Informazione

Kosovo, il luogo del silenzio

1. Un articolo di C. Grassi, da Liberazione
2. Un intervento di Uberto Tommasi


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http://www.liberazione.it/giornale/041223/archdef.asp

da Liberazione del 23 dicembre 2004

Kosovo, il luogo del silenzio

Intolleranza, xenofobia, uranio impoverito: la situazione a quattro
anni dalla guerra che tutti considerarono allora un intervento
umanitario. "Kosovo. Buco nero d'Europa", di Uberto Tommasi e Mariella
Cataldo, ritorna sull'argomento


Era la primavera del 1999, quando la Nato lanciava bombe e proiettili
all'uranio impoverito su tutto il territorio di quella che si chiamava
ancora Repubblica Federale Jugoslava. Si trattava, come dissero i
leader al governo, da D'Alema a Schröder, di un "intervento umanitario"
per impedire il genocidio dei kosovaro-albanesi.

Solo un anno dopo, nel marzo 2000, un documentato dossier curato da
Serge Halimi e Dominique Vidal su "Le monde diplomatique", dimostrò
come non era vero che ci fosse in atto una catastrofe umanitaria. A
conferma di ciò, nelle settimane scorse, è uscito un libro (Kosovo.
Buco nero d'Europa, Edizioni Achab, euro 11) di Uberto Tommasi e
Mariella Cataldo. E' una lettura che consigliamo, oltre a tutti i
pacifisti, anche a Massimo D'Alema e a quanti assieme a lui continuano
a ritenere quella guerra un intervento umanitario.

Come spiega l'attenta prefazione di Andrea Catone, la guerra contro la
Serbia, fortemente voluta dai tedeschi e dall'amministrazione Clinton,
era funzionale allo sviluppo e al controllo dei corridoi energetici e
delle risorse minerarie come la lignite, ricchezza primaria del Kosovo.
Così come è servita agli Usa per piazzare la più grande base militare
d'Europa: Camp Bundsteel, capace di ospitare cinquantamila militari,
con 25 chilometri di strade, 300 edifici, 14 chilometri di barriere di
cemento, 84 chilometri di filo spinato.

Di tutto questo i mass media non se ne occuparono. Hanno deciso di
tacere anche sul fatto che in questi cinque anni, con l'avallo
dell'Onu, si sono consumati i più efferati delitti e una pulizia etnica
radicale e violenta contro serbi e rom. Di più: i grandi mezzi di
comunicazione hanno cercato in ogni modo di fare dimenticare questa
«ferita aperta nel cuore dell'Europa», per far sì che non venissero mai
a cadere quelle motivazioni che avevano promosso e giustificato la
guerra.

Oggi più che mai invece, il Kosovo rappresenta appieno la menzogna che
si celava dietro l'intervento umanitario: «Oggi il Kosovo è il luogo
del silenzio».

Il libro di Uberto Tommasi e Mariella Cataldo cerca di inserirsi
all'interno di questa brutale indifferenza che si è perpetuata nel
tempo, per sconfiggerla. Kosovo, Buco nero d'Europa è il disperato
tentativo di rompere il silenzio che ha circondato questa regione, è
l'esigenza di far sentire la voce di chi - da una parte o dall'altra -
è riuscito a sopravvivere.

Uberto Tommasi - che era già stato in questa terra nel luglio del 1999
- decide di tornarci dopo i fatti del 17 marzo del 2004, cioè dopo un
pogrom in piena regola durato tre giorni, durante il quale nel Kosovo
furono uccisi 31 serbi.

Pur in mezzo a numerose difficoltà, tante sono le testimonianze
raccolte e ognuna meriterebbe di essere raccontata e commentata.
Dall'incontro a Prizren con Selim e Ilaz, due intellettuali moderati;
alla dissertazione sulla spiegazione del pogrom di marzo fatta da un
giovane americano, sentita in un caffè. O ancora dalla visita a don
Shan Zefi, un prete che sta dando vita alla costruzione di una chiesa
dedicata a Madre Teresa di Calcutta a Pristina; alla chiacchierata con
Bajran un tecnico dei telefoni, partito volontario dalla Germania per
il Kosovo nel 1999, che racconta con sgomento l'ordine di cantare
impartito dal suo ufficiale per coprire le urla di un paio di civili
serbi catturati.

Ma di tutte le interviste fatte, due più di tutte meritano di essere
riportate per l'immenso disagio che raccontano.

L'incontro con Etem, un giovane filosofo contadino che lo invita nella
propria casa (e che lo aiuterà anche a scappare, una volta che il
giornalista verrà scoperto da alcuni ex combattenti dell'UÇK) che,
interrogato su Tito, in maniera disarmante risponde: «Un giorno la
gente capirà quello che era stato il vero testamento di Tito, che aveva
diviso ricchezze e risorse fra gli stati jugoslavi, per obbligarli a
rimanere uniti», «… ognuno poteva professare il suo credo religioso in
chiesa o in moschea, ma i preti non dovevano fare propaganda pubblica.
I nazionalismi erano schiacciati». E l'altra invece che fa riferimento
ai danni provocati alla popolazione locale dall'uranio impoverito
contenuto nei proiettili che avevano colpito il luogo. L'unico dottore
disposto a parlare, con la garanzia di un anonimato assoluto, racconta
come qui i medici si trovino a sfilare i linfonodi di Hodgkin come
fossero tonsille. Mancando l'informazione, la gente si accorge di stare
male con forte ritardo rendendo così la malattia inguaribile. La sola
precauzione che il personale medico può dare è quella di raccomandare a
tutti di non bere l'acqua dei rubinetti, ma purtroppo la maggior parte
della popolazione non ha abbastanza soldi per acquistare quella
minerale. Una condanna a morte in piena regola, un prolungamento degli
effetti della guerra che continua a colpire i civili innocenti.

Mariella Cataldo fa un viaggio invece nel mondo dei "vinti". E' una
insegnante volontaria della Most za Beograd, un'associazione culturale
che ha avviato una campagna di solidarietà, attraverso l'adozione a
distanza dei figli dei lavoratori della Zastava di Kragujevac e
attraverso il sostegno ai profughi serbi delle Krajne, della Bosnia,
del Kosovo che ha subito dal 1999 pesantissime violenze che hanno
ridotto la presenza serba dal 90% all'1,5%.

E' un viaggio che alterna incontri ufficiali a momenti di vita
familiare che, messi insieme, danno un quadro dettagliato di che cosa è
oggi il Kosovo.

Nenad Koijæ, presidente dell'Unione delle municipalità serbe, da lei
contattato, mette da parte i commenti istituzionali e, approfittando
della presenza di amici italiani, sfoga le frustrazioni di chi si
ritrova ad amministrare qualcosa che sta scomparendo. Soprattutto dopo
i terribili avvenimenti di marzo, crescono i dubbi sul fatto che la
minoranza serba in Kosovo possa sopravvivere. Secondo la risoluzione
1244 del 10 giugno 1999, le Nazioni Unite avrebbero dovuto sviluppare
in Kosovo istituzioni di autogoverno democratico provvisorio per
assicurare condizioni di vita pacifica e normale per tutti gli
abitanti. Ma ciò - racconta Nenad - non è mai avvenuto. L'intolleranza
nazionalista dimostrata dalla maggioranza della popolazione albanese
invece di scomparire è aumentata, a dimostrazione che il quadro
istituzionale sinora adottato per il Kosovo non è stato in grado di
preservare la pace e difendere i diritti umani. Perciò secondo Nenad
Koijæ l'unica soluzione è dotare i serbi e le altre etnie non albanesi
di autonomia territoriale. Il principio della "autonomia
nell'autonomia" (cioè l'autonomia delle comunità serbe e non albanesi
nella provincia autonoma del Kosovo) non significherebbe rinunciare a
una società multietnica e multiculturale, ma diventerebbe la sola via
per renderla possibile. Eppure questo piano incontra forti resistenze.
Gli americani e gli inglesi non vogliono i "cantoni", tanto meno gli
albanesi - tutti i partiti politici albanesi, da Rugova a Thaçi - che
vedono in essi la minaccia di frantumare il Kosovo. Anche per l'Europa
è così.

Intanto il Kosovo, con l'andare del tempo, sta diventando sempre di più
il crocevia di droga, prostituzione, mafia.

Nonostante tutto, qui non si perde la speranza, la testimonianza ci è
data dai volti delle bambine, che Mariella Cataldo descrive benissimo a
tal punto che ci sembra di vederle, di sentire le loro risate che ci
obbligano a non dimenticare quanto sia terribile la guerra, ma anche
che il futuro appartiene alla pace.

Claudio Grassi


=== 2 ===

Zociste (Orahovac) – Kosovo

Il monastero ortodosso Zociste, dedicato ai santi medici Cosma e
Damiano, è molto antico.

Nel 1999, alla fine della guerra, era stato incendiato da una banda di
estremisti albanesi e nel marzo di quest’anno era stato fatto saltare
con l’esplosivo. “Questo autunno” racconta Padre Petar, Igumano del
monastero “Tre monaci erano ritornati nel luogo, sistemandosi in tende
provvisorie, ed avevano ricostruito tre celle. Ultimamente avevano
cominciato a sistemare una stanza per il bagno ed a rifare il tetto del
refettorio quando, il 15 dicembre, un generale austriaco della KFOR,
era intervenuto obbligandoli a demolire il bagno, asserendo che la
costruzione aveva fatto innervosire gli albanesi che avevano lanciato
un ultimatum.”

Artemie il vescovo responsabile per il Kosovo dice di non comprendere i
soldati austriaci della KFOR che a Marzo non avevano fatto nulla per
impedire la distruzione del monastero e che ora si piegano al volere
degli albanesi. L’episodio, secondo i serbi, è molto più grave
dell’incendio del monastero, un crimine dettato dall’odio provocato ad
arte ed esecrato dall’opinione della comunità internazionale, in quanto
legittima il diritto dei terroristi a distruggere quanto rimane del
patrimonio artistico ortodosso.  

Uberto Tommasi
24/12/2004

PRIMO PIANO CON QUATTRO ANNI DI RITARDO


Ieri sera (22/12/2004) ho visto con grande interesse il programma
"Primo Piano" su RAI3, che in pratica consisteva in un'intervista di
poco più di 10 minuti con uno dei leader di Otpor, il serbo Stanko
Lazendic.

L'intervistatore era il solito cerchiobottista Ennio Remondino, che
purtroppo ormai tutti ben conoscono come la voce del pensiero unico
occidentale che parlava da Belgrado e quindi non è che ci si potesse
aspettare chissà che cosa, tuttavia alcune cose sono trapelate e chi ha
voluto capire ha capito.

Prima dell'intervista vera e propria una breve introduzione in cui
Remondino tesse le lodi di Otpor, il movimento che ha dato una scossa
alla classe politica serba, troppo intrisa di "nazionalismo nostalgico
e vittimista" e che ha permesso alla DOS di vincere nel 2000, ma si è
dimenticato di dire attraverso un  golpe. Tra le immagini di
repertorio, Djindjic e Draskovic con le magliette nere di Otpor che 
arringavano in una pubblica piazza. Ovviamente non mancano i soliti
strali contro Milosevic, ma ormai  per chi conosce Remondino non sono
certo una sorpresa.

Il tema della "non violenza" ricorre come un chiodo fisso in tutta la
trasmissione e Remondino ci tiene a rimarcare il carattere "non
violento" del movimento Otpor, ma mentre lo fa stranamente sullo
schermo scorrono le immagini del 2000 con il parlamento incendiato e
con Belgrado messa a ferro e fuoco dai manifestanti non violenti.

Inizia l'intervista a Lazendic, un "fisico da bodyguard ma lui ci tiene
a dire di non essere un mercenario", il quale definisce il proprio
lavoro come "istruttore" o "trainer". Dopo Otpor lui e Ivan  Marovic
fondano il "Centro per la resistenza non violenta", definito come "una
ONG". Il Lazendic ammette candidamente di aver istruito e formato
"altre ONG" in Georgia (di cui si vanta del successo di Kmara), 
Bielorussia, Azerbaijan e Ucraina. Parla di Alexandar Maric, il serbo
espulso dall'Ucraina qualche tempo fa, come di un vecchio amico e
militante di Otpor.

Ma la parte più bella è quando il Remondino gli domanda dei
finanziatori del Centro per la resistenza  non violenta e dei corsi che
loro tengono nei vari paesi dell'Est. E lì escono fuori i famigerati
nomi divenuti ormai tristemente noti: NED, USAid, Freedom House,
Fondazione Adenauer (Germania), Fondazione Westminster (Gran Bretagna).
Stranamente Soros non viene mai nominato né da Remondino, né da
Lazendic.

Quando Remondino gli fa notare che molti li considerano sobillati dai
servizi segreti occidentali,  Lazendic respinge seccamente l'accusa.
Allora Remondino incalza e fa il nome di Robert Helvy e dei corsi da
lui tenuti all'hotel Hilton di Budapest nel 2000. Corsi intensivi sui
metodi non violenti a cui il Lazendic ha partecipato. Alla domanda se
sapesse che Helvy era un colonnello della CIA, ovviamente il Lazendic
ha risposto che allora non sapeva nulla. Ovviamente ha detto di non
sapere nemmeno che Helvy era stato inviato a Budapest, attraverso
l'USAid, direttamente dall'IRI, l'Istituto Internazionale del Partito
Repubblicano.

Insomma, sempre nei limiti che ho detto sopra, comunque una
trasmissione che ha contribuito a parlare di questo argomento su cui
regna il solito silenzio assordante.

(a cura di Pino per il CNJ)

( Izlaganje Vladislava Jovanovica: JUGOINFO 30 Nov 2004
Izlaganje Oskara Kovaca: JUGOINFO 22 Dic 2004
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/messages )


http://www.artel.co.yu/sr/reakcije_citalaca/2004-12-22.html

MEDJUNARODNI POLOZAJ SRBIJE I CRNE GORE
I STRATEGIJA NJENE SPOLJNE POLITIKE

BEOGRADSKI FORUM ZA SVET RAVNOPRAVNIH
Beograd, 27. novembar 2004. godine
ETNOGRAFSKI MUZEJ
Okrugli sto na temu: MEDJUNARODNI POLOZAJ SRBIJE I CRNE GORE I
STRATEGIJA NJENE SPOLJNE POLITIKE


Izlaganje: Rade Drobac

I MEDJUNARODNI POLOZAJ SRBIJE I CRNE GORE

Danas, kada je nasa javnst podeljena na dva suprotna tabora, na one
koji misle da smo na ivici ponora i potpune propasti, sa pretnjom
potpunog nestajanja kao naroda I drzave, I one koji misle da smo nakon
godina mraka i stradanja izasli na svetao evropski but koji nam
garantuje sretnu buducnost, vazno je izneti objektivne pokazatelje koji
mogu razresiti ovu dilemu, bar kod onih koji misle svojom glavom.
Ovbakva podela onemogucava nam osmisljavanje bilo kakve dugorocne
nacionalne strategije I paraolise I sve aktuelne politicke aktivnosti u
bilo kom pravcu, cime zemlju postepeno void u sve vecu konfrontaciju, a
sledstveno tome, I nemogucnosti ostvarivanja ma ia najosnovnijih
drzavnih i nacionalnih interesa. Zato je izuzetno znacajno objektivno I
jasno oceniti medjunarodni polozaj nase zemlje, pa tek onda traziti
kako doci do nekakve nacionalne strategije, kako na unujtrasnjem, jos
vise na medjunarodnom planu, mada se ta dva pitanja ne mogu razdvajati
jer su organiski povezana.
Kada je u pitanju medjunarodni polozaj neke zemlje, on se moze vrlo
precizno odrediti na osnovu primene sasvim jasnih principa i kriterija.
Ti parametri su rezultat duge istorije i razlicitih oblika drzavnosti
zbog cega su objektivni, stabilni i tesko promenljivi. Ono sto je
posebno vazno je da ne spadaju u repertoar dnevne politike a u ovom
trenutku i na ovom mestu ih je utoliko znacajnije navesti kako bi se
ponovo podsetili tih osnovnih, a zaboravljenih, i svima razumljivih
nacela i razgrnuli maglu dezinformacija i poluistina koja krije stvarni
medjunarodni polozaj nase zemlje u ovom trenutku. To je ujedno I
preduslov da mozemo uopste razmisljati o bilo kakvoj strategiji nase
spoljne politike.
Prvi i osnovni kriterijum za vrednovanje naseg medjunarodnog polozaja
je utvrdjivanje kakvu percepciju o nasoj zemlji imaju druge drzave. Da
li je smatraju stabilnom ili nestabilnom, politicki monolitnom ili
nesloznom, ekonomski jakom ili slabom, vojno potentnom ili debilnom,
sposobnom, kredibilnom i samodovoljnom, ili nesposobnom, nepouzdanom i
zavisnom. Dakle, ukoliko strane drzave ocenjuju nasu zemlju stabilnom,
politicki monolitnom, ekonomski jakom, vojno potentnom, sposobnom,
kredibilnom i samodovoljnom, morace da je postuju, da njene interese
uvazavaju , da sa njom saradjuju a prostor za njihovo zlonamerno
mesanje u njene unutrasnje stvari ili ugrozavanje njenih
spoljno-politickih interesa bice sveden na minimum, odnosno takvo
eventualno delovanje bice svim ovim karakteristikama znatno
obeshrabreno. I naravno, obrnuto sa svim posledicama koje to moze
doneti. Neka svako zakljuci u koju kategoriju nasa zemlja danas spada.
Drugo, veoma znacajan kriterijum pri odredjivanju nase medjunarodne
pozicije je i u kojoj meri nasa zemlja ostvaruje svoje nacionalne,
drzavne, politicke, ekonomske, kulturne i druge interese jer je to
jedan od glavnih uslova za njen medjunarodni kredibilitet. Pri tome bi
se moralo znati koji su ti ciljevi koje zelimo ostvariti kako bismo
znali da li smo, i u kojoj meri, u tome uspeli. Jos je znacajnije
napraviti razliku izmedju nasih izvornih i stvarnih ciljeva i interesa
od poturanja tudjih interesa kao nasih, sto je u nasoj zemlji veoma
izrazeno u poslednjih nekoliko godina. Medjutim, ako realno i
objektivno sagledamo rezultate naseg delovanja kao drzave u polednjih
petnaestak godina, u odnosu na nase najosnovnije interese, videcemo da
skoro nijedan cilj nismo uspeli ostvariti. Naprotiv. U raspadu
Jugoslavije smo prosli najgore. Otete su nam teritorije, narod je
osakacen i proteran sa svojih ognjista, ekonomski smo uruseni,
politicki podeljeni i nacionalno sve dezorijntisaniji, a ubrzano padamo
ka potpunom haosu i bezizlazu. Pri tome, na racun nasih interesa, mnogi
drugi narodi i etnicke grupacije na ovom i na sirem prostoru, osvarili
su svoje vekovne i druge ciljeve. Kada danas to analiziramo, mislim da
moramo priznati da je to zato sto nismo imali jasne ciljeve, nismo
prepoznali ciljeve drugih, niti smo u haosu koji je namerno izazvan
znali da odreagujemo na adekvatan nacin da nase interese zastitimo a
interese drugih onemogucimo. Danas smo od ostvarivanja svojih ciljeva i
interesa udaljeniji vise nego ikad jer nam se, umesto nasih, poturaju
tudji interesi i ciljevi kao oni koji su u nasem interesu, mada je
mnogima jasno da to nije tako. Pri tome se nas pristanak na odustajanje
od nasih vitalnih nacionalnih i drzavnih interesa predstavlja kao
nekakva vrhunska i vrl;o uspesna "realpolitika", odnosno kao
ostvarivanje navodnog maksimima nekakvih ciljeva koji su u ovom
trenutku moguci, pri cemu retko ko pita sta ce nam takvi ciljevi jer
nam nista korisno za nas ne donose. To je, u stvari,politika
kapitulacije zaodenuta u ruho realpolitike da bolje izgleda a cilj joj
da u narodu ubije svakju nadu da se nasi stvarni interesi mogu ikada
ostvariti. Pri tome se sve predstavlja samo u danasnjem kontekstu i kao
konacno, svesno zanemarujuci istorijsku komponentu, kao da se istorija
ne nastavlja i da nam ni buducnost nece nista novo i dobro doneti.
Zagovara se mirenje sa navodno neizbeznom sudbinom, kao da upravo nas
narod nema tradiciju vekovnog otpora stranim dominacijama i kao da
dosada nije pokazao da se taj otpor uvek na kraju isplati i upornoscu i
strajnoscu u svojim interesima sloboda povrato, maker I nakon vise
vekova.
Trece, medjunarodni poolozaj neke zemlje moze se ceniti merom naseg
uticaja na medjunarodne tokove i zbivanja I u medjunarodnim
organizacijama. Posto smo mala zemlja, najvise rezultata trebalo bi
ocekivati u nasem neposrednom okruzenju a ako zaista imamo kapacitete u
smislu prethodno iznetim kriterijuma, i sire. Da bismo se objektivno
izvagali poredimo nas danasnji uticaj sa onim koji smo imali u vreme
nesvrstanosti pa ce nam sve biti jasno. Ako zelimo da budemo sasvim
iskreni prema sebi, videcemo da danas cesto ne mozemo da uticemo ni na
dogadjaje u nasoj zemlji, a kamoli u inostranstvu. Setimo se da smo
samo pre dvadesetak godina bili jedan od vodecih medjunarodnih faktora
ne samo u okruzenju, nego i u skoro svim tada aktuelnim medjunarodnim
pitanjima, pocev od Bliskog istoka pa do Roga Afriike.. Dakle, danas je
nas uticaj objektivno nikakav i svedeni smo na protektorat u sluzbi
stranih interesa.
I napokon, cetvrto, koliki je nas kulturni uticaj i ugled na nase
neposreno okruzenje i u svetu u celini. Politicki, ekonomski, vojni,
medijski I drugi uticaji jesu najvazniji, ali ne smemo potceniti ni
kulturni utic aj. On je, na primer, pored ostalih faktora, znacajno
uticao da u "hladnom ratu" SAD pobede SSSR. Dakle, ako bismo posmatrali
nase medjunarodne uspehe na planu filma, sporta ili muzike, cesto
nesrazmerne nasoj velicini i realnim mogucnostima, a posebno
ulaganjima, mogli bismo tu naci neku utehu i kompenzaciju za mnoge
druge promasaje i neuspehe, koji, ruku na srce, ne samo da
preovladjuju, vec se desavaju u oblastima od daleko veceg znacaja.
Medjutim, kada vidimo da nam se otimaju ili otudjuju teritorije, da nam
se jezik prekrstava, crkva rastace i odcepljuje, cirilica nestaje,
porodica, kao tradicionalni stub drustva, rusi, tradicionelne moralne
vrednosti ismevaju, stvar dobija sasvim drugaciji oblik. Dakle, ni tu
se ne mozemo pohvaliti nekim dostignucima, osim povremeno i u pojedinim
sferama, sto je sve zanemarljivo u poredjenju sa lavinom promasaja i
neuspeha Ikoji nas karakterisu I marginalizaciojom nase zemlje koja je
sve akutnija.
Najtragicnije od svega je da nas nasi politicki lideri ubedjuju kako
idemo u svetlu buducnost, kako nas svi vole, kako je nas interes u
evroatlantske integracije, pri cemu mi za taj ulazak ne postavljamo
nikakve uslove. Naprotiv, nama se postavljaju, za svaku drugu normalnu
zemlju, neprihvatljivi uslovi- odustajanje od sopstvenih teritorija,
odustajanje od svog suvereniteta, rasprodaja svog nacionalnog bogatsta,
favorizovanje manjina na racun vecine i sl. Po zemlji nam vrsljaju
strane agenture, drzavne organe nam superviziraju strani cinovnici,
nacionalno bogatstvo kupuje strani kapital, radnici masovno ostaju bez
posla a delovi nase teritorije su pod okupacijom ili pod pretnjom
otcepojenja u dogledno vreme.
Dakle, ako se slazemo da su prethodno izneti parametric objektivni, da
su prethodno iznete konstatacije, ili barem njihov veci deo tacne,
jasno nam je da je nas medjunarodni polozaj katastrofalan.. Takodje,
mozemo slobodno tvrditi da se nista, ili skoro nista, cast pojedincima
ili pojedinim patriotskim organizacijama, ne cini da se trend
propadanja i daljeg razbijanja nase zemlje zaustavi, definise minimum
nacionalnih i drzavnih interesa, pregrupisu snage u politickim i
intelektualnim krugovima I drzavnim organima koje se mogu boriti za
interese svoje zemlje i pokrene siroka unujtrtasnja konsolidacija i
medjunarodna ofanziva na odbrani i promociji nasih vitalnih interesa i
ciljeva.
Na kraju ovog dela moram istaci I cinjenicu da smo u proteklom peridou
kao drzava I narod bili suoceni sa velikim teskocama, napadima,
sankcijama, pretnjama, specijalnim ratom, I mnogim drugim teskocama i
da su svakako svi ti razlozi doveli dovde gde smo sada. Medjutim, bez
obzira na sve to, ipak smo sami krivi za poziciju u kojoj se sada
nalazimo. Da smo bili jedinstveniji, budniji, svesniji, organizovaniji,
posteniji, da smo imali veci stepen medjusobne solidarnosti, da smo
imali vise nacionalne svesti, da smo vise jacali drzavne organe i
nacionalne institucije , da smo manje verovali strancima a vise sebi,
da smo manje verovali u bajke a vise u stvarnost, I napaokon da smo
birali najbolje i strogo vodili racuna kakvi su i sta nam mogu doneti,
danas bismo bili u daleko boljoj poziciji. Svakako ravnopravnijoj u
odnosu na druge drzave u okruzenju, dostaojanstvenojiom u odnosu na
medjunarodnu zajednicu, srecnijoj u pogledu naseg svakodnevnog zivota.
Ako vec to do sada nismo uspeli, nadajmo se da smo iz toga bar nesto
naucili i da cemo vec jednom prekinuti lanac gresaka i pogresnih
poteza. Pocnimo misliti unapred, vuci konce prvi, ostvarivati nase
strateske i dugorocne interese i verovati u sebe i svoje snage. Drzimo
se jedni drugih. Ne verujmo d ace drugi uraditi vise za nas nego sto to
mi sami mozemo.
Ako to uspemo, pomoc drugih, cesto lazna , nece nam mnogo trebati.

II STRATEGIJA SPOLJNE POLITIKE SRBIJE I CRNE GORE

Analiza medjunarodnog polozaja nase zemlje ne bi bila potpuna i
svrsishodna ako se ne predloze i neke mere da se taj polozaj popravi,
stradanje zaustavi i interesi nase zemlje pocnu ozbiljnije i celovitije
ostvarivati. Oslikano stanje naseg medjunarodnog polozaja, koje je i
deo naseg unutrasnjeg stanja, ne moze se lako i brzo popraviti i
zahteva mnogo razlicitih aktivnosti, kratkorocnih i dugorocnih. Ali
posto se to ne moze u kratkim crtama izneti, a da bude uverljivo i
argumentovano, obrazlozicu samo neke od najvaznijih ciljeva a druge,
ali ne manje znacajne, samo cu navesti.
Kao prvi uslov da se situacija pocne menjati na bolje je uspostavljanje
jedinstva zemlje, osnosno svih, ili bar najvaznijih, politickih
faktora. U situaciji u kojoj se nasa zemlja nalazi, pred daljim
komadanjima njene teritorije, pred daljim slabljenjem njene kohezije,
snage njenih drzavnih oragana i novim dezorijentacijama kako bi se
bolje razbila , od vitalnog je interesa postici najveci moguci stepen
politickog i akcionog jedinstva. To je lakse reci nego ostvariti, ali
je situacija takva da se to ne moze odlagati. Kada je rec o Srbiji,
podele po sistemu demokratski blok, antihaski lobi, bivsi rezimi,
partizani i cetnici ,patriote i mondijalisti i mnoge druge, stvarne i
vestacke , spontane i izazvane, moraju odmah prestati. Nestanak
jednopartijskog sistema uveo je, na zalost, takav visestranacki system
i takvu parlamentanu demokratiju koji su favorizovali borbu za vlast a
u drugi plan gurnuli drzavne i nacionalne interese. Danas je vaznije
poraziti politicke protivnike u nekoj rivalskoj stranci nego
suprotstaviti se pravim neprijateljima nase zemlje. Zato su u krizi u
kakvoj se nalazimo potrebni opsti konzenzus, moratorijum na rad
stranaka i vlada nacionalnog spasa. Bez toga se necemo moci izvuci iz
ove izrazito teske situacije.
Potom je neophodno da se ni na koji nacin ne dozvoli razdvajanje Crne
gore i Srbije, odnosno da se po svaku cenu odrzi i ovakva zajednica
medju njima jer je i ona bolja od potpunog razlaza. Ovo iz mnogo
razloga u koje ne bih ulazio jer bi to uzelo previse vremena, Dovoljno
je reci da je opstanak ove zajednice u vitalnom interesu obe republike.
Pri tome je najvaznije da je vecina gradjana obe repuiblike i dalje za
zajednicki zivot.
Tek posto se to postigne, ako se u tome uspe, mora se definisati
minimum vitalnih interesa zemlje.
To, pre svega, mora biti teritorijalni integritet i suveresnost nad
celom teritorijom kao "conditio sine qua non". Nema primera u svetu da
se ijedna zemlja dobrovoljno odrekla svojih teritorija, pa nema razloga
da to mi prvi cinimo. Kosovo i Metohiju nam siptarski teroristi i
velike sile mogu uzeti silom, ali bez naseg pristanka. Onda zadrzavamo
pravo da ga silom ili milom vratimo kada se za to steknu uslovi. Ako
sami na to pristanemo, ta mogucnost ce verovatno zauvek biti
izgubljena. Na to moraju misliti danasnji politicari zarad svoje dece i
dece njihove dece I nase zajednicke buducnosti, ali u u ime svih onih
predaka koji su za nasu drzavu ikada ginuli verujuci da brane svoje
zemlje I svoje bliznje.
Potom, a u okviru istog cilja, podrska pravednoj borbi za svoj opstanak
i samoupravu Republike srpske u okviru BiH. Nasa zemlja je jedan od
garanata Dejtonskog sporazuma i ima obavezu da ga brani i u svom
interesu i u interesu srpskog naroda iz BiH. Ovo stoga jer se ne smeju
ponistiti rezultati pravedne borbe Srba iz BiH za njihovo ranopravno
mesto u toj drzavi. Odustajanje od toga ponistilo bi sve tekovine te
borbe i obezvredilo zrtve koje su za to podnete. Pored toga, sprski bi
narod ponovo bio marginalizovan, odvojen jos vise od marice Srbije,
sveden na vazalni status, zaostajanje, nerazvijenost u odnosu na druga
dva naroda iz BiH, pa i na postepeno nacionalno nestajanje. Pored svega
toga, Republika srpska je i znacajan deo nase opste bezbednosti i vrlo
znacajan protiv teg u nasim pregovorima i oko Kosova i Metohije.
Aktuelni pritisci na Republiku srpsku su mozda deo predigre za lakse
nasilno odvajanje KiM od Srbije i to se ne sme dozvoliti. Srbija svim
snagama sa kojima raspoloze mora braniti Republiku srpsku i njene
interese, jednako kao i Kosovo I Metohiju. Opstanak Republike srpske je
jedan od preduslova ocuvanja i celovitosti Srbije, pri cemu je odbrana
RS i KiM i deo borbe za demokratiju i legalitet u medjunarodnim
odnosima, nasuprot samovolji Pedi Esdauna i Johana Petersena koji
izrazavaju interese velikih sila ali koji ih nece moci dovesti do kraja
ako mi to ne dozvolimo...
Ima jos mnogh interesa koji bi se mogli navesti kao primarni za nasu
zemlju ali bi se o njima trebalo dogovarati tek ako se prethodno
navedeni uslovi ispune. Zato cu samo nabrojati neke od njih: jacanje
drzave i njenih organa kroz finansijsku podrsku, ozbiljnu kadrovsku
poiitiku i dugorocne planove razvoja, jacanje nacionalnih i naucnih
institucija i univerziteta, jacanje privrede uz oslonac na sopstvene
snage i saradnju sa inostranstvom u meri nasih interesa, aktivno
razvijanje svestrane saradnje sa svim zemljama sveta koje su za to
zainteresovane, a posebno sa onim zemljama u regionu i svetu za koje
nas vezuju tradicionalno dobri odnosi i podudarnost politickih ili
drugih interesa, dosledno insistiranje na ravnopravnosti u
medjunarodnim odnosima, odnosno na postovanju i primeni reciprociteta i
retorzije bez obzira o kome se radi, uclanjenje u medjunarodne
organizacije, prevashodno regionalnog karaktera, i u funkciji nasih
interesa a ne interesa tih organizacija, odnosno nekih njenih clanica,
svestrana afirmacija naseg nacionalnog I kulturnog identiteta u svim
pirlikama i u svim oblastima I mnogo toga drugog.
No, previse je toga vec receno. Ako se i delic iznetog ostvari, i to
mora biti veoma brzo jer nas dogadjaji pritiskaju, ucinili bismo veliki
korak ka zaustavljanju sveopste propasti naseg naroda i drzave a
verujem da bi to bio istorijski cin.

[ Questo articolo in lingua italiana:
http://www.resistenze.org/sito/te/po/se/pose4n17.htm
oppure
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4108 ]

http://pilger.carlton.com/print/133403

In his latest column for the New Statesman, John Pilger revisits an
earlier 'humanitarian' invasion - in Kosovo. He describes the parallels
with the invasion of Iraq, especially the fraudulent justifications for
intervening in a 'genocide' that never was. : Pilger : 08 Dec 2004


HOW SILENT ARE THE 'HUMANITARIAN' INVADERS OF KOSOVO?

Muted by the evidence of the Anglo-American catastrophe in Iraq, the
international "humanitarian" war party ought to be called to account
for its largely forgotten crusade in Kosovo, the model for Tony Blair's
"onward march of liberation". Just as Iraq is being torn apart by the
forces of empire, so was Yugoslavia, the multi-ethnic state that
uniquely rejected both sides in the cold war.

Lies as great as those of Bush and Blair were deployed by Clinton and
Blair in their grooming of public opinion for an illegal, unprovoked
attack on a European country. Like the build-up to the invasion of
Iraq, the media coverage in the spring of 1999 was a series of
fraudulent justifications, beginning with US Defence Secretary William
Cohen's claim that "we've now seen about 100,000 military-aged
[Albanian] men missing... they may have been murdered." David Scheffer,
the US ambassador at large for war crimes, announced that as many as
"225,000 ethnic Albanian men aged between 14 and 59" may have been
killed. Blair invoked the Holocaust and "the spirit of the Second World
War". The British press took its cue. "Flight from genocide," said the
Daily Mail. "Echoes of the Holocaust," chorused the Sun and the Mirror.

By June 1999, with the bombardment over, international forensic teams
began subjecting Kosovo to minute examination. The American FBI arrived
to investigate what was called "the largest crime scene in the FBI's
forensic history". Several weeks later, having not found a single mass
grave, the FBI went home. The Spanish forensic team also returned home,
its leader complaining angrily that he and his colleagues had become
part of "a semantic pirouette by the war propaganda machines, because
we did not find one - not one - mass grave."

In November 1999, the Wall Street Journal published the results of its
own investigation, dismissing "the mass grave obsession". Instead of
"the huge killing fields some investigators were led to expect ... the
pattern is of scattered killings [mostly] in areas where the separatist
Kosovo Liberation Army had been active." The Journal concluded that
Nato stepped up its claims about Serb killing fields when it "saw a
fatigued press corps drifting toward the contrarian story: civilians
killed by Nato's bombs ... The war in Kosovo was "cruel, bitter,
savage; genocide it wasn't."

One year later, the International War Crimes Tribunal, a body
effectively set up by Nato, announced that the final count of bodies
found in Kosovo's "mass graves" was 2,788. This included combatants on
both sides and Serbs and Roma murdered by the Albanian Kosovo
Liberation Army. Like Iraq's fabled weapons of mass destruction, the
figures used by the US and British governments and echoed by
journalists were inventions - along with Serb "rape camps" and
Clinton's and Blair's claims that Nato never deliberately bombed
civilians.

Code-named 'Stage Three', Nato's civilian targets included public
transport, hospitals, schools, museums, churches. "It was common
knowledge that Nato went to Stage Three [after a couple of weeks],"
said James Bissell, the Canadian ambassador in Belgrade during the
attack. "Otherwise, they would not have been bombing bridges on Sunday
afternoons and market places."

Nato's clients were the Kosovo Liberation Army. Seven years earlier,
the KLA had been designated by the State Department as a terrorist
organisation in league with Al Qaida. KLA thugs were feted; Foreign
Secretary Robin Cook allowed them to call him on his mobile phone. "The
Kosovo-Albanians played us like a Stradivarius," wrote the UN Balkans
commander, Major-General Lewis MacKenzie, last April. "We have
subsidised and indirectly supported their violent campaign for an
ethnically pure Kosovo. We have never blamed them for being the
perpetrators of the violence in the early 1990s and we continue to
portray them as the designated victim today in spite of evidence to the
contrary."

The trigger for the bombing of Yugoslavia was, according to Nato, the
failure of the Serbian delegation to sign up to the Rambouillet peace
conference. What went mostly unreported was that the Rambouillet accord
had a secret Annexe B, which Madeline Albright's delegation had
inserted on the last day. This demanded the military occupation of the
whole of Yugoslavia, a country with bitter memories of the Nazi
occupation. As the Foreign Office minister Lord Gilbert later conceded
to a Commons' defence select committee, Annexe B was planted
deliberately to provoke rejection by the government in Belgrade. As the
first bombs fell, the elected parliament in Belgrade, which included
some of Milosevic's fiercest opponents, voted overwhelmingly to reject
it.

Equally revealing was a chapter dealing exclusively with the Kosovo
economy. This called for a "free-market economy" and the privatisation
of all government assets. As the Balkans writer Neil Clark has pointed
out, "the rump of Yugoslavia... was the last economy in
central-southern Europe to be uncolonised by western capital. 'Socially
owned enterprises', the form of worker self-management pioneered under
Tito, still predominated. Yugoslavia had publicly owned petroleum,
mining, car and tobacco industries, and 75 per cent of industry was
state or socially owned."

At the Davos summit of neo-liberal chieftains in 1999, Blair berated
Belgrade, not for its handling of Kosovo, but for its failure to fully
embrace "economic reform". In the bombing campaign that followed, it
was state owned companies, rather than military sites, that were
targeted. Nato's destruction of only 14 Yugoslav army tanks compares
with its bombing of 372 centres of industry, including the Zastava car
factory, leaving hundreds of thousands jobless. "Not one foreign or
privately owned factory was bombed," wrote Clark.

Erected on the foundation of this massive lie, Kosovo today is a
violent, criminalised UN-administered "free market" in drugs and
prostitution. More than 200,000 Serbs, Roma, Bosniacs, Turks, Croats
and Jews have been ethnically cleansed by the KLA with Nato forces
standing by. KLA hit squads have burned, looted or demolished 85
Orthodox churches and monasteries, according to the UN. The courts are
venal. "You shot an 89-year-old Serb grandmother?" mocked a UN
narcotics officer. "Good for you. Get out of jail."

Although Security Council Resolution 1244 recognises Kosovo as an
integral part of Yugoslavia, and does not authorise the UN
administration to sell off anything, multinational companies are being
offered 10 and 15 year leases of the province's local industries and
resources, including the vast Trepca mines, some of the richest mineral
deposits in the world. After Hitler captured them in 1940, the mines
supplied German munition factories with 40 per cent of their lead.
Overseeing this plundered, murderous, now almost ethnically pure
"future democracy" (Blair), are 4,000 American troops in Camp
Bondsteel, a 775-acre permanent base.

Meanwhile, the trial of Milosevic proceeds as farce, not unlike an
earlier show trial in The Hague: that of the Libyans blamed for the
Lockerbie bomb. Milosevic was a brute; he was also a banker once
regarded as the west's man who was prepared to implement "economic
reforms" in keeping with IMF, World Bank and European Community
demands; to his cost, he refused to surrender sovereignty. The empire
expects nothing less.

First published in the New Statesman - www.newstatesman.co.uk

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BOSNIA: DESTROYING PEACE TO 'SAVE' IT

1. Another Imperial Purge: Destroying Peace to 'Save' It (by Nebojsa
Malic)

2. Bosnia Serb PM resigns in protest against Western pressure
(Xinhua News Agency, China)

3. Bosnia foreign minister follows PM in resigning (Reuters)


=== 1 ===

http://www.antiwar.com/malic/
Antiwar.com - December 18, 2004

Another Imperial Purge
Destroying Peace to 'Save' It
by Nebojsa Malic

The Tyrant of Bosnia struck again Thursday: almost six months after
the last purge of such kind, Imperial viceroy Paddy Ashdown has
launched another, proscribing officials, confiscating property and
threatening further repression if the Bosnian Serb authorities
failed to comply with near-impossible demands by next April.

The pretext this time, just as this summer, was that the Bosnian
Serb Republic (Republika Srpska, RS), has failed to arrest the
suspects wanted by the Hague Inquisition. However, it is becoming
increasingly obvious that this is an excuse presented by Ashdown as
a cover for the continued forced centralization of Bosnia. Accusing
the RS of violating the Dayton Peace Agreement by not "cooperating"
with the ICTY lets Ashdown and the Empire cover up their own
violations of the DPA, which are legion.

Empire's ongoing efforts to overturn the peace agreement's
provisions and "reintegrate" (i.e. centralize) Bosnia-Herzegovina
have now reached a point where the continued survival of the
settlement that ended the 1992-95 civil war is very much in doubt.

A Three-Pronged Attack

Compared to June's count of 59, the nine purged officials this week
doesn't sound like much. But unlike the earlier exercise of Imperial
powers, this effort was not aimed at people so much as the
institutions of the RS. Also, this time Ashdown's accomplices did
most of the heavy lifting.

Standing at his side at the Sarajevo press conference Thursday was
Douglas McElhaney, the U.S. ambassador to Bosnia, who announced that
his government was freezing the assets of the SDS, and banning SDS
leaders – as well as those of its coalition partner, the PDP – from
entering the U.S. Since PDP leader Mladen Ivanic is Bosnia's foreign
minister, this will make it nearly impossible for him to do his job.
It's hard to believe this effect was not deliberate.

Furthermore, commander of the EUFOR occupation troops, British
General David Leakey, said his forces would close down a major RS
military base in Han-Pijesak, because of "evidence" that war crimes
suspects may have visited the premises last summer.

"I have no other option but to act, as every week new evidence of
obstruction comes to light," Ashdown told the press speciously.
The "evidence" in question consists of allegations aired in the
Muslim daily Dnevni Avaz, which has long enjoyed a cozy relationship
with Ashdown's Office of the High Representative (OHR). General
Ratko Mladic's supposed appearance in Han-Pijesak, as well as his
ostensible continued employment with the RS military, were both
Avaz "discoveries."

An editorial in another Sarajevo daily, Oslobodjenje, praised the
joint appearance of three major representatives of
the "international community," terming this a "united front against
the RS." This certainly appears to be the case.

Words from Washington

The Ashdown-McElhaney-Leakey assault got heavy artillery support the
following day, as the U.S. Department of State spokesman Richard
Boucher left no room doubt as to where Washington stood on the
matter. Said Boucher:

"The United States strongly supports High Representative … Paddy
Ashdown's actions of December 17 to reform institutions in the
Republika Srpska that have obstructed full cooperation with the
International Criminal Tribunal...

"The United States remains committed to helping Bosnia and
Herzegovina assume its rightful place as a full member of the Euro-
Atlantic community. Elements within the Republika Srpska are
impeding progress towards this goal… Its failure to cooperate fully
with the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia
constitutes a fundamental breach of the Dayton Accords. It is clear
that systemic changes to the Republika Srpska police and security
structures are necessary to overcome this obstructionism."

A "fundamental breach"?! Only if one makes the extreme reasoning
leap between the posited presence of some elements in the RS
military and police that supposedly sabotage efforts to arrest war
crimes suspects, and the assertion that these efforts are condoned
or even directed by the RS government. Such reasoning is tenuous at
best, and at worst completely outlandish. There is nothing "clear"
about this, except perhaps Washington's determination to blame the
Serbs for denying Bosnia its "rightful place" in the Neues
Weltordnung.

The Strange Case of Police Reform

Earlier in the week, there was speculation that Ashdown's purge
would focus on police reform. At the present, there is no central
police authority in Bosnia; instead, both the RS and the Muslim-
Croat Federation (FBiH) have their own police ministries. An
international commission set up to reform this arrangement – for
whatever reason – recommended Wednesday that both ministries should
be replaced by a "single structure of policing under the overall
political oversight" of the central government.

According to this proposal, Bosnia would be broken into "Local
Policing Areas" without regard to entity borders. There is also a
provision for "community oversight" by "local elected officials,
members of the judiciary and community leaders." There is no place
in the plan for entity governments. The recommendations were based
on Ashdown's edict from earlier this year, and recommendations by
the EU, but the commission in no way addressed the incompatibility
of all this with the Bosnian Constitution.

Needless to say, the RS authorities rejected this arrangement on
constitutional grounds. Viceroy Ashdown replied it was "unfortunate
that the Serb Republic representatives ... felt unable to agree to
this concept of modern policing." As if modernity was an issue!

But when the purge came, there was no mention of police reform.
Instead, Ashdown cited NATO's repeated refusal to admit Bosnia into
its "Partnership for Peace" program, under the excuse that the RS
has not arrested any "war criminals." Certainly, displeasing NATO
and preventing Bosnia to join the ranks of this aggressive alliance
is a war crime in itself, is it not?

None of this means the viceroy has given up on centralizing law
enforcement; he is determined to ram it through the Bosnian
legislature before the end of the year. But "obstructing police
reform" doesn't sound as sinister as "protecting war criminals." And
when one is on a mission to trample law and logic, good propaganda
is everything.

'To Them, We Are Objects'

Earlier this week, RS president Dragan Cavic did not hide his
frustration with Ashdown's policies in an interview with the Serbian
weekly NIN, calling the coming purge "an absolutely needless
exercise in brutality, interventionism, imperialism and supremacy."

Yet Cavic's interview was a revealing exercise in cognitive
dissonance. On one hand, the surrender or arrest of war crimes
suspect was an inevitable necessity, he said, not open to discussion
or political considerations; but on the other hand, "the RS is
always at fault. We do something, we get punished. We don't do
something, we get punished anyway. They must know that if we'll get
punished no matter what, then we won't do anything." Even though
doing nothing is emphatically not an option, and the Empire has been
using the war crimes issue as purely political.

Cavic also refused to believe that Ashdown harbored a personal
grudge against the RS, but he claimed that "part of the
international community harbors a deep distrust of Serbs in general,
no matter who represents them. To them we are objects, not
subjects." One would think that Ashdown, known for his adulation of
the late Muslim leader Alija Izetbegovic – who also thought of Serbs
as objects – would easily fall in this category. Ah, but remember:
Ashdown has the power to remove Cavic and strip him of all rights
and property; he can hardly afford to anger the viceroy.

He does, however, point out the allegations that the RS is doing
nothing to arrest war crimes suspects are spurious. For nine years,
it has been SFOR's responsibility to arrest suspects, one in which
they've failed miserably and repeatedly. "They don't want to
acknowledge that SFOR has had shameful failures," Cavic said. "Not
one of their actions was anything but a complete screw-up. God
forbid anything like that happened to us."

When Ashdown and SFOR began insisting that RS authorities began
hunting for war crime suspects, a bungled raid in April this year
resulted in one innocent death and a tremendous political and media
backlash. As Cavic said, they are damned if they do, damned if they
don't. And it's hard not to think they were forced into such a
situation on purpose.

Resistance has already begun. Prime Minister Dragan Mikerevic
resigned Friday, telling reporters he was sick and tired of being
bullied. "I do not wish to be a servant to the international
community, or obey their whims," Mikerevic told the Serbian press.

Abolition by April?

According to Al-Jazeera, Ashdown threatened to "take measures that
deal directly and powerfully with the assets and the institutions of
the Republika Srpska" if NATO rejects Bosnia's PfP membership again
in April. There is little more than Ashdown can do short of
abolishing the RS outright, and that may be exactly what he is
planning.

Notice, however, what is going on here: even if Karadzic and Mladic
were somehow seized before April, that doesn't mean NATO would
accept Bosnia's application. It can simply cite another excuse for
rejection, such as "inefficiency of government structures" or some
such, and provide the viceroy with a pretext he hopes for. Since
Ashdown has the unequivocal support of both Brussels and Washington,
odds are overwhelmingly in favor of the RS disappearing come April,
no matter what its leaders do.

President Cavic claims Ashdown does not have the authority to
abolish the Serb Republic. But every viceroy so far has done so, one
cut at a time, and the count is getting awful close to a thousand.
On paper, the RS is protected by the Dayton Peace Agreement and the
Constitution contained therein. In practice, the DPA is dead letter,
and there are no obstacles to its abolition. If the United States,
the world's first constitutional republic, could not preserve its
own Constitution from being trampled by Empire-seeking rulers, the
Bosnian Serbs are naïve if they believe their constitution – imposed
by the U.S. to begin with – is immune from such fate.

Unless Ashdown and the Empire are somehow stopped, next year may
well see the end of the Serb Republic, and with it, the Bosnian
peace.

=== 2 ===

http://news.xinhuanet.com/english/2004-12/18/content_2350502.htm

BELGRADE, Dec. 18 (Xinhuanet) -- Bosnian Serb Prime Minister Dragan
Mikerevic resigned on Friday, one day after International High
Representative Paddy Ashdown fired nine officials to punish Bosnia's
Serb Republic for failing to arrest war crimes suspects.

"I am not ready to accept and implement threats and ultimatums
of the High Representative, " Mikerevic told a news conference,
adding that he decided to tender his resignation for the good of the
country and the Serbian people.

Meanwhile, Dragan Cavic, president of the mountainous Balkan
country, denounced Ashdown and US Ambassador Douglas McElhaney,
saying his country has been a scapegoat for them to cover their
incompetence in punishing the war crime suspects.

Ashdown, who has wide-ranging powers under the 1995 Dayton peace
accords, told a press conference on Thursday that he sacked the
officials due to the Bosnian Serbs' lack of cooperation with the UN
war crimes tribunal at The Hague.

"I have no other option but to act, as every week new evidence
of obstruction comes to light," he said.

It was his second such move this year after earlier sacking of
several senior Serb officials due to their refusal to cooperate with
the UN war crimes tribunal to pursue Bosnian Serb wartime leader
Radovan Karadzic and his military commander, Ratko Mladic.

The tribunal indicted both men for genocide and war crimes
nineyears ago.

At the press conference Thursday, McElhaney also announced the
US decision to freeze all the assets of the Bosnian Serb republic in
the United States, and to impose a unilateral visa ban against
Bosnian Serb officials.

=== 3 ===

http://www.reuters.co.uk/newsArticle.jhtml?
type=worldNews&storyID=640732

Bosnia foreign minister follows PM in resigning
Sat Dec 18, 2004

By Olga Lola Ninkovic
BANJA LUKA, Bosnia (Reuters) - Bosnia's Foreign Minister Mladen
Ivanic has quit, saying his party will refuse to bow to
international pressure and enact police and defence reforms.

Ivanic's move on Saturday came as no surprise after Bosnian Serb
Prime Minister and party colleague Dragan Mikerevic resigned on
Friday to protest what they said were moves against the Serb
Republic's constitution by top peace overseer Paddy Ashdown.

"We do not want to take part in a process that would lead to
creation of Bosnia without the Serb Republic. This is an attack on
us and it is a direct consequence of our opposition to
unconstitutional changes," Ivanic told a news conference.

Ashdown fired nine Bosnian Serb officials on Thursday to punish the
Serb Republic for its failure to arrest war crimes fugitives, thus
blocking the Balkan country's admission in the NATO Partnership for
Peace (PfP) programme for non-members.

But analysts said the immediate reason for the resignations was a
U.S. travel ban imposed on the Party of Democratic Progress (PDP),
led by Ivanic and Mikerevic, simultaneously with Ashdown's measures.

The Serb half of Bosnia has not arrested a single war crimes
fugitive since the 1992-95 war ended.

The two most wanted men -- Bosnian Serb wartime leader Radovan
Karadzic and his military chief Ratko Mladic -- are believed to be
sheltered by army elements in the Serb Republic and neighbouring
Serbia.

The central cabinet confirmed Ivanic's resignation but did not
comment.

Prime Minister Adnan Terzic told the Dnevni Avaz daily on Saturday
that he expected Ivanic to act after the travel ban, as "it is
certainly very difficult to perform duties of foreign minister if
you are banned from entering the United States."

Bosnian Serb President Dragan Cavic can reject Mikerevic's
resignation. If he accepts it, the constitution says the government
must resign and the president has 10 days to propose another prime
minister, who must be approved by parliament.

But analysts say the outgoing government could remain in a caretaker
capacity until a new government is formed, and that an early
election was unlikely.

In June, Ashdown used his wide-ranging powers as the international
community's High Representative to sack 60 Bosnian Serb officials
for failing to arrest Karadzic and Mladic.

The Serbs this week again refused to create a unified police force
that would put their separate police under state command together
with forces of the Muslim-Croat federation -- a defiant stand
Ashdown says is another piece of deliberate obstruction.

© Reuters 2004. All Rights Reserved.

( Izlaganje Vladislava Jovanovica na:
http://www.artel.co.yu/sr/reakcije_citalaca/2004-11-30_1.html
ili JUGOINFO 30 Nov 2004 23:31:24
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/messages )


BEOGRADSKI FORUM ZA SVET RAVNOPRAVNIH
Beograd, 27. novembar 2004. godine
ETNOGRAFSKI MUZEJ
Okrugli sto na temu: MEDJUNARODNI POLOZAJ SRBIJE I CRNE GORE I
STRATEGIJA NJENE SPOLJNE POLITIKE

Izlaganje: Prof. dr. Oskar Kovac


Podela interesnih sfera i potpuna integracija spoljne i vojne
politike kljucnih sila
Od mene se povodom ove teme obicno ocekuje da govorim o ekonomskim
argumentima i faktorima od uticaja na medunarodni polozaj Srbije.
Stanje privrede Srbije mi za to daje isuvise malo argumenata pa sam
odustao od te teme. Posto sam godinu dana pisao knjigu na temu
ekonomije svetskih regiona, pratio sam sta se desava i sta sve
opredeljuje medunarodni polozaj pojedinih regiona u svetu. Dosao sam do
zakljucka da se medunarodni polozaj svih regiona u svetu mora
posmatrati u jednom sklopu koji se sastoji od (1) potpune integracije
spoljne i, kako kazu, odbrambene (ratne) politike kljucnih sila u svetu
i (2) nove podele interesnih sfera ili ucvrscenja postojecih interesnih
sfera.
Do toga sam dosao sasvim bezazleno jer sam trazeci klasifikaciju
svetskih regiona naisao na sarenilo: nema jedinstvene klasifikacije
svetskih regiona. UN su ambivalentne. U ekonomskoj komisiji UN za
Evropu postoji 55 zemalja, ceo bivsi Sovjetski savez, ukljucujici
azijski deo, ali su u njoj i SAD i Kanada. U ovom slucaju je koncept
Eurazije prihvacen. S druge strane, ekonomska komisija UN za Aziju i
Pacifik pokriva i Tursku i Rusiju. Najinteresantnije je svakako da se
Svetska banka i Medunarodni monetarni fond takode drze koncepta
Eurazije jer celu Evropu i centralnu Aziju drze kao jedan svoj
operativni region. SAD jos od Bzezinjskog promovisu pojam Eurazije po
principu: ko kontrolise Euraziju, kontrolisace ceo svet.
U novije vreme SAD daju i definiciju sireg Bliskog Istoka od
Maroka do Avganistana. Nije nikavo cudo da se definicija Eurazije
poklapa sa regionalizacijom u Svetskoj banci i Medunarodnom monetarnom
fondu, ako se ima u vidu da su u obe institucije SAD najveci akcionar i
mogu da kontrolisu celo to podrucje.
Evropska unija je u poslednje vreme odlucila da postane velika
sila. Ubrzala je rad na potpuno integrisanoj spoljnoj i bezbednosnoj
politici. One cine jedan od stubova EU definisanih u Ustavu EU. Dakle,
ne razdvaja se spoljna od "odbrambene" politike i EU pocinje da sledi
SAD u obelezavanju svojih interesnih sfera u Euraziji, na sirem Bliskom
istoku i u Africi. Prosto receno, sva mesta u svetu gde su neobnovljivi
resursi, to su interesne sfere SAD i Evropske Unije. Evropska unija ne
moze da otme bilo koju interesnu sferu od SAD ali moze da "podmetne
svoje loncice" racunajuci da nekakvim zajednickim odrzavanjem kontrole
tih interesnih sfera moze da ucestvuje u koriscenju njihovih resursa,
energetskih i drugih.
Neko ce reci da je podele interesnih sfera uvek bilo i bice je, pa
sta? Ovog puta to nije nikakva apstraktna stvar. Ovog puta odrzavanje
interesnih sfera podrazumeva samoproklamovano pravo na oruzanu
intervenciju u svim tackama koje neko smatra svojim interesnim sferama
i zato su razvijene nove vojne strategije.
Prvo je, naravno, nastala promena Statuta NATO pakta. On je sebi
uzeo pravo da moze da vrsi oruzane napade i izvan teritorija zemalja
clanica NATO. Zatim je objavljena americka bezbednosna strategija 2002.
godine .
12. decembra 2003. godine objavljena je bezbednosna strategija EU
. Evropska unija je zatim ovlastila svoj zvanicni Institut za
bezbednosne studije u Parizu da uradi koncepciju "evropske odbrane" na
124 strana teksta sa pet mogucih scenarija o tome kako, gde i pod kojim
uslovima EU smatra da moze da ratuje po svetu. Te sam dokumente proucio
jer mi je to spadalo u ono sto sam pisao poslednjih godinu dana i hocu
neke informacije o tome da podelim sa vama iako uopste nisam strucnjak
za ovu oblast.
O americkoj novoj strategiji ne bih nista rekao u svoje ime jer je
u tim stvarima misljenje pojedinca nevazno, ali cu vam izneti sta su o
tome rekli evropski strucnjaci koji su napisali studiju o evropskoj
bezbednosti.
Oni prvo konstatuju da osnovni cilj SAD nije promenjen, da je
osnovni americki cilj, "odrzati americku hegemoniju", sto znaci da
nijedna drzava ne sme da dostigne SAD . Zatim komentarisu kako su u
strategiji SAD definisani povodi za intervencije u inostranstvu. Receno
je da je u njoj utvrdeno da "je suvereno pravo SAD da napadnu i promene
svaki rezim koji podrzava teroriste". Dat je spisak zemalja
pretpostavljene tzv. "osovine zla" i to bez pozivanja na Al Kaidu . U
toj strategiji su uvedeni i novi povodi za rat: (1) sumnja u
posedovanje oruzja masovnog unistenja i (2) slom drzava, tj. "potreba"
promene rezima zbog (navodnog) sloma drzava. Nesto veoma slicno se
desava ovih dana u Ukrajini.
Sredstva sa kojima se ovi ciljevi postizu su preventivni udari
bilo gde u svetu "cak i ako ostaje neizvesnost u pogledu mesta i
vremena neprijateljskog napada". Time se uvodi nesto sto do sada nije
bilo u medunarodnom pravu opravdan razlog za vojnu intervenciju . To
sve govori da Amerika sada, posle neslaganja sa Evropom povodom Iraka,
stvara tzv. "koaliciju voljnih". Evropski strucnjaci ocenjuju da "NATO
postaje sredstvo americkog programa, - saveznici mogu da se podrede ili
ce biti igorisani" . Amerika ce jednostavno da izvrsava svoju politiku
ne vodeci racuna o drugima.
Opsta ocena evropskih strucnjaka je da "globalna definicija
neprijatelja, koju SAD primenjuju, po principu: ko nije za nas, taj je
protiv nas, - nije dobro resenje. Takode nije dobra globalna
interpretacija pretnji: u celom svetu ima pretnji, prema tome ceo svet
je necija interesna sfera i u celom svetu moze da se intervenise? U
novim strategijama je dat veliki znacaj preventivnoj upotrebi sile pri
cemu nije iskljucena ni upotreba nuklearne sile i to ne samo od strane
Amerike nego i Evrope.
Evropa ocenjuje posledice takve promene u americkoj strategiji na
sledeci nacin. Ona se nije slagala sa ratom protiv Iraka i smatra da su
time SAD stvorile presedan koji mogu da iskoriste neke druge nuklearne
sile, na primer, Indija, Kina i druge. Odbrana od takve politike
preventivnih udara je zapravo samo povecavanje broja zemalja koje ce
teziti da imaju nuklearno naoruzanje. To je jedina efikasna odbrana i
,naravno, ona dovodi do paradoksa . Evropa se u principu ne slaze sa
globalizacijom pretnje i sa sredstvima preventivnog udara.
Sta je u dva citirana dokumenta o bezbednosnoj politici Evrope
receno?
Prvo, Ustavom EU je utvrdeno da su spoljna i bezbednosna politika
drugi stub EU , potpuno integrisane u jednu celinu. Ubrzana je
realizacija te politike. 1999. godine utvrdeno koje nadnacionalne
(zajednicke) vojne efektive (oko 100.000 ljudi i odgovarajuce opreme i
naoruzanja) treba organizovati tako da budu na raspolaganju 2003.
godine. U oktobru 2003. ministri odbrane EU zemalja su konstatovali da
su kvantitativni ciljevi postignuti, ali da ce za otklanjanje
funkcionalnih manjkavosti biti jos mnogo posla do 2010. godine.
Kako je doslo do preokreta unutar same Evropske unije gde se dugo
nije istinski mislilo na ostvarenje "evropske odbrambene dimenzije".
Ona je bila postisnuta u drugi plan. Zasto? Zato sto Velika Britanija
nije bila za nju, ona je vise bila za SAD i NATO. Sta je to promenilo
ponasanje Velike Britanije sto je doprinelo tome da je stvarno
sacinjena evropska odbrambena dimenzija i da je sa NATO paktom o tome
postignut sporazum? Velika Britanija je konstatovala da ako Evropa bude
zaostajala u vojnoj sili, u opremi i tehnologiji, da ce samim tim NATO
pakt da oslabi. Prema tome, interes je NATO pakta da evropska dimenzija
odbrane jaca, naravno ne samostalno, nego u nekoj kombinaciji sa NATO
paktom.
U meduvremenu je i vojna doktrina EU dopunjena jednim dokumentom
sa Petersberga (ne treba da vam kazem da je to u Nemackoj) u kome je
utvrden ceo arsenal povoda za rat: humanitarna intervencija, borba
protiv terorizma, borba protiv onih koji navodno imaju ili mogu da
imaju oruzje masovnog unistenja, pa cak i intervencija u slucaju sloma
drzava kada je "potrebna" promena rezima. Ovo znaci kompletno
prihvatanje americkog sistema povoda za rat.
Zasto je i kako je moglo da dode do kompromisa; da se stvori
evropska "odbrambena" dimenzija i da NATO i EU nadu neki modus za
saradnju.
Ono sto je postignuto, to je sledece. Prvo, Evropa, posto ima
svoju odbrambenu dimenziju, ima svoje vojne efektive, moze a ne mora da
ucestvuje u svim NATO ratovima. Drugo, Evropa moze da vodi svoje
sopstvene ratove, a da trazi tehnicku i logisticku podrsku od NATO
pakta. Dakle, to je sustina sporazuma. Mozda je za nas vazno da one
zemlje clanice EU koje nisu clanice NATO, a ima ih vec sest, nisu duzne
da ucestvuju u NATO aktivnostima cak i kada ih EU kao celina podrzava.
Nisu duzne da ucestvuju zato imaju ogranicenja u svojim ustavima.
Dakle, ne vidim zasto Srbija mora kroz NATO da ide u EU?!
Ovaj kompromis je bio moguc iz dva vrlo providna i jednostavna
razloga. NATO sem stabova, logistike i tehnike nema vojnike. Sve
vojnike daje Evropa. S druge strane, Evropa je napravila sopstvene
nadnacionalne vojne efektive, ali nema nikakve sanse da izvede
masovniju akciju u nekim udaljnim krajevima sveta iako ih je stavila u
svoje interesne sfere. Ona to ne moze bez americke logistike i
informacionog sistema, pa cak ni dovoljnog broja pokretnih stabova.
Sta je bila cena ovog kompromisa? Kompromis je postignut
zahvaljujuci tome sto je Evropa prihvatila povecanje vojnih efektiva
koje ce fakticki stajati na raspolaganju NATO paktu, prihvatila sve
povode za nove vrste ratova ( humanitarni rat, rat za promenu rezima,
izmedu ostalog) a prihvatila i to da Evropa, pre nego sto odluci da li
ce samostalno da krene u neki rat, prvo mora da saceka odluku Amerike
hoce li da pokrene na isto mesto, istim povodom NATO pakt. Tek kada
Amerika odluci, EU ce odluciti da li ide ili ne ide samostalno. Eto to
je bila cena kompromisa.
EU je primera radi, a i da bi se napravile racunice za budzet EU
do 2013. godine, sacinila pet mogucih scenarija koji su u principu
hipoteticki, ali sluze tome da se vidi kolike su efektive i koje su
slabosti evropskog vojnog potencijala zbog kojih Evropa u stvari na
duze vreme nigde samostalno ne moze da ratuje.
Po prvom scenariju, se predvida klasicna operacija odrzavanja
mira. Na primer, SFOR u Bosni i na Balkanu. Drugi scenario predvida
humanitarnu intervenciju sa 10.000 vojnika EZ na godinu dana. Primer je
istocni Timor.
Treci scenario je najzabrinjavajuci, to je regionalni rat za
zastitu interesa EU. Nabrojani su interesi Unije: sprecavanje prekida
priliva nafte i gasa, odnosno velikog porasta cene energije. Kisindzer
je svojevremeno rekao da je Amerika spremna da ratuje za naftu ali ne i
zbog cene nafte. Bliski Istok ostaje interesna sfera EU a prosireni
Bliski Istok takode. Ne iskljucuje se, dakle pravi se scenario za
veliki regionalni rat u istocnoj ili juznoj Aziji. Moram sa
indignacijom da kazem da u tom scenariju postoji nagovestaj eventualnog
sukoba sa Kinom i da se tamo vrlo jasno kaze da ce EU biti na strani
SAD sa 10 brigada sa ukupno oko 60.000 vojnika i jos pripadajucim
brojem onih kojih su potrebni za rezervu i zamenu.
Cetvrti scenario je sprecavanje napada sredstvima masovnog
unistenja. Racuna se da EU moze napasti Severna Koreja ili Iran, da ce
neke od arapskih zemalja, steci nuklearno oruzje. Takvu vrstu rata EU
modelira na kalup onog u Avganistanu. Jedina odbrambena dimenzija cele
strategije EU je odbrana teritorije zemalja EU, to je peti scenario i
potpuno beznacajan u pomenutoj studiji.
Gde je u svemu tome Srbija? Mnoge zemlje su se u regionalne
ekonomske i u regionalne vojno-politicke integracije ukljucivale iz
preventivnih razloga. Najgore je ne biti nigde. Taj koji nije ni u
jednoj takvoj celini, on je po definiciji tesko diskriminisan.
Kao i prethodni govornik, gospodin Vladislav Jovanovic, mislim da
Srbija ne treba da zuri u EU po svaku cenu. Iz ekonomskih razloga
pogotovo ne. Za to sa unistenom privredom jos nismo spremni, a i u
prvoj etapi cemo imati manje koristi nego troskove. Pregovore treba
prihvatiti, to je jedna beskrajna gnjavaza koju treba izdrzati.
Izdrzalo je toliko drugih zemalja pa treba i mi. Neka to tece, a u
meduvremenu da se resavaju vazna pitanja.
Kada se pogleda istorija EU, brinem se da li ce EU resiti zajedno
sa nama, jedno od kljucnih pitanja, na primer pitanje Kosmeta. Sumnjam,
zato sto EU nijedan takav problem nije resila do sada, -nije resila
pitanje Turske i Grcke, nije resila pitanje Kipra, nije resila Severnu
Irsku, Baskiju, Korziku itd.
Nezavisno od toga, ako treba da biramo izmedu kluba koji cini NATO
i izmedu vojno-odbrambenog sistema EU, ja bih pod uslovima koje je
izlozio Vladislav Jovanovic bio za klub EU. Zasto? Zato sto je u jednom
klubu od 30 clanova manje-vise ravnopravnih (Evropska unija nije OEBS)
manja sansa da ce njih 29 da postignu sporazum da treba ponovo da
ratuju protiv Srbije. (Vazno je i to sto ce EU da obnovi svoju vojnu
industriju u kojoj ce biti mesta za sve clanice). A u jednostranom
klubu gde samo SAD odlucuju, sve je moguce.
Zao mi je sto ne mogu neki optimisticki zakljucak da predlozim.
Nisam , na skupu, stigao da istaknem da je EU u svojoj strategiji
"mudro" zaobisla jedno od kljucnih geostrateskih pitanja. EU hoce
Tursku, hoce Ukrajinu, a zaobilazi pitanje Rusije. Ako EU ne otvori put
za ulazak Rusije, (nadam se da u Rusiji to ne bi brzopleto odbili),
Evropa nikada nece postati velika sila ciji bi politicki znacaj bio
ravan ekonomskom. Kada je u svetu neki ekonomski dzin politicki
patuljak, to je po definiciji izvor nestabilnosti.

[ Carriera di un terrorista: Ramush Haradinaj. ]

http://www.jungewelt.de/2004/12-22/008.php

22.12.2004
Ausland

Jürgen Elsässer, Belgrad

Karriere eines Terroristen

Ein Anstifter der antiserbischen Pogrome vom März im Kosovo wurde im
Dezember neuer Regierungschef. Er könnte bald in Den Haag landen

 
Das vergangene Jahr brachte weitere Fortschritte bei der Schaffung
monoethnischer Bevölkerungsstrukturen auf dem Balkan. In die
südserbische Provinz Kosovo, die seit dem Kriegsende im Juni 1999 der
UN-Übergangsverwaltung UNMIK und der NATO-geführten »Schutztruppe« KFOR
untersteht, sind in den ersten neun Monaten zwar 254 der 250 000
seither verjagten Serben zurückgekehrt. Diese Zahl wird aber weit
übertroffen durch die der weiteren 4 500 Vertriebenen in diesem
Zeitraum. Diese Menschen flohen angesichts der Pogrome am 17. und 18.
März 2004, dem schlimmsten Gewaltausbruch seit dem Sommer 1999. Dabei
wurden 19 Menschen getötet (zunächst war sogar die Zahl 31 genannt
worden), über 30 serbische Klöstern und Kirchen gebrandschatzt und 500
serbische Häuser zerstört. Das danach von der UNMIK groß angekündigte
Programm, mit 3,6 Millionen Euro den Wiederaufbau serbischer Häuser zu
fördern, ist bis dato trotz mehrfacher Zusagen noch nicht einmal
angelaufen – die Kassen seien leer, behauptet UNMIK.

Geplante Unruhen

Im Gegensatz zur Bundesregierung fand wenigstens Bernhard Gertz,
Sprecher des Bundeswehrverbandes, klare Worte zu den Märzereignissen:
»Die Unruhen wurden generalstabsmäßig geplant und durchgeführt.«
Genauere Informationen über die »generalstabsmäßigen« Vorbereitungen
kann man einem Bericht des Belgrader Verteidigungsministeriums
entnehmen, der am 25. März in der Armeezeitung Vojska veröffentlicht
worden ist. Darin heißt es: »Personen aus der kosovoalbanischen Führung
initiierten die Vorbereitung, Planung und Durchführung des Pogroms ...
Wir wissen, wer diese Personen sind. Zum Beispiel haben wir in
Erfahrung gebracht, daß vor einigen Wochen ein Treffen abgehalten
worden ist, auf dem Vertreter der drei wichtigsten kosovoalbanischen
Parteien und ... der Übergangsverwaltung den aktuellen Stand der
Unabhängigkeitsbestrebungen diskutierten. Eine Fraktion, geführt von
Hashim Thaci (Parlamentsabgeordneter, Führer der Demokratischen Partei
PDK und früherer politischer Direktor der Untergrundbewegung UCK ...)
und Ramush Haradinaj (ebenfalls Parlamentarier, Führer der
Zukunftsallianz-Partei AAK und früherer Feldkommandant der UCK ...)
forderten Ibrahim Rugova, den Präsidenten des Kosovo und Führer der
Demokratischen Liga LDK, auf, ... sofort die Unabhängigkeit des Kosovo
zu erklären. Rugova weigerte sich aus taktischen Gründen. Daraufhin
drohten Thaci und Haradinaj damit, ihre Anhänger zu mobilisieren und im
Kosovo ›Feuer zu legen‹. Im weiteren trafen sich Thaci und Haradinaj
mit den Anführern der Albanischen Nationalarmee (ANA –
Nachfolgeorganisation der UCK, Anm. jW) ... Auf diesem Treffen kamen
sie zu dem Entschluß, daß die Zeit reif sei für die Vertreibung aller
Serben. Man präsentierte einen detaillierten Aktionsplan (der Anfang
März in der PDK-Parteizentrale entstanden war) und ernannte Haradinaj
zum Operationsleiter.«

Wahlen ohne Serben

Der Operationsleiter vom März wurde am 3. Dezember neuer
Premierminister des Kosovo. Vorausgegangen waren Mitte Oktober Wahlen
zum Provinzparlament, die von den noch verbliebenen etwa 200 000 Serben
aus Protest gegen ihre Entrechtung fast geschlossen boykottiert worden
waren (die Beteiligung lag bei unter einem Prozent). Die
Albanerparteien erzielten fast dasselbe Ergebnis wie beim letzten
Urnengang drei Jahre zuvor: Die LDK des relativ gemäßigten Rugova lag
mit 45 Prozent weit vor den beiden Parteien der UCK-Kommandanten Thaci
(PDK – 29 Prozent) und Haradinaj (AAK – neun Prozent). Trotz ihres
eindeutigen Erfolges brauchte die LDK also wieder einen
Koalitionspartner. Im Unterschied zu bisher einigte sich die
Rugova-Truppe nun nicht mit der PDK, sondern mit der AAK. Ungewöhnlich
ist der Koalitionsvertrag vor allem deshalb, weil dem eindeutig
kleineren Partner der wichtigste Posten, eben der des Premierministers,
zugestanden wird. Das wäre etwa so, als hätte in Deutschland nach der
letzten Bundestagswahl Schröder das Kanzleramt Fischer überlassen,
obwohl die SPD ein Vielfaches der Stimmen der Grünen bekommen hatte.
Wie Haradinaj den Kotau Rugovas erreicht hat, ist Gegenstand heftiger
Spekulationen. Kenner sagen, Rugova sei mit dem Leben bedroht worden.
Tatsächlich sind ungefähr 100 Mitglieder der LDK in den letzten fünf
Jahren von den Leuten Thacis und Haradinajs ermordet worden.

Uno weicht zurück

Für UNMIK-Chef Sören Jessen-Petersen war die Wahl des extremistischen
Premiers ein Beispiel für »funktionierende Demokratie« (»democracy at
work«). Vor dem Urnengang hatte er noch getönt, er werde künftig
Politiker, die die Durchsetzung multiethnischer Standards in der
Provinz hintertreiben, unter Umständen auch ihres Amtes entheben. In
Belgrad sind die Parteien in seltener Einigkeit empört über das
Zurückweichen von UN und NATO vor Haradinaj und richten ihre Hoffnungen
paradoxerweise nun auf Carla del Ponte. Die Chefanklägerin des
UN-Tribunals in Den Haag, ansonsten vorzugsweise mit der Jagd auf
Serben beschäftigt, hat Haradiaj in den letzten Wochen bereits zwei Mal
durch ihre Ermittler befragen lassen. Eine Anklageerhebung stehe
unmittelbar bevor, wollen hiesige Zeitungen erfahren haben. Im
Hintergrund gebe es angeblich ein Gerangel zwischen Berlin, wo man auf
Haradinaj setze, und Washington, das ihn über seine juristische
Speerspitze del Ponte aus dem Spiel nehmen wolle. Statt Haradinaj
favorisieren die USA angeblich den nicht weniger gefährlichen Thaci.

Für diese These spricht einiges. Denn das US-finanzierte Haager
Tribunal wollte schon vor zwei Jahren gegen Haradinaj zuschlagen und
wurde schon damals von der deutschen Regierung daran gehindert. Im
April 2002 sollte eine vom Haager Tribunal beauftragte Pathologin eine
Autopsie der Leichen von 39 Serben vornehmen, die im Sommer 1998 im
kosovarischen Ort Glodjane gefunden worden waren. Zur fraglichen Zeit
war Haradinaj der UCK-Kommandeur in der Region. Überraschenderweise zog
dann aber die UNMIK die forensische Untersuchung an sich,
verantwortlich war ihr damaliger deutscher Chef Michael Steiner. »Daß
die UNMIK ein erfahrenes pathologisches Team ... ausbremst und statt
dessen ohne nennenswerte Erfahrungen auf diesem Gebiet lieber auf
eigene Faust ermittelt, entbehrt zumindest einer sachlichen Grundlage«,
protestierte die entmachtete Haager Beauftragte Helena Ranta. Die von
Steiner angesetzte Untersuchung verlief im Sande, Haradinaj konnte sich
freuen.

Eine andere Theorie über Haradinaj und Den Haag vertritt der
Kosovo-Beauftragte der serbischen Regierung, Nebojsa Covic. Demnach sei
es den Kosovo-Albanern ganz recht, wenn Carla del Ponte ihren neuen
Premier zur Fahndung ausschriebe. Der Exterrorist würde sich dann, ganz
vorbildlicher Demokrat, freiwillig stellen und damit Pluspunkte in der
internationalen Arena sammeln. Gleichzeitig würden aus Protest gegen
die Amtsenthebung eines gewählten Politikers wieder gewalttätige
Proteste in der Provinz ausbrechen – und so auch noch die letzten
verbliebenen Serben verjagt werden. Statt Haradinaj könnte schließlich
Thaci die politischen Resultate dieses Spiels mit verteilten Rollen
einfahren – die Selbständigkeit des Kosovo bei den für 2005 angedachten
Endstatusgesprächen.

L'articolo che segue appare sul numero appena uscito della rivista
L'ERNESTO (n. 6/2004 - vedi in fondo per il sommario)


Andrea Catone

La NATO non è un fiore...

(ritornello di un canto di lotta degli anni ’60)

 
1. La NATO nella guerra fredda

NATO è l'acronimo di NorthAtlantic Treaty Organisation, ovvero
Organizzazione del Trattato Nord Atlantico. Indica un'organizzazione
internazionale per la collaborazione nella difesa, creata nel 1949 in
supporto al Patto Atlantico che venne firmato a Washington il 4 aprile
1949. Il suo altro nome ufficiale è l'equivalente francese,
l'Organisation du Traité de l'Atlantique Nord, o OTAN.

La NATOnasce sulla base della dottrina Truman, che afferma il più
deciso impegno antisovietico attraverso il rafforzamento militare
dell’Occidente. È bene ricordare che il Patto di Varsavia stipulato tra
i paesi socialisti è posteriore di ben 6 anni (1955). Il trattato del
1949 è, nel suo statuto, strettamente difensivo, si rifà all'ONU, di
cui richiama espressamente l'art. 51 come diritto alla legittima difesa
(articolo 5 del trattato, che sarà poi sostanzialmente modificato 50
anni dopo). I paesi aderenti al trattato del nord atlantico nel 1949
sono USA, Canada, Regno Unito, Danimarca, Norvegia, Islanda, Francia,
Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Portogallo. Grecia e Turchia si
aggiungono nel 1952, la Germania nel 1955, la Spagna nel 1982.

Il ruolo che la NATO svolge durante la “guerra fredda” (1945-1989) non
è solo quello di deterrente militare nei confronti dell'URSS.
Attraverso la NATO gli USA si assicurano il controllo militare,
politico ed economico dei paesi membri. Impongono l'uniformazione dei
sistemi di difesa e delle strutture militari, degli armamenti, dei
sistemi di comunicazione. Le basi NATO sono anche un sistema di
controllo e spionaggio nelle strutture sociali dei paesi membri. La
NATO svolge anche un forte ruolo di repressione interna, di gendarme
contro i popoli, in funzione anticomunista. La NATO è inoltre uno
strumento ideologico e di propaganda politica dei “valori
dell’Occidente” [Teobaldelli].

Alla NATOnell’Europa occidentale e nel “fianco sud-est” (Grecia,
Turchia) è affidato dunque un compito molteplice, che non è solo
militare (contro l’URSS e il Patto di Varsavia), ma volto a realizzare
la coesione politico-culturale dei partner subalterni europei e
affermare l’egemonia degli USA. Anzi, il suo ruolo propriamente
militare deve limitarsi alla sola deterrenza, dato che l’Unione
sovietica è riuscita, nonostante tutti i tentativi degli USA di
fermarla, a dotarsi di un arsenale militare nucleare in grado di
contrapporsi alla strapotenza nordamericana [Gaja]. Nel mezzo secolo
della “guerra fredda” la NATO non interviene militarmente in nessuna
area, anche lì dove vi sono situazioni di crisi nel Mediterraneo.

Non bisognerebbe dimenticare questa doppia funzione della NATO,
esterna/interna. Dietro la facciata dei comuni interessi
dell’”Occidente” contro il comunismo, vi è la realtà degli interessi
degli USA a controllare e condizionare politica ed economia degli
alleati europei che sono al contempo anche dei concorrenti economici e
potenziali concorrenti politici. Non è un caso che la coesione interna
al campo “occidentale” cominci ad essere incrinata con l’emergere di
contraddizioni tra politiche europee (CEE, poi Comunità europea) e USA:
la politica del generale De Gaulle, che punta a far svolgere all’Europa
un ruolo autonomo dalla tutela USA, porterà, nel 1966, la Francia ad
uscire dal comando militare per sviluppare un proprio programma
nucleare. Il quartier generale si sposta da Parigi a Bruxelles.

Nella strategia USA degli anni 70/80 si fa strada un rilevante
interesse per il controllo del Mediterraneo e del Medio Oriente, non
solo in funzione antisovietica. Il fianco sud della NATO diviene
estremamente rilevante. Nel 1978. Z. Brzezinski, nationalsecurity
adviser di Carter, elabora il concetto di "arco di crisi" per il fianco
sud della NATO. Nel 1983 viene costituito il CENTCOM (Central Command)
che ha competenza su circa 40 paesi tra Mediterraneo e Golfo (nel 1991
avrebbe gestito la guerra del Golfo) e la RapidDeployment Force. È già
negli anni '80 che si passa dalla deterrenza alla compellenza. La NATO
si attrezza per una strategia più aggressiva [Minolfi].

 
2. La NATO degli anni ‘90: espansione a Est Sud-Est

Tra il 1989 e il 1991 intervengono gli eventi che pongono fine al
blocco socialista europeo e sovietico. Il Patto di Varsavia viene
disciolto ufficialmente il 1° luglio 1991. Nell'agosto il PCUS viene
rovesciato da Eltsin e qualche mese dopo Gorbaciov sottoscrive la
dissoluzione dell'URSS. Qualche ingenuo poteva sperare nello
scioglimento del blocco atlantico. Ma non era certo così. Pentagono e
Casa bianca stavano elaborando già la strategia del nuovo secolo
americano, che proponeva gli USA quali dominatori assoluti, pronti ad
intervenire per prevenire, anche militarmente, qualsiasi ambizione
dialtre potenze regionali [Hoebel]. In questa nuova strategia anche la
NATO avrebbe assunto un nuovo ruolo.

Mentrel’URSS sta vivendo gli ultimi giorni della sua agonia, al
consiglio atlantico di Roma del 7-8 novembre 1991 si elabora il "Nuovo
concetto strategico dell'Alleanza atlantica". Viene istituito il
Consiglio di cooperazione del nord atlantico (Nacc) che inizia le sue
attività il 20 dicembre 1991. Vi partecipano anche sei paesi
dell'Europa centro-orientale e i paesi baltici. Nel 1992 vi aderiscono
anche 11 stati della nuova CSI', la Georgia e l’Albania. Attraverso
formule variabili di cooperazione e informazione militare, la NATO
svolge il ruolo eminentemente politico volto a prevenire qualsiasi
ritorno dei comunisti al potere e a integrare nelle sue strutture i
paesi ex socialisti. Ad essi, invece che un ruolo neutrale autonomo e
“non allineato” nello scacchiere internazionale – cui pure alcuni di
essi potrebbero aspirare -, viene prospettata un’unica strada: essere
fagocitati nella NATO per poter essere ammessi nel “club
dell’Occidente”.

La vera svolta nella politica della NATO si ha nel 1993, quando Antony
Lake, nationalsecurity adviser dell'amministrazione Clinton lancia con
chiarezza la strategia del DemocraticEnlargement . è la sanzione
ufficiale del definitivo tramonto del discorso del “nuovo ordine
mondiale” (alla prova dei fatti, effimero strumento retorico), che
suggeriva la tutela dello status quo. Si vara una politica aggressiva.
Lake richiede un improcrastinabile aggiornamento della NATO. A
settembre dello stesso anno il Foreignaffairs pubblica Building a new
Nato, la prima organica trattazione dell'allargamento della Nato. Vi si
drammatizza lo scenario della sicurezza lungo i due “archi di crisi”
(non a caso si riprende la formula di Brzezinski del 1978) a sud e a
est. LaUE è considerata incapace di affrontare il compito della
sicurezza a est, come dimostra la guerra in Bosnia, usata (e ampiamente
costruita dall’esterno) per affermare la nuova strategia di intervento
militare diretto e di espansione ad Est. Alla NATO si richiede di
intervenire fuori della sua area, essa deve trasformarsi in uno
strumento nuovo post guerra fredda, in grado di accompagnare la nuova
espansione imperialistica negli enormi spazi geopolitici lasciati
liberi dal ritiro sovietico: NATO must go out of area or it will go out
of business. Qualche mese dopo, nel gennaio 1994, al vertice di
Bruxelles, viene elaborata la nuova NATO: si stabiliscono le modalità
d'azione delle forze NATO e si decide la costituzione di unaforza
flessibile di primo intervento. Si lancia il programma Partnership for
peace per allargare la NATO. Clinton e i suoi vanno subito a Praga,
Varsavia, Budapest. La strategia americana diespansione ad Est della
NATO trova sostenitori convinti tra i democristiani tedeschi: a
settembre 1994 viene pubblicato il documento Schauble del gruppo
parlamentare CDU-CSU sulla Kerneuropa, in cui si chiede di integrare al
più presto i paesi dell'Est nel sistema europeo occidentale
postbellico, cercando di mantenere al contempo un'ampia intesa con la
Russia [Minolfi].

 
3. La nuova NATO. Battesimo del fuoco in Jugoslavia.

Negli anni 1990 la Jugoslavia è il terreno insanguinato in cui si
sperimenta in corpore vilie si organizza ideologicamente, politicamente
e militarmente la nuova funzione della NATO. Come oramai diversi studi
e ricostruzioni dei conflitti jugoslavi hanno mostrato [cfr. IAC], USA
e Germania boicottano in Bosnia qualsiasi soluzione pacifica del
conflitto per affermare come ineludibile necessità l’intervento
militare della NATO contro i serbo bosniaci prima e, ripetendo e
ampliando un copione già consolidato, contro la Federazione jugoslava
poi, per il Kosovo. Sulla pelle delle popolazioni jugoslave si svolge
la collaborazione/competizione tra Germania e USA per la spartizione
dei Balcani. Il primo intervento militare della NATO outof areacomincia
nel 1995, il 25 e 26 maggio contro le postazioni serbe nelle aree di
Sarajevo e Pale; il 4 agosto, in modo più massiccio a sostegno
dell’operazione Storm lanciata dalla Croazia, sostenuta dagli USA,
contro le posizioni serbe, con il bombardamento dei radar di Knin; e,
dal 30 Agosto al 14 Settembre 1995, nell’operazione “Deliberate Force”
gli aerei della NATO bombardano le postazioni serbe intorno a Sarajevo.
In poco tempo le incursioni della NATO si allargano a tutta la
Republika Srpska, con 3515 voli e lo sganciamento di oltre mille bombe.

Gli anni ‘90 sono caratterizzati dall'espansione della NATO ad Est.
Nella Jugoslavia si gioca una partita feroce per l'allargamento. È una
strategia multiforme che ha alcune direttrici evidenti - espansione
occidentale ad est, in una collaborazione/competizione tra Germania e
USA - e controllo USA sui partner europei. Insomma, un duplice scopo
per affermare il ruolo della potenza USA: dimostrare che solo la NATO -
e cioè gli USA - è in grado di gestire il nuovo ordine dopo la fine del
blocco sovietico. I paesi dell'Est ex sovietico sono avvertiti: o con
la NATO/USA o i bombardamenti. La Federazione Jugoslava (Serbia e
Montenegro), che non accetta il diktat dell’adesione, viene ferocemente
punita nella primavera del 1999 con quasi 80 giorni di bombardamenti ad
intensità crescente, che la riportano indietro di 50 anni, come il
generale Wesley Clark aveva minacciato di fare. È la vera prova del
fuoco dell’Alleanza. Con singolare coincidenza, proprio alla vigilia
dei bombardamenti antijugoslavi, tre paesi della “nuova Europa” fedeli
a Washington, Polonia, Ungheria, Repubblica ceca, ufficializzano, dopo
un breve periodo di “rodaggio”, il loro ingresso nella NATO (che così
si porta a 19 membri).

L’allargamento della NATO ad Est procede a ritmi accelerati. Il 29-30
maggio 1997 il consiglio atlantico sostituisce il Nacc con una nuova
struttura istituzionale: l'Euro Atlantic Partnership Council (EACP) che
diventa il quadro generale di consultazione sulle questioni politiche e
di sicurezza relative alla Partnership for Peace. Anche il consiglio
del partenariato risulta strettamente regolamentato, su 2 princìpi:
Open Door (un’espressione che è tutto un programma, con non
inconsapevoli reminiscenze coloniali) a tutti gli stati che ne facciano
richiesta e self differentiation, in virtù della quale ogni stato
sceglie il livello e l'ambito di cooperazione con la NATO. “L'EACP è
antisala del consiglio atlantico dove i vertici dell'alleanza accolgono
i rappresentanti dei nuovi paesi ospiti e che tali rimangono. La sua
struttura e il suo modo di funzionamento sono disciplinati in modo da
cancellare qualsiasi traccia del carattere e delle pratiche
multilaterali proprie dell'OSCE ma anche dello stesso NACC. Questa
integrazione asimmetrica tra NATO e partner consente alla NATO in forma
assolutamente unidirezionale di entrare nel vivo delle strutture
politico militari dei paesi europei dall'Atlantico all'Asia centrale,
di aprirle alle informazioni sensibili, di condizionarle nella
pianificazione nella struttura negli assetti e nell'attività di
budgeting. La partnership condivide gli oneri della membership in
termini di desovranizzazione e di connessione subalterna alle strutture
atlantiche, ma non i benefici” [Minolfi]

La Natosi rivela quindi il più efficace sistema di integrazione
subalterna dei paesi dell'Est. L'adesione alla NATO precede quella alla
UE e pone i nuovi arrivati sotto tutela USA, che si assicurano anche
dei cavalli di Troia nella UE. Attraverso la NATO si regola un duplice
rapporto: con il vicino esterno, con l'est da conquistare, e con il
riottoso interno, con la vecchia Europa da mettere a freno. Lungi
dall'esaurire il proprio ruolo la NATO ne ha acquisito uno ancora
maggiore nella nuova strategia imperialistica USA. L'adesione di nuovi
paesi implica anche affari per le imprese (prevalentemente USA) del
complesso militar-industriale. Dovranno riadeguare ai codici NATO tutti
i loro sistemi di difesa, acquistando dagli USA.

Il 24 aprile del 99, in pieno bombardamento ed escalation contro la
Jugoslavia, la NATO festeggia a Washington i suoi 50 anni e modifica
radicalmente il suo statuto, ampliando aree e motivazioni di
intervento. Da trattato difensivo si trasforma ufficialmente in
trattato diintervento a tutto campo in tutto il mondo. Con il “nuovo
concetto strategico” (The Alliance Strategic Concept), e la
DefenseCapabilities Intiative, la NATO trasforma le sue forze militari
in strumento di gestione delle crisi, di intervento e di proiezione
della forza. Estende l'area d'azione alla periferia dei paesi membri
(Parte II, 20), nonché a tutte le aree in cui vi sia il pericolo di
interruzione del flusso di risorse vitali cioè energetiche. Si
ribadisce l'intenzione di collaborare con la Russia, ma anche di
allargare l'alleanza a Est, compresa l'Ucraina, la cui indipendenza è
esplicitamente protetta (Parte III, 37). Nel Mediterraneo, si rafforza
la cooperazione militare con Israele e alcuni paesi arabi (Egitto,
Giordania, Mauritania, Marocco e Tunisia). La rivalutazione strategica
del Mediterraneo avviene in considerazione dei percorsi strategici. La
strategia NATO parte dalla premessa di impedire ai paesi produttori di
usare l'arma del petrolio a fini politici. Il segretario generale della
NATO, lo spagnolo Javier Solana propone di estendere la NATO fino al
Caucaso [Strika].

 
4. Dalla Jugoslavia all’Iraq, passando per l’Afghanistan. A tappe
forzate procede la marcia verso Est

La guerra contro la Jugoslavia apre tuttavia alcune contraddizioni nel
fronte occidentale, nonostante la tenuta - con alcune crepe – della
coalizione nella fase bellica. Sotto il profilo militare, la NATO si
dimostra una creatura essenzialmente americana. Sono gli USA a fornire
l'apporto fondamentale alle operazioni belliche. Sono essi a decidere
99 casi su cento quali sono gli obiettivi da colpire. Gli europei
forniscono basi e manovalanza, ma sono subalterni. Si rivela in pieno
il gap militare tra europei e americani.

La Russia avverte profondamente la ferita inferta dalla guerra alla
Jugoslavia e si delinea un cambio di strategia. La sostituzione
diEltsin con Putin si spiega anche con una nuova visione strategica
russa che teme - con gli attacchi terroristici ceceni sostenuti dagli
USA - la disgregazione del paese. Nell’agosto 1999, a qualche mese
dalla fine della “guerra del Kosovo”, Russia e Cina firmano un accordo
militare.

All'interno dell'Alleanza atlantica e, soprattutto, degli USA, si
delineano posizioni diverse. I “multilateralisti” propongono che la
NATO diventi uno strumento per agire in ogni luogo del mondo dove gli
“interessi collettivi” dell’Occidente siano minacciati (Madeleine
Albright dichiara che la NATO dovrebbe diventare una forza di pace “dal
Medio Oriente all’Africa centrale”); gli “unilateralisti” ritengono
invece un errore considerare la NATO un’alleanza per tutte le stagioni
e che sia “l’unico congegno efficace per promuovere gli interessi
politici ed economici degli Stati Uniti in Europa” [Carpenter].

Tra l'estate del '99 e quella del 2001 la NATO tende a consolidare i
risultati della guerra jugoslava. È presente massicciamente in Kosovo,
Bosnia, Macedonia, e attraverso la Partnership for peace preme sui
governi dei paesi ex socialisti per accelerare la loro adesione,
nonostante l’opposizione di Mosca. Le repubbliche ex sovietiche che
vorrebbero mantenere una posizione vicina a Mosca o equidistante, come
Bielorussia, Ucraina e Moldavia, sono sottoposte a pressioni continue e
alle denigrazioni dei mass media occidentali (si veda il recentissimo
caso delle elezioni ucraine, con l’attacco concentrico al neoletto
presidente Janukovic). La Nato è il principale strumento di
penetrazione politica – e non solo militare – nell’area ex sovietica.

L'attentato alle “torri gemelle” e l'intervento anglo-americano in
Afghanistan sembrano modificare la situazione. Gli USA enunciano la
dottrina delle alleanze variabili e flessibili. Il 13 settembre 2001,
con un gesto clamoroso quanto intempestivo, la NATO, per la prima
volta, invoca l'art. 5 per intervenire a favore del paese "aggredito",
gli USA. Ma alla Casa Bianca prevale ora la dottrina degli
“unilateralisti”. Bisognerà attendere qualche anno perché la NATO si
occupi ufficialmente dell’Afghanistan. E lo farà questa volta
all’unanimità, in coincidenza, significativamente, con la caduta di
Baghdad e su richiesta di un alleato, la Germania, che si era
dichiarato indisponibile all’avventura irachena. Il 16 aprile 2003 la
NATO accetta di prendere il comando, in agosto, dell'ISAF
(InternationalSecurity Assistance Force) in Afghanistan. La decisione
viene presa su richiesta della Germania e dei Paesi Bassi, le due
nazioni che guidavano l'ISAF al momento dell'accordo. È la prima volta
nella storia della NATO in cui essa si fa carico di una missione al di
fuori dell'area Nord Atlantica. L’Italia vi partecipa direttamente.

Nella nuova fase della guerra preventiva e di lunga durata, disegnata
nella dottrina della sicurezza strategica statunitense del settembre
2002, il ruolo della NATO sembra relegato ad un arnese del passato. Ma
non è così. La NATO continua ad essere uno strumento importante della
strategia USA di dominio mondiale, anche se, certamente, non l’unico.
Essa svolge un ruolo fondamentale per la penetrazione ad est e, al
contempo, per il controllo americano sull’Europa, in cui ad alcuni
paesi, tra i quali l’Italia, è affidato il ruolo diavamposto degli
interessi nordamericani in Europa. Non è un caso che la presenza delle
basi NATO ed USA in Italia si accresca qualitativamente, col
trasferimento a Napoli del comando della Nato Response Force - una
"forza ad alta prontezza e tecnologicamente avanzata", composta ora di
17mila uomini, che potrà essere "dispiegata in qualsiasi parte del
mondo entro 5 giorni" ed essere "autosufficiente per un mese in una
vasta gamma di missioni" [Dinucci] - e con la creazione a Taranto di
una nuova base navale con sommergibili a testata nucleare, avamposto
per l’espansione nel Sud Est.

La presenza della NATO ostacola i tentativi europei di costruire una
propria forza di intervento rapido, ed è lo strumento migliore per
assediare la Russia e il Medio Oriente. Si ventila l'ingresso imminente
diIsraele nella NATO. Bielorussia Moldavia e Ucraina sono i paesi
soggetti all'assedio USA/NATO. Il vertice di Praga del 2002 consacra
l'ingresso (che diviene operativo nel 2004) di ben 7 nuovi paesi ex
socialisti: le tre repubbliche baltiche, Slovacchia, Slovenia, Romania
Bulgaria Lo sfondamento ad est ha segnato nuovi punti. Per i paesi che
vorrebbero mantenere la neutralità si usa il bastone e qualche carota.

           
La lotta contro la NATO è stata negli anni delle maggiori mobilitazioni
antimperialiste uno dei punti fermi della politica dei comunisti. Deve
tornare ad esserlo, e con forza ancora maggiore, visto il carattere
aggressivo ed espansionistico che l’alleanza ha assunto – registrato
persino nelle modifiche al suo statuto -, insieme con la funzione di
controllo e subordinazione del nostro paese a “sovranità limitata”.

 
Riferimenti bibliografici

TedGalen Carpenter, Agli Stati Uniti quest’alleanza non serve più, in
liMes. A che ci serve la NATO, n. 4, 1999.

Manlio Dinucci, La Grande Nato americana, Il manifesto, 15/10/2004

Filippo Gaja, Il secolo corto – la filosofia del bombardamento. La
storia da riscrivere, Maquis editore, Milano, 1994

Alessandro Hoebel, premessa al dossier curato dal centro di
documentazione “Patrizia Gatto” di Napoli pubblicato col titolo Da Bush
a Bush. La nuova dottrina strategica Usa attraverso i documenti
ufficiali(1991-2003), La città del sole, Napoli, 2004

IAC (International Action Center), La NATOnei Balcani (a cura di
Tommaso di Francesco, prefazione di Luciana Castellina), Editori
Riuniti, Roma, 1999

Salvatore Minolfi, Dopo la “guerra fredda”. Geopolitica e strategia
della NATO, in Giano, nn. 34 e 35, Odradek, Roma, 2000

Vincenzo Strika, Di guerra in guerra. L’alleanza atlantica nel contesto
globale, in Giano, n. 34, Odradek, Roma, 2000

Paolo Teobaldelli, CASE STUDY: La Propaganda Atlantica Contemporanea,
in www.resistenze.org


---

http://www.lernesto.it

l'ernesto 6/2004

SOMMARIO

Essere Comunisti
    Verso il  VI Congresso del PRC
C. Grassi

Il ramoscello d’ulivo
    e il mio fucile rivoluzionario
      Y. Arafat

Guerra e  sviluppo capitalistico
B. Steri   
   
Il punto di vista della Resistenza irachena
S. Toma       

     La NATO non è un fiore...   
A. Catone

Servizi italiani, Cia, NATO
F. Accame   

Bush alla guerra: è la volta dell’Iran?
G. Chiesa   

Lettera al Movimento   
N. Ginatempo   

Sul “patto di destabilizzazione”
B. Amoroso   
 
Costituzione europea e attacco al lavoro
V. Giacchè

Il nodo del lavoro
B. Casati

Fiat: una  vertenza nazionale
C. Stacchini

Unificare il mondo del lavoro
L. Vasapollo   

La Palestina orfana di Arafat
G. Lannutti

La rivoluzione neo-conservatrice
    e l’ “anima nera” dei dominatori
Intervista ad A. Gambino, a cura di G.M. Pisa

La prima volta dell’Uruguay
Intervista a  O. Orcajo, a cura di M. Santopadre

Cuba, la stella solitaria
A. Riccio

La Russia nell’ “asse del male”?
M. Gemma

Ucraina: ai piedi della Nato?
M. Graziosi

Partito comunista e movimenti
A. Burgio

La nostra storia non è
    un cumulo di macerie   
G. Chiarante

L’Ottobre, Gramsci e noi
G. Liguori

Achtung! Banditi!
G. Livio, A. Petrini, M. Pierini

Teatro e Resistenza
Colloquio con Luigi Squarzina, a cura di G.L.

“La società globale” di Luigi Cavallaro
Recensione di Giovanni Mazzetti


 

(srpskohrvatski / italiano)

Serbia 2004: i cetnici al potere

La destra filo-occidentale al potere in Serbia ha fatto passare ieri
una legge che equipara nei diritti i partigiani ai nazionalisti
monarchici, in linea con la linea revisionista e reazionaria che ha
ispirato il "golpe" del 5 ottobre 2000.
Si osservi che l'agenzia dello Stato italiano ANSA, nel riferire la
notizia, omette di spiegare quale fu veramente il ruolo dei cetnici nel
corso della II Guerra Mondiale, ed omette anche di spiegare che il
Partito Socialista della Serbia e' stato tra i pochissimi a votare
contro la nuova legge.

E' documentato che gran parte delle milizie cetniche passarono con i
nazisti in funzione anticomunista, e che lo stesso Draza Mihajlovic
ebbe gravi responsabilità per questo. Agli interessati possiamo fornire
in proposito documentazione originale, su richiesta -- in particolare
una copia elettronica del libro:

THE TRIAL OF DRAGOLJUB-DRAZA MIHAILOVIC

Stenographic record and documents from the trial of Dragoljub-Draza
Mihailovic (Belgrade 1946)

(a cura di Italo Slavo)

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http://www.ansa.it/balcani/serbiamontenegro/20041221183933203008.html

SERBIA/MONTENEGRO: LEGGE EQUIPARA PARTIGIANI E CETNICI

(ANSA) - BELGRADO, 21 DIC - Il parlamento serbo ha adottato oggi una
legge che riconosce stessi diritti ai combattenti comunisti e ai
nazionalisti che collaborarono con gli occupanti nazisti durante la
seconda guerra mondiale. La legge e' stata adottata con 176 voti a
favore, 24 contrari e quattro astensioni, nove deputati non hanno
votato. I vecchi combattenti membri del movimento monarchico e
nazionalista di Dragoljub Mihajlovic riceveranno cosi' la pensione e un
certificato di ex combattenti cosi' come i partigiani ex membri del
partito comunista di Josip Broz detto 'Tito'. Dopo la guerra Mihailovic
e stato giudicato colpevole di tradimento e collaborazionismo e
condannato a morte. La legge e' stata presentata dai deputati del
Movimento serbo di rinnovamento (Spo) del ministro serbo-montenegrino
degli esteri Vuk Draskovic che da sempre sostiene la necessita' di una
riconciliazione tra partigiani e cetnici. L'adozione della legge ha
creato malcontento tra gli ex combattenti di Tito i quali ritengono
che, con questa norma, la Serbia diventa l'unico paese europeo dove un
movimento collaborazionista diventa anti-fascista e anti-nazista. Il
nome e i simboli del movimento cetnico, peraltro, sono stati usati
durante le guerre degli anni Novanta nelle ex repubbliche jugoslave
adottati dai paramilitari serbi che in Croazia e in Bosnia si sono
macchiati di atrocita' e crimini di guerra. (ANSA) VD 21/12/2004 18:39

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"Cetnicima isto sto i partizanima"

http://www.b92.net/info/vesti/
index.php?yyyy=2004&mm=12&dd=21&nav_id=158391

Uguali diritti ai Cetnici come ai partigiani
21. dicembre 2004. | 12:22 | Fonte: B92, Beta Beograd

I membri del movimento di “Ravna gora” (di Draza Mihajlovic) nel
periodo 1941-1945, avranno uguali diritti come i partigiani.
Il Parlamento serbo martedì ha votato per le modifiche della Legge sui
diritti dei partecipanti del movimento di Resistenza, invalidi militari
e loro familiari, con cui i diritti dei cetnici e quelli dei partigiani
diventano paritari. Viene costituita la "Ravnogorska spomenica 1941.",
simile alla "Partizanska spomenica". (una specie di medaglia
particolare con la quale si distinguono i partecipanti del movimento di
Resistenza dal primo giorno di insurrezione nel 1941., e che procura
alcuni benefici previdenziali).
Per la proposta, avanzata dal Movimento Serbo di Rinnovamento (SPO),
hanno votato 176 deputati. I voti contro provenivano dai 24 deputati di
SPS (Partito Socialista Serbo) e di SDP (Partito socialdemocratico).
Astenuti erano quattro, mentre nove deputati non hanno votato.

> Cetnicima isto što i partizanima

> 21. decembar 2004. | 12:22 | Izvor: B92, Beta Beograd --

> Pripadnici ravnogorskog pokreta od 1941. do 1945. imaju ista prava kao
> i partizani.
> Skupština Srbije u utorak je usvojila Izmene zakona o pravima boraca,
> vojnih invalida i clanova njihovih porodica, kojim se izjednacavaju
> prava cetnika i partizana i ustanovljava "Ravnogorska spomenica
> 1941.", poput "Partizanske spomenice".
> Za predlog Srpskog pokreta obnove glasalo je 176 poslanika, a protiv
> su bila 24 poslanika Socijalisticke partije Srbije i
> Socijaldemokratske partije. Uzdržana su bila cetiri, a nije glasalo
> devet poslanika.

---

*:C(ETNICI-ZAKON*
* Narodni heroji tra~e od Tadic'a da sprec(i zakon*
**BEOGRAD* *, 22. decembra (Tanjug ) - C(etvoro nosilaca Ordena
"Narodnog heroja" iz Drugog svetskog rata zatra~ilo je danas od
predsednika Srbije Borisa Tadic'a da sprec(i stupanje na snagu juc(e
usvojenog zakona, kojim su izjednac(ena prava partizana i c(etnika.
"Tim zakonom, koji predstavlja atak na istoriju i mo~e prouzrokovati
nestabilnost u Srbiji, pripadnici Ravnogorskog pokreta i Jugoslovenske
vojske u otad~bini priznati su za borce i izjednac(eni u pravima sa
partizanima", naveli su u pismu Sredoje Uroaevic', Danica
Milosavljevic', Joao Durbaba i Lazo Radakovic'.

*SPO-C(ETNICI-ZAKON /DPMNVW *
* SPO: Dan izjednac(avanja prava c(etnika i partizana je istorijski*
** 18:05 BEOGRAD* *, 21. decembra (Tanjug) - Srpski pokret obnove ocenio
je danas da je usvajanje zakona o izjednac(avanju u svim pravima i
poc(astima pripadnika oba antifaaistic(ka pokreta u Drugom svetskom
ratu, partizanskog i c(etnic(kog, veliki dan za istoriju.
Sa zakaanjenjem od aest decenija, istorijska istina je pobedila
ideoloaku neistinu, a pomirenje mr~nju, navedeno je u saopatenju te
stranke.

[ La ditta Halliburton, numero uno mondiale delle infrastrutture per il
settore petrolifero, e' diretta da personaggi-chiave della
amministrazione Bush-Cheney. Essa e' tristemente nota, oltreche' per
la attuale rapina delle risorse irachene, anche per avere in gestione
la "torta" degli appalti delle basi militari statunitensi sul
territorio del Kosovo, come Camp Bondsteel, attraverso la sua
consociata Brown&Root...]

http://www.reseauvoltaire.net/article14938.html

Affaires

Halliburton ou le pillage de l'État

Halliburton, numéro 1 mondial des équipementiers pétroliers, est
devenue sous l'administration Bush fils l'un des symboles des guerres
de prédation. La multinationale, anciennement dirigée par Dick Cheney,
a bénéficié de contrats mirifiques à l'occasion de la guerre contre
l'Irak et de la reconstruction. Mais ce scandale n'est pas nouveau :
depuis près d'un siècle, cette société se développe en mêlant business
et politique sur le dos de citoyens états-uniens bien crédules. C'est
le premier volet de notre enquête sur une multinationale trop méconnue.

16 septembre 2004

[PHOTO: George et Herman Brown, fondateurs de la société Brown & Root]


Dick Cheney est nommé, en 1995, à la tête de la société Halliburton
pour sa connaissance exceptionnelle des rouages du Capitole et du
Pentagone, et bien qu'il n'ait aucune expérience dans le privé. Le pari
du Conseil d'administration qui l'embauche sera couronné de succès :
cinq ans avant son arrivée, les prêts accordés à la société et appuyés
par l'État s'élevaient à 100 millions de dollars, pour atteindre 1,2
milliards à son départ. Les contrats passés avec le gouvernement
doublent pratiquement dans la même période, passant de 1,2 milliards à
plus de 2,3 milliards. Le fait que Cheney ait joué de ses relations
pour obtenir ces contrats est pratiquement impossible à prouver, par
ailleurs Halliburton peut arguer qu'elle est réellement la société la
plus apte à les honorer [1]. Quoi qu'il en soit, Dick Cheney a amplifié
un système qui existait avant lui. Pour le comprendre, il convient de
revenir sur l'histoire méconnue de la multinationale Halliburton, issue
de la fusion entre une société de services pétroliers à très haute
technologie et une sorte de cabinet politico-financier comme en produit
le mode de vie états-unien.


Les origines du savoir-faire d'Halliburton

À l'origine d'Halliburton, il y a un jeune homme ambitieux et passionné
de mécanique, né en 1892 à Henning, une petite ville près de Memphis
dans le Tennessee. Erle Palmer Halliburton est l'aîné des cinq enfants
d'une famille dont le père décède prématurément en 1904, la laissant
pratiquement sans ressources. Deux ans plus tard le jeune Erle, alors
âgé de 14 ans, décide de tenter sa chance pour libérer les siens des
affres de la pauvreté et part à l'aventure en promettant de ne revenir
à Henning qu'avec un million de dollars dans les poches. Il enchaîne
les petits boulots toujours en rapport avec sa passion, la mécanique,
et finit par s'installer en Californie après un bref passage dans
l'U.S. Navy où il s'occupe de mécanique hydraulique. Il se marie et
accepte temporairement la responsabilité d'un projet d'irrigation qui
lui procure un salaire honorable pour l'époque de 100 dollars par mois.

Autour de lui s'agitent déjà les aventuriers embarqués dans la frénésie
du pétrole, démarrée en 1860 en Pennsylvanie, gagnant la Californie en
quelques décennies pour finalement exploser au Texas en 1901 lorsque le
brut jaillit au-dessus de la colline de Spindletop. La technologie mise
au service de l'extraction évolue alors rapidement, mais beaucoup reste
à inventer pour l'optimiser. Les pionniers de l'or noir avancent à
l'aveuglette, procèdent de manière souvent maladroite et empirique.
Erle Halliburton se fait embaucher par l'entreprise de bétonnage de
puits d'Almond A. Perkins. Cette technologie alors quasiment inconnue
permet d'éviter que des infiltrations de gaz ou d'eau se produisent
dans le puits, rendant son pétrole inutilisable, et permet en outre de
consolider ses parois qui habituellement se désagrègent, obligeant
l'opérateur à évacuer sans arrêt ces matériaux indésirables à
l'extérieur du puits. Rapidement passé de chauffeur de camion à
cimenteur de puits, Erle est néanmoins remercié au bout d'un an.
Décidant immédiatement de mettre à profit ses nouvelles et précieuses
connaissances en créant sa propre entreprise, Erle dira plus tard que
son embauche et son licenciement par la Perkins Oil Well Cementing
Company étaient les deux meilleures choses qui lui soient arrivées.

Installée au Texas, son entreprise connaît des débuts difficiles, noyée
parmi la foule d'aventuriers, entrepreneurs et charlatans en tous
genres qui gravitent autour des boomtowns pétrolières. La New Method
Oil Well Cementing Company du jeune Halliburton n'encaisse pratiquement
aucun profit, mais la détermination inébranlable de son patron finira
par payer quand une compagnie d'extraction lui confie la tâche de
maîtriser un puits indomptable qui lui fait perdre des revenus
importants. Une fois la tâche accomplie, la réputation de la nouvelle
méthode de Perkins, à laquelle Halliburton a apporté quelques
améliorations, enfle et circule rapidement dans tout le milieu. Les
contrats affluent et l'entreprise décolle enfin. Devant ce rapide
succès, le détenteur du brevet de la méthode de cimentage et ancien
patron de Halliburton assigne ce dernier en justice pour récupérer ses
droits. La dispute se soldera par un accord selon lequel Halliburton
cède en échange à Perkins les droits sur son propre brevet de
fabrication de ciment, mais il n'est pas encore au bout de ses ennuis
avec les brevets : quelques années plus tard il mènera sans succès une
autre bataille qui l'opposera à l'une des plus puissantes firmes
d'alors, la Standard Oil de John D. Rockefeller [2].

En 1924, il concocte un plan de capitalisation boursière en faisant
entrer ses principaux clients dans le capital de son entreprise, qui
devient la Halliburton Oil Well Cementing Company, ou Howco. De cette
manière, il s'assure un salaire plus confortable tout en réservant la
majorité des parts à sa famille, et cherche à diversifier son activité
en acquérant une flotte d'avions de transport de passagers. L'arrivée
de la grande dépression lui fait regretter ce pari ; Halliburton tente
alors de reconvertir cette flotte en décrochant un marché public de
distribution de courrier. Son offre est rejetée. Il tente donc de
rattraper le coup par un voyage à Washington durant lequel il proteste
auprès des élus, mais son inexpérience des subtilités de la politique
le maintient décidément hors de la boucle. En conséquence Erle
Halliburton nourrira pendant longtemps une défiance amère à l'égard de
« ces gens à Washington », préférant s'en remettre davantage à son
expertise et à son flair acquis sur le terrain.

À la fin des années 20, Howco doit son succès à ses camions, qui
sillonnent sans relâche les routes du Texas et de l'Oklahoma d'un puits
à l'autre, et à la persévérance d'un directeur qui va dénicher les
contrats, aussi modestes soient-ils.


Les relations politiques de Brown & Root

À l'inverse, une autre petite compagnie basée au Texas fit
simultanément son chemin dans les méandres des courants politiques,
chevauchant cycles économiques et guerres comme nulle autre.

Quand la famille Brown arrive au Texas en 1879, cet État ne compte pas
un million d'habitants (la population explosa ensuite pour atteindre
trois millions en 1900) qui vivent dans de petites villes autarciques,
reliées par des chemins défoncés - souvent d'anciennes pistes indiennes
- qui freinent considérablement tout développement.

Herman et George Brown naissent en 1892 et 1898 dans l'ambiance de
western de la ville de Belton, où leur père Riney tient un petit
commerce. Herman se distingue par son ardeur au travail et se détourne
rapidement de ses études pour prendre un petit boulot dans les travaux
publics, quand son jeune frère, plus charmeur et extraverti, vend des
lapins et des journaux avant de rejoindre le Rice Institute de Houston,
qui deviendra la Rice University. Il rs'engage dans l'armée durant la
Première Guerre mondiale, sans toutefois participer aux combats, puis
s'inscrit à l'école des Mines du Colorado, dont il sort avec un diplôme
affublé du commentaire « gagne son pouvoir grâce à sa capacité à se
faire des amis ». La carrière de George Brown ne démentira pas cette
note particulièrement clairvoyante.

Entre temps, son frère Herman s'est lancé avec sa femme Margaret Root
dans la construction de routes. Avec l'essor de l'automobile, il a
compris l'importance de l'amélioration des voies de communication pour
le développement du Texas, et sa petite affaire marche correctement,
même si il ambitionne, comme Erle Halliburton, une carrière plus
mirifique. Il embauche George après une expérience dans les mines qui
manquera de coûter la vie à ce dernier, et s'appuie sur les capitaux
apportés par son beau-frère Dan Root pour agrandir son entreprise qui
fonctionne alors avec quelques mules ainsi qu'une poignée de forçats
repris de justice.

Mais rapidement Herman Brown comprend aussi qu'en plus de la force de
travail, l'élément clé de sa réussite réside en sa capacité à garantir
l'afflux de contrats par un réseau relationnel solide.
Là où Howco avait échoué en soumettant une offre perdue dans la masse,
l'entreprise des frères Brown devait faire ses gammes dans le contexte
particulièrement difficile des travaux publics du Texas, où se
développaient à l'époque les pratiques de corruption qui continuent
aujourd'hui de caractériser l' « univers impitoyable » du business
texan. Au milieu des premiers scandales autour de l'attribution de
contrats par le Département des autoroutes du Texas nouvellement créé,
George et Herman Brown firent preuve d'une étonnante capacité
d'adaptation. Se contentant au départ de petits contrats et de
sous-traitances laissées derrière le sillage des favoris de l'élite
politique, ils cultivèrent peu à peu leur influence auprès des
décideurs selon l'adage « La politique c'est les affaires, les affaires
sont de la politique ». Un premier contrat relativement important est
décroché par Herman simplement en se rendant dans le bureau du
directeur de la commission d'attribution des contrats publics, sans
aucun appel d'offre, installant d'ores et déjà Brown & Root
(aujourd'hui Kellogg, Brown & Root, ou KBR) dans son véritable cœur de
métier.

Assise sur de confortables profits générés par la construction de
routes, mais aussi sur une quantité impressionnante de billets à ordre
(promesses de paiement s'étalant sur des périodes allant jusqu'à cinq
ans), Brown & Root aurait pu disparaître avec les milliers
d'entreprises qui, en 1929, se retrouvèrent avec des montagnes de
papier sans valeur. Seulement les conseillers financiers des frères
Brown avaient insisté avec virulence pour qu'ils les échangent contre
des liquidités avant le grand crash. Cela fournit à Brown & Root une
base de subsistance durant les premières années de vache maigre qui
ralentirent considérablement le développement des routes.

En 1932, Brown & Root doit pourtant se résoudre à prendre en charge le
collectage des ordures de la ville de Houston, qu'elle optimise en
enjoignant ses employés de trier les déchets organiques dont ils
nourrissent des porcs qui sont ensuite vendus. Ce sera le premier d'une
longue série de scandales autour de l'attribution à Brown & Root et sa
gestion des marchés publics. En effet, une offre d'un montant moins
élevé avait été soumise, mais le contrat est tout de même attribué à
Brown & Root, suscitant l'ire de la presse locale.
Ainsi l'entreprise s'accroche et n'hésite pas à accepter de se
diversifier à outrance pour survivre, mais bientôt les coffres sont
vides : il faut jouer un gros coup ou mettre la clé sous la porte.
Pour cela les frères Brown doivent se frayer une entrée à un niveau de
pouvoir supérieur. Ils trouveront en la personne d'Alvin Wirtz, l'un de
leurs proches conseillers, l'intermédiaire idéal.

Alvin Wirtz est alors un personnage politique hors du commun, homme de
l'ombre très influent au Texas car éloigné du feu des projecteurs,
contrairement aux hommes politiques élus qui doivent sans cesse
répondre de leurs actes devant l'opinion publique. Au sein de son
cabinet d'avocats Powell, Wirtz, Rauhut & Gideon, il tire alors
davantage les ficelles des décisions politiques qu'à son poste de
sénateur qu'il avait occupé jusqu'en 1930, moment où il choisit de
poursuivre sa carrière dans les coulisses du pouvoir.

Le flair politique de Wirtz oriente rapidement l'attention de Brown &
Root vers la seule source d'enrichissement à leur portée, moyennant
quelques subtilités relationnelles, à savoir les projets de chantiers
publics démesurés du New Deal de Roosevelt. Ceux-ci furent à l'origine
de la puissance actuelle de nombreuses entreprises privées, comme
Bechtel à qui fut attribuée la construction du barrage hydraulique
Hoover Dam. Wirtz était déjà engagé, au nom d'un autre client, dans des
procédures visant à obtenir pour lui l'attribution du chantier de
construction d'un barrage sur la rivière Colorado. Le financement du
projet par les fonds publics n'était possible que s'il s'agissait d'un
barrage destiné à prévenir les inondations qui coûtaient chaque année
des millions aux collectivités, et non pas un barrage destiné à
produire de l'électricité. Wirtz se débrouilla pour convaincre les
autorités de l'urgence de la création d'un organisme de gestion des
travaux sur la rivière, le Lower Colorado River Authority (LCRA), dont
il serait bien entendu le président, et rassura le parlement du Texas
sur la nature du barrage qui devait être construit. Une fois cela
accompli, Wirtz se rendit à Washington pour sécuriser des fonds du New
Deal, mais se heurta aux doutes de l'administration sur l'utilité du
barrage. Pour contourner cet obstacle, Wirtz fit tout simplement
retracer la carte des districts du Texas afin que le lieu choisi pour
la construction du barrage soit situé dans la juridiction du
représentant James P. Buchanan, qui accessoirement se trouvait être le
président du comité d'attribution des fonds du New Deal. Ensuite, Wirtz
baptisa le barrage du nom de ce dernier, qui du coup insista auprès de
Roosevelt pour avoir « son barrage » comme cadeau d'anniversaire !

Les travaux à demi terminés, le client de Wirtz fit faillite et laissa
un barrage inachevé, bien entendu destiné à produire de l'électricité
et donc inefficace contre les inondations. À ce moment Wirtz, qui
n'avait pas froid aux yeux, décida tout simplement de faire construire
un nouveau barrage en aval du premier, cette fois-ci par son autre
client, la société Brown & Root. Peu importe que celle-ci n'ait aucune
expérience en la matière, les frères Brown étaient résolus à s'y
atteler coûte que coûte, car la survie de leur entreprise en dépendait.

Pour décrocher le marché, ils s'associent avec une autre entreprise
plus expérimentée et soumettent un devis irréaliste pour la réalisation
du projet : cette méthode consistant à faire grimper les coûts une fois
le contrat obtenu est toujours très répandue et désormais peu de gens
s'étonnent quand George W. Bush demande quelques milliards de rallonge
pour Brown & Root en Irak…

Ainsi, en décembre 1936 le président de la LCRA Alvin Wirtz attribue la
construction du Marshall Ford Dam à Brown & Root, qui est également son
client. Suivront d'autres difficultés, à chaque fois contournées grâce
aux entrées de Wirtz à Washington, et particulièrement à l'influence du
représentant Buchanan. Lorsque celui-ci meurt en 1937, Brown & Root
perd son principal atout à Washington à un moment crucial pour sa santé
financière. Heureusement, c'est un autre ami de Wirtz, le jeune Lyndon
Baines Johnson, qui s'engage dans la course pour récupérer le siège de
Buchanan. Il s'adresse aussitôt à Wirtz pour qu'il use de son
considérable pouvoir afin de l'aider à y parvenir. En échange, Wirtz
lui demande de faire passer la loi qui lèvera les derniers obstacles
empêchant Brown & Root de se hisser parmi les plus grands contractants
de l'État. Protégé de Roosevelt qui met toute sa plate-forme de
campagne à sa disposition, Johnson, s'il est élu, en a largement les
moyens.

Le plus surprenant, lors de cette campagne qui fut l'une des plus
coûteuses que le Texas ait jamais connu, est que Herman Brown lui-même
ne soutenait pas le candidat qui lui permettrait de prospérer. Il
méprisait d'ailleurs le New Deal, dont il avait pourtant déjà tiré
plusieurs millions de dollars. Johnson remporta facilement l'élection
grâce aux fonds levés par Wirtz, ainsi qu'au soutien de Roosevelt, et
devint littéralement la branche politique de Brown & Root pour les
décennies suivantes.
Lors d'une conversation avec George Brown, il décrira leur association
comme « Une joint-venture … Wirtz va s'occuper de la partie légale, je
vais m'occuper de la politique, vous allez prendre en charge son aspect
business. Nous allons ensemble trouver des solutions qui amélioreront
notre position à tous les trois. » [3].


Le glissement vers les industries de défense

La Seconde Guerre mondiale fut la première occasion pour Halliburton et
Brown & Root de réorienter leurs activités vers le domaine militaire,
dans un effort s'accordant de nouveau parfaitement avec l'orientation
des dépenses de l'État. Howco, non contente d'engranger d'importants
profits grâce à la demande en pétrole stimulée par l'effort de guerre,
se diversifia également dans la production de pièces détachées pour
l'armée de l'air et la construction de pistes d'aviation. Brown & Root
se convertit pour sa part en un clin d'œil en contractant pour la
défense, après avoir construit son assise financière sur le capitalisme
du New Deal. Parallèlement la compagnie exerça une forte pression
anti-syndicale sur ses employés, et en conséquence Johnson prit un
virage à droite aux yeux du public. Il avait assuré plusieurs autres
contrats importants à Brown & Root, dont deux autres barrages sur le
Colorado, liant définitivement son destin à celui de l'entreprise au
point que le businessman Herman Brown paraisse parfois avoir
l'ascendant sur le politique Lyndon Johnson. On retrouve aujourd'hui
l'illustration de cette relation inversée en entendant des militaires
états-uniens évoquer KBR comme un « client » de l'armée [4]...

L'un des meilleurs coups de l'association Johnson / Brown & Root
restera la construction de la base militaire de Corpus Christi au
Texas. Pour sa nomination en tant que candidat démocrate en 1940,
Roosevelt s'appuie sur l'influence de Wirtz et Johnson au Texas, un
État dont le vote est crucial. En retour, il ordonne que toute décision
de construction militaire réalisée au Texas passe par Lyndon Johnson.
Soudainement, Brown & Root est évoqué comme possible contractant pour
l'armée, puis obtient peu de temps après le contrat pour la réalisation
de la base en des termes plus qu'avantageux : le type de contrat,
appelé cost-plus, inclut le remboursement des coûts de construction
ainsi qu'un pourcentage de celui-ci versé comme rémunération au
contractant, qui a alors tout intérêt à gonfler les coûts pour
augmenter ses profits. Le montant fixé à l'origine s'élève à 23 381 000
dollars. Au finale, Brown & Root réalisera le projet pour la somme de
125 000 000 de dollars.

Brown & Root s'engagea ensuite dans la construction de navires de
guerre. Inutile de préciser que ce qui assura à la société ses premiers
marchés n'était pas son savoir-faire, alors inexistant dans ce domaine,
mais le fait qu'elle ait permis par ses moyens financiers de faire
élire plus de représentants au Congrès que le Democratic National
Committee. Les commandes de navires tombaient par dizaines et en 1943,
la construction navale était le premier secteur économique de Houston,
où Brown & Root employait 15 000 personnes.

L'avantage principal de la politique syndicale rigide de style
open-shop (main d'œuvre fluctuante et précaire) de Brown & Root était
sa souplesse d'adaptation et ses faibles coûts de fonctionnement par
rapport à ses compétiteurs, ce qui lui permettait de soumettre des
offres plus basses et de remporter les contrats. Par ailleurs, lors des
mouvements de grève, elle n'hésitait pas à facturer la moindre
interruption de production aux centrales syndicales telles que
l'AFL-CIO et à licencier à tour de bras les meneurs de ces mouvements,
invoquant pour cela leur manque de patriotisme. Herman Brown estimait
que l'effort de guerre justifiait cette politique.

À la fin de la guerre, l'État qui possédait 25 % de l'industrie du pays
devait notamment se défaire de deux oléoducs Ouest/Est géants, à
l'origine destinés à contrer l'attaque des pétroliers par les
sous-marins allemands. Encore une fois, des compétiteurs plus
expérimentés furent écartés du projet et, grâce à l'influence de
Johnson, les frères Brown firent main basse sur le marché par
l'entremise d'une société créée pour l'occasion.

Si le monde pouvait facilement constater ce que faisait Johnson pour
Brown & Root, l'inverse était moins évident, notamment en raison d'une
loi interdisant à l'époque le financement des campagnes par les
entreprises et limitant le financement des particuliers à 5000 dollars
par donateur. Le financement des campagnes de Johnson par Brown & Root
n'était donc pas chose facile. Lors de chaque campagne, des sacs
remplis de liasses circulaient de main en main, sans laisser de traces,
et les employés de Brown & Root étaient souvent sollicités pour faire
des dons au candidat Johnson, qui une fois élu faisait en sorte
d'alimenter Bown & Root en marchés publics. Le coût d'une campagne
sénatoriale était limité par la loi à 25 000 dollars par candidat, mais
les contributions de Brown & Root dépassaient régulièrement à elles
seules les 100 000 dollars, dissimulées de différentes manières, quand
ce n'était pas pour acheter directement les votes des électeurs comme
les Mexicains déshérités du Sud-Texas. En juillet 1942, l'Internal
Revenue Service (IRS) repéra des irrégularités dans les comptes de
Brown & Root et décida alors d'ouvrir une enquête. Johnson, qui
risquait gros dans l'histoire, tenta d'intervenir auprès du président
Roosevelt pour lui assurer qu'il s'agissait d'une manœuvre politique.
Mais les agents du fisc redoublaient d'ardeur à chaque tentative de
Johnson pour étouffer l'affaire, d'autant qu'il ne parvenait pas à
convaincre Roosevelt de s'en mêler. Il finit tout de même par accepter,
et le lendemain un nouvel inspecteur fut chargé de l'affaire ; il
examina le dossier et jugea que les éléments à charge étaient
insuffisants étant donné l'effort de guerre fourni par la société, puis
trancha pour une amende de moins de 500 000 dollars. L'affaire fut
rapidement classée.

Johnson fréquentait à l'époque un groupe informel de richissimes
texans, réunis par leur fortune, une volonté commune et un large
spectre d'influence politique connu sous le nom de « Suite 8F » en
raison de leur lieu de rendez-vous qui se trouvait être la Suite 8F de
l'hôtel Lamar de Houston. D'un simple lieu de rencontre informelle,
elle devint le lieu où étaient prises les décisions importantes et où
se nouaient les alliances, loin du regard du public. Car leur but,
aussi paradoxal qu'il puisse sembler, était bien de limiter l'impact
des politiques sur leurs affaires respectives, tout en utilisant ces
mêmes politiques et législations pour atteindre leurs objectifs.


Le point de fusion

Les dérives de Brown & Root durant la Première Guerre mondiale furent
rapidement excusées au regard du public par la priorité de l'effort de
guerre et personne n'évoquait alors les « profiteurs de guerre ». En
revanche, il en fut autrement lors de la guerre du Viet-Nam.

Les années 50 virent Howco étendre ses activités jusqu'en Arabie
Saoudite ou encore au Pérou, en Colombie, Indonésie, Mexique etc. et
son revenu global passer de 94 millions de dollars à 194 millions en
1957, année de la mort d'Erle Halliburton, son fondateur, qui s'en
allait en laissant une fortune dépassant largement sa promesse initiale
d'un million de dollars. Mais la baisse de la demande pétrolière des
années 60 entama les revenus de la société, qui chercha alors à se
diversifier par tous les moyens.

De son côté, Brown & Root accusait également le coup, mais pour une
autre raison. Sa santé financière était au mieux, avec notamment la
construction de deux bases militaires, en France et en Espagne, pour
une somme de 472 millions de dollars. En revanche, son pilier politique
Lyndon Johnson s'était mis en tête de participer à la course
présidentielle, ce qui n'était pas pour plaire à Herman Brown,
satisfait des retours sur investissement procurés par son poulain au
Sénat. Il ne voulait pas d'un Johnson en représentation, sans prise
directe sur la législation. Néanmoins Johnson s'inclina aux primaires
face au candidat Kennedy, et Herman Brown mourut d'une rupture
d'anévrisme en novembre 1962, quelques mois avant l'assassinat de
Dallas qui devait porter Johnson à la présidence. Il était alors
question d'une acquisition de Brown & Root par Halliburton. D'une part,
les frères Brown ne souhaitaient pas vendre leur société à un
concurrent. D'autre part, les deux sociétés, dont les points communs
étaient leur origine texane, leurs débuts tourmentés et leur politique
syndicale sans concessions, présentaient également une singulière
complémentarité (la technologie mise au service d'un marché précis pour
Halliburton, et la puissance politique d'une Brown & Root) lorsqu'il
s'agissait de décrocher les contrats sur lesquels ils mettaient ensuite
autant d'hommes que nécessaire.

Arthur Lepic


[1] La source principale des informations rapportées dans cet article
est : The Halliburton Agenda, The Politics of Oil and Money par Dan
Briody, Wiley éd., 2004.

[2] La Standard Oil deviendra plus tard la compagnie Exxon, dont nous
avons relaté l'histoire dans « Exxon-Mobil, fournisseur officiel de
l'empire » [http://www.reseauvoltaire.net/article14693.html%5d, Voltaire,
26 août 2004.

[3] Cité par l'auteur. Op Cit.

[4] Op. Cit. p 78

Parata ustascia a Bruxelles


0. LINKS su Croazia ed UE
(english / francais / italiano / srpskohrvatski)

1. PARATA USTASCIA A ZARA (Oss. Balcani)

2. LA CROAZIA NELLA UE? Dispacci ANSA

3. TRIPUDIO CROATO PER LA LIBERAZIONE DEL CRIMINALE DI GUERRA BLASKIC /
LA CROAZIA DIFENDE IL CRIMINALE DI GUERRA GOTOVINA
(links -- english / francais / italiano / srpskohrvatski)


=== 0 ===

LINKS:

«Les relations entre la Slovénie et la Croatie sont aujourd’hui dans le
pire état possible»

Josip Manolic est une éminence grise de la politique croate, conseiller
du Président Mesic et du Premier ministre Sanader. Il s’exprime sur
l’état des relations slovéno-croates, après les dernières élections
législatives en Slovénie : contentieux frontalier et maritime, adhésion
de la Croatie à l’Union européenne, etc. Entretien.

http://www.balkans.eu.org/article4736.html

Croatian war crime threat to Turkey's EU bid

http://news.ft.com/cms/s/4121b756-4182-11d9-9dd8-00000e2511c8.html

Croats' EU Enthusiasm Cools (by Drago Hedl)

http://www.iwpr.net/index.pl?archive/bcr3/bcr3_200410_520_1_eng.txt

Splasnjava hrvatski entuzijazam za EU

Teznje ka priblizavanju Briselu nailaze na novu prepreku – cini se da
mnogi Hrvati nisu vise tako zainteresovani za clanstvo u EU. Pise:
Drago Hedl iz Osijeka (BCR Br 520, 08-okt-04)

http://www.iwpr.net/index.pl?archive/bcr3/bcr3_200410_520_1_ser.txt

Croatie : montée en flèche de l’euroscepticisme

http://www.balkans.eu.org/article4661.html

Croazia: l'Unione Europea perde consensi

11.10.2004 Da Osijek, scrive Drago Hedl
Per la prima volta sotto il 50% la percentuale dei favorevoli alla
integrazione europea del Paese. In difficoltà la politica del premier
HDZ Sanader, mentre la destra del partito mostra insofferenza. In
dicembre la Croazia al voto per il presidente. Verso una resa dei conti
all’interno dell’HDZ?

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3505/1/51/

AI: Crimes committed by members of the Croatian Army and police forces
against Croatian Serbs

http://www.serbianna.com/news/story/1023.html

EU entry talks with Croatia could start in April (by Lisbeth Kirk)

http://www.euobserver.com/?aid=17991&print=1



=== 1 ===

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3713/1/51/

Parata ustascia a Zara

15.12.2004 Da Osijek, scrive Drago Hedl
Inquietante manifestazione filo ustascia a Zara, salutata dal
presidente del consiglio comunale cittadino. La polizia non interviene.
Sempre più diffuse nel Paese opinioni revisioniste sul carattere
“positivo” del regime del criminale Pavelić. Venerdì la decisione della
Commissione sull’avvio dei negoziati di adesione alla UE


Lunedì scorso, 6 dicembre, alcune centinaia di persone, tra le quali
una decina che indossavano uniformi con i simboli degli Ustascia e le
immagini del criminale di guerra Ante Pavelić, insieme a quelle del
generale latitante Ante Gotovina, ricercato per crimini di guerra dal
Tribunale dell’Aja, hanno marciato per le strade di Zara. L’incidente
si è verificato solo 10 giorni prima che la Croazia affrontasse una
scadenza importante: il 17 dicembre, a Bruxelles, la Commissione
Europea deve decidere sulla data di avvio dei negoziati per l’ingresso
della Croazia nella Europa dei 25.

La dimostrazione ha avuto luogo in occasione della celebrazione dei
veterani della seconda guerra mondiale, non di quelli che appartenevano
al movimento antifascista, ma dei cosiddetti “domobran”, che
combattevano dall’altra parte. Davor Aras, presidente del consiglio
comunale di Zara e membro della Unione Democratica Croata (HDZ), il
partito dell’attuale Primo Ministro Ivo Sanader, è uscito a salutare i
manifestanti di fronte all’immagine di Ante Pavelić.

La polizia non è intervenuta, e solo il giorno seguente sono state
inoltrate alcune accuse nei confronti di alcuni membri del gruppo.
Inoltre, il portavoce dell’HDZ e del governo Sanader, Ratko Maček, ha
condannato la esibizione di simboli ustascia all’incontro, e ha
annunciato sanzioni per Davor Aras, che rischia di essere espulso dal
partito.

“L’HDZ punirà Aras perché ha danneggiato politicamente il partito e ha
agito in maniera contraria al suo programma” – ha dichiarato Maček.

Altre formazioni politiche in Croazia, compreso il Partito Croato dei
Diritti (HSP), hanno condannato la esibizione di uniformi ustascia e
del ritratto di Pavelić. Fino ad alcuni anni fa, l’HSP considerava con
favore tali fenomeni, e molti membri di questo partito celebravano
apertamente Pavelić e il suo Stato Indipendente di Croazia (1941-1945),
fondato su leggi razziste e sulla ideologia fascista.

Il leader dell’HSP, Anto Đapic, nel condannare la parata di simboli
ustascia, ha focalizzato la sua reazione su di un’altra questione:
“L’immagine di Ante Pavelić, posta vicino a quella del generale Ante
Gotovina, danneggia sia la Croazia che Gotovina. Non dovrebbe essere
permesso di accostare la Guerra dell’Indipendenza Croata (quella
recente, ndt) con il movimento ustascia che aveva perso la guerra ed
era totalitario e antidemocratico.”

Il parlamentare Damir Kajin, della Unione Democratica Istriana (IDS),
un partito regionale che sottolinea fortemente il proprio antifascismo,
ha dichiarato che simili incidenti continueranno a verificarsi fino a
quando la Croazia non traccerà chiaramente un confine tra il movimento
ustascia e l’antifascismo. L’antifascismo oggi in Croazia è
identificato con il comunismo, malgrado non si tratti della stessa cosa.

Uno dei partecipanti all’incontro di Zara, Pavo Smolić, che due giorni
dopo la manifestazione camminava ancora per le strade di Zara con la
sua uniforme ustascia, ha dichiarato, tuttavia, di essere molto fiero
di tutto. Smolić ha infatti affermato che si potrà parlare della
proibizione dei simboli ustascia solo dopo la rimozione del monumento a
Josip Broz Tito che, secondo lui, sarebbe il peggior criminale. Josip
Broz Tito, il cui monumento si trova presso il villaggio natale di
Kumrovec, è stato il leader del movimento antifascista in Jugoslavia e
a lungo il Presidente del Paese, dissoltosi dieci anni dopo la sua
morte.

Eppure, malgrado la Zagabria ufficiale abbia condannato l’incidente
ustascia di Zara, resta il fatto che la polizia si è comportata in modo
incomparabilmente più morbido rispetto a solo alcuni mesi prima, quando
un fatto simile si è verificato nella piazza centrale di Zagabria. In
quella occasione, tre studenti di Belgrado avevano portato fotografie
con l’immagine del leader cetnico Draža Mihajlović, condannato per
crimini di guerra commessi durante la seconda guerra mondiale. La
polizia si era mossa istantaneamente: gli studenti erano stati
immediatamente arrestati; uno di loro condannato a 15 giorni di
prigione, un altro a 5, mentre il terzo è stato espulso dalla Croazia.

La polizia aveva spiegato di aver agito secondo la legge, dato che
esibire fotografie con la immagine del criminale di guerra Draža
Mihajlović rappresentava un atto che disturbava la quiete pubblica e
provocava la gente. Alcuni giorni prima, il Ministro degli Affari
Esteri della Croazia aveva proibito al giocatore di basket della
squadra di pallacanestro “Partizan”, Milan Gurović, di entrare nel
Paese, dato che il cestista aveva un tatuaggio di Draža Mihajlović
sulla mano. In quel caso era stato spiegato che la sua presenza avrebbe
potuto disturbare il pubblico, e così gli era stato vietato l’ingresso
in Croazia.

Alcuni osservatori, a Zagabria, sottolineano che la polizia ha usato un
approccio molto più morbido rispetto all’incidente di Zara, nonostante
la questione fosse relativa ad uno stesso tipo di provocazione. La nota
editorialista Jelena Lovrić ha scritto nel settimanale di Zagabria
“Globus” che era ovvio che lo stesso tipo di fatti causassero reazioni
completamente differenti.

“Il recente tentativo di uno studente di Belgrado di portare una
fotografia con l’immagine di Draža Mihajlović in centro a Zagabria si è
trasformato in uno scandalo: i presenti lo hanno attaccato, la polizia
ha reagito immediatamente e il Tribunale lo ha condannato al carcere.
La manifestazione con l’immagine di Ante Pavelić, invece, non ha
provocato una reazione da parte dei cittadini di Zara, e la polizia si
è comportata come se andasse tutto bene. Un problema ancora maggiore è
costituito dal fatto che le persone in uniforme ustascia sono state
salutate dai membri del consiglio comunale”, scrive Jelena Lovrić.

Malgrado una parte della opinione pubblica croata si sforzi di
rappresentare l’incidente ustascia a Zara come un qualcosa di marginale
e isolato, non significativo, che non riflette l’atteggiamento della
maggior parte dei Croati sul regime ustascia di Ante Pavelić, diversi
fatti mostrano il contrario. Una recente trasmissione televisiva sui
movimenti filonazisti nel territorio della ex Jugoslavia durante la
seconda guerra mondiale, sul movimento ustascia in Croazia e cetnico in
Serbia, ha mostrato che il 58% degli spettatori avevano una opinione
positiva del movimento ustascia e di Ante Pavelić.

Il campione interrogato per il sondaggio era piuttosto grande e può
sicuramente essere considerato significativo, dal momento che 17.000
spettatori hanno votato per telefono per esprimere la propria
posizione, dichiarando che per loro il movimento ustascia di Ante
Pavelić aveva rappresentato un fatto storico positivo.


=== 2 ===

UE: COSTITUZIONE; EVENTO STORICO ANCHE PER CROAZIA, SANADER

(ANSA) - ZAGABRIA, 29 OTT - La firma della Costituzione europea e' un
evento storico per l'Europa unita, ma anche per la Croazia che e' parte
dell'Europa e un giorno diventera' a pieno titolo membro dell'Unione
europea. lo ha detto oggi a Roma il primo ministro croato Ivo Sanader,
riferisce l'agenzia di stampa croata 'Hina'. ''Il documento firmato
oggi - ha detto Sanader - rappresenta un grande successo dell'intera
Europa che con la Costituzione diventa uno stato costituito da molti
popoli, ma che ovviamente manterranno i propri diritti e
particolarita''. Sanader ha voluto sottolineare che la delegazione
croata presente alla firma ha avuto lo stesso trattamento delle
delegazioni dei paesi membri. ''E' vero, formalmente siamo ancora
candidati e qui siamo solo osservatori, ma oggi non abbiamo avuto tale
impressione, avete visto come ci hanno accolto quando abbiamo
consegnato il documento con cui anche la Croazia ha accettato la
Costituzione'', ha aggiunto Sanader riferendosi alla dichiarazione
presentata oggi dalla delegazione di Zagabria in cui annuncia l'intento
di accettare in pieno la Costituzione europea. La consegna del
documento, scrive la Hina, e' stata salutata dai presenti con un
caloroso applauso, come prima erano state accolte le firme di ogni
singolo paese membro. ''La Croazia condivide i valori, gli obbiettivi e
i principi intessuti nella Costituzione - si legge nella dichiarazione
del governo di Zagabria - che e' un importante passo verso
l'edificazione di un presente e e di un futuro europeo comune''. ''Oggi
si e' visto che l'ingresso della Croazia nell'Ue non e' piu' in
questione'', ha detto il ministro degli esteri Miomir Zuzul. ''In un
certo senso noi ne siamo gia' parte'', ha aggiunto. La Croazia e' in
attesa che al summit di dicembre del Consiglio europeo venga stabilita
la data dell'avvio dei negoziati, con molta probabilita' per il marzo
del 2005. La data della piena adesione dipendera' anche dalla dinamica
di allargamento che stabilira' Bruxelles, ma il governo di Zagabria ha
piu' volte ribadito che il paese sara' pronto nel 2007, mentre esperti
ed analisti piu' cauti ritengono piu' realistico prevederlo per il 2008
o il 2009. (ANSA) COR
29/10/2004 19:49

UE: CROAZIA; SANADER RIPROPONE NEGOZIATI NON CONDIZIONATI

(ANSA) - ZAGABRIA, 14 DIC - La Croazia ha proposto oggi che la data
dell'apertura dei negoziati per l'adesione all'Unione europea non venga
condizionata da una formale conferma della piena collaborazione con il
Tribunale internazionale dell'Aja (Tpi), poiche' Bruxelles ha gia' a
disposizione meccanismi con cui in qualsiasi momento puo' bloccare le
trattative. Lo ha dichiarato oggi il premier croato Ivo Sanader, citato
dall'agenzia di stampa 'Hina', riferendosi alla decisione sulla Croazia
che il Consiglio europeo dovra' prendere al summit di giovedi' e
venerdi' prossimo. ''Noi abbiamo proposto a Bruxelles di stabilire
venerdi' prossimo la data dell'avvio dei negoziati, senza
condizionamenti, perche' l'Unione avra' sempre la possibilita' di
bloccare o interrompere le trattative se giudichera' che la Croazia non
assicura una piena cooperazione con il Tpi'', ha dichiarato Sanader
alla stampa croata. ''La Croazia collabora in pieno e sono della
convinzione che si e' guadagnata di ottenere la data senza ulteriori
condizionamenti'', ha aggiunto. Il primo ministro olandese e presidente
di turno dell'Ue, Bernard Bot, ha detto ieri che la Croazia iniziera'
con molta probabilita' i negoziati in aprile ''se pero' verra'
assicurata una piena collaborazione con l'Aja''. Tale condizione e'
conseguenza delle critiche su questo punto del procuratore generale del
Tpi, Carla Del Ponte, in particolare per il mancato arresto del
generale Ante Gotovina, accusato di crimini di guerra e latitante da
piu' di tre anni. La decisione finale sulla Croazia spetta al Consiglio
europeo, che si riunira' giovedi' e venerdi' prossimo, e Sanader ha
detto di sperare che la posizione presa ieri dai ministri degli esteri
Ue non sia definitiva e che i premier dei 25 riconsidereranno ancora
una volta la sua proposta. ''Mi incontrero' con molti dei colleghi
europei e spero di convincerli ad adottare la formula in cui e'
prevista l'apertura dei negoziati , dove la Croazia resta in obbligo di
cooperare con il Tpi, ma senza una verifica formale''.(ANSA). COR
14/12/2004 15:08

UE: CONSIGLIO, PRESIDENZA PUNTA CHIUDERE VENERDI' POMERIGGIO

(ANSA) - BRUXELLES, 14 DIC - La presidenza olandese di turno
dell'Unione punta a chiudere venerdi' pomeriggio il vertice europeo,
che decidera' sull'avvio dei negoziati di adesione con la Turchia.
L'indicazione si ricava dalla previsione che la conferenza stampa
finale del premier olandese Jan Peter Balkenende si terra' venerdi'
pomeriggio fra le 14 e le 15, anche se non si puo' escludere uno
slittamento per la messa a punto della dichiarazione finale sulla
Turchia. ''Cominceremo a esaminare la questione durante la cena dei
capi di stato e di governo giovedi' sera e speriamo di avere una buona
discussione che possa fare da base alla decisione di venerdi''', ha
spiegato un portavoce della presidenza olandese. Il programma del
summit prevede, oltre alla cena di giovedi', l'incontro dei leader
europei nella sessione di venerdi' mattina con il presidente del
Parlamento europeo Josep Borrell e con il segretario generale dell'Onu
Kofi Annan. Durante questa sessione i capi di Stato e di governo dei 25
discuteranno anche di lotta al terrorismo e avvieranno il dibattito
sulle prospettive finanziarie 2007-2013. In chiusura di sessione e'
anche previsto un incontro della presidenza con i leader dei paesi
candidati, che, oltre alla Turchia, sono Romania, Bulgaria e
Croazia.(ANSA). CLG
14/12/2004 18:22

UE-CROAZIA: NEGOZIATI DA APRILE SE COLLABORA CON TPI

(ANSA) - BRUXELLES, 15 DIC - I negoziati di adesione con la Croazia
''cominceranno probabilmente in aprile a patto che sia stabilita la
piena collaborazione'' del Paese con il Tribunale penale internazionale
dell'Aja. E' quanto ha confermato oggi una fonte diplomatica della
presidenza olandese alla vigilia del Consiglio europeo in programma per
domani, giovedi', e venerdi' a Bruxelles. Tale condizione e'
conseguenza delle critiche su questo punto del procuratore generale del
Tpi, Carla Del Ponte, in particolare per il mancato arresto del
generale Ante Gotovina, accusato di crimini di guerra e latitante da
piu' di tre anni. ''I rapporti di Carla Del Ponte (procuratore generale
del Tpi, ndr), svolgeranno un ruolo importante'' nella decisione, ha
quindi sottolineato la fonte. Lunedi' scorso, il primo ministro croato
Ivo Sanader aveva affermato di aspettarsi che al summit di Bruxelles
l'Ue prenda una chiara decisione sull'avvio dei negoziati di adesione
con la Croazia, senza condizionamenti. ''Una chiara presa di posizione
non ha alternative e la Croazia ha diritto ad essa, senza
condizionamenti'', aveva precisato Sanader spiegando che il paese ha
adempiuto a tutti i criteri politici posti da Bruxelles. ''Ci
aspettiamo che l'Ue stabilisca la data dell'avvio dei negoziati per il
marzo dell'anno prossimo'', aveva concluso il primo ministro
croato.(ANSA). CB
15/12/2004 13:54

CROAZIA: UE, SANADER A BRUXELLES, NEGOZIATI ENTRO 2005

(ANSA) - BRUXELLES, 16 DIC - La Croazia punta ad un'apertura dei
negoziati per l'adesione all'Ue ''entro il 2005'': lo ha ribadito oggi
il premier croato, Ivo Sanader, al suo arrivo al vertice dei leader del
Partito popolare europeo (Ppe) che si svolge al castello di Meise, nei
pressi di Bruxelles. Nel sottolineare l'importanza del Consiglio
europeo che si riunisce oggi e domani nella capitale belga, Sanader ha
sottolineato ''con molta chiarezza'' che Zagabria ha le carte in regola
per ottenere il via libera alle trattative per l'adesione. Il premier
ha in particolare ricordato la ''piena cooperazione'' del proprio paese
con il Tribunale penale internazionale sull'ex Jugoslavia, per la
cattura del generale Anto Gotovina e degli altri ricercati croati della
Corte dell'Aja accusati per il loro ruolo nei conflitti balcanici dei
primi anni '90. ''Siamo pienamente impegnati in tale cooperazione'', ha
precisato il premier, ricordando inoltre che Zagabria ''e' altresi'
impegnata nel rispetto dei criteri'' richiesti dall'Ue per dare il via
libera all'avvio delle trattative. (ANSA) RIG
16/12/2004 13:29

UE: CROAZIA; SOLANA, NEGOZIATI RAPIDI SE RISPETTA IMPEGNI

(ANSA) - BRUXELLES, 16 DIC - La Croazia potra' contare ''rapidamente''
sull'apertura di negoziati di adesione alla Ue, ma a condizione che
rispetti i propri obblighi nei confronti del Tribunale internazionale
dell'Aja (Tpi). Lo ha affermato l'Alto rappresentante per la politica
estera e di sicurezza comune della Ue, Javier Solana, parlando con i
giornalisti poco prima dell'avvio del vertice che dovra' decidere anche
sull'avvio dei negoziati con la Croazia. ''Credo che la Croazia
otterra' che i colloqui comincino rapidamente, ma la Croazia deve
sapere che ha degli impegni che non deve dimenticare'', ha aggiunto
Solana. ''Si tratta della cooperazione con il Tribunale
internazionale'', ha precisato, facendo riferimento al Tpi dell'Aja. Il
procuratore del Tribunale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia,
Carla Del Ponte, ha piu' volte accusato Zagabria di non fare nulla per
fare arrestare il generale Ante Gotovina, incolpato dal Tpi di crimini
di guerra commessi contro i serbi durante il conflitto serbo-croato. Il
governo di Zagabria ha detto di ignorare dove il generale si nasconda
ed ha riaffermato il proprio impegno a cooperare con il Tribunale.
Gotovina. (ANSA). OS
16/12/2004 18:59


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LINKS

### CASO BLASKIC:

Croazia: impunita' garantita per i criminali di guerra

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3694

Double standards on "command responsability":
The Blaskic vs. Milosevic and Bush-Blair cases

http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/message/91

BLASKIC PAPERS PROBE

Croatian inquiry into alleged concealment of Blaskic documents may lead
to public recognition of darker side of state policy. By Berislav
Jelinic in Zagreb
IWPR'S TRIBUNAL UPDATE No. 370, August 27, 2004

http://www.iwpr.net/index.pl?archive/tri/tri_370_4_eng.txt

Sta se desilo s dokumentacijom o Blaskicu?

Istraga o navodnom prikrivanju dokumenata u slucaju Blaskic mogla bi
dovesti i do konacnog razotkrivanja tamne strane hrvatske drzavne
politike
Pise: Berislav Jelinic iz Zagreba (TU Br 370, 27-aug-04)

http://www.iwpr.net/index.pl?archive/tri/tri_370_4_ser.txt

DISQUIET AT "HERO'S HOMECOMING"

Nationalistic frenzy at freed Bosnian Croat's return worries liberals
with one eye on European intergration.
By Drago Hedl in Osijek IWPR'S TRIBUNAL UPDATE No. 370, August 27, 2004

Uznemirenje zbog “povratka heroja”

Nacionalisticka pomama koja je uslijedila nakon povratka oslobodjenog
bosanskog Hrvata izaziva zabrinutost onih koji su liberalno
opredijeljeni i teze evropskim integracijama
Pise: Drago Hedl iz Osijeka (TU Br 370, 27-aug-04)

http://www.iwpr.net/index.pl?archive/tri/tri_370_5_ser.txt

### CASO GOTOVINA:

GOTOVINA BLOCKS CROATIA'S MARCH TO BRUSSELS

Fugitive general could still upset Zagreb's hitherto successful EU
drive. By Sanja Romic in Brussels - IWPR'S BALKAN CRISIS REPORT, No.
523, October 29, 2004

http://www.iwpr.net/index.pl?archive/bcr3/bcr3_200410_523_2_eng.txt

GOTOVINA BLOKIRA NAPREDOVANJE HRVATSKE PREMA BRISELU

Odbegli general bi mogao poremetiti do sada uspesno priblizavanje
Zagreba Evropskoj uniji.
Pise: Sanja Romic iz Brisela (BCR No 523, 29-Oct-04)

http://www.iwpr.net/index.pl?archive/bcr3/bcr3_200410_523_2_ser.txt

Le sort du Général Gotovina freine toujours la marche de la Croatie
vers l’Europe

http://www.balkans.eu.org/article4725.html

Gotovina, un ostacolo tra la Croazia e Bruxelles

15.11.2004 Da Osijek, scrive Drago Hedl
La persistente latitanza del generale croato ricercato per crimini di
guerra mette a rischio il percorso di adesione di Zagabria alla Unione
Europea. Martedì prossimo relazione di Carla Del Ponte al Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite. Il premier Sanader temporeggia

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3628/1/51/

Croatia's failure to find war criminal attacked

http://news.ft.com/cms/s/9078eada-3cf6-11d9-bb7b-00000e2511c8.html