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L'articolo che segue e' apparso sul mensile triestino
"La Nuova Alabarda" (n.187, novembre 2004)

Un Autunno Nazionalista

È dall’inizio del 2004, con la motivazione che si tratta del
cinquantesimo anniversario del ritorno dell’Italia a Trieste (noi
preferiamo usare questa definizione, che ci pare più appropriata,
piuttosto di quella corrente, cioè “ritorno di Trieste all’Italia”,
dato che Trieste è sempre rimasta dov’era e in realtà è l’Italia che ha
spostato i confini), che stiamo assistendo ad un continuo profluvio di
tricolori, patriottismo esagerato che sconfina spesso e volentieri nel
nazionalismo (per non dire irredentismo), ed, infine, ad una
progressiva riscrittura della storia di queste terre, tendente a
dimostrare che l’unica Resistenza accettabile oggi come oggi è quella
del CLN filoitaliano e non invece quella dei partigiani comunisti,
dell’OF, dell’Esercito di Liberazione jugoslavo
A questo proposito si sono susseguite manifestazioni, conferenze ed
interventi sulla stampa che hanno ribadito che la “vera” insurrezione è
stata quella del 30 aprile, che è stato il CLN italiano a liberare
Trieste dai nazisti (interessante è che non dicono “nazifascisti”), che
quando sono “scese” le “truppe di Tito” la città era già stata liberata
e quindi queste non ebbero altro da fare che reprimere gli italiani e
gli “antifascisti non filojugoslavi”; che coloro che combatterono con
il Fronte di Liberazione e con Unità Operaia e con i GAP assieme
all’Esercito jugoslavo non devono essere considerati come “partigiani”,
ma come “traditori” che gettarono Trieste nelle “grinfie di Tito”.
Ed infine che i “40 giorni” in cui Trieste rimase sotto amministrazione
(generalmente si dice però “occupazione” jugoslava, ma vorremmo
ricordare che la Jugoslavia era alleata degli angloamericani e di
conseguenza anche del regno d’Italia, cioè del governo legittimo del
Paese) furono “di gran lunga” peggiori degli anni in cui Trieste fu
sotto occupazione nazista. Dove ci piacerebbe che chi sostiene un tanto
avesse presente quante esecuzioni di massa (ricordiamo soltanto gli
eccidi per rappresaglia di Opicina, sia del marzo ‘44 che dell’aprile
‘45, e di via Ghega, e le migliaia di uccisioni commesse in Risiera)
avvennero in città, senza parlare dei villaggi bruciati del
circondario. Altro che i 500 arrestati e non rientrati del maggio ‘45!
Questa riscrittura della storia, condita da tutto il contorno di
nazionalismo che abbiamo evidenziato prima, non è, secondo noi, fine a
se stessa, ma preparatoria a quanto dovrà avvenire l’anno prossimo,
anno in cui cadrà il sessantesimo anniversario della Liberazione di
tutta Europa dal nazifascismo, anniversario che nelle nostre terre
(vogliamo scommettere?) sarà trasformato, grazie appunto a questa
propaganda battente che dura da diversi mesi, nel sessantesimo
anniversario non tanto della liberazione di Trieste, quanto delle
“foibe” e dell’“occupazione titina” di Trieste, Gorizia e dell’Istria e
di Fiume.
Un’occasione, quindi, per ribadire, come sta accadendo negli interventi
che si susseguono sulla stampa ed in pubblico, anche i “diritti
naturali” dell’Italia sui “territori ceduti”, così come era “naturale”
il diritto dell’Italia a riavere Trieste. Motivo per il quale furono
eroi meritevoli di medaglia d’oro alla memoria i cinque uccisi dalla
Polizia civile nel ‘53, definita molto arditamente “forza
d’occupazione” (“dimenticando” che il GMA era espressione delle potenze
alleate), definizione che comporta di conseguenza la giustificazione e
l’elogio di tutte le azioni contro di essa commesse, senza considerare
che la Polizia in Italia, negli stessi periodi, usò mano ancora più
forte per sedare le sommosse. Aspettiamo quindi anche la proposta di
medaglie d’oro alla memoria per i morti di Avola, di Battipaglia,
quelli del luglio ’60, fino ad arrivare a Carlo Giuliani, luglio 2001.
Ma lasciando a parte queste polemiche sul diritto alla rivolta ed allo
scontro armato in piazza, torniamo all’argomento iniziale: cioè
l’escalation nazionalista cui stiamo assistendo.
Abbiamo già detto dei tricolori che stanno pavesando tutta la città,
spesso anche a sproposito (usando la bandiera nazionale sempre comunque
e dovunque, se ne sviliscono il senso ed il significato), e delle
parate militari, dei discorsi dei politici e dei pubblici
amministratori.
Politici di alto rango, a cominciare dal Presidente della Repubblica,
hanno deciso di venire a Trieste per rendere quanto più solenni le
celebrazioni di questo anniversario; ma abbiamo anche visto la
manifestazione nazionale organizzata da Azione Giovani per rivendicare
il fatto che Trieste è sì tornata italiana, ma in cambio sono state
perse Istria, Fiume e Dalmazia, gli stessi concetti sono poi stati
espressi dall’Unione degli Istriani e dalla Lega Nazionale ed infine
anche dal Gruppo Unione Difesa (GUD), cioè uno dei nomi con cui operano
Forza Nuova e altri neofascisti par loro quando non vogliono firmarsi
con le proprie sigle. Il GUD ha sfilato il 30 ottobre a Trieste in un
profluvio di bandiere della RSI, della X Mas, di saluti romani, di
vecchie canzoni squadriste e di insulti rivolti in un perfetto clima da
par condicio sia ad Illy che a Fini (chissà se ci saranno conseguenze
penali per qualcuno di questi reati commessi nelle vie del centro di
fronte ad un pubblico per lo più scioccato all’idea che certe cose
esistano ancora?).
Abbiamo poi sentito esponenti del Partito dei Comunisti italiani
esprimere la propria preoccupazione per “la possibilità che alla
vigilia della visita del Capo dello Stato vengano messe in atto
provocazioni in grado di aumentare la tensione in città e turbare i
rapporti di buon vicinato”. Dunque la situazione non è per niente
tranquilla, né serena In questa città, dove spuntano come funghi (forse
per il clima caldo umido che ha caratterizzato questo autunno anomalo?)
iniziative di ogni tipo (mostre, conferenze, convegni, manifestazioni
varie) dedicate tutte, in variegati modi, all’italianità di Trieste ed
all’orgoglio nazionale dei politici che hanno combattuto per essa.
Iniziative che non sono soltanto appannaggio di associazioni ed
esponenti di estrema destra, ma coinvolgono anche una parte di
centrosinistra (o considerato tale).
Quindi non parliamo soltanto delle mostre organizzate dal Comune e
dalla Provincia di Trieste (che sono notoriamente gestite dalla
destra), né della disgraziata iniziativa del “kit tricolore” con il
flop della bandiera umana da Guinness dei primati, o della
presentazione dell’ultimo libro autobiografico di Giorgio Galazzi, dove
abbiamo sentito degli interventi che ci hanno fatto accapponare la
pelle, come la risposta di Galazzi a Vasco Guardiani (esponente del CLN
triestino, ma anche inserito nell’elenco “ufficiale” dei “gladiatori”
della nostra Regione). Infatti il dottor Galazzi, dopo avere elogiato
la Guardia civica nella quale si era arruolato per “servire la Patria”
(tralasciando il fatto che il giuramento che i militi facevano era di
fedeltà al Reich ed al Führer), all’osservazione di Guardiani che
“nella Guardia civica c’erano anche quelli che avevano la stella
rossa”, ha risposto “i traditori ci sono dappertutto”. I traditori
dunque, per Galazzi, erano i partigiani comunisti, non coloro che
collaboravano con la Germania, paese occupante, e combattevano contro
il governo legittimo italiano, quello di Bonomi.
Ma dicevamo che non di questo intendiamo parlare, ma piuttosto di
quanto è emerso nel corso di un convegno organizzato dalla UIL
triestina, con la partecipazione di storici (Arduino Agnelli e Roberto
Spazzali) politici (Stelio Spadaro) e di testimoni dell’epoca (Fabio
Forti, Oliviero Fragiacomo).
Il segretario Luca Visintini ha spiegato nell’introduzione come il
sindacato UIL sia il legittimo erede di quei Sindacati giuliani nati
dal CLN triestino di don Marzari ed Ercole Miani, che si erano
costituiti in alternativa ai Sindacati unici, i quali avevano invece un
atteggiamento anticapitalistico e quindi estraneo alla Camera del
Lavoro che negoziava i diritti, ma non solo: i Sindacati unici
indicevano scioperi per Trieste jugoslava e quindi facevano politica e
non sindacato. Visintini ha però poi rivendicato il fatto che la UIL,
quando iniziarono le manifestazioni per Trieste italiana, nel 1952
diede la copertura con l’indizione di uno sciopero generale ad una
manifestazione che aveva visto un morto, e addirittura indisse quella
del 1953, quando ci furono diversi morti. Ma non è forse anche questo
fare politica e non sindacato?
Inoltre Visintini ha liquidato l’episodio delle indagini sulla Loggia
P2 (nelle quali fu coinvolto anche il segretario UIL triestino Carlo
Fabricci, anche se Visintini non lo ha citato nel corso della
conferenza) come “errori politici in buona fede”. Infatti, ha spiegato,
nel dopoguerra si accettarono all’interno del sindacato ex fascisti in
funzione antijugoslava, in quanto i partigiani democratici venivano
perseguitati dagli esponenti della comunità slovena verso la quale vi
fu da parte della UIL una chiusura non etnica ma politica.
Antonio Di Turo, che fu il braccio destro di Fabricci, ha spiegato che
i sindacati giuliani furono fondati nel maggio ‘45 dagli esponenti del
CLN Carra, Tironi, Spaccini e Bartoli in base a valori di “libertà e
democrazia” per impedire ai “comunisti slavi l’annessione di Trieste
alla Jugoslavia”. Ed il successivo intervento di Oliviero Fragiacomo
(già membro repubblicano del CLN triestino) ha specificato meglio il
concetto: “il sindacato giuliano ha salvato Trieste dalle grinfie di
Tito”
Che i Sindacati giuliani nacquero in clandestinità è stato detto, con
una punta di orgoglio anche da Rodolfo Carmi, ma quello che è
soprattutto da rilevare è l’intervento di Fabio Forti, che ha asserito
che il loro CLN è stato l’unico in Italia che rimase in clandestinità
fino al 1954, anzi “nel nostro spirito”, ha aggiunto Forti, “siamo
ancora oggi in clandestinità”. Infatti
Un’affermazione che ci sembra decisamente grave, in quanto fatta nel
corso di un convegno politico pubblico, quasi a sottendere che chi
sostiene questa idea non rispetta (quantomeno nel “proprio spirito”) le
istituzioni dello Stato (democratico) nel quale vive. Un’affermazione
che a noi è parsa eversiva, non rispettosa della Costituzione. e
Forti ha detto anche che solo il CLN italiano aveva rappresentato
l’Italia, “gli altri combattevano con il IX Korpus”, che il loro scopo
era quello di dimostrare, nel corso dell’insurrezione, che Trieste era
italiana ponendo il tricolore su Municipio e Prefettura. Brigate
partigiane a Trieste non sono mai esistite, perché loro sono “sempre
stati clandestini, anche oggi”. Ed ha poi aggiunto, riguardo alla
composizione del CVL, che saltarono fuori di colpo 350 giovani di
diciassette/diciott’anni che furono “sacrificati” dai loro dirigenti
all’arrivo della IV Armata jugoslava, infatti, sostiene Forti, 30
volontari furono “infoibati”, ma ne mancano 200 all’appello, e che “per
la Risiera” sono passati tanti di loro “quanti nelle foibe”. Da dove
Forti abbia tratto questi numeri non è dato sapere: ma non
corrispondono a nessuna documentazione in nostro possesso o comunque
disponibile sull’argomento.
Il grosso problema posto da Forti in conclusione del suo intervento è
che “non esistono più” né la Venezia Giulia né l’Istria, che sono stati
cancellati come nomi dalle carte geografiche. Mentre questi nomi,
sempre secondo Forti, deriverebbero dalla “Decima Regio”
dell’imperatore Augusto, e la loro cancellazione significherebbe la
“cancellazione di tutta la nostra cultura”.
Infine va riportato l’intervento di Stelio Spadaro che ritiene che
negli anni passati hanno operato “due entità nazionaliste” (quella
italiana di matrice di destra e quella slovena di matrice di sinistra)
che hanno cercato di cancellare l’esistenza della “resistenza urbana”
compiuta dal CLN triestino, come quella portata avanti da Vasco
Guardiani; e che in questo contesto viene tacciato di “revisionismo”
chi decide di far emergere la realtà storica rompendo questi “accordi
taciti” tra le due ideologie, che avevano lo stesso obiettivo:
cancellare questa storia.
Noi non sappiamo quale sia stata esattamente l’attività portata avanti
da Vasco Guardiani; sappiamo soltanto, perché l’abbiamo letto in alcuni
documenti, che aveva fatto attività (non meglio specificata) nei
Cantieri, e che (da una testimonianza di Ferdi Häring conservata presso
l’Archivio di Stato di Lubiana) era stato il “commissario politico”
della Brigata Frausin che avrebbe dato “ordine diretto” di “fregiare
della stella rossa e della falce e martello” l’ex caserma dei
Carabinieri di via dell’Istria, dove si erano insediate le Brigate Nere
e che era stata scelta dalla Brigata Frausin come sede per il momento
dell’insurrezione. Perché mai Guardiani, che era un partigiano
anticomunista e che poi risultò negli elenchi della Gladio, avrebbe
dato un ordine simile se non per intorbidare le acque al momento
dell’insurrezione?
Ma quello che vorremmo infine evidenziare e chiarire una volta per
tutte, è la mistificazione di fondo che sta purtroppo prendendo piede
anche negli ambienti storici, sul fatto che il PCI triestino scelse di
uscire dal CLN italiano, per allearsi con i “titini”, e “tradendo” in
tal modo la propria patria. In realtà, e per verificare questo
basterebbe andare a leggere qualche libro di storia oppure i semplici
documenti ufficiali, nell’estate del ‘44 il Comitato di Liberazione
Nazionale Alta Italia (CLNAI, ) ebbe degli incontri a Milano con
rappresentanti dell’Osvoboldilna Fronta. Nel corso di queste riunioni,
i due comitati si accordarono per un’alleanza in funzione
antinazifascista. Però il CLN triestino (quello di don Marzari, Fonda
Savio ed Ercole Miani) rifiutò questa alleanza con l’OF, in quanto non
voleva “collaborare con gli slavi”. Fu questo il motivo per cui il PCI
triestino decise di uscire dal CLN: per rispettare le direttive del
CLNAI (che istituzionalmente rappresentava, a livello internazionale,
qualcosa di più del CLN triestino) in merito all’alleanza con
l’Esercito di liberazione jugoslavo. Quindi, se vogliamo parlare di chi
si fosse trovato “fuori linea” o comunque non in regola con le
direttive alleate, questo era il CLN triestino, che aveva preferito
cercare accordi con le formazioni collaborazioniste triestine (la
Guardia civica prima di tutte) perché il loro scopo principale non era
stato quello di abbattere il nazifascismo (essi davano per scontata la
sconfitta di Hitler, quindi ritenevano relativa la resistenza ad esso),
ma piuttosto di preparare il terreno per il ritorno di
un’amministrazione italiana, apprestando nel contempo la resistenza
armata, questa volta sì, nei confronti dell’Esercito jugoslavo che
sarebbe entrato a Trieste, visto non come liberatore dal nazifascismo,
ma come nuovo occupatore, perché non italiano.

http://www.nuovaalabarda.tk/

Il dollaro ha vinto le elezioni in Ucraina


In ordine cronologico inverso:

1. COSA DICONO I COMUNISTI UCRAINI DELLA VITTORIA DI JUSCHENKO
di J. Bossuyt, da "Solidaire"

2. UN RISULTATO SCONTATO
di Mauro Gemma

3. IN UCRAINA IL DOLLARO VA ALLE ELEZIONI
di Manlio Dinucci

4. L’ORIENTAMENTO UNILATERALE PORTA ALLA DIVISIONE E ALLA PERDITA
DELL’INDIPENDENZA
Un intervento televisivo di Viktor Janukovic

5. LA MINACCIA DELLA DITTATURA NEOFASCISTA IN UCRAINA
Risoluzione del C.C. del Partito Progressista Socialista di Ucraina

6. Ucraina: Il prezzo del potere popolare
di Mark Almond. Da «The Guardian»

[ The original text, in english, at:
http://www.artel.co.yu/en/izbor/evropa/2004-12-07.html
"The price of People Power"
The GUARDIAN - 7 December 2004 - Mark Almond ]

7. Rabbia, slogan e spettacolo: così si crea la rivoluzione perfetta
(La Repubblica)


=== 1 ===

COSA DICONO I COMUNISTI UCRAINI DELLA VITTORIA DI JUSCHENKO

http://www.ptb.be/scripts/article.phtml?lang=2&obid=25660

L’articolo è apparso in “Solidaire”, il settimanale del Partito del
Lavoro del Belgio

In Ucraina, il candidato filo-americano Viktor Juschenko ha vinto le
elezioni. I “media” occidentali esultano: “Democratico e onesto”. Il
nostro corrispondente Jef Bossuyt ha seguito la campagna sul posto. Ed
è arrivato a conclusioni completamente diverse.

Jef Bossuyt

05-01-2005

Kiev, 19 dicembre.I putschisti inondano la capitale. Impossibile
evitarli. Alla metropolitana di piazza dell’Indipendenza, la squadra di
propaganda di Juschenko mi infila in mano un nastro arancione e insiste
perché lo attacchi sul vestito. Sulla stessa piazza, lo stato maggiore
di Juschenko ha installato 24 tende militari numerate e riscaldate.
Alcuni marcantoni in tuta mimetica con bracciali arancione e portatili
fanno la guardia. Le squadre di giovani di Juschenko distribuiscono
opuscoli. Fanno appello agli Stati Uniti e all’Europa perché caccino il
presidente Kuchma. Si tratta di opuscoli costosi che non hanno potuto
pagare costoro, con le proprie borse di studio miserabili.

Via Kreschatik è completamente occupata dalle tende dei “servizi
d’ordine” di Juschenko, i fascisti di UNA-UNSO. Le bandiere
rosso-bianche dei gruppi di assalto georgiani Kmara (1) sventolano a
fianco delle bandiere rosso-nere di Bandera, il collaboratore nazista
ucraino durante la Seconda Guerra mondiale. In un angolo, davanti al
marciapiede dell’Istituto Fullbright, si trovano Mercedes e fuoristrada
4x4, bardati con nastri arancione.

I rapporti di forza sono radicalmente cambiati dopo che il Parlamento
ha annullato i risultati elettorali, anche se non dovrebbe essere di
sua competenza. Le rivendicazioni degli Stati Uniti e dell’Unione
Europea sono state interamente soddisfatte. La nuova legge elettorale
rende impossibile a milioni di invalidi e di persone anziane di votare
ancora a casa, dal momento che devono depositare entro tre giorni un
atto notorio. La commissione elettorale è stata licenziata e il nucleo
di quella nuova è composto da partigiani di Juschenko. Quasi tutte le
televisioni, ad eccezione di Ucraina, si sono schierate al suo fianco.

Dove sono i comunisti?

Prendo contatto con tre organizzazioni comuniste:

- Il Partito Comunista di Ucraina (KPU), presidente Piotr Simonenko,
vuole arrivare al potere attraverso il parlamento, dove il KPU occupa
50 seggi.

 - L’ Unione dei Comunisti di Ucraina, presidente Tamila Yabrova, si
attiene ai principi del marxismo-leninismo.

- L’Unione degli Operai Ucraini, presidente Aleksandr Bondartchuk,
difende il sindacalismo di lotta e stampa la rivista Classe operaia.

Dapprima incontro i compagni dell’Unione dei Comunisti. Mi invitano ad
una loro riunione. Mikhail, un operaio, spiega: “nella nostra officina,
la pressione sugli operai è forte. Il caporeparto dà gli ordini ed è
per Juschenko. Esige che vengano messe in permanenza al servizio della
campagna tre tende e 15 persone. Ho detto al capo che avevo votato per
l’altro candidato Janukovic. A quattr’occhi mi ha risposto: “Anch’io,
ma ho dovuto fare quello che mi ha chiesto il direttore”. La
maggioranza nella mia officina ha votato Juschenko, perché è, e lo si
può ben capire, “contro il potere” e pensa che qualsiasi cambiamento
sia comunque meglio del potere”.

Jurij, operaio edile: “Dopo le elezioni, abbiamo visto, dall’alto del
cantiere, arrivare da Ovest colonne di bus e di vetture con nastri
arancione. Devono essere state preparate molto tempo prima. Molta gente
pensa che potrà vivere come negli Stati Uniti, se voterà per Juschenko.
Io dico loro: “No, voi vivrete come in America Latina. Vi stanno
ingannando, come vi hanno ingannato nel 1991, facendovi pentire molto
velocemente”.

Natashja, istitutrice: “Da noi a scuola, la direzione ha richiesto un
contributo “volontario” di 100 grivne (14 euro) per il fondo di
Juschenko. Quelli che avessero rifiutato non avrebbero avuto più
diritto a una stretta di mano. Il nostro direttore ha consegnato il
denaro e i nomi di quelli che avevano versato. Io ho chiesto: “Come hai
potuto farlo a nome mio? Sai benissimo che ho votato Janukovic. Egli ha
risposto: “Piccola mia, lo so, ma Juschenko arriverà al potere e allora
cadranno delle teste”.

Trarre lezione da un’amara disfatta

Il Partito Comunista di Ucraina si trova in grave crisi. Al primo
turno, il presidente del partito Simonenko è crollato dal 22% al 5% dei
voti. Al secondo turno, il partito ha lanciato la parola d’ordine:
“votate contro entrambi” e si è messo di fatto fuorigioco. Quando
Juschenko ha preteso che il Parlamento annullasse le elezioni, il KPU
ha votato con lui. La base operaia del KPU ha rifiutato di dare il suo
avallo, manifestando l’esigenza di cambiare politica. Ho parlato con
alcuni quadri del partito.

Il parlamentare del KPU Leonid Grac (leader dei comunisti della Crimea,
che si sono schierati con Janukovic, nota del traduttore): “Dopo aver
già lasciato fare a Gorbaciov, tredici anni fa, sono emotivamente
deluso. Non siamo più un partito di lotta. In questo modo, abbiamo dato
l’occasione all’avversario di presentarsi come “combattente contro un
regime marcio” e di raccogliere 14 milioni di voti. A Simferopoli,
10.000 persone si sono riunite spontaneamente in una manifestazione
contro Juschenko, contro la NATO e il fascismo. L’esperienza dimostra
che se prendiamo apertamente posizione, la nostra autorità cresce”.

Il redattore capo della rivista Classe Operaia e parlamentare del KPU
Aleksandr Bondartchuk: “La distruzione dell’Unione Sovietica ha
provocato un enorme vuoto sociale, delusione, disoccupazione e povertà,
di cui hanno approfittato i reazionari filo-americani arancione. Noi
comunisti abbiamo malauguratamente fatto troppo affidamento sulle
elezioni. La nostra caccia ai seggi parlamentari e presidenziali, il
nostro programma in cui non figura neanche più il motto socialismo, ha
provocato solamente tra le masse malcontente il rafforzamento dell’idea
di “capitalismo onesto ed elezioni oneste”. Con la vittoria di
Juschenko, la classe operaia dovrà presto battersi contro un
nazionalismo estremo e aggressivo, prossimo al fascismo”.

 
(1) Kmara sono le milizie georgiane create sull’esempio di Otpor in
Serbia. Otpor fu alla base della caduta di Milosevic nel 2000. Otpor è
una creazione degli agenti segreti e degli ufficiali americani come il
colonnello Robert Helvy. Nel 2003, ha inquadrato Kmara che ha giocato
un ruolo decisivo nel colpo di Stato contro il presidente Shevarnadze.
Il 21 novembre, il dirigente di Otpor, Aleksandar Maric, è stato
arrestato in Ucraina.            

  
Traduzione a cura del
Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Torino


=== 2 ===

UN RISULTATO SCONTATO

di Mauro Gemma

27 dicembre 2004

 
Mentre stiamo scrivendo queste note, concluse le operazioni di voto per
il terzo turno delle elezioni presidenziali in Ucraina, a cui avrebbe
partecipato circa il 77% degli aventi diritto, sono stati comunicati i
dati relativi allo spoglio del 98,36% delle schede. E’ praticamente
sicura la vittoria di Viktor Juschenko, a cui sarebbe andato il 52,29%,
contro il 43,92% del suo concorrente Viktor Janukovic.

Nessuna sorpresa, dunque, rispetto alle previsioni della vigilia, se
non nel maggior numero di consensi che Janukovic avrebbe ricevuto, in
confronto ai dati forniti dagli exit-polls.

Del resto, il risultato delle elezioni era già stato scritto il 2
dicembre, il giorno in cui, secondo la puntuale analisi formulata dai
comunisti del piccolo Partito Progressista Socialista di Ucraina, si
era praticamente consumato il colpo di mano istituzionale che, privando
della sua vittoria Viktor Janukovic, eletto nel ballottaggio del 21
novembre, aveva in pratica assicurato a Juschenko il pieno controllo
della nuova campagna elettorale.

Paradossalmente proprio il presidente uscente Kuchma, contro cui sembra
indirizzata larga parte del malcontento di quei settori in buona fede
delle piazze che hanno sostenuto l’opposizione, si è fatto garante
della vittoria di Juschenko. A farne le spese, il premier Janukovic
che, da qualche tempo (dopo avere costretto il precedente primo
ministro Juschenko alle dimissioni con il voto determinante dei
comunisti) si era impegnato a correggere gli effetti nefasti delle
riforme economiche e del nazionalismo esasperato, di cui la
responsabilità principale è attribuibile proprio all’accoppiata
Kuchma-Juschenko (il secondo da sempre beniamino del Fondo Monetario
Internazionale, le cui ricette ultraliberiste aveva cercato di
applicare, soprattutto nel Sud-Est, durante il suo premierato).

Il destino dell’Ucraina era segnato dal momento in cui
l’Amministrazione USA era intervenuta pesantemente per bocca dello
stesso presidente Bush (che aveva preteso l’immediato cambiamento del
verdetto elettorale) e i principali paesi dell’Unione Europea si erano
accodati servilmente alla posizione americana. Essi cedevano alle
pressioni che venivano dai nuovi vassalli est-europei, a cominciare
dalla Polonia, che da tempi immemorabili accampa pretese egemoniche ed
anche annessionistiche sull’Ucraina e che, in questa occasione, ha
fatto valere, in modo ricattatorio verso i partner dell’Europa
occidentale, il suo rapporto privilegiato con gli Stati Uniti.

Nell’esito del voto hanno fatto la differenza l’intervento occidentale,
la messa in un angolo della Russia, l’immediato allineamento di Kuchma
e dei settori più influenti del potere, il rapido voltafaccia delle
oligarchie dell’oriente ucraino, che hanno subito dichiarato di
preferire il rapporto privilegiato con l’occidente al futuro
dell’apparato produttivo nazionale in uno spazio economico comune con i
paesi dell’ex URSS, il passaggio di quasi tutti gli strumenti di
comunicazione di massa dalla parte dell’ “opposizione”, la pressione
della piazza di Kiev filo-Juschenko (che ha oscurato la protesta di
milioni di cittadini contro lo “scippo” elettorale, nelle regioni
sud-orientali del paese), foraggiata con una parte dei 195 milioni di
dollari investiti dagli USA nella campagna per le presidenziali e
sostenuta dalla presenza determinante delle bande fasciste
dell’UNA-UNSO, dei “non violenti” di “Pora” addestrati nei centri della
CIA, e da mercenari giunti da ogni parte d’Europa (anche dall’Italia).
Nella piazza è arrivato dall’ “esilio” di Londra anche il magnate russo
Berezovskij, ricercato dalla magistratura russa, uno dei maggiori
responsabili del saccheggio della ricchezza nazionale russa e oggi tra
i massimi ispiratori e finanziatori dell’opposizione “democratica” a
Putin.

E poi, “mano libera” ai sostenitori di Juschenko nei brogli
verificatisi massicciamente nell’occidente nazionalista, mentre la
grande maggioranza degli “osservatori” occidentali veniva convogliata
nelle regioni operaie dell’est.

Possiamo però affermare che il fatto che Janukovic, in una condizione
di straordinaria difficoltà, abbia comunque ottenuto la maggioranza
schiacciante dei voti in ben 10 regioni del paese, fa si che Juschenko
e i suoi protettori occidentali non si trovino certo di fronte ad una
strada completamente sgombra e che la spaccatura del paese in due aree
tra loro contrapposte rappresenti una realtà difficile da contestare da
parte di chi aveva cercato di presentarsi all’opinione pubblica
internazionale come il presidente di tutta l’Ucraina.

Quali saranno le conseguenze dell’incredibile ripetizione del
ballottaggio (un dato inquietante per il futuro del già precario
Diritto Internazionale) è difficile prevederlo in questo momento.

Certo è che non c’è da ben sperare sul futuro del dialogo democratico
tra le varie componenti della società ucraina, se le intenzioni dei
vincitori sono del tipo di quelle manifestate nell’intervento del capo
dello staff elettorale di Juschenko, Aleksandr Snicenko, che ha
affermato, quando si stava profilando l’affermazione del candidato
filo-occidentale, di considerare il rispetto delle autonomie del
sud-est “questione che riguarda i politologi russi”, e lasciando così
intravedere che il processo di “ucrainizzazione forzata” proseguirà.

E se poi, dovesse essere confermata l’intenzione di Juschenko di
proporre l’elezione come premier di Piotr Poroshenko, magnate
dell’industria dolciaria ed esponente di spicco della borghesia
compradora ucraina, si potrà essere certi che un futuro di
ristrutturazioni e liberalizzazioni si profilerebbe per l’apparato
produttivo del Sud-Est e l’emigrazione verso la Russia delle
popolazioni russe e russofone rappresenterebbe forse l’unica via di
uscita alla disoccupazione di massa. Favorendo così quella “pulizia
etnica” che i fascisti e i sanfedisti “uniati” della Galizia
ultranazionalista da sempre vagheggiano.

Sull’accelerazione del processo di adesione alla NATO non è ancora,
tatticamente, questo il momento opportuno, per i nazionalisti al
potere, di sbandierarne la necessità, provocando oltre misura il vicino
russo. Ma si può star certi che presto i padroni americani chiederanno
il “rimborso politico” dei tanti soldi che hanno sottratto ai loro
contribuenti e all’Ucraina verrà imposto il suo ingresso nel consesso
del “mondo libero”.

Sul fronte dei perdenti, per i quali decisivo appare lo scontro che
avverrà nelle elezioni parlamentari, che dovrebbero determinare un
rimescolamento tra le forze politiche presenti nel paese e
l’affermazione di nuovi blocchi politici, c’è da registrare una prima
dichiarazione di Janukovic, che, attribuendo la sua sconfitta a
un’operazione diretta “dall’estero” e “ai soldi per la rivoluzione
arancione”, ha annunciato una “opposizione dura” e “nessuna trattativa
con lo staff di Juschenko”. Un commento apparso oggi su “RIA Novosti”
ipotizza che, in previsione delle elezioni parlamentari, si potrebbe
assistere ad un avvicinamento di Janukovic ai settori dell’estrema
sinistra, ad esempio, con l’inclusione nel suo programma di temi cari
ai comunisti del Partito Progressista Socialista. E, a tal proposito,
non è privo di significato che proprio Natalja Vitrenko, la leader del
Partito Progressista Socialista abbia dichiarato che prevede la
formazione di “una possente opposizione popolare”, che “se dovesse
essere capeggiata da Viktor Janukovic, sono pronta ad appoggiare per
cambiare il regime” (http://www.strana.ru , 27 dicembre).

Una posizione di sostegno a Janukovic è stata espressa anche
dall’Unione dei comunisti di Ucraina. 

Diversa la posizione del Partito Comunista di Ucraina. Dimostrata una
sostanziale neutralità tra i due candidati, che gli è già costata, al
primo turno, la perdita di gran parte dell’elettorato proletario delle
regioni orientali tradizionalmente vicine al partito (i sondaggi lo
danno in caduta libera, dal 20% delle ultime politiche a poco più del
5%, se si votasse oggi) e l’insubordinazione di intere organizzazioni,
a cominciare da quella della Crimea, il principale partito comunista
del paese si limita a denunciare in modo vibrante le “interferenze
americane”, senza però farne seguire azioni coerenti nel parlamento e
nel paese.  


=== 3 ===

Il manifesto - 22 dicembre 2004

In Ucraina il dollaro va alle elezioni

Gli aiuti Usa a Kiev dirottati sui movimenti pro-Yushchenko. La
denuncia del Ny Times
Il congresso indaga Due deputati americani hanno sollevato la questione
a Capitol Hill. Negli ultimi due anni Washington ha fornito a Kiev
«aiuti» per 194 milioni di dollari

Manlio Dinucci


«Dollari per la democrazia? Contestato l'aiuto Usa all'Ucraina»: così
titolava ieri The New York Times. A sollevare la questione sono stati
due membri del Congresso, il democratico Towns e il repubblicano Paul:
«Gran parte del denaro dell'aiuto statunitense all'Ucraina è stato
usato, attraverso organizzazioni non governative, per sostenere un
particolare candidato, Viktor Yushchenko». Negli ultimi due anni gli
Usa hanno fornito all'Ucraina «aiuti» per 194 milioni di dollari, 58
dei quali ufficialmente destinati alla «promozione della democrazia».
Con tale denaro, è stata finanziata una serie di progetti portati
avanti da organizzazioni non governative. Basta andare nei loro siti
per documentarsi su tali attività. L'«Istituto per le comunità
sostenibili», la cui sede centrale è nel Vermont (Usa), ha ricevuto dal
governo federale un contratto da 11 milioni di dollari per promuovere
in Ucraina una «rete di azione dei cittadini».

Con tali fondi, cui si aggiungono quelli forniti da singoli donatori e
fondazioni private, sono stati finanziati diversi corsi di formazione
di attivisti ucraini: si insegna loro, ad esempio, come promuovere
azioni rivendicative contro il governo e quali tecniche di
comunicazione usare per convincere la gente. Molta attenzione viene
posta sull'informazione e la comunicazione: lo conferma il fatto che la
stessa ambasciata Usa a Kiev ha istituito uno speciale fondo destinato
allo «sviluppo di media liberi e indipendenti in Ucraina». Agli
imprenditori mediatici e ai giornalisti «indipendenti» vengono offerti
finanziamenti e corsi di specializzazione.

Un'altra organizzazione non governativa statunitense, finanziata con
milioni di dollari per la «promozione della democrazia» in Ucraina, è
la «Casa della libertà». Essa ha ingaggiato come istruttore degli
attivisti ucraini Aleksander Maric, leader di un gruppo giovanile serbo
che partecipò all'azione per rovesciare il governo Milosevic. Lo stesso
Maric, il 20 dicembre, ha spiegato a «Radio Europa Libera» come lui e
altri specialisti hanno formato gli attivisti ucraini: «Li abbiamo
addestrati a mettere su un'organizzazione, a come creare un logo, un
simbolo, un messaggio chiave; li abbiamo addestrati a identificare le
principali debolezze della società e i problemi più pressanti della
gente». Anche il colore simbolo della «rivoluzione arancione» è stato
scelto in base a questo metodo «scientifico».

Non c'è quindi da stupirsi se, pochi giorni prima della nuova tornata
elettorale del 26 dicembre, un membro del Congresso degli Stati uniti,
il democratico Towns, denuncia il fatto che in Ucraina «contrattisti
del governo Usa hanno contribuito a istigare la sollevazione popolare
nel giorno delle elezioni».


=== 4 ===

L’ORIENTAMENTO UNILATERALE PORTA ALLA DIVISIONE E ALLA PERDITA
DELL’INDIPENDENZA

La politica internazionale dell’Ucraina secondo V. Janukovic

http://www.strana.ru

22 dicembre 2004

Il sito internet russo “strana.ru” ha pubblicato il resoconto di un
intervento televisivo di Viktor Janukovic, in vista della ripetizione
del ballottaggio presidenziale prevista per il 26 dicembre.
Proponiamo la traduzione della parte dedicata alle sue posizioni di
politica estera.

 
(…) Janukovic è convinto che “oggi ormai non c’è più nessuno che mette
in dubbio se l’Ucraina debba andare o no in Europa”. “Il problema è un
altro. In che modo e con quale status politico l’Ucraina va in Europa”.
Secondo Janukovic, ciò che propone il suo concorrente – il leader
dell’opposizione Viktor Juschenko – “è una variante di collaborazione
con l’Unione Europea con le stesse caratteristiche di quella che l’UE
attua con i paesi del Nord Africa”. “Io propongo una cosa completamente
diversa: entrare in Europa come partner a pieno diritto, vedendosi
riconosciuto lo status di potenza mondiale, come quello che viene
riconosciuto a Germania, Francia e Russia. Per questo noi dobbiamo
stare con la Russia, per ottenere di essere riconosciuti come partner a
uguali diritti dall’Europa. E, allo stesso tempo, per ottenere
relazioni paritarie con la Russia, dobbiamo entrare in Europa”.
Janukovic è convinto che “il nostro paese vedrà riconosciuta una sua
funzione mondiale, solo se saprà unire tre spazi culturali ed
economici: l’europeo, l’eurasiatico e quello mediterraneo”. “Solo una
nazione di rango mondiale, quale deve diventare l’Ucraina, sarà in
grado di conservare scienza, industria e agricoltura competitive e in
grado di far fronte alle esigenze del mercato interno”. Janukovic ha
aggiunto che ciò significa anche che “noi saremo in grado di utilizzare
tutti i vantaggi derivanti dalla nostra collocazione geopolitica di
congiunzione delle comunità economiche europea, della CSI e della
regione del Mar Nero”. Janukovic ha dichiarato che le priorità ucraine
saranno dettate “non da criteri ideologici e neppure da pressioni
esterne, ma dai reali interessi del paese e del popolo”. “La storia
dimostra che qualsiasi tentativo di orientare unilateralmente porta
alla divisione e alla perdita di indipendenza. E allora perché i miei
concorrenti politici, pur conoscendo bene la storia, ripetono questo
errore, andando a rimorchio dell’Occidente? Non sarà forse che, per
loro, gli interessi dell’Occidente sono più importanti di quelli
dell’Ucraina?”, - si è chiesto Janukovic (…)            

Traduzione dal russo di Mauro Gemma


=== 5 ===

LA MINACCIA DELLA DITTATURA NEOFASCISTA IN UCRAINA

Risoluzione del C.C. del Partito Progressista Socialista di Ucraina

http://www.vitrenko.org

12 dicembre 2004

Il Comitato Centrale del Partito Progressista Socialista di Ucraina
(PPSU), dopo aver analizzato la situazione venutasi a creare in
Ucraina, ritiene indispensabile mettere in guardia il popolo
dell’Ucraina rispetto alle minacce di una dittatura neofascista
filo-americana, nel caso venga portato a compimento il colpo di stato e
la conquista con la forza da parte di Viktor Juschenko della carica di
presidente dell’Ucraina. Il Partito Progressista Socialista di Ucraina
ha sempre avvertito il nostro popolo della crisi inevitabile che
sarebbe derivata dalla politica delle riforme suggerite dal Fondo
Monetario Internazionale.

Il plenum del C.C. del PPSU condivide i giudizi contenuti nella
relazione della Presidentessa del partito Natalja Vitrenko a proposito
del colpo di stato in Ucraina, realizzato il 2 dicembre 2004, e ritiene
che:

1) Viktor Janukovic ha ottenuto la vittoria nelle elezioni
presidenziali ucraine del 2004 e che la conferma di tale vittoria da
parte della Commissione elettorale centrale è conforme alla legge.

2) La vittoria di Viktor Janukovic non è gradita agli USA, all’Europa
Occidentale e al potere in Ucraina, guidato dal presidente Kuchma e che
si trova di fatto in una condizione di dipendenza dagli USA. Gli Stati
Uniti d’America non vogliono cambiamenti della politica di riforme in
Ucraina, temendo di perderla come appendice di materie prime e mercato
di sbocco delle proprie merci e di forza lavoro a basso costo. Essi
temono che l’Ucraina torni ad essere uno stato potente dal punto di
vista economico. E, la cosa più importante, temono i processi di
integrazione tra Ucraina, Russia e Bielorussia.

Nel processo di lotta per il dominio mondiale, gli Stati Uniti
d’America devono dividere i popoli slavi, separare l’Ucraina dalla
Russia e dalla Bielorussia.

I loro piani possono realizzarsi attraverso la presidenza di Viktor
Juschenko.

3) Gli scenari allestiti in Ucraina presentano impressionanti analogie
con quelli realizzatisi in Jugoslavia e Georgia.

Ciò si attua con l’aiuto di gente prezzolata e manipolata, e per
raggiungere lo scopo prefissato sono state investite somme colossali.
Gli esperti americani di tecnologie politiche hanno indirizzato il
malcontento della gente non contro Kuchma e Juschenko, promotori delle
riforme, ma contro Janukovic che, con azioni concrete, ha cominciato a
cambiare tale politica. L’obiettivo di questo trucco politico è quello
di mantenere il corso delle riforme e il regime antipopolare nel paese.
Ecco la ragione per cui sono state investite somme così ingenti. E
questi soldi non provengono da fondi elettorali, ma da strutture
segrete (e, di conseguenza, criminali) e da finanziatori stranieri
fuorilegge. Manovrando questi soldi, i mercenari eseguono tutti gli
ordini dei loro padroni. E’ in questo modo che in Ucraina stanno
prendendo il potere i sostenitori degli USA. E dire che i mezzi di
informazione di massa presentano queste azioni come una lotta del
popolo per elezioni oneste.

La democrazia per soldi è la dittatura dei mercenari, non la libera
espressione della volontà dei cittadini. Le manifestazioni prezzolate
sono uno strumento per la conquista del potere da parte dei politici
che finanziano queste piazze. E’ il meccanismo di realizzazione del
colpo di stato con il sostegno di una folla manipolata e prezzolata. In
questo momento nel mondo è emerso lo scandalo del finanziamento da
parte degli Stati Uniti d’America del putsch arancione in Ucraina. Ora
negli USA si elevano le proteste per la concessione di milioni di
dollari allo scopo di portare Viktor Juschenko alla presidenza
dell’Ucraina. Già adesso si parla della cifra di 65 milioni di dollari.

4) La squadra di Juschenko per conquistare la presidenza ha fatto uso
di metodi inammissibili in uno stato di diritto civile. La lotta è
stata condotta spargendo menzogne spudorate. In assenza di una
decisione della Commissione elettorale centrale e della Corte Suprema
dell’Ucraina, attraverso gli strumenti di comunicazione di massa,
l’OSCE e l’Amministrazione USA hanno cercato di convincere la società
che violazioni del tutto marginali, avvenute nel corso della campagna
elettorale (che sempre ci sono state in tutti i paesi) rappresentavano
una falsificazione massiccia delle elezioni da parte di Viktor
Janukovic e della sua squadra. Mentendo, hanno proclamato vincitore
Juschenko, facendolo persino giurare.

E’ proprio attraverso l’utilizzo di tali menzogne che hanno riunito
centinaia di migliaia di persone, le quali hanno paralizzato Kiev e il
lavoro degli organi del potere statale. Attraverso il ricatto, le
minacce, la pressione psicologica e politica, questa gente ha
cominciato a pretendere dal presidente dell’Ucraina, dalla Rada
suprema, dalla Corte suprema che queste menzogne venissero confermate
ufficialmente.

Pressione politica veniva ugualmente esercitata sulle strutture del
potere da parte dell’OSCE, del Parlamento Europeo e
dell’Amministrazione USA.

5) Sostegno politico e giuridico al colpo di stato è venuto anche dal
presidente dell’Ucraina Leonid Kuchma, dal presidente della Rada
suprema Vladimir Litvin e dalla Corte suprema dell’Ucraina.

Nel paese non sono state imposte le norme della legge, ma i ricatti
della piazza.

Il parlamento dell’Ucraina, con la sua risoluzione del 27 novembre
2004, è uscito dai limiti dei suoi poteri costituzionali e,
attribuendosi illegalmente le prerogative della Corte suprema
dell’Ucraina, ha dichiarato non valide le elezioni e ha sfiduciato la
Commissione elettorale centrale.

Questa decisione politica, assunta dai deputati, è stata presa a
vantaggio di Viktor Juschenko sotto la minaccia della folla manipolata
e prezzolata. Essa è stata seguita dalle risoluzioni incostituzionali
della Corte suprema, che ha cambiato i risultati elettorali, e dal
presidente Kuchma, che ha eletto una nuova Commissione elettorale
centrale e ha costretto alle dimissioni il Procuratore generale
dell’Ucraina.

E’ naturale che tali decisioni abbiano ricevuto l’applauso dei mandanti
del colpo di stato arancione e dei padroni del potere e
dell’opposizione ucraini, vale a dire gli USA, l’Unione Europea e
l’OSCE.

Con l’approvazione di tale decisione e con la riforma costituzionale
che in realtà non cambia alcunché, la Rada suprema dell’Ucraina ha
dimostrato di essere il parlamento del tradimento della nazione. Il
parlamento si è unito al presidente Kuchma nelle azioni punitive nei
confronti del vincitore delle elezioni presidenziali Viktor Janukovic.

La Rada suprema e il presidente dell’Ucraina hanno dimostrato di essere
dipendenti dall’Occidente, voltando le spalle alla Russia, alla
Bielorussia, alla Cina, all’Armenia, all’Azerbaigian, i paesi che si
sono apertamente congratulati con Viktor Janukovic per la vittoria.

Di conseguenza, anche i partiti politici, che hanno votato le richieste
di “Nostra Ucraina”, hanno dimostrato di essere sotto controllo degli
Stati Uniti d’America. Vergognoso in questo contesto appare il ruolo
dei comunisti ucraini che, invece di lottare contro il fascismo
montante, si sono dimostrati di fatto suoi complici. Si è poi
definitivamente smascherato Aleksandr Moroz (leader del Partito
Socialista di Ucraina, nota del traduttore) quale difensore della
borghesia compradora, portatrice degli interessi USA in Ucraina.

Il Partito Progressista Socialista di Ucraina sa molto bene perché si
stia punendo politicamente il vincitore delle elezioni presidenziali
Viktor Janukovic. E anche perché oggi i “media” più importanti abbiano
promosso una così massiccia campagna di intossicazione della coscienza
di massa. Sono loro che conducono una politica di attacchi e discredito
nei confronti di Viktor Janukovic e di appoggio ed esaltazione di
Viktor Juschenko e del colpo di stato arancione.

Il compito affidato al potere ucraino è quello di preservare la
politica di riforme avviata nel 1992. E ciò significa: vendere la
terra, legare l’Ucraina alla NATO, conservare la struttura di
fornitrice di materie prime e di forza lavoro a basso costo
dell’Ucraina, attuare l’ “ucrainizzazione” forzata e la
cattolicizzazione del paese, imporre sanità ed istruzione a pagamento,
privare di diritti i sindacati, mantenendo la totale immunità dei
deputati e l’assoggettamento degli organi della magistratura.

Noi comprendiamo bene che il continuatore di tali riforme, vale a dire
dei processi di colonizzazione dell’Ucraina da parte degli Stati Uniti
d’America, è Viktor Juschenko. Il PPSU si è sempre battuto contro tali
riforme e chi le promuoveva.

Viktor Janukovic si è presentato come un’alternativa al potere e alla
politica di proseguimento delle riforme. Egli ha cominciato ad operare
per innalzare il livello della produzione materiale, per risolvere i
problemi sociali e ha fatto passi incontro alla Russia, alla
Bielorussia, al Kazakhstan. Egli si è dichiarato per la rimozione
dell’impunità per i deputati, per l’introduzione di organi legali
scelti dalla popolazione, per salari adeguati, per la risoluzione del
problema dello status della lingua russa, per l’innalzamento del ruolo
delle regioni e per la neutralità dell’Ucraina. La sua posizione non
poteva certo essere gradita agli USA, che, attraverso i loro vassalli
nel paese, hanno privato Janukovic della vittoria.

Il plenum del Comitato Centrale del PPSU dichiara che il nostro partito
si batterà coerentemente per il cambiamento della politica delle
riforme, per l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione tra Russia e
Bielorussia, perché non venga permessa la colonizzazione dell’Ucraina
da parte degli Stati Uniti d’America e non venga instaurata la
dittatura fascista. Il partito fa appello a tutte le forze progressiste
della società perché si uniscano in un Forum di rinascita nazionale che
non consenta l’affermazione della dittatura fascista nel nostro paese e
che garantisca la rinascita dell’Ucraina quale stato di diritto, equo e
sociale.

Il PPSU mette in guardia il popolo dell’Ucraina dalle menzognere
affermazioni della squadra di Juschenko sulla democrazia e la lotta
contro il potere banditesco. Esse in realtà nascondono l’avanzata della
dittatura neofascista con il suo seguito di inevitabili repressioni
politiche e punizioni di coloro che la pensano diversamente, le cui
avvisaglie abbiamo tutti avvertito nel putsch arancione.

Noi ci rivolgiamo a tutti coloro che credono a Viktor Juschenko: non
lasciatevi manipolare!

Voi sapete bene che, con le stesse modalità di tipo americano, è stata
annientata la Jugoslavia, che oggi non esiste più sulla carta del
mondo. Allo stesso modo è avvenuta la conquista del potere in Georgia,
che oggi si trova in una situazione di guerra civile e dissoluzione.
Anche in Iraq avete le prove della democrazia all’americana. E’ una
democrazia fondata sul sangue. L’Iraq è occupato e vive sotto
l’amministrazione americana. Più di 100.000 civili sono stati uccisi da
questa democrazia e libertà.

Sappiate che vi stanno trascinando a compiere un terribile delitto nei
confronti del vostro paese, della memoria dei vostri predecessori, del
futuro dei vostri figli e nipoti.

Riflettete a fondo! Non trasformatevi in uno strumento delle marionette
americane!

Battendosi per l’integrità territoriale e l’indipendenza dell’Ucraina e
contro il colpo di stato fascista, il PPSU rinnova il suo sostegno a
Viktor Janukovic e invita tutte le forze politiche, le organizzazioni
sociali, tutti gli uomini di buona volontà a riunirsi attorno a Viktor
Janukovic per non consentire il putsch neofascista in Ucraina.

Tutti alle elezioni del 26 dicembre!
Non un solo voto per Juschenko!
Tutti per Viktor Fiodorovic Janukovic!

IL COMITATO CENTRALE DEL
PARTITO PROGRESSISTA SOCIALISTA DI UCRAINA             

Traduzione dal russo di Mauro Gemma       


=== 6 ===

[ The original text, in english, at:
http://www.artel.co.yu/en/izbor/evropa/2004-12-07.html
"The price of People Power"
The GUARDIAN - 7 December 2004 - Mark Almond ]

http://www.resistenze.org/sito/te/po/uc/pouc4n21.htm
www.resistenze.org - popoli resistenti - ucraina - 21-12-04

da Rebelion - 09.12.04 - http://www.rebelion.org/noticia.php?id=8528

Ucraina: Il prezzo del potere popolare

Mark Almond


Le proteste in Ucraina seguono un modello occidentale stabilito negli
anni 80. Io lo so, sono stato un agente della guerra fredda.

Il Potere Popolare sta per ottenere un altro trionfo dei valori
occidentali in Ucraina. Durante gli ultimi 15 anni, il vecchio blocco
sovietico ha vissuto periodici sommovimenti politici che hanno molto
dei racconti fiabeschi. Queste favole moderne cominciano sempre con un
lieto fine. Ma che cosa succede alla gente una volta che si è imposto
il Potere Popolare?

Le manifestazioni di piazza in Ucraina sono presentate come una
battaglia tra il popolo e le strutture di potere dell’era sovietica. Il
ruolo delle agenzie occidentali dell’era della guerra fredda è un tabù.
In realtà ficca il naso nel finanziamento dello splendido carnevale di
Kiev, e le grida di rabbia dimostrano che è stato toccato un punto
nevralgico nel Nuovo Ordine Mondiale.

Ogni politica costa, e le scene multimediali trasmesse quotidianamente
da Kiev costano molto. Potrà avere vinto l’economia di mercato, ma se
Milton Friedman ricordasse a quelli che ricevono cibo e bibite gratuite
nella Piazza dell’Indipendenza che niente nella vita è "gratis", senza
dubbio lo stigmatizzerebbero come stalinista. Pochi si domandano casa
si aspettano quelli che pagano per il Potere Popolare in cambio del
patrocinio di tutti i concerti rock. (..)
Possiamo trovare i nomi di fondazioni come la Fondazione Nazionale per
la Democrazia USA, (NED), ed una miriade di supplenti che finanziano il
movimento «Pora» di Ucraina o i media «indipendenti». (..)

Durante tutti gli anni 80, prima delle rivoluzioni di velluto del 1989,
un piccolo esercito di volontari e, siamo sinceri, spie, cooperarono
per spingere quello che si trasformò nel Potere Popolare. Una rete di
fondazioni ed opere di beneficenza incrociate apparvero dal nulla per
organizzare la logistica del bonifico di milioni di dollari ai
dissidenti. Il denaro provenne soprattutto dagli stati della NATO e da
alleati occulti come la "neutrale" Svezia.
È vero che ogni centesimo ricevuto dai dissidenti non provenne dai
contribuenti. Il miliardario statunitense, George Soros, istituì la
Fondazione della Società Aperta. È difficile da verificare quanto,
perché Mr. Soros promuove la trasparenza per tutti, meno che per se
stesso.

Engels disse che non vedeva contraddizione alcuna, tra guadagnare di
mattina un milione nella borsa valori e spenderlo di pomeriggio nella
rivoluzione. I nostri moderni rivoluzionari del mercato stanno
investendo in quel tipo di processo. Gente che è loro obbligata per
gratitudine, arriva al potere per privatizzare.
La risacca del Potere Popolare è una terapia d’urto. Ogni moltitudine
viene venduta come una visione multimediale della prosperità
euro-atlantica, attraverso media "indipendenti" finanziati
dall’Occidente. Nessuno menziona la massiccia disoccupazione, l’aumento
del crimine organizzato, la prostituzione ed i tassi di mortalità in
continua ascesa.

Nel 1989, i nostri servizi di sicurezza perfezionarono un modello
ideale come meccanismo per cambiare i regimi, utilizzando spesso
autentici volontari. Il dispiacere per il modo in cui gli stati
comunisti restringevano le vite della gente mi portò al lavoro
clandestino, ma la mia delusione venne quando vidi il massiccio
impoverimento ed il cinico opportunismo degli anni 90.

Negli anni 80, i nostri media presentarono i dissidenti di Praga come
accademici altruistici che erano stati ridotti in povertà per i loro
principi, quando in realtà ricevevano borse di studio di 600 dollari al
mese. Ora stanno in prima fila della nuova classe dirigente
euro-atlantica. La benefattrice trasandata che sembrava tanto
affezionata ad assicurare che ogni centesimo del suo denaro
"caritatevole" arrivasse ad un bisognoso, è ora un’intermediaria per
investitori nei nostri vecchi campi d’attività.

Convertiti in cinici, i personaggi dissidenti che malversarono il
denaro per finanziare, diciamo, un hotel sui monti Buddha, hanno fatto
meno danno di quelli che lanciarono corse politico-mediatiche. In
Polonia, Agorà, l’impero mediatico dell’ex-dissidente Adam Michnik (che
ora vale 400 milioni) partì dal mondo clandestino di Solidarnos,
finanziato dalla CIA negli anni 80. Ora i suoi giornali appoggiano la
guerra in Iraq, nonostante la sua immensa impopolarità tra i polacchi.
Nel frattempo, tanto i lavoratori dei cantieri navali che fondarono
Solidarnos nel 1980, come i minatori di Kolubara in Serbia, che
proclamarono che la loro città era "la Gdansk della Serbia"
nell’ottobre del 2000, ora hanno un sacco di tempo per leggere del loro
ruolo nella storia.

Il Potere Popolare ha più a che fare con chiusure che con la creazione
di una nuova società. Chiude fabbriche ma, peggio ancora, le menti. I
suoi propugnatori esigono un libero mercato in tutto, salvo
nell’opinione. L’ideologia attuale del Nuovo Ordine Mondiale, sostenuta
da molti che non sono altro che comunisti rinnegati, è il
mercato-leninismo, la combinazione di un modello economico dogmatico
con metodi machiavellici per afferrare le leve del potere. L’unica
superpotenza attuale utilizza le sue antiche armi della guerra fredda,
non contro regimi totalitari, bensì contro governi di cui Washington si
è stancata. Alleati fastidiosi come Shevardnadze in Georgia, che faceva
tutto quello che Washington voleva, ma dimenticarono la saggezza del
satirico sovietico Ilf: “non importa quanto ami il Partito. ciò che
importa è se il Partito ama te.” La Georgia è, evidentemente, una
connessione nella catena d’oleodotti che portano petrolio e gas
centroasiatico al territorio della NATO attraverso l’Ucraina

È meglio che i governanti di quei paesi facciano attenzione. Cinquanta
anni fa, Zbigniew Brzezinski argomentò che la politica della purga
“permanente” era tipica del comunismo sovietico. Ma ora è sempre
disponibile quando si tenta di esigere che il Potere Popolare abbatta
il favorito di ieri a beneficio di un nuovo “riformatore”.
L'espressione «Potere Popolare» è stata coniata nel 1986, quando
Washington decise che Ferdinand Marcos doveva andare via. Ma furono gli
eventi in Iran nel 1953 quelli che stabilirono il modello. A quel
tempo, denaro anglo-statunitense agitò moltitudini contrarie a Mossadeq
affinché esigessero la restaurazione dello Shah. Il corrispondente del
New York Times annunciò con la grancassa la vittoria del popolo sul
comunismo, ma la CIA, oltre a 50.000 dollari, aveva dato ai capi del
golpe anche il testo della dichiarazione contro Mossadeq.
Sarà che la versione ufficiale del Potere Popolare maneggia la verità
allo stesso modo?


Mark Almond è professore universitario di storia moderna in Oriel
College, Oxford

Da «The Guardian», 7 dicembre 2004

Traducido para Rebelión por Germán Leyens

traduzione dallo spagnolo di FR


=== 7 ===

Da “la Repubblica” del 29.11.2004

Rabbia, slogan e spettacolo

così si crea la rivoluzione perfetta

Rivoluzione, istruzioni per l’uso. Ossia: come si progetta e si
organizza unainsurrezione se si desidera avere successo. Nell’Europa
dell’Est, da Solidarnosc alla Serbia, dalla Romania alla Georgia, opera
un’organizzazione che mette a disposizione contatti, materiali, persone
esperte per sostenere le opposizioni politiche ai regimi autoritari.
Sono gli scienziati delle rivolte, i maestri della gestione delle
piazze. Stanno traghettando pacificamente verso indipendenza e libertà
i Paesi ex-sovietici rimasti nell’orbita di Mosca, quelli dove il
processo democratico è stato interrotto. Sono ricercati perché le
rivolte, per essere gestite senza la forza, richiedono una macchina
complessa. Anche i leader della <<rivolta arancione>> di Kiev, prima
dell’estate, si sono messi in contatto con il network che insegna a
fare la rivoluzione. <<Ci siamo incontrati con alcuni amici di Belgrado
– racconta dietro garanzia dell’anonimato uno dei coordinatori dei
dimostranti ucraini – e abbiamo trascorso alcuni giorni assieme>>.

L’équipe serba ha compiuto numerose spedizioni in Ucraina. Fino a
settembre, quando i servizi segreti di Kuchma l’hanno scoperto. Per i
serbi le frontiere sono state chiuse. I ragazzi del movimento <<Porà>>
e gli attivisti dei partiti diopposizione, si sono appoggiati allora a
emissari georgiani . Proprio un anno fa, a Tbilisi, la <<rivoluzione
delle rose>> in venti giorni portò Saakashvili al potere. <<Il modello
– dice l’ideologo degli insorti di Kiev – si adattava perfettamente>>.
Domenica 31 ottobre, al primo turno, era già tutto pronto. <<Il
capitale primario – spiega – è la folla. Per trascinarla nelle strade,
dopo un decennio di sottomissione, servono la rabbia e la certezza
della vittoria>>.

Come in Georgia, si è partiti dalla denuncia dei brogli. <<Occorre un
innesco clamoroso, ma legale. Il motore poi sono i giovani, gli
studenti, la parte più attiva e creativa della società>>. Tre i
passaggi obbligati. Ai manifestanti, dal primo istante, va mostrato lo
sviluppo dell’azione: hanno bisogno di avere un piano concreto e
chiaro. La protesta va incanalata in parlamento e tribunali, per
convincere anche i moderati. Necessaria infine la pressione
internazionale. << Subito dopo – prosegue il padre degli insorti
ucraini – occorre un campo di battaglia. Non può che essere la piazza
principale della capitale, il simbolo del Paese. Questa diventa la sola
fonte delle notizie. Il palcoscenico è il punto più debole e più forte
dell’azione>>. Il propulsore non può fermarsi: una sosta e l’onda si
smonta. <<La gente ha bisogno di movimento, per non deprimersi e per
evitare l’eccesso dieccitazione>>. Gli insorti devono sentirsi parte
attiva di unaorganizzazione. Deve sorgere un campo, come la tendopoli
sul Kreshiatik, deve arrivare cibo e indumenti, una divisa: di qui le
bandiere e le giacche di nylon arancioni. La folla si trasforma in un
esercito. <<Il simbolo – rivela il capo degli oppositori – è decisivo:
l’arancione comunica la forza delle cose alla luce del sole, contro le
tenebre della corruzione. Tutto dello stesso colore, fiori compresi>>.

Occorre alternare impegno politico e spettacolo. Marce e slogan,
concerti e canti. Mai spegnere le luci: serve un mix di miti, star del
rock e dello sport, simboli popolari, famosi personaggi stranieri.
<<Abbiamo optato per Walesa e i grandi della politica europea, per i
gemelli Klichko campioni del pugilato, per la cantante Irina
Ponarovskaia. Così si consolida l’embrione di una società nuova>>.
L’operazione più delicata è dosare paura, trasgressività, esibizionismo
e fiducia.

<<La compattezza della rivolta – spiega – si ottiene con lo spettro
della repressione armata, con la possibilità di andare in senso unico
suonando il clacson, con i primi piani di persone comuni in
mondovisione, con una conquista al giorno: il parlamento, il palazzo
presidenziale, il governo>>. E al culmine del processo, il colpo della
svolta. A Kiev si è optato per il giuramento sulla bibbia di Yushenko,
autoproclamato presidente in parlamento.

<<Perché infine – dice lo stratega della rivolta – è il senso della
storia a fare la differenza. Ogni insorto deve sentirsi protagonista di
un passaggio storico, di un evento memorabile ed eroico. Solo questa
forza abbatte i regimi e spinge verso la libertà>>. Quanto costa?
<<Tanto, ma ne vale la pena se aiuta a cambiare il mondo con la pace>>.

Kiev,

Giampaolo Visetti

Stanko Lazendic su quel ponte non c'era. Otpor nemmeno

di Ivan Istrijan


Aggiungo alcune righe a quelle di F. Grimaldi riguardo l'articolo
"Otpor, arancione a stelle e strisce" [vedi:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4137 ].
"Grazie" a Remondino e al "Manifesto" per averci regalato, alla
vigilia dell'Anno Nuovo, questo abominevole testo, sintesi
dell'intervista
a Stanko Lazendic di cui abbiamo visto un pezzo anche sulla RAI TV.
Ci vuole veramente stomaco per leggere questo articolo! Sarebbe
sufficiente una battuta per liquidarlo. Potremmo fare anche
dell'ironia...
Ma per amore di verità, voglio soffermarmi su due-tre cose, vere
menzogne che però sfuggono sottilmente (ma anche volutamente)
alla maggior parte dei lettori.

Non mi risulta proprio che il cosiddetto "Otpor" (denominazione
usurpata della Resistenza) abbia "organizzato e portato sui ponti
(sic!) della Sava e sul Danubio la popolazione a fare da scudo umano".
Sono stati invece i partiti della sinistra a farlo. Il sottoscritto è
stato, con un gruppo di compagni italiani, varie volte a Belgrado e in
varie parti della Jugoslavia federata: e per due volte, durante la
barbara aggressione, sul Brankov Most (il Ponte di Branko), dove si
sventolavano la bandiera serba e quella jugoslava!
Stanko Lazendic, socio fondatore della ONG "Center of non violent
resistence" (perbacco, mi sa tanto di radicale italiano!) su quel ponte
non c'era. Otpor, "che rivoluziona la liturgia della politica
multicolore delle bandiere" (sic), su quel ponte non c'era. Non abbiamo
visto nemmeno a
loro e all'Occidente caro Vuk Draskovic. Abbiamo
invece intravisto Seselj su quel ponte -- ah si, dimenticavo: per
Remondino e compagnia cantante, costui è "ultranazionalista".
Ricordiamo invece le manifestazioni del famigerato "Otpor" sulle strade
di Belgrado, le manifestazioni vere: quelle con le bandiere della
Germania, della Gran Bretagna, persino della Nuova Zelanda, della
Ferrari (sic)... La cosiddetta "politica multicolore delle bandiere"
!?! Potevate sentire, negli autobus, sui tram di Belgrado, cosa ne
pensasse la gente, e che cosa ricorda e significa la bandiera tedesca
per quel popolo.

Spesso Remondino lo vedo sorridere alle "tavole rotonde", anche quando
parla di cose tragiche, come questa nostra tragedia jugoslava, come
fa(ceva) un certo Solana, neanche si trattasse di "bruscolini"...
Signor Remondino, lei scrive: "...Per loro (Otpor), quelle bombe sono
insensate. Puntano al despota (sic!), ma colpiscono innanzitutto le sue
vittime, primo fra questo il popolo serbo, e quello kosovaro (!)"
Vorrebbe cortesemente lei spiegare, a degli ignoranti in materia quali
siamo noi, di quale "popolo kosovaro" si va cianciando, se non TUTTA la
popolazione della regione di Kosovo e Metohija, e non solo quello
schipetaro (albanese in senso "etnico" e non per cittadinanza) che fa
comodo a voi, squallidi falsificatori della storia?
Signor Remondino, sono forse difensori del proprio popolo quelli che
bruciano il proprio Parlamento? Sono forse democratici quelli che
bruciano gli uffici elettorali?
Per il resto non vale nemmeno la pena di sprecare più tempo e carta. La
stessa disinformazione l'avete fatta con i "democratici" nazionalisti
croati (è di questi giorni l'ennesima bravata degli ustascia croati, la
distruzione del monumento a Tito, davanti alla casa natale), ieri, e la
farete di sicuro con i secessionisti ungheresi, domani. L'avete sempre
fatta con i "democratici" islamisti musulmano-bosniaci di Izetbegovic,
con i secessionisti e terroristi dell'UCK, e con quella squallida
figura di Rugova, "nonviolento di regime"... e poi "versate lacrime di
coccodrillo" sulle distruzioni, sulle morti provocate dalle loro-vostre
politiche!
Remondino, mi dica: quando la sento parlare della tragedia jugoslava,
la vedo spesso sorridere. Vale anche da queste parti, in Italia, il
detto: "Chi ride a se stesso..." ?

Sciacallaggio e disinformazione sulla tragedia del sudest asiatico

1. Il JVP contro la disinformazione
2. Lo Zoo mediatico di Bruno Vespa
3. Banchetti a Roma per la raccolta dei fondi

SEGNALIAMO INOLTRE

- la pagina informativa sullo Sri Lanka aperta sul sito delle Edizioni
Achab:

http://www.edizioni-achab.it/informe/lanka/maremoto.html

- il recente articolo di Michael Chossudovsky:
"Washington was aware that a deadly Tidal Wave was building up in the
Indian Ocean" (December 29 2004)

http://globalresearch.ca/articles/CHO412C.html


=== 1 ===

From: "JVP Italia" <jvpitalia @ tele2.it>
Date: Sat, 1 Jan 2005 23:09:32 +0100

Il JVP contro la disinformazione

Il Comitato Italia del JVP (Fronte di Liberazione del Popolo – Sri
Lanka) intende comunicare ai lavoratori italiani alcune precisazioni in
merito all’attuale situazione dell’assistenza alle popolazioni vittime
dello tsunami.

Lo Sri-Lanka è uno stato multietnico, le cui componenti principali sono
le comunità Cingalese, Tamil e Musulmana. Queste diverse etnie che
compongono il Popolo Srilankese convivono pacificamente sull’intero
territorio e sono ospitate ed egualmente soccorse nei campi profughi
allestiti dal Governo con il contributo determinante delle Brigate di
Servizio Sociale del JVP. Tuttavia, com’è noto ai più, da lunghi anni
nella penisola di Jafna una minoranza razzista di Tamil, organizzata in
commandos militari denominati Tigri Tamil (LTTE), conduce una
guerriglia spietata e sanguinosa contro le altre etnie e contro gli
stessi Tamil che dissentono dalle loro pratiche terroriste e
guerrafondaie. L’Imperialismo, contando anche sull’aiuto della destra
razzista Cingalese, è intenzionato ad acuire il conflitto etnico per
smembrare il paese (al fine di asservirlo più compiutamente ai suoi
meschini interessi) secondo una prassi già collaudata nei Balcani, in
Palestina, in Ruanda e altrove. Per portare a termine i loro propositi
criminali, gli Imperialisti diffondono, con l’appoggio dei razzisti
Tamil e Cingalesi (ufficialmente nemici, ma in realtà alleati in nome
di comuni interessi economici), notizie false e tendenziose a mezzo
stampa sull’attuale situazione nei campi profughi e sulle modalità
della distribuzione degli aiuti alla popolazione srilankese (e quindi,
indistintamente Cingalese, Tamil e Musulmana). Gli imperialisti,
dichiarando presunti propositi umanitari, operano infatti perché
vengano raccolti fondi da destinarsi specificamente alla popolazione
Tamil che sarebbe, a loro dire, abbandonata dal Governo centrale. Si
tratta ovviamente di una infame menzogna. Difatti, se esistono
effettive difficoltà nella distribuzione di aiuti nelle province
controllate dalle Tigri Tamil ciò avviene esclusivamente perché questa
organizzazione fascista li osteggia in tutti i modi, ricorrendo persino
ad attentati ed ad atti di sabotaggio, con ovvio detrimento
innanzitutto del popolo Tamil vittima due volte: dello tsunami e della
prevaricazione delle Tigri Tamil (LTTE). La condotta criminale delle
LTTE è volta all’intento non solo di accreditare un’inesistente
oppressione da parte del Governo centrale nei confronti del popolo
Tamil; ma soprattutto allo scopo di organizzare una raccolta fondi
separata – patrocinata e foraggiata dai loro alleati imperialisti – che
servirà, non già all’acquisto di viveri, coperte e medicinali, bensì di
armi ed esplosivi da impiegare nelle loro efferate azioni terroriste.

Il JVP, Partito guida del Popolo Srilankese, impegnato da sempre a
contrastare le mire colonialiste sull’intero territorio nazionale,
intende smascherare con questo comunicato – e con la quotidiana azione
a sostegno della popolazione srilankese – la volgare messinscena ordita
dalle forze della reazione internazionale con il sostegno dei fascisti
Tamil e Cingalesi. Pertanto il JVP - Comitato Italia esorta tutti i
lavoratori italiani a non farsi ingannare dalla campagna di
disinformazione dei media borghesi; e invece li invita a collaborare
attivamente a sostegno dell’intera popolazione srilankese, attraverso
un contributo in denaro da effettuarsi tramite versamento sulconto
corrente bancario di "RADIO ONDA D’URTO" Banca Popolare Etica N°100748
codice ABI 5018, codice CAB 11200, specificando la causale "solidarietà
sri lanka" oppure contattando direttamente i recapiti sottoindicati:
Tel/Fax: 06 30609546 – Cell: 3396386214 – Cell: 3200844252 - Cell;
3396267506 -E-mail; jvpitalia@...

JVP-SRI LANKA-Comitato in Italia
Via G.Giolitti 231 – 00185, Roma


=== 2 ===

From: "JVP Italia" <jvpitalia @ tele2.it>
Date: Wed, 5 Jan 2005 00:29:08 +0100

Lo Zoo mediatico di Bruno Vespa

In questi giorni per noi di frenetico e doloroso impegno nella raccolta
fondi a sostegno del nostro Popolo vittima dello Tsunami non pensavamo
di dover subire anche una pubblica umiliazione.

Abbiamo accolto l’invito da parte del noto teleimbonitore Bruno Vespa a
partecipare alla sua trasmissione con la speranza di far conoscere ai
lavoratori italiani la reale situazione dello Sri-Lanka, gli sforzi del
nostro Partito, il sabotaggio quotidiano dell’imperialismo e dei suoi
lacchè, ma anche con l’intento di pubblicizzare la nostra raccolta
fondi oscurata dai media borghesi.

Così, ci siamo recati in massa agli studi RAI. Eravamo in 47; tra noi
c’erano dei parenti delle vittime, una monaco buddista e alcuni
rappresentanti delle associazioni sri-lankesi in Italia. Ma, per tutta
la durata della trasmissione il dott. Vespa non s’è degnato di
rivolgerci la parola, non ci ha concesso neanche di intervenire. Nello
sconcerto e nel rancore crescenti abbiamo sentito lui e i suoi illustri
ospiti snocciolare burocraticamente le cifre dei morti e dei dispersi,
dedicando nobili aneliti di pietà ‘cristiana’ ai turisti sorpresi sulla
spiaggia assai più che agli ‘indigeni’ locali annegati nei campi, come
se al mercato della compassione (come a quello più prosaico del lavoro)
le vite degli occidentali avessero più valore di quelle nostre. Così
per tutta la durata della trasmissione a noi, mute scimmiette dello Zoo
televisivo del dott. Vespa, è toccato rimanere ordinatamente in
silenzio, offrendo i nostri ‘musi’ neri e sofferenti alla pietà pelosa
del domatore e del suo pubblico benpensante.

Ma noi, con buona pace del dott. Vespa, siamo esseri umani con una
coscienza e dei sentimenti (probabilmente più vivi ed evoluti dei
suoi). Noi che pure abbiamo subito, e continuiamo a subire,
l’oppressione e la prevaricazione del Colonialismo e dell’Imperialismo,
non ci siamo ancora abituati a stare dietro le sbarre di una gabbia. E
soprattutto in questi giorni in cui i nostri fratelli in Sri Lanka
rischiano la vita per la fame e le epidemie non abbiamo proprio tempo
da perdere. Tutti i minuti delle nostre giornate li devolviamo alla
raccolta fondi innanzitutto tra i membri della nostra comunità. Quindi
rispediamo volentieri al mittente le sue elemosine offensive e le sue
lacrimucce di coccodrillo, e ringraziamo invece tutti quelle
lavoratrici e quei lavoratori italiani che in questi giorni ci sono
stati vicini e ci hanno offerto il loro sostegno attraverso contributi
in denaro e solidarietà internazionalista.

JVP-SRI LANKA-Comitato in Italia
Via G.Giolitti 231 – 00185, Roma


=== 3 ===

Emergenza Sri Lanka

Raccolta fondi per la popolazione dello  Sri Lanka colpita dal maremoto 

I compagni del JVP dello Sri Lanka, hanno organizzato alcuni
appuntamenti nella città di Roma.
Chi vuole portare di persona la sottoscrizione può recarsi:

Giovedì 6 gennaio

dalle10.00 alle 20.00 a piazza di Torre Argentina

Sabato 8 gennaio

dalle10.00 alle 14.00 al mercato di Piazza Vittorio

e dalle 15.00 alle 20.00 sempre a piazza Vittorio davanti ai magazzini
MAS

per informazioni chiamare: 06-30609546 oppure 320-0844252

(Fonte: Contropiano - http://www.contropiano.org)

(srpskohrvatski / italiano)

Miroslav Krleža: Titov povratak 1937
Miroslav Krleza: Il ritorno di Tito 1937


=== ITALIANO ===


Introduzione

La notizia della demolizione della famosa statua di Tito, realizzata
da Gustincic e posta dinanzi alla casa natale di Kumrovec, ha suscitato
forti emozioni e ricordi in molti di noi.

DK ricorda sua madre "sulla foto con i bambini scalzi di Kumrovec,
nel Maggio 1945, con i mazzetti di fiorellini in mano... E un
testo del secondo miglior figlio della terra jugoslava e croata, lo
scrittore marxista Miroslav Krleza, ed il suo capitolo che racconta
il ritorno di Tito dalla Russia, con il compito di riorganizzare il
partito, nel 1937..."

DK ha tradotto integralmente questo testo, la cui versione originale,
ripresa dalla pagina
http://de.geocities.com/opiumzanarod/tekstovi/povratak.htm , e' da noi
riportata in fondo.

Lo stesso sito http://de.geocities.com/opiumzanarod (oppure:
http://www.bratstvo.cjb.net/ ) contiene, oltre a questo, alcuni altri
brani fondamentali della letteratura jugoslava, che oggi qualcuno
vorrebbe dimenticata. Lo stesso Miroslav Krleza, che e' il piu' grande
scrittore della Croazia del XX secolo, e' "reietto" dagli attuali
ambienti letterari e culturali croati, tutti improntati al
nazionalismo, ed e' trascurato, per opportunismo, anche dagli slavisti
nostrani.

Di Miroslav Krleza, una stringata bibliografia in italiano:

- bellezza arte e tendenza politica costa&nolan 1991
- i signori glembaj (gospoda glembajevi) costa&nolan 1987
- il dio marte croato (hrvatski bog mars) studio tesi 1991
- il ritorno di filip latinovicz (povratak filipa latinovicza) studio
tesi 1983
- la battaglia di bistrica lesna pbu 1995
- sull’orlo della ragione studio tesi 1984

DK segnala anche il sito http://www.borut.com/library/index.htm, primo
archivio web della letteratura degli slavi del sud, sul quale alla
lettera "K" si possono trovare, di Krleza, i racconti e segmenti dalle
novelle.

Forse non lo amavano, i figli del suo paese, ma Krleza era un testardo,
brillante e motivato. Marxista, nei suoi primi anni di creatività
andava in Unione Sovietica per lunghi mesi. Fu direttore generale della
Encyclopedia jugoslava, per molti anni nel dopoguerra. Tra le sue
battute piu' famose:

"Sali sul monte Sljeme, sopra Zagabria, e quello che vedi, è la Croazia"

"Serbi e Croati sono una merda che la ruota della storia ha spezzato in
due"

"Serbo e Croato sono un'unica lingua, i Serbi lo chiamano il serbo, e i
Croati lo chiamano il croato"...

---

Miroslav Krleza

Il ritorno di Tito 1937

Tito sta in piedi davanti alla casa natia, con i pensieri che, in
grandi cerchi, gli girano attorno a questo antico muschioso tetto di
Kumrovec. Sta riflettendo di se, della sua infanzia triste, della
Grande Guerra, di caserme,
Carpazi, campi di concentramento e di combattimento, delle battaglie
che ha passato. Di fiumi enormi, siberiani, di una lingua russa che
bagna le mura della Cina, di paesi e popoli mongoli, lontani come il
mare che si spande in tutta l'Asia fino al Pacifico. Sta riflettendo
ora, Tito, sulla propria vita, sulle fabbriche in cui fu operaio, sui
sindacati, sui compagni, sugli scioperi, sul movimento di cui fu il
capo, su tutta una vita che, dai giorni della prigionia a
Lepoglava, e dalla guerra in Spagna, con l'enorme cerchio delle
battaglie e dei combattimenti da Madrid fino a Kumrovec, ora si
chiude - questo interminabile cerchio di una vita, un viaggio attorno
al pianeta che dura, oramai, da una vita intera, mentre i cani
abbaiano come facevano trenta e quarant'anni fa. Non hanno nemmeno
oliato le cerniere delle porte, i gatti morti li buttano ancora nel
ruscello, i letamai sono ancora privi dei muri di supporto, come se
nel mondo non accadesse nulla, non fosse accaduto proprio nulla, come
se l'Europa non stesse dinanzi ad una nuova guerra mondiale! Le
ciminiere fumanti dei complessi chimici dal Mare del Nord fino agli
Urali e al Volga traspirano, con il ritmo del lavoro, e
rimbombano le acciaierie da Vladivostok fino a Magnitogorsk, vibrano
le fondamenta medioevali della terra. America ed Europa stanno cuocendo
più di cento milioni di tonnellate di acciaio, tuonano i cannoni in
Spagna, Hitler sta preparando la carneficina, una tempesta
internazionale sta arrivando, mentre qua, i cani abbaiano, i fossi
puzzano come ai tempi della servitù della gleba e del lavoro duro, i
tempi di Keglevic. Una nuova catastrofe internazionale si sta
preparando, il gorilla fascista affila i suoi coltelli, e da
noi... Kupinec, Kaptol e Kumrovec ancora ronfano, tutta la nostra
intelligentzia piccolo-borghese ronfa, mentre Tito sta in mezzo a
Kumrovec e sente questo vuoto, questo ritardo di dimensioni medioevali,
la dannazione di questa notte di Kumrovec, con i cani che abbaiano
in un posto completamente immobile e dannato come sempre. Dal
Pacifico, dalla Spagna, giungono le fiamme della grande rivoluzione
in atto, tremola il riflesso del rossore di un'alba fatta dei fuochi
delle innumerevoli fonderie del mondo nuovo: il polso del mondo
batte già col ritmo dei futuri secoli radiosi, mentre da noi il
barbagianni gira attorno al campanile dell'epoca di Maria Teresa: ed è
tutto talmente, noiosamente vecchio che sembra il cimitero vecchio di
Kumrovec e il suo ponte marcio che rischia di sgretolarsi sotto al
rumoroso passo di qualche notturno passante solitario. Nel silenzioso
momento finale di questo soliloquio lirico, negli ultimi toni
della cantilena di questo monologo melanconico, la voce di Tito ha
cambiato colore e i suoi occhi azzurro chiaro, colombini, si sono tinti
con i
riflessi di un blu scuro, metallico come l'inchiostro. Il gioco
morbido e benigno delle labbra si è irrigidito in forma di riga
scolpita nella pietra, e in quella voce è apparsa un'espressione
indefinita e suggestiva, piena di dolore e turbamento.

- Kumrovec russa, che dio la benedica: ma fino a quando da noi
tutto dormirà ronfando, si chiede Tito impaziente, quasi
nervosamente, con quell'accento violento con cui nella lingua nostrana
buttano giù dal cielo tutti gli dei dal gradino superiore ad uno
inferiore.

- Noi ci troviamo dinanzi ad una nuova guerra mondiale, e non ci
salverà proprio niente, tranne la nostra ragione! Ed è questo che
bisognerebbe spiegare a Kumrovec e Kupinec, ed ai nostri stupidi
borghi di provincia, da Ljubljana fino a Belgrado! Le colombe
arrostite non cadono dai cieli.

Da quando la storia nostrana viene scritta con il sangue e con la
carne dei nostri popoli, il nome di Tito è diventato oggi il simbolo
drammatico di tutta la generazione attuale. In questo naufragio, il
più disperato di tutti, è emerso lui, con la torcia leniniana a
schiarire le tenebre, ed il suo itinerario da Kumrovec e Jajce, fino a
Belgrado e Zagabria, è l'itinerario del nostro popolo; dalla
figura d'un uomo medioevale, indietro, fino al cittadino dei secoli
futuri, ben più felici: questo è il movimento che ritrova la nostra
civiltà, ad ogni costo. Questa è la nostra volontà storica,
manifestatasi in innumerevoli sforzi nei secoli precedenti, e se
si può esprimere nel modo seguente: è la volontà di
trasformazione e di liberazione nelle sfere sociali superiori di
tutto il mondo, sulla base delle esperienze della prima e della seconda
guerra mondiale, e dopo la sotterranea, pesante battaglia politica
che è durata per decenni e che ci è costata tante vittime. Tito è
l'arco glorioso tra le mura scure ed insanguinate del nostro passato
medioevale fino alla strada, fino ad una civiltà non più soggiogata
dalle banche, dalle menzogne e dai pregiudizi altrui. È lui la
cartuccia di mitraglia che sbocca davanti il fumo e la nebbia
della nostra arretratezza, ed emerge come simbolo incandescente
sopra le bandiere stellate della nostra consapevolezza politica moderna.

Quando, durante quest'ultima guerra, nelle lunghe ore della
veglia notturna, negli anni 1943 - 1944, di tanto in tanto si sentiva
il rombo dei cannoni di Tito che brontolavano per le notti
intere attorno a Zagabria, io li ascoltavo spesso. Dinanzi a me
c'era sempre un'immagine, sin dall'anno millenovecentotrentasette:
l'immagine di Tito che sta seduto davanti ad un abat-jour di
pergamena di una lampada fiorentina, nella lucentezza giallastra del
corale gregoriano, con delle note antiche, quadrate in quattro-quarti,
con dei caratteri tinti in un rosso sangue carmine, che parla del
notturno di Kumrovec. Tuonano i suoi cannoni mentre dura, questa
veglia determinante per la guerra - ed io, nella mia
solitudine, penso: eccolo Tito che risveglia Kumrovec dal sonno
millenario! Tito si è ribellato contro il medioevo, ha trovato la
strada d'uscita, lui naviga a vele spiegate, e le sue galee navigano
nel porto sicuro della vittoria...


(A cura di DK. Revisione di AM per il CNJ)


=== SRPSKOHRVATSKI ===


Miroslav Krleža:Titov povratak 1937

Stoji Tito pred svojom kućom, a misli mu kruže u ogromnim krugovima oko
starog kumrovečkog krova obraslog mahovinom. Razmišlja o sebi, o svom
žalosnom djetinjstvu, o svjetskom ratu, o kasarnama, o Karpatima, o
logorima i o bojištima, o bitkama kroz koje je prolazio i o velikim
sibirskim rijekama, o ruskom jeziku, što oplakuje kao more kitajske
zidine i mongolske daleke zemlje i narode, razlijevajući se sve tamo
preko Azije do Tihog oceana. Razmišlja Tito o svom vlastitom životu, o
fabrikama po kojima je radio, o sindikatima, o drugovima, o
štrajkovima, o pokretu kome stoji na čelu, o čitavom jednom ljudskom
životu, što se preko Lepoglave i Španije zatvara danas u ogroman krug
bitaka i borbe od Madrida do Kumrovca, i taj nedogledni životni krug
jednog putovanja oko svijeta, traje eto, već čitav jedan život, a ovdje
u Kumrovcu, laju psi kao što su lajali prije trideset i četrdeset
godina, Ni vrata nisu podmazali i krepane mačke bacaju u potok, ni
gnojnice nisu podzidali, kao da se u svijetu ništa ne događa i kao da
se uopće ništa nije dogodilo i kao da Evropa ne stoji pred novim
svjetskim ratom! Puše se i dime kemijski kombinati od Sjevernog ledenog
mora do Urala i Volge, grmi čelična industrija od Vladivostoka do
Magnitogorska, trese se zemlja u svojim sredovječnim temeljima, Amerika
i Evropa kuvaju više od sto miliona tona čelika, grme topovi u Španiji,
Hitler sprema pokolj, dolazi međunarodna oluja, a ovdje laju psi i
vonjaju jame kao u Keglevićevo doba tlake i robote. Sprema se nova
međunarodna katastrofa, fašistički gorila brusi svoje noževe, a kod nas
Kupinec hrče, Kaptol hrče, Kumrovec hrče, čitava naša malograđanska
inteligencija hrče, a Tito stoji usred Kumrovca i osjeća vakuum
sredovječnog zakašnjenja, prokletstvo kumrovečkog nokturna, kada laju
psi i sve stoji ukleto na jednom te istom mjestu. Od Tihog Oceana i od
Španije ližu plamenovi velike revolucije, u rujnom odsjevu titra osvit
požara po bezbrojnim talionicama svijeta, dime se kombinati, puls
svijeta kuca već danas ritmom budućih svijetlih stoljeća, a kod nas
sovuljaga oblijeće oko marijaterezijanskih zvonika: i sve je dosadno
staro kumrovečko groblje i truli most, te prijeti da će se srušiti pod
malo glasnijom stopom noćnog samotnika. U tihom završnom trenutku ovog
lirskog solilokvija, u posljednjim tonovima kantilene tog melankoničnog
monologa, Titov glas promijenio je sjaj i njegove svijetloplave oči
golubinje prelile su se ocalnim, tamnomodrim, metalnim prijelivom i
potamnile kao tinta. Dobročudna, mekana igra usana ustitrala je od
prkosne, tvrde, kao od kamena klesane crte i u onom pogledu, u onom
glasu javio se nekakav neodređen i sugestivan izraz pun bola i nemira.

- Kumrovec hrče, bog ga blagoslovio, pak dokle će kod nas sve da hrče,
zapitao se Tito bijesno, gotovo nervozno, s onim violentnim akcentom,
kojim se u našem jeziku skidaju s neba sva božanstva višeg i nižeg rada.

- Mi stojimo pred novim svjetskim ratom, i ako nas ne bude spasila naša
vlastita pamet, neće nas spasiti ništa! I to je ono što bi trebalo
objasniti i Kumrovcu i Kupincu, i glupim našim čaršijama od Ljubljane
do Beograda! Ne padaju pečeni golubovi s neba.

Ime Titovo postalo je danas dramatskim simbolom pokoljenja svih naših
naroda, otkada se piše historija krvlju i mesom naših naroda. U
brodolomu, koji od svih naših brodoloma bio najbeznadniji, pojavio se
on sa lenjinskom buktinjom u mraku i njegov put od Kumrovca i Jajca, do
Beograda i do Zagreba put je našeg naroda, da bi od sredovječnog,
zaostalog čovjeka postao građaninom budućih sretnijih stoljeća: to je
pokret za našom vlastitom civilizacijom pod svaku cijenu. To je naša
historijska volja koja se objavljivala u mnogobrojnim naporima kroz
vjekove, i ako se može tako reći, to je volja za preobražajem i
oslobođenjem u višim društvenim silama čitavog svijeta, na temelju
iskustva iz prvog i drugog svjetskog rata i teške političke podzemne
borbe, koja je trajala decenijama i stajala bezbrojno mnogo žrtava.
Tito, to je slavoluk između mrkih i krvavih zidina naše sredovječne
prošlosti i put do civilizacije, koja neće više da bude robovanje tuđim
bankama, tuđim neistinama i predrasudama. To je karteča koja se kroz
dim i maglu naše zaostalosti probila kao usijani znamen nad zvjezdanim
barjacima naše suvremene političke svijesti.

Kada su se u ovom ratu za dugih noćnih bdjenja oko 1943. do 1944. od
vremena na vrijeme čuli Titovi topovi kako gunđaju čitave noći oko
Zagreba, često sam prisluškivao toj noćnoj grmljavini. Uvijek me je
pred očima bila jedna te ista slika iz godine tridesetsedme; sjedi Tito
pred pergamenom fjorentinske svjetiljke, u žućkastom sjaju
rasvjetljenog gregorijanskog korala sa starinskim, četverouglastim
notama kvadrakvatrama u krvavoj transparentnoj boji karminskih slova, i
priča o kumrovečkom Nokturnu. Grme njegovi topovi, traje sudbonosno
ratno bdjenje a ja mislim u svojoj samoći: gle, Tito budi Kumrovec iz
hiljadugodišnjeg sna! Tito se pobunio protiv srednjeg vijeka, on je
našao izlaz, on plovi punim jedrima i njegove galije putuju u sigurnu
luku pobjedu...


(iz: http://de.geocities.com/opiumzanarod/tekstovi/povratak.htm )

(english / italiano)

Un Primo Ministro col Kalashnikov
(Renate Flottau, Der Spiegel 13/12/2004)

A Prime Minister with a Kalashnikov
(By Renate Flottau , Der Spiegel 13/12/2004)

(ORIGINAL:
"Kosovo: Premier Haradinaj unter Kriegsverbrecher-Verdacht"
von Renate Flottau - aus: Der Spiegel, 51/2004)


--- italiano ---

URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/texte.phtml?section=&object_id=23391
Balcani

Un Primo Ministro col Kalashnikov

Renate Flottau

Il 3 dicembre l’ex comandante del Kosovo Liberation Army (UCK, ndt),
Ramush Haradinaj, è diventato primo ministro del Kosovo occupato.

Haradinaj è tuttora accusato di aver assassinato 67 serbi e di aver
ordinato l’uccisione di altri 267. Ma non importa, due settimane fa è
diventato primo ministro del Kosovo. Tuttavia, sembra che il suo
mandato sarà breve, poiché sia il tribunale per i crimini di guerra
de L’Aja che i serbi gli stanno col fiato sul collo.

[Nota dell’autore: il KLA non è mai stato perseguito per crimini di
guerra dall’ICTY (tribunale penale internazionale) ed è improbabile
che un tribunale illegale come quello de L’Aja proceda ulteriormente]

Haradinaj è un uomo che si è fatto conoscere per la sua abilità nel
combattere corpo a corpo e nel maneggiare un Kalashnikov. Tra i suoi
aveva fama di comandante di ferro ribelle durante la guerra nella
campagna meridionale della Serbia.

Nel 1999, la forza internazionale per il mantenimento della pace nel
Kosovo, il KFOR, prese il comando. Ramush Haradinaj, fino ad allora
comandante del KLA, si spogliò della sua immagine di guerrigliero,
cambiò la sua uniforme con vestiti su misura e cravatte realizzate
da stilisti famosi, fondò un suo partito e, seduto comodamente su
una pesante poltrona di pelle di colore verde scuro, annunciò: “Sarò
il presidente o il primo ministro del Kosovo, perché rappresento la
speranza e il futuro del mio popolo”. L’ affermazione di Haradinaj è
divenuta realtà il 3 dicembre, quando a 36 anni è diventato primo
ministro della travagliata provincia.

La sua ‘Alleanza per il Futuro del Kosovo ’, che alle elezioni di
ottobre è emerso come il terzo partito del parlamento kosovaro,
[ottenendo solo l’8 % dei voti] è entrato a far parte della
coalizione di governo con la Lega Democratica – il partito del
presidente kosovaro Ibrahim Rugova.


La faida tra i partiti politici in Kosovo

Secondo quanto si dice, una delle ragioni più valide che ha spinto
Rugosa all’alleanza ha a che vedere con la sicurezza. Si tratta di
una coalizione improbabile, specialmente se si considera i rapporti,
risaputamene tesi, tra lui e Haradinaj.

Si dice che sin dalla fine della guerra in Kosovo, siano stati commessi
più di 70 omicidi in tre regioni della provincia: Decani, Klina e
Pec. Tutti questi casi sono stati collegati a una sanguinosa faida
politica tra le due parti, considerato che la maggior parte delle
vittime erano membri dei partiti di Haradinaj e di Rugosa. Nel 2002,
una corte ha condannato il fratello di Haradinaj, Daut, a cinque
anni di prigione per il suo presunto ruolo nell’omicidio di quattro
albanesi sostenitori di Rugova.

Tuttavia, la reputazione sanguinaria del nuovo capo di stato kosovaro,
un tempo volontario dell’Esercito del Popolo Jugoslavo, non è
limitata alla potenza dei suoi pugni e alle sue occasionali minacce
di spogliare i suoi avversari, legarli a dei pali e trascinarli per
le strade della capitale kosovara, Pristina.

Il tribunale per i crimini di guerra de L’Aja ha indagato sui crimini
di guerra presumibilmente commessi dal KLA. In novembre, Haradinaj,
chiamato “il Pugno di Dio” dai suoi sostenitori, ha passato due
giorni a testimoniare davanti agli investigatori del tribunale di
Pristina. Haradinaj stesso era oggetto di un’indagine per crimini di
guerra da lui presumibilmente commessi nel 1998 e nel 1999.


Un primo ministro con le mani sporche di sangue

Belgrado dichiara di aver scoperto delle prove incriminanti contro
Haradinaj. Secondo i rapporti dei media della capitale serba, il
nuovo primo ministro kosovaro uccise 67 serbi e, in quanto
comandante del KLA nella regione Decani, ordinò lo sterminio di
altre 267 vittime. Il governo di Belgrado è indignato e, alla luce
della nomina di Haradinaj alla carica di primo ministro, ha minacciato
di boicottare ogni futuro dialogo con Pristina.

L’amministrazione delle Nazioni Unite non è impressionata. Il capo
della Missione in Kosovo delle Nazioni Unite (UNMIK), Soeren
Jessen-Petersen, ha obiettato alla richiesta del governo serbo di
rimuovere Haradinaj dall’incarico. Secondo Jessen-Petersen,
Haradinaj è stato eletto “legittimamente e democraticamente”.

Javier Solana, l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la
Politica Estera e la Sicurezza Comune, è leggermente irritatoil quale
si è lamentato per la presenza di una “persona inconveniente” che
complica inutilmente la situazione. Tuttavia, Haradinaj è certo
dell’appoggio dell’ONU almeno finché continuerà a esprimere il suo
sostegno per una futura decentralizzazione del Kosovo e finchè si
impegnerà a intrattenere “relazioni di buon vicinato” con Belgrado,
garantendo una società multi-etnica. L’ONU è stata inoltre
tollerante verso la promessa di Haradinaj riguardo l’indipendenza
del Kosovo nel 2006 e per la nomina, da parte sua, di alcuni ex
comunisti in qualità di suoi consiglieri.

Nonostante tutto, molti credono che la durata in carica del nuovo primo
ministro potrebbe finire con l’essere ancora più breve della sua
precedente carriera di combattente ribelle. L’ambasciatore tedesco
in Serbia, Kurt Leonberger, ha già avvertito che probabilmente
Haradinaj si “arrenderà volontariamente, nonostante la sua posizione
di primo ministro, appena verrà accusato dal tribunale de L’Aja”.


Il sostegno americano a Haradinaj

Una decisione riguardo l’accusa di Haradinaj sarà presa tra poco, ma
l’indagine del tribunale svolgerà presumibilmente un ruolo assai
minore rispetto a quello preannunciato. Gli americani hanno un chiaro
interesse nel far si che Haradinaj sia loro partner nelle
negoziazioni riguardo il futuro del Kosovo programmate per il
prossimo anno: dietro le sbarre non sarebbe loro di alcun aiuto.
Washington spera che il precedente ruolo svolto da Haradinaj
nell’ala militante del KLA gli darà abbastanza credibilità per
convincere i compagni kosovari della necessità di alcuni, seppur
spiacevoli, compromessi.

Inoltre, l’albanese che, primo di sette figli, emigrò in Svizzera
all’età di 21 anni, dove lavorò inizialmente come allenatore ginnico
e poi come buttafuori di nightclub prima di entrare nel KLA in qualità
di commerciante d’armi, è stato uno dei più fedeli alleati del
governo americano fin dal bombardamento della Jugoslavia da parte della
NATO.

La Casa Bianca lo scelse come leader dell’etnia albanese in Kosovo già
pochi mesi dopo la fine della guerra. Il governo americano voleva che
Haradinaj sostituisse l’ex membro combattente del KLA Hashim Thaci
in qualità di partner per la negoziazione internazionale in Kosovo,
dopo che Thaci era stato discreditato per il suo torbido passato.

Tuttavia, prima che ciò potesse accadere, il “Pugno di Dio” colpì
ancora una volta. Nel maggio del 2000 si trovò coinvolto in un
combattimento con le truppe KFOR russe. Poco tempo dopo, Haradinaj
rimase seriamente ferito durante una battaglia armata con i serbi e
venne trasportato all’ospedale militare americano di Landshut, in
Germania.In apparenza Haradinaj è uscito da quell’incidente più
spavaldo che mai.

La scorsa settimana ha annunciato di non avere alcuno scrupolo nel
visitare Belgrado. I serbi sono stati rapidi nel provvedere ad ogni
cosa. Haradinaj sarà più che benvenuto nella loro capitale: in
effetti, hanno già pronto un mandato d’arresto.


Fonte: http://globalresearch.ca/articles/FLO412B.html
Traduzione di Loredana Stefanelli per Nuovi Mondi Media


--- english ---

http://service.spiegel.de/cache/international/spiegel/
0,1518,333088,00.html

Der Spiegel - December 13, 2004

A Prime Minister with a Kalashnikov

By Renate Flottau

Former Kosovo Liberation Army commander Ramush
Haradinaj stands accused of murdering 67 Serbs and
ordering the deaths of 267 others. No matter: he
became prime minster of Kosovo two weeks ago. But his
reign, it seems, may be a short one. The war crimes
tribunal in The Hague, and the Serbs, are on his tail.

He's a man who made a name for himself with his
hand-to-hand combat skills and his ability to handle a
Kalashnikov rifle. He was famous among his supporters
as a tough-as-nails rebel commander during the war in
the southern Serbian countryside.

But then the Kosovo international peacekeeping force,
KFOR, took over in 1999. Ramush Haradinaj, commander
of the KLA until then, quickly shed his guerilla
image, traded in his fatigues for tailored suits and
designer ties, founded his own political party and,
sitting comfortably in a heavy, dark green leather
chair, announced: "I will be the president or prime
minister of Kosovo, because I represent hope and the
future of my people."

Haradinaj's second coming became reality on December
3, when the 36-year-old ethnic Albanian became prime
minister of the troubled province. His Alliance for
the Future of Kosovo, which emerged from the October
elections as the third-largest party in Kosovo's
parliament [receiving only 8% of the vote], entered
into a ruling coalition with the Democratic League -
the party of Kosovan President Ibrahim Rugova.

Kosovo fueding political parties

According to the local rumor mill, one of Rugova's
strongest reasons for entering into this alliance had
to do with security. It's an unlikely coalition,
especially when one considers Rugova's strained
relationship with Haradinaj. Since the war in Kosovo
ended, more than 70 murders are said to have been
committed in three of the province's regions, Decani,
Klina and Pec, and each of these cases has been linked
to a political blood feud between the two camps; the
majority of the victims were members of either
Haradinaj's or Rugova's party. In 2002, a court
sentenced Haradinaj's brother, Daut, to five years in
prison for his alleged role in the murders of four
ethnic Albanians considered to be supporters of
Rugova.

But the bloody-hands reputation of the new Kosovan
head of state, once a volunteer with the Yugoslav
People's Army, isn't limited to the power of his fists
and his occasional threats to strip his opponents
naked, tie them to stakes and carry them through the
streets of Kosovo's capital, Pristina.

The war crimes tribunal in The Hague has been
investigating war crimes allegedly committed by the
KLA for some time now. In November, Haradinaj, called
the "Fist of God" by his followers during the war,
spent two days testifying before the tribunal's
investigators in Pristina. Haradinaj, it turned out,
was himself the subject of an investigation into war
crimes he allegedly committed in 1998 and 1999.

Prime minister with blood on his hands

Belgrade, in particular, claims to have uncovered
incriminating evidence against Haradinaj. According to
media reports in the Serbian capital, Kosovo's new
prime minister killed 67 Serbs himself and, as
commander of the KLA in the Decani region, ordered the
extermination of another 267 victims. The government
in Belgrade is outraged and, in light of Haradinaj's
appointment to the office of prime minister, has
threatened to boycott future talks with Pristina.

The United Nations administration isn't impressed. The
head of the UN Mission in Kosovo (UNMIK), Soeren
Jessen-Petersen, rejected the Serbian government's
demand for Haradinaj's removal from office. Haradinaj,
says Jessen-Petersen, was voted into office
"legitimately and democratically."

A mildly irritated Javier Solana, the European Union's
High Representative for the Common Foreign and
Security Policy, has complained about an "inconvenient
person" who is unnecessarily complicating the
situation. But Haradinaj can be assured of the UN
administration's goodwill as long as he continues to
express his support for a future decentralization of
Kosovo to benefit its remaining Serb population and to
strive for "good neighborly relations" with Belgrade
by guaranteeing a multi-ethnic society. The UN
administration has also been tolerant of Haradinaj's
promises of independence for Kosovo by 2006, as well
as of his appointment of former communists as his
advisors.

Nonetheless, many believe that the new prime
minister's term in office could end up being shorter
than his former career as a rebel fighter. The German
ambassador to Serbia, Kurt Leonberger, has already
warned that Haradinaj will be expected to "surrender
voluntarily, notwithstanding his position as prime
minister, the minute he is indicted by the Hague
tribunal."

The US backs Haradinaj

A decision on Haradinaj's indictment will probably be
made in the very near future, but the tribunal's
investigation will likely play a lesser role than
anticipated. As it turns out, the Americans are
interested in Haradinaj acting as their partner at the
status negotiations for Kosovo planned for next year,
and he won't do them much good behind bars. Washington
hopes that Haradinaj's former role in the militant
wing of the KLA will give him enough credibility to
convince his fellow Kosovans of the need for
unpleasant compromises.

Besides, the ethnic Albanian, who, as the eldest of
seven children, emigrated to Switzerland at the age of
21, where he first worked as a gymnastics coach and
nightclub bouncer before joining the KLA as a weapons
buyer, has been one of the US government's closest
allies ever since the NATO bombardment of Yugoslavia.

In fact, he was already the White House's top pick as
the new leader of Kosovo's ethnic Albanians a few
months after the war ended. The US government wanted
Haradinaj to replace former fellow KLA fighter Hashim
Thaci as the international negotiating partner in
Kosovo after Thaci was discredited for his shady past.

Before this could occur, however, the "Fist of God"
struck once again. In May 2000, he got into a fight
with Russian KFOR troops. A short time later,
Haradinaj was severely injured in a gun battle with
ethnic Serbs, and was flown to the US military
hospital in Landshut, Germany.

Haradinaj apparently emerged from the incident as bold
as ever. Last week he announced that he has no qualms
about visiting Belgrade. The Serbs were quick to issue
a comeback: Haradinaj would be more than welcome in
their capital. In fact, they've already issued a
warrant for his arrest.


Translated from the German by Christopher Sultan

MICHEL COLLON (31.12.04)
Was it possible to avoid the deaths of "tsunami"?

Yes, say the scientists. In placing, as they had asked, two 'tsuna-meters'
(buoys endowed of seismographs) in order to measure the impact of the
earthquakes. The risks of the Indian Ocean were known.

Complicated? No. Since fifty years, the United States installed six [tsuna]
meters in order to protect their coasts.

Expensive? 250.000 $ piece. What costs the machine of war of Pentagon to
every second (1,5 billion $ per day).

Too expensive nonetheless? Yes. The scientists had not gotten the credits.
How much a human life in our system is worth?

That's not all. It seems that the authorities of Asia could have been
prejudiced. Indeed, the scientists working for the National Oceanic &
Atmospheric Administration of the United States warned well in advance the
basis military US of Diego Garcia, who hardly underwent of damages.

But it seems that they didn't unhook a telephone in order to warn the
governments of Asia, according to the accusations of two US citizens (*).
They would have just sent a mail in Indonesia without taking care of the
following.

If they had been aware, the victims would have been able to withdraw toward
the interior or place in height. 10 or 15 meters making the difference
between the life and the disaster. How can we explain this contempt for the
lives of third world and some simple tourists?

Of course, the local governments and those of the rich countries should also
be asked because they did not finance these 'tsunameters.' And it is not the
first time that one installs an tourist industry [touristique] in a risky
zone.

But, in these tragic moments, what is going to make the most powerful man of
world? Bush threw an alms of 15 millions $. Are a thousandth that he spent
against the Iraqi people. But, of course, the war brings huge profits to the
multinationals, the war helps to intimidate and maintain their domination
over the world.

This disaster gives us to think:
1. Yes, the disasters are 'natural', but most of their human aftermath could
be avoided or diminished. Question of priority in the expenses.
2. A society where science and technology are so developed and do not serve,
is it not an absurd society?
3. For what should we spend billions? To make war or to save some lives?
4. Can the knowledge remain monopolized in the rich countries? The experts
and the necessary knowledge existed, but in the wrong place. Because the
brains are acquired like of vulgar goods and monopolized.
5. An other world is not only possible, but indispensable. The one that will
replace the dictatorship of maximum profit of the multinationals by
cooperation and solidarity between the people.

(*) Communiqué of the International Center Action (USA), Sara Flounders and
Dustin Langley, in on our (French) site: www.michelcollon.info
http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2004-12-30%2011:30:09&log=invites

APPELLO PER AGEVOLARE IL RIENTRO E LA PARTENZA DEGLI IMMIGRATI
RESIDENTI IN ITALIA E ORIGINARI DEI PAESI COLPITI DAL MAREMOTO IN ASIA

 

Le cifre crescenti di morti e dispersi che giungono dall’Asia
meridionale danno via via che i giorni passano la misura di una
tragedia impensabile fino a qualche giorno fa, e che ha coinvolto
cittadini di vari paesi del mondo; da qui possiamo solo immaginare le
enormi difficoltà in cui versano ora i sopravvissuti, spesso lasciati
senza soccorso e ancora intenti a seppellire i corpi dei loro cari
morti. Parenti e amici di quelle persone lontane colpite da morte e
distruzione vivono e lavorano intorno a noi, nelle nostre città: più
numerosi gli immigrati da Sri Lanka e India, ma sicuramente anche
provenienti dagli altri Paesi coinvolti. Anch’essi si trovano ad
affrontare – oltre allo shock della distruzione del proprio Paese e
della perdita di parenti e amici – ostacoli legati alle leggi
sull’immigrazione, se recatisi in patria per le vacanze di fine anno
ora debbano rientrare e magari abbiano perso tutto nella tragedia, o se
per gravi motivi intendano recarsi là in questi giorni. Come segno
tangibile di sostegno nei loro confronti, e nello spirito delle
dichiarazioni del Ministro Pisanu, il quale ha dichiarato di voler
agevolare il rientro degli immigrati da quei Paesi, proponiamo, come
comunità di immigrati qui residenti, come associazioni antirazziste e
di solidarietà, come partiti e come società civile, i seguenti atti, da
adottare rapidamente vista la gravità della situazione:

 

-         una proroga oltre la data del 15 febbraio indicata dalla
circolare del Prefetto Pansa per il rientro degli immigrati muniti di
ricevuta di rinnovo del permesso di soggiorno, e che si trovavano nei
loro Paesi al momento della tragedia, o che vi si stanno recando in
questi giorni per il riconoscimento delle vittime o per prendersi cura
dei familiari sopravvissuti; 

-         di consentire il rientro in Italia degli immigrati che hanno
perso i propri documenti durante il grave disastro, dando disposizioni
alle autorità di frontiera italiane, alle ambasciate italiane nei paesi
colpiti e a qualunque altra organizzazione umanitaria presente sul
posto di accertare il diritto al rientro e alle compagnie aeree di
accettare autocertificazioni riguardanti i propri titoli di soggiorno
in Italia; 

-         di istituire uno sportello dedicato presso l’Ufficio
Stranieri di Roma e delle principali Questureinteressate dalla presenza
di cittadini provenienti dai Paesi colpiti dal maremoto, per coloro che
volessero recarsi nei Paesi di origine per i gravi motivi familiari di
cui sopra, e avendo il permesso di soggiorno in scadenza non sono
riusciti ancora ad avere un appuntamento per il rinnovo presso il
Commissariato di competenza, e non sono pertanto in condizioni di
mostrare la ricevuta di richiesta rinnovo;

-         preso atto della situazione senza precedenti, emettere un
provvedimento speciale ad hoc per permettere il rientro in Italiaanche
a quegli immigrati non regolarmente presenti che abbiano avuto vittime
tra i loro familiari nel Paese di origine, rilasciando loro un permesso
di soggiorno straordinario per motivi umanitari.

 

 

Chiediamo dunque un incontro urgente con il Dipartimento Libertà Civili
e Immigrazione del Ministero dell’Interno al fine di sottoporre i punti
sopra indicati, giudicati i più urgenti ed importanti da affrontare al
momento per agevolare gli immigrati presenti in Italia provenienti dai
Paesi colpiti dall’immane tragedia, per dare un segnale concreto della
solidarietà dell’Italia e dell’attenzione alla loro sofferenza in
questi tragici momenti.

 

 

Primi firmatari: JVP Sri Lanka – Comitato in Italia; Associazione
Solidarietà Italia-Sri Lanka; Associazione Senzaconfine; Action;La
Federazione Rappresentanze Sindacali di Base,RdBCUB,Redazione
multietnica Koinè,La Casa dei diritti sociali-FOCUS,Doriana Goracci
(Donne in Nero Tuscia), Circolo del Prc di Capranica "Che
Guevara",Coordinamento cittadino di lotta per la casa – Roma,ICS -
Consorzio Italiano di Solidarietà……………..

 

Per firmare l’appello: jvpitalia@... - srilankesi@... -
senzaconfine@...

 

 Info: Adikari 3396386214 - Alessia 3498327322 – Giovanna 3200897046

[ Sul tema si veda anche la documentazione alla pagina
https://www.cnj.it/documentazione/guerrachimica.htm ]

Venerdì 7 gennaio 2005 ore 17,00
L'AQUILA
PALAZZETTO DEI NOBILI Piazza dei Gesuiti

Proiezione del film
BOMBE SULLE INDUSTRIE CHIMICHE
di Sascha Adamek
Presentazione a cura del Prof. Alberto Tarozzi
Scienziate e scienziati contro la guerra

"La guerra ecologica dietro la guerra umanitaria".
Il filmato fornisce una documentazione scientifica chiara e rigorosa su
come sono stati condotti i bombardamenti della Nato contro la
ex-Jugoslavia sulle raffinerie e i petrolchimici di Pancevo e Novi Sad:
una guerra ecologica con conseguenze altamente cancerogene per
l'immissione di composti chimici nell'aria, i rischi di infiltrazione
nelle falde acquifere e nella catena alimentare e con la devastazione
dell'economia agricola del paese. La versione italiana del film è stata
curata dal Prof. A.Tarozzi insieme al Laboratorio di Sociologia Visuale
dell'Università di Bologna.

Organizza
E.Co.FeBio Onlus
in collaborazione con
Gruppo NoWTO AQ, Laboratorio Politico e Giovani Comuniste/i

[ Nel nuovo Stato Indipendente Croato di Tudjman e Mesic, in procinto
di essere annesso all'Unione Europea (per meriti di guerra?), la
memoria della Unita' e della Fratellanza jugoslave deve essere
distrutta con la violenza.
Dopo il sangue versato per ripulire "etnicamente" il paese, e' adesso
la volta del principale simbolo di un'era di pace e di socialismo: la
statua di bronzo di Josip Broz Tito, nota opera d'arte dello scultore
Gustincic, posta dinanzi alla casa natale di Kumrovec, e' stata fatta
saltare in aria.

Stevan Mirkovic della Lega dei Comunisti Jugoslavi in Serbia (SKJ u
Srbiji) e Rudolf Baloh del Partito Comunista di Slovenia commentano
questo gesto infame, compiuto per Natale da quei fascisti che da 15
anni governano di fatto la Croazia.

Eppure, in base a tutti i sondaggi, Tito viene considerato tuttora "il
miglior figlio della Croazia" dalla maggiorparte dei croati - vedi: The
'Greatest Croat'
http://balkanreport.tol.cz/look/BRR/
article.tpl?IdLanguage=1&IdPublication=9&NrIssue=1&NrSection=1&NrArticle
=11440
e molti altri link alla pagina:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4090 ]

( A cura di Italo Slavo. Sulla vicenda della distruzione della statua a
Kumrovec vedi anche:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4130 )


Bronzanom junaku odsecaju glavu

iz: http://komunist.free.fr/

1. Srušen Titov spomenik u Kumrovcu (IskonInternet)
2. Osuda terorizma u Kumrovcu (Komunisticne partije Slovenije)
3. Bronzanom junaku odsecaju glavu (S. Mirkovic)


=== 1 ===

http://komunist.free.fr/arhiva/dec2004/kumrovec.html
Arhiva : : Decembar 2004.


Srušen Titov spomenik u Kumrovcu

Sedam dana nakon što su poslanici Skupštine Republike Srbije doneli
zakon o rehabilitaciji četničkog pokreta, fašisti u Republici Hrvatskoj
su se potrudili da ne zaostanu za svojim srpskim kolegama po nožu. U
toku noći 26/27. decembra 2004. miniran je spomenik J.B. Tita u
Kumrovcu, remek delo jednog od najvećih jugoslovenskih vajara - Antuna
Augustinčića. Uprkos izjavama predstavnika hrvatskih vlasti, jasno je
da je ovaj vandalski čin samo nastavak politike revanšizma koju je
promovisala ista ova Sanaderova Vlada. Podsetićemo čitaoce Komunista da
je u septembru 2004. Ministarstvo pravosuđa RH izradilo nacrt zakona
kojim se "fašizam i komunizam zabranjuju kao totalitarne ideologije"
(videti članak Jasne Tkalec Galama u kokošarniku
[http://komunist.free.fr/arhiva/sep2004/tkalec.html%5d). Ekstremna
desnica je to shvatila kao poziv na obračun sa svim tekovinama NOB i
već tada su najavljene rušilačke akcije. Tekst koji sledi preuzet je sa
portala IskonInternet.


U eksploziji koja se dogodila u noći s nedjelje na ponedjeljak kod
spomenika Josipa Broza Tita u Kumrovcu srušena je brončana skulptura s
postolja, a s torza skulpture otkinuta je glava.

Na konferenciji za novinare Ministarstva unutarnjih poslova, koju su u
klanječkoj policiji održali glasnogovrnik MUP-a Zlatko Mehun i načelnik
PU krapinsko-zagorske Željko Cujzek, rečeno je da još nema podrobnijih
saznanja o počiniteljima tog vandalskog čina.

U suradnji sa slovenskom policijom PU krapinsko-zagorska i varaždinska
blokirale su sve izlaze iz Kumrovca prema Republici Sloveniji, a
postavljeno je devet policijskih ophodnji.

U eksploziji je oštećena i Brozova rodna kuća, ugostiteljski objekt
nasuprot Brozove kuće i Upravna zgrada Etnosela Kumrovec, na kojima su
popucali prozori.

Istraga je u tijeku.


Vlada, Ministarstvo kulture i SDP osudili rušenje spomenika

Vandalski čin rušenja spomenika Josipu Brozu Titu najoštrije je osudila
i hrvatska Vlada. Nakon dojave o eksploziji Vlada je od policije
zatražila da učini sve da se počinitelji tog kažnjivog djela što prije
otkriju i primjereno kazne, navodi se u priopćenju vladina Ureda za
odnose s javnošću.

Ministar Biškupić je, pak, ispred Ministarstva kulture najoštrije
osudio rušenje spomenika u Kumrovcu.

"Taj barbarski čin nedvojbeno dokazuje pokušaj narušavanja
civilizacijskih i kulturoloških normi hrvatske države. Svaki je djelić
hrvatske kulture, a posebno kada je riječ o vrhunskim djelima kao što
je skulptura autora Antuna Augustinčića, od neprocjenjive vrijednosti",
priopćio je ministar kulture Bozo Biškupić.

Biškupic napominje da će Ministarstvo kulture nakon očevida hitno
sanirati nastalu štetu na objektima i spomeniku.

I šef SDP-a Ivica Račan oštro je osudio rušenje spomenika Josipa Broza
Tita, ocijenivši da je taj vandalski čin politički motiviran, u cilju
zaustavljanja europskog i demokratskog puta Hrvatske. Počinitelji tog
vandalskog čina očito su htjeli poručiti demokratskoj Hrvatskoj da su
još uvijek tu, a to je, kaže Račan, poruka i "onima koji su ih do jučer
štitili ili pred njihovim djelovanjem zatvarali oči". Upitan tko su to
"oni", odgovorio je da su mnogi u HDZ-u prošlih godina zatvarali oči
pred djelovanjem "mračnih radikalno desničarskih snaga". "Zatvaranje
očiju, umanjivanje karaktera tog djelovanja ne pomaže demokraciji i po
nju može biti opasno", ocijenio je.

Izvor: IskonInternet
http://www.iskon.hr/vijesti/page/2004/12/27/0022006.html


=== 2 ===

http://komunist.free.fr/arhiva/dec2004/kps.html
Arhiva : : Decembar 2004.

Osuda terorizma u Kumrovcu

Bedne fašistične kukavice i izrodi ljudske civilizacije su srušili
bistu Josipa Broza Tita ispred njegove rodne kuće u Kumrovcu. Spomenik
je umetničko delo Antuna Augustinčića jednog od najznačajnijih umetnika
Jugoslavije. Tim sramnim i krajne primitivnim činom planirali su naneti
što veći šok, bol i stid kod Titovih sledbenika ali u tome nisu uspeli!
SVI civilizovani i kulturni ljudi, od seljaka, radnika, učenika,
studenta do obrazovanih intelektualaca i političara su najoštrije
osudili taj sramni i bedni čin. Fašistički teroristi imaju kompleks
manje vrednosti i strah od Titove veličine tako, da posle razbijanja
Jugoslavije hoće da unište svaki trag bratstva i jedinstva i
socializma. Eksplozija koja je srušila Titov spomenik imaće za zlikovce
negativan učinak jer je učvrstila i ujedinila sve častne ljude širom
zemaljske kugle, koji odlučno podupiremo Titovu političku koncepciju
mira, bratstva i jedinstva, socializma, samoupravljanja i nesvrstanosti!

Revolucionarni biro za javno informiranje
Komunisticne partije Slovenije
Rudolf Baloh


=== 3 ===

http://komunist.free.fr/arhiva/dec2004/mirkovic.html
Arhiva : : Decembar 2004.

Bronzanom junaku odsecaju glavu

Ono što ustaške zveri ni u snu nisu mogle pomisliti dok je bio živ
učinili su njihovi potomci bronzanom Titu u Kumrovcu pre neki dan -
odrubili mu glavu! U toku NOR i dugo posle rata gledali su da budu što
dalje od njega, partizana i komunista, junačeći se nad nenaoružanim
stanovništvom Hrvatske i Bosne. Svoje najveće "bitke" vodili su u
Jasenovcu pobivši više "neprijatelja" nego ijedna regularna vojska u II
svetskom ratu! Partizani su 1945. očekivali da se ustaše neće predati
već otići u šumu i nastaviti gerilsku borbu za "lijepu njihovu".
Međutim, ovi "junaci", preživeli naravno, na čelu sa svojim "hrabrim"
poglavnikom, "zdimili" su preko granice i "pacovskim kanalima"
rimokatoličke crkve pobegli preko Atlantika pod skute države koja je,
već tada, počela prikupljanje svetskog ološa za borbu protiv komunizma
- SAD. Decenijama će, iz svojih američkih i vatikanskih baza,
pokušavati da ubijaju, pale i ruše sve što je jugoslovensko po svetu i,
istina, retko u samoj zemlji.

Jurio ih je Tito po celom svetu. Mnogima je "došao glave" a mnogi su i
sami, pokušavajući da ubacivanjem u zemlju ponovo ubijaju maljem i
kamom, završavali svoj zločinački život od metaka UDB i JNA. Imali su
oni, celo to vreme, svoje pomagače u zemlji jer se hrvatski
nacionalizam, vekovima ukorenjivan, teško čupao. Ipak, njihov glavni
oslonac bile su SAD i Vatikan kao lideri antikomunizma u svetu. Pokušaj
da se domognu vlasti u Hrvatskoj tokom "hrvatskog proleća" 1970. godine
Tito, SKJ i JNA su nemilosrdno sprečili i kaznili.

Međutim, sledeću šansu 1991. godine nisu propustili, zahvaljujući
mlakom, mlitavom i nadasve izdajničkom rukovodstvu zemlje i SKJ.
Preživele ustaše i njihovi potomci vratiće se mlaznjacima u Hrvatsku.
HDZ i F. Tuđman obnoviće NDH sem Jasenovca. Ipak, Srbi i komunisti
nestaće iz Hrvatske. Umesto Jasenovca biće "Bljesak" i "Oluja", "slavne
bitke" u kojima ni hrvatska ni vojska RSK neće opaliti ni metka:
četnici su bežali "glavom bez obzira" a ustaše "bremzale" da ih ne
stignu! Da ne bi sve prošlo bez krvi, vatre i dima ustaše su pobile sve
zaostale Srbe, uglavnom starije, koji i nisu hteli ići iz svojih kuća,
i popalile srpske kuće. Kakav bi to bio Domovinski rat bez ijednog
ubijenog neprijatelja?

Pošto nije bilo živih partizana i komunista da im se suprostave, ustaše
su počele "jurišati" na njihove spomenike. U "domovinskom ratu"
uništeno je oko 3.000 spomenika. Sada je došao na red i Titov spomenik.
To pokazuje da se vlast u Hrvatskoj samo verbalno distancirala od
ustaške i politike HDZ, a da je u praksi dosledno sprovodi. To je
nacionalistička, antikomunistička i antisocijalistička politika. Zato
zvanične izjave političkih lidera i organa vlasti kojima se osuđuje
ovaj "vandalski čin" u Kumrovcu treba shvatiti kao politički marketing
zbog predstojećih izbora jer je poznato da većina stanovništva u
Hrvatskoj iskreno ceni i poštuje Tita i njegovo delo.

Svest o Titu kao najvećem državniku, ne samo hrvatskog, nego i svih
jugoslovenskih naroda, ne može se uništiti eksplozivom. Skoro četvrt
stoleća je prošlo od njegove smrti a on još uvek uzbuđuje i motiviše
većinu nekadašnjih jugoslovenskih državljana da razmišljaju sa setom i
ponosom o njemu i svom nekadašnjem mirnom i lepom životu. Nije to više
samo nostalgija. Ponovo "idemo u partizane". U svim nekadašnjim
jugoslovenskim republikama niču udruženja ljudi koja nose to lepo ime -
Tito. Ljudi u njima počinju da shvataju da ih je mnogo više nego
ustaša, četnika, belogardejaca, balista i drugih fašista. Ali i više, i
to mnogo, od manjine bogatih lopova i pljačkaša njihove zajedničke
imovine. Njih ne pokreće samo antifašizam nego i socijalističke ideje
od kojih su mnoge bile ostvarene u nekadašnjoj SFRJ. Gruba i bezdušna
privatizacija, koja većinu ljudi lišava najznačajnih ljudskih prava -
prava na rad i prava na samoupravljanje, sve više utiče na narastanje
svesti o potrebi organizovane borbe protiv dva najveća zla na
prostorima nekadašnje SFRJ - kapitalizma i nacionalizma.

Otuda treba očekivati od nacionalističkih i kapitalističkih snaga u
Hrvatskoj, a i ostalim nekadašnjim jugoslovenskim republikama, da na
navedeno odgovore kao ustaše u Kumrovcu. Međutim, lično mislim da će
događaj u Kumrovcu povećati broj titoista i učvrstiti sve njih u
uverenju da je trebalo biti uporniji i odlučniji u borbi, od 1980.
naovamo, da bude "I posle Tita Tito"!

Stevan Mirković,
Direktor Centra Tito
Obilićev venac 4/V (Beograd)

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GRAZIE / HVALA / THANKS

(english / francais / italiano)

La negligenza criminale degli Stati Uniti d'America

1. Alcune cifre
2. A Statement from the International Action Center
3. Pouvait-on éviter les morts du tsunami ? (M. Collon)


=== 1 ===

Da: Marco Cervino
Data: Gio 30 Dic 2004 17:48:06 Europe/Rome
A: scienzaepace
Oggetto: [S&P] matter of scale - buon 2005

* impegno amministrazione USA per il disastro asiatico: 35 M$ (NYTimes,
STEVEN R. WEISMAN, 29/12/2004);
* impegno US AID per "emergency disaster relief" globale nell'ultimo
anno: 2400 M$ (ibid);
* impegno amministrazione USA per le operazioni in Iraq nelle ultime
sei ore: 36 M$ (proiezione da quanto ricavabile per 1 minuto, da
National Priorities Project, costofwar.com, ultimo accesso 30/12/2004);
* impegno Congresso USA per le operazioni in Iraq fino al 31-12-2004:
152600 M$ (ibid,
http://www.nationalpriorities.org/issues/military/iraq/highcost/us.pdf
); ulteriori 50000 M$ per il 2005.

( Fonte: Scienzaepace mailing list
http://www.bo.cnr.it/mailman/listinfo/scienzaepace )


=== 2 ===

---- Original Message -----
From: "John Catalinotto" <jcat @ wwpublish.com>
Sent: Wednesday, December 29, 2004 1:27 PM
Subject: 55,000 Dead: The Role of U.S. Criminal Negligence


55,000 Dead: The Role of U.S. Criminal Negligence on a Global Scale
Casualties of a policy of war, negligence, and corporate greed
A Statement from the International Action Center

 
While earthquakes and tsunamis are natural disasters, the decision to
spend 
billions of dollars on wars of conquest while ignoring simple measures
that 
can save human lives is not.
 
At least 55,000 people were killed by the tsunami that devastated
coastlines 
from Indonesia to Somalia. Almost a third of the dead are children. 
Thousands are still missing and millions are homeless in 11 countries. 
Hundreds of thousands have lost everything, and millions face a bleak
future 
because of polluted drinking water, a lack of sanitation and no health 
services, according to UN undersecretary Jan Egeland, who is in charge
of 
emergency relief coordination.
 
Egeland said, "We cannot fathom the cost of these poor societies and
the 
nameless fishermen and fishing villages and so on that have just been
wiped 
out. Hundreds of thousands of livelihoods have gone."
 
No money for early warning system
 
Much of this death and destruction could have been prevented with a
simple 
and inexpensive system of buoys. Officials in Thailand and Indonesia
have 
said that an immediate public warning could have saved lives, but that
they 
could not know of the danger because there is no international system
in 
place to track tsunamis in the Indian Ocean.
 
Such a system is not difficult or expensive to install. In fact, the 
detector buoys that monitor tsunamis have been available for decades
and the 
U.S. has had a monitoring system in place for more than half a century.
More 
than 50 seismometers are scattered across the Northwest to detect and 
measure earthquakes that might spawn tsunamis. In the middle of the
Pacific 
are six buoys equipped with sensors called "tsunameters" that measure
small 
changes in water pressure and programmed to automatically alert the 
country's two tsunami-warning centers in Hawaii and Alaska.
 
Dr. Eddie Bernard, director of the NOAA Pacific Marine Environmental 
Laboratory in Seattle, says just a few buoys could do the job.
Scientists 
wanted to place two more tsunami meters in the Indian Ocean, including
one 
near Indonesia, but the plan had not been funded, said Bernard. The 
tsunameters each cost only $250,000.
 
A mere half million dollars could have provided an early warning system
that 
could have saved thousands of lives. This should be compared to the 
$1,500,000,000 the U.S. spends every day to fund the Pentagon war
machine. 
This means that for what the U.S. is spending for less than one second
of 
bombing and destruction it could construct a system that could have 
prevented thousands of needless deaths. Lack of funding for an
inexpensive, 
low-tech early warning system is simply criminal negligence.
 
Indian Minister of State for Science and Technology Kapil Sibal said,
"If 
the country had such an alert system in place, we could have warned the 
coastal areas of the imminent danger and avoided the loss of life." But 
there is no room in the Bush budget for such life-saving measures; the
U.S. 
government's priorities are corporate profit and endless war.
 
At a meeting of the UN Intergovernmental Oceanographic Commission in
June, 
experts concluded that the "Indian Ocean has a significant threat from
both 
local and distant tsunamis" and should have a warning network. But no
action 
was agreed upon. Geologist Brian Atwater of the U.S. Geological Survey
said, 
"Sumatra has an ample history of great earthquakes, which makes the
lack of 
a tsunami warning system in the Indian Ocean all the more tragic.
Everyone 
knew Sumatra was a loaded gun."
 
U.S. government failed to warn region
 
Although the local governments had no real warning, the U.S. government
did, 
and it failed to pass along the information. Within minutes of the
massive 
9.0 magnitude earthquake off the coast of Indonesia, U.S. scientists
working 
with National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) suspected
that a 
deadly wave was spreading through the Indian Ocean. They did not call
anyone 
in the governments in the area. Jeff LaDouce, an official in the
National 
Oceanic and Atmospheric Administration, said that they e-mailed
Indonesian 
officials, but said that he wasn't aware what happened after they sent
the 
e-mails.
 
In this day of instant communications, controlled in a large part by
the 
U.S., it is possible to communicate within minutes to every part of the 
globe. It is beyond belief that the officials at the NOAA could not
find any 
method to directly and immediately contact civilian authorities in the
area. 
Their decision not to do so may have cost thousands of lives.
 
Even a few minutes warning would have given the inhabitants a chance to
seek 
higher ground. The NOAA had several hours notice before the first waves
hit 
shore. Tim Walsh, geologic-hazards program manager for the Washington
State 
Department of Natural Resources, said, "Fifty feet of elevation would
be 
enough to escape the worst of the waves. In most places, 25 feet would
be 
sufficient. If you go uphill or inland, the effect of the tsunami will
be 
diminished." But the inhabitants of the area weren't given the warning
- as 
a result, television and radio alerts were not issued in Thailand until 
nearly an hour after the waves had hit and thousands were already dead.
 
The failure to make any real effort to warn the people of the region, 
knowing that tens of thousands of lives were at stake, is part of a
pattern 
of imperial contempt and racism that has become the cornerstone of U.S. 
policies worldwide.
 
The NOAA immediately warned the U.S. Naval Station at Diego Garcia,
which 
suffered very little damage from the tsunami. It is telling that the
NOAA 
was able to get the warning to the US Navy base in the area, but
wouldn't 
pick up the phone and call the civil authorities in the region to warn
them. 
They made sure that a US military base was notified and did almost
nothing 
to issue a warning to the civilian inhabitants who were in the direct
path 
of the wave--a warning that might have saved thousands of lives. This
is 
criminal negligence.
 
Disease may kill tens of thousands more
 
The 55,000 deaths directly resulting from the tsunami are just the
beginning 
of the tragedy. Disease could claim as many victims as have been killed
in 
the weekend's earthquake-sparked tsunami, according to the World Health 
Organization (WHO). Medical experts warn that malaria, cholera and
dengue 
fever are expected to pose serious health threats to survivors in the
area, 
where waves spoiled drinking-water supplies, polluted streets and homes
with 
raw sewage, swept away medical clinics, ruined food stocks and left
acres of 
stagnant ponds where malaria-carrying mosquitoes can breed.
 
"The biggest threat to survivors is from the spread of infection
through 
contamination of drinking water and putrefying bodies left by the
receding 
waters," said Jamie McGoldrick, a senior U.N. health official.
 
"Within a few days, we fear, there is going to be outbreaks of
disease," 
Indonesian Vice President Jusuf Kalla said. "Cholera is going to be a 
problem. This is going to be the most important thing in a few days."
 
The response of the U.S. government to this emergency is to offer a
paltry 
$15 million "aid package." To put this in perspective, this is one
tenth of 
one percent of what Washington has spent thus far on the war against
the 
people of Iraq.
 
Money for human needs, not for war
 
The U.S. and British governments owe billions of dollars in reparations
to 
the countries of this region and to all other formerly colonized
countries. 
The poverty and lack of infrastructure that contribute to and
exacerbate the 
scope of this disaster are the direct result of colonial rule and 
neo-colonial policies. Although economic and political policies cannot 
control the weather, they can determine how a nation is impacted by
natural 
disasters.
 
We must hold the U.S. government accountable for their role in tens,
perhaps 
hundreds, of thousands of deaths. We must demand that it stop spending
$1.5 
billion each day for war and occupation and instead provide health care
for 
the victims of this tragedy, build an early warning system, and rebuild
the 
homes and infrastructure destroyed by the tsunami.
 
 
Sara Flounders
Dustin Langley
for the International Action Center
 

=== 3 ===

MICHEL COLLON

Pouvait-on éviter les morts du tsunami ?

Oui, disent les scientifiques. En plaçant, comme ils l'avaient demandé,
deux 'tsuna-mètres' (bouées dotées de sismographes) pour mesurer
l'impact des tremblements de terre. Les risques de l'Océan Indien
étaient connus.
Compliqué ? Non. Depuis cinquante ans, les Etats-Unis ont installé six
tsuna-mètres pour protéger leurs côtes.
Cher ? 250.000 $ pièce. C'est que coûte la machine de guerre du
Pentagone à chaque seconde (1,5 milliard $ par jour).
Trop cher quand même ? Oui. Les scientifiques n'avaient pas obtenu les
crédits. Combien vaut une vie humaine dans notre système ?

Ce n'est pas tout. Il semble que les autorités d'Asie auraient pu être
prévenues. En effet, les scientifiques travaillant pour la National
Oceanic & Atmospheric Administration des Etats-Unis ont averti bien à
l'avance la base militaire US de Diego Garcia, qui n'a guère subi de
dommages. Mais il semble qu'ils n'ont pas décroché un téléphone pour
avertir les gouvernements d'Asie, selon les accusations de deux
citoyens US (*). Ils auraient juste envoyé un mail en Indonésie sans
s'occuper de la suite.
Si elles avaient été averties, les victimes auraient pu se retirer vers
l'intérieur ou se placer en hauteur. 10 ou 15 mètres faisant la
différence entre la vie et le désastre. Comment expliquer ce mépris
pour les vies du tiers monde et des simples touristes ?
Bien sûr, les gouvernements locaux et les gouvernements des pays riches
peuvent aussi être montrés du doigt pour n'avoir pas financé ces
'tsunamètres'. Et ce n'est pas la première fois qu'on installe une
industrie touristique dans une zone à risque.
En ces moments tragiques, que va faire l'homme le plus puissant du
monde ? Bush a jeté une aumône de 15 millions $. Soit un millième de ce
qu'il a dépensé contre le peuple irakien.
Mais bien sûr, la guerre rapporte gros aux multinationales, la guerre
permet d'intimider et de maintenir leur domination sur le monde.

Ce désastre nous donne à réfléchir :
1. Oui, les catastrophes sont naturelles, mais la plupart de leurs
conséquences humaines pourraient être évitées ou diminuées. Question de
priorité dans les dépenses.
2. Une société où la science et la technologie sont si développées et
ne servent pas, n'est-elle pas une société absurde ?
3. A quoi faut-il consacrer des milliards ? A faire la guerre ou à
sauver des vies ?
4. Le savoir peut-il rester monopolisé dans les pays riches ? Les
experts et les connaissances nécessaires existaient, mais au mauvais
endroit. Car les cerveaux sont achetés comme de vulgaires marchandises
et monopolisés.
5. Un autre monde est non seulement possible, mais indispensable. Celui
qui remplacera la dictature du profit maximum des multinationales par
la coopération et la solidarité entre les peuples.

(*) Communiqué de l'International Action Center (USA), Sara Flounders
et Dustin Langley, en version anglaise sur notre site :
http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2004-12-
30%2011:30:09&log=invites