Informazione
Nazisti nel Baltico
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Il russo non diventerà la seconda lingua in Lettonia
20.02.2012, © Collage: «La Voce della Russia»
Secondo i dati della Commissione Elettorale Centrale della Lettonia,
nei 1035 seggi elettorali aperti per il referendum sullo status della lingua russa, i "NO" sono stati 821.722, contro 273.347 "SI". L'affluenza definitiva si è invece attestata al 69%.
Il russo rimane quindi una lingua straniera in Lettonia, malgrado essa sia la lingua madre del 40% degli abitanti.
La consultazione popolare è stata una risposta alle azioni dei nazionalisti lettoni, che avevano organizzato, senza successo, una raccolta di firme per la trasformazione di tutte le scuole pubbliche di lingua russa in centri di studio di lingua lettone.
Gli organizzatori del referendum ammettono che raccogliere settecentosettantamila voti a sostegno della lingua russa era molto difficile non potendo contare sui voti di circa trecentoventimila persone di lingua russa "non cittadini" che, dopo la separazione della Lettonia dall'Unione Sovietica, sono stati privati della cittadinanza e non hanno diritto di voto .
(fonte: Fabio Muzzolon)
nei 1035 seggi elettorali aperti per il referendum sullo status della lingua russa, i "NO" sono stati 821.722, contro 273.347 "SI". L'affluenza definitiva si è invece attestata al 69%.
Il russo rimane quindi una lingua straniera in Lettonia, malgrado essa sia la lingua madre del 40% degli abitanti.
La consultazione popolare è stata una risposta alle azioni dei nazionalisti lettoni, che avevano organizzato, senza successo, una raccolta di firme per la trasformazione di tutte le scuole pubbliche di lingua russa in centri di studio di lingua lettone.
Gli organizzatori del referendum ammettono che raccogliere settecentosettantamila voti a sostegno della lingua russa era molto difficile non potendo contare sui voti di circa trecentoventimila persone di lingua russa "non cittadini" che, dopo la separazione della Lettonia dall'Unione Sovietica, sono stati privati della cittadinanza e non hanno diritto di voto .
(fonte: Fabio Muzzolon)
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www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - antifascismo - 21-06-12 - n. 415
Nel Baltico, il nazionalismo mira a contestare l'esito della Seconda Guerra Mondiale e addirittura invertire, se potesse, i processi di Norimberga. Il razzismo, il culto delle armi e del militarismo, il disprezzo per le minoranze, la xenofobia e l'odio verso gli ebrei e rom, sono sempre più presenti in questa zona e in altre regioni dell'Europa orientale. La tolleranza verso gli atti di glorificazione del nazismo e del fascismo, il razzismo nazionalista e il disprezzo per le minoranze, coesiste con la repressione del comunismo e con una preoccupante deriva antidemocratica che dovrebbe preoccupare i cittadini e le istituzioni europee perché, inoltre, i segnali d'allarme non vengono solo dagli Stati baltici, anche se questi sono diventati il fulcro più preoccupante. Tentazioni simili sono apparse in Romania, Ungheria, dove regna una violenta persecuzione dei comunisti e nella Repubblica Ceca (dove la destra cerca di mettere fuori legge il partito comunista, uno dei più grandi del paese) e la Polonia. E come risultato della politica nazionalista e conservatrice, crescono i movimenti fascisti. Mentre continua la caccia alle streghe nel Mar Baltico contro i comunisti, non è stato avviato alcun processo fino ad oggi, contro i criminali nazisti originari dell'Estonia, della Lettonia o Lituania e la persecuzione e la diffidenza contro gli ebrei, le minoranze e la sinistra continuano ad essere l'ordinaria condotta dei governi di questi paesi. Il veleno del serpente fascista prosegue ad avvelenare il continente: nessuno può immaginare, senza turbarsi, l'idea che sfilino di nuovo i soldati nazisti in Germania e per questo dovrebbe inquietare che gli emblemi nazisti ancora svolazzino al vento nei paesi Baltici.
Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Nazisti nel Baltico
di Higinio Polo
04/06/2012
Nel giugno 2008, Vaclav Havel e altri esponenti di spicco della destra politica e dell'anti-comunismo promossero la Dichiarazione di Praga che fu coperta dall'Unione europea, che insisteva sull'idea di considerare analogamente il nazismo ed il comunismo, equiparandoli, estendendo una condanna che voleva esser definitiva. Al di là della mancanza di rigore di tale dichiarazione e l'utilizzo delle più grossolane menzogne dei critici conservatori, che volutamente ignorano l'evidente relazione tra il nazismo e il fascismo con il sistema capitalista, l'idea non era nuova e, infatti, aveva precedenti nella propaganda americana durante gli anni della guerra fredda e, più recentemente, nella politica dei governi dei paesi baltici, la cui attuale identità nazionalista ha una chiara affiliazione con il nazionalismo fascista, complice della Germania di Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale, anche se oggi si cercano di nascondere questi legami.
Questa iniziativa di Havel (che è stata sostenuta da varie camere legislative, come in Bulgaria e lo stesso Parlamento europeo, nel 2009), oltre all'equiparazione ha incoraggiato il nuovo revisionismo storico in Europa, concentrandosi sulla condanna del comunismo e permettendo la rinascita dei fantasmi del passato nazista dell'Europa, una folle corsa che vede nei paesi baltici alcuni dei suoi principali protagonisti e diffusori. Perché, nonostante l'ingannevole equiparazione, la verità è che sono i comunisti ad esser perseguiti in Europa oggi, mentre i veterani nazisti e fascisti e i loro seguaci sono sostenuti dai governi baltici e di altri paesi, permettendo le loro attività. Pertanto, tra le varie altre denuncie, Efraim Zuroff, uno storico di origine nordamericana che dirige il Simon Wiesenthal Center di Gerusalemme, ha pubblicato nel 2010 un articolo in The Guardian, dove chiedeva attenzione sulle attività naziste in Lettonia e Lituania e sugli slogan contro gli ebrei che viaggiano in quei paesi, come se non fossero passati più di sessant'anni dalla fine della guerra. Zuroff ha anche denunciato l'immobilismo dell'Unione europea in merito alle attività dei nazisti. Non c'è da stupirsi, perché mentre le istituzioni europee non si sono preoccupate minimamente (tradendo quindi le proclamate proprie convinzioni democratiche) per l'arresto dei dirigenti comunisti o dei tentativi di bandire alcuni partiti comunisti, hanno contemplato in modo impassibile la glorificazione del nazismo che si produce all'interno dei confini dell'Unione Europea.
Nei tre paesi baltici la situazione è molto preoccupante. I governi di questi paesi, pur mantenendo un discorso ufficiale che tenta di equiparare il comunismo con il nazismo, le truppe dell'Armata Rossa con i nazisti, la Germania di Hitler con l'Unione Sovietica, confondendo vittime e carnefici, trattano i veterani nazisti alla pari di "combattenti per la libertà", come alcuni ministri hanno avuto il coraggio di definirli. Così, l'Estonia si è trasformata in un luogo abituale di riunione dei veterani nazisti delle Waffen-SS con il sostegno del governo, che invia anche messaggi di saluto ai raduni e ha nel ministro della Difesa estone uno dei suoi propagandisti principali. Dopo anni di sfilate, eventi e raduni d'esaltazione del nazismo, nel 2004 apparve la notizia sulla stampa internazionale circa l'intenzione di erigere un monumento alle SS in Estonia e ai veterani della 20ª Divisione Waffen SS Grenadier 1° Estonia, che collaborarono con i nazisti e che continuavano a tenere liberamente riunioni nel paese. Non erano gruppi isolati: 60-70.000 estoni si unirono ai distaccamenti nazisti combattendo a fianco della Germania di Hitler.
In Sinimäe, dove ebbe luogo la battaglia principale tra l'esercito tedesco e le truppe sovietiche durante la Seconda Guerra Mondiale, solitamente si concentrano ogni anno centinaia di persone, accompagnate dalle autorità locali e dai veterani nazisti di Lettonia, Lituania, Danimarca e Austria ed ex membri delle Waffen-SS, marciando sotto le bandiere naziste. Una delle loro richieste è che venga eretto un monumento a Tallinn, la capitale estone, per i veterani della "seconda guerra di Liberazione", come denominano la loro partecipazione insieme ai nazisti durante la guerra. Dopo il 1945 molti di questi nazisti continuarono a combattere contro l'Armata Rossa in guerriglie che ebbero l'appoggio della CIA americana e dei servizi segreti britannici, fino alla loro scomparsa negli anni Cinquanta. I libri di Mart Laar (che fu primo ministro dell'Estonia ed è l'attuale ministro della Difesa) come La legione estone e Il soldato estone nella seconda guerra mondiale, in cui preserva la memoria e difende le azioni di questi uomini nei ranghi dei nazisti, vengono abitualmente venduti all'interno di questi eventi di propaganda fascista, apertamente protetti dal governo estone.
Intorno a queste iniziative naziste, proliferano altre iniziative. Gruppi musicali come Untsakad hanno pubblicato dischi con canti nazisti estoni e nel 2008 tutte le biblioteche del paese offrivano un calendario con dodici manifesti di propaganda della 20ª Divisione Waffen SS. Nonostante le proteste dei cittadini di sinistra, dei gruppi democratici e antifascisti, il governo ha continuato a tollerare e proteggere le attività naziste che si estendono ai paesi vicini. A Helsinki, approfittando di un evento annuale di esposizione di prodotti estoni, spesso vengono vendute magliette che glorificano la legione estone delle SS e opuscoli di guerra con appelli per attaccare la Russia e distruggere Mosca. Il Comitato Anti-fascista di Estonia, che cerca di limitare la diffusione delle idee naziste, denuncia la giustificazione che si realizza nel paese "dei crimini contro l'umanità" commessi dai membri estoni delle Waffen-SS.
La compiacenza governativa con le attività naziste contrasta con l'impegno nella persecuzione dei comunisti: nel maggio 2008 imprenditori e politici (tra cui l'ex primo ministro Mart Laar, il conte von Stauffenberg Damian, e l'uomo d'affari Meelis Niinepuu) presentarono una fondazione per "investigare i crimini del comunismo", diretta da Roosi Ranno, ex assessore di Lennart Meri (conservatore che prese la presidenza come candidato del Isamaaliit - Patria -, morto nel 2006). Per cercare di evitare le critiche internazionali, i funzionari del governo estone hanno rilasciato rituali dichiarazioni di condanna del comunismo e del nazismo, anche se la sua applicazione pratica è limitata alla persecuzione delle idee comuniste e di tutto ciò che riguarda l'Unione Sovietica come dimostra la demolizione e la rimozione dei monumenti all'Armata Rossa; la decisione del governo nel 2007, in una nuova provocazione, di smantellare il monumento ai soldati sovietici liberatori di Tallinn dal fascismo, che si trovava nel centro della città e di trasferirla in un cimitero militare (ma non ha potuto impedire che continuassero ad essere depositati fiori su di esso) e il processo contro Arnold Meri, un anziano estone premiato come Eroe dell'Unione Sovietica per la sua attività di guerrigliero contro i nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. La liberazione dell'Estonia dai nazisti costò all'Armata Rossa la vita di 150mila soldati.
I governi conservatori che hanno diretto l'Estonia si sono impegnati nel denunciare il presunto "genocidio estone" che sarebbe stato svolto dall'Unione Sovietica tra il 1940 e il 1953, accusando Mosca della morte di sessanta mila estoni durante tale periodo. Tuttavia, le cifre furono messe in evidenza quando lo storico Alexander Diúkov pubblicò nel 2009 la sua ricerca (Il mito del genocidio. Repressione sovietica in Estonia, 1940-1953) abbassando il numero dei morti a meno di diecimila e dichiarando che il genocidio ha si avuto luogo, ma contro la popolazione sovietica che venne uccisa dai nazisti per due milioni e mezzo di prigionieri di guerra sovietici nel 1941.
Inoltre si celebra annualmente La Marcia di Erna, in memoria del battaglione speciale delle Waffen-SS, con quel nome che consiste nel ripercorrere il viaggio da Tallinn a una ex base militare nazista a cento cinquanta chilometri di distanza. Con il pretesto di realizzare un evento sportivo, la marcia è una glorificazione del nazismo e delle azioni della Legione estone durante la Seconda Guerra Mondiale. Il sostegno del governo è andato così oltre che nel 2010 la 17° marcia è stata aperta dall'ex ministro della Difesa Jaak Aaviksoo. Si celebra da diciotto anni. L'ultima provocazione è venuta dall'attuale ministro della difesa, lo storico nazionalista ed ex primo ministro, Mart Laar, che ha lanciato l'iniziativa di riconoscere gli estoni della Waffen SS come "combattenti per la libertà", ma di fronte alla reazione internazionale il governo è stato costretto a mascherare le sue intenzioni emettendo un comunicato nel gennaio 2012 dove dichiara la sua intenzione di "riconoscere coloro che hanno combattuto per l'indipendenza dell'Estonia", categoria nella quale rientrano i veterani nazisti del paese e per il consumo esterno, equipara le attività della Germania nazista e dell'Unione Sovietica.
L'aperto appoggio del governo estone a queste attività si spinge fino ad annunciarle nelle pagine web degli organismi ufficiali, in un deliberato tentativo di convertire in eroi, i criminali di ieri. Collaborando nella glorificazione del nazismo, il governo pone tutti i tipi di ostacoli in modo che non si svolgano manifestazioni antifasciste e si è spinto fino a dichiarare "un pericolo per lo Stato" il Comitato anti-nazista della Lettonia. I membri dell'organizzazione anti-fascista Nochoy Dozor, tra gli altri, manifestano contro gli atti dei nazisti e proseguono a depositare fiori in omaggio ai soldati dell'Armata Rossa e delle vittime estoni che morirono nei campi di sterminio nazisti, ma molti altri estoni d'ideologia nazionalista si compiacciono davanti alle parate dei veterani nazisti. Non sorprende, che figure storiche del nazionalismo estone, come Uluots Juri, primo ministro nel 1940, fecero appello a combattere l'Armata Rossa insieme alle truppe naziste tedesche.
In Lettonia ufficialmente si celebrava ogni 16 marzo un omaggio alla Legione lettone delle Waffen-SS, iniziativa fondata nel 1994, poco dopo la scomparsa dell'URSS. La Legione lettone, che giunse ad integrare più di centomila uomini, partecipò durante l'assedio nazista di Leningrado che uccise oltre un milione di cittadini sovietici, nonostante questo le autorità lettoni non hanno posto alcun impedimento ad una pellicola, The Soviet Story, con gravi manipolazioni storiche, di diffondersi ampiamente. Vaira Vike-Fraiberga, ex presidente del paese e figlia di un ex collaboratore nazista, ha deciso nel 2001 per evitare le critiche internazionali, che la celebrazione si sarebbe continuata a svolgere, ma in forma non ufficiale. A Lestene esiste un monumento commemorativo ai nazisti lettoni, che è stato inaugurato dai ministri del governo e da organizzazioni come Daugavas Vanagi che appoggiano apertamente le parate naziste. La Daugavas Vanagi (Hawks di Daugava) è un'organizzazione creata in Belgio nel 1945 per aiutare i prigionieri nazisti lettoni ed ha centri negli Stati Uniti, Canada, Australia e altri paesi dove continua a essere sostenuta da gruppi di giovani con indumenti paramilitari.
La parata annuale della Legione delle Waffen-SS è stata bandita dal Consiglio del comune di Riga, ma i giudici hanno abrogato la decisione, ricevendo il sostegno da parte del presidente del paese fino al luglio 2011, Valdis Zatlers, che ha difeso pubblicamente gli atti di omaggio ai veterani nazisti. I lettoni che hanno collaborato con la Germania nazista nei campi di sterminio furono particolarmente sanguinari. Gli scontri tra i partecipanti alle marce naziste e gli anti-fascisti (che a volte hanno partecipato vestiti come i prigionieri dei campi di sterminio) sono stati frequenti e la polizia lettone non ha esitato a fermare i militanti anti-fascisti come il deputato Victor Dergunov. La complicità con i nazisti ha raggiunto il punto che l'ex presidente lettone, Valdis Zatlers, ha dichiarato nel marzo 2008 che l'opinione pubblica internazionale si sbagliava a qualificare come nazisti i lettoni membri delle Waffen-SS.
Tale compiacenza contrasta con l'ossessione anti-comunista. Va ricordato che in Lettonia, il Partito Comunista è vietato e che i comunisti operano sotto il nome di socialisti. Il principale leader comunista Rubiks Alfreds, è stato più volte imprigionato da governi conservatori, per un totale di sei anni di carcere. L'ossessione anticomunista e antirussa ha portato il parlamento lettone, il Seim, nel febbraio 2004, ad annullare il diritto dei cittadini lettoni di poter educare i propri figli in lingua russa con l'adozione di una legge discriminatoria che promuove una vera segregazione per i cittadini di questa lingua della Lettonia. E' incredibile che ciò accada all'interno dei confini dell'Unione europea, ma il nazionalismo lettone nega la cittadinanza a quasi il 20% della popolazione, che non ha diritti, trasformando questi cittadini in apolidi anche se nati in Lettonia; né possono votare alle elezioni. L'ingresso nella NATO e nell'UE ha incoraggiato le tentazioni segregazioniste del governo conservatore, che ha considerato che né l'alleanza militare occidentale, né Bruxelles, si sarebbero opposte alla decisione, così come è stato.
Anche il governo lettone ha avviato la revisione della Seconda Guerra Mondiale. Così, Kononov, un guerrigliero veterano comunista di quasi 90 anni, è stato accusato di aver ucciso civili che hanno collaborato con i nazisti durante la guerra. Kononov, la cui famiglia è morta nei campi di concentramento, è un lettone che ha combattuto contro le truppe naziste in Lettonia distruggendo obiettivi militari con esplosivi e facendo saltare in aria treni che trasportavano armi. E' stato giudicato per sei volte in Lettonia e ha fatto due anni di carcere. E' stato accusato di aver giustiziato dei contadini che avevano denunciato i partigiani sovietici alle autorità naziste d'occupazione. La sentenza è stata dichiarata nulla dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, ma nel 2010 l'appello del governo è riuscito a invertire la sentenza. Uno dei rappresentanti del Comitato anti-fascista della Lettonia, Eduard Goncharov, ha affermato che il piano del governo conservatore lettone era quello di avviare un processo per impugnare le sentenze di Norimberga e che ciò era una conseguenza della vendetta: quelli che erano fuggiti con i nazisti quando si ritirarono dalla Lettonia, ora sono al potere nella repubblica. Non sorprende quindi che nel paese è vietato fare propaganda di idee comuniste e anche se si vieta la diffusione delle idee naziste, la tolleranza verso di loro è evidente.
In Lituania, dove i nazisti uccisero più di duecentomila ebrei, i governi conservatori hanno cercato di cancellare dalla storia le uccisioni, il coinvolgimento del nazionalismo e dei volontari lituani nazisti. Non sorprende che queste uccisioni siano state fatte dai lituani agli ordini dei nazisti, come il nazionalismo attuale sovrano cerca di nascondere. Non è una casualità che il ministro della Difesa Jukneviciene Rasa, durante la sua visita negli Stati Uniti, abbia effettuato una visita presso la tomba del generale Povilas Plechavicius. Plechavicius giunse in Lituania con le truppe naziste durante l'Operazione Barbarossa e combatté con loro contro i guerriglieri polacchi anti-fascisti come migliaia di nazionalisti lituani.
Il presidente del paese tra il 2004 e il 2009, Valdas Adamkus, ha combattuto durante la Seconda Guerra Mondiale contro l'esercito sovietico al fianco delle truppe naziste e quando la guerra finì si trasferì in Germania con la sua famiglia e non è esattamente un caso isolato tra i politici nazionalisti. Il parlamento (Seimas) inoltre ha vietato nel giugno 2008 i simboli sovietici e nazisti, utilizzando la grossolana equiparazione tra ideologia fascista e comunismo che Vaclav Havel introdusse nella Dichiarazione di Praga. Tuttavia nel maggio 2010 in un gesto rivelatore, il tribunale lituano ha stabilito che la svastica nazista fa parte del "patrimonio culturale del paese", per questo può esser utilizzata a differenza della falce e martello o altri simboli comunisti. Dato che la comprensione per il nazismo e la persecuzione dei comunisti avviene da tempo, ha portato ad aprire un cammino nelle istituzioni europee a causa della passività dell'Unione europea, come riportato da Efraim Zuroff, direttore del Simon Wiesenthal Center di Gerusalemme. Pochi mesi prima la Corte europea dei diritti dell'uomo ha emesso una sentenza che respinge una denuncia presentata (sette anni prima!) contro le autorità lituane per il rapimento e l'incarcerazione di dirigenti comunisti, come il dottor Mikolas Burokiavicius, che fu segretario del Partito Comunista Lituano, che ha trascorso undici anni nelle carceri dalla sua condanna nel 1994 per la partecipazione alle attività del Partito Comunista dell'Unione Sovietica. Dal 1991 migliaia di militanti comunisti lituani hanno subito la persecuzione politica. Con tale sentenza, un vero e proprio oltraggio alla giustizia, il Tribunale ha collaborato di fatto con la passività delle istituzioni europee, sia l'Unione che il Consiglio d'Europa, nella limitazione dei diritti dei cittadini in Lituania.
Tuttavia, mentre le autorità consentono manifestazioni con slogan razzisti ("Lituania per i lituani", ovviamente diretto contro i "diversi") e con simboli neo-nazisti, infuria la repressione contro i comunisti e la sinistra. Nell'aprile 2011 si è aperto il processo contro il presidente del Fronte Popolare Socialista Paleckis Algirdas, per "negazione dell'aggressione sovietica alla Lituana." La base del processo era che Paleckis contestava la versione ufficiale degli eventi alla torre della televisione di Vilnius, il 13 Gennaio 1991, dove morirono quattordici persone presumibilmente uccise dalle truppe sovietiche nei mesi d'agonia del governo Gorbaciov. Paleckis sostiene, con forti prove e testimonianze, che l'uccisione è stata una provocazione organizzata dai nazionalisti lituani, le cui forze armate (DTP, Dipartimento di Protezione del Territorio) hanno sparato sulla folla con l'intenzione di far cadere poi la responsabilità al governo e all'esercito sovietico. Poi hanno ottenuto i loro scopi. Anche se Paleckis è stato assolto nel gennaio 2012, il pubblico ministero ha presentato appello riavviando così il processo.
In Lituania la degradazione politica del paese ha portato anche alla destituzione, nell'aprile 2004, di un presidente, Rolandas Paksas, per legami con la mafia e della sensibilità democratica delle autorità del paese che spiega il fatto che, nel 2009, è apparso evidente (citata dalla rete televisiva americana ABC, che riportò le dichiarazioni di un ex membro dei servizi segreti americani) che il governo aveva permesso la creazione nel 2002 di una prigione segreta della CIA nordamericana nei pressi di Vilnius, dove venivano torturati i detenuti. L'attuale presidente, Dalia Grybauskaite, "non esclude la possibilità" dell'esistenza di questa prigione segreta.
Nel Baltico, il nazionalismo mira a contestare l'esito della Seconda Guerra Mondiale e addirittura invertire, se potesse, i processi di Norimberga. Il razzismo, il culto delle armi e del militarismo, il disprezzo per le minoranze, la xenofobia e l'odio verso gli ebrei e rom, sono sempre più presenti in questa zona e in altre regioni dell'Europa orientale. La tolleranza verso gli atti di glorificazione del nazismo e del fascismo, il razzismo nazionalista e il disprezzo per le minoranze, coesiste con la repressione del comunismo e con una preoccupante deriva antidemocratica che dovrebbe preoccupare i cittadini e le istituzioni europee perché, inoltre, i segnali d'allarme non vengono solo dagli Stati baltici, anche se questi sono diventati il fulcro più preoccupante. Tentazioni simili sono apparse in Romania, Ungheria, dove regna una violenta persecuzione dei comunisti e nella Repubblica Ceca (dove la destra cerca di mettere fuori legge il partito comunista, uno dei più grandi del paese) e la Polonia. E come risultato della politica nazionalista e conservatrice, crescono i movimenti fascisti. Mentre continua la caccia alle streghe nel Mar Baltico contro i comunisti, non è stato avviato alcun processo fino ad oggi, contro i criminali nazisti originari dell'Estonia, della Lettonia o Lituania e la persecuzione e la diffidenza contro gli ebrei, le minoranze e la sinistra continuano ad essere l'ordinaria condotta dei governi di questi paesi. Il veleno del serpente fascista prosegue ad avvelenare il continente: nessuno può immaginare, senza turbarsi, l'idea che sfilino di nuovo i soldati nazisti in Germania e per questo dovrebbe inquietare che gli emblemi nazisti ancora svolazzino al vento nei paesi Baltici.
LA GRANDE FESTA DEI DOMOBRANCI
Slovenia: no a bandiere con stella rossa partigiani, proteste
Polemiche su celebrazioni indipendenza di stasera
22 GIUGNO, 12:01
(ANSAmed) - LUBIANA, 22 GIU - Le bandiere con la stella rossa a cinque punte delle formazioni militari partigiane slovene, che hanno lottato durante la Seconda guerra mondiale contro il nazifascismo, sono state per la prima volta vietate alle celebrazioni ufficiali della Giornata dell'Indipendenza della Slovenia, in programma questa sera a Lubiana, in base a una decisione del governo conservatore guidato dal primo ministro Janez Jansa.
Il divieto ha provocato una valanga di proteste da parte delle associazioni antifasciste e di una parte dell'opposizione di sinistra. ''La Slovenia e' fondata sulla guerra antifascista del 1941-1945 e sulla lotta per l'indipendenza nel 1991, e la decisione del governo non e' altro che un tentativo di dividere gli sloveni su basi ideologiche'', si legge in un comunicato stampa di Slovenia Positiva (Ps), maggiore partito di opposizione guidato dal sindaco di Lubiana e ricco imprenditore Zoran Jankovic, che in segno di protesta probabilmente non partecipera' alle celebrazioni ufficiali. Il governo ha spiegato che ai festeggiamenti dell'Indipendenza saranno ammessi solamente i simboli ufficiali dello Stato sloveno e quelli dei veterani della breve guerra del 1991, quando Lubiana dopo dieci giorni di scontri conquisto' la sovranita' da Belgrado. Il Partito democratico sloveno (Sds, conservatori), del premier Jansa, ha spiegato che le bandiere dei veterani partigiani e antifascisti si associano in primo luogo al periodo della dittatura comunista, conclusasi con la sanguinosa dissoluzione della Jugoslavia, e a un sistema antidemocratico dal quale la moderna Slovenia ha preso le distanze dopo il 1991.(ANSAmed).
Il divieto ha provocato una valanga di proteste da parte delle associazioni antifasciste e di una parte dell'opposizione di sinistra. ''La Slovenia e' fondata sulla guerra antifascista del 1941-1945 e sulla lotta per l'indipendenza nel 1991, e la decisione del governo non e' altro che un tentativo di dividere gli sloveni su basi ideologiche'', si legge in un comunicato stampa di Slovenia Positiva (Ps), maggiore partito di opposizione guidato dal sindaco di Lubiana e ricco imprenditore Zoran Jankovic, che in segno di protesta probabilmente non partecipera' alle celebrazioni ufficiali. Il governo ha spiegato che ai festeggiamenti dell'Indipendenza saranno ammessi solamente i simboli ufficiali dello Stato sloveno e quelli dei veterani della breve guerra del 1991, quando Lubiana dopo dieci giorni di scontri conquisto' la sovranita' da Belgrado. Il Partito democratico sloveno (Sds, conservatori), del premier Jansa, ha spiegato che le bandiere dei veterani partigiani e antifascisti si associano in primo luogo al periodo della dittatura comunista, conclusasi con la sanguinosa dissoluzione della Jugoslavia, e a un sistema antidemocratico dal quale la moderna Slovenia ha preso le distanze dopo il 1991.(ANSAmed).
LA STORIA DI ANNA LOMBARDA
(raccontino fantapolitico)
Questa è la storia di Anna Lombarda, nata a Milano, molto portata per lo studio e le lettere, si è laureata con ottimi voti e dopo avere lavorato per alcune testate giornalistiche lombarde ha vinto un concorso alla Rai di Roma. Per la sua capacità e bravura ha fatto una carriera velocissima, ed è una delle redattrici più stimate della TV di stato.
Finché...
Il 1° gennaio 201.... il conduttore Bossi proclama l'indipendenza della Padania. Padania libera, dalle Alpi all'Adriatico! gridano nei territori dove ora sventolano le bandiere verdi e le Guardie padane cacciano via la Polizia di Stato, i Carabinieri, la Guardia di Finanza e si scontrano con l'Esercito, che pure vorrebbe continuare a controllare il territorio per conto di Roma. I cittadini non padani per diritto di sangue e suolo si guardano intorno straniti e non sanno cosa sarà di loro, delle loro case, del loro lavoro.
A Roma il governo, attraverso la TV di stato, condanna l'atto di secessione, chiede garanzie per i propri dipendenti, amministrativi e militari, ma di fronte agli scontri provocati dai Padani non può fare altro che inviare altri militari, la tensione sale, è guerra civile.
Anna Lombarda, la milanese trapiantata a Roma, non sa che fare. Il suo cuore è a Milano, coi ribelli, ma il suo stipendio viene da Roma ladrona, che le ha finora permesso di vivere alla grande. Decide: prende le ferie e torna a Milano, dove starà per due settimane per vedere cosa succede. Ma allo scadere delle ferie comprende che non può tornare a Roma ladrona, deve restare con la sua gente, e non ha scelta. Si licenzia? macché, si dà malata e rimane a fare la secessionista.
Dopo sei mesi, durante i quali gli scontri continuano, i morti cominciano ad ammucchiarsi e Roma ladrona non sa più come uscire da una situazione di merda, Anna Lombarda viene licenziata, in tronco, perché ha preso parte attiva per i Padani? no perché è un'assenteista che si è finta malata per non tornare al lavoro.
La situazione precipita, Padania e Italia, ambedue insanguinate, non sono più paesi nei quali si può vivere, così Anna Lombarda scappa all'estero, va in Germania dato che conosce bene il tedesco e lì diventa un simbolo della crudeltà nazionalista di Roma ladrona, ottiene un posto in uno dei maggiori quotidiani nazionali ma visto il suo ruolo di testimonial gira il Paese in conferenze e dibattiti dove spara a zero sulla politica genocida di Roma ladrona, accusando l'Italia di crimini contro l'umanità. E viene portata in palma di mano dagli intellettuali, dalla società civile, dalle organizzazioni per i diritti civili.
Provate a cambiare un paio di nomi: Anna Lombarda in Azra Nuhefendic, Padania con Bosnia, Italia con Jugoslavia, Germania con Italia...
Claudia
Finché...
Il 1° gennaio 201.... il conduttore Bossi proclama l'indipendenza della Padania. Padania libera, dalle Alpi all'Adriatico! gridano nei territori dove ora sventolano le bandiere verdi e le Guardie padane cacciano via la Polizia di Stato, i Carabinieri, la Guardia di Finanza e si scontrano con l'Esercito, che pure vorrebbe continuare a controllare il territorio per conto di Roma. I cittadini non padani per diritto di sangue e suolo si guardano intorno straniti e non sanno cosa sarà di loro, delle loro case, del loro lavoro.
A Roma il governo, attraverso la TV di stato, condanna l'atto di secessione, chiede garanzie per i propri dipendenti, amministrativi e militari, ma di fronte agli scontri provocati dai Padani non può fare altro che inviare altri militari, la tensione sale, è guerra civile.
Anna Lombarda, la milanese trapiantata a Roma, non sa che fare. Il suo cuore è a Milano, coi ribelli, ma il suo stipendio viene da Roma ladrona, che le ha finora permesso di vivere alla grande. Decide: prende le ferie e torna a Milano, dove starà per due settimane per vedere cosa succede. Ma allo scadere delle ferie comprende che non può tornare a Roma ladrona, deve restare con la sua gente, e non ha scelta. Si licenzia? macché, si dà malata e rimane a fare la secessionista.
Dopo sei mesi, durante i quali gli scontri continuano, i morti cominciano ad ammucchiarsi e Roma ladrona non sa più come uscire da una situazione di merda, Anna Lombarda viene licenziata, in tronco, perché ha preso parte attiva per i Padani? no perché è un'assenteista che si è finta malata per non tornare al lavoro.
La situazione precipita, Padania e Italia, ambedue insanguinate, non sono più paesi nei quali si può vivere, così Anna Lombarda scappa all'estero, va in Germania dato che conosce bene il tedesco e lì diventa un simbolo della crudeltà nazionalista di Roma ladrona, ottiene un posto in uno dei maggiori quotidiani nazionali ma visto il suo ruolo di testimonial gira il Paese in conferenze e dibattiti dove spara a zero sulla politica genocida di Roma ladrona, accusando l'Italia di crimini contro l'umanità. E viene portata in palma di mano dagli intellettuali, dalla società civile, dalle organizzazioni per i diritti civili.
Provate a cambiare un paio di nomi: Anna Lombarda in Azra Nuhefendic, Padania con Bosnia, Italia con Jugoslavia, Germania con Italia...
Claudia
LA GUERRA ETNICA DI AZRA NUHEFENDIC CONTRO GLI ARTISTI SERBI
La guerra fratricida in Jugoslavia per alcuni non è finita e non deve finire.
Esiste in particolare una categoria di intellettuali - giornalisti, scrittori, saggisti, accademici, opinionisti - che alla guerra fratricida in Jugoslavia devono notorietà, carriera, ospitalità continua sui media occidentali e filo-occidentali, quei media che alternano l'inchiostro e l'uranio impoverito. Se la guerra finisse, anche questi intellettuali finirebbero nel dimenticatoio. Perciò devono mantenere vivo, e se possibile riattizzare, l'odio tra le nazionalità.
Tra questi manipolatori e propagandisti delle secessioni anti-jugoslave, mostra particolare zelo negli ultimi tempi la nazionalista bosgnacca Azra Nuhefendić. La quale non perde occasione per tirare in ballo il cadavere dell'odiato Milošević, ultimo presidente serbo jugoslavo e jugoslavista, e dargli addosso.
In un articolo recentemente pubblicato dal portale OsservatorioBalcaniCaucaso, al quale affezionatamente collabora, Azra Nuhefendić sferra un attacco frontale al grande attore Bata Živojinović (1). L'accusa è di essere stato "rosso", cioè iscritto al partito socialista serbo (SPS) guidato da Milošević. Con candida sfacciataggine, Azra arruola invece nel partito "bosniaco" il personaggio interpretato da Živojinović nel famosissimo film "Valter brani Sarajevo". Secondo lei, "Valter era un bosniaco" e non un partigiano jugoslavo, morto da eroe per l'unità e la fratellanza tra tutti i popoli della regione. E la principale colpa di Živojinović oggi, secondo Azra Nuhefendić, è che pretende - lui serbo! sacrilegio! - di "difendere di nuovo Sarajevo".
In un altro articolo, pubblicato pochi giorni prima dal quotidiano "Il Piccolo", Azra Nuhefendić ha sparato ancora più in alto: ha attaccato il maggiore regista serbo contemporaneo, Emir Kusturica. Non solo: ha attaccato la città di Trieste, che ha ospitato Kusturica da musicista con il suo gruppo "No Smoking Orchestra" (2). Di nuovo, l'accusa è tutta razziale-razzista: Kusturica "originario di una famiglia musulmana di Sarajevo" avrebbe tradito il suo sangue, perché "si è schierato con quelli che erano contro il suo Paese", il "Paese (BiH) che l’ha fatto diventare famoso". Kusturica è colpevole di non avere appoggiato il secessionismo bosniaco... Peggio: ha fatto una scelta di campo serba e ortodossa! Ma la Nuhefendić con il suo astio contro Kusturica è solo una tarda seguace della scuola di pensiero fondata da Predrag Matvejević, che da un ventennio oramai rimprovera a Kusturica di non essersi allineato alla cagnara anti-jugoslava e anti-serba (3).
La guerra etnica della Nuhefendić contro i serbi risale a molti anni fa. A una manifestazione a Roma nel 2003, "tra i primi a parlare ci fu un’operaia che, annunciavano, portava da Kragujevac 'un messaggio contro la guerra e per la pace'. Mi sentii offesa e ingannata. Una di noi due, quella volta a Roma, non avrebbe dovuto esserci" (4). O loro, o noi, insomma.
Italo Slavo
(2) «Trieste sbaglia a invitareKusturica» - su "Il Piccolo" di venerdì 8 giugno 2012 a p.40.
Sulla attività di Azra Nuhefendić come propagandista della secessione bosgnacca si vedano anche, ad esempio:
Diffida al Direttore di Osservatorio Balcani Luca Rastello per le bugie e le calunnie di Azra Nuhefendić nei confronti di Jean Toschi Marazzani Visconti (ottobre-novembre 2008)
Azra Nuhefendić prova goffamente a rivoltare la frittata sulla strage del mercato di Markale (1 luglio 2010)