Informazione
La prossima settimana, ha annunciato, si riuniranno a Bruxelles i ministri degli esteri per rafforzare la presenza Nato nell’Europa orientale e aiutare l’Ucraina a modernizzare le sue forze militari. Ciò richiederà stanziamenti aggiuntivi. Siamo dunque avvertiti: altro che tagli alla spesa militare!
A quanto ammonta quella italiana? Secondo i dati del Sipri, l’autorevole istituto internazionale con sede a Stoccolma, l’Italia è salita nel 2012 al decimo posto tra i paesi con le più alte spese militari del mondo, con circa 34 miliardi di dollari, pari a 26 miliardi di euro annui.
Il che equivale a 70 milioni di euro al giorno, spesi con denaro pubblico in forze armate, armi e missioni militari all’estero.
Secondo i dati relativi allo stesso anno, pubblicati dalla Nato un mese fa, la spesa italiana per la difesa ammonta a 20,6 miliardi di euro, equivalenti a oltre 56 milioni di euro al giorno. Tale cifra, si precisa nel budget, non comprende però la spesa per altre forze non permanentemente sotto comando Nato, ma assegnabili a seconda delle circostanze. Né comprende le spese per le missioni militari all’estero, che non gravano sul bilancio del ministero della difesa. Ci sono inoltre altri stanziamenti extra-budget per il finanziamento di programmi militari a lungo termine, tipo quello per il caccia F-35.
Il budget ufficiale conferma che la spesa militare Nato ammonta a oltre 1000 miliardi di dollari annui, equivalenti al 57% del totale mondiale. In realtà è più alta, in quanto alla spesa statunitense, quantificata dalla Nato in 735 miliardi di dollari annui, vanno aggiunte altre voci di carattere militare non comprese nel budget del Pentagono – tra cui 140 miliardi annui per i militari a riposo, 53 per il «programma nazionale di intelligence», 60 per la «sicurezza della patria» – che portano la spesa reale Usa a oltre 900 miliardi, ossia a più della metà di quella mondiale.
Scopo degli Stati Uniti è che gli alleati europei assumano una quota maggiore nella spesa militare della Nato, destinata ad aumentare con l’allargamento e il potenziamento del fronte orientale.
Oggi, sottolinea Obama, «aerei dell’Alleanza atlantica pattugliano i cieli del Baltico, abbiamo rafforzato la nostra presenza in Polonia e siamo pronti a fare di più». Andando avanti in questa direzione, avverte, «ogni stato membro della Nato deve accrescere il proprio impegno e assumersi il proprio carico, mostrando la volontà politica di investire nella nostra difesa collettiva». Tale volontà è stata sicuramente confermata al presidente statunitense Barack Obama dal presidente delle repubblica Napolitano e dal capo del governo Renzi. Il carico, come al solito, se lo addosseranno i lavoratori italiani.
di Manlio Dinucci e Tommaso Di Francesco
Il primo passo sarà l’ulteriore rafforzamento della Nato. L’alleanza militare che, sotto comando Usa, ha inglobato nel 1999-2009 tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre dell’ex Urss e due ex repubbliche della Jugoslavia (distrutta dalla Nato con la guerra); che ha spostato le sue basi e forze militari, comprese quelle a capacità nucleare, sempre più a ridosso della Russia, armandole di uno «scudo antimissili», strumento non di difesa ma di offesa; che è penetrata in Ucraina, organizzando il golpe di Kiev e spingendo così la Crimea a separarsi e unirsi alla Russia. «Cambia il quadro geopolitico», annuncia il segretario generale della Nato: «Gli alleati devono rafforzare i loro legami economici e militari di fronte all’aggressione militare russa contro l’Ucraina».
Si prospetta dunque non solo un rafforzamento militare della Nato perché accresca «la prontezza operativa ed efficacia nel combattimento», ma allo stesso tempo una «Nato economica», tramite «l’accordo di libero scambio Usa-Ue» funzionale al sistema geopolitico occidentale dominato dagli Stati uniti.
Una Nato che, ribadisce Washington, «resterà una alleanza nucleare». Significativo è che la visita di Obama in Europa si sia aperta con il terzo Summit sulla sicurezza nucleare. Una creazione dello stesso Obama (non a caso Premio Nobel per la pace), per «mettere in condizione di sicurezza il materiale nucleare e prevenire così il terrorismo nucleare». Questo nobile intento perseguono gli Stati uniti, che hanno circa 8000 testate nucleari, tra cui 2150 pronte al lancio, alle quali si aggiungono le 500 francesi e britaniche, portando il totale Nato a oltre 2600 testate pronte al lancio, a fronte delle circa 1800 russe. Potenziale ora accresciuto dalla fornitura del Giappone agli Usa di oltre 300 kg di plutonio e una grossa quantità di uranio arricchito adatti alla fabbricazione di armi nucleari, cui si aggiungono 20 kg da parte dell’Italia. Partecipa al summit sulla «sicurezza nucleare» anche Israele – l’unica potenza nucleare in Medio Oriente (non aderente al Trattato di non-proliferazione) – che possiede fino a 300 testate e produce tanto plutonio da fabbricare ogni anno 10-15 bombe tipo quella di Nagasaki.
Il presidente Obama ha contribuito in particolare alla «sicurezza nucleare» dell’Europa, ordinando che circa 200 bombe B-61 schierate in Germania, Italia, Belgio, Olanda e Turchia (violando il Trattato di non-proliferazione), siano sostituite con nuove bombe nucleari B61-12 a guida di precisione, progettate in particolare per il caccia F-35, comprese quelle anti-bunker per distruggere i centri di comando in un first strike nucleare.
La strategia di Washington ha un duplice scopo. Da un lato, ridimensionare la Russia, che ha rilanciato la sua politica estera (v. il ruolo svolto in Siria) e si è riavvicinata alla Cina, creando una potenziale alleanza in grado di contrapporsi alla superpotenza statunitense. Dall’altro, alimentare in Europa uno stato di tensione che permetta agli Usa di mantenere tramite la Nato la loro leadership sugli alleati, considerati in base a una differente scala di valori: con il governo tedesco Washington tratta per la spartizione di aree di influenza, con quello italiano («tra i nostri amici più cari al mondo») si limita a pacche sulle spalle sapendo di poter ottenere ciò che vuole.
Contemporaneamente Obama preme sugli alleati europei perché riducano le importazioni di gas e petrolio russo. Obiettivo non facile. L’Unione europea dipende per circa un terzo dalle forniture energetiche russe: Germania e Italia per il 30%, Svezia e Romania per il 45%, Finlandia e Repubblica Ceca per il 75%, Polonia e Lituania per oltre il 90%. L’amministrazione Obama, scrive il New York Times, persegue una «strategia aggressiva» che mira a ridurre le forniture energetiche russe all’Europa: essa prevede che la ExxonMobil e altre compagnie statunitensi forniscano crescenti quantità di gas all’Europa, sfruttando i giacimenti mediorientali, africani e altri, compresi quelli statunitensi la cui produzione è aumentata permettendo agli Usa di esportare gas liquefatto.
In tale quadro rientra la «guerra dei gasdotti»: obiettivo statunitense è bloccare il Nord Stream, che porta nella Ue il gas russo attraverso il Mar Baltico, e impedire la realizzazione del South Stream, che lo porterebbe nella Ue attraverso il Mar Nero. Ambedue aggirano l’Ucraina, attraverso cui passa oggi il grosso del gas russo, e sono realizzati da consorzi guidati dalla Gazprom di cui fanno parte compagnie europee. Paolo Scaroni, numero uno dell'Eni, ha avvertito il governo che, se venisse bloccato il progetto South Stream, l'Italia perderebbe ricchi contratti, come l’appalto da 2 miliardi di euro che la Saipem si è aggiudicata per la costruzione del tratto sottomarino. Bisogna però fare i conti con le pressioni Usa.
Il presidente Obama si dedica comunque anche a opere di bene. Con Papa Francesco parlerà domani del «comune impegno nel combattere la povertà e la crescente ineguagliamza». Lui che durante la sua amministrazione ha fatto salire il tasso di povertà negli Usa dal 12% al 15% (oltre 46 milioni di poveri) e quello infantile dal 18% al 22%, mentre i superricchi (lo 0,01% della popolazione) hanno quadruplicato il loro reddito. Obama «ringrazierà il Papa anche per i suoi appelli per la pace». Lui, presidene di uno stato la cui spesa per armi e guerre equivale a circa la metà di quella mondiale.
Lo strano caso delle armi atomiche in Italia
Alice Pace
Le armi atomiche che abbiamo in repertorio si chiamano bombe B61, ideate e messe in produzione durante la corsa agli armamenti successiva alla seconda guerra mondiale. Smistate tra i reparti segreti della Base Aerea di Aviano, in provincia di Pordenone e l’Aeroporto di Brescia-Ghedi, sul suolo italiano ne contiamo circa una settantina. Si tratta di armi di tipo tattico e la loro funzione è di essere impiegate direttamente sul terreno di battaglia, a differenza delle armi nucleari strategiche che, invece, sono progettate per interventi a lunga gittata e che, potenzialmente, se montate su vettori intercontinentali possono essere scagliate anche a oltre 10mila chilometri di distanza. Le B61, grossi cilindri di circa tre metri e mezzo di lunghezza e oltre tre quintali di peso, sono prive di un proprio mezzo di propulsione e risultano perciò progettate esclusivamente per il lancio dagli aerei.
Le B61 stipate all’interno delle nostre basi non sono di nostra proprietà, bensì degli Stati Uniti e altro non sono che un residuo della vecchia guerra fredda, quando si ipotizzava una possibile invasione per via terrestre dell’Armata Rossa. In tal caso, sarebbero state usate dalla Nato per creare una zona di impenetrabilità a mezzo di bombardamenti aerei ai confini della Cortina di Ferro. A rigore di legge la loro presenza sul nostro territorio non sarebbe consentita già dagli anni ’90, a maggior ragione per la partecipazione dell’Italia ai trattati internazionali per il disarmo nucleare, ma di fatto il patto Nato rende ancora possibile tenerle nelle nostre basi.
La mancata ufficialità sulla presenza delle testate nucleari entro i nostri confini da parte delle nostre istituzioni si concretizza nella mancata trasparenza sulla questione, più pratica, della spesa per la loro custodia e la manutenzione. “Nel nostro bilancio annuale della Difesa non esiste una voce specificamente rivolta alle spese per il nucleare” spiega Simoncelli, “è dichiarata solo la voce generica Nato, ed è quindi impossibile risalire a questa informazione”. Ed è un problema che si estende anche a livello globale: nemmeno attraverso i database internazionali è possibile risalirvi, poiché le spese militari destinate al nucleare sono di fatto uno dei segreti più inaccessibili in assoluto per quasi tutti i paesi del mondo.
Armi nucleari
Laura Pulici
Euroentusiasmo montenegrino - Vujanovic: “Per noi l’Unione europea è una grande occasione”
26 MARZO 2014 - A Podgorica l'euroscetticismo non sanno cosa sia. Come in tutto il Montenegro. Mentre nella vecchia Europa si propongono referendum per uscire dall'Unione Europea, in questo paese di poco più di 672mila abitanti quello che si respira è un clima d'euroentusiasmo. Perché il Montenegro sta lavorando sodo ed è “molto soddisfatto” dei passi compiuti fino ad ora sulla strada dell'integrazione europea. Lo spiega all'Ansa il presidente del Montenegro Filip Vujanovic. “Essere un membro della famiglia europea è molto importante per noi", assicura, ricordando che il suo paese ha realizzato un importante pacchetto di riforme che riguardano la giustizia, lo stato di diritto e la lotta alla corruzione e la criminalità organizzata. Riforme richieste dall'Ue, ma che il Montenegro “vuole realizzare” principalmente per migliorare la qualità della vita dei propri cittadini e per se stesso. Per questo nel piccolo paese balcanico l'eco delle proteste antieuropeiste non arriva neppure. “I cittadini del Montenegro danno grande sostegno al processo di integrazione europea - dice il presidente - ci tengono molto e non sono influenzati dall'ondata antieuropeista: loro vogliono far parte dell'Unione Europea”. Per riuscirci la prima sfida è la lotta alla corruzione, piaga montenegrina, alla quale neanche Stati già membri sono immuni, e di fronte alla quale l'Ue non chiude gli occhi, quando si tratta di adesione dei nuovi Stati membri. “Abbiamo formato una task force nel governo - sottolinea Vujanovic - per la lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione e stiamo lavorando in modo molto intenso ed efficace, per risolvere questi problemi, con il sostegno dell'Unione Europea. Sono convinto che i nostri interventi porteranno presto a risultati concreti”. L'Unione Europea per il Montenegro rappresenta una “grande opportunità” e nel percorso per raggiungerla “è molto importante la collaborazione con l'Italia”, assicura Vujanovic, in particolare per quanto riguarda lo strumento di assistenza di preadesione, l'Ipa, che prevede “l'istituzione di un ufficio regionale a Podgorica per raggiungere gli obiettivi della lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione”. Ma non solo. Tra i progetti del Montenegro c'è poi la Nato. “Il nostro obiettivo è entrare a far parte dell'Alleanza - dice Vujanovic - ma pensiamo che sia di grande interesse anche per la Nato che ci sia il Montenegro. Dopo l'entrata della Croazia e dell'Albania, ora il Montenegro è l'unico paese adriatico fuori dal Patto atlantico. Abbiamo realizzato con grande successo tre piani annuali nazionali(ANP). Il quarto è in corso. Dal punto di vista strategico credo sia molto importante per la Nato far entrare il Montenegro che peraltro è molto attivo anche nelle missioni internazionali, in particolare in Afghanistan”.
Montenegro: Mafia as Guarantor of Euro-Atlantic Integration
By Boris Aleksic
Global Research, February 25, 2014
Strategic Culture Foundation 24 February 2014
Region: Europe
On April 30, 1999 NATO aviation delivered two strikes against the township Murino, a small resort in eastern Montenegro. Civilians died, including three children who went to grade school. Fifteen years have passed. Milo Djukanovic (photo), the Montenegrin dictator, said that joining NATO is a political priority for his country. It is emphasized that 2014 is a decisive year because Montenegro must be ready for the NATO’s September summit to be held in the United Kingdom. The expansion of the Alliance to the East will be an issue on the agenda.
The authorities affirm that the country has completely changed during in the last 15 years. Podgorica has recognized the independence of Kosovo and Metohija and forgotten those who lost their lives during the NATO aggression. With German funds it is ready to erect a memorial to Hitler’s fascists, who occupied Montenegro during World War II. It is planned to reconstruct the German Nazi soldiers’ cemetery near the Golubovci airport, which was bombed by NATO in 1999.
The old and new fascists have one thing in common – they share the feeling of hatred towards the Russian people. Hitler eliminated the League of Nations. The NATO’s aggression against Yugoslavia has drastically diminished the role of the United Nations on the world arena, as well as the influence of United Nations Charter on international law. It’s not an occasion the US intelligence services during the Second World War were created with the help of German generals: Heinrich Müller, Reinhard Gehlen, Baron Otto von Bolschwing and Emil Augsburg.
Montenegro has really changed during the last dozen of years, but Milo Djukanovic is still the same. In his time he was assigned the role an ideal partner of NATO. There is a very important historic aspect to be remembered here. During WWII, the United States resorted to the help of mafia while liberating Italy. According to Swiss professor Daniele Ganser, the alliance between Italian mafia and the United States, as well as mafia and NATO still exists. For instance, Washington uses criminal structures to eliminate its opponents – independent politicians and journalists in Europe. The United States and NATO rely on mafia in the Balkans.
They have brought terrorists, drug dealers and illegal traders of human organs to power in Pristina on the territory of occupied Kosovo and Metohija.
According to documents in the possession of Italy’s prosecutor’s office and inquiries of independent journalists, Milo Djukanovic has had close ties with Italian and American mafia since a long time. A 409 – page report is added to the indictment brought by Italian prosecution.
Prosecutor Giuseppe Scelsi has formally stated that Milo Djukanovic is the top boss of Montenegrin mafia.
In the 1980s well-known mafiosi Della Torre organized large heroin supplies from Italy to the US East Coast. There was solid evidence that Della Torre was involved in money laundering. He got profit from heroin trade through Swiss banks, but Americans never brought charges against him with a string attached – he had to cooperate with the US special services. In 1996 the Italian mafiosi started to run his own chain involved in counterfeit cigarettes business. As sources confirm, he worked with Milo Djukanovic. The counterfeit cigarettes trade brought millions of dollars into the pockets of US intelligence. Many of truth pursuers, who stood in the way of the CIA and mafia alliance, paid with their lives, including two journalists: Dusko Jovanovic, the Editor of Montenegrin newspaper Dan, and Ivo Pukanic, Editor-in-Chief of Croatian weekly magazine National. Pukanic has published facts providing ample evidence of the Djukanovic and Subotić involvement in illegal cigarette trade.
In March 2011 US Senator Richard Lugar formally proposed to make Georgia, Bosnia and Herzegovina, Macedonia and Montenegro full-fledged NATO members. According to him, the expansion is of crucial importance for security and democracy in the Balkans. At the beginning of October 2013 Lugar met Djukanovic and said that «Montenegro is the number one candidate for membership in NATO». At the very same time Italian prosecutor Giuseppe Scelsi, who possessed irrefutable evidence of the fact that Djukanovic was involved in criminal activities, was charged in October 2013 with abuse of office. Today Washington lets Djukanovic know that if he makes Montenegro a NATO member, then all the accusations related to criminal activities will be lifted…
In 1999 NATO started its expansion to the Balkans by committing a grave crime – an aggression against Yugoslavia. Nowadays the creation of criminal regimes on the territory of former Yugoslavia is a logical continuation of its policy.
1 febbraio 2014 - Polemiche in Montenegro per un affresco in una chiesa di Podgorica che mostra il maresciallo Tito che brucia tra le fiamme dell'inferno insieme a Karl Marx e Friedrich Engels. Il dipinto, opera di un anonimo, ha spaccato la comunità di fedeli che si riunisce nella nuova Chiesa della Resurrezione della capitale montenegrina, divisa tra quanti vorrebbero la rimozione dell'affresco, contestando l'interferenza della religione nella politica, e quanti, invece, l'hanno apprezzato. (Adnkronos)
Coordina:
Andrea Martocchia, del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia.
Intervengono:
Giulietto Chiesa, giornalista e Presidente di Alternativa Politica
Fausto Sorini, Responsabile del Dipartimento Esteri del PdCI
In collegamento Skype da Kiev:
Partito Comunista dell'Ucraina (www.kpu.ua)
Organizzano:
Partito dei Comunisti Italiani Federazione di Bologna in collaborazione con il Dipartimento Esteri
Partito della Rifondazione Comunista, circolo Centro Storico "Tosca"
Giovani Comunisti, circolo universitario "Mario Rovinetti"
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
Era da tempo, da troppo tempo, che questo paese doveva fare i conti con due macigni sulla sua storia. Quello degli “italiani brava gente” e quello dell’impunità assicurata ai criminali di guerra italiani – così come a quelli tedeschi – alla fine della seconda guerra mondiale. Il procuratore militare di Roma, Marco De Paolis, ha finalmente aperto un'inchiesta sui crimini compiuti dai militari italiani nei territori occupati durante la seconda guerra mondiale, in particolare in Grecia, Jugoslavia, Albania. Non è dato sapere se la cosa verrà estesa a Libia ed Etiopia.
Il dott. De Paolis per ora si è limitato a far saper che e' partito un "accertamento conoscitivo" e che e' stato aperto un fascicolo 'modello 45', cioe' "atti relativi a", ma senza indagati.
A smuovere le acque è stato l'esposto presentato da alcuni cittadini, ispirato da due articoli di Franco Giustolisi, il giornalista che rivelò all'opinione pubblica il famigerato "armadio della vergogna", dove furono chiusi e "provvisoriamente archiviati" nel dopoguerra - per una sorta di "patto segreto" tra Italia e Germania - 695 fascicoli di crimini nazifascisti, riemersi solo negli anni scorsi, quando fu possibile riaprire le indagini e svolgere una serie di processi finiti con decine di ergastoli.
"Dimenticato" in un angolo della procura, non lontano dall'armadio, svela Giustolisi, c'era anche un "carrello della vergogna". Un carrello stipato di incartamenti relativi alle tante stragi commesse, durante l'ultima guerra, dai soldati italiani. Di questi eccidi si occupo' una commissione istituita il 6 maggio 1946 dall'allora ministero della Guerra. La relazione finale, del 30 giugno 1951, e' firmata dal senatore Luigi Gasparotto. Oltre 300 i militari italiani accusati di crimini di guerra dalle varie nazioni aggredite dal fascismo.
Eccidi che sarebbero stati commessi in varie localita' della Jugoslavia, della Grecia, dell'Unione Sovietica, della Francia, dell'Albania. Solo poco piu' di una trentina, secondo la relazione Gasparotto, quelli perseguibili da parte "dell'autorita' competente". Ma nessuno fu processato.
Solo per una di queste stragi - quella di Domenikon, in Grecia, dove furono trucidati 150 civili - il procuratore De Paolis, dopo aver raccolto la denuncia del rappresentante dei familiari delle vittime, gia' da tempo ha riaperto un'inchiesta che in precedenza era stata archiviata. Le indagini della procura militare di Roma avrebbero consentito, secondo quanto si e' appreso, di risalire ai responsabili della strage, che verranno ora iscritti nel registro degli indagati, anche se sarebbero tutti morti. Inevitabile, dunque, la successiva archiviazione.
Recentemente uno degli giovani storici, Davide Conti, ha pubblicato il libro “Criminali di guerra italiani” dove, attraverso un'ampia mole di documenti ufficiali, ricostruisce i crimini di guerra commessi dal regio esercito durante l'occupazione italiana in Albania, Jugoslavia, Urss e Grecia e di cui le alte gerarchie militari avrebbero dovuto rispondere alla fine della guerra. Più precisamente, illustra le trattative, gli accordi, le politiche dilatorie attuate dal governo di Roma per giungere a eludere ogni forma di sanzione giuridica ai danni dei vertici del proprio esercito cosicché i mancati processi, le assoluzioni e la generale impunità ha permesso la narrazione auto-assolutoria degli italiani "brava gente".
De Paolis si limita a dire per il momento che e' partito un "accertamento conoscitivo" e che e' stato aperto un fascicolo 'modello 45', cioe' "atti relativi a", senza indagati. L'esposto, secondo quanto si e appreso, prende in particolare le mosse da due articoli di Franco Giustolisi, il giornalista che per primo svelo' all'opinione pubblica lo scandalo del cosiddetto "armadio della vergogna", dove furono chiusi e "provvisoriamente archiviati" nel dopoguerra - per una sorta di "patto segreto" tra Italia e Germania - 695 fascicoli di crimini nazifascisti, riemersi solo negli anni scorsi, quando fu possibile riaprire le indagini e svolgere una serie di processi finiti con decine di ergastoli.
"Dimenticato" in un angolo della procura, non lontano dall'armadio, svela Giustolisi, c'era anche un "carrello della vergogna". Un carrello stipato di incartamenti relativi alle tante stragi commesse, durante l'ultima guerra, dai soldati italiani. Di questi eccidi si occupo' una commissione istituita il 6 maggio 1946 dall'allora ministero della Guerra. La relazione finale, del 30 giugno 1951, e' firmata dal senatore Luigi Gasparotto. Oltre 300 i militari italiani accusati di crimini di guerra dalle varie nazioni aggredite dal fascismo.
Eccidi che sarebbero stati commessi in varie localita' della Jugoslavia, della Grecia, dell'Unione Sovietica, della Francia, dell'Albania. Solo poco piu' di una trentina, secondo la relazione Gasparotto, quelli perseguibili da parte "dell'autorita' competente". Ma nessuno fu processato.
Solo per una di queste stragi - quella di Domenikon, in Grecia, dove furono trucidati 150 civili - il procuratore De Paolis, dopo aver raccolto la denuncia del rappresentante dei familiari delle vittime, gia' da tempo ha riaperto un'inchiesta che in precedenza era stata archiviata. Le indagini della procura militare di Roma avrebbero consentito, secondo quanto si e' appreso, di risalire ai responsabili della strage, che verranno ora iscritti nel registro degli indagati, anche se sarebbero tutti morti. Inevitabile, dunque, la successiva archiviazione.