Informazione

Il 28 giugno all'Aia / 4

italiano / english / srpskohrvatski


=== italiano ===


Di seguito le RICHIESTE presentate all'ICTY, all'ONU, al Consiglio
d'Europa, all'Unione Europea ed al pubblico internazionale dai serbi e
dagli altri cittadini scesi in piazza all'Aja, in occasione della
dimostrazione del 28 giugno (Vidovdan) 2003:

* Convinti che l'ICTY ("Tribunale ad hoc per i crimini commessi sul
territorio della ex-Jugoslavia", con sede all'Aia) sia stato fondato in
violazione della carta ONU e che non ci sia piu' motivo di esistenza di
tribunali "ad hoc" laddove gia' esiste una Corte Penale Internazionale;

* Profondamente allarmati dal fatto che l'ICTY dipenda politicamente e
finanziariamente dai governi che hanno attuato o appoggiato
l'aggressione contro la Jugoslavia, commettendo crimini contro la pace,
crimini di guerra e crimini contro l'umanita' e causando enormi danni
di guerra, come dimostrato inequivocabilmente dal fatto che l'ICTY si
e' rifiutato di iniziare una inchiesta e di formulare accuse contro i
responsabili dei crimini suddetti;

* Disgustati per le massicce violazioni dei diritti umani, per le
violazioni delle disposizioni dell'Accordo Internazionale sui Diritti
Civili e Politici e della Convenzione Europea sui Diritti Umani e le
Liberta' Fondamentali, commesse dall'ICTY quotidianamente, comprese le
morti di 4 detenuti alle quali non ha fatto seguito alcuna seria
inchiesta;

* Rifiutando la violenza praticata o causata dall'ICTY nel nostro
paese, la sua faziosita' e, attraverso i processi intentati ai nostri
leader democraticamente eletti, ai nostri combattenti per la liberta'
ed alla nostra stessa Storia, il tentativo di imporre una condanna
collettiva al popolo serbo mentre si assolvevano i responsabili della
distruzione, della aggressione e della occupazione del nostro paese;

* Sconcertati dalla sistematica violazione, in sede di ICTY, di
elementari principi giuridici, norme e procedure, come risultato
inevitabile della vera funzione di questo ente, che e' quella di
giustificare la aggressione della NATO falsificando la Storia.

* Condannando il criminale rapimento di Slobodan Milosevic, a lungo
presidente della Repubblica di Serbia e della Repubblica Federale di
Jugoslavia, il quale adesso e' illegalmente processato all'Aja e,
privato di necessarie cure mediche, rischia la vita;

* Esprimendo il piu' forte sostegno al presidente Milosevic , che non
riconosce alcuna legittimita' all'ICTY come tribunale ne' alcun diritto
a questo di processarlo, nella sua eroica lotta per la verita', la
giustizia, la liberta' e la dignita' nazionale, lotta attraverso la
quale egli sta difendendo tutti i combattenti per la liberta' e la
uguaglianza tra i popoli.

NOI CHIEDIAMO

1) Il rilascio del presidente Slobodan Milosevic, che e' stato rapito e
rinchiuso illegalmente all'Aia, dove e' stato gia' in grado di
confutare i falsi capi d'accusa con cio' rendendo il piu' grande
contributo possibile alla determinazione della verita' sul popolo
serbo, sulla Jugoslavia e sui crimini commessi contro di questi;

2) L'abolizione dell'ICTY nell'interesse della giustizia, della
liberta' e della democrazia, dell'integrita' delle Nazioni Unite, della
pace nonche' della stabilita' dei Balcani, poiche' l'ICTY e' diventato
uno strumento della aggressione prolungata e della occupazione della
Jugoslavia nonche' dei sistematici attacchi contro il popolo serbo;
alla sua abolizione dovranno fare seguito sanzioni legali contro i
maggiori responsabili di questo abuso senza precedenti della legge e
della Organizzazione delle Nazioni Unite;

3) Il rilascio ed il ritorno di tutti i detenuti dell'ICTY alle loro
giurisdizioni nazionali;

4) Il riconoscimento della giurisdizione della Corte Internazionale di
Giustizia e delle appropriate Corti nazionali, in quanto competenti a
giudicare i crimini contro la pace ed altri terribili crimini quali la
diffusione di odio nazionale e religioso, il secessionismo violento ed
il suo incoraggiamento, il terrorismo, la aggressione della NATO e le
altre forme criminali di pressione e sovversione adoperate contro la
Jugoslavia e contro la Serbia, nonche' in quanto competenti a
determinare l'entita' delle riparazioni dei danni di guerra;

5) La fine delle interferenze negli affari interni della Serbia e della
Jugoslavia;

6) Che, finche' tutte le suddette richieste non saranno adempiute,
senza alcun indugio: si sospenda il processo contro il presidente
Slobodan Milosevic e gli si garantisca una liberta' provvisoria. In
questa maniera egli potra' godere delle necessarie cure mediche e di un
periodo di convalescenza per preparare la sua difesa nelle dovute
condizioni di equita'; che si cessi la campagna mediatica contro di
lui, contro i suoi sostenitori, contro la sua famiglia e contro
l'intero popolo serbo; che si consenta a tutti i detenuti di difendersi
in liberta'; che si sollevino dall'incarico tutti i giudici dei paesi
NATO e la Pubblica Accusa, la cui faziosita' e' notoria; che si avvii
un procedimento legale che consenta di processare per crimini contro la
pace; che si dia inizio ad una inchiesta sui crimini commessi dalla
NATO in Jugoslavia; che si smatta di minacciare la liberta' e la
democrazia in Serbia.

I PARTECIPANTI ALLE DIMOSTRAZIONI DEL 28 GIUGNO 2003 ALL'AIA


=== english ===


To the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia ? The
Hague,
To the Organization of the United Nations ? New York, Geneva,
To the Council of Europe ? Strasburg,
To the European Union ? Brussels,
To the international public
T H E D E M A N D S
of the Serbs and other honest European citizens
gathered at the Demonstration in The Hague on Vidovdan, June 28, 2003

Convinced that the ICTY at The Hague was founded in violation of the UN
Charter and that in the situation where the International Criminal
Court exists there can be no justification for the further existence of
the ad hoc tribunals;
Deeply alarmed by the fact that the ICTY depends politically and
financially on the governments which committed or supported the
aggression against Yugoslavia, perpetrating crimes against peace, war
crimes and crimes against humanity and causing enormous war damage, as
was blatantly proven by the fact that the ICTY declined to launch an
investigation into and issue indictments against those responsible for
the above-mentioned crimes;
Disgusted over the mass violations of human rights, the provisions of
the International Covenant on Civil and Political Rights and the
European Convention on Human Rights and Fundamental Freedoms committed
by the ICTY on a daily basis, including the deaths of four detainees,
followed by no or almost no investigation;
Rejecting the violence committed or caused by the ICTY in our country,
its bias and the attempt, through the trial of our democratically
elected leaders, of our freedom fighters and of our history, to impose
collective guilt on the Serbian people and at the same time to amnesty
those responsible for the break up of our country, aggression and
occupation;
Appalled by the systematic flouting at the ICTY of elementary legal
principles, norms and procedures which is the inevitable result of this
body's function of justifying NATO aggression by falsifying history;
Condemning the criminal abduction of the long term President of the
Republic of Serbia and of the Federal Republic of Yugoslavia Mr.
Slobodan Milosevic, who is on illegal trial at The Hague, with the
life-threatening lack of medical care;
Expressing the strongest support to President Milosevic, who doesn?t
recognize the ICTY as a court nor its right to put him on trial, in his
heroic struggle for truth, justice, freedom and national dignity by
which he is defending all fighters for freedom and the equality of
peoples,

We demand:

Release of President Slobodan Milosevic, who has been abducted and
illegally detained, who has already destroyed all the allegations in
the false indictment and who has thereby made the greatest possible
contribution to the establishment of the truth about the Serbian
people, Yugoslavia and the crimes committed against them;
Abolition of the ICTY in the interest of justice, freedom and
democracy, of the integrity of the UN and of peace and stability in the
Balkans, since the ICTY has become a tool for the prolonged aggression
and occupation of Yugoslavia and systematic attacks on the Serbian
people; followed by legal sanctions against those most responsible for
this unprecedented abuse of the Law and of the UN Organization;
Release and return to national jurisdiction of all ICTY detainees;
Acceptance of the jurisdiction of the International Court of Justice
and of the appropriate national courts in judging the crimes against
peace and other most serious crimes such as the spreading of national
and religious hatred, violent secession and its encouragement,
terrorism, the NATO aggression and other forms of criminal external
pressure and subversion committed against Yugoslavia and Serbia, as
well as in determining just war reparations in compensation for those
crimes;
An end to the pressures and interference in the internal affairs of
Serbia and Yugoslavia;
That until all the above-mentioned demands are fulfilled, it is
necessary without delay to: suspend the trial of President Slobodan
Milosevic and grant him provisional release, so that he can have the
required medical treatment, and a period of recovery and elementary
equality in preparation for his defense; cease the media campaign
against him, his associates, his family and the whole Serbian people;
allow all the detainees to defend themselves from freedom; dismiss all
the judges from NATO countries and the Chief Prosecutor, whose
partiality is notorious; launch a procedure which would allow trials
for the crime against peace; start an investigation about the NATO
crimes in Yugoslavia; cease all threats to freedom and democracy in
Serbia.

PARTICIPANTS IN THE DEMONSTRATIONS ON JUNE 28, 2003 AT THE HAGUE


=== srpskohrvatski ===


Medjunarodnom krivicnom tribunalu za bivsu Jugoslaviju ? Hag,
Organizaciji ujedinjenih nacija ? Njujork, Zeneva,
Savetu Evrope ? Strazbur, Evropskoj Uniji ? Brisel,
Medjunarodnoj javnosti
Z A H T E V I
Srba i drugih casnih gradjana Evrope
okupljenih na demonstracijama u Hagu na Vidovdan 2003. godine

Uvereni da je MKTJ u Hagu stvoren krsenjem povelje UN i da u situaciji
kada postoji Medjunarodni krivicni sud ne moze da se nadje nikakvo
opravdanje daljeg postojanja ad hoc tribunala;
Osvedoceni da je MKTJ politicki i materijalno zavisan od vlada koje su
izvrsile ili podrzale agresiju na Jugoslaviju, kojom su pocinjeni
zlocin protiv mira, ratni zlocini i zlocini protiv covecnosti, uz
ogromnu ratnu stetu, sto u najgrubljem vidu dokazuje cinjenica da je
MKTJ odbio da povede istragu i podigne optuznice protiv odgovornih za
ove zlocine;
Zgrozeni nad masovnim krsenjima ljudskih prava, odredbi Medjunarodnog
pakta o gradjanskim i politickim pravima i Evropske konvencije o
ljudskim pravima i osnovnim slobodama koje MKTJ svakodnevno cini,
ukljucujuci smrt cetvorice zatvorenika, o cemu nije sprovedena nikakva
ili gotovo nikakva istraga;
Ne prihvatajuci nasilje koje MKTJ sprovodi ili izaziva u nasoj
otadzbini, pristrasnost i pokusaj da se kroz sudjenje nasim demokratski
izabranim vodjama, borcima za slobodu i nasoj istoriji, srpskom narodu
nametne kolektivna krivica, a amnestiraju odgovorni za razbijanje nase
zemlje, agresiju i okupaciju;
Zgranuti sistematskim krsenjem osnovnih pravnih principa, normi i
postupaka od strane MKTJ, sto je neizbezna posledica uloge date ovom
telu ? da opravda agresiju NATO falsifikovanjem istorije;
Osudjujuci zlocinacku otmicu dugogodisnjeg Predsednika Republike Srbije
i Savezne Republike Jugoslavije g. Slobodana Milosevica, kome se u Hagu
sasvim ilegalno sudi i onemogucavanjem lecenja ugrozava zivot;
Pruzajuci najsnazniju podrsku Predsedniku Milosevicu, koji ne priznaje
MKTJ kao sud niti njegovo pravo da mu sudi, u njegovoj herojskoj borbi
za istinu, pravdu, slobodu i nacionalno dostojanstvo, kojom on stiti
sve borce za slobodu i ravnopravnost naroda,

zahtevamo:

Oslobodjenje Predsednika Slobodana Milosevica, koji je otet i ilegalno
zatocen, a koji je vec srusio sve navode lazne optuznice i najvise
doprineo afirmaciji istine o srpskom narodu, Jugoslaviji i zlocinima
koji su protiv njih pocinjeni;
Raspustanje MKTJ u interesu pravde, slobode i demokratije, ugleda OUN i
mira i stabilnosti na Balkanu, jer je postao sredstvo produzene
agresije protiv Jugoslavije i srpskog naroda i njihove okupacije, uz
sankcionisanje najodgovornijih za necuvene zloupotrebe prava i OUN;
Oslobodjenje i povratak u nacionalnu jurisdikciju svih zatocenika MKTJ;
Prihvatanje jurisdikcije Medjunarodnog suda pravde i nacionalnih sudova
za zlocin protiv mira i druge najteze zlocine pocinjene kroz
raspirivanje nacionalne i verske mrznje, nasilnu secesiju i njeno
podsticanje, terorizam, agresiju NATO i druge oblike kriminalnih
pritisaka spolja i subverzije, kao i pravednu ratnu odstetu;
Prestanak pritisaka i mesanja u unutrasnje stvari Srbije i Jugoslavije;
Do ostvarivanja navedenih zahteva neophodno je momentalno: prekinuti
proces protiv Predsednika Slobodana Milosevica, kako bi mu se omogucili
neophodno lecenje i oporavak na slobodi i elementarna ravnopravnost u
pripremi odbrane; obustaviti medijsku kampanju protiv njega, njegovih
saboraca i porodice i citavog srpskog naroda; omoguciti svim
zatocenicima odbranu sa slobode; razresiti sve sudije iz zemlja clanica
NATO i glavnog tuzioca, cija je pristrasnost nesumnjiva; omoguciti
sudjenje za zlocin protiv mira; zapoceti istragu o zlocinima NATO u
Jugoslaviji; prekinuti ugrozavanje slobode i demokratije u Srbiji.

UCESNICI DEMONSTRACIJA 28. JUNA 2003. GODINE U HAGU

*** attenzione pazi danger achtung VIRUS ! ***

Lo scorso sabato (28/6/2003) potrebbe esservi giunto un mail con una
intestazione FALSA.

Esso riportava un FALSO subject:

[JUGOINFO] Ritorno dalla Zastava di Kragujevac. Resoconto di G. Vlaic
(ZASTAVA Trieste)

nonche' un FALSO mittente:

Da: "Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia <jugocoord@...>"
<Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>

In realta' il mail NON E' STATO SPEDITO DA NOI ed esso contiene in
allegato un VIRUS (.pif) che NON BISOGNA APRIRE PER NESSUN MOTIVO. Se
avete aperto l'allegato dovete assolutamente ricontrollare il contenuto
del vostro computer con un buon antivirus !

Gli iscritti a JUGOINFO tengano sempre presente che i messaggi di
JUGOINFO - a parte pochissimi casi eccezionali e che cercheremo
comunque di evitare del tutto nel futuro - NON CONTENGONO ALLEGATI. La
presenza di un allegato in un mail di JUGOINFO dunque significa
generalmente che il messaggio e' infettato da un virus!

*** Con l'occasione ci preme sottolineare il carattere "politico" di
questo "incidente" ***

1. Il falso messaggio assomigliava tremendamente ad un messaggio di
JUGOINFO e pare che esso sia stato diffuso ad una lista di destinatari
sostanzialmente coincidente con quella degli iscritti a JUGOINFO; lista
che pero' dovrebbe essere nota esclusivamente al moderatore di JUGOINFO.

2. Esso e' stato inviato in un momento in cui i curatori della lista
JUGOINFO erano assenti ed impossibilitati a connettersi avendo
partecipato alla manifestazione internazionale svoltasi all'Aia
(Olanda).

3. Esso e' stato inviato il 28 giugno, "giorno di San Vito" (Vidovdan),
una data estremamente simbolica della lotta del popolo serbo e di tutti
i Balcani contro l'occupazione ed il giogo straniero.

Un virus cosi' "politicamente motivato" non l'avevamo mai visto...
Forse qualcuno dei tanti avversari della liberta' della Jugoslavia ha
voluto dimostrare una volta ancora la sua vigliaccheria e disonesta',
come se non le conoscessimo gia' da prima.

Riportiamo qui sotto l'intestazione del messaggio infetto. Gli esperti
informatici che volessero e potessero aiutarci a stabilire l'origine
del virus (che sembra essere partito da un utente TIN.IT) saranno i
benvenuti.

Scusandoci per l'inconveniente, inviamo come al solito

saluti jugoslavisti!

(Il moderatore di JUGOINFO - jugocoord@...)



=== DO NOT OPEN ! IT CONTAINS A VIRUS ! ===



Da: "Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia <jugocoord@...>"
<Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>
Data: Sab 28 Giu 2003 11:24:13 Europe/Rome
Oggetto: [JUGOINFO] Ritorno dalla Zastava di Kragujevac. Resoconto di
G. Vlaic (ZASTAVA Trieste)
Return-Path: <jugocoord@...>
Received: from smtp8.libero.it (193.70.192.92) by ims3d.libero.it
(7.0.012) id 3EF75E6A00182305 for ..............@...............; Sat,
28 Jun 2003 11:25:01 +0200
Received: from vsmtp3.tin.it (212.216.176.223) by smtp8.libero.it
(7.0.012) id 3EEC0A530152D2E1; Sat, 28 Jun 2003 11:25:01 +0200
Received: from server (217.172.200.223) by vsmtp3.tin.it (6.7.016) id
3EE061E9007ACB3C; Sat, 28 Jun 2003 11:24:13 +0200
Message-Id: <3EE061E9007ACB3C@...> (added by
postmaster@...)
Mime-Version: 1.0
Content-Type: multipart/alternative;
boundary="----------L5WD2Z7P2D9NQ0R"
Attachments: C'è 1 allegato

Da: Claudio Bazzocchi
Data: Dom 29 Giu 2003 00:43:11 Europe/Rome
A: balcani@...
Oggetto: La balcanizzazione dello sviluppo
Rispondere-A: balcani@...

Cari amici e care amiche,

Vi comunico che fra pochi giorni uscirà in libreria il mio libro dal
titolo:

La balcanizzazione dello sviluppo.
Nuove guerre, società civile e retorica umanitaria nei Balcani
(1991-2003).

Casa editrice Il Ponte, Bologna 2003.

Potete comunque richiedere il libro direttamente all'editore con un
sconto
del 20% sul prezzo di copertina che è di 16 euro. Riceverete così il
libro
ad un prezzo di 12,80 euro + spese di spedizione postale. Per comunicare
con l'editore - Pietro Montanari - potrete farlo via e-mail al seguente
indirizzo:

pmontanari@...

L'editore vi comunicherà le modalità di pagamento del libro.

Trovate di seguito una cheda di presentazione del libro.


Claudio Bazzocchi
La balcanizzazione dello sviluppo
Nuove guerre, società civile e retorica umanitaria nei Balcani
(1991-2003).
Casa editrice il Ponte - Bologna 2003
Pagg. 173 - Euro 16

Il libro riflette sul nuovo modello di sicurezza adottato dai paesi
occidentali a partire dalla fine degli anni Ottanta e basato sulla
politicizzazione dell'aiuto umanitario di emergenza e di sviluppo.
L'instabilità nelle regioni ai margini dell'area ricca del pianeta
cresce
dalla fine della guerra fredda con l'emergere delle cosiddette nuove
guerre. Gli stati nelle aree marginali non vengono più considerati dalle
potenze occidentali come sovrani, come nel periodo della guerra fredda,
ma
dei corpi sociali all'interno dei quali riformare le mentalità e i
comportamenti di chi li abiti al fine di ottenere un ambiente stabile
caratterizzato dai valori occidentali di democrazia, tolleranza e libero
mercato.



Tale riforma delle mentalità e dei comportamenti si ottiene dispiegando
il
sistema dell'aiuto umanitario che va dall'elemento militare a quello
civile
delle ONG, passando per le agenzie delle Nazioni Unite ed il
coinvolgimento
diretto anche delle imprese multinazionali. Tale sistema occidentale
dell'aiuto umanitario è caratterizzato così da un sempre più marcato
ruolo
di attori non statali, che hanno il compito di imporre in modo
cooperativo
e ideologico il sistema di valori dell'Occidente, tramite le politiche
di
emergenza e di cooperazione.


Questo modello di sicurezza ottiene il risultato fondamentale di
depoliticizzare le grandi questioni dello sviluppo e delle cause della
povertà che fino agli anni Ottanta avevano caratterizzato l'attività
delle
ONG e dei grandi movimenti progressisti, compreso il blocco dei paesi
non
allineati. Ora l'instabilità e la povertà sono viste solo in termini di
cattivi comportamenti, avidità di pochi e riconosciuti dittatori,
eredità
dei sistemi comunisti che hanno inculcato una mentalità assistenzialista
nelle popolazioni, e quindi inattitudine a vivere nei sistemi
democratici e
di mercato. Questa depoliticizzazione, ammantata di valori
apparentemente
liberal - promozione della società civile, dei diritti umani e della
parità
di genere, per citarne solo alcuni - diminuisce, se non annulla, il
potenziale di denuncia e critica sociale che aveva caratterizzato per
anni
le ONG e in sostanza lascia senza difese i poveri del pianeta.



Claudio Bazzocchi, 36 anni, è reponsabile dell'area ricerca
dell'Osservatorio sui Balcani di Rovereto. E' stato per nove anni
dirigente
del Consorzio Italiano di Solidarietà (ICS).




Claudio Bazzocchi
Osservatorio sui Balcani

Palazzo Adami
piazza San Marco, 7
38068 Rovereto (TN) - ITALY

tel. +39 0464 424230
fax +39 0464 424299

bazzocchi@...
www.osservatoriobalcani.org

 
http://www.antiwar.com/malic/m-col.html

ANTIWAR, Thursday, June 26, 2003

Balkan Express
by Nebojsa Malic
Antiwar.com

The Serbian Lincoln?

Yugoslavia, Secession and War

Two weeks ago, reporting on the violent arrest of a retired Serbian
army colonel on war crimes charges raised by the Hague Inquisition,
Reuters and other news media referred to the 1991 conflict as the
"Croatian war of independence." That term, however, is false.

Many defenders of Slobodan Milosevic see him as the Serbian Abraham
Lincoln, standing against the illegal secession of Slovenia, Croatia,
Bosnia and Kosovo. Milosevic's own defense at the Inquisition centers
on the claim that he fought to preserve Yugoslavia, not to destroy it.
That argument is also
false.

Oh, it is true enough that Milosevic was not Yugoslavia's destroyer.
Anyone in the Slovenian, Croatian and Bosnian Muslim leadership, NATO,
the European Community/Union, and the United States, had a much greater
hand in dismembering the old SFRY.

But Milosevic did not fight to keep it together, either. Doing so would
have meant denying the right of self-determination to Yugoslavia's
constituent peoples (Serbs, Croats, Slovenes, Macedonians, Bosnian
Muslims and Montenegrins), which did not happen. There was no
Lincolnesque attempt to "save" the Yugoslav Union by force. Facts just
don't support such a claim.

Slovenia: No Fort Sumter

On June 27, 1991, the Yugoslav People's Army (YPA) "invaded" Slovenia.
Though Slovenian politicians and western media alike romanticized the
next ten days as a "war," in reality it was a well-organized ambush of
unsuspecting federal troops. The General Staff had believed Slovenians
would back off after a show of force, and sent in only lightly armed,
unprepared
recruits. They even informed the Slovenian leadership of the
"invasion." The ensuing massacre was far worse than the attack on Fort
Sumter, Lincoln's casus belli in 1861.

But Belgrade did not muster a Grand Army, or even launch a second
"invasion," vowing to crush the Slovenian "rebellion," no: instead, the
crumbling federal authorities accepted European mediation and signed
the Brioni Declaration, essentially recognizing the secession of
Slovenia.
Ironically, the Serbian representative in the federal Presidency backed
the YPA withdrawal, while Croatia's representative Stipe Mesic objected.

Leaders of Yugoslav republics also attended the Brioni talks,
reflecting the shifting focus of power away from the federal
institutions. Among them was, of course, Slobodan Milosevic. After the
Declaration was adopted, one of the European Community envoys, Hans Van
den Broek, said:

"I am very pleased after hearing yesterday from Mr. Milosevic that he
is in favor of the right to self-determination, that he accepts that
too, and that, in time it could lead to the secession of certain
republics from Yugoslavia. I was also very pleased to hear that he does
not deny the principle of self-determination, but that he demands that
such conclusion be based on negotiations or a dialogue "

After Brioni, Federal troops began a retreat not only from Slovenia,
but from most of Croatia as well. So much for invasion, then.

The Real Secession Dispute

It is important to realize that no faction in Yugoslavia had a
principled view of secession. According to the prevalent Serb position,
the Yugoslav constitution of 1974 allowed secession under a specific
procedure, which Croatia, Slovenia and Bosnia-Herzegovina did not
follow. That much is true.
However, Serbia never challenged secession on those grounds, but
supported instead a "counter-secession" of territories mostly inhabited
by Serbs.
Belgrade invoked the Yugoslav union as the context for secession,
claiming that 2 million Serbs west of the Drina river have a right to
self-determination as well.

On the other hand, the secessionist republics claimed the 1974
Constitution guaranteed their statehood and boundaries, arguing that
self-determination did not apply to people ("narodi"), but only to
administrative units ("republike").

European lawyers' arbitrary decision to legalize the secession of
republics, not nations, led to the double standard in which over 2
million Serbs were overnight turned into second-class citizens,
interlopers in their own towns, villages and homes. Having been victims
of genocide at the hand of Croats and Muslims in World War Two, western
Serbs were determined not to become their subjects again.

Croatia: War Begins

The Wars of Yugoslav Succession truly began on Easter 1991, with a
firefight between Croatian state police and local Serb militia at the
resort of Plitvice. Despite accusing Serbia and the YPA of
"aggression," the Croatian government actually fired the first shots.
Within weeks, Serb-inhabited territories within Croatia's
administrative boundaries became battlefields.

In this first phase of the succession wars, the location of
battlefields indicates the nature of the conflict: with only one
exception (Dubrovnik), clashes occurred along Serb-inhabited areas. Had
it been a "war of aggression" or an "invasion," as alleged, there would
have been a push by the YPA towards seizing key Croatian towns. Quite
to the contrary, many YPA
garrisons were caught off guard and besieged by Croatian militia.

The YPA was not fighting to preserve the integrity of the SFRY, or to
prevent Croatia from declaring independence. Yugoslav defense minister,
Army General Veljko Kadijevic, said as much in 1993.

By the end of 1991, the fighting in Croatia was suspended under the
"Vance Plan," a temporary arrangement placing Serb-held territories
under protection of UN peacekeepers, and the YPA retreated again. Over
the next few years, Croat forces launched limited attacks on Serb
pockets, until the all-out offensive in the spring and summer of 1995.

Bosnia: The Sequel

In the spring of 1992, the war moved into Bosnia-Herzegovina.
Responding to parliamentary abuses by the ruling Muslim and Croat
parties, the ruling Serb party set up a separate republic and
threatened secession in case of a unilateral declaration of
independence. The declaration came on April 5, 1992, and so did the war.

By the end of April, the original chaotic melee between Muslim and
Croat militias and Croatian regulars on one side, and Serb militias and
the remnants of the YPA on the other, began taking an organized shape.
Again, this belies the cries of "aggression" from Sarajevo, as all
sides in the conflict suffered from an appalling lack of organization.

The conflict was certainly transformed by the proclamation of the
Federal Republic of Yugoslavia on April 27, 1992. The establishment of
a new Yugoslav state was a clear recognition that the old has met its
demise.
Slovenia, Croatia, Bosnia-Herzegovina and Macedonia were all implicitly
recognized, even if their borders and governments specifically were
not. But to Zagreb, Sarajevo, and the increasingly interested foreign
governments, that made no difference whatsoever. The conflict dragged
on for three years,
stymied by Serb refusal to accept a unitary Bosnian state and the
Muslim refusal to consider anything but.

Having initially supported the western Serbs in the Wars of Succession,
by 1995 Slobodan Milosevic sold them down the river. Not only did he
ignore the Croatian offensive which displaced over 400,000 people (all
in all), but his negotiating tactic in Dayton consisted of appeasing
both the Muslims and US envoy Richard Holbrooke. He wanted to be known
as a peacemaker, but that desire would be shattered by the looming
specter of Kosovo just three years ahead.

The Real Warmongers

Thanks to modern re-examination, contemporary information indicating
that Lincoln and his lieutenants wanted war is resurfacing. But who was
the Yugoslav warmonger? Again, Milosevic is universally blamed. Yet
both Croat and Muslim leaders did not hide their desire for war.

"There would not have been a war had Croatia not wanted one," said
Franjo Tudjman said in a May 24, 1992 speech in Zagreb's main square.
"We decided that only through war could we win Croatia's sovereignty.
That is why we had a policy of negotiations while we established our
armed forces." The video of this speech was shown during the Milosevic
"trial," and mentioned in the cross-examination of Stipe Mesic, now
president of Croatia.

And on February 27, 1991, Bosnian Muslim leader Alija Izetbegovic
declared:
"I would sacrifice peace for a sovereign Bosnia-Herzegovina, but for
that peace in Bosnia-Herzegovina I would not sacrifice sovereignty."
(Yugoslavia: Death of a Nation, p.211)

Tudjman and Izetbegovic were well aware that their political goals were
attainable only through war. Tudjman knew his vision of Croatia could
not be put in place while some 600,000 Serbs resided within its
boundaries. Less than 100,000 scattered, poor and elderly Serbs remain
in Croatia today.
Izetbegovic had a vision as well: Bosnia ruled by Islamic law, but he
had little support for such an extreme program. By provoking a
confrontation with the Serbs, Izetbegovic rallied Muslims to his cause
and aimed to neutralize the Serbs as a political and military
impediment to his vision.

Both leaders counted on foreign military intervention to aid their
endeavors, and predicated their political and propaganda activities
upon that assumption. Tudjman was eventually successful, while
Izetbegovic found his goals somewhat disrupted by the constraints of
Dayton.

No Lincoln

Joseph Sobran wrote recently that Abraham Lincoln's style, in both law
and politics, was to yield so many points as to seem reasonable, then
insist on the issue crucial to him. He couched his intransigence in
conciliatory language. Slobodan Milosevic was the exact opposite: he
talked hard, but conceded everything. His record is that of surrender:
Brioni (1991), the
Vance Plan (1992), Vance-Owen and Owen-Stoltenberg plans (1993), the
Contact Group (1994), Dayton (1995), the "Holbrooke Agreement" (1998)
and finally Kumanovo (1999).

So, Slobodan Milosevic was definitely no Lincoln. Whether Milosevic
should have been a Lincoln is another issue. Given Lincoln's politics,
definitely not. Furthermore, he would have failed even if he tried to
be. The 1991 Yugoslavia did not resemble the 1861 United States in
almost any regard. But that is a topic for another day. Ironically,
Milosevic is accused of acting like Lincoln by some of Lincoln's
fiercest worshippers. Quod licet Iovi, non licet bovi, as the Romans
would say.

If all this screams "revisionist history," so be it. At a time when
everything seems based on deception, the world needs all the
revisionism it can get.

After all, truth liberates.
 

Questo testo in italiano:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2575

Dieser Text auf Deutsch:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2576

An abstract of this text in English:
...We don't have any illusions that our little demonstration will free him =
[Milosevic]
from there [the Hague].  We wish to simply show that we haven't forgoten.  =
We haven't
forgoten the prisoners.  We haven't forgoten Yugoslavia.  Above all: We hav=
en't
forgotten ourselves.  We know that there are still free [prison] cells for =
us.  Of this we
are proud.  It proves: we are still alive.  They are afraid: we will come a=
gain.  [They are
afraid of] us, the Yugoslavs of all countries....

---

Junge Welt: IMA JOS SLOBODNIH CELIJA

 http://www.artel.co.yu/sr/izbor/jugoslavija/2003-06-24.html

Slobodan Milosevic je prvi ratni zarobljenik Novog svetskog poretka

Autor: Jirgen Elzeser
Berlin, 18 juna 2003. godine
Prevela: Gordana Milanovic-Kovacevic

Napomena redakcije: tekst je posvecen demonstracijama koje ce se odrzati u =
Hagu
28. juna 2003. godine, na Vidovdan.

Ratni zlocinac, kakvog se samo u knjigama moze naci: Samo u jednoj jedinoj =
godini
njegovi razbojnici su poubijali 1027 ljudi i kidnapovali 945 drugih. U isto=
j godini - da
se dobro razumemo: u godini mira, bez vojnih rasprava - od strane njegovih =

specijalnih komandosa proterano je, po podacima Medjunarodnog Crvenog Krsta=
,
180 000 ljudi. Den Hag raspolaze dokumentima po kojima su njegove ubice
likvidirale samo sest politickih protivnika. U njegovom glavnom gradu nesta=
lo je samo
u jednom mesecu 100 mladih zena i devojcica - seks robinja za trgovinu meso=
m.
Dobro je, da se ovakvom jednom kriminalcu konacno sudi? Bilo bi lepo.
Navedeni se zove Hasim Taci, sef kosovo-albanske gerile OVK.
Navedene zlocine pocinio je posle nadiranja 40 000 vojnika " krsnih Mirovni=
h trupa"
NATO-a u julu 1999.god. U glavnom gradu Pristini njegovi revolverasi kontro=
lisu sve.
" Od svake snicle koju ovde jedem Taci dobije 50 feninga", izvestavao je je=
dan
nemacki UN-policajac za Hamburski Abendblat marta 2000.god.
Nista bolje ne ilustruje privrzenost takozvanog Tribunala za ratne zlocine =
u Den Hagu
od cinjenice, da taj isti Taci zivi i dalje na slobodi i na Kosovu vodi gla=
vnu rec.
Takodje i druge banditske poglavice nisu kaznjene, kao Franjo Tudjman i nje=
gov
bosansko-muslimanski kolega Alija Izetbegovic, sa svim svojim vojnim vodjam=
a. Sa
srpske strane,
nasuprot, su vec tri nekadasnja drzavna poglavara zavrsila u haskim celijam=
a -
bosansko-srpska predsednica Biljana Plavsic, srpski predsednik Milan Miluti=
novic i
jugoslovenski predsednik Slobodan Milosevic. Za predhodnikom Plavsiceve
Radovanom Karadzicem i vrhovnim zapovednikom bosansko-srpske Armije Ratkom =

Mladicem tragaju vec godinama tesko naoruzani komandosi-psi tragaci po cita=
vom
Balkanu. Ovaj posebni prilog "Junge Welt"-a ne zeli da ubedi da je na pr. M=
ilosevic
nevin. To na osam strana ne bi ni bilo moguce. Pre svega: bilo bi uobrazeno=
da se ovo
bas iz nemackog ugla prosudjuje. Nemacka koja je u zadnjem veku tri puta na=
srnula
na Srbiju i Jugoslaviju nije pravo mesto na kome bi trebalo donositi sud o =

zlostavljanima, cak ni publicisticki. To je stvar samo onih koji su ziveli =
sa i pod
Milosevicem i zadnjih trinaest godina preziveli neopisivo. Srbi, hrvati i m=
uslimani koji
su danas i pored svojih suprotnosti ujedinjeni u svojoj tuzi, svojoj bedi i=
svojoj
bezpravnosti moci ce bolje od nas da utvrde ko snosi krivicu za ovu situaci=
ju: Drzavni
neprijatelj br. 1 ili oni koji su Jugoslaviju izvana unistili.
Jedna maltikulturalna drzava, najjaca privredna sila Pokreta nesvrstanih, j=
edan
atraktivan mesovit sistem kapitalizma i socijalizma preobrazen je u roku od=
samo
nekoliko godina u borbeno polje, etnozooloski vrt, pustinju neoliberalne ko=
lonijalne
vladavine. Na kraju su bili i oni prevareni koji su sa zapadnim pobednicima=
radili istu
stvar.
"Hrvatski novac u hrvatske dzepove i hrvatska puska na hrvatskom ramenu" bi=
o je
slogan zagrebackih secesionista pocetkom devedesetih godina. Danas je hrvat=
ski
novac u nemackim dzepovima, a na hrvatskim ramenima se nose americke puske.=

Prvi ratni zlocinac koji bi trebao da se pojavi pred nekim tribunalom je ne=
macki
Ministar za spoljne poslove Hans Ditrih Gencer, rekao je britanski novinar =
David
Binder vec 1992.god. u ARD-preseklubu.
Nemacka vlada je diplomatskim priznavanjem i maksimalnim vojnim naoruzanjem=

secesionista eskalirala krizu u rat. Ali o tome ne treba vise diskutovati. =
Kriv je samo
Milosevic, pars pro toto za sve Srbe. A oni koji su ranije imali primedbe i=
li najmanje
postavljali pitanja su stalno prinudjeni na nove rasprave i istroseni su: 1=
999.god.
demonstrirali smo nemocni protiv bombardovanja Jugoslavije, 2001. protiv ra=
tnog
pohoda na Avganistan, 2003. protiv okupacije Iraka.
Krvavi tocak istorije se sve brze okrece: od juce Nemacku treba braniti u H=
indukusu,
danas Evro-Armija marsira u Kongo, za sutra SAD najavljuju preventivni rat =
protiv
Irana i Severne Koreje.
Trebamo li se sada pripremiti za Ramsfeldovu propagandu da se u Pjenjangu s=
prema
novi 11. septembar i da mule postavljaju bombe na dresdensku glavnu zelezni=
cku
stanicu? Kuda god mirni zec potrci, ratnicki raspolozeni jez je vec tamo.
"Ko vlada prosloscu, vlada buducnoscu", moto je Big Brother-a u Orvelovoj "=
1984".
Dakle, ne smemo imperijumu dozvoliti da ima vlast razlucivanja nad proslosc=
u.
Proslost Novog svetskog poretka - je unistenje Jugoslavije. Tako je sve poc=
elo. Rat
1999.god. vodjen bez UN-mandata bio je matrica za sve sledece ratove. Tamni=
ce Den
Haga, sacinjene od strane Saveta bezbednosti nasuprot njegovim ovlastenjima=
iz
Statuta UN predstavlja model za medjunarodno pravno protivno kaznjavanje sv=
ih
kriticara.
Tamo zavrsavaju svu oni koji nisu spremni da svoju narodnu privredu otvore =
za velike
zapadnjacke koncerne. Pod Milosevicem je bio zakon da osoblje jednog preduz=
eca
samo odlucuje o tome, da li ce se isto prodati i kome. To se suprotstavlja =
najvaznijem
ljudskom pravu Novog svetskog poretka, ljudskom pravu na
iznudjivanje(iskoristavanje). Radi toga jugoslovenski predsednik sedi u Den=
Hagu.
Za optimizam nema razloga. Sto se Milosevic bolje brani utoliko sigurnije c=
e camiti u
celiji.
Nemamo ilizije da ce nasa mala demonstracija njega odande izbaviti. Zelimo =
samo da
pokazemo da nismo zaboravili. Nismo zaboravili zatvorenike. Nismo zaboravil=
i
Jugoslaviju. Pre svega: Nas nismo zaboravili.
Mi znamo da su za nas jos celije slobodne. Mi smo ponosni na to. To dokazuj=
e: mi
smo jos zivi. Oni se boje:mi cemo doci opet.
Mi, Jugosloveni svih zemalja.

VIDOVDAN in Belgrade, Moscow, New York, THE HAGUE !

The following documents have been sent to us by the Association
SLOBODA, Belgrade:
http://www.sloboda.org.yu/

===

*VIDOVDAN COMES TO BELGRADE EARLIER
Major rally in Belgrade will take place at noon, on June 25, at Nikola
Pasic square and is called by the trade unions.
This will be the major possible mobilization at the moment in Belgrade.
With broken economy, more than half of adult population unemployed and
live expenses 2,5 times bigger than in September 2000, the workers and
unemployed will decide the destiny of the colonial regime. All this as
a result of the national treason which sent President Milosevic to the
Hague. Catastrophic worsening of the situation in the country is in
direct proportion with the degree of "cooperation" with The Hague.
Durring the whole June there were workers protests and strikes. None of
the workers' demands, in spite of the moderate behavior of the trade
union's leadership has been fullfiled. For tomorrow, as announced, all
the demands will transform into one: Down with the government, forward
with early elections.
All the opposition parties (at least in words) support the workers.
SLOBODA called all its supporters and all honest people to join.

HAŠKI MEDIJSKI DEBAKL

http://www.artel.co.yu/sr/reakcije_citalaca/2003-06-25_2.html

Pise: Goran Matic
Udruženje ''Sloboda''

Beograd, 25. juni 2003. godine


Haški ''proces stoleca'', pretvorio se vec u startu u Haški ''debakl
stoleca''. To se nastavilo i u daljem toku sudenja. Dok svetski mediji,
nakon svedocenja Zorana Lilica, i prvog suocavanja dva bivša
predsednika iste države, izveštavaju o ''unakrsnom nadovezivanju'',
umesto ''unakrsnog ispitivanja'', i o još jednom strateškom promašaju
tužioca Najsa, domaci mediji pokušavaju da daju potpuno drugi ton. Na
primer, ''Blic'' je svedocenje sveo na navodnu recenicu koju je svedok
cuo od pokojnog ministra unutrašnjih poslova. Citaoci su ostali
uskraceni za realan tok i karakter višednevnog ispitivanja i kompletno
i dokumentovano odbacivanje optužnice od strane ovog svedoka.
Ali nisu uskraceni za objektivno izveštavanje samo citaoci ovog lista.
Višegodišnje gromoglasno najavljivano ''haško suocavanje sa
prošlošcu'', vec posle prvih prizora iz sudnice, organizovanom akcijom
vlasti i medija, uklonjeno je iz javnosti. Cuveno ''zaustavite
Rojters'', prvo je, na planu globalnih svetskih medija, primenio CNN, i
to prilikom prikazivanja civilnih žrtava bombardovanja SRJ, prekidajuci
prenos. To kao da je bio signal i za domace državne medije. Kao da 'ima
neka tajna veza''. Osim TV B92, ostali mediji su orijentisani na
išcekivanje da poneki zašticeni, anonimni svedok da licni doprinos
haškoj optužnici, sa lažima koje ''padnu'' u sudnici, a osvanu u
medijima kao dokaz optužnice.
Panicno ukidanje prenosa na državnoj televiziji, u prvim sedmicama
prenosa, i definisanje medijske strategije u odnosu na haški proces,
ukazuje da je vlast svesna koliko je za njih opasan ''pakleni teror
cinjenica''. Oni koji su se popeli na vlast višegodišnjom
manipulativnom propagandom o ''zlocinackom režimu'' i ''srpskim
zlocinima'', iskazuju strah od istine. Zato i pokušavaju da stave pod
kontrolu medijsku sliku iz Haga. Jer ''haški proces'' je sastavni deo
njihove vlasti, kao što je i njihova vlast, sastavni deo ''haškog
tužilaštva''.
Sve se svodi na to da je gradanima Srbije dozvoljeno da se suoce sa
sopstvenom prošlošcu iskljucivo uz tutorisanje antisrpskih posrednika.
Gradane Srbije sa prošlošcu suocavaju nosioci agresije na SRJ, Solanini
predstavnici okupacione vlasti u zemlji i emisari tzv. nevladinih
organizacija koje finansiraju zainteresovane vlade.

Zašto nema TV prenosa ''haškog suocavanja sa prošlošcu''

a) Uznemirenje javnosti

-zašto je javnost uznemirena direktnim prenosom

- uznemirenje javnosti je zbog ociglednog, izraženog antisrpskog
karaktera sudjenjasudi se narodu i njegovim nacionalnim institucijama a
ne pojedincu

- sudi se demokratskom pravu srpskog naroda na nacionalno
samoopredeljenje - istom onom pravu koje je medunarodno priznato drugim
narodima prethodne Jugoslavije

- zato što je suocavanje sa prošlošcu i zlocinima, postalo suocavanje
sa zlocinima protiv Srba, sa etnickim cišcenjem Srba i agresijom protiv
Srbije i SRJ, koja još uvek traje

- zbog pojavljivanja razbijaca prethodne Jugoslavije i etnickih cistaca
Srba, kao svedoka i to sa medijskim oreolom humanista i demokrata

- zbog potpunijeg sagledavanje istine o tome kakve bi državno-politicke
i materijalne posledice za državu i sve gradjane imala tendenciozna
presuda, odnosno osuda


b) Falsifikovanje istine i prekrajanje istorije

-ometanje procesa utvdjivanje istine o konkretnim dogadjajima

- javno sudjenje uz direktan TV prenos ometa falsifikovanje nepobitnih
istorijskih cinjenica iz dalje i bliže prošlosti

- težnja tužilaštva da se po svaku cenu proizvede kompromitujuce
podatke protiv Slobodana Miloševica, pretvorila se u otvorenu i javnu
kompromitaciju istine

- javno sudjenje je preduslov za definisanje istine, a samim tim i za
uspešnost odbrane

- uskracivanje prenosa onemogucava gradjane koji imaju jasna i
neposredna saznanja o odredjenim dogadjajima i svedocima, da to
primete, da reaguju i da se jave sa istinitim informacijama i pomognu
odbranu

sakrivanje procesa od javnosti treba da podigne moral lažnim svedocima
i nosiocima lažnog svedocenja, koji su u dosadašnjem toku sudjenja
doživeli javni fijasko

- strah aktuelne vlasti da se ne vidi njihova uloga i neposredno ucešce
u montiranju lažnih dokaza i regrutovanju lažnih svedoka, protiv
Slobodana Miloševica i drugih optuženih Srba

- strah aktuelne vlasti da se ne vidi njihova realna uloga i ponašanje
u prethodnom periodu

- težnja uticajnih krugova u medjunarodnoj zajednici da sklone od ociju
javnosti svoje zakulisne politicke, diplomatske i obaveštajne igre
usmerene na geopoliticko prekrajanje Balkana


c) Jacanje podrške Slobodanu Miloševicu

- prikrivanje herojske odbrane Slobodana Miloševica

- budjenje i razvijanje nacionalne svesti i nacionalnog dostojanstva,
kroz pracenje odbrane Slobodana Miloševica

- razvijanje svesti o potrebi izgradnje politike nacionalnog jedinstva
u cilju opstanka države i duštva

- razvijanje svesti o okupatorskom karakteru aktuelne vlasti i njenom
podanickom odnosu prema cinovnicima medjunarodne zajednice

- sakrivanje istine o mirovnim naporima i aktivnostima koju iznosi
Slobodan Miloševic, a koje kljucni predstavnici sadašnje vlasti
pripisuju sebi, iako su bili protiv Dejtonskog i drugih mirovnih planova


d) Strah od istine

-zašto se sadašnja vlast boji suocavanja sa istinom o zlocinima

- na sva zvona najavljivani ''proces stoleca'' koji ce otvoreno i javno
progovoriti o srpskim zlocinima, i koji su u pocetku prenosili domaci
mediji, pretvorio se u ''debakl stoleca''

- nalog, da se obustave prenosi, najpre u državnim medijima a zatim i u
ostalim, predstavlja izraz politicke volje koja pokušava da onemoguci
gradjane Srbije da vide finale velike borbe protiv decenijske politicke
i medijske satanizacije srpskog naroda i SRJ

- pitanje je zašto se aktuelna vlast boji da gradjani vide pravu istinu
i dokaze o velikim politickim i medijskim manipulacijama sa ''srpskim
zlocinima''

- aktuelna vlast cak i za zlocine nad Srbima, širom prethodne
Jugoslavije, pokušava da ucini odgovornom prethodnu vlast, i sada ne
sme da dozvoli da gradjani vide istinu o tome, da su kreatori i
sponzori tih zlocina bili isti oni koji su ih doveli na vlast

- gradjani SRJ mogu da prate sudjenje samo preko tendecioznih komentara
i citiranih izjava lažnih svedoka i nosilaca antisrpske kampanje, bez
mogucnosti da saznaju i da vide, kako je sve to Slobodan Miloševic
razoblicio i porazio na procesu

- zajednicka kampanja del Ponteove, Artmanove, Kandicke, Liht, Biserko,
Pavicevicke, kao i osovine Dimitrijevic-Svilanovic i slicnih, postala
je osnov za tretman haškog procesa u domacim medijima

- gradjani Srbije mogu da budu informisani o sopstvenoj prošlosti, ali
samo u okviru ideoloških konstrukcija decenijske antisrpske kampanje o
''srpskoj krivici'', za koju je politicke i medijske uslove u zemlji,
obezbedila sadašnja vlast uz pratecu podršku ''nevladinog sektora''


Zakljucak -prenosa nema jer:

- Uspeh tužilaštva u dokazivanju haške optužnice je istovremeno i uspeh
aktuelne vlasti, dok je propast haške optužnice i njihova propast
- Uspeh aktuelne vlasti je njihovo pozicioniranje kod nosilaca politike
pritisaka, sankcija i agresije prilikom razbijanja prethodne
Jugoslavije, kao i organizatora i nalogodavaca bombardovanja SRJ
- Uspeh sadašnje vlasti je afirmacija politike ''srpske krivice'', kao
opravdanja za sprovodenje naloga za razbijanjem SRJ i daljeg komadanja
države Srbije, na liniji dobro poznate politike atomiziranja Balkana
- Sa objektivnim prenosom i medijskim prikazom sudjenja, to bi svima
definitivno postalo jasno
- Bez TV prenosa i objektivnog prikaza to ce postati svima jasno, ali
tek posle velike, možda i nenadoknadive štete po nacionalne interese

(Nota:
Il termine "Kossovo", con due "s", non esiste ne' in lingua serbocroata ne'=
in
albanese. La regione si chiama "Kosovo", da "Kosovo Polje" che in serbocroa=
to
significa "Campo dei merli". Nella variante albanese si dice "Kosova", ma r=
imane la
radice slava "Kos"="merlo".
Scrivere "Kossovo" significa forzare il lettore italiano a porre l'accento =
sulla seconda
sillaba, secondo l'usanza albanese, conservando tuttavia la "matrice" serbo=
croata. E'
una specie di compromesso "politically correct", molto in voga oggi nei set=
tori
"pacifisti", tra i militari e le ONG che stanno ricolonizzando l'area.
Sotto il Fascismo, quando per la prima volta si colonizzo' la regione nel 1=
941-1943,
l'italianizzazione del nome era completata dalla sostituzione della inizial=
e K, poco
"italiota", con la C: Cossovo. Oggi non si arriva a tanto, ma la distorsion=
e rimane.
I. Slavo)


http://www.resistenze.org/sito/te/po/yu/poyu3f14.htm

Da Osservatorio Balcani

Kossovo multietnico? Missione impossibile

di Tanya Mangalakova da Sofia


Da Lenin a Clinton

Gli albanesi del Kossovo sono perdutamente innamorati degli
americani. Una delle vie principali di Pristina ha rapidamente
cambiato nome. Prima era dedicata a Lenin ora invece all?ex
Presidente USA Bill Clinton. Sempre nella capitale kossovara il
nuovo 'Hotel Vittoria' espone in bella mostra una copia della
Statua della libertà e poco distante vi è la caffetteria Hillary.
Manca solo Monica Lewinsky.
Fedeltà unanime agli americani è stata più volte dimostrata anche
durante la guerra all?Iraq, e sono stati molti i paralleli tra quanto
fatto nel 1999 dalla NATO per garantire la libertà e la democrazia
agli albanesi del Kossovo e quanto fatto negli ultimi mesi da
Bush per spodestare Saddam Hussein . Ed il conflitto in Iraq ha
alzato la tensione anche nei Balcani. Dove agli inizi di aprile
molti media hanno dato risalto all?opinione espressa da Francisco
Veiga, professore presso l?Università di Barcellona, secondo il
quale durante il conflitto in Iraq gli Stati Uniti avrebbero deciso di
appoggiarsi ad un alleato che si era dimostrato fidato nei Balcani
e quindi di favorire la nascita di una 'Grande Albania'. Molti
quotidiani e riviste hanno addirittura pubblicato possibili mappe
geografiche di come potrebbero essere stravolti i confini dei Balcani.
In tutte le strade di Pristina per 5 euro è possibile acquistare
una cartina raffigurante la 'Grande Albania' che arriverebbe quasi
sino a Ni?, comprendendo tutto il sud della Serbia, la Macedonia
occidentale, il Kossovo, l?Albania ed il nord della Grecia.

Le due rive del fiume Ibar

La separazione di Mitrovica  lungo le due rive del fiume Ibar è
indicativa sul futuro dell?intera regione. La parte meridionale della
città è abitata dalla comunità albanese.
Tutte le scritte sono in albanese e le strade brulicano di vita; il
commercio è fervido e tutti gli scambi avvengono oramai in euro.
La parte settentrionale di Mitrovica è invece caratterizzata ancora
da molte case distrutte e bruciate, le scritte sono in serbo e gli
scambi commerciali avvengono in dinari. Non è raro trovare graffiti
del tipo 'Seselj Presidente'. Olivera Milosevic, rappresentante
dell?associazione 'Donne per Mitrovica nord', ci aspetta nei pressi
del ponte che attraversa il fiume Ibar, controllato dal contingente
francese della KFOR. Ci farà da guida nella parte serba della città.
?Questo è il Kossovo multietnico?, ci dice puntando con il dito ad
una decine di case distrutte appartenute un tempo a famiglie Rom.
Sono case che sono state bruciate dagli albanesi per vendetta e
la KFOR non è riuscita a proteggerle adeguatamente.
Nonostante tutto, Olivera ha ancora amici nella parte meridionale
della città con i quali sta percorrendo la lenta strada della
riconciliazione. ?Ma nel caso il Kossovo divenisse indipendente lo
lascerei per sempre?, chiarisce perentoria. I serbi di Kosovska
Mitrovica vivono isolati nella loro parte di città. Possono unicamente
spostarsi verso le altre enclaves serbe oppure verso la Serbia
grazie ad un servizio di autobus. Queste linee di trasporto vengono
denominate 'I corridoi blu'.
Il 4 aprile 2003 migliaia di serbi sono scesi nelle strade a Mitrovica
nord per protesta contro Michael Steiner, a capo dell?UNMIK,
che aveva reso nota la decisione di trasferire alcuni poteri dell?UNMIK
alle autorità locali. Tra gli altri lo slogan ?Per i serbi e non per un
Kossovo indipendente?. Dopo le manifestazioni ho avuto la possibilità
di incontrare Nebojsa Jovic, a capo del Consiglio nazionale per
Mitrovica nord, accusato dalla missione ONU di istigare, negli ultimi
anni, al disordine nei rapporti tra UNMIK e serbi. ?Vedo nel futuro
un Kossovo diviso: una zona serba comprendente Kosovska
Mitrovica, Leposavic, Svecan, Zubin potok, Srpce, Gniljane, Priruzie
e Gracanica. In qualche modo anche parte di Decane e parte della
municipalità di Pec dovranno far parte di quest?Entità?, ha affermato.
Secondo Jovic inoltre i dialoghi sullo status finale dovrebbero essere
tenuti tra Pristina e Belgrado. ?Attualmente Mitrovica è una città
dal duplice aspetto. Il sud di Mitrovica è già etnicamente ripulito. Tra
gli albanesi non vi è alcun desiderio di una vita in comune con i serbi
e di convivenza multietnica? - continua Jovic, che poi chiarisce come
- ?La soluzione non può che essere in una divisione del Kossovo,
magari attraverso una divisione in cantoni senza che avvenga
alcun cambiamento nei confini. La prima cosa alla quale dobbiamo
arrivare è innanzitutto guardarci in faccia con gli altri?. Jovic poi ha
richiesto il rientro di tutti i profughi serbi che hanno lasciato la
regione. ?Solo mille dei serbi che hanno lasciato la regione sono
rientrati. Probabilmente ha avuto occasione di sentire le parole di
Marek Novicki, ombudsman del Kossovo, che ha affermato che la
situazione dei serbi non è affatto diversa da quella degli albanesi
quando hanno lasciato il Paese: tutte le posizioni erano allora in
mano ai serbi, ora sono in mano agli albanesi?.
Nella parte sud della città ho invece incontrato Florije Ibishe,
rappresentante di una organizzazione che riunisce imprenditrici della
città, che, tra l?altro, siede tra i banchi del consiglio municipale di
Mitrovica. Da lei sono venuta a sapere che uno dei principali obiettivi
dell?amministrazione municipale è quello di arrivare a registrare
tutte le attività economiche presenti sul territorio. Ma la divisione tra
le due parti della città è così profonda che per registrare le imprese
economiche femminili avviate nel nord della municipalità occorre che
una rappresentante dell?associazione vi si rechi di persona: in pochi
infatti osano attraversare il ponte sul fiume Ibar se non scortati
dalla KFOR .
Sino ad ora sono stati registrati 300 imprenditori residenti nel
nord di Mitrovica. Florije ha continuato a ripetere due parole chiave
in Kossovo: multietnicità e donatori. Facendo chiaramente capire
come i finanziatori internazionali si aspettino ora di finanziare
progetti di rilancio di attività economiche nelle quali vengano
coinvolti i differenti gruppi etnici. Non sembrano però esserci le
garanzie che questi milioni di dollari non spariscano come l?acqua
nella sabbia.
Imran Avdiiu è proprietaria di una boutique nel centro della città.
Racconta come sia stata obbligata ad abbandonare la propria casa
nella parte serba della città e come ora vi abiti una famiglia serba
originaria di Vustri. Da allora ha visitato un?unica volta la sua casa,
scortata dai militari della KFOR. La storia di Imran palesa le logiche
assurde di questa guerra. Attraversando il paese di Vustri ho infatti
visto molte case albanesi ricostruite e quelle serbe invece ancora
distrutte. Vi è una nuova moschea a Vustri costruita seguendo un
modello pseudo-barocco particolarmente kitch. Il minareto
assomiglia ad un missile. E sulla strada tra Vustri e Pristina vi
sono villaggi abitati esclusivamente da albanesi.
L?affascinante Imran è ottimista sul futuro del Kossovo. ?Sul lungo
periodo le due comunità vivranno nuovamente insieme se riusciremo
a liberarci degli estremisti?. Le chiedo se è a conoscenza di casi
di matrimoni misti. Prima della guerra ve ne era qualcuno e non
era troppo raro che uomini albanesi sposassero donne serbe,
bosniache o turche. ?Anche adesso i giovani potrebbero innamorarsi
ma non vi è semplicemente alcun posto nel quale abbiano la possibilità
di incontrarsi?, sostiene Imran. Tre sarte lavorano nel suo laboratorio
e la sua attività economica ha superato la fase nella quale ci si
concentrava sulla mera sopravvivenza: per questo Imran sta
pensando alla possibilità di espandersi. Avendo visto spesso in
campagna grandi e lussuose ville, chiedo a Imran perché non chieda
dei prestiti a qualche albanese facoltoso. Al posto di rispondere Imran
scoppia in una sonora risata.

Le istituzioni parallele serbe

In aprile i serbi di Gracanica e Leposavic hanno duramente
protestato contro l?ipotesi di un Kossovo indipendente. Ho
incontrato a Gracanica Rada Traikovic, deputata nell?Assemblea
di Pristina. Sull?entrata di casa sua una targa: ?Centro di
coordinamento del Consiglio nazionale serbo per il Kossovo e
Metohia?. Uno dei pochi luoghi dove ancora si può leggere la
denominazione Kosmet, per riferirsi al Kossovo, definizione
assolutamente non riconosciuta dalla comunità albanese. Rada
Trajkovic afferma immediatamente che la presenza dei serbi
nell?Assemblea di Pristina non è altro che una copertura, un
tentativo di mostrare quella multietnicità che nei fatti assolutamente
non esiste. Assicura poi che nessun serbo della Serbia è a
sostegno di un Kossovo indipendente e che, mentre la comunità
albanese non sembra che vedere l?opzione dell?indipendenza, vi
è più disponibilità al compromesso da parte serba. Tra le varie ipotesi
una sorta di cantonizzazione del Kossovo o la divisione in due Entità
autonome, quella serba naturalmente legata a Belgrado. Rada
Traikovic  non ha nascosto la propria delusione quando le ho chiesto
di descrivermi le istituzioni parallele istituite dai serbi, in particolare=

nel campo dell?educazione e della sanità. ?Sono istituzioni
emergenziali, per salvarci la vita. L?ospedale di Pristina non
ha assunto nemmeno un serbo, gli impiegati degli uffici postali
non parlano serbo, non vi è alcun programma televisivo in serbo.
Non possiamo andare a teatro perché tutti gli spettacoli sono in
albanese e così avviene anche al cinema. I serbi hanno paura anche
ad utilizzare il trasporto pubblico?. Racconta poi come i serbi di
Gracanica abbiano creato tre piccole strutture ospedaliere che
garantiscano un minimo di assistenza medica e come i bambini
frequentino scuole private?.

Un villaggio 'completamente serbo ed ortodosso'

Il villaggio di Strpce è situato sulle pendici del monte Sar, non lontano
da Pristina ed è abitato da serbi. Avvicinandosi, il primo colpo
d?occhio cade sui militari della KFOR e sui loro posti di blocco
all?entrata del paese. I bambini giocano davanti alla scuola dedicata
a 'Jovan Covic'. La vita è ritornata ad un?apparenza di normalità che
si incrina già osservando le targhe della automobili. Ciascuno ne
possiede due. Una con l?abbreviazione KS. Con questa si può viaggiare
in Kossovo, Albania e Macedonia; un?altra con l?abbreviazione della
città kossovara di riferimento. Con questa si può viaggiare dappertutto.
Paradosso simile con i passaporti: con quello rilasciato dall?UNMIK
non si può che rimanere all?interno del Kossovo, con quello Jugoslavo
si può invece muoversi liberamente (naturalmente solo dopo aver
ottenuto i vari visti!).
Due anziani di Strpce mi spiegano come questo sia un villaggio
?esclusivamente serbo ed ortodosso?. ?Anche se mi offrissero
100.000 DM non andrei a Pristina. Mi sposterei solo a Skopje o
Belgrado?, spiega con fervore uno dei due e poi ordina subito
qualcosa da bere.
Gli abitanti di Strpce si sono divisi alle elezioni amministrative
dello scorso anno e sono arrivati a proporre candidati appartenenti
a ben dieci partiti differenti. Questo nonostante la logica
dell?appartenenza etnica avrebbe voluto che i voti serbi non
venissero dispersi, considerando che nella municipalità di Strpce
vivono e quindi votano anche molti albanesi.

Magliette e radicali

A Kossovo Polje sono pochi i serbi rimasti. Hanno comunque un
loro locale dove domina, su di una parete, una fotografia di Slobodan
Milosevic. E? lì che ho incontrato Nebojsa, originario di Lipljan.
Quest?ultimo immediatamente, all?inizio dell?intervista, ha tolto il
maglione per mostrarmi una maglietta con la scritta 'Eroe serbo'
ed il ritratto di Radovan Karadzic. Vi sono solo 300 serbi che
vivono nella vicina Pristina e la maggior parte di loro sono anziani.
Nebojsa subito si scaglia non contro gli albanesi originari del
Kossovo ma contro quelli originari dell?Albania. ?Il Kossovo è
una terra sacra ai serbi. Gli albanesi sono dei codardi. Se si ritirasse
la KFOR in 24 ore l?esercito jugoslavo sarebbe in grado di
riprendere possesso di queste terre e risolvere la questione.
Adesso siamo sull?uno pari ma un?altra guerra cambierà la
situazione?, annuncia in modo funesto Nebojsa.

I processi ai Generali

Una questione calda in Kossovo sono i processi agli ex comandanti
dell?Esercito di liberazione nazionale del Kossovo (UCK). Il
portavoce del partito di Hasmin Thaci, Fatmir Limaj, tra gli 'eroi'
della guerra di liberazione del Kossovo è stato arrestato e
trasferito all?Aja. Assieme a lui altri ex-comandanti dell?UCK
come Hairadin Bala, Isak Misliu and Agim Murtezi. Il generale Fabio
Mini, della KFOR, ha dichiarato recentemente che il Tribunale dell?Aja
ha richiesto l?estradizione di dieci ex comandanti dell?UCK, alcuni
dei quali hanno creato propri partiti. Questo a Pristina è stato
inteso come un messaggio parecchio esplicito che i prossimi a
volare all?Aja potrebbero essere Hashim Thaqi, presidente del PDK,
Ramush Haradinaj, presidente dell?AKK e Agim Cheku ora a capo
dei Kosovo Protection Corps.
Ho incontrato Hashim Thaqi  il quattro aprile scorso. Prima di
raggiungere la sede del suo partito abbiamo incrociato una folla di
albanesi che protestava richiedendo il rilascio dei membri dell?UCK
reclusi all?Aja. Ho iniziato la mia intervista chiedendo della
dichiarazione, sostenuta da molti membri dell?Assemblea
kossovara, di un Kossovo indipendente. Ma Hashim Taqhi ha evitato
di rispondere alla maggior parte delle mie domande ed ha
controbattuto con risposte molto brevi e standard. Alla mia
domanda in merito al rientro dei profughi serbi ha risposto
affermando che sono già 8.000 quelli che hanno fatto ritorno
in Kossovo. Gli ho inoltre ricordato che durante una visita a Sofia,
risalente a qualche anno fa, aveva affermato che il Kossovo aspirava
ad una rapida democratizzazione ma per ora versava nel caos e
nelle mani della criminalità organizzata. Gli ho chiesto come il
crimine organizzato può essere combattuto. Ma Thaqi ha negato
di aver affermato quanto io ho riportato, ha anzi iniziato ad
innervosirsi e, dopo une breve occhiata al suo responsabile per
le pubbliche relazioni, si è accomiatato affermando di aver alcuni
appuntamenti che non potevano essere rimandati. Prima che
lasciasse la stanza gli ho posto un?ultima breve domanda ed
ho disteso sul tavolo una cartina della 'Grande Albania',
comperata in strada a Pristina. ?Ma ovunque anche nelle strade
di Sofia si può trovare una cartina della ?Grande Bulgaria??,
il suo commento. ?Ma non ad ogni angolo? rispondo io
riferendogli poi delle mie interviste ad alcuni studenti dell?Università
di Pristina che si sono detti pronti a sacrificare il proprio sangue
per una 'Grande Albania' e faccio notare come cartine di questo
tipo certo non aiutino a stemperare la tensione. Ma da lui nessun
altro commento. Gli ho chiesto poi cosa pensasse dell?estradizione
all?Aja del portavoce del suo partito, Fatmir Limaj. ?Questioni
come queste devono essere di competenza del Governo del
Kossovo?, ha risposto lui prima di lasciare definitivamente la stanza.

Prizren, la democrazia senza l?elettricità

Il panorama di Prizren è costellato di moschee e minareti, chiese
cattoliche ed ortodosse, ma può difficilmente essere definita
multietnica. Ho intervistato tre profughi serbi attualmente residenti
presso il monastero ortodosso intitolato a Cirillo e Metodio. Tra loro
una coppia mista. ?Siamo obbligati a vivere qui, non sono stato in
grado di trovare alcun altro posto?, dichiara Zekir Morian, albanese,
sposato con Ruza Banovic, serba. Entrambi desiderano emigrare in
Australia ma stanno aspettando i visti di ingresso. ?Grazie a Dio non
abbiamo bambini? - afferma Zekir - ?altrimenti con i 24 euro al
mese che riceviamo dall?assistenza sociale non saremmo
assolutamente in grado di mantenerli?. Nel monastero risiedono
anche alcuni anziani.
Le loro pensioni non superano i 28 euro. ?Di chi la colpa?? chiedo.
?I politici se ne riempiono le tasche?, brontola Olga. ?Mio marito è
morto, mia figlia soffre di epilessia e siamo qui prigionieri?.
Tutte le chiese ortodosse a Prizren sono controllate da veicoli
armati della KFOR. Nel centro città, nei pressi della moschea più
antica, vi è la chiesa di San Giorgio, eretta nel 1856 e che, sino
al 1999, ha ospitato l?episcopato di Ras-Prizren. Le icone da
tutto il Kossovo sono state raccolte qui. ?Vi sono solo 63 serbi
a Prizren dei quali solo 20 sono persone in grado di lavorare
e di guadagnarsi da vivere. Nel 1999 i serbi della municipalità
erano 12.000?, racconta padre Alexander. ?Quattro anni sono
passati dalla fine della guerra ed ancora nessuno è rientrato.
Non ho nessun posto dove andare. A volte vado a Belgrado a
visitare la mia famiglia. Sono andato solo quattro volte a vedere
casa mia, naturalmente rinchiuso i un blindato della KFOR?,
ricorda il prete.
Prizren sembra ospitare due mondi paralleli. Mentre i serbi
sono isolati e depressi e vivono con il pensiero che non vi è
alcuna prospettiva per il futuro, l?altra parte della città è riempita
dall?energia degli albanesi che vivono come se la guerra non vi
fosse mai stata. I negozi sono pieni, la vita continua. In un caffè
ho incontrato Yulzime e Kimete, appartenenti alla diaspora
causata dalla repressione seguita alle proteste studentesche nel
1981 e fuggite in Germania. ?Siamo stati rifugiati politici?,
chiarisce subito una delle due donne. Chiedo loro se ritengono
possibile un?unificazione di Kossovo e Macedonia occidentale.
?Perché no? Non vi è alcun problema tra di noi. Non vogliamo
sottomettere un popolo straniero. Vogliamo solo che il popolo
albanese si possa riunire e possa avere la propria terra. Si, vogliamo
riunirci ma non in quella che la propaganda serba chiama
?Grande Albania??.
Di fronte all?ufficio postale incontro un gruppo di anziani albanesi
che ricordano gli alti stipendi percepiti in passato. ?Ed ora ci
troviamo in una pseudo-democrazia dopo che tutto ciò che è stato
progettato da Tito è fallito?, afferma uno di loro, originario di
Opae, una municipalità dove vivono albanesi insieme ai gorani
(slavi convertiti all?Islam).
Le città, ma anche le campagne, è sottoposta a rigidi tagli dell?energia
elettrica. Una sera, mentre mi dirigevo verso un Internet caffè, la
corrente è stata tagliata ed il ?panorama acustico? era caratterizzato
quasi esclusivamente dal rumore dei generatori. ?Che democrazia
può esserci senza elettricità??, si chiedeva un giovane albanese
assunto da una piccola radio locale dove infine ero riuscita a
controllare la mia posta elettronica.

Di passaggio a Parigi diretto al meeting UE di Salonicco, il presidente
croato Stipe Mesic - che fu a suo tempo co-fondatore del partito
neonazista di Franjo Tudjman HDZ - ha rilasciato la seguente intervista
a "Le Figaro". In essa, oltre ad addossare, come di prammatica, tutte
le colpe a Milosevic - persino per il recente attacco da parte di
hooligans contro l'ambasciata croata a Belgrado - Mesic relativizza la
gravita' dell'omicidio Djindjic: "Una perdita si, ma ha giovato agli
europeisti". Come dargli torto? Con lo "stato d'emergenza", instaurato
dopo l'omicidio, anche la Serbia e' diventata, come gia' la Croazia,
uno staterello affidabile per la UE: senza opposizione politica, e con
sparuti gruppi di dissidenti sotto chiave o comunque sotto stretta
sorveglianza. (A cura di Olga ed Andrea)

===

http://www.lefigaro.fr/international/

De passage à Paris hier avant de se rendre en Grèce, le président
croate juge «insuffisants» les échanges économiques avec la France

Stipe Mesic : «Un pas de plus vers l'adhésion»

Le président croate Stipe Mesic effectue une visite de deux jours à
Paris pour participer à un forum économique entre la France et la
Croatie avant de participer au sommet de Salonique.

Propos recueillis par Isabelle Lasserre
[20 juin 2003]

LE FIGARO. – C'est votre second voyage à Paris en moins de six mois. Y
a-t-il des liens privilégiés entre la France et la Croatie ?

Stipe MESIC. – Je le crois, même si nous partageons aussi des intérêts
communs. La Croatie est préoccupée par l'élargissement de l'Union et la
France, en tant que grande puissance européenne, y occupe une place de
premier rang. L'intérêt de la France est d'élargir ses marchés.
J'espère que cette visite permettra de réaliser ces deux objectifs, des
progrès dans l'élargissement et la création de nouvelles possibilités
de coopération économique.

Les relations économiques de la France et de la Croatie sont-elles
satisfaisantes ?

Ce n'est pas le mot. Par rapport à nos relations politiques, qui sont
excellentes, nos liens économiques restent insuffisants. L'économie
croate n'est pas assez connue dans les milieux d'affaires français.

Qu'attendez-vous du sommet de Salonique ?

Salonique représente pour nous un pas de plus vers l'adhésion à
l'Union. Ce sera aussi l'occasion de faire le bilan des progrès que
nous avons réalisés pour nous aligner sur les standards européens. Nous
sommes l'une des économies les plus avancées des pays en transition.
L'Union européenne saura le reconnaître.

Le Tribunal pénal international reproche à la Croatie de ne pas assez
coopérer avec La Haye. Pourquoi cette collaboration est-elle si
difficile ?

On ne peut pas dire que la Croatie ne coopère pas avec le TPI. Elle le
fait dans la mesure de ses moyens. Nous visons une individualisation
des responsabilités. Il faut mettre fin à la responsabilité collective
et à la culpabilisation des peuples. Mais les responsabilités
concernant la guerre sont délicates à évaluer. Des individus peuvent
avoir eu du mérite pour certaines choses et ne pas avoir empêché que
des crimes soient commis. Il est difficile d'expliquer cela à l'opinion
croate. Mais je reste persuadé que la coopération avec le TPI permettra
d'éclairer ces événements.

Pourquoi le retour des réfugiés serbes en Croatie n'est-il toujours pas
achevé ?

Le retour des citoyens serbes de Croatie est dans notre intérêt. La
communauté internationale y verrait ainsi la preuve que nous sommes un
État de droit et que notre démocratie a une certaine maturité. Nous
sommes en train d'accélérer le retour des réfugiés serbes et la
restitution de leurs biens. Mais beaucoup d'entre eux ne peuvent pas
encore revenir car leurs maisons sont occupées par des réfugiés croates
qui eux même ne peuvent pas retourner dans leurs maisons en Republika
Srpska (l'entité serbe de Bosnie). Nous avons donc entamé des
négociations avec les autorités bosniaques.

Les relations entre la Croatie et la Serbie ont-elles changé depuis
l'assassinat du premier ministre serbe Zoran Djindjic ?

Nos relations ont changé après le départ de Milosevic à La Haye. C'est
à ce moment-là que la Serbie s'est engagée sur la voie européenne. La
mort de Djindjic est une perte. Mais paradoxalement, elle a permis au
courant proeuropéen de se renforcer.

Comment interprétez-vous les récents affrontements entre supporters
serbes et croates à la fin d'un match de water-polo en Slovénie ?

Nous condamnons les actes perpétrés par des extrémistes croates
minoritaires. Nous condamnons aussi le fait qu'un petit groupe serbe
ait utilisé ce prétexte pour exprimer sa volonté politique de mettre
fin à la coopération entre Belgrade et Zagreb. Ce sont les vestiges du
régime de Milosevic. Ces gens ne veulent pas que la Serbie se rapproche
de l'Union européenne. Heureusement, en Serbie également, ce groupe est
minoritaire.

La Croatie vient de s'opposer à Washington en refusant de signer un
accord bilatéral exemptant les soldats américains de poursuites devant
la Cour pénale internationale. Cette décision, qui risque de faire
perdre à la Croatie l'assistance militaire américaine, a-t-elle été
difficile ?

Non, car nous respectons un certain nombre de principes dans notre
politique. Nous estimions ainsi qu'une action militaire contre l'Irak
ne devait être engagée qu'avec le feu vert des Nations unies.
S'agissant de la CPI, il serait difficile d'expliquer à notre opinion
publique pour quelles raisons des Croates pourraient se retrouver
devant cette cour alors que des étrangers y échapperaient.

Votre gouvernement a signé la lettre proaméricaine du «Groupe de
Vilnius» tout en réaffirmant la nécessité de réintroduire l'ONU en
Irak. Où se situe la Croatie dans le débat qui oppose la France et
l'Allemagne à la Grande-Bretagne et l'Espagne ?

Nous pensons que les Nations unies doivent être impliquées dans les
mécanismes de décision lorsque ceux-ci portent sur une intervention
militaire. En général, nous pensons que de longues négociations valent
mieux qu'une guerre, si brève soit-elle.

Craignez-vous un retour du HDZ et des forces de l'ancien régime de
Tudjman aux prochaines élections ?

Les sentiments d'oubli et d'amnésie collective ne sont pas réservés à
la Croatie. Les gens s'attendaient à des changements rapides. Certains
oublient que le pays a longtemps vécu dans l'isolement, avec un taux de
croissance égal à zéro. La tâche est considérable et nous nous y
attelons sérieusement. Mais en dernière instance il faudra entendre les
arguments politiques de nos opposants. Or, le HDZ n'est pas un
mouvement articulé sur le modèle des partis européens. Il s'est
prononcé contre le rapprochement avec l'Union. Le HDZ n'a toujours pas
compris que la Croatie a sa place en Europe. Je crois donc que le
moment n'est pas venu pour qu'il revienne au pouvoir. Il faudrait
d'abord qu'il devienne un parti européen et qu'il élimine de ses rangs
les responsables de la catastrophe croate. La Croatie est bel et bien
engagée sur la voie d'un rapprochement avec l'Union Européenne. Et on
ne peut pas arrêter cette marche.

1. An International Call for the June 28 Hague Demonstration

2. Ryzhkov calls for one year recess in Milosevic trial
3. Ramsey Clark: Milosevic has the truth on his side
4. Transcripts Monday, 26 May 2003 (IT-02-54): Is this a "court"???

(All documents have been transmitted by the Sloboda Association. CNJ)


=== 1 ===


An International Call for the June 28 Hague Demonstration

From: Vladimir Krsljanin

ANCHE I FANTASMI SI CANDIDANO ALL'INGRESSO NELLA NATO

La "Unione di Serbia e Montenegro" (SCG) - precaria ed artificiale
creazione decisa a tavolino dal regime serbo e dalla mafia al potere in
Montenegro su pressione del bombardiere Xavier Solana - ha
ufficialmente chiesto l'accesso nella Partnership for Peace, anticamera
della NATO.

La SCG in questa maniera ringrazia chi l'ha devastata riducendola ad un
fantasma destinato a scomparire entro tre anni. E' questo infatti il
tempo-limite stabilito per la secessione del Montenegro; il distacco di
Kosovo e Vojvodina potrebbe avvenire ancor prima, con l'appoggio della
stessa NATO.

(I. Slavo)

SERBIA-MONTENEGRO APPLIES FOR MEMBERSHIP IN PARTNERSHIP FOR PEACE 

Belgrade, June 19 (Beta) - SerbianMontenegrin Foreign Minister Goran
Svilanovic on June 19 handed overt a letter to British ambassador
Carles Crawford who is also the NATO coordinator for SerbiaMontenegro
for NATO General Secretary George Robertson, with an official request
to admit Serbia to the NATO Partnership for Peace program. 
        The state union's admittance to the program would undoubtedly
help the in-depth reforms of society, particularly those of the armed
forces including their full, democratic control, the minister says. 
        Svilanovic especially underlined SerbiaMontenegro's willingness
to contribute to strengthening peace and stability in the region within
the program. 
        "In that sense, emphasis was placed on our contribution to the
fight against organized crime, including cooperation with other
countries in the region. Meantime, SerbiaMontenegro is determined to
fulfill all its international obligations, one of them being full
cooperation with the International Criminal Tribunal for the Former
Yugoslavia (ICTY)," a press release from the Foreign Ministry says. 
        The submission of an official request demonstrates the state
union's aim to enter European and world structures as soon as possible.
SerbiaMontenegro expects an improvement in cooperation with NATO to
result in the Alliance sending an official invitation for joining the
Partnership for Peace, the press release added. 

Da: Boba <petar@...>
Data: Mar 17 Giu 2003 15:36:16 Europe/Rome
Oggetto: MacLeans// THE BLOODSHED CONTINUES, by Scott Taylor


Dear All:

Enclosed is an article by Scott Taylor. Mr. Taylor knows the situation
in
Kosovo and Metohija very well. He is one of few journalists who tries
to be
as objective as possible. Although there are some objections to the
facts
stated in the article, such as "....one million ethnic Albanians fled
Kosovo
for refugee... [in 1999 ? maybe. but due to NATO bombing and not
Serbian
"oppression"] etc., please write to Maclean's in support of Mr. Taylor
and
his attempt to set the record straight. Boba

Write to Maclean's: letters@...
xxxxxxxxxxxx

http://www.macleans.ca/xta-asp/
storyview.asp?viewtype=search&tpl=search_fram
e&edate=2003/06/23&vpath=/xta-doc1/2003/06/23/world/
61202.shtml&maxrec=11&re
cnum=1&searchtype=BASIC&pg=1&rankbase=176&searchstring=scott+taylor"

World
June 23, 2003

THE BLOODSHED CONTINUES

Four years after NATO's arrival, Serbs and Albanians are still deeply
divided

SCOTT TAYLOR



During the bloody breakup of Yugoslavia in the early 1990s, Ottawa
journalist Scott Taylor travelled repeatedly to the region. Later,
during
the 1999 conflict in the Serbian province of Kosovo, he spent 26 days in
Belgrade and Pristina, Kosovo's capital. This year, Taylor returned to
Kosovo in late May, almost four years after the fighting ended. He says
that
despite the presence of thousands of NATO troops, and millions of
dollars in
foreign aid, crime is rampant, while tensions remain between Serbs and
ethnic Albanians -- who make up the majority in Kosovo. Taylor's report:

THE CROWD of Serbs gathered outside the charred remains of a small home
on
the outskirts of Pristina was nervous. Hours earlier, at about 2 a.m. on
June 4, someone crept into the house and beat Slobodan Stolic, 80, his
wife
Radmila, 78, and their son Ljubinko, 53, to death with what police
described
as a blunt instrument, and then torched the house. The brutal message
was
not lost on neighbours, who believe the three were murdered by Albanian
extremists trying to drive the remaining Serbs out of the village. And
it
was a stark reminder that Kosovo is still a violent place, one where the
soldiers who came to protect ethnic Albanians from Serbs in 1999 now
spend
their time trying to shield Serbs from Albanians. "Kosovo," says James
Bissett, Canada's former ambassador to Yugoslavia, "continues to be one
of
the most dangerous places on earth -- with little hope for the future."

In 1999, to escape Serbian forces sent in to suppress them, nearly one
million ethnic Albanians fled Kosovo for refugee camps in neighbouring
Albania and Macedonia (Kosovo's population of 2.2 million was about 90
per
cent Albanian). Most of the refugees have since returned; now, thanks to
nearly $2.7 billion the West has spent on aid, the country seems to be
prospering. But appearances are deceiving. Nearly 18,000 NATO
peacekeepers
patrol Kosovo, and a UN police force, made up of 4,400 officers from
around
the world, tries to enforce the law. Some say they are losing the fight.
Criminal gangs, operating under the guise of Albanian nationalist
militias,
traffic in drugs, weapons, and women for the European sex trade. If it
wasn't for the millions of dollars in foreign aid washing through the
province there would be little work. All this leaves Bissett wondering
what
the West has accomplished. "The justification for NATO's intervention
was to
build a democratic multi-ethnic society," says Bissett. "But little
progress
has been made to establish law and order."

Following the war, over 200,000 Serbs fled the province. The remaining
40,000 live in isolated enclaves along the Serbian border. Nationalist
groups, like the Albanian National Army, are using terror tactics in an
attempt to drive them out. On May 17, in the village of Vrbovac,
41-year-old
Serbian professor Zoran Mirkovic was shot repeatedly in the chest and
head.
Although UN police are still investigating, the ANA, which is made up of
members of the original Kosovo Liberation Army, may have been behind the
killing.

The ANA is one of several militant groups that are determined to make
Kosovo, which is still part of Serbia, an independent state. Like other
militias, they are also involved in organized crime, but still enjoy
wide
public support for their efforts to drive out the remaining Serbs.
Although
police have arrested some key Albanian crime bosses, the problem
persists,
says Derek Chappell, 51, a former constable with the Ottawa Police
Service
who now works with the UN police as chief of public information in
Pristina.
He says because the country was oppressed for so long, the line between
freedom fighter and criminal is often blurred. And whenever the UN makes
high-profile arrests, those apprehended wrap themselves in the flag of
Albanian nationalism, and the streets are suddenly filled with
protestors.

Most Western countries had expected democracy, not the mafia, to thrive
in
Kosovo. And although under the terms of the 1999 ceasefire agreement,
Kosovo
was to remain Serbian territory -- albeit a region with its own
parliament
-- many nations quickly established some measure of diplomatic relations
with the province. Canada was one of the first, when then-foreign
affairs
minister Lloyd Axworthy cut a ceremonial ribbon to open Canada's
offices in
Pristina in November 1999. Since then, the Canadian International
Development Agency has spent more than $100 million in Kosovo on
programs
that include teacher training and helping to rebuild the country's
shattered
infrastructure.

The UN had hoped that both Serbs and ethnic Albanians would be fairly
represented in the Kosovo Assembly, which was elected under UN
supervision
in November 2001. But many of the resolutions passed by the
Albanian-dominated body have been divisive. On May 15, members approved
a
resolution to celebrate the contribution that KLA fighters made in the
struggle for Kosovo's liberation. Serbian delegates immediately stormed
out,
and within hours, Michael Steiner, the UN's special representative in
Kosovo, reminded the assembly that NATO's intervention was initiated as
a
result of "fundamental human-rights violations," not to liberate
Albanians
from Serbs.

Serbs in Kosovo cannot hope for much help from the Serbian government in
Belgrade. There, criminal gangs also run rampant, and are believed
responsible for the assassination of Prime Minister Zoran Djindjic on
March
12. Beset by its own problems, Belgrade may be ready to back down on its
claim to Kosovo, which was part of medieval Serbia and contains many
important Orthodox shrines. According to Slobodan Tejic, a member of the
Serbian delegation involved in negotiations with NATO, that may mean
abandoning most of the province and absorbing a number of small Serb
enclaves located along the Serbian border. "These people," said Tejic,
"cannot continue to live in limbo forever."

Kosovo Serbs might be willing to go along, but only if it means they do
not
have to give up even a sliver of their remaining enclaves. That is
certainly
the view in the northern city of Mitrovica, where Serbs have resisted
the
movement of Albanians into their region, which stretches 60 km from the
Serbian border into Kosovo. Mitrovica is divided by the Ibar River;
there, a
group known as the Bridgewatchers, who were backed by Belgrade, often
blocked the passage of Albanians. Under the terms of a recent deal with
Serbia, the UN has now opened the bridge -- and that has raised doubts
among
local Serbs about their future. But most are determined to stay. "Even
if
Belgrade chooses to betray us, we will continue to resist," said Bozovic
Miroljub, a 47-year-old shopkeeper. "We are not prepared to give up our
claim to any of the Serbian enclaves."

Until the issue surrounding the Serb enclaves is settled, ethnic
tensions
will remain. That could mean that NATO and the UN will be bogged down
in the
province for years. A harsh reality -- considering that the West is
currently facing a similar problem in Iraq. Problems could be avoided
there,
says Chappell, if a strong police force were to be created immediately
to
contain crime and ethnic divisions. It is a lesson the West was slow to
learn in Kosovo -- and a mistake that may be in the process of being
repeated in Iraq.

Scott Taylor is publisher of Ottawa-based Esprit de Corps magazine.


Da: Boba <petar@...>
Data: Mer 18 Giu 2003 03:57:26 Europe/Rome
A: letters@...
Oggetto: Letter to Maclean's Magazine


Re: THE BLOODSHED CONTINUES , by Scott Taylor**
MacLean's Magazine, June 23, 2003

I was pleasantly surprised to see Mr. Taylor's article "THE BLOODSHED
CONTINUES" printed in "MacLean's". You should have Scott Taylor write
more
often about Kosovo. This would be the only way for Canadian readers to
get a
real picture of what is going on in this Serbian province.

There are few points, however, that I would like to add.

In the specific case of Kosovo, the train of lies and abuses by the
media
and by some government officials " is so long a thick book would hardly
do
it justice.
After NATO's 78-day air assault in 1999, NATO troops occupied the
Serbian
province of Kosovo, and their KLA [ Kosovo Liberation Army now renamed
to
"Kosovo Protection Force"] allies began a reign of terror that has
continued ever since.

In June 1999 alone, over 250,000 Serbs, Roma, Turks, Muslims, and Jews
were
forced to leave Kosovo, often with little or no property.
Throughout Kosovo, Serbs have retreated into towns and villages that
have
become virtual concentration camps. If they venture outside those areas,
which are guarded by NATO troops and not infrequently cordoned off with
barbed wire, they risk death.
Albanian militants have demolished or desecrated over 110 Serbian
Christian
Orthodox churches, chapels and monasteries. They have destroyed
hundreds of
monuments and even libraries, renamed towns, streets, and the entire
province ("Kosova") in an effort to completely eradicate any
non-Albanian
presence in Kosovo.

Murders of Serbs by Albanians were initially excused as "revenge
attacks,"
implying some sort of "payback" for Serb atrocities. But as the attacks
continued and atrocities accusations became increasingly impossible to
substantiate, a new euphemism was created: "ethnic violence." This
implies
that Serbs and Albanians are attacking each other. Yet no one can cite a
single case of Serbs wantonly attacking and murdering Albanians in these
past four years. Not one! When Albanians suffer violent deaths in Kosovo
these days, it is at the hands of other Albanians - members of crime
syndicates or "former" KLA (often one and the same)." *
Canadian officials have justified allocation of 100 million of dollars
for
Kosovo in order to "bring democracy" and achieve reconciliation and
multi-ethnicity in Kosovo.
What reconciliation? What multi-ethnicity? What democracy and
"resolution of
human rights violation"? What planet do the policy makers for Kosovo
live on?

Boba Borojevic