Informazione


Obama vs. Putin

1) La Nato ci costa 70 milioni di euro al giorno (Manlio Dinucci, 27.3.2014)
2) Il pacco atlantico (Manlio Dinucci e Tommaso Di Francesco, 26.3.2014)
3) Speciale ARMI ATOMICHE IN ITALIA (dal sito Ulisse Scienza)


=== 1 ===


La Nato ci costa 70 milioni di euro al giorno

Manlio Dinucci, da il Manifesto del 27.3.2014

Rapporto Sipri. Ogni ora si spendono tre milioni di euro per difesa, armi e Alleanza atlantica. Ecco quanto paga l'Italia. Senza contare F35 e missioni militari all'estero


«La situa­zione in Ucraina ci ricorda che la nostra libertà non è gra­tuita e dob­biamo essere dispo­sti a pagare»: lo ha riba­dito il pre­si­dente Obama, a Roma come a Bru­xel­les, dicen­dosi pre­oc­cu­pato che alcuni paesi Nato vogliano dimi­nuire la pro­pria spesa mili­tare.
La pros­sima set­ti­mana, ha annun­ciato, si riu­ni­ranno a Bru­xel­les i mini­stri degli esteri per raf­for­zare la pre­senza Nato nell’Europa orien­tale e aiu­tare l’Ucraina a moder­niz­zare le sue forze mili­tari. Ciò richie­derà stan­zia­menti aggiun­tivi. Siamo dun­que avver­titi: altro che tagli alla spesa militare!

A quanto ammonta quella ita­liana? Secondo i dati del Sipri, l’autorevole isti­tuto inter­na­zio­nale con sede a Stoc­colma, l’Italia è salita nel 2012 al decimo posto tra i paesi con le più alte spese mili­tari del mondo, con circa 34 miliardi di dol­lari, pari a 26 miliardi di euro annui.
Il che equi­vale a 70 milioni di euro al giorno, spesi con denaro pub­blico in forze armate, armi e mis­sioni mili­tari all’estero.
Secondo i dati rela­tivi allo stesso anno, pub­bli­cati dalla Nato un mese fa, la spesa ita­liana per la difesa ammonta a 20,6 miliardi di euro, equi­va­lenti a oltre 56 milioni di euro al giorno. Tale cifra, si pre­cisa nel bud­get, non com­prende però la spesa per altre forze non per­ma­nen­te­mente sotto comando Nato, ma asse­gna­bili a seconda delle cir­co­stanze. Né com­prende le spese per le mis­sioni mili­tari all’estero, che non gra­vano sul bilan­cio del mini­stero della difesa. Ci sono inol­tre altri stan­zia­menti extra-budget per il finan­zia­mento di pro­grammi mili­tari a lungo ter­mine, tipo quello per il cac­cia F-35.

Il bud­get uffi­ciale con­ferma che la spesa mili­tare Nato ammonta a oltre 1000 miliardi di dol­lari annui, equi­va­lenti al 57% del totale mon­diale. In realtà è più alta, in quanto alla spesa sta­tu­ni­tense, quan­ti­fi­cata dalla Nato in 735 miliardi di dol­lari annui, vanno aggiunte altre voci di carat­tere mili­tare non com­prese nel bud­get del Pen­ta­gono – tra cui 140 miliardi annui per i mili­tari a riposo, 53 per il «pro­gramma nazio­nale di intel­li­gence», 60 per la «sicu­rezza della patria» – che por­tano la spesa reale Usa a oltre 900 miliardi, ossia a più della metà di quella mondiale.

Scopo degli Stati Uniti è che gli alleati euro­pei assu­mano una quota mag­giore nella spesa mili­tare della Nato, desti­nata ad aumen­tare con l’allargamento e il poten­zia­mento del fronte orientale.

Oggi, sot­to­li­nea Obama, «aerei dell’Alleanza atlan­tica pat­tu­gliano i cieli del Bal­tico, abbiamo raf­for­zato la nostra pre­senza in Polo­nia e siamo pronti a fare di più». Andando avanti in que­sta dire­zione, avverte, «ogni stato mem­bro della Nato deve accre­scere il pro­prio impe­gno e assu­mersi il pro­prio carico, mostrando la volontà poli­tica di inve­stire nella nostra difesa col­let­tiva». Tale volontà è stata sicu­ra­mente con­fer­mata al pre­si­dente sta­tu­ni­tense Barack Obama dal pre­si­dente delle repub­blica Napo­li­tano e dal capo del governo Renzi. Il carico, come al solito, se lo addos­se­ranno i lavo­ra­tori italiani.


=== 2 ===


Il pacco atlantico

di Manlio Dinucci e Tommaso Di Francesco 
da il Manifesto del 26 Marzo 2014 


Scopo centrale della visita del presidente Obama in Europa – dichiara Susan Rice, consigliera per la sicurezza nazionale – è «premere per l’unità dell’Occidente» di fronte alla «invasione russa della Crimea». 

Il primo passo sarà l’ulteriore rafforzamento della Nato. L’alleanza militare che, sotto comando Usa, ha inglobato nel 1999-2009 tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre dell’ex Urss e due ex repubbliche della Jugoslavia (distrutta dalla Nato con la guerra); che ha spostato le sue basi e forze militari, comprese quelle a capacità nucleare, sempre più a ridosso della Russia, armandole di uno «scudo antimissili», strumento non di difesa ma di offesa; che è penetrata in Ucraina, organizzando il golpe di Kiev e spingendo così la Crimea a separarsi e unirsi alla Russia. «Cambia il quadro geopolitico», annuncia il segretario generale della Nato: «Gli alleati devono rafforzare i loro legami economici e militari di fronte all’aggressione militare russa contro l’Ucraina».

Si prospetta dunque non solo un rafforzamento militare della Nato perché accresca «la prontezza operativa ed efficacia nel combattimento», ma allo stesso tempo una «Nato economica», tramite «l’accordo di libero scambio Usa-Ue» funzionale al sistema geopolitico occidentale dominato dagli Stati uniti.

Una Nato che, ribadisce Washington, «resterà una alleanza nucleare». Significativo è che la visita di Obama in Europa si sia aperta con il terzo Summit sulla sicurezza nucleare. Una creazione dello stesso Obama (non a caso Premio Nobel per la pace), per «mettere in condizione di sicurezza il materiale nucleare e prevenire così il terrorismo nucleare». Questo nobile intento perseguono gli Stati uniti, che hanno circa 8000 testate nucleari, tra cui 2150 pronte al lancio, alle quali si aggiungono le 500 francesi e britaniche, portando il totale Nato a oltre 2600 testate pronte al lancio, a fronte delle circa 1800 russe. Potenziale ora accresciuto dalla fornitura del Giappone agli Usa di oltre 300 kg di plutonio e una grossa quantità di uranio arricchito adatti alla fabbricazione di armi nucleari, cui si aggiungono 20 kg da parte dell’Italia. Partecipa al summit sulla «sicurezza nucleare» anche Israele – l’unica potenza nucleare in Medio Oriente (non aderente al Trattato di non-proliferazione) – che possiede fino a 300 testate e produce tanto plutonio da fabbricare ogni anno 10-15 bombe tipo quella di Nagasaki.

Il presidente Obama ha contribuito in particolare alla «sicurezza nucleare» dell’Europa, ordinando che circa 200 bombe B-61 schierate in Germania, Italia, Belgio, Olanda e Turchia (violando il Trattato di non-proliferazione), siano sostituite con nuove bombe nucleari B61-12 a guida di precisione, progettate in particolare per il caccia F-35, comprese quelle anti-bunker per distruggere i centri di comando in un first strike nucleare.

La strategia di Washington ha un duplice scopo. Da un lato, ridimensionare la Russia, che ha rilanciato la sua politica estera (v. il ruolo svolto in Siria) e si è riavvicinata alla Cina, creando una potenziale alleanza in grado di contrapporsi alla superpotenza statunitense. Dall’altro, alimentare in Europa uno stato di tensione che permetta agli Usa di mantenere tramite la Nato la loro leadership sugli alleati, considerati in base a una differente scala di valori: con il governo tedesco Washington tratta per la spartizione di aree di influenza, con quello italiano («tra i nostri amici più cari al mondo») si limita a pacche sulle spalle sapendo di poter ottenere ciò che vuole.

Contemporaneamente Obama preme sugli alleati europei perché riducano le importazioni di gas e petrolio russo. Obiettivo non facile. L’Unione europea dipende per circa un terzo dalle forniture energetiche russe: Germania e Italia per il 30%, Svezia e Romania per il 45%, Finlandia e Repubblica Ceca per il 75%, Polonia e Lituania per oltre il 90%. L’amministrazione Obama, scrive il New York Times, persegue una «strategia aggressiva» che mira a ridurre le forniture energetiche russe all’Europa: essa prevede che la ExxonMobil e altre compagnie statunitensi forniscano crescenti quantità di gas all’Europa, sfruttando i giacimenti mediorientali, africani e altri, compresi quelli statunitensi la cui produzione è aumentata permettendo agli Usa di esportare gas liquefatto.

In tale quadro rientra la «guerra dei gasdotti»: obiettivo statunitense è bloccare il Nord Stream, che porta nella Ue il gas russo attraverso il Mar Baltico, e impedire la realizzazione del South Stream, che lo porterebbe nella Ue attraverso il Mar Nero. Ambedue aggirano l’Ucraina, attraverso cui passa oggi il grosso del gas russo, e sono realizzati da consorzi guidati dalla Gazprom di cui fanno parte compagnie europee. Paolo Scaroni, numero uno dell'Eni, ha avvertito il governo che, se venisse bloccato il progetto South Stream, l'Italia perderebbe ricchi contratti, come l’appalto da 2 miliardi di euro che la Saipem si è aggiudicata per la costruzione del tratto sottomarino. Bisogna però fare i conti con le pressioni Usa.

Il presidente Obama si dedica comunque anche a opere di bene. Con Papa Francesco parlerà domani del «comune impegno nel combattere la povertà e la crescente ineguagliamza». Lui che durante la sua amministrazione ha fatto salire il tasso di povertà negli Usa dal 12% al 15% (oltre 46 milioni di poveri) e quello infantile dal 18% al 22%, mentre i superricchi (lo 0,01% della popolazione) hanno quadruplicato il loro reddito. Obama «ringrazierà il Papa anche per i suoi appelli per la pace». Lui, presidene di uno stato la cui spesa per armi e guerre equivale a circa la metà di quella mondiale. 


=== 3 ===


Lo strano caso delle armi atomiche in Italia


27 marzo 2014
Alice Pace

SPECIALE MARZO – Nella produzione di energia non siamo un paese nuclearee appena qualche qualche giorno fa, in occasione del vertice mondiale dell’Aja per la prevenzione del terrorismo nucleare, abbiamo ribadito il nostro impegno contro la proliferazione delle armi atomiche. Ciò nonostante, nei sotterranei delle nostre basi militari custodiamo decine e decine di testate nucleari americane, che di fronte a un’urgenza saremmo autorizzati a utilizzare. E nel nostro futuro prossimo non figura alcuna volontà di rimozione o smaltimento, anzi: queste bombe sono in fase di ammodernamento per diventare ancora più precise e potenti.

Ma dove sono, come sono fatti e che pericolo rappresentano questi ordigni? Ne abbiamo discusso con Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, che si occupa dei problemi legati al controllo degli armamenti, di pace e di sicurezza internazionale.

Le bombe nucleari in Italia   
Le armi atomiche che abbiamo in repertorio si chiamano bombe B61, ideate e messe in produzione durante la corsa agli armamenti successiva alla seconda guerra mondiale. Smistate tra i reparti segreti della Base Aerea di Aviano, in provincia di Pordenone e l’Aeroporto di Brescia-Ghedi, sul suolo italiano ne contiamo circa una settantina. Si tratta di armi di tipo tattico e la loro funzione è di essere impiegate direttamente sul terreno di battaglia, a differenza delle armi nucleari strategiche che, invece, sono progettate per interventi a lunga gittata e che, potenzialmente, se montate su vettori intercontinentali possono essere scagliate anche a oltre 10mila chilometri di distanza. Le B61, grossi cilindri di circa tre metri e mezzo di lunghezza e oltre tre quintali di peso, sono prive di un proprio mezzo di propulsione e risultano perciò progettate esclusivamente per il lancio dagli aerei.
Quanto sono potenti? “Ne esistono diverse versioni, e quelle che abbiamo in Italia possono raggiungere la potenza anche di 170 chilotoni” spiega Simoncelli – dove un chilotone corrisponde alla potenza esplosiva di mille tonnellate di tritolo. Non rientrano nella categoria delle super-bombe, ma rispetto all’ordigno sganciato nel ‘45 su Hiroshima (circa 13-15 chilotoni), qui siamo abbondantemente sopra di un ordine di grandezza. Di fatto, ci ritroviamo per le mani 70 mezzi di distruzione di massa che, assieme ai nostri futuri aerei di punta, i tanto discussi F35, appositamente adeguati al loro trasporto e dotati di capacità stealth (cioè di invisibilità ai radar), formerebbero un’accoppiata perfetta per sferrare un primo colpo a sorpresa verso il potenziale nemico.

Un po’ di storia
Le B61 stipate all’interno delle nostre basi non sono di nostra proprietà, bensì degli Stati Uniti e altro non sono che un residuo della vecchia guerra fredda, quando si ipotizzava una possibile invasione per via terrestre dell’Armata Rossa. In tal caso, sarebbero state usate dalla Nato per creare una zona di impenetrabilità a mezzo di bombardamenti aerei ai confini della Cortina di Ferro. A rigore di legge la loro presenza sul nostro territorio non sarebbe consentita già dagli anni ’90, a maggior ragione per la partecipazione dell’Italia ai trattati internazionali per il disarmo nucleare, ma di fatto il patto Nato rende ancora possibile tenerle nelle nostre basi.
Anche altri paesi sono stati e sono ancora coinvolti nel patto, e il totale delle bombe atomiche americane in Europa ammonta a 200. Sono distribuite tra Belgio, Olanda, Germania, Turchia a formare “una sorta di linea verticale di sicurezza contro gli attacchi da est” precisa Simoncelli. “Il tutto – perlomeno nel caso dell’Italia -  protetto da segreto militare, tant’è che il nostro governo non ha mai negato né confermato la presenza di un arsenale nucleare nelle nostro territorio”. Presenza che però è testimoniata dalla documentazione disponibile presso diversi uffici stranieri: primo tra tutti quello del Sipri, l’Istituto Internazionale di Ricerca per la Pace di Stoccolma, dove è possibile rintracciare delle stime aggiornate, e il sito della Federation of American Scientists, che pubblica rapporti e tabelle sui diversi arsenali.

Le perplessità
La mancata ufficialità sulla presenza delle testate nucleari entro i nostri confini da parte delle nostre istituzioni si concretizza nella mancata trasparenza sulla questione, più pratica, della spesa per la loro custodia e la manutenzione. “Nel nostro bilancio annuale della Difesa non esiste una voce specificamente rivolta alle spese per il nucleare” spiega Simoncelli, “è dichiarata solo la voce generica Nato, ed è quindi impossibile risalire a questa informazione”. Ed è un problema che si estende anche a livello globale: nemmeno attraverso i database internazionali è possibile risalirvi, poiché le spese militari destinate al nucleare sono di fatto uno dei segreti più inaccessibili in assoluto per quasi tutti i paesi del mondo.
Un’altra fonte di perplessità è legata invece alla mancata informazione sui margini di sicurezza entro cui viene mantenuto questo materiale nucleare. “C’è da dire che queste armi per entrare in funzione devono essere armate”chiarisce Simoncelli, “e per innescare l’esplosione gli esperti parlano anche di settimane di preparazione e di iter tecnico-organizzativo”. Difficile, insomma, che si creino le condizioni per un vero e proprio incidente nucleare. Ma non sarebbe forse diritto dei cittadini, in particolare quelli che vivono nelle aree attorno alle basi di Aviano e Ghedi, essere a conoscenza dei propri livelli di rischio?
Queste bombe incontrano poi lo scetticismo di molti dei maggiori esperti di strategia bellica, così come delle delegazioni tecniche di molti paesi alleati, poiché ritenute ridondanti e ormai obsolete sotto diversi punti di vista. Innanzitutto sotto quello politico, ormai profondamente cambiato rispetto al quadro che ha condotto al loro insediamento in Europa. E poi sotto il profilo tecnologico, che (se proprio vogliamo guardare alla loro validità come strumenti di difesa) le vede del tutto inadeguate, poco utilizzabili e non competitive.
Dalla discutibile efficacia bellica di queste armi scaturisce un ulteriore motivo di perplessità: il governo Obama ha da poco deciso di investire 11 miliardi di dollari per il loro ammodernamento, e prevede di trasformare le 200 testate presenti sul territorio europeo in “bombe atomiche intelligenti”, cioè teleguidate, e di aumentarne notevolmente la potenza. Al termine dei lavori, previsto tra il 2019 e il 2020, anche i cacciabombardieri F35 saranno pronti, e anche questo fa presagire che l’allontanamento di queste bombe dall’Italia sia da escludere per un bel po’ di anni.
Alla luce di tutte queste perplessità diversi gruppi politici hanno interrogato negli anni i governi per chiedere ragioni e delucidazioni sull’arsenale militare in Italia, ma nessuna risposta è mai arrivata. Perché continuiamo a custodirle? Che uso prevediamo di farne? Chi provvederà un domani allo smaltimento delle scorie? Sono tutti interrogativi che sbattono sul muro di quello che ha tutte le caratteristiche di un segreto di Stato.
E cosa succede a livello internazionale? La rete italiana della International Campaign to Abolish Nuclear Weaponsha aderito nell’ultimo anno a un appello che ha riscosso consensi in moltissimi paesi, la cosiddetta Iniziativa Umanitaria, chiedendo all’Onu la messa al bando delle armi nucleari come atto di responsabilità verso le generazioni future. Questo alla luce delle tante evidenze redatte da scienziati e medici che certificano che una guerra nucleare non sarebbe sostenibile a livello mondiale per nessun paese, per tutte le sue drammatiche conseguenze sulla salute e sull’ambiente. Una questione che oggi, nell’inasprimento del dialogo con la Russia sulla questione ucraina, trova una nuova occasione per far riflettere ruolo destabilizzante delle armi nucleari nella politica internazionale: potrebbe essere questo il momento di provvedere al disegno di una regolamentazione adeguata per la loro svalutazione definitiva. A partire da quella che, nostro malgrado, ci vuole ancora custodi di 70 bombe dieci volte più potenti di quella che ha distrutto Hiroshima.

---


Armi nucleari


27 marzo 2014
Laura Pulici

SPECIALE MARZO – 16 luglio 1945, ore 5:30, Alamogordo. Una luce accecante illumina il deserto di Jornada del Muerto nel New Messico: è il Trinity Test, la prima esplosione nucleare della storia. Da allora, sono stati condotti più di 2.200 test nucleari, di cui almeno la metà in atmosfera o in mare. Fino al 1963, infatti, quando entrò in vigore il Partial Test Ban Treaty che consente solo test nucleari sotterranei, la maggior parte dei test atomici veniva condotta all’aperto per verificare l’effetto delle esplosioni e studiare il fallout radioattivo.

Dal 1945 alla fine della guerra fredda sono state prodotte più di 128.000 armi nucleari. All’entrata in vigore del Trattato di non proliferazione nucleare nel 1970, nel mondo c’erano più di 38.000 ordigni nucleari. Oggi, le ultime stime disponibili contano circa 17.000 testate nucleari, possedute dalle cinque potenze nucleari (Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina) e da altri quattro Paesi (India, Pakistan, Israele e Corea del Nord).  Insomma siamo ancora lontani da un mondo senza armi nucleari.
Nonostante i diversi trattati e accordi per il disarmo, la proliferazione nucleare non si è fermata. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA) oggi più di 40 Paesi nel mondo dispongono delle tecnologie e delle risorse economiche necessarie per dotarsi di un arsenale militare.
Ed è notizia di pochi giorni fa la minaccia della Russia di sospendere le ispezioni straniere ai suoi arsenali di armi nucleari in risposta alle pressioni degli Stati Uniti nell’ambito della crisi in Ucraina.



(english / srpskohrvatski)

Il Montenegro sempre più a destra

1) Sindrome servo-padrone: a Podgorica qualcuno è fanatico sostenitore di UE e NATO
2) Montenegro: Mafia as Guarantor of Euro-Atlantic Integration (Boris Aleksic)
3) Podgorica, pope reazionari dipingono Tito all'inferno in un affresco in chiesa


=== 1 ===


Euroentusiasmo montenegrino - Vujanovic: “Per noi l’Unione europea è una grande occasione”

26 MARZO 2014 - A Podgorica l'euroscetticismo non sanno cosa sia. Come in tutto il Montenegro. Mentre nella vecchia Europa si propongono referendum per uscire dall'Unione Europea, in questo paese di poco più di 672mila abitanti quello che si respira è un clima d'euroentusiasmo. Perché il Montenegro sta lavorando sodo ed è “molto soddisfatto” dei passi compiuti fino ad ora sulla strada dell'integrazione europea. Lo spiega all'Ansa il presidente del Montenegro Filip Vujanovic. “Essere un membro della famiglia europea è molto importante per noi", assicura, ricordando che il suo paese ha realizzato un importante pacchetto di riforme che riguardano la giustizia, lo stato di diritto e la lotta alla corruzione e la criminalità organizzata. Riforme richieste dall'Ue, ma che il Montenegro “vuole realizzare” principalmente per migliorare la qualità della vita dei propri cittadini e per se stesso. Per questo nel piccolo paese balcanico l'eco delle proteste antieuropeiste non arriva neppure. “I cittadini del Montenegro danno grande sostegno al processo di integrazione europea - dice il presidente - ci tengono molto e non sono influenzati dall'ondata antieuropeista: loro vogliono far parte dell'Unione Europea”. Per riuscirci la prima sfida è la lotta alla corruzione, piaga montenegrina, alla quale neanche Stati già membri sono immuni, e di fronte alla quale l'Ue non chiude gli occhi, quando si tratta di adesione dei nuovi Stati membri. “Abbiamo formato una task force nel governo - sottolinea Vujanovic - per la lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione e stiamo lavorando in modo molto intenso ed efficace, per risolvere questi problemi, con il sostegno dell'Unione Europea. Sono convinto che i nostri interventi porteranno presto a risultati concreti”. L'Unione Europea per il Montenegro rappresenta una “grande opportunità” e nel percorso per raggiungerla “è molto importante la collaborazione con l'Italia”, assicura Vujanovic, in particolare per quanto riguarda lo strumento di assistenza di preadesione, l'Ipa, che prevede “l'istituzione di un ufficio regionale a Podgorica per raggiungere gli obiettivi della lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione”. Ma non solo. Tra i progetti del Montenegro c'è poi la Nato. “Il nostro obiettivo è entrare a far parte dell'Alleanza - dice Vujanovic - ma pensiamo che sia di grande interesse anche per la Nato che ci sia il Montenegro. Dopo l'entrata della Croazia e dell'Albania, ora il Montenegro è l'unico paese adriatico fuori dal Patto atlantico. Abbiamo realizzato con grande successo tre piani annuali nazionali(ANP). Il quarto è in corso. Dal punto di vista strategico credo sia molto importante per la Nato far entrare il Montenegro che peraltro è molto attivo anche nelle missioni internazionali, in particolare in Afghanistan”.


=== 2 ===
 

Montenegro: Mafia as Guarantor of Euro-Atlantic Integration

By Boris Aleksic
Global Research, February 25, 2014
Strategic Culture Foundation 24 February 2014
Region: Europe


On April 30, 1999 NATO aviation delivered two strikes against the township Murino, a small resort in eastern Montenegro. Civilians died, including three children who went to grade school. Fifteen years have passed. Milo Djukanovic (photo), the Montenegrin dictator, said that joining NATO is a political priority for his country. It is emphasized that 2014 is a decisive year because Montenegro must be ready for the NATO’s September summit to be held in the United Kingdom. The expansion of the Alliance to the East will be an issue on the agenda.

The authorities affirm that the country has completely changed during in the last 15 years. Podgorica has recognized the independence of Kosovo and Metohija and forgotten those who lost their lives during the NATO aggression. With German funds it is ready to erect a memorial to Hitler’s fascists, who occupied Montenegro during World War II. It is planned to reconstruct the German Nazi soldiers’ cemetery near the Golubovci airport, which was bombed by NATO in 1999.

The old and new fascists have one thing in common – they share the feeling of hatred towards the Russian people. Hitler eliminated the League of Nations. The NATO’s aggression against Yugoslavia has drastically diminished the role of the United Nations on the world arena, as well as the influence of United Nations Charter on international law. It’s not an occasion the US intelligence services during the Second World War were created with the help of German generals: Heinrich Müller, Reinhard Gehlen, Baron Otto von Bolschwing and Emil Augsburg.

Montenegro has really changed during the last dozen of years, but Milo Djukanovic is still the same. In his time he was assigned the role an ideal partner of NATO. There is a very important historic aspect to be remembered here. During WWII, the United States resorted to the help of mafia while liberating Italy. According to Swiss professor Daniele Ganser, the alliance between Italian mafia and the United States, as well as mafia and NATO still exists. For instance, Washington uses criminal structures to eliminate its opponents – independent politicians and journalists in Europe. The United States and NATO rely on mafia in the Balkans.

They have brought terrorists, drug dealers and illegal traders of human organs to power in Pristina on the territory of occupied Kosovo and Metohija.

According to documents in the possession of Italy’s prosecutor’s office and inquiries of independent journalists, Milo Djukanovic has had close ties with Italian and American mafia since a long time. A 409 – page report is added to the indictment brought by Italian prosecution.

Prosecutor Giuseppe Scelsi has formally stated that Milo Djukanovic is the top boss of Montenegrin mafia.

In the 1980s well-known mafiosi Della Torre organized large heroin supplies from Italy to the US East Coast. There was solid evidence that Della Torre was involved in money laundering. He got profit from heroin trade through Swiss banks, but Americans never brought charges against him with a string attached – he had to cooperate with the US special services. In 1996 the Italian mafiosi started to run his own chain involved in counterfeit cigarettes business. As sources confirm, he worked with Milo Djukanovic. The counterfeit cigarettes trade brought millions of dollars into the pockets of US intelligence. Many of truth pursuers, who stood in the way of the CIA and mafia alliance, paid with their lives, including two journalists: Dusko Jovanovic, the Editor of Montenegrin newspaper Dan, and Ivo Pukanic, Editor-in-Chief of Croatian weekly magazine National. Pukanic has published facts providing ample evidence of the Djukanovic and Subotić involvement in illegal cigarette trade.

In March 2011 US Senator Richard Lugar formally proposed to make Georgia, Bosnia and Herzegovina, Macedonia and Montenegro full-fledged NATO members. According to him, the expansion is of crucial importance for security and democracy in the Balkans. At the beginning of October 2013 Lugar met Djukanovic and said that «Montenegro is the number one candidate for membership in NATO». At the very same time Italian prosecutor Giuseppe Scelsi, who possessed irrefutable evidence of the fact that Djukanovic was involved in criminal activities, was charged in October 2013 with abuse of office. Today Washington lets Djukanovic know that if he makes Montenegro a NATO member, then all the accusations related to criminal activities will be lifted…

In 1999 NATO started its expansion to the Balkans by committing a grave crime – an aggression against Yugoslavia. Nowadays the creation of criminal regimes on the territory of former Yugoslavia is a logical continuation of its policy.


=== 3 ===


Montenegro: Tito e Marx all'inferno, polemiche per affresco in una Chiesa

1 febbraio 2014 - Polemiche in Montenegro per un affresco in una chiesa di Podgorica che mostra il maresciallo Tito che brucia tra le fiamme dell'inferno insieme a Karl Marx e Friedrich Engels. Il dipinto, opera di un anonimo, ha spaccato la comunità di fedeli che si riunisce nella nuova Chiesa della Resurrezione della capitale montenegrina, divisa tra quanti vorrebbero la rimozione dell'affresco, contestando l'interferenza della religione nella politica, e quanti, invece, l'hanno apprezzato. (Adnkronos)




Bologna, martedì 1 aprile 2014
alle ore 20:00 presso il Centro Sociale G. Costa, via Azzo Gardino 48

LA POLVERIERA UCRAINA

Nel 15° anniversario dei bombardamenti NATO sulla Jugoslavia, di nuovo l'imperialismo dell'Unione Europea e degli USA pone le premesse per il fascismo e la guerra nel nuovo continente.

Coordina:
Andrea Martocchia, del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia.

Intervengono:
Simone Gimona, Gc Bologna
Giulietto Chiesa, giornalista e Presidente di Alternativa Politica
Fausto Sorini, Responsabile del Dipartimento Esteri del PdCI

In collegamento Skype da Kiev:
Partito Comunista dell'Ucraina (www.kpu.ua)


Organizzano:
Partito dei Comunisti Italiani Federazione di Bologna in collaborazione con il Dipartimento Esteri 
Partito della Rifondazione Comunista, circolo Centro Storico "Tosca"
Giovani Comunisti, circolo universitario "Mario Rovinetti"
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS


scarica la locandina: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/bologna010414.jpeg

evento Facebook: https://www.facebook.com/events/1400289143575293/



Tivoli 1/4: Sotto processo per antifascismo

1) Affile: “Ma quale danneggiamento, si è scritta solo la verità”. Lettera aperta dei tre ragazzi accusati di aver sporcato il monumento al criminale di guerra fascista e repubblichino Rodolfo Graziani. 1° Aprile: sit in dentro e fuori il tribunale di Tivoli Viale Nicolò Arnaldi n, 19 ore 9.30

2) Nel frattempo… Con qualche decennio di ritardo, aperta inchiesta sui crimini di guerra italiani accertati dalla commissione Gasparotto


=== 1 ===



Lettera appello di tre ragazzi accusati di aver verniciato il monumento a Graziani ad Affile. “Ma quale danneggiamento, si è scritta solo la verità”. Il 1° aprile dovranno comparire al Tribunale di Tivoli e convocano un sit in di protesta e solidarietà.
(Vedi anche: "Rodolfo Graziani, soldato o criminale di guerra?" di Ernesto Nassi

"Siamo i 3 ragazzi accusati di aver imbrattato il mausoleo intitolato a Rodolfo Graziani, una delle figure di spicco del ventennio fascista.
Per molti fascisti nostrani questo mausoleo (inaugurato nell'agosto 2012) è stato il compimento del percorso che il Movimento sociale, ad Affile (RM), aveva intrapreso dal dopo guerra. Già nel '67 infatti venne presentato il progetto del suddetto dal celebrato sindaco affilano Luigi Ciuffa (esponente dell' Msi e sindaco della cittadina per 40 anni). Così, assieme al busto di Almirante, Affile oggi vanta anche un mausoleo intitolato tramite delibera comunale al ‘macellaio di Fezzan’, Graziani. La Regione Lazio, a seguito del clamore suscitato da tale scempio, ha bloccato una parte  del finanziamento promesso e dopo un attento sopralluogo sul posto non ha  trovato più alcun riferimento al fascista. Di fatto il mezzo busto che dominava la sala è ora custodito gelosamente in casa dal sindaco Viri, come da lui stesso dichiarato. Il manufatto sarà scappato da solo o qualcuno avrà provveduto a rimuoverlo?Quella che secondo i piani del sindaco deve essere la Predappio del Lazio è una chiara e palese revisione storica che pone il macellaio nella veste del soldato pluri medagliato prima del fascismo, poi soldato "non fascista" nel ventennio e successivamente nella repubblica sociale “ fedele alla patria fino alla fine tanto da salvarne vite umane e beni materiali dalla furia tedesca“... e si può aggiungere “ servo di una patria assassina “ come recitava uno scritto sul mausoleo.A seguito di diverse denunce di individualità e associazioni il sindaco Viri ed alcuni assessori sono stati denunciati. La Procura  ad oggi non sembra aver dato seguito all’indagine per apologia di fascismo scattata ai danni del sindaco … Molto più facile procedere “verso chi pratica gesti violenti“, appunto vernice , come  gridava qualche fascista  in giacca e cravatta, commentando la notizia delle scritte.Così il 1 aprile (non è uno scherzo) ci ritroveremo nell’ aula del tribunale di Tivoli ad essere accusati nel modo in cui riportiamo: “...in concorso tra di loro danneggiavano mediante verniciatura con bombolette  spray la scalinata in marmo, due porte e le quattro facciate del sacrario denominato 'il Soldato' sito in Affile. Con l’ aggravante di aver commesso il fatto su beni destinati per necessità alla pubblica  utilità e su edifici ad uso pubblico...", scrivono i carabinieri.A prescindere dal fatto di chi abbia praticato il gesto, vogliamo evidenziare la volontà di far passare per pubblica utilità un mausoleo intitolato ad un criminale di guerra, come evidenzia la storia, ad un condannato per collaborazionismo con i tedeschi nell’occupazione nazista, al ministro della repubblica di salò firmatario del bando che rese obbligatoria la leva delle classi '22 ‘ 23, deportando 2500 persone nei lager tedeschi.L’uomo che con i suoi ordini sterminò migliaia di etiopi, l’uomo che rivendicò lo sterminio di Debra Libanos (in cui morirono più di 3000 persone), l’uomo firmatario delle leggi razziali, l’uomo protetto ancora oggi da una chiesa complice delle sue atrocità. Sono allora 4 mura intitolate a questa figura un bene pubblico? O sono il tentativo da parte della destra nostalgica di creare un luogo di culto per i vecchi e nuovi fascisti? Proprio perché non ci riconosciamo in questa assurda vicenda e con sentimento di complicità con tutte le persone che ieri hanno combattuto e che oggi combattono contro i vecchi e nuovi fascismi, con spirito di rivalsa verso un gesto che è un insulto alla vita umana e alla Resistenza, vogliamo non far passare questo processo come “un semplice danneggiamento“. Per questo motivo chiediamo un forte sostegno nelle modalità che riterrete più opportune, a tutti gli uomini e alle donne, ad associazioni e movimenti, individualità e collettivi che si riconoscono nei valori della Resistenza. Per una società libera da ogni fascismo e per l’ abbattimento del mausoleo a Rodolfo Graziani.

1° Aprile: sit in dentro e fuori il tribunale di Tivoli Viale Nicolò Arnaldi n, 19 ore 9.30

---

Mi perviene una lettera aperta di tre ragazzi che il 1 aprile dovranno comparire davanti al Tribunale di Tivoli per danneggiamento ad un bene pubblico. Si tratta dell’accusa di aver imbrattato “con vernice la scalinata in marmo, due porte e quattro facciate del sacrario denominato “Il soldato”, sito in Affile”. I tre ragazzi fanno alcune considerazioni e chiedono sostegno per un processo “che non deve passare come un semplice danneggiamento”. Ovviamente, io non so come stiano i fatti e quali prove vi siano sugli autori; e, avendo fatto per molto tempo l’avvocato, so che non bisogna mai pronunciarsi su atti che non si conoscono. Ma alcune considerazioni di carattere politico possono e debbono essere svolte; anzitutto per augurare, sinceramente, ai tre ragazzi in questione di poter dimostrare, nel giudizio, la proprio innocenza. Ma poi, colpiscono alcuni fatti di notevole rilevanza. Anzitutto, se è esatto il modo in cui è riportato, nella lettera aperta, il capo d’imputazione, c’è da dire che apprendiamo solo ora che quello è un sacrario denominato “Il soldato”. Da quando? Si è sempre parlato, e ne ha parlato tutta la stampa del mondo, di un sacrario dedicato a Rodolfo Graziani, implacabile e feroce colonialista, fascista e razzista, dichiarato “collaborazionista” (anche per aver firmato un famoso bando della R.S.I. che prometteva la fucilazione per i giovani renitenti alla leva repubblichina) e considerato universalmente un “criminale di guerra”. Qualcuno si è accorto dello scandalo che aveva giustamente suscitato ed ha cercato, praticamente, di “rimediare”? Ma in modo molto ingenuo, perché quello è, per tutti, il sacrario dedicato a Graziani, di cui lo stesso Sindaco del luogo si è dichiarato orgoglioso e contro il quale pende un procedimento penale in fase istruttoria, davanti allo stesso Tribunale di Tivoli. Il cambiamento è, comunque, significativo, anche perché scolora lo stesso atto compiuto dagli ignoti “verniciatori”, che certo non avrebbero reagito in modo simile se non si fosse trattato di una destinazione inaccettabile agli occhi del mondo intero. Ma ancora: l’ANPI ha presentato una denuncia alla Procura della Repubblica di Tivoli, il 29.10.2012, per la creazione del “sacrario” dedicato, appunto, ad un personaggio come Graziani. A tutt’oggi non abbiamo notizie concrete degli esiti di quell’indagine e tantomeno sulle prospettive anche temporali di un auspicato giudizio. Colpisce il fatto che, invece, sia giunto rapidamente a maturazione un episodio, che di quella  vicenda è solo un derivato. Posso comprendere che ogni indagine ed ogni procedimento abbia la propria storia e la propria durata, ma in questo caso, la sproporzione appare assolutamente evidente. E questo deve, necessariamente, essere rilevato con rammarico e preoccupazione.

Carlo Smuraglia, Presidente Nazionale ANPI
Fonte: ANPI News n. 113 – 25 marzo/2 aprile 2014


=== 2 ===

Segnaliamo che i documenti del fondo Gasparotto sono online: http://www.criminidiguerra.it/documenti.shtml

---


I crimini di guerra italiani sotto inchiesta. Era ora!

•  Martedì, 25 Marzo 2014 08:57
•  Federico Rucco

Era da tempo, da troppo tempo, che questo paese doveva fare i conti con due macigni sulla sua storia. Quello degli “italiani brava gente” e quello dell’impunità assicurata ai criminali di guerra italiani – così come a quelli tedeschi – alla fine della seconda guerra mondiale. Il procuratore militare di Roma, Marco De Paolis, ha finalmente aperto un'inchiesta sui crimini compiuti dai militari italiani nei territori occupati durante la seconda guerra mondiale, in particolare in Grecia, Jugoslavia, Albania. Non è dato sapere se la cosa verrà estesa a Libia ed Etiopia.

Il dott. De Paolis per ora si è limitato a far saper che e' partito un "accertamento conoscitivo" e che e' stato aperto un fascicolo 'modello 45', cioe' "atti relativi a",  ma senza indagati.

A smuovere le acque è stato l'esposto presentato da alcuni cittadini, ispirato da due articoli di Franco Giustolisi, il giornalista che rivelò all'opinione pubblica il famigerato "armadio della vergogna", dove furono chiusi e "provvisoriamente archiviati" nel dopoguerra - per una sorta di "patto segreto" tra Italia e Germania - 695 fascicoli di crimini nazifascisti, riemersi solo negli anni scorsi, quando fu possibile riaprire le indagini e svolgere una serie di processi finiti con decine di ergastoli.
"Dimenticato" in un angolo della procura, non lontano dall'armadio, svela Giustolisi, c'era anche un "carrello della vergogna". Un carrello stipato di incartamenti relativi alle tante stragi commesse, durante l'ultima guerra, dai soldati italiani. Di questi eccidi si occupo' una commissione istituita il 6 maggio 1946 dall'allora ministero della Guerra. La relazione finale, del 30 giugno 1951, e' firmata dal senatore Luigi Gasparotto. Oltre 300 i militari italiani accusati di crimini di guerra dalle varie nazioni aggredite dal fascismo.
Eccidi che sarebbero stati commessi in varie localita' della Jugoslavia, della Grecia, dell'Unione Sovietica, della Francia, dell'Albania. Solo poco piu' di una trentina, secondo la relazione Gasparotto, quelli perseguibili da parte "dell'autorita' competente". Ma nessuno fu processato.
Solo per una di queste stragi - quella di Domenikon, in Grecia, dove furono trucidati 150 civili - il procuratore De Paolis, dopo aver raccolto la denuncia del rappresentante dei familiari delle vittime, gia' da tempo ha riaperto un'inchiesta che in precedenza era stata archiviata. Le indagini della procura militare di Roma avrebbero consentito, secondo quanto si e' appreso, di risalire ai responsabili della strage, che verranno ora iscritti nel registro degli indagati, anche se sarebbero tutti morti. Inevitabile, dunque, la successiva archiviazione.

Recentemente uno degli giovani storici, Davide Conti, ha pubblicato il libro “Criminali di guerra italiani” dove, attraverso un'ampia mole di documenti ufficiali, ricostruisce i crimini di guerra commessi dal regio esercito durante l'occupazione italiana in Albania, Jugoslavia, Urss e Grecia e di cui le alte gerarchie militari avrebbero dovuto rispondere alla fine della guerra. Più precisamente, illustra le trattative, gli accordi, le politiche dilatorie attuate dal governo di Roma per giungere a eludere ogni forma di sanzione giuridica ai danni dei vertici del proprio esercito cosicché i mancati processi, le assoluzioni e la generale impunità ha permesso la narrazione auto-assolutoria degli italiani "brava gente".


---


24/03/2014 08:00 | ALTRO - ITALIA | Autore: fabrizio salvatori

Armadio della vergogna. La procura militare di Roma apre un'inchiesta sui crimini fascisti in Grecia, Jugoslavia e Albania

Un'inchiesta sui crimini compiuti dai militari italiani nei territori occupati durante la seconda guerra mondiale, dalla Grecia alla Jugoslavia, all'Albania. L'ha aperta il procuratore militare di Roma, Marco De Paolis, che ha ricevuto un esposto da parte di alcuni cittadini.
De Paolis si limita a dire per il momento che e' partito un "accertamento conoscitivo" e che e' stato aperto un fascicolo 'modello 45', cioe' "atti relativi a", senza indagati. L'esposto, secondo quanto si e appreso, prende in particolare le mosse da due articoli di Franco Giustolisi, il giornalista che per primo svelo' all'opinione pubblica lo scandalo del cosiddetto "armadio della vergogna", dove furono chiusi e "provvisoriamente archiviati" nel dopoguerra - per una sorta di "patto segreto" tra Italia e Germania - 695 fascicoli di crimini nazifascisti, riemersi solo negli anni scorsi, quando fu possibile riaprire le indagini e svolgere una serie di processi finiti con decine di ergastoli.
"Dimenticato" in un angolo della procura, non lontano dall'armadio, svela Giustolisi, c'era anche un "carrello della vergogna". Un carrello stipato di incartamenti relativi alle tante stragi commesse, durante l'ultima guerra, dai soldati italiani. Di questi eccidi si occupo' una commissione istituita il 6 maggio 1946 dall'allora ministero della Guerra. La relazione finale, del 30 giugno 1951, e' firmata dal senatore Luigi Gasparotto. Oltre 300 i militari italiani accusati di crimini di guerra dalle varie nazioni aggredite dal fascismo.
Eccidi che sarebbero stati commessi in varie localita' della Jugoslavia, della Grecia, dell'Unione Sovietica, della Francia, dell'Albania. Solo poco piu' di una trentina, secondo la relazione Gasparotto, quelli perseguibili da parte "dell'autorita' competente". Ma nessuno fu processato.
Solo per una di queste stragi - quella di Domenikon, in Grecia, dove furono trucidati 150 civili - il procuratore De Paolis, dopo aver raccolto la denuncia del rappresentante dei familiari delle vittime, gia' da tempo ha riaperto un'inchiesta che in precedenza era stata archiviata. Le indagini della procura militare di Roma avrebbero consentito, secondo quanto si e' appreso, di risalire ai responsabili della strage, che verranno ora iscritti nel registro degli indagati, anche se sarebbero tutti morti. Inevitabile, dunque, la successiva archiviazione.