendenze del comandante
dell'Eufor, immutato per il momento, ma con il nome di Ipu (Integrated
police unit). COR
30/11/2004 13:59
(fonte: www.ansa.it/balcani)

(italiano / francais / english)

Il caso di Srebrenica al "tribunale" dell'Aia / 1: Milosevic e la
testimonianza di Morillon

1. Milosevic :   Srebrenica è stato un complotto per screditare i serbi
(settembre 2002)

2. Srebrenica e Naser Oric: Un’analisi sulla testimonianza del Generale
Philippe Morillon all’ICTY
(di Carl Savich, marzo 2004 - WITH ENGLISH LINKS)

3. Le témoignage Morillon sur Srebrenica au TPI
(mars 2004)


=== 1 ===

http://www.resistenze.org/sito/os/ta/osta4m19.htm

Milosevic :   Srebrenica è stato un complotto per screditare i serbi

Di Abigail Levene, The Scotsman, 28-9-02


L’AIA (Reuters) – Slobodan Milosevic ha dichiarato venerdì che
mercenari guidati dai leaders bosniaco-musulmani e spie dei servizi
francesi eseguirono il massacro di Srebrenica del 1995, in una
cospirazione ordita per far sì che l’opinione pubblica mondiale odiasse
i serbi.
L’-ex leader serbo è stato portato a giudizio per genocidio, e uno dei
punti d’imputazione si riferisce a Srebrenica…
All’apertura sulle controversie delle sezioni di Bosnia e Croazia, un
punto fondamentale del processo sui crimini di guerra, egli ha
sostenuto e rivendicato che i serbi erano semplicemente i capri
espiatori, dunque non da biasimarsi.
Ha dichiarato: “Voglio che venga rivelata la verità riguardo questo
folle crimine – si deve chiarire nell’interesse della giustizia davanti
all’opinione pubblica mondiale.”
Milosevic ha così riassunto il pensiero che a suo dire stava dietro
Srebrenica: “Come pretesto per l’impegno militare, il genocidio portato
a termine dai serbi fu … costruito ad arte … facendolo sembrare un
genocidio, un anatema fu posto sulle teste dei serbi con le conseguenze
che si crearono….”
Milosevic, imputato di genocidio in Bosnia e di crimini contro
l’umanità in Croazia, afferma che quei responsabili erano membri del
governo bosniaco-musulmano, ed un’unità mercenaria – all’interno
dell’esercito bosniaco-musulmano, ma non comandata da quest’ultimo – e
da servizi di intelligence francese.
Egli ha riferito di fronte al Tribunale Internazionale per i Crimini
dell’ONU per la ex-Iugoslavia all’Aia, che la cospirazione del massacro
fu tramata nell’abitazione di un funzionario municipale, durante un
incontro tenutosi nel luglio 1995, appena qualche giorno prima dei
massacri.
“Furono d’accordo sul commettere questo crimine – sull’abbandonare
Srebrenica e nel mettere in atto questa carneficina” ha dichiarato
Milosevic, mentre il pubblico accusatore Carla Del Ponte lo osservava
con attenzione in aula.

... L’anno scorso il tribunale dell’Aia ha posto un precedente,
giudicando colpevole di genocidio il generale Radislav Krstic, a
proposito del massacro di Srebrenica che ha scioccato il mondo.
Milosevic ha affermato che né Kristic né l’ex-comandante serbo-bosniaco
Ratko Mladic – ricercato dall'Aia per genocidio insieme al leader di
guerra serbo-bosniaco Radovan Karadzic, non erano al corrente di nulla
che riguardasse gli eccidi di Srebrenica.
“Sono convinto che l’onore militare di Mladic e Krstic non
permetterebbe loro di giustiziare civili,” ha affermato .
Egli stesso venne a conoscenza del massacro di Srebrenica
dall’ex-inviato ONU nei Balcani Carl Bildt, ha detto, aggiungendo: “…Il
presidente Karadzic mi giurò di non sapere assolutamente nulla riguardo
a ciò...”

I pubblici ministeri, che hanno aperto il caso su Bosnia e Croazia
giovedì, hanno affermato il collegamento fra Milosevic e Srebrenica a
causa del coinvolgimento nel caso della polizia del ministero
dell’interno della Serbia.
Milosevic ha ribadito: “La denuncia che ho compilato … parla di come
(il leader bosniaco-musulmano Alija Izetbegovic)  utilizzò il caso
Srebrenica per ogni tipo di manipolazione, usandolo per obbiettivi e
accordi politici.

PRIMO TESTIMONE

Al termine dell’intervento di apertura di Milosevic, i pubblici
accusatori hanno chiamato il loro primo testimone: un ex-politico serbo
proveniente dalla Slavonia, regione della Croazia abitata dall’etnia
serba che si era ribellata alla secessione croata dalla Jugoslavia e 
poi riconquistata dai croati durante il blitz militare del 1995.
Si trattava di un membro moderato del Partito Democratico Serbo (SDS)
in Croazia – il quale nel 1999 aveva esortato i serbi a ribellarsi
contro l’indipendenza di Zagabria, la cui identità si è provveduto a
proteggere, mantenendola celata, così da conoscerlo come C-037.
L’SDS acquisì in Croazia una posizione maggiormente radicale, ottenendo
la maggioranza

Sulle posizioni più moderate. I serbi radicali respingevano il
concetto, l’idea di restare all’interno della Croazia se questa si
fosse separata, staccata, dalla Iugoslavia. Il procedimento giudiziario
cerca di provare che, con l’approvazione di Milosevic, i serbo-croati
radicali rifiutarono il negoziato con il governo croato e fecero
ricorso alla violenza, e che Milosevic offrì la protezione
dell’esercito iugoslavo alla fazione radicale dell’SDS.
Il progetto dell’accusa prevede di chiamare sulla scena 177 testimoni,
compreso l’ex-presidente Zoran Lilic e il presidente della Croazia
Stjepan Mesic, per provare la loro tesi circa la Bosnia e la Croazia.

Gli accusatori hanno già esposto le loro tesi contro di lui in
relazione ai crimini di guerra del Kosovo ….
Essi affermano che fu Milosevic a ideare e dirigere nei primi anni ‘90
un piano di pulizia etnica per fare largo al suo progetto di una Grande
Serbia. Milosevic ha rifiutato di riconoscere il tribunale dell’Aia… ma
persiste nell’affermare che il suo ceppo etnico fu vittima, non
perpetratore della guerra.
L’ex-presidente serbo e iugoslavo si trova ad affrontare 61 capi
d’accusa per la Croazia e la Bosnia, che includono il periodo 1991-95.
Il caso del Kosovo che i pubblici ministeri hanno portato a termine due
settimane fa trattava il 1999 e ha visto protagonisti 124 testimoni in
udienze a porte aperte.
Milosevic è il primo capo di stato ad essere posto in stato di accusa
per simili crimini durante il proprio mandato. Egli fu presidente serbo
dal 1990 al 1997, quando divenne poi presidente iugoslavo.

Traduzione di Carla Gagliardini (Associazione SOS Yugoslavia)


=== 2 ===

[ The original text in english:

Morillon at Hague: Srebrenica and Naser Oric
An Analysis of General Philippe Morillon’s Testimony at the ICTY

( Please go to http://www.serbianna.com/columns/savich/052.shtml to
read more of Carl Savich's archives regarding NATO's intervention into
the Balkans, such as: "Srebrenica, the Untold Story", of 5 March 2004
and "Eyewitness to Genocide in Kosovo; Kosovo & Metohija and the
Skanderbeg Division," 23 Oct. 2000 )

http://www.serbianna.com/columns/savich/052.shtml

SEE ALSO:

UN general 'foresaw Srebrenica'. General Philippe Morillon promised not
to abandon Muslims
http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/3481619.stm

The end of the prosecution case: The testimony of Philippe Morillon
http://www.slobodan-milosevic.org/news/smorg030904.htm

Telling the truth now a crime in Bosnia?
http://www.antiwar.com/blog/more.php?id=487_0_1_0_M ]

http://www.resistenze.org/sito/os/ta/osta4m19.htm

http://www.serbianna.com/columns/savich/052.shtml

Srebrenica e Naser Oric:

Un’analisi sulla testimonianza del Generale Philippe Morillon all’ICTY

di Carl Savich, 27-3-2004


Introduzione:  La Pistola Fumante

Giovedì 12 febbraio 2004 Philippe Morillon ha testimoniato al Tribunale
Penale Internazionale per l’ex-Yugoslavia (ICTY) istituito dagli USA e
dalla NATO ed avente sede all’Aia. Morillon è stato proposto come
ultimo importante testimone contro Slobodan Milosevic. La sua
testimonianza avrebbe dovuto fornire “la pistola fumante” per provare
la colpevolezza di Milosevic, sul quale pendeva l’accusa di genocidio
in merito alla caduta di Srebrenica del 1995. Morillon è stato in un
primo tempo interrogato dal Prosecutor ICTY Dermot Groome, poi da
Slobodan Milosevic, e da Branislav Tapuskovic, l’Amicus Curiae.

Chi è Philippe Morillon?

P. Morillon è nato il 24 ottobre 1935 a Casablanca in Marocco, figlio
di un ufficiale francese morto nella seconda Guerra Mondiale. Nel 1956
si laureò all’accademia militare francese di Saint-Cyr. Dal 1954 al
1995 è stato ufficiale dell’Esercito Francese. Negli anni Ottanta aveva
ricoperto l’incarico di presidente della commissione franco-iugoslava
per l’approvvigionamento di armi. Il suo primo incarico militare era
stato in Algeria durante la guerra  che esplose nel paese africano alla
metà degli anni Cinquanta. Con altri ufficiali francesi, Morillon aveva
combattuto per impedire la secessione del paese, affinché esso restasse
parte della Francia. Nel 1961 il presidente francese Charles de Gaulle
ordinò all’esercito francese di abbandonare l’Algeria e di ritirarsi in
Francia…

Morillon si unì a un gruppo di ufficiali che si erano ribellati
all’ordine di ritiro delle truppe intimato da De Gaulle. Questi anziani
ufficiali francesi ribelli vennero in seguito epurati. Nel caso di
Morillon si trattava di un ufficiale di medio livello, e come tale fu
risparmiato. Egli divenne poi un generale a quattro stelle. Il 20
luglio del 1999 egli fu eletto al parlamento dell’Unione Europea (UE).
Negli anni 1992 e 1993, nel corso della guerra civile bosniaca, egli fu
inviato nella zona bellica in qualità di comandante dell’Unione Europea
e fautore di una politica che tentava di affermare la neutralità
dell’ONU in Bosnia. La sua politica di neutralità lo rese impopolare
presso la fazione musulmana bosniaca. Morillon intervenne a Srebrenica,
per impedire la sconfitta militare di Naser Oric e la caduta
dell’enclave nel 1993. Morillon si insediò a Srebrenica, instaurandovi
una situazione di “porto sicuro”, senza tuttavia riuscire a
demilitarizzare l’area. Naser Oric riuscì nell’intento di dispiegare la
28esima Divisione Fanteria a Srebrenica dopo che essa divenne un’area
protetta.

Morillon: la caduta di Srebrenica del 1995 fu la “reazione diretta” ai
massacri perpetrati nel 1992-1993 da Naser Oric nei confronti dei serbi
bosniaci
Quale è stata la testimonianza di Morillon all’Aia? Cosa ha rivelato? I
cosiddetti media occidentali appartenenti al “mondo libero” hanno
manipolato, censurato e falsificato la sua testimonianza. Attraverso la
tecnica propagandistica incentrata sull’ “enfasi” che è stata portata
avanti dai media occidentali, la sua testimonianza è stata manipolata
al fine di appoggiare la versione ufficiale della NATO, la cosiddetta
“linea di partito”. Cosa ha detto realmente Philippe Morillon all’Aia?

Quel che segue è la conclusione principale desunta dalla testimonianza
di Morillon: la caduta di Srebrenica avvenuta nel 1995 fu la “reazione
diretta” ai massacri di serbi bosniaci perpetrati dalle forze di Naser
Oric nel corso del 1992-1993. Morillon ha riconosciuto che le truppe di
Oric  commisero crimini di guerra nella Bosnia orientale. Morillon ha
testimoniato personalmente riguardo l’esumazione dei corpi di civili e
soldati serbi bosniaci i quali avevano subito torture, mutilazioni ed
esecuzioni. Vide con i propri occhi i villaggi serbi rasi al suolo
dalle fiamme all’interno della sacca, dell’enclave di Srebrenica. Più
di chiunque altro, Morillon comprese il livello di devastazione della
Bosnia orientale, così come la vastità e la natura dei massacri contro
i serbi bosniaci.


Come ebbe inizio la guerra civile in Bosnia

Qual è il contesto nel quale si sviluppò la crisi a Srebrenica? Come
ebbe inizio la guerra civile bosniaca? A chi si sarebbe dovuta imputare
la responsabilità della guerra civile bosniaca?
Tale guerra ebbe inizio senza venire sollecitata? Colse tutti di
sorpresa?
Fu pianificata e orchestrata ?
La guerra civile bosniaca fu programmata e orchestrata dal governo
degli Stati Uniti.
Warren Zimmermann, ambasciatore USA presso la Jugoslavia, fu
direttamente responsabile per l’inizio e la perpetrazione di questa
inutile guerra civile. In altre parole, il governo USA fu la causa
della guerra civile bosniaca e delle conseguenti perdite in termini di
vite umane che ivi si verificarono.

Durante la seconda guerra mondiale, la Bosnia-Herzegovina fece da
scenario ad una fra le peggiori guerre civili. Le fazioni musulmane e
croate  bosniache parteciparono ad un genocidio contro i serbi
bosniaci. Tutti intravidero il potenziale per un rinnovarsi di una
carneficina, simile in tutto a quella della seconda guerra mondiale….
Nel 1992 si giunse all’accordo di compromesso conosciuto con il nome di
Piano di Lisbona. Soltanto il governo USA ignorò il potenziale di tale
conflitto, e con noncuranza insistette nell’effettuare pressione…

Cos’era il Piano di Lisbona? Perché il Piano di Lisbona fallì?
Milosevic è riuscito a dimostrare che il rifiuto del piano di Lisbona
opposto da Alija Izetbegovic fu ciò che precisamente condusse alla
guerra civile in Bosnia. José Cutileiro, a quel tempo presidente
portoghese dell’Unione Europea (UE), mediò e negoziò il piano di
distrettualizzazione per la Bosnia, il Piano di Lisbona appunto. Il 18
marzo 1992 fu firmato un accordo da Radovan Karadzic, leader della
fazione serbo-bosniaca, Alija Izetbegovic, leader della fazione
musulmano-bosniaca, e Mate Boban, leader della fazione bosniaco-croata.
Tutto ciò costituiva un compromesso che intendeva allontanare e
prevenire in maniera incondizionata la guerra civile. Tutte e tre le
fazioni etniche della Bosnia accettarono la secessione della Bosnia
dalla Jugoslavia e il suo riconoscimento in qualità di stato
indipendente. Il Piano di Lisbona si proponeva di assicurare che
nessuna delle fazioni sarebbe stata dominata dalle altre. Garantiva la
pace.

Tuttavia, il 25 marzo 1992, Izetbegovic ritrattò la sua firma
dall’accordo dopo essere stato persuaso a tale gesto dall’ambasciatore 
Warren Zimmermann, il quale si attribuì enfaticamente il titolo di
“ultimo ambasciatore”. Perché il piano di Lisbona fallì? Il Piano di
Lisbona non riuscì perché il governo USA non voleva che esso avesse
successo, che si concretizzasse.

Milosevic ha messo l’accento sul fatto che i serbi bosniaci
desiderassero mantenere la pace pervenendo ad un accordo di
compromesso, di transazione.

Milosevic ha citato un’affermazione pronunciata da Morillon quando
giunse in Bosnia nel 1992 come comandante ONU :

”… stando a quel che ricordo, sin dal primissimo giorno in cui
incontrammo il parlamento bosniaco nel 1992, vi fu l’occasione di
ascoltare il discorso del generale Nambiar, il quale pronunciò queste
parole: “…Siamo qui per calmare le vostre paure. Sono un generale
indiano, sono qui con il mio capo consiglio, un pakistano, poi ci sono
anche un generale francese e un diplomatico tedesco. Siamo qui per
dimostrarvi che la riconciliazione è sempre possibile...”.”

Fu un momento commovente, perché in risposta a questo discorso, un
serbo si alzò e disse: “Sono un serbo, e accanto a me ho un musulmano.
E’ mio fratello. E non vedo come un giorno potremmo mai affrontarci
l’uno contro l’altro, come nemici.”

In altre parole, non c’era bisogno della guerra civile bosniaca. Tale
conflitto fu fomentato e sostenuto dal governo USA e dai media
associati. Prima del coinvolgimento USA, le tre fazioni in Bosnia
avevano raggiunto un accordo di compromesso. Sono stati gli USA a
fomentare il conflitto. Gli USA sono da ritenersi responsabili della
guerra civile bosniaca che ne conseguì.

I primi attacchi e omicidi a carattere etnico verificatisi in Bosnia
furono commessi contro serbi bosniaci. Anche prima dell’inizio della
guerra civile, civili serbi erano stati assassinati in Bosnia da
musulmani bosniaci e da croati. Milosevic  ha esposto i fatti in modo
da dimostrare che il primo omicidio etnico ebbe luogo nel centro di
Sarajevo, quando si verificò l’uccisione del serbo bosniaco Nikola
Gardovic.
Milosevic ha domandato a Morillon se sapesse che la prima persona a
perdere la vita nella guerra civile bosniaca il 2 marzo 1992 era stato
un serbo bosniaco, Nikola Gardovic. Egli fu assassinato da un cecchino
bosniaco musulmano di fronte all’Antica Chiesa serbo ortodossa di
Sarajevo, costruita nell’XI secolo. Gardovic stava partecipando alla
celebrazione di un matrimonio serbo nel centro di Sarajevo. Si trattava
di un rito ortodosso, fondato sulla cerimonia e le usanze ortodosse, le
quali includevano il vessillo serbo.

Morillon ha replicato affermando di ricordare tale assassinio: “…Sì, il
serbo in questione, conformemente agli eventi di cui sono a conoscenza,
fu ucciso nel corso di un matrimonio. Si trattò di un omicidio a
carattere etnico religioso. Gardovic fu ucciso esclusivamente a causa
della sua appartenenza all’etnia serba e perché era un cristiano
ortodosso. La sua brutale esecuzione durante una cerimonia nuziale
stava a dimostrare palesemente l’intolleranza dei musulmani bosniaci
nei confronti dell’etnia serba e della religione ortodossa. Fu la
scintilla che infiammò un clima già da tempo destabilizzato. In Bosnia,
la fazione dei musulmani bosniaci aveva dichiarato guerra ai serbi e
all’ortodossia...”.

Secondo Milosevic, il messaggio che i musulmani bosniaci volevano
inviare ai serbi era: “Ci siamo rivelati a favore dell’indipendenza, e
ora possiamo uccidervi.”
Apparvero i comandanti paramilitari musulmani, come Juka Prazina,
comandante paramilitare sotto Alija Izetbegovic, e Ramiz Delalic.
Chi diede inizio alle uccisioni e ai massacri etnico-religiosi in
Bosnia?
 Il primissimo massacro in Bosnia fu perpetrato contro i serbi
bosniaci. Il 26 marzo 1992 furono massacrate intere famiglie serbe nel
nord della Bosnia, vicino a Bosanski Brod nel villaggio di Sijekovac.
Dal 3 al 6 aprile 1992 truppe appartenenti all’esercito regolare, che
si erano illegalmente trasferite oltre il confine sino ad invadere la
Bosnia, massacrarono 56 serbi. Il 4 aprile 1992, musulmani bosniaci
armati, provenienti da Korace uccisero 117 serbi, anziani, donne e
bambini, tutti profughi serbi di Barice e Kostres. Decine, se non
centinaia di serbi furono assassinati addirittura prima che la
guerra/conflitto in Bosnia avesse inizio.
Morillon commentò a proposito di questi massacri di serbi: “Tutto ciò
contribuì alla malattia della paura...”.

Il timore dei serbi bosniaci tuttavia era autentico e giustificato, a
causa di questi avvenimenti in Bosnia. La paura dei serbi bosniaci non
era fondata sul “nazionalismo”, sulla paranoia o su antichi miti
provenienti dalla seconda guerra mondiale, ma su veri eccidi
etnico-religiosi che terroristi musulmani bosniaci e  croati stavano
commettendo nel presente, non nel passato.

L’8 aprile 1992, con l’incitamento del governo USA, vi fu una
dichiarazione di guerra da parte della fazione bosniaca musulmana.
Iniziò allora la guerra civile in Bosnia.
Milosevic ha domandato a Morillon: “I serbi uccisero qualcuno in quel
periodo? Avete un solo esempio cui fare riferimento?”
 Morillon ha risposto che non sapeva. Vi furono al tempo “voci,
dicerie” che giunsero alle sue orecchie. Morillon ha ammesso tuttavia
che la guerra civile ebbe inizio in Bosnia con attacchi contro
l’Esercito Nazionale Jugoslavo (JNA) da parte della fazione bosniaca
mussulmana.

Quando iniziò il vero assedio di Sarajevo?

Morillon ha risposto: “Suppongo il 2 maggio 1992, dopo che i comandanti
e le reclute del JNA furono circondati nella caserma Maresciallo Tito e
il JNA tentò di ritirarsi da quella difficile situazione...” In un
primo tempo il JNA fu posto sotto assedio, poi “…l’assedio di Sarajevo
fu effettivamente una reazione a ciò...”

Milosevic ha chiesto a Morillon: “E’ esatto, Generale?”.  Morillon:
“…Inizialmente, si…” L’assedio di Sarajevo fu una “reazione provocata.”

Il primo attacco a Sarajevo si verificò quando le truppe di musulmani
bosniaci uccisero i soldati dell’Esercito Nazionale Jugoslavo (JNA) che
si stavano ritirando dalla città in seguito ad un accordo stipulato in
precedenza. Le forze musulmane bosniache attaccarono una colonna
milite  del JNA in strada Dobrovoljacka  a Sarajevo proprio mentre si
stava ritirando. Durante questi attacchi, numerosi soldati del JNA
furono crudelmente assassinati e i loro corpi bruciati e mutilati.
Anneriti, deturpati e carbonizzati, essi vennero poi assiepati ai lati
delle strade. La sola ragione per cui si era tesa loro un’imboscata
trasformatasi in un massacro era quella di appartenere all’etnia serba
e di far parte della comunità cristiana ortodossa. Il precedente
accordo, finalizzato al ritiro delle truppe, era stato dunque violato
dalla fazione musulmana. Si trattò di un massacro a sangue freddo
oppure di omicidio provocatorio di soldati del JNA, i quali si stavano
ritirando in Jugoslavia. Fu un atto criminale, un omicidio. Ma il
governo USA e i media non condannarono mai questo crimine, il massacro
di serbi da parte dei musulmani . I cosiddetti media occidentali non lo
citarono nemmeno.

Milosevic ha domandato a Morillon: “…Si ricorda di tali avvenimenti?”

Morillon : “Sì… ci fu una strage...”

La fazione dei musulmani bosniaci aveva radunato un reparto di grandi
dimensioni in Bosnia, i cui primi attacchi erano indirizzati contro il
JNA. Milosevic ha citato un libro del comandante dell’esercito dei
musulmani bosniaci Sefer Halilovic, il quale sosteneva che i musulmani
bosniaci avessero  “120.000 soldati in assetto di guerra” quando la
guerra scoppiò nel 1992.
Hasan Efendic asserì che a Tuzla 160 membri del JNA furono uccisi e 200
feriti durante le operazioni di evacuazione di Tuzla. Vi era stato un
accordo per il loro ritiro da Tuzla, così come vi era stato a Sarajevo.
In effetti, il 15 aprile 1992, durante il ritiro della truppe del JNA
dalla città di Tuzla occupata dai musulmani, 160 soldati del JNA furono
uccisi e 200 feriti in seguito a un attacco mussulmano deliberato. La
fazione dei musulmani bosniaci stava creando l’anarchia e la
disgregazione in Bosnia, stava tentando intenzionalmente di provocare
il JNA e i serbi bosniaci a reagire e a rispondere.

Morillon ha riscontrato analogie fra la Bosnia e il Libano: “…Paragonai
questo processo a ciò che si verificò in Libano..”. Stando a Morillon,
vi fu una “libanizzazione”, laddove “ciascuna comunità si rinchiudeva
nei propri confini e i signori della guerra iniziavano a governare
precisamente da quel preciso periodo in avanti. Vi furono orrori… ed
ebbero luogo in realtà anche attacchi sferrati contro le forze che si
stavano ritirando.”

Gli USA e l’UE perseguirono una politica estera anti-serba e
anti-jugoslava, avente come finalità lo smembramento della precedente
Jugoslavia, professandosi fautori della cosiddetta “balcanizzazione”,
stati piccoli e deboli, definite “democrazie principianti” nel gergo
propagandistico del periodo, i quali avrebbero potuto agire come
governi fantoccio, mandatari, alleati, surrogati degli stati USA e
l’UE. Un esempio di questo tipo di influenza era costituito dalla
presenza dell’esercito regolare Croato in Bosnia. Gli USA e l’UE non
parvero accorgersi della presenza delle truppe croate. La modalità per
“sconfiggere la Serbia” era porre in atto sanzioni contro la
Jugoslavia, conformemente agli USA e all’UE. Sia gli uni che gli altri
riuscirono nell’intento di imporre sanzioni alla Jugoslavia,
nascondendo intenzionalmente un rapporto USA che arrivava alla
deduzione del ritiro del JNA dalla Jugoslavia, mentre l’esercito
regolare Croato aveva occupato il territorio bosniaco.

Milosevic ha citato un rapporto stilato dal Segretario Generale delle
Nazioni Unite Bhoutros Ghali: il documento deduceva che il JNA si era
ritirato dalla Jugoslavia, mentre invece l’esercito regolare Croato
manteneva le proprie truppe in Bosnia. Milosevic ha menzionato tale
resoconto del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che dimostrava quindi,
che l’esercito serbo bosniaco non si trovava sotto il controllo di
Belgrado, e che le truppe dell’esercito regolare croato erano in
Bosnia. Tale verbale fu deliberatamente celato, non comunicato
dall’austriaco Peter Hohenfellner, allora presidente del Consiglio di
Sicurezza, sino a quando non furono votate sanzioni contro la
Jugoslavia.

Milosevic aveva dimostrato di non possedere più alcuna autorità
sull’esercito serbo bosniaco né una leadership dopo il maggio 1993.
Egli poteva ancora esercitare solo un’influenza politica, ma furono
Radovan Karadzic e Ratko Mladic a prendere tutte le decisioni nella
Repubblica Srpska (RS) dopo questa data.


Morillon: non ci sono stati buoni o cattivi

L’obiettivo della fazione dei musulmani bosniaci era quello di indurre
l’intervento militare degli Stati Uniti a fianco dei musulmani.
Perseguendo questa politica, la fazione dei musulmani bosniaci si
impegnò nella propaganda, organizzò e perpetrò massacri, uccise civili
musulmani bosniaci al fine di raccogliere comprensione e compassione, e
impiegò ostaggi civili o scudi per promuovere una propaganda
persecutoria. Morillon, Lewis MacKenzie, Sir Michael Rose ed altri
ufficiali ONU hanno riconosciuto questo obiettivo. Le cronache
giornalistiche dei media occidentali durante la guerra civile in Bosnia
avevano un unico obiettivo: quello di ottenere lo schieramento degli
USA nel conflitto, dalla parte della fazione musulmana bosniaca. Il
solo modo per ottenere la realizzazione di ciò era presentare la guerra
civile come un “genocidio”. Questa è la ragione per cui il governo USA
e i media associati fecero affidamento sulla propaganda a proposito di
un genocidio /Olocausto in Bosnia. Soltanto una tale tipologia
propagandistica, basata sull’idea dominante di genocidio avrebbe avuto
la meglio. Perciò la guerra civile bosniaca venne associata
all’Olocausto. Si trattò di una montatura giornalistica, parte
integrante della strategia informativa e bellica USA. In Iraq è stata
la scusa delle armi di distruzione di massa inesistenti e fittizie. In
Bosnia, fu quella della propaganda di un genocidio o Olocausto
inesistente e fittizio. In entrambi i casi, questa propaganda è stata
orchestrata, pianificata e coordinata dal governo USA e dai media ad
esso associati.

Tutti lo sapevano. Milosevic ha citato l’affermazione che Morillon
aveva fatto a Parigi: “…Il proposito della Presidenza fu sin
dall’inizio quello di garantire l’intervento delle forze internazionali
per il proprio profitto, ed è questa una delle ragioni per cui essi non
furono mai inclini ad impegnarsi in conferenze e discorsi...” Fu la
fazione dei musulmani bosniaci ad opporsi alla pace. Perseguendo
infatti la politica atta ad incitare l’intervento USA, i musulmani non
avrebbero permesso ad uno soltanto di loro di lasciare Sarajevo per
scopi propagandistici come gli scudi umani, o sacrificarsi
nell’interesse della propaganda musulmana. Analogamente, non venne
permesso ai civili musulmano-bosniaci di Srebrenica di sfollare, poiché
la leadership musulmano-bosniaca voleva utilizzarli come scudi umani
per scopi propagandistici.

Morillon ha ammesso che le forze bosniaco-musulmane bombardarono la sua
residenza nel corso della guerra. Furono azioni del genere a
persuaderlo del fatto che non vi fossero buoni o cattivi in Bosnia. La
propaganda USA contava tuttavia sulla caratterizzazione semplicistica e
fine a se stessa degli aggressori e delle vittime, dei buoni e dei
cattivi. Morillon ha affermato: “…Poco tempo dopo l’accaduto ricevetti
un senatore americano, il quale mi chiese:  “…Dove sono i bravi
ragazzi?” E io risposi che sfortunatamente non vi sono buoni o cattivi;
sono tutti cattivi. Presi in questo vortice infernale non hanno avuto
altri mezzi, altre possibilità da nessuna delle due parti...”

Morillon ha sottolineato il suo dissenso dalla politica propagandistica
USA che demonizzava il popolo serbo: “…I serbi non dovrebbero essere
demonizzati...”. Milosevic ha citato la dichiarazione di Morillon: “…Ho
sempre respinto la tesi secondo la quale c’erano gli aggressori da una
parte e le vittime dell’aggressione dall’altra...” Milosevic ha citato
anche un’asserzione del generale indiano Satish Nambiar, comandante
militare ONU in Bosnia, in un discorso pronunciato il 12 aprile 1999 a
Nuova Delhi, il quale anche rifiutò di assegnare la responsabilità ad
un’unica parte:

“…Ritrarre i serbi come i malvagi e tutti gli altri come buoni non fu
soltanto controproducente, ma anche disonesto. Secondo la mia
esperienza, tutte le parti erano colpevoli, ma soltanto i serbi hanno
ammesso di non essere angeli, mentre gli altri hanno insistito sulla
loro innocenza. Con 28.000 unità di forze armate sotto il mio controllo
e mediante contatti costanti con l’UNHCR e gli ufficiali della Croce
Rossa Internazionale, non siamo stati testimoni di alcun genocidio,
oltre gli eccidi e i massacri perpetrati da tutte le parti in causa;
condizione questa tipica di tali condizioni di conflitto….”

Milosevic ha chiesto a Morillon se fosse d’accordo con la definizione
data da Nambiar del conflitto bosniaco. Morillon ha concluso: “…Non
bisogna demonizzare i serbi sulla questione: non ci furono i buoni da
una parte e i cattivi dall’altra.”

Morillon ha asserito che la guerra civile bosniaca era un risultato o
reazione ai “ricordi” della guerra civile che ci fu in Bosnia durante
la seconda guerra mondiale e a conflitti ancora precedenti: “…Penso che
questo avvenimento drammatico provenga ancora una volta da ricordi, da
una memoria storica alimentata...”  Morillon ha rimproverato aspramente
coloro i quali “…rievocavano alla memoria collettiva i massacri
ancestrali accaduti in Bosnia…” e “…quelli che riportarono alla mente,
fecero rivivere la memoria di antiche paure…”. Milosevic ha domandato a
Morillon se fosse stato in possesso di qualche sua deposizione che
dimostrasse il suo sostegno ad altra causa che non fosse stata quella
della tolleranza e della pace in Bosnia e nell’ex Jugoslavia. Morillon
ha ammesso di non riuscire a trovare nessun indizio che suggerisse
l’incitamento verso chiunque, da parte di Milosevic, al conflitto
etnico o religioso.

Ma come reagirono i serbi bosniaci quando una rivista
bosniaco-musulmana, Novi Vox, in un’uscita dell’ottobre 1991 avrebbe
annunciato che i mussulmani bosniaci avevano preparato Handzar, una
nuova divisione delle SS naziste, (“Spremna Handzar Divizija”), facente
allusione alla 13esima Waffen Gebirgs Division der SS
“Handzar/Handschar” della seconda guerra mondiale, formata da Heinrich
Himmler per contrastare la lotta partigiana in Bosnia? Si trattò forse
semplicemente di una pubblicazione isolata di nessuna rilevanza? La SS
Division Handzar nazista dei musulmani bosniaci era davvero non
attinente ai timori e alle inquietudini serbo-bosniache? In una cronaca
da Fojnica del 29 dicembre 1993, un articolo eludeva la censura del
governo USA sui media, il corrispondente del Daily Telegraph di Londra
Robert Fox dimostrò che effettivamente la leadership bosniaco-musulmana
aveva formato una nuova Divisione Handzar che contava 6000 uomini. Non
erano meri “ricordi” ad alimentare il conflitto, bensì un vero scontro
fra le tre fazioni, impegnate in un’autentica guerra di secessione o
liberazione.

Durante la guerra civile, la fazione bosniaco-musulmana uccise i suoi
civili, con l’intento di coinvolgere le forze serbo-bosniache e
raccogliere consensi propagandistici. Milosevic ha fatto riferimento a
un documento ONU datato 6 febbraio 1994 che dava la responsabilità alle
forze bosniaco-musulmane dell’attacco ai civili musulmani:

“…L’UNPROFOR è sicuro quasi al 100% che i bosniaci musulmani in almeno
due occasioni nel corso degli ultimi 18 mesi sono stati all’origine dei
bombardamenti che hanno provocato perdite umane a Sarajevo...” Gli
ufficiali ONU e i funzionari maggiori occidentali ritennero i bosniaci
musulmani responsabili del cosiddetto massacro della fila per il pane
sulla strada Vasa Miskina.

Dal Kosovo Hospital di Sarajevo, i musulmani bombardarono con mortai
collocati nell’ospedale stesso per provocare una risposta serba
sull’ospedale.

Nella dichiarazione di Morillon si può leggere quanto segue: “…Vedemmo
un mortaio là, pronto a provocare una reazione da parte serba. Lo
facevano in continuazione. So che alcuni osservatori ONU hanno visto il
mortaio all’ospedale...”

La fazione bosniaco-musulmana aveva pianificato di instaurare un regime
militante nazionalista musulmano prima che la guerra civile irrompesse
nel 1992.  Milosevic ha dimostrato che i musulmani formarono una
cosiddetta Lega Patriottica il 31 marzo 1991, dunque un anno prima
della guerra civile, che costituiva un braccio armato dell’SDA, partito
di Izetbegovic, il Partito dell’Azione Democratica è infatti un partito
nazionalista musulmano. Fu il primo esercito di partito ad apparire in
Europa e ad essere instaurato nell’Europa stessa dopo la seconda guerra
mondiale e l’esperienza di Hitler. Le SS erano state un esercito di
partito similare a questo durante la seconda guerra mondiale. Nel 1991,
Alija Izetbegovic aveva dato forma a un esercito di partito militante
in Bosnia.

Milosevic ha citato una dichiarazione di Morillon:

“…Milosevic spiegò che non poteva dare ordini al BSA( esercito serbo
bosniaco)… Il nuovo ruolo di Milosevic in qualità di pacificatore
determinante e mediatore franco era piuttosto evidente...”

Milosevic e Morillon impiegarono tutta l’“influenza politica che
avevamo, ed era quella l’unica influenza che avessimo per conseguire
tale scopo...” Milosevic ha dichiarato che “…tutta l’influenza che
avrei potuto esercitare... fu utilizzata con la finalità di fermare lo
spargimento di sangue, e di impedire che tale logica venisse posta in
atto… E’ corretto, Generale?” Morillon ha replicato: “...Sì.”

Morillon ha ripetuto che : “…Rifiuto di vedere i serbi demonizzati.” Ha
affermato che: …“non sono soltanto i serbi ad essere responsabili del
conflitto in Bosnia…”

Morillon, avvertì Milosevic, tuttavia, che “sarete voi ad essere
demonizzati, se Srebrenica fosse caduta nelle mani delle forze
serbo-bosniache…”.


Sandzaki in Bosnia

Milosevic ha citato un verbale redatto da Morillon che rilevava la
realtà dei combattimenti fra i cittadini jugoslavi in Bosnia: “membri
delle forze armate da Sandzak… molti volontari da Sandzak nell’esercito
dei bosniaco-mussulmani.” Izetbegovic li aveva dispiegati all’aeroporto
di Sarajevo e a Srebrenica. Morillon: “Li chiamavamo i Sandzaki. Vi
erano alcune unità che erano come milizie, probabilmente parecchie
centinaia, ma non molte di più. Erano essenzialmente, i Sandzak(i),
posizionati nella regione di Srebrenica… Alcuni Sandzaki… alcuni
mujahedin, sì.” Milosevic ha domandato cosa sapesse a proposito dei
mujahedeen “fondamentalisti”, i cosiddetti mujahedin o guerrieri della
jihad?” Morillon ha risposto che questi ultimi erano attivi soprattutto
nella regione di Vitez. C’era, per così dire una brigata.” Morillon
specificò: “Li ho visti in azione.” I mercenari sono coperti dal
protocollo 1977 della Convenzione di Ginevra, e non hanno diritto alla
classificazione di combattenti o di POWs (= prigionieri di guerra),
conformemente a tali protocolli stilati il 12 agosto 1949.
Milosevic ha dimostrato che nell’area di Zvornic erano operativi
diversi gruppi paramilitari musulmani, come ad esempio i Mosque Doves
(Dzamijski Golubovi) e i Kobras guidati da Sulejamn Terzic. Questi
gruppi paramilitari musulmani massacrarono i civili serbo-bosniaci
presenti nella Bosnia orientale, assassinando civili serbi anziani come
anche attaccando villaggi serbo-bosniaci.


Al Qaeda in Bosnia

Morillon ha citato il capo di accusa formulato dalla Corte Distrettuale
della Virginia orientale negli Stati Uniti contro Zacarias Moussaoui,
implicato nell’attacco terroristico dell’11 settembre: “Al Qaeda
funzionava con l’appoggio di vari gruppi della jihad in paesi diversi,
compresa la Bosnia.”

Il giudice Patrick Robinson non ha permesso permesso a Milosevic di
proseguire con argomenti di tale attinenza. Milosevic ha obiettato che
il capo d’accusa statunitense dimostrava che “in quel periodo Al Qaeda
era attiva in Bosnia-Herzegovina.” Al Qaeda intraprese una strategia
per commettere atti di terrorismo che oltrepassassero i confini
nazionali.” Prima dell’attacco a New York l’11 settembre 2001, la rete
terroristica di Al Qaeda era impegnata in una guerra terroristica in
Bosnia, conto i serbo-bosniaci. Effettivamente, uno dei dirottatori
dell’11 settembre aveva un passaporto bosniaco. Si presume che Osama
bin Laden abbia incontrato Alija Izetbegovic e che sia stato attivo in
Bosnia, assicurando le truppe di Al Qaeda all’esercito
musulmano-bosniaco. Qual era quindi il ruolo del governo statunitense
nel mettere insieme Osama bin Laden e Al Qaeda in Bosnia? Negli anni
Ottanta, Osama bin Laden era rifornito e addestrato dagli Stati Uniti
in qualità di alleato in l’Afghanistan contro l’URSS. I mujahedeen
creati dagli Stati Uniti vennero poi trasferiti in Bosnia per
combattere nell’esercito musulmano-bosniaco. Tutti sapevano della loro
presenza in Bosnia. Ma che ruolo giocarono gli USA nel portare gli
uomini di Osama bin Laden, i mujahedeen e Al Qaeda in Bosnia?


Srebrenica e Naser Oric

Nella sua testimonianza, Morillon ha confermato che l’enclave di
Srebrenica veniva utilizzata dall’armata bosniaco-musulmana come base
militare operativa sotto il comando di Naser Oric. Lo stesso Oric
contribuì alla crisi umanitaria gestendo azioni di guerriglia mediante
la strategia attacco-fuga, che avevano come obiettivo villaggi serbi.

Morillon ha spiegato: “Queste enclaves vennero parzialmente occupate da
forze musulmane sotto il comando di Naser Oric, che intraprese regolari
battaglie. Così, la possibilità di ottenere approvvigionamenti
alimentari, che si auspicava venisse sia da Belgrado che da Split via
Mostar furono notevolmente ostacolate, e i serbo-bosniaci ci dissero
che  ciò era dovuto ai combattimenti che ebbero luogo.”

Dermot Groome, pubblico ministero dell’ICTY, ha posto a Morillon una
domanda riguardo l’attacco di Kravica nella sera del Natale ortodosso:
“Generale, la sua asserzione descrive dettagliatamente gli attacchi di
Naser Oric, in particolare quello sferrato la sera del Natale
ortodosso.” Morillon replicò: “Le azioni alle quali lei fa riferimento
furono una delle ragioni del deterioramento della situazione nell’area,
in special modo durante il mese di gennaio. Naser Oric si impegnò in
attacchi durante le vacanze ortodosse, distruggendo i villaggi e
massacrandone gli abitanti. Ciò originò una tale ondata di violenza e
ad un livello di odio straordinario, inaudito nella regione, inducendo
così la regione di Bratunac in particolare – interamente a popolazione
serba – ad insorgere e ribellarsi alla sola idea che mediante gli aiuti
umanitari si potesse aiutare la popolazione ivi presente...”


Non ci si può preoccupare dei prigionieri

Secondo le Convenzioni di Ginevra, torturare e giustiziare un
prigioniero di guerra costituisce un crimine di guerra, tuttavia è quel
che Naser Oric fece precisamente nell’enclave di Srebrenica. Egli non è
stato accusato per questi crimini di guerra flagranti e per le evidenti
violazioni delle Convenzioni di Ginevra e dei Protocolli del 1997.
Perché Carla Del Ponte non ha imputato Oric per l’uccisione e la
tortura di prigionieri serbo-bosniaci? Come dimostra la testimonianza
di Morillon, Oric stesso ammise l’accaduto di fronte a Morillon, ed
esiste un’abbondante e schiacciante evidenza di prove a dimostrazione
di ciò.

Di cosa erano accusate le forze serbo-bosniache quando presero
Srebrenica nel 1995? La propaganda USA accusò i serbo-bosniaci di
giustiziare soldati musulmano-bosniaci. La propaganda USA e la
terminologia dell’informazione bellica facevano riferimento a “uomini e
ragazzi musulmani” al fine di praticare il lavaggio del cervello,
inducendo a pensare o a credere che si trattasse di civili musulmani
inermi, incapaci di reagire. Tutto ciò è stato uno stratagemma, un
inganno messo in atto dai propagandisti statunitensi per sottoporre a
lavaggio del cervello l’opinione pubblica.

In effetti, queste forze erano molto ben equipaggiate e armate. Erano
un esercito vero e proprio, il 28° Divisione Fanteria dell’esercito
bosniaco-mussulmano, dislocato a Srebrenica, rifornito, comandato e
occupato dal musulmano Tuzla. Così le forze serbo-bosniache furono
accusate di giustiziare prigionieri di guerra bosniaco-mussulmani. E’
un crimine di guerra? E’ possibile torturare, mutilare e giustiziare
prigionieri di guerra?
E’ possibile se si è alleati, clienti del governo USA e fiduciari dei
media a loro associati. Questo è quel che ha attuato sistematicamente
Naser Oric nel 1992 e nel 1993. Così in conclusione, i frammenti del
puzzle combaciano. Naser Oric non è stato imputato o accusato dalla Del
Ponte per crimini di guerra, per aver giustiziato prigionieri di guerra
serbo-bosniaci, perché questo capo d’accusa è stato riservato soltanto
alle forze serbo-bosniache. Tutto ciò avrebbe costituito il fondamento,
la base per l’imputazione di “genocidio”. Così tutto trova un  senso.

Ci si può domandare: ma nel 1992 e 1993 le forze di Naser Oric non
“massacrarono” le forze serbo-bosniache in maniera del tutto analoga?
Ma questo è il fatto che deve essere nascosto e messo a tacere,
soppresso da Carla Del Ponte e dall’ICTY. Questa è la ragione per cui
Naser Oric non è imputato di crimini di guerra in relazione alle
uccisioni di massa di prigionieri di guerra serbo-bosniaci. Se venisse
ammesso tale dato di fatto, cioè che Oric abbia commesso crimini di
guerra nel giustiziare prigionieri di guerra serbo-bosniaci, l’intero
costrutto propagandistico statunitense allora crollerebbe. E’ il motivo
per cui tale questione è cruciale nella comprensione del caso di
Srebrenica. Esistono in questo caso sottigliezze legali che mostrano
l’ICTY come un processo politico-show, avviato e diretto dalla NATO e
dagli USA.

Vi è poi l’altra questione riguardante la politica sistematica di Naser
Oric di bruciare i villaggi serbo-bosniaci e di ucciderne gli abitanti.
L’atto di accusa dell’ICTY implica che nessuno vivesse in quei
villaggi, così Oric è solamente accusato di averli distrutti e
bruciati. Ma che dire riguardo la politica sistematica di Oric di
assassinare tutti i civili serbi in quei villaggi? Oric non è imputato
per quei crimini. Perché? Questa premessa intende preservare e
sostenere l’immagine propagandistica veicolata dagli USA che vittimizza
la fazione bosniaco-musulmana.

Accettare una tesi differente vorrebbe dire ammettere che quella
bosniaca fu una guerra civile, nella quale tutte e tre la fazioni hanno
responsabilità. Per questo il processo Oric è limitato a un ristretto
numero di crimini pro-forma, nominali, di crimini contro la proprietà.

Il pubblico ministero dell’ICTY Groome ha interrogato Morillon circa il
trattamento dei prigionieri di guerra bosniaci: “…Posso chiederle, cosa
le disse il sig. Oric in riferimento alla sua condotta con i
prigionieri durante questo periodo di tempo?” Morillon ha risposto:

“Naser Oric era un capo militare, un signore della guerra che regnò
imponendo un regime di terrore sull’area da lui controllata e sulla
popolazione stessa. Penso che egli avesse compreso che queste erano le
regole di una guerra orribile, che non poteva dunque permettersi di
catturare prigionieri. Stando al mio ricordo, egli non cercò nemmeno
una scusa, un pretesto. Fu una semplice asserzione: non ci si può
preoccupare dei prigionieri...”

Rifiutarsi di catturare e giustiziare prigionieri di guerra costituisce
un crimine di guerra. L’8 giugno 1977 si afferma all’articolo 40 dei
protocolli della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1941: “E’
proibito ordinare che non vi debbano essere sopravvissuti.” Le medesime
proibizioni sussistono sia all’interno dei protocolli internazionali
che di quelli internazionali del 1977. Perché Carla Del Ponte non ha
processato Oric per questi crimini di guerra documentati ed evidenti…?

Morillon ha spiegato di come gli erano stati mostrati i corpi dei
serbo-bosniaci massacrati in Bosnia orientale:

“Non fui sorpreso quando i serbi mi condussero in un villaggio per
mostrarmi l’esumazione dei corpi degli abitanti che erano stati gettati
in una fossa comune in un villaggio vicino a Bratunac. E ciò mi ha
fatto comprendere il grado a cui questa situazione infernale di sangue
e vendetta – penso a Sudetic… (il riferimento è al giornalista
croato-americano Chuck Sudetic e al libro Blood and Vengeance (Sangue e
Vendetta), il quale descrive benissimo di questo concetto di  Sangue e
Vendetta, e il grado al quale questo portò la situazione, per questo io
personalmente temevo che il peggio sarebbe accaduto, se i serbi di
Bosnia fossero riusciti a fare irruzione nelle enclaves e a Srebrenica.”

Morillon si aspettava ritorsioni a Srebrenica: “Temevo che i serbi, i
serbi locali, i serbi di Bratunac, i miliziani, volessero vendicarsi
per tutto ciò che attribuivano a Naser Oric. Non era soltanto di Naser
Oric che volevano vendicarsi, volevano vendicare i loro morti del
Natale ortodosso. ”

Ci si deve domandare: “Perché il governo USA e i serbi giustificano le
uccisioni per vendetta in Kosovo e non a Srebrenica? Perché il
cosiddetto massacro del 1995 non è semplicemente una vendetta di
ritorsione? Certo, ma soltanto gli alleati degli USA possono
partecipare a “uccisioni per vendetta”. Giuridicamente l’omicidio è
omicidio. Non esiste qualcosa di simile all’“uccisione per vendetta”
così come la propaganda USA sostiene. In un modo o nell’altro, tutte le
uccisioni sono     “uccisioni per vendetta”. Questo dimostra tuttavia
come gli USA concepiscono l’omicidio in Kosovo contro i serbi del
Kosovo. Come dimostra il caso di Srebrenica, gli Stati Uniti applicano
questa concezione selettivamente. Che dire poi dell’attacco armato
croato responsabile della pulizia etnica di più di 250.000 serbi a
Knin, Pakrac e nell’area di Krajina, tutti territori sotto protezione
ONU? Centinaia se non migliaia di serbi di Krajina furono uccisi
nell’azione di pulizia etnica orchestrata dagli Usa, il più vasto atto
singolo di pulizia etnica verificatosi durante il conflitto iugoslavo.
Le truppe croate massacrarono non soltanto i civili serbi di Krajina,
ma anche peacekeepers (operatori di pace) dell’ONU. Dove sono
l’indignazione, la preoccupazione per questi massacri? Questi atti
perpetrati contro i serbi a Krajina furono ignorati e nascosti, coperti
dal governo USA e dai media, perché essi stessi hanno orchestrato,
diressero e controllarono i massacri contro i serbi in Krajina.

Morillon è arrivato alla conclusione che la caduta di Srebrenica del
1995 fu dovuta ai massacri commessi dalle forze di Naser Oric nel 1992
e nel 1993.

Il magistrato Patrick Robinson ha domandato a Morillon: “Sta dunque
affermando, generale, che ciò che accadde nel 1995 fu una reazione
diretta a ciò che Naser Oric fece ai serbi due anni prima?”

Morillon replicò: “Sì. Sì, vostro Onore. Sono convinto di ciò.”

Morillon era convinto che la crisi di Srebrenica fosse manipolata dagli
USA e dai leaders bosniaco-musulmani per conseguire altri obiettivi
politici e propagandistici. Milosevic ha citato un’affermazione di
Morillon: “Ero convinto che la popolazione di Srebrenica fosse vittima
di un interesse più elevato … questo interesse superiore era
localizzato a Sarajevo e a New York.” Morillon ha parlato di come
Mladic fosse stato indotto con un inganno ad attaccare Srebrenica. Oric
era già stato fatto sgombrare con un elicottero a Tuzla. La leadership
politica e militare bosniaco-musulmana aveva già abbandonato Srebrenica
dopo aver provocato l’attacco serbo-bosniaco.

Come ha spiegato Morillon il presunto massacro del 1995?  Quando la
questione è stata posta a Morillon, egli aveva risposto: “…Odio
accumulato. Le teste cadevano. Vi erano terribili massacri commessi
dalle forze di Naser Oric in tutti i villaggi circostanti. E, nel
momento in cui intervenni, quando mi recai a Bratunac, sentivo tutto
ciò...”

Milosevic ha riferito di come le forze bosniaco-musulmane fecero fuoco
con l’artiglieria verso la  Serbia, minacciando la rete idroelettrica
di Bajina Basta in Serbia. Questa fu la ragione per cui le forze
militari iugoslave aprirono il fuoco contro le postazioni
bosniaco-musulmane.

Morillon ha chiarito i complotti e le strategie propagandistiche in cui
i leaders bosniaco-musulmani  erano impegnati. Il comandante di
Srebrenica riceveva ordini da Sarajevo e non permettevano di fare
irruzione in Srebrenica.
Milosevic gli ha domandato: “Così era tutto manovrato da Sarajevo? …
Erano manipolati e diretti come su un palcoscenico teatrale.” La
dichiarazione di Morillon  è stata letta da Milosevic: “…Il fatto che
mi trattenessero come prigioniero a Srebrenica fu orchestrato da
Sarajevo.”
Le autorità di Izetbegovic si opponevano all’evacuazione umanitaria di
civili da Srebrenica, “dalle 2000 alle 3000 donne…”, perché intendevano
usarli come scudi umani e creare una crisi umanitaria in modo da
provocare  l’intervento militare USA. Milosevic ha citato Lord David
Owen, il quale difendeva la tesi secondo la quale Izetbegovic aveva
impedito lo sfollamento di civili da Sarajevo come mossa
propagandistica, per raccogliere la comprensione, la simpatia del mondo
.

…Quindi, sia a Sarajevo che a Srebrenica, Izetbegovic era determinato
ad impiegare civili bosniaco-musulmani con intenti propagandistici,
sacrificandoli a proprio vantaggio, “mettendo a segno” punti a livello
propagandistico.
L’Amicus Curiae, Branislav Tapuskovic, ha interrogato a Morillon circa
le sue riunioni con Naser Oric, comandante militare bosniaco-musulmano
a Srebrenica. Morillon ha affermato di avere incontrato Oric a Konjevic
Polje e a Srebrenica.

Morillon ha affermato : “…Ogni notte, Naser Oric effettuava incursioni,
scorrerie fuori città a danno dei serbo-bosniaci.”

Quando  il generale Morillon gli si oppose, Oric gli disse che quello
era l’unico modo che aveva per procurarsi armi e munizioni. Ammise di
avere ucciso serbo-bosniaci ogni notte.

Morillon ha ripetuto l’ammissione di responsabilità resagli da Oric,
secondo la quale quest’ultimo non catturò mai prigionieri di guerra
serbo-bosniaci: “Oric disse che queste erano le regole del gioco, e che
in questa tipologia di guerra partigiana, lui non poteva fare
prigionieri…” Morillon ha confermato che Naser Oric riceveva direttive
e istruzioni da Alija Izetbegovic a Sarajevo: “Il regno di Naser Oric
implicava una conoscenza approfondita dell’area controllata dalle sue
forze. Mi sembrò che stesse rispettando istruzioni politiche
provenienti dalla presidenza a Sarajevo...”


La Convenzione di Ginevra e il trattamento dei prigionieri di guerra

La Convenzione del 12 agosto 1949 stabilì le linee guida per il
trattamento dei prigionieri di guerra. Tali linee guida legali
internazionali per il trattamento dei prigionieri di guerra emersero
nella scia della seconda guerra mondiale. Il trattamento dei
prigionieri di guerra era stato al centro di trattative, negoziati e
convenzioni internazionali intrapresi alla metà del XIX secolo. Nel
1864 apparve un tentativo di codificazione delle “leggi di guerra”,
quando 12 nazioni approvarono, sanzionarono la prima Convenzione di
Ginevra per il miglioramento della condizione dei feriti in tempo di
guerra. Un trattato successivo fu ratificato da 54 stati. Esso venne
rimpiazzato dalla Convenzione di Ginevra del 1906 e dalla successiva
Convenzione di Ginevra del 1929. Tali trattati si occupavano di: 1)
protezione degli ospedali, dello staff medico e delle attrezzature
mediche; 2) protezione dei civili; e, 3) il diritto al rispetto. Il
primo tentativo di regolare il trattamento  internazionale dei
prigionieri di guerra si è verificato a Bruxelles nel 1874, ed ha avuto
come conseguenza la Dichiarazione di Bruxelles. La Conferenza di pace
dell’Aia del 1899 votò favorevolmente la Convenzione di Ginevra del
1864. Tali linee guida furono ulteriormente codificate nel 1907
all’interno dei Regolamenti dell’Aia. Il 12 agosto 1949, le Convenzioni
di Ginevra definirono il trattamento dei prigionieri di guerra nel
diritto internazionale. L’8 giugno 1977 furono promulgati i Protocolli
alle Convenzioni di Ginevra, i quali aggiungevano maggiori protezioni
riguardo i prigionieri di guerra e i civili.

Le forze di Naser Oric commisero sul territorio della ex-Yugoslavia
serie infrazioni delle Convenzioni di Ginevra, oltre ad altre
violazioni delle legislature umanitarie internazionali. L’articolo 3
delle Convenzioni di Ginevra concerne le guerre civili. Vi si enuncia
l’obbligo di trattare i prigionieri di guerra in maniera umana,
l’omicidio, la mutilazione, la tortura e il trattamento crudele sono
proscritti, banditi. I prigionieri di guerra non possono essere
giustiziati a meno che non vi sia un pubblico processo, un debito
processo, e il diritto di ricorrere in appello. Mentre la vendetta e la
ritorsione non sono permesse, le “rappresaglie di guerra”, sono
tuttavia riconosciute nei confronti dei combattenti. Un rappresaglia è
“un atto altrimenti illegale cui si ricorre dopo che la controparte si
è essa stessa concessa il diritto di compiere atti illegali.” Le
ritorsioni sono ammesse in misura proporzionale all’ingiustizia subita.
Non è ciò che le forze serbo-bosniache hanno intrapreso durante la
presa di Srebrenica del 1995, cioè ritorsioni contro le forze di Naser
Oric?


Conclusione

La testimonianza di Philippe Morillon al processo Milosevic dell’Aia ha
dimostrato come le truppe di Naser Oric abbiano torturato, mutilato e
giustiziato soldati e civili serbo-bosniaci. Questi furono crimini di
guerra flagranti e violazioni delle Convenzioni di Ginevra per le quali
né Naser Oric, né Alija Izetbegovic, né Sefer Halilovic sono stati
imputati da Carla Del Ponte. Morillon ha rivelato che la caduta di
Srebrenica del 1995 fu la “reazione diretta” ai massacri e agli omicidi
di massa che Oric aveva commesso contro i serbo-bosniaci nella sacca di
Srebrenica. La propaganda USA  sostiene che “7000 uomini e ragazzi
mussulmani” furono “trucidati” a Srebrenica, ma essa non è basata su
prove e testimonianze effettive. Si tratta di un’accusa ancora da
provarsi, di un’incriminazione del governo USA che intende addossare la
responsabilità della guerra civile bosniaca alla fazione
serbo-bosniaca, quando invece la guerra fu di fatto fomentata dal
governo USA. Un testimone d’accusa che ha testimoniato mercoledì 11
febbraio 2004: un soldato serbo-bosniaco che partecipò alla presa di
Srebrenica, ha dimostrato che molte delle perdite umane
bosniaco-musulmane furono subite, sofferte quando elementi della 28
divisione fanteria hanno tentato di rompere l’accerchiamento serbo-
bosniaco. La 28 divisione stava cercando di ritirarsi a Tuzla,
controllata dai musulmani. Molte truppe bosniaco-musulmane rimasero
uccise durante questo tentativo fuga di massa. Ma comunque molte di
queste truppe bosniaco-musulmane riuscirono a ritirarsi a Tuzla. Il
governo USA e la propaganda mediatica insinuano che le forze
serbo-bosniache abbiano giustiziato civili inermi e indifesi. Ma ciò è
palesemente falso. Come hanno dimostrato chiaramente la fotografie, le
forze di Oric indossavano uniformi militari di fatica, insegne e
distintivi militari ed erano in possesso di AK-47, artiglieria,
lancia-granata, missili anti-carro armato, carri armati e elicotteri.
Non si trattava di civili, ma di combattenti armati, soldati, assassini
che avevano massacrato civili serbi e bruciato interi villaggi. I
bosniaco-musulmani avevano loro formazioni militari a Srebrenica. La
caduta di Srebrenica del 1995 fu un disastro militare per le forze
dell’esercito bosniaco-musulmano guidate da Naser Oric, ma non fu un
“massacro” di civili.

Quel che è trapelato dalla deposizione di Morillon è che i
bosniaco-musulmani e i croati si impegnarono in “omicidi di massa” di
serbi, anche prima dello scoppio del conflitto. Le prime vittime della
guerra civile bosniaca furono civili serbi. Oltre a ciò, Morillon ha
rivelato che Izertbegovic ha tentato di impiegare i civili musulmani
come scudi a Sarajevo e a Srebrenica per raccogliereconsensi e per fare
proseliti. Morillon ha dimostrato che il vero assedio di Sarajevo
iniziò quando i musulmani circondarono e attaccarono il JNA, uccidendo
i soldati JNA nel momento in cui si stavano ritirando. La fazione
bosniaco-musulmana ha violato gli accordi attaccando le truppe. Un tale
omicidio premeditato e dissoluto, arbitrario, poteva provocare soltanto
una risposta equivalente. Ma è chiaramente stata la fazione
bosniaco-musulmana a provocare la violenza.

Le “fosse comuni” bosniaco-musulmane non sono state trovate per
convalidare, addurre fatti a prova delle imputazioni/incriminazioni.
Nell’area di Srebrenica c’erano molte fosse comuni. Le forze di Naser
Oric avevano assassinato centinaia se non migliaia di civili
serbo-bosniaci nell’area di Srebrenica. Almeno 50 villaggi
serbo-bosniaci in Bosnia orientale sono stati bruciati e rasi al suolo
dalle forze di Oric. La testimonianza di Morillon ha dimostrato che la
caduta di Srebrenica del 1995 fu la “reazione diretta” agli eccidi
perpetrati da Naser Oric nel 1992 e nel 1993.

Da www.serbianna.com

Traduzione a cura di E. Vigna
(Associazione SOS Yugoslavia)


=== 3 ===

Subject: [TV-STOP] Le témoignage Morillon sur Srebrenica au TPI

From: "TV-STOP" <tv-stop @...>


Si les médias francophones ont tronqué ou déformé le témoignage du
général Morillon au procès Milosevic, la BBC en donne un compte rendu
objectif, citant notamment les échanges-clefs entre l'accusé et le
témoin.
Il en ressort deux points cruciaux:

1. Que si Morillon avait "prévu" la tragédie de Srebrenica, c'est parce
qu' "il craignait que les attaques des forces musulmanes [basées à
Srebrenica] prenant pour cibles des civils serbes avaient fait enrager
les Serbes de Bosnie et entraîneraient des représailles féroces contre
la ville".
Autrement dit, que la tragédie avait été provoquée par des crimes
antérieurs, connus des forces de l'ONU, sur lesquels pourtant le TPI
n'a pas entamé d'enquête.

2. Que Morillon tenait Milosevic pour "la seule personne pouvant
l'aider" à prévenir ou atténuer la tragédie. Témoin cet échange :
Milosevic : "L'influence que je pouvais avoir - et qui était politique
-, je l'ai utilisée pour arrêter le bain de sang là-bas... et tout a
été arrêté, n'est-ce pas?"
Morillon : "Exactement."

Avec ce nouveau "témoin à charge", et de poids, qui à la différence de
Wesley Clark a parlé ouvertement, sans demander le huis-clos ni la
censure de ses propos, l'accusation du TPI vient de s'ôter un argument
de plus contre l'ex-président de Serbie. La défense, assurée par
lui-même, débute aujourd'hui 19 février. L'inconsistance de
l'accusation et le parti pris évident du TPI n'empêcheront probablement
pas une condamnation sans doute déjà arrêtée... ne serait-ce que parce
qu'un acquittement était exclu d'emblée par les médias occidentaux.

[TV-STOP]

(english / italiano)

VERI O FALSI?


<< Ladri mascherati da soldati della NATO hanno rubato un milione di
euro da un camioncino blindato, l'ultimo giorno della missione NATO in
Bosnia.
I rapinatori, con addosso i distintivi della SFOR, hanno organizzato un
check point su di una superstrada nella Bosnia nord-occidentale ed
hanno fermato il camioncino blindato che trasportava il contante della
Raffeisen Bank [noto istituto di credito tedesco, oramai impiantato
anche in Bosnia, ndT], secondo quanto ha riportato martedi il
quotidiano Nezavisne Novine.
Secondo il quotidiano, la banda, composta da cinque persone, ha
immobilizzato le guardie che scortavano il denaro e le ha rinchiuse nel
vano posteriore del camioncino.
La rapina e' stata realizzata alla vigilia del passaggio di consegne
dalla NATO alla nuova forza della Unione Europea, EUFOR, dopo nove anni
di missione di peacekeeping.
La polizia ha declinato qualsiasi commento. >>

http://story.news.yahoo.com/news?tmpl=story&u=/nm/20041202/od_uk_nm/
oukoe_odd_bosnia_robbery

UK Reuters -- Thurs, Dec 2, 2004

Bosnian gang pull heist dressed as soldiers

SARAJEVO (Reuters) - Thieves masquerading as NATO soldiers have stolen
a million euros from a Bosnian security van on the last day of the
alliance's peace mission in the country.
The robbers, wearing the insignia of NATO's outgoing Stabilisation
Force (SFOR), set up a check point on a highway in northwestern Bosnia
and stopped an armoured van hauling cash for the Raiffeisen Bank, the
daily Nezavisne Novine reported on Thursday.
The gang of five handcuffed security guards escorting the cash and left
them in the back of the van, the newspaper added.
The robbery was staged on the eve of NATO's handover of the 9-year-old
peacekeeping mission to a new European Union force, called EUFOR.
Police declined to comment.

Bophal - Porto Marghera - Pancevo

1. BOPHAL
3 dicembre 1984 - 3 dicembre 2004:
La strage impunita della Union Carbide

2. PORTO MARGHERA
28 novembre 2002:
La Dow Chemical (ex Union Carbide) avvelena Mestre

3. PANCEVO
*** aprile 1999: la NATO intenzionalmente colpisce i serbatoi di
cloruro di vinile monomero allo scopo di sterminare la popolazione di
Pancevo e dintorni
*** novembre 2004: i media serbi ed internazionali, compresa l'agenzia
ANSA, disinformano sulla principale causa del vertiginoso aumento di
tumori a Pancevo


=== 1 ===

Da: andrea
Data: Ven 3 Dic 2004 17:14:34 Europe/Rome
Oggetto: venti anni fa : Bophal


3 dicembre 1984 : Bophal

Vedi le fotografie al sito:
http://www.magnumarchive.com/c/htm/
FramerT_MAG.aspx?Stat=Portfolio_DocThumb&V=CDocT&E=2TYRYDZY1N7J&DT=ALB

---

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2004/12_Dicembre/02/
bhopal.shtml

CRONACHE - Una nube tossica provocò una catastrofe: decine di migliaia
di morti

Bhopal vent'anni dopo. 555 dollari per il silenzio

I sopravvissuti aspettano i soldi della Union Carbide. In cambio
l'impegno di smettere di protestare

DAL NOSTRO INVIATO
[FOTO: Una donna di Bhopal, rimasta vedova dopo l'incidente della Union
Carbide (Reuters)]


BHOPAL -La tosse: per Arman, Raju e Ajju, che hanno 20 anni nel 2004, è
la colonna sonora della loro vita. La tosse dei loro padri, delle
madri, dei fratelli, delle sorelle, e dei vicini, oltre le sottili
tramezze. Notte e giorno, estate e inverno, le pareti nude di casa
riecheggiano i colpi di tosse. Non arriva e non arriverà mai quello
liberatorio, quello che riuscirà a espellere il male dai bronchi
sconquassati. Sopravvivere alla catastrofe chimica del 3 dicembre 1984
non è stato un grande affare: 240 mesi di tosse e fame e, adesso, 555
dollari e 55 centesimi a testa per smettere di protestare. Per lasciar
finalmente sbiadire sui muri la scritta «Hang Anderson», impiccate
Anderson, rinfrescata ancora ieri e riferita a Warren, l’ex
amministratore delegato della Union Carbide, la fabbrica americana di
pesticidi che ha trasformato una delle più belle e secolari città
dell’India centrale in un assordante lazzaretto di tisici inguaribili.
Venticinquemila rupie per smettere di lamentare cecità, nausee, vomiti
e fitte al petto. Per lasciare che il mondo dimentichi il nome di
Bhopal e le cifre mai precisate della strage.
Tra i sedicimila e i trentamila morti, mezzo milione di superstiti
malconci, 150 mila coi polmoni sfiniti e gli occhi cauterizzati dalla
grande ustione chimica. E nessun processo per stabilire come sia
accaduto.
Arman, Raju e Ajju, classe 1984 come la fuga di 40 tonnellate di gas,
sono amici d’infanzia, cresciuti insieme nelle strade di terra battuta
e pozzanghere di Congress Nagar, il quartiere musulmano a sud del
vecchio stabilimento. Il destino loro e del vicinato quella notte tra
il 2 e il 3 dicembre fu deciso dal vento che inseguì i fuggitivi verso
meridione, con la sua nube carica di isocianato di metile, lo
sterminatore di parassiti campestri, implacabile ingrediente di una
miscela brevettata dalla Union Carbide col marchio «Sevin».
L’efficacia collaudata sugli insetti nei laboratori della Virginia
occidentale diventò evidente, senza microscopio, ingigantita a misura
d’uomo in India. Non erano cocciniglie e pidocchi a contorcersi
nell’erba e nell’asfissia. Donne, uomini, bambini soffocavano nel loro
sangue e nel loro vomito, bruciavano senza fuoco. Minuti, ore, giorni,
mesi, anni: l’agonia si rivelò di proporzioni variabili. Proprio quanto
le stime del disastro, delle conseguenze e delle responsabilità. E
dell’impennata di tumori.
Vent’anni di congetture, che ad Arman, Raju e Ajju non interessano
granché: vogliono solamente 555 dollari e spiccioli ciascuno, al più
presto. «Perché senza quei soldi non possiamo far nulla» dice Arman, il
più loquace del terzetto, accovacciato sul pavimento di casa accanto al
padre, Feroz, venditore di farina, che dorme avvolto in una vecchia
coperta. Per i loro 1.666 dollari e rotti, i tre ragazzi hanno piani
precisi e comuni: «Prima cure mediche private e poi il business». Il
business? «Sì, un negozio. O un’altra attività, che ci permetta di
farci anche una famiglia». Con una ragazza di Bhopal? «Quelle di fuori
sono più sane - parla chiaro Arman, con un guizzo astuto negli occhi -.
Molte ragazze qui invecchiano senza un marito. A meno che siano molto
belle e molto ricche».
Una donna indiana davanti a un muro di Bhopal (Afp)
I tre amici riscuoteranno probabilmente i loro soldi prima di compiere
i 21 anni, e da quel momento nulla potranno più pretendere o
rivendicare per la loro infanzia bruciata e la loro adolescenza rubata
al calcio, al cricket, alla scuola: «Siamo cresciuti analfabeti e
deboli» apre bocca finalmente il timido Raju. Il quotidiano locale,
Sandhya Prakash , pubblica l’elenco dei convocati il giorno dopo in
tribunale, per la distribuzione degli assegni di risarcimento: le
vendite sono triplicate, come il prezzo del giornale, da due a sei
rupie. Dieci centesimi di euro ben spesi per quanti scopriranno di
poter incassare, vent’anni dopo, il corrispettivo della loro salute. O
dei loro morti: fino a un massimo di 100 mila rupie, 2.222 dollari e 22
centesimi, per un genitore o un figlio perduti. E’ la somma
riconosciuta a 3.017 vittime. Respinte altre 12 mila richieste.
Non sono pochi soldi, ma si dissolvono subito nelle mani inesperte dei
poveri, se arrivano a destinazione. E’ già successo con la prima rata,
anticipata dal governo indiano tra il 1991 e il ’96: «Molti si sono
comprati il televisore o sono stati spogliati dagli avvocati» racconta
Rachna Dhinagra, portavoce della Campagna Internazionale Giustizia per
Bhopal. Ora che la Corte Suprema indiana ha sbloccato i 327 milioni di
dollari depositati dalla Union Carbide per 566 mila vittime, si cerca
di scongiurare lo sperpero: «Stiamo organizzando gruppi di assistenza
finanziaria - annuncia Rachna -, suggeriamo di investire in azioni
delle Poste indiane, che rendono il 9 per cento, o di costruire una
casa con pannelli a energia solare».
Nata 26 anni fa a Delhi e cresciuta per 21 a Detroit, Rachna ha
abbandonato una carriera di consulente informatica in un’azienda
americana quando ha scoperto che la sua prima cliente sarebbe stata la
Dow Chemicals, il colosso che aveva assorbito la Union Carbide. E’
tornata in India e ora lavora alla Sambhavna Gynecological Clinic for
Survivors, il Day hospital fondato dallo scrittore Dominique Lapierre
con i diritti d’autore dei suoi successi: «La città della gioia», «I
mille soli» e, naturalmente, «Mezzanotte e cinque a Bhopal».
Lapierre è arrivato ieri sera, trionfalmente accolto dall’armata di
superstiti e attivisti. Le portabandiera sono due cinquantenni, Rashida
Bee e Champa Devi Shukla, che hanno brandito minacciosamente le loro
scope sotto le sedi della Dow Chemical di mezzo mondo, finché non hanno
spuntato i risarcimenti. Contente? «No, vogliamo che i dirigenti della
Dow vengano qui, in ginocchio - risponde Rashida -. Ci riusciremo.
Devono ripulire la fabbrica abbandonata». Le scorie tossiche sono
filtrate nel sottosuolo, hanno raggiunto la falda freatica, che disseta
14 comunità nel raggio di due chilometri: «Ventimila persone si stanno
avvelenando giorno dopo giorno», Rachna cita analisi e studi concordi.
La battaglia legale continua, come la tosse, come la contaminazione,
come le marce e gli scioperi della fame. Perché continua a uccidere
anche il killer, evaso a mezzanotte e cinque del 3 dicembre 1984, da un
sistema di sicurezza governato al risparmio. Un killer che, da
vent’anni, non fa differenza fra uomini e pidocchi.

Elisabetta Rosaspina


=== 2 ===

Bhopal e Porto Marghera:

elaborazione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova


Metil-isocianato è la sostanza che si sprigiona dalle ciminiere di
Bhopal e che causa 20mila morti e 500mila invalidi.

Toluene-isocianato è la sostanza contenuta nella nube sospesa sopra
Mestre e Marghera il 28 novembre di quest'anno [2002].

Ma le coincidenze sono anche altre.
E' la Union Carbide, ora Dow Chemical, a causare la strage di Bhopal.
E' la Dow Chemical la proprietaria dell'impianto esploso a Marghera,
dopo averlo acquisito dall'Enichem nel 2001.
Le vittime di Bhopal non sono ancora state risarcite dalla Dow
Chemical, la quale rifiuta a tutt'oggi di bonificare la zona inquinata,
e di disporre tutele alla popolazione malata.

Una piccola storia di una multinazionale per la quale è stato
privatizzato "un pezzettino" di Porto Marghera .

Bhopal a Bhopal

Bhopal, India, 3 dicembre 1984. Dalle ciminiere della Union Carbide si
sprigiona una nube di fumo impalpabile e dall'odore acre. Gli abitanti
della baraccopoli sono abituati a frequenti fughe di gas tossici,
(l'impianto di allarme è stato disattivato perché suonava in
continuazione), ma questa volta la concentrazione tossica nell'aria è
maggiore. Migliaia di volte maggiore. 20.000 vittime, mezzo milione di
invalidi.

Il responsabile dell'impianto, Warren Anderson, presidente della Union
Carbide si renderà latitante... Diciotto anni dopo la strage, la Union
Carbide non ha ancora iniziato la bonifica del territorio (2), e ha
anzi mandato la polizia contro gli ecologisti che avevano
provocatoriamente iniziato in proprio la bonifica della fabbrica.
Il governo indiano quest'anno ha chiesto una variazione del capo di
imputazione per Anderson, da "Omicidio" a "Negligenza" (1).
La Union Carbide, come risarcimento, ha offerto 470 milioni di dollari
al governo indiano, 800 dollari per ogni invalido permanente, 3.300
dollari per ogni morte causata dal disastro(2.5)...

Il 4 agosto 1999 la Dow Chemical Company annuncia la scalata alla Union
Carbide, delineando con questa acquisizione il secondo polo chimico del
mondo.
La Dow Chemical company è nota in tutto il mondo per aver inventato
"l'agente Orange"(3), un'arma chimica basata sulla diossina, usata
ufficialmente in funzione di defoliante per le operazioni militari in
Vietnam dal 1962 al 1971, arma che ha dimostrato il suo effetto
geneticamente devastante (a tutt'oggi decine di migliaia di bambini
vietnamiti nascono malformati).

Qualche utile informazione sull'agente di distruzione "Orange".
Si tratta di un'arma di distruzione di massa, in possesso della nazione
democratica e pacificatrice del mondo, gli Stati Uniti d'America! Non è
stato un "agente segreto", l'Orange, anche se per lunghi anni coloro
che ne hanno fatto uso volutamente e scientemente ne hanno nascosto gli
effetti sulle popolazioni e sull'ambiente.
Questa arma chimica di distruzione di massa è stata irrorata in modo
pesante su tutto il Vietnam, secondo la parola d'ordine "we will smoke
them out", li staneremo con il fumo, per "stanare" i combattenti
resistenti vietcong dai loro rifugi, come è stato fatto nelle grotte
afgane. Per queste operazioni, trent'anni fa gli Stati Uniti hanno
impiegato 72 milioni di litri di defolianti ed erbicidi, 100.000
tonnellate di bombe al napalm e al fosforo bianco, oltre a gas nervini
e altre armi non convenzionali. Gli agenti chimici venivano riforniti
da Monsanto, Dow Chemical, Hercules, Uniroyal, ecc.
Un medico vietnamita, Le Cao Dai, ha recentemente pubblicato un libro
"Agent Orange in the Vietnam War-Story and Consequences" nel quale
denuncia fatti e misfatti di quei veleni potenti; il peggiore di tutti
per persistenza e per i suoi effetti sull'uomo, sugli animali, e
sull'ambiente, e dunque sulla catena alimentare e sul biochimismo
cellulare, resta l'agente Orange.
La diossina 2,3,7,8-tetraclorodibenzoparadiossina(TCDD), composto
organico clorurato, risulta altamente tossica, tanto da essere
assolutamente proibita per uso agricolo come diserbante.
Per la diossina non si conoscono ne' antidoti ne' agenti decontaminanti
di sicura efficacia, data la sua struttura molecolare altamente stabile
e resistente agli acidi e agli alcali. Sono stati confermati, oltre
agli effetti immediati di tossicità o a scadenza più o meno lunga, come
il cloroacne devastante la cute, anche gli effetti cancerogeni e
mutageni. Sono stati sufficienti poche centinaia di grammi di diossina
dopo il disastro industriale per contaminare nel luglio del 1976 la
zona di Seveso-Meda in provincia di Milano. Sulla foresta vietnamita
sono stati irrorati 44 milioni di litri di agente Orange, pari a 170
chilogrammi di diossina.
Lo scopo delle irrorazioni era duplice, quello di "stanare il nemico" e
quello di inibirne i raccolti e prenderlo per fame, contro tutte le
convenzioni internazionali sul diritto bellico umanitario.
Il medico produce dati inoppugnabili, che attestano che ancora dopo
tanti anni 100.000 adolescenti, nati dopo un lungo periodo dalla fine
del conflitto, soffrono di gravi patologie, e che complessivamente un
milione di vietnamiti abbiano patito per la tossicità da diossina. Ogni
anno migliaia di bambini nascono con malformazioni e patologie, e molte
migliaia di adulti sviluppano malattie e forme tumorali dovute
all'azione dell'Agente Orange.
Ma l'Orange ha aggredito anche i militari americani presenti in
Vietnam, e i reduci veterani e le loro famiglie hanno intentato azioni
legali alle compagnie produttrici dei veleni irrorati usati nella
guerra chimica. Alla fine 70.000 danneggiati sono stati riconosciuti
dai tribunali come colpiti dall'Orange e hanno ricevuto congrui
indennizzi.
Ma chi indennizzerà il popolo del Vietnam?
Sicuramente le malformazioni e le malattie peseranno sulle teste dei
vietnamiti non si sa per quanto tempo, dato che l'azione teratogena e
mutagena può apparire anche nelle generazioni future.
E questo può bastare per capire quanto infame e ipocrita sepolcro
imbiancato sia il guerrafondaio Bush, che cerca dagli altri le armi di
distruzione di massa, che tiene celate nei suoi magazzini chimici e nei
suoi arsenali!

La Dow Chemical è anche una tra le aziende protagoniste
dell'occultamento delle risultanze sperimentali della cancerogenicità
del cloruro di vinile monomero (la sostanza responsabile delle morti a
Porto Marghera).
Questo viene evidenziato da uno studio della rivista "Zadig,
epidemologia e prevenzione", che cita testualmente documenti interni
alla società.
"La Dow si considerava anche «moralmente impegnata ad accertarsi che le
informazioni fornite dalle aziende europee rimanessero all’interno
della società, fino a quando non fosse stata data un’autorizzazione
formale a diffonderle». Per ottenere questo risultato la società aveva
ordinato che nessuno discutesse le ricerche europee, «nemmeno
all’interno della società», a meno che a farlo non fossero persone che
«avevano bisogno di sapere». E anche in questo caso, tale discussione
avrebbe dovuto ottenere un’autorizzazione"(3.5)
Nel 2001 la fusione tra i due imperi economici della chimica è
completa, ma la Dow Chemical -prevedibilmente- rifiuta di riconoscere
alle vittime di Bhopal i danni prodotti dalla assorbita Union
Carbide(4).
Il 9 febbraio 2001 Enichem (controllata di Eni) vende la sua divisione
Poliuretani alla Dow Chemical: è scoccata l'ora dell'ingresso di Dow
Chemical al petrolchimico di Porto Marghera (5); un simile ingresso con
cessione sarà invece impedito a Ravenna da mobilitazioni popolari nel
corso del 2001, a causa del tipo di produzione proposto dalla Dow
Chemical in quel sito; si trattava dell'impianto per la produzione di
glifosato, usato come diserbante nelle coltivazioni di prodotti
geneticamente modificati, resistenti perciò all'azione del glifosato
(6).

Bhopal e Marghera

Il nostro percorso è quasi concluso.
Riassumiamo: nel 1984 la Union Carbide con nubi di metil-isocianato
(2.5) inonda la baraccopoli di Bhopal, il suo massimo dirigente si dà
alla macchia, qualche anno dopo la Dow Chemical la assorbe, la stessa
multinazionale nega i risarcimenti agli indiani, e acquisisce nello
stesso periodo successivamente una fabbrica di Marghera.
E qui la storia si chiude con "l'incidente" del 28 novembre 2002,
quando una nube di toluene-isocianato (7) si diffonde nell'aria di
Marghera ed appesta i polmoni dei suoi abitanti. 4 feriti fra i
lavoratori nell'impianto.

Bhopal a Venezia

Ma la storia ha anche un suo tragico paradosso. Alla Fondazione Querini
Stampalia si è appena conclusa la mostra fotografica Bhopal a Venezia,
organizzata nella città lagunare da Greenpeace, con l'obiettivo
dichiarato di portare l'attenzione in città sulla pericolosità degli
impianti chimici, soprattutto quelli in via di dismissione.
Inutile dire che nel 90% degli articoli che riguardano l'esplosione del
28 novembre non troverete nessun riferimento alla storia della Dow
Chemical e della Union Carbide a Bhopal. A volte un semplice cambio
d'abito aiuta...

PS: la Dow Plastic, settore plastico della Dow Chemical, ha ricevuto
riconoscimenti internazionali per il suo aiuto al piano VNAH
(Assistenza agli handicappati vietnamiti). Qualcuno si era
probabilmente dimenticato che quegli handicaps erano stati provocati da
alcune delle invenzioni belliche della stessa multinazionale, che ora
andava fiera di tanto generoso aiuto…vampirizzazioni..!
(http://www.modplas.com/humanitarian_1102

Ultime notizie sulla Dow Chemical

La multinazionale Dow Chemical fa causa alle sue vittime: questa
incredibile vicenda viene denunciata da Greenpeace e sta accadendo in
India. La Dow, che nel 2001 si è fusa con la Union Carbide, ha chiesto
10 mila dollari ai sopravvissuti della tragedia di Bhopal. Questi si
sarebbero resi colpevoli di aver interrotto il lavoro della Compagnia a
Bombay, avendo promosso una manifestazione di due ore davanti alla sua
sede.
Si tratta dell'ultimo tassello di una tragedia che da 18 anni colpisce
gli abitanti di Bhopal, dopo la catastrofe ambientale avvenuta nella
notte fra il 2 e il 3 dicembre del 1984, per l'esplosione della
industria della fabbrica di pesticidi, dovuta ai tagli sulle misure di
sicurezza: dopo la fuoriuscita di 40 mila tonnellate di gas letali, tra
cui isocianato di metile e acido cianidrico, il bilancio fu di 8 mila
morti nei primi tre giorni, con mezzo milione di persone seriamente
intossicate.
Nel corso degli anni si calcola che siano deceduti almeno 20 mila
abitanti, e che ancora oggi ne muoia uno al giorno per le conseguenze
di quel disastro. Il numero immediato delle vittime fu altissimo, ma le
conseguenze della tragedia furono sicuramente peggiori.
A tutt'oggi l'area del disastro non è stata bonificata e l'impianto è
rimasto nelle condizioni di 18 anni fa, con i prodotto letali ancora
stoccati in bidoni che fanno fuoriuscire il loro contenuto tossico. Di
conseguenza vengono inquinate le falde acquifere e i campi coltivati:
altissimo è ancora adesso il numero di tumori, aborti, e malformazioni
neonatali.
Per indennizzare le vittime è stato stipulato un accordo vergognoso fra
il governo Indiano e la Compagnia, su una base di 473 milioni di
dollari, pari ad una media di 400 dollari per persona deceduta. Si
tratta di briciole, considerando il fatturato annuo pari a 26 miliardi
di dollari.
della Dow Chemical, che ha acquisito la Union Carbide con tutte le sue
attività e benefici, ma che deve accollarsi anche le passività e le
responsabilità del disastro.
Chiaramente gli abitanti di Bhopal si sono dichiarati insoddisfatti.
Pertanto il 2 dicembre scorso, nell'anniversario della catastrofe,
alcune centinaia di donne hanno sfilato sotto la sede della Dow
Chemical, a Bombay, chiedendo alla multinazionale americana di non
ignorare le sue responsabilità.
Le donne hanno consegnato campioni di terra e acqua inquinata,
prelevati dai dintorni della fabbrica dismessa e abbandonata; le donne
avevano in mano le Jhadoo, le scope tradizionali simbolo del potere
femminile, che volevano ricordare alla Dow la necessità di una bonifica
del territorio.
Tra le altre richieste, indennizzi più elevati, ma soprattutto
l'estradizione dagli Stati Uniti di quel Warren Anderson, a quel tempo
amministratore delegato della Union Carbide tuttora ricercato
dall'Interpol.
Le donne venivano ricevute da un funzionario della Dow, che le
rassicurava di far presenti le loro rivendicazioni alle "alte sfere"
della multinazionale. La risposta di queste "alte sfere" è stata la
richiesta di 10 mila dollari di danni per "perdita di lavoro".


(2.5) http://www.panna.org
(3) http://www.corpwatchindia.org/issues/PRT.jsp?articleid=64
(3.5) http://www.zadig.it/
(4) http://www.corpwatchindia.org/action/PRTA.jsp?articleid=1143
(5)
http://www.eni.it/italiano/notizie/comunicati/comunicati01/cs_09_02.html
(6) http://contropiani2000.org/bsf/cs/kontroverso_glisolfato.htm%c3%b9
(7)
http://www.repubblica.it/online/cronaca/marghera/marghera/marghera.html
(8) http://www.greenpeace.it/bhopal/


=== 3 ===

http://www.ansa.it/balcani/serbiamontenegro/20041130175933176674.html

AMBIENTE:SERBIA; ISPEZIONI PANCEVO, CORAGGIOSI CERCANSI/ANSA

(di Beatrice Ottaviano) (ANSA) - BELGRADO, 30 NOV - Apparentemente e'
una cittadina come tante, con il vantaggio di ospitare fabbriche
funzionanti in un paese, la Serbia, dove la disoccupazione si avvicina
al 50% della forza lavoro. Ma Pancevo, una decina di chilometri a est
di Belgrado, e' un vero e proprio 'pozzo dei veleni' che detiene il
poco invidiabile record nazionale di decessi per cancro e leucemia. La
situazione e' talmente grave che da tre anni a questa parte non si
trova nessuno, nonostante offerte di stipendio allettanti, che voglia
prendere il posto di ispettore per l'ambiente. Pancevo ha cominciato a
monitorare solo recentemente, da un paio d'anni, la portata del
disastro, grazie a un programma di aiuti varato dal ministero italiano
per l'ambiente in collaborazione con le province di Venezia e di
Ravenna. I dati sono piu' che allarmanti: solo nell'ultimo fine
settimana i livelli atmosferici di benzene, toluolo e diossido di
carbonio (sostanze tutte altamente cancerogene) superavano di oltre 100
volte la soglia di rischio, senza voler tenere conto di altre sostanze
inquinanti come il diossido di zolfo. ''La casistica sanitaria e'
catastrofica - dice la dottoressa Sonja Dietrov, dell'ospedale locale -
a Belgrado, il centro oncologico ha addirittura battezzato col nome di
'Pancevac' un tipo di cancro ai polmoni. Solo oggi ho personalmente
diagnosticato dieci tumori. La nostra cittadina conta in tutto 140.000
abitanti''. Al primo posto, sottolinea il medico, e' il carcinoma
mammario, seguito dai tumori dell'apparato respiratorio e dalla
leucemia infantile: ''Qui si registra fra l'altro il numero piu' alto
di gravidanze problematiche del Paese'', sottolinea Dietrov. Ma se si
cercano dati precisi e statistiche ufficiali sui decessi, ci si scontra
con un impenetrabile muro di gomma. Il problema di Pancevo nasce da una
concentrazione particolarmente alta di industrie pertrolchimiche - la
cittadina ospita tra l'altro la piu' grande raffineria di petrolio
della Serbia - e di fertilizzanti. Le fabbriche, gia' obsolete, sono
state gravemente danneggiate dai bombardamenti della Nato contro la
Jugoslavia della primavera del 1999, e alcuni impianti sono stati
riattivati in fretta e furia con soluzioni a dir poco provvisorie.
''Sistemi di filtraggio non ce ne sono o non funzionano - dice all'Ansa
Shimon Banciov, uno dei pochi coraggiosi che effettuano i monitoraggi
nell'area - e d'altro canto sono troppo costosi, stando ai direttori
delle aziende''. A un primo sguardo, il centro non sembra
particolarmente inquinato, se si eccettua qualche pennacchio di fumo
dalle ciminiere ''Ma non e' quello che si vede a essere davvero
pericoloso - sottolinea Slavica Jovanovic, giornalista di radio Pancevo
- le sostanze piu' letali sono invisibili e inodori. E le autorita'
locali mentono su tutta la linea. Figurarsi che i dati ufficiali
mettono al primo posto tra i fattori di inquinamento il traffico: ma
Pancevo non e' una metropoli''. ''Questo fine settimana e' stato
particolarmente disastroso - prosegue Jovanovic - e gli enti per la
salute pubblica hanno sfoggiato la consueta ipocrisia: hanno
consigliato ai cittadini di rimanere chiusi in casa con le finestre
sbarrate. La miglior cosa da fare forse era una evacuazione di massa''.
Tra le iniziative rese possibili dall'aiuto italiano, c'e' il
monitoraggio di quello che i cittadini di Pancevo considerano il cuore
del pozzo dei veleni, Vojlovica, un quartiere a sud all'incrocio fra
tre grandi complessi chimici e petrolchimici. ''Quella zona e' anche la
piu' coltivata dagli agricoltori locali - prosegue Jovanovic - per cui
i prodotti che troviamo al mercato contengono tutti la loro brava dose
di sostanze cancerogene. I contadini hanno imparato a mentire quando si
chiede loro dove abbiano i campi''. A Vojlovica, annuncia Banciov,
verra' piazzata una nuova unita' di misurazione appena arrivata
dall'Italia: ''Ho quasi paura all'idea di leggere i dati che ne
verranno fuori. Vorrei raccontarvi quello che potrebbe sembrare un
aneddoto: dato che non abbiamo nostri esperti, abbiamo mandato i dati
di un campione dell'aria di Pancevo a Chicago. Il dottor Martin Eugin,
che ha ricevuto le cifre, ci ha chiesto per tre volte conferma. Ci ha
detto che se le quantita' sono queste, e nessuna immediata misura
verra' presa, siamo di fronte a un reato penale, quello di strage''.
(ANSA). OT 30/11/2004 17:59

VEDI ANCHE:
Pancevo: Come si vive in una città in cui i cittadini possono solo
sognare l’aria pulita / Dieci diagnosi di cancro solo in un giorno a
Pancevo
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3973

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SEE THE ORIGINAL TEXT AT:
http://globalresearch.ca/articles/CHO404B.html

La NATO ha volutamente causato una catastrofe ambientale in Jugoslavia

di Michael Chossudovsky

Con questa sua relazione, pubblicata per la prima volta nel 2000,
Michael Chossudovsky ha fornito un documento definitivo e la prova
fotografica che, contrariamente a quanto dichiarato da vari osservatori
internazionali, la catastrofe ambientale del petrolchimico di Pancevo
non fu un "danno collaterale" (ovvero un incidente di guerra),
tantomeno un caso di negligenza criminale (intesa come il risultato di
un’indifferenza criminale per le conseguenze).
La prova è schiacciante. La NATO fece saltare in aria, intenzionalmente
e meticolosamente, container di sostanze chimiche tossiche con
l’obiettivo di creare un inferno ecologico.


All’inizio della guerra, la NATO aveva dato rassicurazioni all’opinione
pubblica mondiale riguardo alla “precisione nel colpire gli obiettivi”
e all’uso di armi sofisticate, allo scopo di evitare “danni
collaterali”, rischi ambientali inclusi:

“Facciamo tutto il possibile per evitare inutili danni collaterali.
Abbiamo preso la cosa molto sul serio, lavorato sodo, investito molto
tempo per pianificare le missioni.” (1)

Nel complesso petrolchimico di Pancevo, alla periferia di Belgrado,
invece, è successo proprio il contrario. La sorveglianza aerea e
l’utilizzo di immagini termiche satellitari non sono state utilizzate
soltanto per bloccare l’industria petrolchimica jugoslava, ma anche,
appositamente, per generare un disastro ambientale.

I raid aerei sul complesso di Pancevo iniziarono il 4 aprile 1999 e
continuarono inesorabilmente fino al 7 giugno. Del complesso di Pancevo
faveva parte anche una raffineria petrolifera (costruita con supporto
tecnico della Texaco) e un impianto per produrre un fertilizzante
agricolo chimico. L’impianto petrolchimico venne completamente
bombardato (41 bombe e 7 attacchi missilistici). Le aree bombardate si
trovavano a meno di 200 metri da abitazioni civili.

All’inizio del conflitto, gli operai dell’impianto furono coinvolti
nella rimozione dei materiali tossici, svuotando molti grandi serbatoi
e container di sostanze chimiche, soprattutto proprio al fine di
evitare i rischi di “danni collaterali”. Poco a poco capirono che la
Nato li stava osservando attraverso i sistemi di sorveglianza aerea e
da satellite. Le immagini termiche permisero agli strateghi militari
della NATO di sapere quali container erano stati svuotati e quali
rimasti pieni.

Tutti i manufatti nell’impianto di Pancevo, compresi i container pieni
di sostanze chimiche, emettono raggi infrarossi. I misuratori termici
possono captare, da una spia satellitare o da un aereo, i raggi
infrarossi emessi da qualsiasi oggetto collocato situato all’interno
dell’impianto petrolchimico e trasformare le letture in un video ad
alta risoluzione o in una foto.

I misuratori termici possono captare differenze di temperatura di 0,1
gradi, consentendo agli strateghi della NATO di “classificare” e
distinguere facilmente i container pieni da quelli vuoti. Gli aerei da
guerra NATO possedevano diversi sistemi avanzati come sensori
infrarossi e elettro–ottici. Le immagini satellitari termiche furono
trasmesse dal Centro aereo di operazioni combinate (CAOC) di Vicenza,
Italia, dove furono decisi gli attacchi dei bombardieri. Vennero anche
utilizzati altri sistemi di sorveglianza avanzata compresi i piccoli
aerei senza pilota (UAV), e aerei spia d’alta quota U2.
Secondo quanto riferito da un portavoce del Pentagono, l’U2 “scatta la
foto da un’ altitudine molto elevata, la rinvia in America dove viene
analizzata”. Da là “le coordinate esatte dell’obiettivo” vengono
passate al CAOC di Vicenza che poi le “trasmette ai piloti". (2)

Gli strateghi NATO possedevano inoltre informazioni dettagliate sulla
disposizione dell’impianto, pensato e realizzato da una multinazionale
edile americana, la Foster Wheeler (un’impresa specializzata nella
costruzione di impianti petrolchimici). La NATO sapeva benissimo dove
stavano le cose. Con crudele ironia, un investimento statunitense in
Jugoslavia (finanziato con denaro prestato dalla World Bank) è stato
bombardato dallo zio Sam. I piloti in cabina sapevano di distruggere un
impianto “made in America”?

Molti container erano stati svuotati. Usando i rilevatori termici la
NATO era in grado di identificare quali serbatoi erano ancora pieni di
sostanze chimiche tossiche. Tra questi liquidi nocivi c’erano serbatoi
di etilene-dicloride (EDC), etilene, cloro, cloro-idrogeno, propilene,
e cloruro di vinile monomero (VCM). Come ben dimostrato dagli
ambientalisti, il cloruro di vinile monomero (CVM) usato per produrre
materie plastiche (es. resina PVC) è una pericolosa sostanza inquinante
e cancerogena. Può anche provocare danni al cervello e al fegato, oltre
che ai feti con gravi deficienze alla nascita.

Se l’unico intento della NATO fosse stato quello di chiudere
l’impianto, senza rischi ambientali “collaterali”, essa avrebbe potuto
farlo bombardando le attrezzature e i macchinari. Perché colpire con
tanta precisione anche i serbatoi con i liquidi tossici?

Le "bombe intelligenti” non erano stupide: andavano dove gli era stato
comandato. La NATO ha selezionato scrupolosamente i container, le
cisterne e i serbatoi cha contenevano ancora sostanze tossiche. Secondo
il direttore dell’impianto petrolchimico, la NATO non ha colpito
nemmeno un solo container vuoto: “Non è stato un caso, ha scelto di
colpire quelli pieni e le sostanze chimiche si sono riversate nel
canale che sfocia nel Danubio”. Inoltre, secondo il direttore
dell’impianto, le fuoriuscite di etilene–dicloride (EDC) hanno
contaminato 10 ettari di terreno nelle vicinanze dell’impianto (3)

Quando le bombe intelligenti colpirono i loro venefici obiettivi a
Pancevo, liquidi e vapori tossici si diffusero nell’aria, nell’acqua e
nel terreno. I container furono fatti esplodere o perforati
intenzionalmente. Nel complesso petrolchimico il terreno è ancora
imbevuto di etilene-dicloride tossico.
Secondo una relazione del Centro Ambientale Regionale per l’Europa
Centrale e Orientale (REC):

“Nel Danubio sono state riversate più di mille tonnellate di
etilene-dicloride provenienti dal complesso petrolchimico di Pancevo
(attraverso il canale che collega l’impianto al fiume). Più di mille
tonnellate di natrium idrossido fuoriuscirono dal complesso
petrolchimico di Pancevo . Circa 1.000 tonnellate di idrogeno-cloro
confluirono nel Danubio”. (4)

Otto tonnellate di mercurio si riversarono nel terreno. Anche
l’impianto per il trattamento delle acque venne bombardato,
contribuendo così ad aggravare l’impatto ecologico. (5)

Gli strateghi militari NATO sapevano con precisione cosa stavano
facendo e quali ne sarebbero state le conseguenze. Il 4 aprile, nella
raffineria vicina, due missili NATO colpirono le stanze di controllo
uccidendo tre membri dello staff. L’impianto si incendiò riducendosi a
un ammasso di macerie tossiche. Lo scopo era provocare un disastro
ambientale. La NATO si aspettava che, bombardando senza pietà Pancevo e
atre zone abitate da civili, il risultato sarebbe stato di intimidire
Belgrado forzandola ad accettare l’Accordo di Rambouillet, compresa la
famigerata Military Appendix [l'"Allegato B" del testo proposto dalla
delegazione statunitense] che, essenzialmente, garantiva alla NATO il
diritto di occupare tutta la Jugoslavia.

A seguito dei bombardamenti, i Verdi tedeschi e gli esperti del
Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), oltre ad altri gruppi,
visitarono l’impianto di Pancevo. La relazione dell'UNEP tralascia gli
effetti ambientali causati dai bombardamenti, mentre sottolinea, nelle
sue conclusioni principali, che Pancevo e altri impianti petrolchimici
del paese erano già a rischio ecologico, ancor prima dei bombardamenti,
a causa del basso livello degli standard ambientali. (6)
La relazione UNEP usa attentamente le parole per fungere da copertura.
Copre la NATO, minimizza la serietà della catastrofe ambientale, mentre
biasima (senza fornire prove) le autorità jugoslave. Il sostegno tacito
dell'UNEP alla legittimità dell’alleanza militare occidentale arriva a
fargli formulare risultati che contraddicono quelli di altri studi
scientifici, compresi quelli del Regional Environment Center per
l’Europa Centro-orientale (REC), realizzati per la Commissione Europea.
(4).

La complicità dell'UNEP, un’agenzia specializzata dell’ONU che ancora
si ritiene mantenga un minimo di integrità, è un ennesimo sintomo del
deterioramento del sistema delle Nazioni Unite che sta svolgendo un
fondamentale ruolo nel fornire copertura ai crimini di guerra della
NATO.

[ FOTO: 1. Una "bomba intelligente" ha colpito questo container con
precisione assoluta 2. Il container sulla destra e' stato bersagliato
dalla NATO perche' era pieno di VCM, altamente cancerogeno. (Vedi alla
URL:
http://globalresearch.ca/articles/CHO404B.html) ]

Note

(1) Dichiarazione del Generale Chrles Wald del Pentagono, Dipartimento
Difesa, Conferenza Stampa, Washington, 12 Aprile 1999.
(2) Dipartimento Difesa, Conferenza Stampa, Washington, 14 maggio 1999.
(3) Intervista realizzata dall’autore a Pancevo, Marzo 2000
(4) Si veda la relazione del REC intitolata “Valutazione dell’impatto
ambientale delle attività militari durante il conflitto in Jugoslavia”:
http://www.rec.org/REC/Announcements/yugo/background.html
(5) Intervista realizzata dall’autore a Pancevo, Marzo 2000
(6) Relazione UNEP dal titolo “Conflitto in Kosovo: Conseguenze per
l’ambiente e la popolazione”, realizzata per la Commissione Europea:

www.grid.unep.ch/btf/final/index.htmlhttp://www.grid.unep.ch/btf/final/
index.htm

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