Informazione


Nell'ambito del SETTEMBRE DANTESCO 2010 
XVI rassegna di conversazioni e letture internazionali
LA DIVINA COMMEDIA NEL MONDO

Basilica di San Francesco/Tomba di Dante - Ravenna, Italia 

Venerdì 24 settembre 2010 
ore 21 (durata 1 ora e 30’)

Conversazione sulla presenza di Dante in Serbia 
e sull’ultima versione della Divina Commedia in lingua serba (2007), 
a cura e traduzione del poeta Kolja Mićević. 

Partecipano le esperte: 
Maria Rita Leto, dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara; 
Mirka Zogovic, dell’Università di Belgrado.
A conclusione, lettura in italiano e serbo del XII canto del Purgatorio con Alessandro Sorrentino e il traduttore Kolja Mićević.
Conduce le conversazioni Alessandro Gentili
a cura di Walter Della Monica
A conclusione consegna del “Lauro dantesco” ai partecipanti e all’Ospite d’onore
All’organo Paola Dessì Fabrizio Galeati

Ingresso libero

Fonte: Società Dante Alighieri
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Kolja Mićević è forse l'unico al mondo ad aver tradotto la Divina Commedia in due lingue: dapprima in francese e poi in serbo.
La traduzione francese - pubblicata in una edizione privata dallo stesso Mićević - è in rima, laddove i traduttori francesi avevano sempre creduto che questo fosse impossibile da realizzare. 
La traduzione serba, in terzine "intrecciate" secondo quando è solito dire lo stesso traduttore, è stata pubblicata dalla casa editrice "Rad" di Belgrado due anni fa.
Una interessante intervista a Kolja Mićević, dove tratta anche della poesia di Dante, è visionabile su YouTube:


(a cura di DK e AM)



Strategia della tensione giornalistica in Italia / 2: I terroristi della carta stampata



La bufala dell’attentato al papa rimette a nudo la pochezza del giornalismo italiano


di Gennaro Carotenuto, domenica 19 settembre 2010, 08:01

La vicenda dei sei spazzini nordafricani che si sono presi un grosso spavento a Londra, brevemente arrestati e poi rilasciati con tante scuse, non ha fatto il giro del mondo per manifesta inconsistenza (la BBC ha parlato al massimo di “possibile minaccia”, altro che piani omicidi), ma ha messo sull’attenti con poche eccezioni, Avvenire, Osservatore Romano, Manifesto, l’intera stampa italiana. E’ l’ennesimo caso da studiare di pressapochismo, manipolazione e uso strumentale delle (false) notizie per fomentare paura, odio e razzismo.


“Erano pronti a colpire il papa” titola [  http://www.gennarocarotenuto.it/img/Labufaladellattentatoalpaparimetteanudol_8E99/Corriere.jpg ] a tutta pagina il più autorevole (sic) quotidiano italiano, il Corriere della Sera, che millanta addirittura l’esistenza di una “cellula” della quale nessuna fonte ufficiale britannica ha mai parlato. “Volevano uccidere il Papa” fa eco il Messaggero, il più venduto quotidiano regionale della capitale, inventando totalmente la scoperta di un piano omicida. E’ lo stesso virgolettato che troviamo anche sulla prima del Giornale. Dov’è questo piano? In quale dichiarazione di Scotland Yard si parla di un piano omicida?

Sui nostri giornali il titolo sul falso attentato al Papa compete solo con la morte del soldato delle truppe speciali in Afghanistan Alessandro Romani. A dire il vero la storia sulla “Task Force 45” (i corpi d’elite del nostro esercito alle dirette dipendenze della NATO usati in azioni di eliminazioni di nemici) alla quale apparteneva il Rambo caduto, sarebbe una vera notizia che aprirebbe l’ennesimo dibattito sull’ipocrisia retorica della “missione di pace”. I giornali lo sanno e scelgono di bucare la notizia.

Anche chi sceglie di aprire su Romani pubblica la notizia sui falsi attentati in grande evidenza: “Volevano assassinare il Papa. I fermati sono islamici” sparacchia Repubblica. Praticamente uguale il titolo della Stampa con quella parola ISLAMICI strillata con un corpo enorme e che campeggia anche sul Resto del Carlino. Libero mette la cosa in taglio basso (si sa che Elisabetta Tulliani è il sogno erotico di Maurizio Belpietro) ma specula: “Volevano ammazzare il Papa. Ci riproveranno”. WWWWW? Chi? Cosa? Quando? Dove? Perché? Sai qualcosa? E’ un tuo pregiudizio? O stai semplicemente diffamando? Islamici, islamici, islamici, il pericolo islamico rappresentato perfino da una mamma velata che va a prendere i figli a scuola.

Quindi i più grandi giornali italiani, ovvero i più grandi veicoli di razzismo, allarme sicurezza e islamofobia, hanno coscientemente deciso di non fare opportune verifiche e, trattandosi di papa da santificare e musulmani da demonizzare, pur nell’assoluta mancanza di qualunque fatto concreto e, nonostante abbiano avuto tutto il giorno per pensarci, hanno infine deciso di sparare la notizia infondata in prima pagina, quasi sempre in apertura. Non solo: hanno inventato di sana pianta dettagli per rendere il falso più clamoroso.

Eppure fin dall’inizio la notizia era sembrata scarsamente fondata, figlia di quegli elevatissimi standard di sicurezza nella Londra colpita davvero dal terrorismo di matrice islamista nel 2005 e che portarono all’assassinio del cittadino brasiliano Jean Charles de Menezes crivellato di colpi perché aveva carnagione scusa e fretta di prendere la metropolitana. I sei avevano fatto qualche battuta ad alta voce al pub (troppa birra, la bevanda preferita dei talebani?), erano stati ascoltati e la polizia londinese aveva preferito levarli di torno per qualche ora. Già al TG7 di venerdì sera Enrico Mentana sottolineava come la cosa fosse destinata a rivelarsi infondata, senza armi, senza piani, senza niente. Volete che quello che sapeva Enrico Mentana alle otto di sera non fosse noto alla chiusura, varie ore più tardi, ai direttori dei grandi giornali, ai Ferruccio de Bortoli o agli Ezio Mauro?

La cosa notevole, e che rende ancora più basso il comportamento dei grandi giornali è che proprio i quotidiani cattolici, l’Avvenire, l’Osservatore romano pur aprendo sul viaggio del pontefice, hanno dato un rilievo minimo alla cosa. Evidentemente sapevano (come gli altri) che la notizia era una bufala, sapevano che non c’è bisogno di riverire in questa squallida forma il papa e sapevano e sanno che è infame pescare nel fango di una notizia falsa per rilanciare ancora più odio antislamico. Adesso i sei cittadini nordafricani dovrebbero chiedere di rettificare e il Corriere, se fosse un giornale serio, dovrebbe titolare a tutta pagina: “la cellula islamica era nella nostra testa malata di odio”.

Scotland Yard, nello scusarsi con i sei spazzini, ha parlato di “minaccia non credibile”. Anche i nostri giornali sono “non credibili”. Ma sono “una minaccia”.




La Germania e il separatismo in Italia

1) Grandezza tedesca (GFP 13/9/2010)
2) Conversazione con Pierre-Marie Gallois (Limes 4/1997)
3) Note per un profilo di Pierre-Marie Gallois


Le attuali polemiche attorno all'allontanamento di Alessandro Profumo dal Gruppo Unicredit, a causa delle pressioni provenienti dalla Germania ed in un contesto in cui la Lega assume un peso determinante nelle scelte politico-finanziarie (a), riportano in primo piano il ruolo che l'imperialismo tedesco esercita nei confronti dell'economia italiana, specialmente nel Nord-Est dove esso alimenta spinte separatiste. All'argomento è dedicato l'articolo "Deutsche Größe", da noi già diffuso nell'originale tedesco (b) e qui presentato in lingua italiana nella traduzione di Curzio Bettio.

Il tema non è certo nuovo (c). La rivista LIMES già in tempi "non sospetti" dedicava interi fascicoli (si vedano ad esempio i numeri 3/1996 e 2/1997) ai "leghismi" europei di marca tedesca. Qui riproponiamo sul tema una conversazione con il generale Pierre-Marie Gallois curata da Jean Toschi Marazzani Visconti, pubblicata proprio su LIMES n.4/1997. 
E' per noi questo anche un modo per ricordare Gallois, già stretto collaboratore di De Gaulle, indefesso difensore della sovranità francese e degli altri Stati europei e soprattutto - per noi - autorevolissimo critico dello squartamento della Jugoslavia voluto in primis da Germania e USA. Gallois è scomparso poche settimane fa, all'età di 99 anni. Come ci ha scritto Jean T. Marazzani Visconti, che ha avuto modo di conoscerlo, di intervistarlo e di stimarlo, "gli uomini come lui stanno sparendo come dinosauri". 

(c) Sul nostro sito si veda anche "Europa. Unione e disgregazione": https://www.cnj.it/documentazione/europaquemada.htm 


=== 1 ===

GRANDEZZA TEDESCA

Roma/Berlino/Veneto (13 settembre 2010)

Le élite del mondo economico italiane celebrano il modello di potere tedesco e si propongono come seguaci del potere egemonico europeo. La causa risiede nell’ulteriore declino della performance economica italiana, che va ad accrescere il divario dell’Italia dalla Repubblica federale. La “locomotiva tedesca è tornata nuovamente a correre e questo deve essere assunto come modello politico”, così si esprime la stampa liberista italiana. “Il motivo principale per il successo dell’economia tedesca è la docilità dei sindacati, che si sono dedicati ad una assoluta cooperazione fra capitale e lavoro”, dichiara Giuseppe Vita, presidente del Gruppo Banca Leonardo, vicepresidente di Allianz Italia e presidente del comitato di sorveglianza di Axel Springer AG.
Vita concepisce l’economia italiana in “simbiosi” con la Germania. La situazione desolante delle finanze di Roma attiva forze centrifughe, che mirano ad una frammentazione del territorio italiano. Il carico del debito pubblico italiano aumenta di mese in mese. Il debito pubblico dell’Italia aumenta di continuo dai 1.787 miliardi di euro in gennaio e ha raggiunto in maggio il valore di 1.827 miliardi. Il deficit di bilancio del commercio con l’estero nei primi cinque mesi del 2010 ammonta a 11 miliardi di euro con un trend stabile. Con ciò, comunque, l’Italia occupa ancora una posizione di favore rispetto alla Francia, la cui bilancia commerciale rispetto allo stesso periodo registra un differenziale negativo di 25 miliardi di euro (la Repubblica federale di Germania un plus di 60 miliardi!). Nell’Italia centrale e meridionale, l’ordinaria attività edilizia si è considerevolmente ridotta e questo ha fortemente contribuito alla disoccupazione regionale. Insoddisfazioni riguardanti la situazione economica portano a scompaginare l’alleanza di governo romano, e si prospettano nuove elezioni.

Un ruolo speciale

Le irritazioni danno la stura a lodi sperticate dell’economia tedesca e del suo modello politico fondativo.
“Per il resto dell’anno, ci si aspetta una crescita tedesca al ritmo cinese”, ha scritto il Corriere della Sera, una specie di “FAZ” italiano. [1]
In un’intervista, Giuseppe Vita mette al corrente i lettori sulla “ricetta segreta” [2] della politica industriale di Berlino. Gli attuali consigli di amministrazione di numerose imprese tedesche, la Schering ha spianato la strada verso l'Italia e conosce i vantaggi della situazione tedesca, danno risalto al ruolo speciale recitato dai sindacati tedeschi.

Corporativi

Il loro concorso positivo alla competitività internazionale delle imprese tedesche dura ancora “dalla caduta del Muro” ed è aumentato fino alla “massima collaborazione” all’apparire della crisi del 2003, come rilevato da Vita.[3]
“Il capitale e il lavoro sanno di trovarsi sulla stessa barca e cercano insieme di stare a galla. Perfino perdite di reddito dovute alla riduzione dell’orario di lavoro sarebbero accolte senza contrasti dai sindacati tedeschi, se ciò risultasse di utilità per le imprese.”
Il modello aziendale così delineato da Vita consente all’economia tedesca di reagire “in modo molto più flessibile” rispetto ad altri paesi europei, dove la crisi ha generato licenziamenti di massa e la ripresa si rivela faticosa.

Identità

Le difficili condizioni italiane incoraggiano forze separatiste, che da anni puntano ad una scomposizione della società italiana. Così il movimento di destra della Lega Nord ha avuto successo non solo nel territorio che ha visto le sue origini, l’area del Milanese, il centro della ricchezza della borghesia italiana, ma anche cerca di aprirsi a nuovi strati di elettori in tutto il Nord Italia.
Il Duce della Lega Umberto Bossi, considerato dai suoi oppositori politici come un razzista, di recente si è esibito a Venezia, dove ha dato inizio allo scatenarsi di una campagna separatista: “Prima di tutto, il Veneto!” [4] L'obiettivo è il riconoscimento di una speciale “identità” della regione Veneto, che dovrebbe essere consacrata mediante emendamenti allo Statuto regionale. Sarebbe necessario che il Veneto disponesse di uno Statuto di autonomia, “al pari della Catalogna”.

Annessione territoriale

Dato che la Lega Nord minaccia l’integrità dello Stato centralizzato italiano attraverso delimitazioni territoriali, alla maniera spagnola, ritiene conveniente cedere alle particolari esigenze economiche delle classi medie del Nord-Italia.[5] Si pretende che la fonte diffusa di gettito fiscale generato nel Nord Italia non venga più messa a disposizione del Sud economicamente più debole.
Modello della campagna resta la politica delle élite di lingua tedesca in Alto Adige (“Südtirol”). Continue minacce di secessione, che vengono messe in gioco con una eventuale annessione all’Austria, trovano risposta da Roma con sovvenzioni milionarie. Il territorio intorno a Bolzano (Bozen) appartiene alle zone tra le più ricche in Italia ed è il trampolino di lancio dell’espansione economica tedesca, a cui il bilinguismo in Alto Adige offre un significativo vantaggio competitivo.

Simbiosi

Come afferma il manager italiano dell’Axel Springer Giuseppe Vita, l’economia italiana deve sperare che la sua funzione al servizio delle grandi imprese tedesche continui ad essere riconosciuta – come “principale fornitrice” [6] per la leadership delle esportazioni tedesche in tutto il mondo. Le attività periferiche delle piccole e medie imprese italiane sono indirizzate ad una “Simbiosi”: la grandezza tedesca unita ai... seguaci italiani.


Note:
[1] La locomotiva Germania riprende la corsa; Corriere della Sera 14.08.2010
[2] La ricetta segreta di Berlino; Corriere della Sera 14.08.2010
[3] Vita: il capitalismo renano? Ha anticipato l’Europa con le ristrutturazioni; Corriere della Sera 14.08.2010
[4] "Veneto come la Catalogna", bufera zu Zaia; Republica 13.08.2010
[5] s. dazu Zukunft als Volk [ http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56053?PHPSESSID=o4f32goo63481v6ok5aeai6mb5 ], Sprachenkampf [ http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57034?PHPSESSID=o4f32goo63481v6ok5aeai6mb5 ], Europa der Völker [ http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57038?PHPSESSID=o4f32goo63481v6ok5aeai6mb5 ] und Das deutsche Blutsmodell (IV) [ http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/57685?PHPSESSID=o4f32goo63481v6ok5aeai6mb5 ] Unsere Berichterstattung Spanien
[6] Vita: il capitalismo renano? Ha anticipato l’Europa con le ristrutturazioni; Corriere della Sera 14.08.2010

(trad. a cura di C. Bettio, Padova)


=== 2 ===

PERCHÉ TEMO LA GERMANIA (E LA TELEVISIONE)

Conversazione con Pierre-Marie GALLOIS
(Presentazione di Jean Toschi Marazzani-Visconti)

su LIMES n.4, 1997

IL 4 DICEMBRE 1996 A FLENSBURG, nel Nord della Germania, viene presentato ufficialmente il nuovo European Center for Minority Issues, Ecmi (Centro europeo per le questioni delle minoranze) dal suo direttore, Stefan Troebst, uno storico. Fra il pubblico presente alla cerimonia di presentazione si notano un’altezza reale e alte personalità. Gli obiettivi del Centro, secondo il testo di presentazione, sarebbero quelli di studiare le relazioni fra minoranze e maggioranze, creare la documentazione corrispondente, organizzare seminari e conferenze, intervenire per prevenire conflitti o per aiutare a risolverli.
Nello spiegare a cosa si riferisce la lettera i nella sigla Ecmi, Stefan Troebst dice: «(...) La scelta del termine, specificamente neutro, “ issues” (questioni) al posto di “problemi delle minoranze” è dovuta al fatto che in molti casi non sono le minoranze ad avere assurde pretese o a creare problemi, ma al contrario la pressione che i governi centrali tendono a mettere sulle loro minoranze produce richieste, problemi e di conseguenza tensioni e conflitti etnici».
Nella presentazione si legge ancora: «Il panorama geografico primario della nuova istituzione è l’Europa più in qualche caso le aree adiacenti, come l’Artico, la regione del Mar Nero o il Caucaso. Una speciale attenzione sarà posta, naturalmente, all’Europa orientale, dove, al risveglio del 1989, molte zone etnopolitiche calde sono riemerse. Ma, ricordando i titoli dei giornali di quest’anno (1996) sull’Irlanda del Nord, le province basche, la Corsica e Cipro, non dobbiamo dimenticare che non sono solo le regioni dietro la vecchia Cortina di ferro quelle in cui violenti conflitti etnici sono ancora irrisolti. Quando si tratta di diritti delle minoranze, anche alcune nazioni occidentali sono rimaste arretrate».
Ed ancora: «Lasciatemi citare un ammonimento di Max van der Stoel, dopo uno sguardo ai suoi primi quattro anni di servizio come Alto commissario delle minoranze nazionali dell’Osce, rivolto recentemente agli Stati membri dell’Osce: “Dobbiamo tenere gli occhi aperti per uno sviluppo a lungo termine, con attenzione ad anticipare le crisi future e non solo ai conflitti già esistenti”. Come storico, sono per principio riluttante a prevedere il futuro, ma per quanto riguarda le questioni delle minoranze, penso che la conoscenza della storia europea ci insegna che il processo di formazione delle nazioni non è – come noi occidentali tendiamo a presumere – finito. Al contrario, continua, e l’emergere di nuovi attori è altamente possibile». E infine: «Uno Stato, come sappiamo, non è solo simboli, corpi esecutivi e cittadini, ma prima di tutto un territorio. Se il numero di nazioni in Europa è infinito, il territorio decisamente non lo è. Ed è precisamente qui che si trova il nostro problema principale. Il politologo americano Samuel Huntington osservava che nel XX secolo la tendenza contro il divorzio politico, la secessione, è altrettanto forte di quella del XIX secolo contro il divorzio. Come tutti sappiamo oggi nella nostra società urbana ed industriale il divorzio è perfettamente accettato».
Poco dopo la presentazione del Centro di Flensburg, un diplomatico ed un sociologo tedeschi, Walter von Goldenbach e Hans-Rudiger Minow, scrivono il libro Von Krieg zu Krieg (Da guerra a guerra), sottotitolo: La politica estera tedesca e il frazionamento etnico dell’Europa. I due autori si recano a Parigi dal generale Pierre-Marie Gallois, uno dei maggiori esperti internazionali di geopolitica, e gli chiedono una prefazione. Presa visione della documentazione, Gallois li accontenta. Dopo l’uscita del libro, i due autori incominciano ad avere numerosi problemi, il sociologo Minow subisce anche un’aggressione fisica, al punto di desiderare di trasferirsi all’estero.
Uomo colto e raffinato, il generale Pierre-Marie Gallois ha una storia personale interessante. Prima di frequentare l’Ecole de l’Air di Versailles voleva diventare architetto e giovanissimo aveva lavorato in uno studio di architettura d’interni e luminarie esterne, famoso per aver creato le decorazioni luminose di Natale per i grandi magazzini Louvre e Galeries La Fayette negli anni Venti. Da questa esperienza il generale ha appreso l’arte del trompe-l’oeil, nella quale è tutt’ora molto abile. Pilota nella seconda guerra mondiale, aveva combattuto nella Royal Air Force, quale membro del contingente francese France Libre in Inghilterra. Come consigliere di numerosi presidenti, aveva convinto Charles de Gaulle a fare della Francia una potenza atomica.
Visionata la documentazione del Centro di Flensburg, il generale Gallois scrive un articolo sul numero di aprile ’97 di Balkans Infos – una lettera d’informazione mensile, nata nel 1996 a Parigi dall’incontro di giornalisti, scrittori, intellettuali, appartenenti ad un largo panorama politico, dalla destra alla sinistra, sotto la direzione di Louis Dalmas. Il suo intervento, dal titolo «Rivelazioni sul Centro che prepara sottobanco l’egemonia tedesca», svela che Ecmi dispone già di un organismo operativo, l’Unione federalista delle comunità europee (Ufce), anche questo a Flensburg, finanziato dal governo di Bonn e da quello regionale dello Schleswig-Holstein. Questa Unione federalista conterebbe oltre tre milioni di membri associati fra alsaziani, baschi, bretoni, catalani, corsi e probabilmente belgi e italiani. Nell’articolo, il generale Gallois sottolinea come proprio la diplomazia preventiva tedesca, auspicata da Stefan Troebst, ha fortemente contribuito allo smembramento della Jugoslavia.
Incontrato a Parigi, il generale Gallois risponde ad alcune domande sull’argomento, inserendolo in un più ampio panorama dell’attuale situazione internazionale.


LIMES Nel leggere la presentazione di questa nuova istituzione tedesca, lo European Center for Minority Issues, si ha l’impressione di una lodevole impresa.

GALLOIS Vi sono delle frasi nel testo che sono estremamente pericolose. In particolare sullo sviluppo delle aspirazioni delle minoranze, che potrebbero finire per frammentare l’Europa. La costruzione politica dell’Europa non è terminata e le sue frontiere non sono immutabili, si tratta di una costante evoluzione. Ieri i grandi imperi occupavano un vasto spazio, dove l’autorità si esercitava facilmente, poi questi spazi sono stati frazionati con l’avvento degli Stati nazionali. Oggi, secondo il Centro di Flensburg, questo momento dell’evoluzione della società europea sarebbe sorpassato e bisognerebbe arrivare ad un maggiore spezzettamento per favorire l’avvicinamento del potere alla popolazione. In Francia, per esempio, ci sono i baschi, i savoiardi, i bretoni che vogliono esprimersi in bretone, gli alsaziani che parlano tedesco. Per il Centro di Flensburg, la lingua sarebbe un elemento determinante, tanto che la frammentazione della Francia sarebbe possibile. Domani, potrebbero esserci uno Stato bretone, uno alsaziano e via di seguito.
Nel XVIII secolo, la Germania era composta da circa 350 piccoli Stati, fra ducati, marchesati, contee, vescovati, città libere e progrediva faticosamente verso l’unità, all’epoca in cui la Francia era fortemente centralizzata. Oggi, sarebbe in corso la tendenza inversa: una Germania federale, ma dal potere fortemente centralizzato, senza movimenti regionali separatisti, mentre la Francia, l’Italia, la Spagna, l’Inghilterra sarebbero composte di «etnie linguistiche» diverse, quindi portate alla divisione. Lo smembramento di questi Stati, su tutto il territorio europeo fino alle frontiere della Russia, potrebbe creare un’Europa in cui la Germania unificata, con più di 80 milioni di abitanti, ancora di più se si aggiunge l’Austria, uniti per lingua, passato e razza, dirigerebbe un vasto insieme di piccoli Stati, di regioni, di province sprovviste di attribuzioni politiche, diplomatiche e militari. Non resterebbe loro che un ruolo di amministrazione locale, di gestione della popolazione. Questo è inquietante.
I tedeschi sono eccellenti cartografi. I popoli che non hanno confini naturali cercano sulle carte dove fissare le frontiere. Presumo che, come il Centro di Geopolitica di Haushofer – consigliere di Hitler ed anche di Stalin, nel 1937-’38 – vi siano, oggi, dei gruppi di studio tedeschi che lavorino nell’ombra per preparare un grande futuro alla Germania. Sanno di non poter più speculare sulla supremazia della letteratura o della lingua, per cui rimangono loro l’economia – il culto del marco – e la regionalizzazione. Secondo uno di questi centri, uno Stato di 60 milioni di abitanti non è vitale, mentre una Regione di 3-4 milioni di persone può rispondere alle attese delle popolazioni. Se si arrivasse a convincere quelle popolazioni a «regionalizzarsi» – fuori dai confini della Germania, naturalmente – tutta l’Europa sarebbe sottoposta a Berlino. Allora ci si potrebbe domandare se il sacrificio degli sfortunati che sono morti nel corso delle due guerre mondiali per bloccare le ambizioni della Germania non sia stato inutile. In vent’anni, arriveremo allo stesso risultato, come se non ci fossero state guerre. Da questo punto di vista, il testo del Centro di Flensburg mi sembra molto interessante. 

LIMES Pensa che il mondo ebraico, dopo aver subìto l’Olocausto e le persecuzioni in tutta Europa, potrebbe accettare la realizzazione di un progetto assimilabile a quello del Terzo Reich?

GALLOIS Una delle caratteristiche della nostra epoca, comune a tutti i popoli, è la potenza dell’immagine televisiva. Grazie all’apertura sul mondo, l’immagine televisiva a livello planetario ha un immenso potere di convinzione. Questa immagine non ha frontiere. La scrittura ha un limite linguistico, oltre che culturale. Ma tutti possono comprendere il messaggio di un’immagine. Si tratta di un’importantissima svolta della nostra società.
Il potere esplicativo, ma anche di indottrinamento e di disinformazione, dell’immagine planetariamente diffusa è così grande che gli avvenimenti, i fatti, esistono solo se passano sugli schermi. Un esempio. Quando ha avuto luogo la crisi della Somalia, la televisione americana ha diffuso le immagini di gruppi di gente affamata, quasi scheletrica, e la rappresentazione di questa miseria, vista in tutto il mondo, ha mobilitato quarantamila uomini. Ma a qualche centinaio di kilometri da quella zona di indigenza, in Sudan, la popolazione animista e cristianizzata era caduta nella stessa miseria e per la stessa causa. Nessuno si è preoccupato per loro, perché le loro sofferenze non erano state riprese televisivamente. Le loro crudeli tribolazioni non esistevano e non esistono tutt’ora. Nessuna immagine, nessun fatto, un non-avvenimento.
L’immagine crea il fatto. Insisto su questo elemento per rispondere alla sua domanda. Oggi, quando si detiene il controllo della diffusione dell’immagine, si può far credere al pubblico ciò che si vuole che creda. Ho letto sul quotidiano Le Monde che cinque «saggi» si erano riuniti per rivedere la Costituzione francese e proporre un ricorso più frequente ai referendum, come era stato previsto da Charles de Gaulle. Ma questi «saggi» non hanno capito che un referendum popolare, oggi, non ha più senso, perché il potere detiene il controllo delle immagini televisive, farà diffondere dunque quelle che gli convengono e proibire quelle contrarie alle sue idee. Di conseguenza il referendum sarà affossato da una disinformazione intenzionale. Questo è un fenomeno importante.
Non si tratta più di una guerra aperta, ma di una penetrazione insidiosa attraverso la disinformazione. Ci si può sollevare contro l’invasore armato, con i suoi armamenti, la sua brutalità, le sue imposizioni di vincitore. Ma l’invasione dell’economia, della propaganda non è mobilitante. Se la Germania, ora superpotenza europea, vi facesse ricorso, riuscirebbe con simili mezzi dove aveva fallito con la guerra.
A lato della televisione, esiste un altro strumento d’indottrinamento, ugualmente importante perché è favorito dallo sviluppo economico. Si tratta della pubblicità. Supporto della quasi totalità delle attività economiche. Tutti i media, la stampa, la radio, la televisione si sviluppano grazie alla pubblicità di cui sono il supporto, collegando le imprese commerciali al pubblico dei consumatori. La pubblicità è uno dei motori dell’economia. Non c’è pubblicitario – ed è normale – che rinuncerebbe a una campagna pagante, dispiacendo un potenziale inserzionista con testi, argomenti, immagini che possano essere contrari alle tesi a cui tiene, o al suo paese se è straniero. Così disinformazione volontaria o pubblicità commerciale convergono nei loro effetti, per orientare in un certo senso il pubblico praticando il culto dell’immagine con quello dei media parlati o scritti. Qualsiasi sia la formazione intellettuale media, gli strumenti del condizionamento ormai esistono. Fra qualche anno forse, l’afflusso di informazioni fornito al pubblico neutralizzerà il potere d’indottrinamento dei media. Fino ad allora il mondo ebraico non obietterà alla germanizzazione dell’Europa, se verrà proposta in modo politicamente accettabile.

LIMES Effettivamente, lo statunitense Noam Chomsky nel suo saggio Illusioni necessarie sul rapporto tra mass media e democrazia, sostiene: «Nel sistema democratico, le illusioni necessarie non possono essere imposte con la forza. Devono essere istillate nella mente delle persone con mezzi più raffinati. In uno Stato totalitario è necessario un grado minore di adesione alle verità ufficiali. È sufficiente che la gente obbedisca: quel che pensa ha un’importanza secondaria. Ma in democrazia c’è sempre il pericolo che il pensiero indipendente dia origine a qualche azione politica, quindi è indispensabile eliminare tale pericolo alla base».

GALLOIS Oggi il ricorso al «pensiero unico» – in Francia le istituzioni vi sono inclini – trasforma la disinformazione in dogma, un dogma conforme all’aspettativa del potere politico. Sui media a grande diffusione, possono proporre le loro idee solo coloro che s’inquadrano nell’ordine del «pensiero unico». A poco a poco la democrazia tradizionale, contrapposta alla soluzione di problemi sempre più complessi, è diventata autoritaria nella misura in cui solo il potere è ritenuto detentore della verità. La tecnocrazia dirige una popolazione condizionata dai media controllati dal potere, direttamente o indirettamente, da gruppi finanziari che dipendono essi stessi dagli ordini del potere. In realtà la popolazione è meno libera di quanto lo era quando non esistevano questi metodi di indottrinamento collettivo, per esempio ai tempi delle monarchie che non disponevano per imporre la legge che di mezzi rudimentali, a volte brutali, ma limitati. A mio avviso, un’ora di televisione può avere più effetto di anni di scritti o discorsi.

LIMES Come pensa che l’Ecmi aiuterà i gruppi separatisti europei? Con sistemi ideologici, psicologici o più praticamente con finanziamenti?

GALLOIS Semplicemente suscitando o promuovendo dei sistemi politici che esigano il ricorso alla decentralizzazione. Per esempio, in Francia, incoraggiando la rivendicazione corsa, anche se i corsi, nel loro insieme, non si augurano il distacco completo dalla Francia. Nello stesso modo con i baschi, i bretoni, gli alsaziani, allo scopo di frazionare la nazione. L’Italia del Nord va divisa da quella del Sud. Esiste in questo caso, un procedimento sotterraneo. Se la Germania tende a scartare l’Italia dalla zona-euro – euromarco in verità – è per far intendere che accetterebbe l’Italia del Nord, ma non quella del Sud, al fine di incoraggiare la secessione.
Penso che l’idea di tenere gli italiani fuori dall’Europa monetaria è una politica che non concerne solo l’Italia, ma anche la Spagna, i paesi mediterranei di cui i nordici temono l’esplosione finanziaria. Si tratta per il «Nord» di edificare un’Europa politica «saggia» che condurrebbe a una Federazione europea. In ogni federazione, ci vuole un federatore, e non può essere altro che il componente dominante. Nella Federazione sovietica era la Russia. Nella Federazione jugoslava prevalevano i croati. In quella cecoslovacca, i cechi. Anche nella Federazione americana, per molto tempo, la costa dell’Est fu la culla dell’establishment.
Perché l’azione della Germania possa essere efficace, è necessario indebolire, quindi «sminuzzare» gli Stati europei. Il frazionamento dell’Italia, come quello della Francia, fa parte dello stesso programma. Viene utilizzato un pretesto economico: l’Italia del Nord non sopporterebbe il peso di quella del Sud, come la Croazia non sopportava quello della Serbia. Nel caso della Jugoslavia, tenuto conto delle regole internazionali, la Germania non poteva agire direttamente. Bisognava applicare una strategia indiretta. La creazione del gruppo Adria, precedente alla morte di Tito, aveva degli obiettivi culturali. Si trattava di un gruppo con lo scopo di far rivivere la brillante cultura dell’impero austro-ungarico, riunendo austriaci, ungheresi, sloveni, croati, italiani del Nord e bavaresi. Fintanto che questa organizzazione si occupava di cultura, di folklore, tutto andava per il meglio. Ma la Baviera, la regione più ricca del gruppo Adria, incominciò a finanziare soprattutto le formazioni culturali più sensibili all’indipendenza. Così sono state incoraggiate indirettamente le manifestazioni di separatismo ed è stato creato un sentimento anti-jugoslavo, che è all’origine della rottura. Tutto questo fa pensare che la stessa strategia possa essere utilizzata contro la nazione italiana, francese, spagnola e via di seguito.

LIMES Chi finanzia il Centro europeo per le questioni delle minoranze? Ritiene che sia un progetto realmente solido e che proseguirà nel tempo?

GALLOIS Per quello che so, è finanziato dal ministero degli Esteri tedesco e dal Land dello Schleswig-Holstein.

LIMES Esiste una reale possibilità che la Germania eserciti una totale egemonia in Europa senza alcuna opposizione da parte dei vari governi?

GALLOIS A parte Helmut Kohl, che ha la statura di un grande uomo di Stato, gli altri dirigenti, suoi partner europei, si rivelano piuttosto mediocri. Se i tedeschi non commetteranno sciocchezze, come hanno sovente fatto, la partita è vinta per loro. Guglielmo II non aveva bisogno di fare la guerra nel 1914, la Germania era già la maggiore potenza sul continente. Adolf Hitler avrebbe potuto accontentarsi di una Germania ricostruita, senza fare la guerra. In due riprese un conflitto ha distrutto tutto in Germania.

LIMES Come vede il futuro dell’Europa?

GALLOIS Per ciò che concerne l’Europa, espressione geografica più che collettività di nazioni, temo forti turbolenze socio-economiche. Se, da un lato, le previsioni attuali sullo sviluppo dell’Asia-Pacifico si verificano, e se i paesi europei si rovinano a costruire un’ipotetica Unione europea – certamente non duratura – dall’altro, infine, se l’emigrazione dal Sud verso il Nord prosegue, allora si può temere il peggio. La «mondializzazione», l’apertura delle frontiere, lascia presagire l’invasione dei prodotti a buon mercato delle popolazioni emergenti d’Asia. E anche spostamenti massicci di popolazioni con un aumento conseguente della disoccupazione. Oggi l’Europa è come una cassaforte riempita, ma con lo sportello aperto, attraverso il quale le sue risorse sono bramate e dilapidate. La sua ricchezza, quotidianamente rivelata da reti televisive a diffusione planetaria, attira, ovviamente, le popolazioni sottosviluppate: il protezionismo europeo, battuto in breccia dalla necessità di esportare e dall’etica europea, non difende la produzione europea, e non protegge l’Europa dall’ineluttabile arrivo delle popolazioni di un Sud povero verso un Nord ancora ricco. Ne deriva una trasformazione sociale analoga a quella che subisce l’America del Nord a causa dell’affluenza degli ispanici e degli asiatici e, cosa più grave, con minore capacità d’assorbimento. 
La scomparsa dalla scena internazionale dell’Unione Sovietica, se ha liberato le popolazioni dell’Europa centrale, ha favorito la riunificazione della Germania, che a sua volta ha squilibrato l’Europa occidentale creando nel suo seno una superpotenza dalla quale adesso dipende tutto. Poiché prende le decisioni economiche, conseguentemente sociali, e impone anche il comportamento politico di tutti i suoi partner europei. Il «nocciolo duro», la Germania e la Francia, è ormai uno scherzo. In Europa esiste un solo «nocciolo duro» ed è tedesco. Per riabilitare i Länder dell’Est, Bonn ha mantenuto dei tassi d’interesse elevati, facendo affluire capitali in Germania, ma rovinando l’economia dei suoi partner che, allo stesso tempo, contribuivano ad aumentare ulteriormente il distacco tra la Germania e gli altri paesi della Comunità europea. Gli investimenti si sono esauriti e l’indennità di disoccupazione è aumentata, collocando l’Europa nella categoria delle zone sinistrate, se la si paragona agli Stati Uniti e all’Asia della costa del Pacifico.
La Francia e la Gran Bretagna volevano mantenere l’unità della Jugoslavia e attenersi alle clausole del trattato di pace del 1919-’20, ma Bonn cercava lo smembramento e la punizione della Serbia che, a due riprese, osò tener testa alle armate tedesche. E hanno avuto la divisione. La Francia desiderava un «approfondimento» della costruzione europea prima di un «allargamento». La Germania voleva prima «l’allargamento», e l’ha ottenuto. Conformemente alle decisioni di Maastricht, Parigi desiderava l’ecu, Bonn voleva l’euro e questo è stato adottato. La Bundesbank reclamava un «patto di stabilità» e sanzioni finanziarie per qualsiasi scivolata.
Dopo Maastricht, Bonn comanda e i suoi partner si inchinano. Gli Stati Uniti disapprovano il nazionalismo e gli Stati nazionali, la Germania anche. La decentralizzazione politica e amministrativa assicura la sua egemonia. Oltre-Atlantico si vuole che l’Europa adotti, in tutto il suo rigore, l’economia di mercato. La Germania è l’avvocato degli americani. La Francia recalcitra. I francesi tengono alla loro «arte di vivere» e rifiutano le «americanizzazioni» e la sparizione del ruolo dello Stato nella ripartizione delle risorse nazionali; sono affezionati al servizio pubblico e vogliono conservarlo, cosa incompatibile con un’Europa economicamente capace di rispondere alla sfida americana, ancora meno davanti alla competizione asiatica e ai salari che praticano. Così non è da escludere un irrigidimento della popolazione, anche una rivolta, che annienterebbe quarant’anni d’illusioni europee.

LIMES Come giudica il conflitto bosniaco e come vede il futuro della Bosnia?

GALLOIS La comunità internazionale, in questo caso gli Stati Uniti e la Germania, ha voluto creare in Bosnia, là dove non era mai esistito uno Stato, uno Stato musulmano, a confessione tendenzialmente laica, e dove la religione musulmana è chiamata ad ispirare con la sua legge una popolazione in maggioranza cattolica (croata) e ortodossa (serba), quindi cristiana. Gli Stati Uniti si sono così guadagnati le buone grazie dei paesi dell’islam e la Germania si è assicurata la scomparsa di una Jugoslavia unitaria, creata per effetto delle sue sconfitte militari. È opinabile che questo Stato artificiale possa durare, una volta partite le truppe straniere. Nell’attesa, sono state costituite le condizioni per un lungo periodo di turbolenze e miseria. Questa prevedibile instabilità esclude gli investimenti, più precisamente nella zona dove vive la popolazione serba, che è stata demonizzata al fine di ottenere l’obiettivo mirato dalla Germania e dagli Stati Uniti: sopprimere la Jugoslavia e creare un secondo Stato musulmano in Europa sostenuto dall’Iran e dalle monarchie petrolifere, anticamera di una futura immigrazione legale.
Un’ultima osservazione, ispirata dagli avvenimenti contemporanei: il cammino accidentato dei paesi europei verso l’unione politica conduce al loro allontanamento dalla scena internazionale. Essi stessi reclamano l’allargamento della Nato all’Est, cioè il controllo degli Stati Uniti. Sono stati eliminati dal Medio Oriente, la Gran Bretagna ha suggellato un destino da lungo tempo stabilito con il ritiro da Hong Kong e la Francia è stata estromessa dall’Africa e, economicamente, dall’Europa centrale, dominio della Germania riconcentrata sulla sua Mitteleuropa. Così, nutrendosi d’illusioni, l’Europa esce a piccoli passi dalla Storia.

(a cura di Jean Toschi Marazzani-Visconti)


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Note per un profilo di Pierre-Marie Gallois

(a cura di JTMV e AM)

Il generale Pierre-Marie Gallois è morto alle 12:30 di lunedì 23 agosto, all'età di 99 anni. 
Negli anni Novanta molti di noi lo hanno apprezzato come autorevole avversario della "nuova" Europa post-89, a guida tedesca e statunitense, e appassionato critico delle sue politiche antijugoslave e antiserbe.
Ma la sua attività di esperto e consigliere geopolitico risale a molti decenni prima, quando da stretto collaboratore di De Gaulle fu tra l'altro un promotore della politica di deterrenza nucleare francese - proprio a difesa della sovranità del suo paese e del nostro continente. E' poi sempre rimasto un capofila della corrente "souveranista", cioè gaullista, della politica francese.

In anni più recenti Gallois è stato particolarmente interessato alla questione balcanica e perciò regolare collaboratore della rivista B.I. Balkans - Infos ( http://www.b-i-infos.com/ ). Nella documentazione che abbiamo fatto circolare in passato lo ritroviamo come sottoscrittore assieme a noi di vari appelli. Un suo breve testo (con la sua opinione sul "Tribunale ad hoc" dell'Aia) si può rileggere qui: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4905

Ci ha scritto Jean Toschi Marazzani Visconti, che lo ha conosciuto personalmente: 

<< Era un uomo di straordinaria lucidità e di grande umanità e coraggio, in lui etica ed estetica erano una condizione di vita obbligatoria. Gli uomini come lui stanno sparendo come dinosauri. (...) 
Era nato a Torino nel 1911. Suo padre muore in guerra e sua madre si risposa con un italiano. Questo signore si occupava di decorazione e luminarie e con lui Gallois ha imparato l'arte del bello, la pittura e il trompe-l'oeil che amava tanto. La grande entrata del suo appartamento era stata dipinta da lui e rappresentava un paesaggio toscano. A Parigi lavora con il padrigno nella sua società che si occupava di illuminazioni pubblicitarie, cosa all'avanguardia per l'epoca. Ho visto le foto delle luminarie dei grandi magazzini Lafayettes a Natale con le renne in movimento. Era il 1930. 
Seguendo le orme del padre entra in aviazione, gli aerei e le grandi imprese erano la sua passione. Negli anni' '40 aveva fieramente rifiutato Vichy e, partito per Londra, era entrato nel reparto d'aviazione di France Libre. Dopo la guerra il suo lavoro presso De Gaulle. E' un uomo che ha lavorato e conosciuto gli uomini politici di tutto un secolo. (...)
L'eleganza in cui viveva corrispondeva all'eleganza interiore dell'uomo, sempre lucido analizzatore degli avvenimenti che denunciava senza paura. Spesso, per questo, tenuto fra parentesi dagli ambienti ufficiali ai quali aveva appartenuto come consigliere di diversi presidenti. Fu Gallois a suggerire a De Gaulle di dotare la Francia della bomba atomica perché questa potesse risedere alla tavola delle decisioni dopo il disastro della guerra. 
Era un ottimo pittore. All'età di 84 anni aveva dipinto la corte del suo palazzo con dei divertenti trompe-l'oeil. Abitava in elegante e sobrio edificio inizio 900 a 50 metri da Parc Monceau al primo piano, all'interno mobili e  oggetti raffinati fra cui una collezione di statuette fiamminghe e napoletane da presepe. 
Ha scritto una sua biografia pubblicata a L'age d'homme: Le sablier du siècle.  E' uno straordinario, lucido percorso storico dell'Europa fra le due guerre e oltre. >>

A seguito delle sue prese di posizione a favore della Jugoslavia, negli anni Novanta, in un contesto di censure e violentissime campagne di senso opposto, i suoi libri sono stati pubblicati solo dall'editrice L'age d'homme. Di seguito un elenco dei libri che lo vedono autore o co-autore:

L'Europe au défi.  Ed.Plon - in collaborazione
L'alliance atlantique.   ED. Berger Levrault in collaborazione
Stratégie de l'age nucléaire. Ed. Calman-Lévy
Europa Schutz. Ed. Condor Verlag
Balance of terror. ED.Houghton Mifflin
Paradoxes dela paix . ED. Presse du temps présent
La grande berne. Ed. Plon
L'Adieu aux armées. Ed. Albin Michel
Le renoncement. Ed. Plon
La guerre de cent secondes. Ed. Fayard
Géopolitique. Les voies de la puissance. Ed. Plon
Livre noir sur la dèfense. Ed. Payot
Pubblicati da L'age d'homme:
Le soleil d'Allah aveugle l'Occident. 1995
Le sang du petrol: Iraq 1 - Bosnie 2. 1996 due tomi
La France sort-elle de l'histoire? 1998
Le sablier du siècle. 1999 autobiografico
L'heure fatale de l'Occident. 2004
Vichy-Algers - Londres 1941-1943. 2006
Revanches. 2009

Sulla sua figura si vedano anche gli omaggi a lui rivolti in queste settimane, in varie lingue:

Télégramme de condoléances à la mort du général de Galois (Beogradski Forum)
http://www.en.beoforum.rs/index.php?option=com_content&view=article&id=124:dsfgfgdfsgsdf&catid=40:konferencijezastampu

Tелеграм саучешћа поводом смрти генерала Галоа
http://www.beoforum.rs/index.php?option=com_content&view=article&id=149:t-&catid=36:saopstenja&Itemid=65




Strategia della tensione giornalistica in Italia / 1: Spezzeremo le reni all'Iran

Se vi siete commossi per Sakineh Ashtiani perché non vi interessa Teresa Lewis?


teresaesakineh


Hanno più o meno la stessa età ed entrambe sono accusate di aver ammazzato il marito. Entrambe sono state condannate a morte nei loro rispettivi paesi, lo squallido regime degli Ayatollah iraniani e la grande democrazia statunitense.

Ma mentre per Sakineh Ashtiani c’è stata una campagna mondiale di solidarietà, che potrebbe averle salvato la vita, Teresa Lewis sarà giustiziata nel silenzio giovedì alle 21 nel carcere di Greensville nella Virginia con un’iniezione letale.

Ciò senza che la sua faccia sia esposta su monumenti ed edifici pubblici, senza raccolte di firme e manifestazioni a comando sui grandi media.

AGGIORNAMENTO DEL 21/9/2010: A 60 ore dall'esecuzione le agenzie oggi ci sono, ANSA, APCOM, Adnkronos…abbiamo fior di inviati negli USA (che hanno di meglio da fare) e nonostante ciò oggi trovo la notizia dell’imminente esecuzione di Teresa Lewis solo in una breve del Secolo XIX di Genova. E’ proprio una scelta... per Sakineh ci commuoviamo, di Teresa ce ne freghiamo. Meditate gente... e commentate online





MUSSOLINI A POLA, 21 SETTEMBRE 1920

Non a caso è stata scelta la data del 21 settembre per la visita di Fini a Zagabria e Pola.
Il 21 settembre del 1920, dunque 90 anni fa, Benito Mussolini arrivò a Pola con i suoi fascisti di Milano e Trieste. Tenne un discorso al teatro "Politeama Ciscutti", pieno di odio verso la popolazione slava. Quando uscì dal teatro un lavoratore gli si avvicinò dandogli due ceffoni e poi scappò. Di questo evento gli storici italiani non hanno scritto mai nulla.
Mussolini si vendicò. Il 23 e il 24 settembre seguenti, i fascisti bruciarono la Camera degli operai e la sede dei Club internazionali, e devastarono la tipografia del giornale "Il proletario".
L'indomani, nel corso degli scontri con i fascisti, fu gravemente ferito un carabiniere. Molti operai furono arrestati e poi rilasciati. Due operai furono condannati: Josip Vukic, croato, nato a Spalato (a 15 anni di carcere) ed Edoardo Fragiacomo, italiano, nato a Pola (a tre anni).

[ Il testo che abbiamo sopra riportato accompagna l'articolo-intervista: "Tomislav Ravnic: Fini nije poželjan u Puli i Istri" (Tomislav Ravnic, presidente dell' Unione dei combattenti antifascisti per l 'Istria: Fini e' indesiderato a Pola e in Istria"), a cura di Armando Cernjul, pubblicato sul sito http://www.parentium.com . Il testo è stato tradotto e inoltrato a cura de La Voce del G.A.MA.DI.: http://www.gamadilavoce.it/lavoce.htm ]

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FINI A POLA, 21 SETTEMBRE 2010

"Fini: ingresso Croazia in UE sanerà tutte le ferite" (APCOM - Nuova Europa, 21/9/2010)

Sull'irredentismo di Gianfranco Fini: flashback all' 8 novembre 1992





ATTENTI AL PUPO!

In “Trieste 1945” (Laterza, 2010 ) lo storico triestino Raoul Pupo ha dedicato un lungo capitolo agli avvenimenti di Basovizza, e prima di parlare della questione della cosiddetta “foiba”, ha trattato della fucilazione dei quattro antifascisti (Bidovec, Marusič, Miloš e Valenčič) avvenuta presso il vecchio poligono di tiro il 6 settembre 1930.
Sulla vicenda vi rimandiamo all’articolo “Martiri di Basovizza” pubblicato in questo stesso sito, così come non riprendiamo qui l’annoso discorso su chi, quanti e come sarebbero stati “infoibati” a Basovizza: ricordiamo solo che nel suo libro Pupo ha concluso il capitolo facendo un paragone (a nostro parere aberrante) tra i due “luoghi della memoria” di Basovizza: sui fucilati di Basovizza, scrive lo storico, aleggia il sospetto del terrorismo, sugli infoibati di Basovizza che vi siano i torturatori dell’Ispettorato Speciale di PS.
Data questa considerazione sui martiri di Basovizza, eravamo quantomeno curiosi di sentire come il professor Pupo avrebbe condotto il suo discorso in occasione delle cerimonia commemorativa per l’80° anniversario dell’episodio, svoltasi sulla gmajna di Basovizza il 12 settembre scorso, alla presenza di alte autorità slovene, nonché della Presidente della Provincia Trieste ed alcuni sindaci della provincia di Trieste (significativa l’assenza del sindaco di Trieste Roberto Di Piazza, nonostante il sito si trovi nel territorio di competenza del suo Comune).
Commenteremo solo in parte l’intervento “storico” del relatore ufficiale in lingua italiana. 
Relativamente alla questione del “terrorismo” il professor Pupo ha affermato che la lotta dei primi antifascisti non era stata di massa ma si era basata su “azioni cospirative e dimostrative”, usando come strumenti di intervento la “propaganda” ed il “terrorismo”, ed ha ribadito che non si deve “avere paura delle parole” perché scelte simili furono tipiche anche di movimenti di unificazione nazionale, aggiungendo che non si deve “caricare la terminologia di significati che non ha”, visto che il termine “terrorismo” può adattarsi sia alle “stragi sunnite nelle moschee sciite”, sia a “tentativi un po’ goffi” come quello di Guglielmo Oberdan (che gettare bombe in mezzo alla folla sia un “tentativo goffo” di fare terrorismo è un’interpretazione che ci lascia un po’ basiti, ma tant’è).
Lo storico ha aggiunto quindi che “il termine è corretto” ma “operativamente come categoria interpretativa non ci fa capire la specificità del fenomeno”.
Osserviamo che di norma il significato che si dà al termine “terrorismo” è quello di un comportamento tale da portare, mediante azioni violente indiscriminate, ad un terrore generalizzato nella popolazione. Così terrorismo è quello che abbiamo vissuto negli anni della strategia della tensione, quando le bombe poste nelle piazze o sui treni, o genericamente in luoghi pubblici, dove avrebbero potuto colpire chiunque si trovasse a passare in quel posto al momento dell’esplosione, incutevano terrore in quanto non si poteva immaginare chi avrebbe potuto essere la prossima vittima. Mentre altri atti (eticamente altrettanto esecrabili, sia chiaro) come l’attentato alla singola persona, individuata come un obiettivo mirato (“gambizzazioni”, rapimenti, omicidi operati dalle Brigate rosse), vengono di solito considerati come azioni di “lotta armata”, e non di “terrorismo”, in quanto non sono finalizzati a creare il “terrore” generalizzato.
Per questo motivo ci permettiamo di dissentire dalla definizione di “terroristi” che il professor Pupo usa a proposito degli attivisti del TIGR fucilati a Basovizza. Le azioni del Movimento erano innanzitutto dimostrative, ed il loro scopo non era quello di fare vittime, è appurato che le bombe venivano posizionate modo che esplodessero quando negli edifici non ci sarebbe stato nessuno. La morte di Guido Neri, che si trovava nei locali della redazione del “Popolo di Trieste” non fu voluta, perché la sua presenza non era prevista nell’ora in cui fu piazzato l’esplosivo. Anche qui, se dal punto di vista etico la questione non fa differenza, perché un morto è sempre un morto, bisogna però distinguere nelle finalità che gli attentatori si erano dati: e dato che il loro fine non era quello di spargere il terrore nella popolazione, ma di colpire i simboli della snazionalizzazione operata dal fascismo e del fascismo stesso, non ha senso, a parer nostro, definirli “terroristi”, visto che il termine ha un significato ben preciso e non ha senso cercarne altri per adattarlo alle proprie interpretazioni e valutazioni.
Un successivo punto del discorso del professor Pupo dal quale dissentiamo è la sua interpretazione di come si sarebbero svolti i fatti in quello che lui definisce “fronte orientale” (dal senso del discorso si suppone che l’oratore intendesse con questo termine il confine orientale dell’Italia), e cioè che negli anni ’40 si sarebbero “confrontati la propensione nazista allo sterminio e l’eredità della rivoluzione bolscevica e delle politiche staliniane”, e che “quanto concretamente successo nelle nostre terre” sarebbe che “alla fase eroica della liberazione” sarebbe “succeduta quella dell’affermazione”, e che “l’ansia di libertà” si sarebbe trasformata in “intolleranza verso chi non appartiene alla comunità nazionale vincente”.
Storicamente ciò che accadde “nelle nostre terre” negli anni ’40 (generalizzazione un po’ azzardata, visto che dal 1940 al 1945 l’Europa era in guerra e dal 1945 in poi gli avvenimenti erano diversi di anno in anno), è che la politica di guerra imperialista nazifascista, finalizzata al genocidio dei popoli considerati “inferiori” (Ebrei, genericamente “Slavi”, Rom…) nonché all’annientamento delle cosiddette “esistenze zavorra” (invalidi, omosessuali ed oppositori politici), fu fermata da un blocco di alleati che andavano dalla Francia e la Gran Bretagna, agli Stati Uniti, all’Unione Sovietica, passando per la Jugoslavia, ed altri minori. Nell’ambito di questa guerra (che non si limitò all’area europea ma coinvolse l’intero pianeta) vi furono massacri indiscriminati, bombardamenti devastanti (sia dall’una che dall’altra parte, citiamo i due esempi speculari di Coventry e Dresda), rappresaglie feroci sulle popolazioni civili, campi di sterminio, e si concluse con il lancio delle atomiche su Hiroshima e Nagasaki.
In questo contesto mondiale, gli avvenimenti “nelle nostre terre”, diventano una piccolissima parte della tragedia generalizzata della Seconda guerra mondiale. Se il professor Pupo intendeva dire (ma forse avrebbe fatto meglio a dirlo chiaramente e non con circonlocuzioni di parole) che dopo gli eccidi nazifascisti qui vi fu il cosiddetto “fenomeno delle foibe”, vorremmo ricordargli che regolamenti di conti a fine guerra si ebbero sì in questa zona, ma in misura minore che nel resto dell’Italia del Nord, per non parlare di quello che accadde in Francia, e generalmente in tutta l’Europa, come è normale che accada dopo un’occupazione feroce come fu quella nazifascista (ciò non significa “giustificare”, ma semplicemente prendere atto della realtà dei fatti). 
E se quello che il professor Pupo intendeva dire è che le “foibe” rappresentano “l’eredità della rivoluzione bolscevica e delle politiche staliniane”, dobbiamo ribattere che nessun paragone può essere fatto in questi termini, storicamente e politicamente parlando. Innanzitutto perché la rivoluzione bolscevica e le politiche staliniane sono due eventi del tutto diversi e che non si possono accomunare con tale faciloneria (ma entrare nel merito di questo richiederebbe un’analisi di diverse pagine), e poi perché, anche volendo paragonare le “foibe” con i “gulag”, non ci siamo proprio. Nei “gulag” venivano imprigionati gli oppositori nell’interno dell’Unione sovietica; le “foibe”, anche volendo considerare con questo termine (cosa che però non accettiamo storicamente) la “generalizzazione” che è uso fare il professor Pupo, e cioè le “ violenze di massa a danno di militari e civili, in larga prevalenza italiani, scatenatesi nell’autunno del 1943 e nella primavera del 1945 in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme procurarono alcune migliaia di vittime”, significano prigionieri di guerra internati e poi deceduti nei campi, criminali di guerra giustiziati dopo processo, regolamenti di conti e vendette personali. Cosa c’entri tutto questo con le “politiche staliniane”, non riusciamo proprio a comprendere.
Infine l’affermazione a proposito dell’“ansia di libertà che si trasforma in intolleranza verso chi non appartiene alla comunità nazionale vincente”: almeno per quanto concerne la politica della “nuova” Jugoslavia, cioè la Jugoslavia uscita vittoriosa dalla guerra di liberazione popolare, è doveroso riconoscere che non vi fu alcuna “intolleranza” di tipo etnico alla fine del conflitto. Vi furono, da parte istituzionale, esecuzioni di collaborazionisti e di criminali di guerra, soprattutto jugoslavi: ma nessuno fu ucciso perché “non appartenente alla comunità nazionale vincente”, cosa che dovrebbe essere quantomeno ovvia se si considera che nell’Esercito di liberazione jugoslavo combatterono, con spirito internazionalista ed antifascista, volontari di decine di etnie (tra cui moltissimi furono anche gli italiani), uniti dal desiderio di creare un mondo migliore.
Non riconoscere questi dati storici in un intervento all’interno di una cerimonia dall’importanza internazionale di quella che si svolge ogni anno a Basovizza per ricordare i quattro fucilati antifascisti, significa voler ridurre quello che dovrebbe essere uno spazio di riflessione storica ad un intervento di mere valutazioni politiche, del tutto fuori luogo in un contesto simile.

settembre 2010



APPUNTAMENTI PER RICORDARE:
- Trieste, 20 settembre 2010, ore 17 in campo S. Giacomo
- Trieste, 8 ottobre 2010, ore 17 in Sala Tessitori, piazza Oberdan 6


Da: Claudio Cossu <claudio.cossu @...>
Oggetto: [antifa-ts] Settembre 1920: barricate e rivolta operaia a S. Giacomo.
A: "coordinamento antifascista" <antifa-ts @...>
Data: Venerdì 17 settembre 2010, 00:06


Oggetto: I: Settembre 1920: barricate e rivolta operaia a S. Giacomo.

Per ricordare la rivolta operaia di S.Giacomo, settembre 1920, come sinteticamente descritto quì di seguito,"I cittadini liberi ed eguali "unitamente al" Coordinamento antifascista "di Trieste renderanno omaggio ai caduti di quelle tragiche giornate alle ore 17 in campo S. Giacomo, a lato della Chiesa, il giorno 20 settembre lunedì. La cittadinanza  e personalità del mondo del lavoro, del Sindacato  e della cultura triestina  sono invitati ad intervenire  PER ONORARE QUEI GIOVANI CADUTI PER  LA LIBERTA' E L'EGUAGLIANZA SOCIALE. L'otto ottobre, inoltre, vi sarà un incontro-dibattito curato da Marina Rossi, storica, Claudio Cossu e Claudio Venza dei Cittadini liberi ed eguali, un operaio della rivolta di S.Giacomo del 1966, che  offrirà una sua personale testimonianza della rivolta spontanea di quell'ottobre 1966.  Inteverrà brevemente la storica Silva Bon.  L' incontro si terrà presso LA   SALA  TESSITORI DEL CONSIGLIO REGIONALE,  il giorno 8 OTTOBRE, VENERDI, ORE 17 , PIAZZA OBERDAN n 6. Saranno ricordati, inoltre, anche i moti di protesta spontanea, sempre di campo S. Giacomo, dell'ottobre 1966, in occasione della chiusura dei Cantieri S.Marco, da parte dei cantierini della  città giuliana. La cittadinanza ed i cultori della materia sono invitati ad intervenire, a 90 anni esatti da quei fatti, a questa Memoria in omaggio a quelle giovani vite di operai stroncate nel settembre 1920, ed a  ricordo di quei  drammatici accadimenti  che costituiscono ormai Storia della Trieste lavoratrice di quegli anni, all'alba dell'avvento della barbarie fascista al potere  in Italia.


----- Messaggio inoltrato -----
Da: Claudio Cossu <claudio.cossu @...>
A: segnalazioni@...
Cc: segreteriaredazione@...
Inviato: Mer 25 agosto 2010, 16:02:11
Oggetto: Settembre 1920: barricate e rivolta operaia a S. Giacomo.

 
Chi erano,ribelli,rivoltosi o che altro coloro che nel settembre 1920 eressero le barricate ,nel Rione di S.Giacomo, per difendersi dal regio esercito inviato dalle autorità al fine di sedare l'insurrezione spontanea ,al canto dell'internazionale e sventolando i drappi rossi , insegne del socialismo contro chi cercava di negare ad essi i diritti  più elementari, una vita dignitosa e una condizione  giusta , con adeguata retribuzione.  Erano in  realtà operai e lavoratori italiani e sloveni , ragazzi e donne del popolo di Trieste, dai tre ai quattro mila ,che protestavano contro un potere opprimente ed autoritario . Poi, dal rione popolare i lavoratori si immettevano nelle vie adiacenti, per arrivare prima nella piazza ora denominata Garibaldi e, in seguito ,fino alla via Malcantòn,per poi giungere fino alla Piazza Grande,divenuta più tardi piazza Unità. E nuovamente intervenne l'esercito ed i regi carabinieri che spararono per intimidire la folla in tumulto. Poi non spararono più a scopo intimidatorio,ma uccisero ,a S. Giacomo, giovani di vent'anni,ragazzi ed operai ed i morti furono in gran numero,forse più di 20 ed anche la reazione fu dura ed adeguata alla violenza dei colpi di cannone della brigata "Sassari" fatta intervenire brutalmente. Si spararono colpi di pistola , per resistere  a quegli attacchi, anche dalle finestre ed una giovane guardia regia, Giovanni Giuffrida il suo nome, rimase  a terra, vittima della reazione  popolare alla violenza dei militari sopraggiunti nelle strade circostanti.
Gli scontri,duri e violenti ,durarono dal sei al nove settembre,nell'aria vagamente autunnale che stava sopraggiungendo,in quel mese di fine stagione. Giorni tragici e funesti per la città.  Ma perchè si arrivò a tale tragedia, a questo sangue versato dalla classe operaia triestina? Diversamente dal resto del Paese, non si arrivò , a Trieste, ad un'occupazione delle fabbriche, ma ci fu ,in quel settembre ,lo sciopero generale. Nel novembre del 1918,dopo l'arrivo festante delle truppe italiane, a ridimensionare quella gioia ci pensò il famigerato decreto 29 novembre 1918 che per alcuni reati, tra cui il vilipendio alla bandiera, prevedeva pesanti condanne a parecchi anni di galera. Al governatore militare successe allora ,nell'estate del 1919 ,un commissario civile. Ma le condizioni disastrose, fra cui miseria,fame , disoccupazione e disagio sociale, causate dal regime speciale nella Venezia-Giulia, non mutarono certo.  I comuni erano ammministrati da commissari civili inviati dal Governo di  Roma che non comprendevano  certo la situazione reale ,economica  e politica locale.  E parimenti erano all'oscuro della situazione etnica e sociale di queste terre. Naturalmente non conoscevano nemmeno la  lingua slovena o croata, parlata dagli abitanti dei comuni dell'altipiano e dell'interno dell'Istria. Il disagio era evidente e si propagò con rapidità in tutta la regione Giulia.  Inoltre,ad aggravare la situazione, si verificarono  provocazioni fasciste. A Monfalcone gli operai protestarono vibratamente per gli assalti degli squadristi e per l'istituzione di un ufficio di collocamento filo mussoliniano. Allo sciopero proclamato aderirono anche i lavoratori del Friuli. Lo sciopero si estese e fu dichiarato,a oltranza ,fino a che non ci fosse stata l'abolizione del regime di occupazione e dei tribunali di guerra nella Venezia Giulia.  Naturalmente le richieste degli operai,pur essendo a cuore al governo, così almeno assicurò il commissario generale, mentendo , non vennero accolte e gli scontri furono pertanto inevitabili. Vincenzo Forgioni, operaio di appena sedici anni, rimase ucciso. Ai suoi funerali ,a seguito di attacchi fascisti ,vi furono ulteriori scontri tra operai,squadristi e polizia. La Camera del Lavoro proclamò un ulteriore sciopero il nove settembre.  I sangiacomini occuparono il quartiere  e spararono contro il camion che trasportava gli arrestati. Vennero erette,come detto all'inizio,barricate.  Alla fine gli esponenti della Camera del Lavoro riuscirono a convincere i più giovani ed infervorati, disposti a resistere per altri giorni, dell'inutilità della lotta. L'undici settembre lo sciopero generale poteva dirsi concluso,ma a quale prezzo!  550 scioperanti arrestati,nove operai rimasero uccisi (dodici riferì il giornale Delo) 70 feriti(250 il Delo).  Ma ormai  era chiaro che il regime di occupazione  finalmente sarebbe stato abolito. Non si comprende,da ultimo se non con la gran confusione in cui versava il Paese in quegli anni, in prossimità dell'avvento del fascismo al potere, come l'attacco delle autorità governative a Trieste ,della polizia e dell'esercito potesse concordarsi con la linea politica del Governo Giolitti.   A novant'anni da quei  caduti, da quello sciopero sfociato nella repressione violenta e reazionaria del potere militare, portatrice di lutti per la classe operaia ,volevamo ricordare quei fatti,che  sono forse dimenticati.  Ma anche quegli accadimenti sono ormai Storia,costituiscono una triste e tragica pagina per Trieste e tutta la Venezia Giulia.  E va ricordata ,con rispetto.  Anche questa è Memoria.




(A proposito della espansione della tedesca Telekom nelle repubbliche jugoslave e dei connessi, gravi, attuali casi di corruzione...)


Umkämpfte Märkte
 
16.09.2010

BONN/SKOPJE/PODGORICA
 
(Eigener Bericht) - Zum wiederholten Male werden gegen einen deutschen Konzern schwere Vorwürfe wegen dubioser Osteuropa-Geschäfte laut. Demnach soll die Deutsche Telekom sich vor einigen Jahren korrupter Praktiken bedient haben, um ihre Dominanz in einem ihrer Expansionsländer, in Mazedonien, zu sichern. Im Rahmen eines Ermittlungsverfahrens hat die Staatsanwaltschaft nun die Unternehmenszentrale und die Privatwohnung des Konzernchefs durchsucht. Die Vorwürfe werden zu einer Zeit laut, da die vormalige Konzernspitze der Deutschen Telekom beschuldigt wird, in die illegale Bespitzelung kritischer Journalisten im Inland eingeweiht gewesen zu sein. Ziel war es dabei, die Konzernmacht mittels Unterbindung kritischer Berichte zu wahren. Bei der Expansion deutscher Konzerne in Ost- und Südosteuropa kommt es immer wieder zu zweifelhaften Vorgängen, die, wie mutmaßlich im Falle der Deutschen Telekom in Mazedonien, auch illegale Praktiken beinhalten.

Expansion im Osten

Den Hintergrund der Ereignisse, um die sich das aktuelle Ermittlungsverfahren in Sachen Telekom dreht, bildet die Expansion des Konzerns nach Osteuropa. Wie die gesamte deutsche Wirtschaft hat auch die Deutsche Telekom in den 1990er Jahren begonnen, die Märkte Ost- und Südosteuropas zu erobern, um im traditionellen deutschen Einflussgebiet Profit und Macht zu steigern. Zu den ersten ost- und südosteuropäischen Unternehmen, die der Bonner Konzern dabei übernahm, gehörte das ehemalige ungarische Staatsunternehmen Matáv (heute: Magyar Telekom). Weitere Übernahmen vollzog die Deutsche Telekom entweder selbst (im Falle der Hrvatski Telekom und später der PTC Polska Telefonia Cyfrowa) oder aber über ihre 59-prozentige Tochter Matáv/Magyar Telekom, die beispielsweise 51 Prozent der Makedonski Telekom, 76,5 Prozent der Telekom Montenegro sowie 100 Prozent der rumänischen Combridge kontrolliert. Das Modell, bei dem deutsche Firmen über ungarische Tochtergesellschaften in Südosteuropa expandieren, ist keineswegs unüblich und hat seine Ursprünge in der historisch fundierten Kooperation zwischen Berlin und Budapest.[1]

Konkurrenten

In der Tat trieb der Bonner Konzern seine Expansion um die Jahrtausendwende ganz systematisch voran. "Mit Polen, Tschechien, der Slowakei, Ungarn, Kroatien, Bosnien-Herzegowina und Mazedonien", schrieb die Wirtschaftspresse im Juni 2004, "kann die Telekom eine fast lückenlose Abdeckung zwischen Gdansk und Sarajevo vorweisen".[2] Anfang 2005 führte das Unternehmen seine Expansion mit der Übernahme der Telekom Montenegro durch die Konzerntochter Magyar Telekom weiter. Um die 51-prozentige Mehrheit an der montenegrinischen Firma hatte sich auch die Telekom Austria beworben, die in Südosteuropa in Konkurrenz zur Deutschen Telekom steht.[3] Ein Konkurrenzverhältnis - nicht nur, aber auch - zur Telekom Austria ist auch in Mazedonien gegeben, wo im September 2007 eine Telekom Austria-Mobiltochter, "Vip operator", den Betrieb aufnahm; sie rivalisiert dort direkt mit T-Mobile Macedonia. Zwei Jahre vorher könnte, bestätigen sich die aktuellen Vorwürfe, die Deutsche Telekom ihre Dominanz in der mazedonischen Festnetzsparte mit illegalen Methoden gesichert haben.

Korruptionsverfahren

Gegenstand der aktuellen Berichte ist ein Ermittlungsverfahren gegen die Deutsche Telekom und Konzernchef René Obermann. Das Verfahren ist in Reaktion auf ein Rechtshilfeersuchen aus den USA eingeleitet worden, wo die Telekom einst an der Börse notiert war und deshalb von der US-Börsenaufsicht kontrolliert wurde. Gegenstand der Ermittlungen sind dubiose Zahlungen, die der Jahresabschluss der Magyar Telekom aus dem Jahr 2005 verzeichnet. Genannt wird ein Betrag in Höhe von sieben, nach anderen Quellen 30 Millionen Euro. Laut offiziellen Angaben handelte es sich dabei um Honorare für angebliche "Berater"; die Behörden vermuten Bestechungsgelder für Regierungsbeamte, vermutlich sowohl in Montenegro als auch in Mazedonien. Zugleich wird Konzernchef René Obermann unterstellt, er habe bei einem Treffen mit dem Vorsitzenden der Makedonski Telekom, einer Tochterfirma der Magyar Telekom und damit einer "Enkelin" der Deutschen Telekom, seine Zustimmung zur Zahlung von Dividenden davon abhängig gemacht, dass die geplante Öffnung des mazedonischen Marktes für andere Wettbewerber unterbleibe - und die Deutsche Telekom damit ihr Monopol behalte.[4] Von den Dividenden der Makedonski Telekom profitiert als Teileigner der mazedonische Staat, der zu den bedürftigsten in Europa gehört, aber die Kompetenz besitzt, die Marktöffnung zu beschließen oder sie gewinnbringend zu unterlassen.

Spitzelskandal

Der Verdacht, die Deutsche Telekom habe ihre Marktposition in Mazedonien durch Bestechung auf dem Umweg über ihre Tochtergesellschaft Magyar Telekom gesichert, ist nicht der einzige Skandal, der den Bonner Konzern in diesen Tagen in die Schlagzeilen bringt. Das Unternehmen hat 2005 und 2006 rund 60 Journalisten, Gewerkschafter und Aufsichtsräte bespitzelt, darunter einige Redakteure der größten deutschen Tageszeitungen. Dabei griff es auf persönliche Verbindungsdaten zurück, die selbst staatliche Ermittler nur mit richterlicher Genehmigung erheben dürfen. Zu Monatsbeginn hat nun einer der Angeklagten im Telekom-Spitzelprozess die Firmenleitung schwer belastet. Demnach seien im Jahr 2005 die damaligen Chefs von Vorstand und Aufsichtsrat der Telekom in die illegalen Bespitzelungspläne eingeweiht gewesen und hätten dem Vorgehen zugestimmt, um Marktnachteile aufgrund kritischer Berichterstattung zu verhindern. Die kriminellen Maßnahmen des Konzerns im Inland entsprechen dabei den mutmaßlichen Bestechungsfällen im Ausland - beides diente letztlich der Vergrößerung von Profit und Macht des deutschen Unternehmens.[5]

Kein Einzelfall

Die dubiosen Telekom-Geschäfte bei der Expansion in Ost- und Südosteuropa sind beileibe kein Einzelfall. Erst vor kurzem forderte der serbische Wirtschaftsminister den Essener Medienkonzern WAZ wegen zumindest zweifelhafter Hinterzimmergeschäfte mit dem Ziel, ein faktisches Monopol in Serbien zu errichten, zum Rückzug aus dem Land auf.[6] Zuvor war die WAZ bereits auf heftige Proteste in Rumänien gestoßen - ihr waren dort Eingriffe in die Pressefreiheit vorgeworfen worden.[7] Auch die Deutsche Telekom hat in Osteuropa bereits vor Jahren auf Mittel zurückgegriffen, die laut Urteil eines deutschen Wirtschaftsmagazins "in zivilisierten Rechtsstaaten des 21. Jahrhunderts eigentlich kaum noch vorstellbar sind" [8]: Dabei gingen Bodyguards im Dienste der Bonner Firma gegen Personal eines konkurrierenden französischen Konzerns vor und setzten einen Rechtsstreit in handgreiflicher Praxis fort.[9] Derlei Praktiken begleiten den Vormarsch deutscher Unternehmen in Ost- und Südosteuropa und helfen, die deutsche Hegemonie dort zu zementieren.

[1] s. dazu Ein Zeichen der FreundschaftDrohbrief aus Berlin und Die Donaustrategie
[2] Deutsche Telekom: Weiße Flecken tilgen; www.wiwo.de 23.06.2004
[3] mobilkom austria gibt Angebot für Mehrheitsbeteiligung an Telekom Montenegro ab; www.telekomaustria.com 22.12.2004
[4] Ermittlungen gegen Obermann; www.faz.net 15.09.2010
[5] s. dazu Spitzelkultur
[6] s. dazu Meinung bilden (I) und Meinung bilden (II)
[7] s. dazu Betrogen
[8] Germanen, Gallier, Gorillas; manager magazin 31.05.2006
[9] s. dazu Wachstumsprobleme




Lunedì 13 Settembre 2010 21:10

«Le Monde» scopre i dubbi sull'11 settembre


di Giulietto Chiesa – Megachip.

«Le Monde» dell'11 settembre 2010 si accorge, con nove anni di ritardo, che la versione ufficiale dell'11 Settembre non sta in piedi. Quanto a tempestività giornalistica non c'è male! Ma, come si suol dire, meglio tardi che mai. Naturalmente le carte in tavola non vengono messe: né tutte, né le più importanti. Ma, come il lettore potrà leggere da questi estratti che traduciamo dalla pagina web del più autorevole giornale francese, «Le Monde» è costretto a riconoscere che la storia ufficiale non solo puzza di marcio, ma che nemmeno l'amministrazione americana di Barack Obama è in condizione di tirarla fuori dal congelatore che non funziona più. Che cosa diranno ora i "debunkers"?


C'è solo da immaginare che metteranno anche «Le Monde» nella categoria dei cospirazionisti. Povero «Le Monde»!
Ma, a giudicare dalle prime reazioni dei lettori del giornale francese, quasi la metà non solo non protestano ma insistono, chiedono chiarimenti, si stupiscono.
L'altra metà s'indigna, naturalmente. Vorrebbero che «Le Monde» pubblicasse non solo il link a Loose Change, ma anche quelli dei siti cosiddetti debunking. Come se, in questi anni, fosse esistita una qualche par condicio tra la menzogna di tutti i media (alla quale «Le Monde» ha attivamente partecipato) e le verità delle domande che, insieme a migliaia di altri ricercatori di tutto il mondo, andavamo ponendo. Il bello è che il prossimo anno, il decimo anniversario, sarà tutto un festival di rivelazioni attorno al mistero.
«Le Monde» ha solo preso atto che la pagina, chiusa dalla versione ufficiale («è stato Osama bin Laden») si va riaprendo inesorabilmente. E si va riaprendo perché l'Impero sta sgretolandosi, giorno dopo giorno, e non c'è cemento che possa tenerlo insieme ancora molto a lungo. E, quando la nave affonda, è noto che i topi scappano.


ESTRATTI DELL’ARTICOLO DI «LE MONDE»:

 

Titolo: Gli Stati Uniti non hanno ancora finito con l'11 settembre
di Heléne Bekmezian - [lemonde.fr] - 11 settembre 2010.

 

Già nove anni. Nove anni che gli aerei della American Airlines hanno colpito le torri gemelle del World Trade Center di Manhattan, uccidendo più di tremila persone e ferendone più di seimila in un attentato rivendicato da Al-Qa‛ida.

(almeno tre gravi imprecisioni sono contenute in queste tre righe iniziali, per finire con l'affermazione, completamente destituita di fondamento, secondo cui Al-Qaida avrebbe rivendicato l'attentato, ma non ne segnaleremo le altre per non perdere tempo, ndr).

Oppure si trattava di aerei militari? E non ci sono state anche, piuttosto, settantamila feriti, se noi contassimo le vittime delle polveri tossiche? E quanto si dovrà attendere per giudicare gli autori presunti di tutto ciò? E perché Ground Zero è ancora un cantiere? Nove anni dopo, dunque, le domande rimangono e gli Stati Uniti sono ancora lontani dall'aver tratto le somme con l'11 settembre.
Ancora nessun processo. Un anno dopo aver annunciato che cinque presunti autori degli attentati dell'11 settembre 2001 saranno giudicati da un tribunale federale di New York, e non da un tribunale militare, la Casa Bianca non sembra oggi avere premura di giudicare questi uomini.
Secondo il «Daily News», il governo ha difficoltà a trovare una città pronta ad accogliere questo processo, che potrebbe durare anni e avere conseguenze sulla vita locale. Peggio ancora, con le elezioni di mezzo termine che si annunciano delicate per i democratici, questi ultimi non hanno interesse a riportare questo dossier dinnanzi a agli occhi del pubblico. (...)
Migliaia di vittime sono all'abbandono. Sono i dimenticati dell'11 settembre: circa settantamila persone - pompieri e squadre di soccorso - sono tuttora censite come vittime delle polveri tossiche prodotte dal crollo delle torri, con sintomi di difficoltà respiratorie, malattie dei polmoni, disturbi psicologici.
(...)
Domande senza risposte. Immediatamente dopo gli attentati sono apparsi dubbi sulla versione ufficiale dei fatti, in primo luogo i dubbi sollevati dalle famiglie delle vittime. In seguito sono fiorite su internet le teorie della cospirazione, attraverso video e siti web. Quasi ogni giorno, si può dire, decine di nuovi video vengono scoperti e pubblicati, alimentando i dubbi. Sebbene, puntualmente, le autorità abbiano contraddetto alcune teorie del complotto pubblicando nuovi documenti o nuovi video, non c'è mai stata una spiegazione globale e ufficiale capace di rispondere, una buona volta per tutte a tutte le domande che venivano poste (versioni contraddittorie sulla natura degli aerei, immagini che mostrano esplosioni sospette...).
I dubbi non hanno fatto che svilupparsi, tanto più che le autorità non hanno mai accettato di aprire un’inchiesta indipendente, che era chiesta dalle famiglie delle vittime.
In uno dei primi e più celebri filmati di questo genere, la serie "Loose Change" (dell'AssociazioneReopen 911) , venivano evidenziati fatti giudicati sospetti e basati su dati documentati e testimonianze.

(coloro che hanno seguito tutte le polemiche in questi anni e che quindi conoscono i rudimenti minimi della materia, avranno notato le ambiguità, reticenze, perfino la sciatteria, e le imprecisioni che caratterizzano questo non capolavoro della letteratura giornalistica. Ma ce n'è abbastanza per essere soddisfatti. Gli spiragli verso la verità si vanno allargando. ndr)



(E' noto che il leghismo ha un saldo legame storico con l'imperialismo tedesco - si veda ad es. https://www.cnj.it/documentazione/europaquemada.htm . Recenti episodi e dichiarazioni rinnovano l'impressione che il secessionismo del Nord-Est sia al traino della potenza economica d'oltralpe...)


Deutsche Größe
 

13.09.2010
ROM/BERLIN/VENETO
 
(Eigener Bericht) - Italienische Wirtschaftseliten feiern das deutsche Herrschaftsmodell und bieten sich als Gefolgschaft der europäischen Hegemonialmacht an. Anlass ist der weitere Niedergang der italienischen Wirtschaftsleistung, die den Abstand zur Bundesrepublik noch größer werden lässt. Die "deutsche Lokomotive" gehe "wieder auf Kurs", der politisch vorbildhaft sei, heißt es in der liberalen italienischen Presse. Wesentliche Ursache der deutschen Wirtschaftserfolge sei die Gefügigkeit der Gewerkschaften, die sich einer "absoluten Kooperation" zwischen "Kapital und Arbeit" verschrieben hätten, lobt Giuseppe Vita, Präsident der Banca Leonardo, Vizepräsident der Allianz Italien und Aufsichtsratsvorsitzender der Axel Springer AG. Vita sieht die italienische Wirtschaft in einer "Symbiose" mit Deutschland. Die desolate Lage der römischen Finanzen treibt Zentrifugalkräfte an, die auf eine Zersplitterung des italienischen Territoriums hinarbeiten.
Die italienische Schuldenlast nimmt von Monat zu Monat zu. Das Handelsbilanzdefizit Italiens stieg von 1,787 Milliarden Euro im Januar kontinuierlich und erreichte im Mai den Monatswert von 1,827 Milliarden. Das Gesamtdefizit im Außenhandel in den ersten fünf Monaten 2010 beläuft sich auf elf Milliarden Euro mit stabiler Tendenz. Damit rangiert Italien immerhin noch vor Frankreich, dessen Handelsbilanz im selben Zeitraum minus 25 Milliarden Euro verzeichnet (Bundesrepublik Deutschland: plus 60 Milliarden). Die gewohnte Bautätigkeit hat in der italienischen Landesmitte und in Süditalien erheblich nachgelassen und lässt die Arbeitslosigkeit regional stark steigen. Klagen über die Wirtschaftslage führen zu Verwerfungen im römischen Regierungsbündnis, das auf Neuwahlen zusteuert.

Besondere Rolle

Die Irritationen sind Anlass beispielloser Lobpreisungen der deutschen Wirtschaftskraft und ihres politischen Basismodells. Man erhoffe sich für den Rest des Jahres ein deutsches Wachstum "im chinesischen Rhythmus", schreibt der Corriere della Sera, eine Art italienischer FAZ.[1] In einem Interview weiht Giuseppe Vita die Leser in das "geheime Rezept" [2] der Berliner Industriepolitik ein. Der heutige Aufsichtsrat zahlreicher deutscher Großunternehmen, der Schering den Weg nach Italien ebnete und die Vorzüge der deutschen Verhältnisse kennt, hebt die besondere Rolle der deutschen Gewerkschaften hervor.

Korporativ

Ihre positive Beteiligung am internationalen Konkurrenzkampf der deutschen Unternehmen halte "seit dem Fall der Mauer an" und habe "seit der Krise im Jahr 2003 zugenommen" - "maximale Kooperation", wie Vita findet.[3] "Kapital und Arbeit wissen, dass sie im selben Boot sitzen, und versuchen gemeinsam, obenauf zu schwimmen." Selbst Verdiensteinbußen durch Kurzarbeit nähmen die deutschen Gewerkschaften klaglos hin, wenn es dem Unternehmen nutze. Das von Vita skizzierte korporative Modell lasse die deutsche Wirtschaft "erheblich flexibler" reagieren als in anderen europäischen Ländern, wo die Krise zu Massenentlassungen geführt habe und der Neustart mühselig ist.

Identität

Die schwierigen italienischen Verhältnisse feuern separatistische Kräfte an, die seit Jahren auf eine Dissoziation der italienischen Gesellschaft setzen. So ist die rechtsgerichtete Lega Nord inzwischen nicht nur in ihren Mailänder Stammgebieten erfolgreich, den Wohlstandszentren des italienischen Bürgertums, sondern versucht in ganz Norditalien neue Wählerschichten zu erschließen. Lega-Führer Umberto Bossi, den seine politischen Gegner für einen Rassisten halten, trat kürzlich in Venedig auf, wo er eine separatistische Kampagne unterstützte: "Venetien zuerst!"[4] Ziel ist die Anerkennung einer besonderen "Identität" der Region, die durch Änderungen der Regionalverfassung festgeschrieben werden soll. Venetien müsse über autonome Rechte verfügen "wie Katalonien".

Anschluss

Damit droht die Lega Nord dem italienischen Zentralstaat mit territorialen Entgrenzungen spanischer Art, sollte den wirtschaftlichen Sonderwünschen des oberitalienischen Bürgertums nicht nachgegeben werden.[5] Verlangt wird der weitgehende Einbehalt der in Norditalien erwirtschafteten Steuereinnahmen, die dem wirtschaftsschwächeren Süden entzogen werden müssten. Vorbild der Kampagne ist die Politik der deutschsprachigen Eliten im Alto Adige ("Südtirol"). Ständige Sezessionsdrohungen, die mit einem Anschluss an Österreich spielen, werden aus Rom mit Millionensubventionen beantwortet. Das Gebiet um Bolzano (Bozen) gehört zu den reichsten Italiens und ist Sprungbrett deutscher Wirtschaftsexpansion, der die Zweisprachigkeit im Alto Adige einen maßgeblichen Konkurrenzvorteil verschafft.

Symbiose

Wie der italienische Springer-Manager Giuseppe Vita meint, darf die italienische Wirtschaft darauf hoffen, dass ihre dienende Funktion von den deutschen Großunternehmen weiter in Anspruch genommen wird - als "Hauptlieferantin" [6] bei der weltweiten deutschen Exportführerschaft. Die periphere Zuarbeit kleinerer und mittlerer italienischer Firmen habe zu einer "Symbiose" geführt: deutsche Größe plus italienische Gefolgschaft.

[1] La locomotiva Germania riprende la corsa; Corriere della Sera 14.08.2010
[2] La ricetta segreta di Berlino; Corriere della Sera 14.08.2010
[3] Vita: il capitalismo renano? Ha anticipato l'Europa con le ristrutturazioni; Corriere della Sera 14.08.2010
[4] "Veneto come la Catalogna", bufera zu Zaia; Reppublica 13.08.2010
[5] s. dazu Zukunft als VolkSprachenkampfEuropa der Völker und Das deutsche Blutsmodell (IV) Unsere Berichterstattung Spanien
[6] Vita: il capitaliso renano? Ha anticipato l'Europa con le ristrutturazioni; Corriere della Sera 14.08.2010



Negligenza mortale 
testo di Paul Polansky sulle responsabilità dei governatori coloniali del Kosovo nell'avvelenamento e nell'apartheid della popolazione rom.
Si vedano le puntate precedenti:
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3919
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3933
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3946
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3956
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3966
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3979
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3986
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3997
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=4006
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=4018

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Negligenza mortale (XI puntata)


by Paul Polansky

[continua]


Saša Rašić


IL PREMIO OFFUSCAMENTO: mette in discussione le intenzioni, l'apertura e la trasparenza di un ministro del governo kosovaro riguardo al salvare gli zingari dei campi di Mitrovica sotto la sua giurisdizione.

Saša Rašić, Ministro per le Comunità ed i Ritorni nel Governo del Kosovo, è nato il 18-07-1973, nel povero villaggio serbo di campagna di Dobrotin, comune di Lipljan. Prima di diventare ministro del governo kosovaro, questo Serbo è stato vice ministro agli Affari Interni. Prima ancora ha lavorato come avvocato, interprete della KFOR britannica a Lipljan, ed assistente e coordinatore della polizia UNMIK a Lipljan e Priština.

Uno dei suoi compiti dopo essere diventato Ministro per le Comunità ed i Ritorni era di supervisionare ed evacuare i campi zingari che si trovano su terreni contaminati, la cui gestione è stata passata nel 2008 dall'UNHCR al governo del Kosovo. Nonostante i ripetuti rapporti dei media mondiali (BBC, International Herald Tribune, Washington Times, Aljazeera, Bild Zeitung, ZDF, ARTE TV, The Sun, ecc.) che richiamavano l'attenzione su questi "campi di morte", né Rašić né nessun membro del suo ufficio hanno mai visitato i campi. A tutt'oggi, il Ministro Rašić non ha ancora rivelato un piano per evacuare medicalmente i campi, come richiesto dall'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e da innumerevoli altre OnG.

Da quando è diventato membro del gabinetto del Primo Ministro Thachi, Rašić ha rifiutato di incontrare i giornalisti stranieri che volevano discutere il tema dei campi contaminati dal piombo, o la costruzione dei 60 appartamenti per IDP (Persone Disperse Internamente), nel villaggio di Laplje Selo dove gli zingari dei campi fuori dalla città di Mitrovica (che non hanno mai vissuto nel quartiere Fabricka a Mitrovica sud) potrebbero essere trasferiti. Nonostante fosse programmato come uno sviluppo multietnico dal ministero di Rašić, i 60 appartamenti sono stati assegnati soltanto a Serbi, che non hanno sofferto una situazione di minaccia alla vita come gli zingari sui terreni contaminati.

Sebbene in loco ci siano forti sospetti che chi ha costruito i 60 appartamenti ha costruito nel contempo sull'altro lato della strada un palazzo per il Ministro Rašić, anche se la stupenda casa in effetti esiste (l'ho fotografata), non credo ci sia una prova scritta che provi questo gossip. Sono sicuro che il governo del Kosovo ha già investigato su questi rumori locali senza sostanza e li abbia trovati infondati. Nondimeno, sarebbe conveniente che il Ministro Rašić ed il governo kosovaro fossero più trasparenti con i giornalisti e con il pubblico e, naturalmente, per salvare i Rom/Askali assieme ai vicini serbi del Ministro Rašić.

sasa.rasic@...



Ambasciata Svizzera a Pristina
Agenzia Svizzera per lo Sviluppo e la Cooperazione (SDC)
Società per i Popoli Minacciati (GFBV - sezione Svizzera)


PREMIO "NON FATE NESSUN RUMORE": disonora i summenzionati partner che rifiutarono di "fare rumore" a favore dei bambini zingari che soffrivano di livelli di piombo mortali negli ex campi ONU ora gestiti dal governo del Kosovo.

Poco dopo la morte di Jenita Mehmeti, quattro anni, per avvelenamento da piombo nel campo ONU di Zitkovavc, mi precipitai nell'ufficio SDC di Pristina e li supplicai di aiutarmi. Per due anni SDC aveva generosamente finanziato le mie classi per insegnare l'inglese ai Rom nelle enclavi serbe vicino a Pristina, ed anche nei quartieri Gabeli/Egizi a Peja e Gjakova. SDC aveva anche finanziato i miei piccoli progetti lavorativi per gli zingari di tutto il Kosovo.

La morte di Jenita non era stata causata soltanto dal terreno contaminato dove l'ONU aveva piazzato la sua famiglia, ma anche dal fatto che suo padre riciclava batterie d'auto nella loro baracca ONU. L'attività era stata approvata dai gestori del campo. I Serbi che gli portavano le batterie avevano una licenza rilasciata dall'ufficio ONU di Zitkovac. ACT (Agenzia Svizzera di Soccorso) e NCA (Norwegian Church Agency) che assieme amministravano il campo ONU ammettevano che le batterie per auto, consegnate di solito a mezzogiorno in un camioncino aperto, venissero scaricate dai bambini zingari che non avevano altro da fare. L'atteggiamento di NCA era che gli zingari trovassero un lavoro (di qualsiasi tipo) invece di essere parassiti, dipendenti dagli aiuti umanitari.

La mia richiesta all'SDC era di farmi finanziare piccoli progetti lavorativi per i campi Rom/Askali, così che non dovessero smaltire le batterie delle macchine. Sfortunatamente, l'SDC aveva appena cambiato il proprio capo missione. Ero sicuro che il capo precedente avrebbe istantaneamente approvato il mio progetto che salvava delle vite, ma il nuovo, una donna svizzera di nome Barbara Burri, rifiutò.

Non ne fui sorpreso. Per diversi anni come vice capo missione, aveva rifiutato di assumere personale delle minoranze, solo Albanesi. Il capo precedente dell'SDC a Pristina era imbarazzato per questo atteggiamento, ma fece con me un accordo. Fintanto che non mi lamentavo del rifiuto dell'SDC di assumere minoranze, avrebbe finanziato i miei progetti zingari. Ma il nuovo capo missione non la pensava così. Ero andato troppo oltre nel tentare di coinvolgere la Svizzera. L'SDC intendeva ancora aiutare gli zingari onesti che vivevano nelle enclavi. Ma non gli zingari che morivano nei campi ONU. Sarebbe stato troppo politico per la loro "mentalità svizzera neutrale". Dopo tutto, dove aveva l'UNHCR (gli amministratori dei campi della morte) il proprio quartier generale? A Ginevra, Svizzera.

Con l'Ambasciata Svizzera non andò meglio. Anche loro si rifiutavano di assumere dalle minoranze, solo Albanesi. Quando feci appello all'ambasciatore in carica per aiutare questi bambini che morivano di avvelenamento da piombo, mi disse di cercare dei fondi altrove. Farsi coinvolgere in un progetto che avrebbe potuto imbarazzare l'ONU o gli Albanesi, non era nelle corde della Svizzera.

Il mio terzo tentativo di cercare aiuto dalla Svizzera avvenne cinque anni più tardi, quando contattai la Società per i Popoli Minacciati, a Berna. Sin dall'estate 1999 l'organizzazione madre in Germania era stata attiva nel denunciare l'avvelenamento da piombo nei campi e a chiederne l'evacuazione assieme all'OMS ed altre OnG. Infatti, la GFBV tedesca aiutò mandando una TV della Germania (ZDF) e la Bild Zeitung nei campi per dare più risonanza possibile sulla sofferenza di quei bambini. All'inizio GFBV (Svizzera) mostrò appoggio per un'azione diretta, proponendo persino di tenere assieme a noi una manifestazione presso il quartier generale UNHCR a Ginevra. Ma dopo una visita in Kosovo e dopo discussioni con l'Ambasciata Svizzera a Pristina (che disse loro di non creare rumori attorno ai campi), GFBV (Svizzera) non solo rifiutò di appoggiare la nostra campagna ma convinse anche GFBV in Germania ad unirsi a loro nel non dare più risalto alla questione dei campi.

Adottando la medesima mentalità della II guerra mondiale, la neutralità rimane il modus operandi della Svizzera. E proprio come agli Ebrei venne impedito di entrare in Svizzera durante la guerra, così pure ai nostri bambini Rom/Askali veniva proibito adesso di entrare nei cuori e nelle menti dell'Ambasciata Svizzera e dell'ufficio SDC a Pristina.

Ancora, non ne fui sorpreso. Assumendo solo Albanesi per lavorare nei loro uffici; essendo uno dei primi paesi a riconoscere il Kosovo come uno stato indipendente; perché ora gli Svizzeri avrebbero voluto "salvare gli zingari" e mettere in imbarazzo il governo del Kosovo? Probabilmente gli Svizzeri avevano paura che salvare dei "gypos" nei "campi della morte" ora gestiti dagli Albanesi poteva causare uno sciopero del loro staff albanese.


Fine undicesima puntata

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Negligenza mortale (XII puntata)

by Paul Polansky

[continua]


Prof. dr. Alush Gashi


IL PREMIO MENGELE: disonora e disgrazia questo ministro della Sanità del Kosovo che rifiuta di svolgere i suoi dovere e richiedere l'immediata evacuazione medica dei campi contaminati dove più di 80 zingari sono morti per complicazioni dovute all'avvelenamento da piombo e dove ogni bambino nasce con danni irreversibili al cervello.

Se vuoi bere il miglior vino rosso in Kosovo, il prof. dr. Alush Gashi è l'uomo da tenere in considerazione nei "suoi giri". Nei ristoranti di Pristina il vino migliore non è mai sul menù. E' riservato soltanto ai "politicos" come Gashi, che è un grande intenditore. Vorrei soltanto che ponesse altrettanta attenzione ai bambini zingari che muoiono nei campi ONU, ora sotto l'amministrazione del governo del Kosovo e del suo ministero della salute.

Una volta bevvi con Alush in un ristorante esclusivo in un parco fuori Pristina. Stavamo discutendo con un comandante di marina degli USA degli attacchi nel marzo2004 di rivoltosi albanesi contro le enclavi delle minoranze. Alush era stato nominato dal parlamento del Kosovo per investigare sulle cause della rivolta. Alla terza o quarta bottiglia di squisito vino rosso, Alush confessò che l'attacco era stato così ben pianificato che non intendeva procedere oltre con le indagini. Avrebbe soltanto imbarazzato gli alleati del Kosovo se si fosse rivelato quali politici kosovari avevano organizzato i disordini. Invece, Alush ordinò un'altra bottiglia "del migliore" nascosto nella cantina del ristorante lontano dai normali clienti.

Alush Gashi è nato il 4 ottobre 1950. La sua biografia sulla pagina web del governo del Kosovo per i gabinetti ministeriali è molto approssimativa. Ma tramite una ricerca su Google ho trovato che Alush ha scritto di essere dottore in medicina, professore di anatomia, chirurgo generale ed una volta è stato professore assistente alla facoltà di medicina dell'Università di California a San Francisco. Ha anche dichiarato di essersi recato diverse volte in America e in Europa per scopi di studio ed è autore di testi professionali e scientifici pubblicati in Kosovo, Europa Occidentale ed America (non sono riuscito a trovarne nessuno). E' stato preside della facoltà di medicina a Pristina e consigliere per i Diritti Umani del dr. Rugova, l'ultimo presidente del Kosovo. Attualmente è membro del parlamento del Kosovo per il partito LDK e ministro della Sanità del Kosovo.

Andavo a trovare Alush molte volte nel suo ufficio di ministro della Sanità. Fummo buoni amici fino a quando non portai troppi giornalisti a vederlo a proposito dei campi zingari contaminati dal piombo, che ora erano di sua responsabilità. Due anni fa le sue ultime parole che mi disse furono: "Quei campi sono la mia priorità numero uno." Ma non ci andò mai. Nemmeno nessun membro del suo staff.

Alush una volta descrisse se stesso in un'intervista ad un giornale americano come "...un innocente medico che cerca di aiutare gli altri."

Un giornale britannico una volta scrisse "ALUSH GASHI è un uomo piccolo, asciutto, dagli occhi vivaci, un chirurgo, un guaritore."

Ma i riconoscimenti della stampa straniera sono finiti da quando Alush ora rifiuta di incontrare i giornalisti stranieri che cercano da lui risposte sui bambini zingari che muoiono nei campi di morte del governo del Kosovo. A volte Alush concede al suo addetto stampa di parlare coi giornalisti internazionali, ma quando questi menzionano i campi zingari l'intervista viene improvvisamente interrotta.

Anche se il prof. dr. Alush Gashi non è il salvatore degli zingari del Kosovo, è un grande entusiasta dell'America e dei valori americani. In un'intervista ad una pubblicazione di Washington DC, Alush ha detto: "...L'America ha dato ai membri di questa comunità dei Balcani conoscenza e simpatia per i valori americani. Gli Stati Uniti sono venuti in aiuto del Kosovo in risposta alla campagna di pulizia etnica del presidente dell'ex Jugoslavia Slobodan Milosevic, che intendeva sterminare qualsiasi popolo non-serbo dalla provincia. L'impegno americano in Kosovo è unico, a partire dall'aiuto umanitario pre-guerra... poi l'America inviò i suoi figli e le sue figlie a combattere Milosevic e le truppe serbe per salvare civili innocenti, a cui era capitato di essere musulmani... e creare le condizioni perché i Kosovari potessero tornare a casa, stabilire la democrazia e rimodellare il loro futuro. Sotto la protezione NATO i Kosovari sono ritornati a casa, ma gli Americani ed i loro alleati sono rimasti. Sono rimasti ed hanno continuato a supportare chi amava la pace e stava costruendo un Kosova post-bellico... costruendo scuole, ospedali, strade e moschee. Credo che gli Albanesi del Kosova amino l'America perché sono coscienti dei valori americani."

Sfortunatamente, anche i valori americani (assieme ad Alush) sono assenti nei campi zingari. Non solo l'ambasciata americana a Pristina ha rifiutato di chiederne l'evacuazione per motivi medici, come richiesto dall'OMS,  ma l'ambasciatore americano si è rifiutato di incontrarmi per discutere una soluzione sanitaria (vedi lettera seguente). Forse Alush Gashi, ministro della Sanità del Kosovo, i suoi valori li ha appresi dall'ambasciatore americano Christopher Dell.



Ambasciatore Cristopher W. Dell


6 luglio 2009

Spett. Ambasciatore Dell,

Sono un cittadino americano che ha lavorato in Kosovo dal luglio 2009 come capo missione della Società per i Popoli Minacciati. Il mio lavoro è stato quasi esclusivamente con i Rom kosovari, specialmente con quanti vivono dal settembre 1999 nei campi per IDP costruiti su terreni contaminati a Mitrovica nord. Dalla vostra udienza di conferma, vedo che siete a conoscenza di questa tragedia che dura da dieci anni.

Per diverso tempo, ho cercato senza successo di parlare con l'attuale ambasciatore americano a Pristina sulle adeguate cure mediche per questi Rom. Sfortunatamente, nessuno vuole discutere  di un'immediata soluzione sanitaria, solo di future rilocazioni, ancora molto lontane. Anche quanti sono stati reinsediati dal 2006 nella loro precedente mahala a Mitrovica sud, non hanno ancora ricevuto il promesso trattamento per avvelenamento da piombo.

Ci sono precedenti in Kosovo per salvare migliaia di vite di vite di Albanesi e Serbi con l'immediata evacuazione, quando le loro vite erano in pericolo. Tuttora per questi Rom di Mitrovica che hanno i più alti livelli di piombo nella storia medica, non è stata considerata nessuna evacuazione d'emergenza.

Riguardo al reinsediamento, Mercy Corps non intende iniziare la costruzione delle 50 case prima di settembre, e soltanto se i test sulla tossicità del terreno (ancora da fare) saranno negativi. Nel contempo, MC rifiuta di rivelare qualsiasi piano sanitario. Come Ambasciatore americano in Kosovo, ritengo Lei possa incoraggiare il governo del Kosovo, Mercy Corps, USAID, UE/CE a salvare questi poveri Rom. Non soltanto abbiamo avuto già tra di loro 82 morti (molti di loro bambini) su questi terreni contaminati, ma secondo un dottore tedesco che li ha visitati e analizzato i risultati dei test, ogni bambino concepito nascerà con danni irreversibili al cervello.

Spero, Ambasciatore Dell, che lei mi riceva per discutere un'urgente soluzione medica prima che sia troppo tardi per salvare questi bambini.

In fede,

Paul Polansky

Il senatore USA Russ Feingold ha inviato la mia lettera assieme ad una sua presentazione, chiedendo all'ambasciatore Dell di ricevermi. L'ambasciatore Dell non ha mai risposto.

Fine dodicesima puntata


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Negligenza mortale (XIII puntata)

by Paul Polansky

[continua]


Dr. Sergey Shevchenko


[FOTO] Il Percorso della Salute del dr. Shevchenko costruito accanto ai cumuli di scorie tossiche che attorniano i campi zingari. I cartelli sono in inglese, serbo ed albanese. In inglese dicono: Inala l'odoure (sic) della salute. E' una sfida per te. VINCILA. L'esercizio creato per un corpo sano.


IL PREMIO "PERCORSO DELLA MORTE": disonora e disgrazia quel dottore ONU che approfittò finanziariamente della costruzione di impianti sportivi su terreni contaminati.

Non tanto tempo fa, chiesi ad un incaricato dell'UNMIK chi avrebbe perseguito per questa tragedia dei campi zingari contaminati da piombo. Senza esitazione, mi disse: 1- il dr. Kouchner per aver messo lì gli zingari; 2- Norwegian Church Aid per aver amministrato i campi senza riportare un decesso o senza aver poi protestato; 3- il dr. Shevchenko per essersi riempito le tasche di soldi con i progetti sportivi realizzati su terreni contaminati.

Il dr. Shevchenko, un optometrista, era il dottore ONU incaricato di Mitrovica nord, che includeva due dei tre campi originari (Cesmin Lug e Kablare). Alcuni del suo staff dicono che è un russo originario di Vladivostok e gira con un passaporto diplomatico russo, ma che vive oggi a Vancouver, BC, Canada. Però, nel 2005 disse all'avvocato americano Dianne Post di avere passaporto canadese.

Ma la cattiva fama del dr. Shevchenko è dovuta al "Percorso della Salute". Ispirandosi ad un parco della salute in Canada, Shevchenko costruì il suo Percorso della Salute su un terreno contaminato tra i campi zingari di Kablare e Cesmin Lug ed i 100 milioni di scorie tossiche la cui polvere per molti giorni ricopriva i campi. Il dr. Shevchenko trasformò un vecchio sentiero di 1,5 Km. in un percorso di jogging tossico ed installò anche barre per gli esercizi accanto al cammino, più una rete da basket e due porte improvvisate da calcio. Pose cartelli blu di due metri con scritte in bianco, firmati dall'ONU in tre lingue, incoraggiando i locali a "respirare l'odore della salute". Gli esercizi, aprire i polmoni, permette a più polvere tossica di entrare nel corpo, ma questo non era menzionato sopra la firma dell'ONU.

Secondo il suo staff ONU, Shevchenko raccolse 66.000 euro per costruire queste infrastrutture sportive, pagandole però ai contraenti locali che le costruirono solo 10.000 euro. Incoraggiato da come fosse facile ottenere fondi per "progetti zingari", il dottore-affarista Shevchenko scrisse allora un progetto da 300.000 euro per costruire più baracche sui terreni contaminati per rifugiati zingari, a favore dei rifugiati che l'ONU stava rimpatriando dalla Serbia. Secondo il suo staff locale il nostro optometrista in orgasmo da sviluppo aveva un contraente serbo locale che intendeva costruire le baracche per 100.000 euro. Quando venne chiesto loro (il suo staff) su perché non premessero per dar luogo ai lavori, mi dissero che avevano così paura di perderlo. Shevchenko lasciò il Kosovo prima che il suo progetto dei baracche venisse approvato.



KAAD (Kosovo Agency for Advacacy and Development)


IL PREMIO DIETA SPECIALE: disonora questa OnG di Pristina che ha amministrato il campo zingaro di Osterode dal dicembre 2008, ma sta facendo pochissimi sforzi per tenere in vita i bambini.

Non ho mai pensato che potesse esserci un amministratore di campi peggiore di Norwegian Church Aid nel non curarsi se i bambini dei campi zingari vivessero o morissero. Ma questa OnG albanese a contratto e finanziata dal governo del Kosovo, potrebbe essere di parecchio peggiore. Ergin Salihi, bambino di nove anni, è entrato ed uscito sette volte dall'ospedale negli ultimi anni per insufficienza renale causata da malnutrizione e debolezza del sistema immunitario causata da avvelenamento da piombo. Suo fratello Robert, cinque anni, è in condizioni persino peggiori. Senza una dieta adeguata, dicono i dottori locali, non vivranno a lungo. Sino a settembre 2009, KAAD ha fornito la dieta speciale al costo di 7 euro al giorno. Da settembre, KAAD ha sospeso la somministrazione dicendo di non potersela permettere.

Quando Human Rights Watch (l'OnG internazionale con base a New York) a novembre 2008 visitò i campi, parlò con una dottoressa part-time del campo, Javorka Jovanovic, che dichiarò che era impossibile distinguere tra cause mediche dipendenti solamente dal piombo e quelle semplicemente collegate alla povertà e alla deprivazione. Aggiunse che la combinazione dei due fattori peggiorava sempre di più ogni condizione. Tuttavia, notava nei bambini su base giornaliera i sintomi da contaminazione come rachitismo, nervosismo, fatica ed epilessia. Disse che l'avvelenamento da piombo stava rendendo i bambini più vulnerabili alle altre malattie.

La dottoressa Jovanovic sentiva che la cattiva salute dei bambini peggiorava a causa della loro dieta. Molte, se non la maggior parte, delle famiglie vanno a cercare il cibo nei container delle discariche cittadine. Nel 2002 ACT/NCA interruppero tutti gli aiuti alimentari ai campi, dicendo che gli zingari ne rivendevano una parte per comprarsi le sigarette. Gli zingari ammisero di vendere alcuni degli aiuti, ma soprattutto per comprare le scarpe perché i bambini potessero andare a scuola. Nondimeno, tutti gli aiuti alimentari vennero fermati nel 2002.

Tutte le madri del campo si sono lamentate con KAAD sulle cattive condizioni igieniche e per la dieta che sta esacerbando la situazione sanitaria dei più vulnerabili, i bambini sotto i sei anni d'età e le donne incinte. La dottoressa Jovanovic ha detto che la concentrazione di malattie nei campi rende la situazione medica senza paragoni con nient'altro che abbia mai visto nei suoi 35 anni come dottoressa.

Anche se KAAD ed il governo del Kosovo non sono responsabili per la costruzione di questi campi su terreni contaminati, furono gli Albanesi che allontanarono gli zingari dalle loro case dopo che le truppe NATO francesi avevano occupato la città. Punire ora i bambini nati lì dopo la guerra appare una rivincita senza senso. Ma è quello che sta succedendo adesso. Altrimenti perché KAAD dovrebbe interrompere  la dieta speciale del novenne Ergin? Sicuramente KAAD che mantiene uno staff di 42 persone ed è finanziata dal governo del Kosovo può permettersi 7 euro al giorno per salvare Ergin ed i suoi fratelli. Nessuno in Kosovo, KAAD specialmente, sembra comprendere che la negligenza dolosa verso i bambini è un crimine.

Fine tredicesima puntata




Malga Bala, ennesimo caso di revisionismo storico

(Fonte: mailing list Storia e conflitto - http://it.groups.yahoo.com/group/storia_e_conflitto/ )

Leggendo il bellissimo libro di Giordano Sivini ("Il banchiere del Papa e la sua miniera. Lotte operaie nel villaggio minerario di Cave del Predil, Bologna, Il Mulino, 2009), ho trovato il riferimento ad un episodio della Resistenza, recentemente trasformato da parte "revisionista" in un ulteriore capitolo della saga qualunquista-fascistoide.
In buona sostanza, un drappello di carabinieri (lo scrivo con la minuscola) arruolati al servizio degli occupatori nazisti - che avevano asservito le regioni nordorientali d'Italia al Reich millenario di Adolf Hitler - fu eliminato dalla Resistenza jugoslava per sabotare gli impianti di produzione bellica da loro protetti. Questo episodio, che verte attorno al controllo di una centralina elettrica alimentante le miniere di Raibl/Cave del Predil, che col loro piombo e zinco servivano alla Wehrmach, si trasforma in un ulteriore "foiba", con rovesciamento della storia. Come se fosse stata la Jugoslavia a scatenare la guerra mondiale con la sua aggressione, e non la Germania e l'Italia.
Ma quel che è peggio è che tutta questa storia viene legittimata dal sito ufficiale dei Carabinieri (con la maiuscola: cfr. http://www.carabinieri.it/Internet/Arma/Curiosita/Non+tutti+sanno+che/M/4+M.htm ), quelli che noi cittadini retribuiamo per difendere la nostra sicurezza dai delinquenti, nonché - en passant - l'ordine repubblicano, quello della Costituzione nata dalla Resistenza. Con buona pace di quel genio di Minimo D'Alema che, essendo presidente del consiglio, li trasformò da corpo dell'Esercito in arma autonoma (come i Carabineros cileni, altri alacri testimonial della democrazia globale sotto il dittatore Pinochet). Oggi più che mai, i Carabinieri debbono essere smilitarizzati e sottratti all'autoritarismo di gerarchie evidentemente poco use al culto della Resistenza antifascista. Ed il sito deve essere ripulito da simili volgarità.

Gian Luigi Bettoli

Per approfondimenti, cfr il link sottostante:
http://www.anpipianoro.it/memoria%20commenti/malga%20bala%20ennesimo%20caso%20di%20revisionismo%20storico.html
[il link rimanda tra l'altro all'articolo apparso su La Nuova Alabarda nel febbraio 2007: