Informazione


Trieste, 8 giugno 2012
alle ore 18:30 presso l'Officina Arci - via Manzoni 9

Giacomo Scotti 
presenta la nuova edizione del suo libro

BONO TALIANO. Militari italiani in Jugoslavia dal 1941 al 1943: da occupatori a 'disertori'

(prima edizione 1977) Roma: Odradek, 2012
Collana Blu - ISBN 978-88-96487-18-1 - pp. 256 € 28,00

Modera l'incontro Gianluca Paciucci, della Redazione di "Guerre&Pace"

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Oltre quarantamila furono gli italiani che, sopravvissuti ai massacri e non cedendo alle intimazioni di resa da parte dei tedeschi dopo l’8 settembre, si unirono ai partigiani jugoslavi, combattendo in Montenegro e in tutte le altre regioni del paese, dando prova di valore e conquistandosi la fiducia, l’affetto dei compagni d’arme e delle popolazioni locali. Ventimila di essi caddero, riscattando con il sangue – non è retorica il dirlo – le infamie dell’aggressione e della repressione fascista.
Scotti, sulla base di documentazione, frutto di una lunga ricerca svolta negli archivi jugoslavi e italiani, può affermare che già prima dell'8 settembre più di mille italiani disertarono dalle file dell'esercito di occupazione in Jugoslavia e passarono volontariamente nelle file della Resistenza jugoslava unendosi all’armata dei partigiani di Tito, o si “macchiarono” di altre forme di disobbedienza, di “obiezione di coscienza”, di scarsa partecipazione alle operazioni antiguerriglia, di dissociazione dalle truci azioni repressive. Furono essi, in ordine di tempo, i primi partigiani italiani, espressione del legame che si sarebbe sviluppato poi tra le due resistenze e l'altra faccia di quella stessa lotta combattuta con estrema brutalità dai fascisti italiani. 
Infine, come momento politico e organizzativo che saprà opporre queste due facce antitetiche in modo da farne scaturire un confronto risolutore, l’opera svolta dai due partiti comunisti: quello jugoslavo già forza “di governo” e salda guida della lotta popolare; e quello italiano, fratello minore che gli crescerà accanto in modo diverso, fra contrasti difficilmente sanabili.


Giacomo Scotti (Saviano 1928), stabilitosi nel 1947 in Jugoslavia, cominciò a lavorare a Fiume nella redazione del quotidiano «La Voce del Popolo», dove ha svolto per alcuni decenni la sua attività giornalistica. Dal 1982 si muove fra l’Italia e Balcani.
Ha pubblicato numerose opere riguardanti la lotta antifascista e di liberazione jugoslava, tra cui: Quelli della montagna (in collab. con R. Giacuzzo, 1972); Il battaglione degli “straccioni” (1974), Ventimila Caduti (1970); “Rossa una stella” (con L. Giuricin, 1976); I “disertori” (1980); Gli alpini dell’Intra in Jugoslavia (1984); Juris,juris! All’attacco (1984); Le aquile delle montagne nere (con L. Viazzi, 1987); L’inutile vittoria (con L. Viazzi, 1989) e numerosi altri, fino al 2009. Egli è inoltre studioso delle letterature macedone, bosniaco-erzegovese e croata. Per le sue opere ha ricevuto vari premi in Jugoslavia e in Italia, per la diffusione della letteratura italiana all’estero.


da il manifesto del 22 aprile 2012

Una anticipazione da « Bono taliano , militari italiani in Jugoslavia dal 1941 al 1943: da occupatori a "disertori"», un saggio straordinario che svela tutto quello che «Il giorno del ricordo» dimentica

Nemesi italiana

di Giacomo Scotti 

Facciamo un lungo salto indietro, al giorno della resa del nostro esercito, l'8 settembre 1943. È un episodio accaduto nel Montenegro, alla 37a Compagnia del battaglione «Intra» (divisione «Taurinense» alpina), comandata dal capitano Pietro Zavattaro Ardizzi. La compagnia era impegnata da parecchi giorni in un'operazione di rastrellamento in alta montagna quando, la mattina dell'8 settembre, attaccò il solitario villaggio di Crna Gora, strenuamente difeso dai pochi abitanti. La notte precedente, in tutti i casolari investiti dal «rastrellamento», s'erano levati i fuochi degli incendi rituali: bruciarono capanne e pagliai, perché le case di pietra erano state già distrutte nel maggio precedente. Sempre dai nostri soldati, divisione «Ferrara», che compirono una delle più spaventose stragi e innumerevoli atti di ferocia. 

La strage di Zupa 

Li racconta lo storico montenegrino Radislav Marojevi nel volume «Z upa Niksi Ka » (La Zupa di Niksi, Niksi, 1985), presentando un'abbondante documentazione. Dunque, nel quadro delle operazioni del maggio 1943, alcuni reparti della divisione «Ferrara» e un battaglione tedesco di SS penetrarono in Valle Zupa di Niksi il 28 maggio, rimanendovi anche il 29 senza incontrare un solo partigiano. Ma in quei due giorni avvenne l'inferno. Le poche famiglie che, disubbidendo alle direttive dei comandi partigiani in ritirata, avevano voluto restare, in attesa fiduciosa del ritorno delle truppe italiane, furono vittime di violenze inenarrabili: uomini fucilati, donne ed anziani gettati vivi nel fuco delle loro case date alle fiamme, fanciulle violentate e poi massacrate. Il bilancio fu di 90 persone uccise, 680 case incendiate, chiese saccheggiate. I soldati commisero tali e tanti atti di ferocia che tuttora nei villaggi della Zupa, per significare una strage, si usa dire «il Ventinove maggio». All'alba dell'8 settembre, dunque, gli italiani erano tornati, attaccando col battaglione «Intra»: ad eccezione di poche case, tutto fu distrutto dalle fiamme. L'azione avrebbe dovuto continuare nelle giornate successive e concludersi con la «totale distruzione dei partigiani», allo scopo erano state già rese note ai comandanti di reparti le disposizioni per l'indomani. In serata, invece, arrivò la notizia dell'armistizio. Così non ci furono altri rastrellamenti: chi avrebbe dovuto continuare a rastrellare i partigiani e a bruciare i villaggi dei «comunisti» venne a trovarsi da quel giorno di fronte ai tedeschi.

«Sei il mio terzo figlio» 

Quanto al capitano Zavattaro Ardizzi, lo ritroveremo nel maggio 1944 al comando di un reparto partigiano della divisione «Garibaldi» nel villaggio di Crna Gora, quello stesso da lui attaccato e fatto bruciare all'inizio di settembre 1943. Lui e i suoi soldati non più alleati dei tedeschi e dei cetnici, ma partigiani di Tito, braccati dai tedeschi e dai cetnici, cercavano di uscire dalla morsa nemica insieme ai partigiani jugoslavi. Leggiamo una rievocazione dello stesso Zavattaro Ardizzi scritta nel maggio 1977, esattamente un mese prima di morire (col grado di generale d'armata). 
«Con il tenente Simonetta raggiungo all'imbrunire del 14 maggio il piccolo villaggio di Crna Gora sulla mulattiera che da Trsa porta a Zabljak attraverso il passo di Stolac. Siamo sfiniti e cerchiamo ricovero nelle case. Gli abitanti non vogliono ospitarci perché comprendono che siamo convalescenti di tifo petecchiale ed hanno terrore del contagio. Leghiamo i cavalli allo steccato che circonda lo spiazza della chiesetta ortodossa e, dopo aver tolto agli animali le coperte che ci servivano da sella, ci stendiamo sul sagrato della chiesa coprendoci con quelle. Intorno il terreno è coperto da chiazze di neve, il sole è ormai scomparso e comincia a far freddo. Crna Gora è sui 1500 metri di altitudine. Dopo poco che sono disteso, mi «sento» fissare: alzo gli occhi e mi trovo circondato da una decina di uomini. Dico loro che quella notte probabilmente moriremo per il gelo in quanto «loro» non ci hanno accolti, sebbene fossimo combattenti per la libertà della loro Patria. Uno degli uomini si china su di me e mi solleva, dicendomi di seguirlo in casa sua. Quando ci troviamo nella piccola casetta, seduti intorno al fuoco, circondati dagli anziani del villaggio che vogliono dagli stranieri notizie, i padroni di casa ci offrono latte caldo. Ad un tratto la moglie del nostro ospite parla sottovoce al marito e questi mi guarda intensamente. Improvvisamente mi apostrofa: Sei tu il capitano che nella scorsa estate comandava gli alpini che hanno attaccato questo villaggio? Era vero, quel capitano ero io, allora in guerra contro i partigiani che appunto erano della zona (...). Replico: Sì, ero io, allora combattevo contro di voi, oggi lotto con voi per la libertà della vostra terra perché così agevolo la libertà della mia. L'uomo tacque pensieroso, poi fra il silenzio di tutti, dice: Quel giorno, capitano, i tuoi uomini hanno ucciso i miei due figli. Io e questa donna siamo rimasti soli. Tu ora combatti per la libertà del mio paese, se il nostro terzo figlio: questa è casa tua» .


Aspettando il 25 Aprile

La ferita sempre aperta di una memoria cancellata
 
Tommaso Di Francesco
 
«Furono oltre quarantamila gli italiani che, sopravvissuti ai massacri e non cedendo alle intimidazioni di resa da parte dei tedeschi dopo l'8 settembre, si unirono ai partigiani jugoslavi, combattendo in Montenegro e in tutte le altre regioni dando prova di valore e conquistandosi la fiducia, l'affetto dei compagni d'arme e delle popolazioni locali. Ventimila di essi caddero, riscattando con il sangue - non è retorica il dirlo - le infamie dell'aggressione e della repressione fascista». È la promessa, assolutamente mantenuta, dei temi del libro di Giacomo scotti «Bono taliano» (Odradek, pagg. 253, 20 euro) che, sulla base di documentazioni di prima mano dagli archivi sia italiani che jugoslavi, arriva a dimostrare fatti finora inediti alla pubblicistica ufficiale. E cioè che già prima dell'8 settembre 1943 più di mille italiani avevano disertato dalle fila dell'esrcito di occupazione in Jugoslavia e volontariamente erano passati in quelle della Resistenza jugoslava dei partigiani di Tito, oppure disobbedendo agli ordini di rappresaglia e repressione nazifascista. Insomma furono loro, in ordine di tempo, ricorda Giacomo Scotti, i primi partigiani italiani. E insieme a queste scoperte, lo scavo ancora una volta e come non mai necessario, sulla tragedia rappresentata dalle truppe d'occupazione in Jugoslavia. Quella che «Il giorno del ricordo» volutamente «non ricorda». Parliamo delle perdute umane subite dalla Jugoslavia in seguito all'occupazione di tedeschi, italiani, ungheresi e bulgari: furono un milione e e 706 mila morti, pari al 10,8% della popolazione presente nel 1941, dei quali oltre 400.000 nei territori occupati o annessi dagli italiani. In questi territori si ebbe la distruzione del 25% delle abitazioni. nel volume «Il crollo del regno di Jugoslavia» lo storico Velimir Terzic calcolò che le persone uccise, vittime dell'occupazione italiana, furono 437.395. Una cifra che si avvicinava a quella ufficiale presentata dal governo di Belgrado alla conferenza di pace. Ma nessuno dei generali criminali di guerra, Mario Roatta, Mario Robottii, Gastone Gambara, Taddeo Orlando, il governatore del Montenegro Pirzio Biroli e altri 700 responsabili, pagò mai per le fucilazioni di partigiani e i massacri di civili, per gli stupri di massa sulle donne. Anzi no, ricorda Scotti: il tenente delle Camicie nere Luigi Serrentino venne fucilato nel 1947. Ma in occasione della Giornata del Ricordo del 2007, il presidente Napolitano gli assegnò la Medaglia alla memoria come «vittima delle foibe».




Il seguente resoconto del viaggio di solidarietà di Non Bombe ma solo Caramelle - Onlus a Kragujevac si può scaricare nella versione completa (formato Word, corredata di fotografie) al link: 
Anche le precedenti relazioni di Zastava Trieste / Non Bombe ma solo Caramelle - Onlus si possono scaricare alla URL: 
https://www.cnj.it/solidarieta.htm#nonbombe

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Inizio messaggio inoltrato:

Da: Non Bombe Ma Solo Caramelle Onlus <gilberto.vlaic @ elettra.trieste.it>
Data: 20 maggio 2012 15.59.24 GMT+02.00
Oggetto: Da NBMSC ONLUS: i nostri progetti

Trieste, 20 maggio 2012

Care amiche, cari amici solidali,
vi mandiamo la prima parte della relazione del viaggio che abbiamo compiuto a Kragujevac per la consegna degli affidi a distanza alla fine di marzo.
Vi preghiamo di scusarci per questo estremo ritardo non dovuto a cattiva volonta’ ma come associazione abbiamo avuto molte scadenze urgenti da risolvere, che ci hanno portato via molto tempo.

A brevissimo manderemo anche la seconda parte, quella che contiene l’analisi della situazione economica della Serbia ed in particolare di Kragujevac; per quanto riguarda la situazione della Fiat Auto Serbia  avevamo gia’ inviato una relazione completa il 15 aprile scorso [vedi: https://www.cnj.it/documentazione/EconomiaLavoro/NBMSC2012_FAS_KG.pdf ] ...


ONLUS Non Bombe ma Solo Caramelle

DI RITORNO DA KRAGUJEVAC
Viaggio del 29 marzo – 1 aprile 2012


Introduzione

Vi inviamo la relazione del viaggio svolto un mese e mezzo fa a Kragujevac per la consegna delle adozioni a distanza che fanno capo alla ONLUS Non Bombe ma solo Caramelle e al Coordinamento Nazionale RSU CGIL.
Come sempre questi viaggi servono anche a verificare lo stato dei numerosi progetti che sono stati portati a termine e per la messa in cantiere di nuovi progetti.

Come sempre in questa relazione saranno presenti alcune fotografie per illustrare questi progetti; ne metteremo molte altre in piu’ per ogni singolo progetto sul nostro sito
che ha recentemente registrato un notevolissimo incremento di visitatori, in corrispondenza della lunga relazione che abbiamo messo in linea sulla situazione della Fiat Auto Serbia il 15 aprile scorso; ci auguriamo che alcuni dei lettori della nostra pagina facebook si uniranno prima o poi alla vasta rete solidale che si e’ creata in tutti questi anni di attivita’.

Tutte le nostre informazioni vengono pubblicate regolarmente sui due siti che seguono; altri siti di tanto in tanto riportano le relazioni dei nostri viaggi oppure le schede informative che periodicamente inviamo.

Sul sito del coordinamento RSU trovate tutte le notizie sulle nostre iniziative a partire dal 1999

I nostri resoconti sono presenti anche sul sito del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, sul fondo della pagina all'indirizzo:

2. Cronaca del viaggio; i progetti in corso


Giovedi’ 29 marzo 2012; il viaggio, l’arrivo al Sindacato e il primo incontro per un possibile progetto.


Come sempre partenza da Trieste verso le 8 e 30 del mattino.

Battiamo tutti i nostri record per quanto riguarda la partecipazione al viaggio. Si tratta della delegazione piu’ numerosa degli ultimi anni, infatti siamo in 12: Gianandrea e Lorena da Pordenone, Alessandra, Beatrice e Giandomenico da Conegliano, Claudia, Gilberto, Olga e Vladan da Trieste, Stefano da Fiumicello, Denis e Stefania da Udine. Partiamo usando il solito pulmino che ci presta ormai da tempi immemorabili la Associazione di Solidarieta’ Internazionale Triestina, l’auto di uno di noi mentre Denis e Stefania hanno deciso di affrontare questo lungo viaggio in moto.


Viaggiamo in assoluta tranquillita’ con tempo bello e con passaggi veloci alle varie frontiere; il traffico e’ pressoche’ assente in autostrada (se si eccettuano i dintorni di Lubiana e l’attraversamento di Belgrado) ed e’ ben piu’ scarso del solito; a sud di Zagabria i camion sono quasi inesistenti, a dimostrazione che in queste regioni nel cuore dell’Europa la crisi economica colpisce duramente.


Prima delle 19 finalmente arriviamo a Kragujevac e incontriamo i nostri amici del sindacato nella loro sede. L’atmostera e’ come sempre festosa, ma si sente la tensione dovuta alla liquidazione della Zastava Automobili, avvenuta il 5 gennaio 2011, con la conseguente perdita del posto di lavoro per quasi 1600 lavoratori, tra cui tre delle persone (su cinque) che lavorano per il Sindacato e che si occupano dell’ufficio adozioni.

E’ chiaro che senza di loro la nostra campagna di solidarieta’ in piedi da quasi 13 anni, sarebbe destinata a finire molto presto, tra l’altro in una fase come questa, in cui il modesto ma concreto aiuto che periodicamente portiamo diventa ancor piu’ indispensabile.

Vi ricordo che a questo proposito tutte le associazioni italiane che intervengono a Kragujevac (una decina) hanno deciso di creare un apposito fondo, SENZA toccare il denaro destinato agli affidi, che integra almeno in parte il sussidio di disoccupazione per queste tre persone (Rajka, Dragan e Delko) permettendo quindi di continuare l’attivita’ dell’ufficio.

Prepariamo tutte le buste con gli affidi che saranno consegnati durante l’assemblea pubblica di sabato 19 marzo, organizziamo gli appuntamenti che avremo nei due giorni successivi ed infine consegnamo le tre buste con i contributi per l’ufficio adozioni, per le quali ci viene rilasciata una regolare ricevuta.


A cena abbiamo il primo degli incontri previsti; si tratta del Dr. Ranko Golijanin, Direttore della Clinica Odontoiatrica dell’Ospedale di Kragujevac. E’ un grosso centro sanitario, che serve tutta la regione della Sumadija; ha 170 dipendenti, di cui 60 medici. Svolgono circa 5000 – 6000 interventi al mese.

Abbiamo gia’ sostenuto questo centro alla fine del 2010, fornendo 4 letti ospedalieri (gia’ usati ma in ottimo stato) per la realizzazione di un reparto di Hospital Day per i casi interventi piu’ complessi. I letti ci erano stati regalati dalla Casa di Riposo di San Giorgio di Nogaro.

La formazione professionale di questi medici e’ senz’altro di buon livello, ma la strumentazione su cui possono contare e’ assolutamente obsoleta. Il Dr. Goljanin ci chiede di fare da tramite tra il suo Centro e la ONLUS Cooperazione Odontoiatrica Internazionale, con la quale negli ultimi anni abbiamo realizzato a Kragujevac progetti importanti in campo sanitario sociale, impiantando sei studi dentistici: quattro al Centro Medico della Zastava, uno alla Scuola Politecnica e uno alla Scuola Infermiere; quelli presenti nelle due Scuole funzionano proprio grazie a personale proveniente dal Centro del Dr. Goljanin. Gli obbiettivi della futura collaborazione potrebbero riguardare processi di formazione di giovani medici serbi in Italia e soprattutto la fornitura di attrezzature dentistiche dismesse da ambulatori italiani.


Venerdi’ 30 marzo 2012; verifica dei progetti


Inizia una lunghissima giornata; non abbiamo mai avuto un tale numero di incontri da fare; siamo anche costretti ad annullare una visita al centro 21 ottobre per ragazzi Down, che e’ stato il primo impegantivo progetto che abbiamo realizzato a Kragujevac nel 2005.


La fabbrica DES

Il primo incontro e’ in una officina metalmeccanica, con 85 dipendenti, 50 dei quali sono invalidi psichici o fisici.

E’ una impresa di proprieta’ pubblica, si chiama DES, ed e’ sottoposta alla legislazione sul lavoro nelle officine protette; le mansioni che svolgono i singoli lavoratori dovrebbero essere strettamente relazionate al loro stato di salute.

I locali della fabbrica sono di proprieta’ pubblica (come risulta dalla visura catastale di cui ci e’ stata consegnata copia).

Non hanno una produzione qualificante sulla quale appoggiarsi, hanno una gamma di prodotti piuttosto semplici: tavoli, sedie, scaffalature metalliche, giochi per parchi e asili, prodotti per agricoltura. Lo Stato dovrebbe pagare meta’ degli stipendi (ma non e’ quasi mai regolare), e il resto deve essere trovato attraverso il loro lavoro. Devono stare, come si dice oggi, stare sul mercato.

I loro clienti sono soprattutto aziende pubbliche.

I lavoratori percepiscono i contributi per la pensione e il salario minimo stabilito per legge, che a marzo scorso era di 17900 dinari, mese, piu’ indennita’ mensa e trasporti, per circa 22000 dinari al mese (poco piu’ di 200 euro); inoltre sono in arretrato di cinque mensilita’ dal 2010, per le quali non esiste alcuna soluzione economica prevedibile.

La fabbrica ha tre reparti, in capannoni distinti:

uno di meccanica; benche’ con attrezzature vecchissime, non e’ molto diverso da qualsiasi officina;

uno di trattamenti chimici e uno di verniciatura.

Questi due ultimi reparti sono in condizioni veramente pesanti e molto pericolosi per la salute dei lavoratori.Ne abbiamo parlato con il sindacato Samostalni; il problema e’ ben presente anche alla Medicina del Lavoro della citta’, ma l’unica alternativa adesso potrebbe essere la chiusura della fabbrica.

Chiederemo alle delegazioni sindacali italiane che nel prossimo futuro andranno a Kragujevac di visitare questa fabbrica, per vedere se si riescono a suggerire soluzioni praticabili per un intervento di protezione della salute dei lavoratori.


Per quanto riguarda i pasti i lavoratori si portano qualcosa da casa, ma non hanno una mensa e mangiano direttamente sul posto di lavoro.

Hanno un locale dismesso di circa 50 metri quadrati che vorrebbero attrezzare a sala mensa, con trenta posti a sedere, e ci chiedono di aiutarli acquistando i materiali necessari; il lavoro per la realizzazione sarebbe volontario, ad esclusione dell’intervento di un elettricista per poter avere poi il certificato di conformita’.

Anche i tavoli e le sedie sarebbero realizzati con lavoro volontario in officina.

Il preventivo totale e’ di circa 460.000 dinari, pari a circa 4200 euro. La cifra non e’ ancora perfettamente definita perche’ ci sono due opzioni ancora in discussione.

Alcune delle associazioni italiane che intervengono a Kragujevac hanno gia’ accettato di prendere parte a questo nuovo progetto.


[FOTO: Due viste del locale della futura mensa / L’officina / Il capannone con i bagni galvanici]


L’appuntamento successivo e’ alla Scuola Primaria Dragisa Mihajlovic, nel quartiere di Male Pcelice (Le Piccole Api); ci ricevono il direttore e tutte le insegnanti

Pressoche’ tutte le scuole in Serbia soffrono di gravi carenze strutturali (pavimenti, bagni, pareti, infissi, impianti elettrici e di riscaldamento) per la totale mancanza di opere di manutenzione significative da decenni. Gli arredi scolastici sono in brutte condizioni quasi dappertutto.

La scuola Dragisa Mihajlovic ha circa 150 alunni su quattro classi con doppi turni mattino-pomeriggio ed una classe di preparatoria (dai 5 ai 6 anni) con 25 bambini.

Ha una superficie di circa 600 metri quadrati. Le aule a disposizione sono sei, di cui quattro per la scuola primaria, una per la classe preparatoria ed una aula informatica attrezzata assai bene, dono di Telekom Serbia.

All’inizio di novembre 2011 la direzione e gli insegnanti della scuola ci avevano fatto pervenire tramite l’ufficio adozioni del Sindacato Samostalni una richiesta di collaborazione per lavori urgenti, che consistevano in:

  1. sostituzione di 4 lavagne; quelle presenti sono fortemente usurate

  2. rifacimento dei pavimenti di tre aule

  3. rifacimento dei bagni

  4. realizzazione dell’impianto di riscaldamento per sostituire le stufe a carbone che esistono nelle varie aule, che sono certamente pericolose non solo per gli scarichi ma anche perche’ sono sistemate molto vicino ai banchi.

L’associazione Mir Sada di Lecco (con la quale collaboriamo da alcuni anni) aveva vistato la scuola a meta’ di novembre e inviato una prima relazione sommaria sulle proprie impressioni.

Impossibile ricostruire l’impianto di riscaldamento, per due motivi: manca un progetto termoidraulico completo e la spesa sarebbe superiore ai 20-25 mila euro, al di la’ delle possibilita’ delle nostre associazioni.

Per quanto riguardava il resto invece l’impressione era che gli interventi sono necessari, benche’ piuttosto onerosi.

Dopo l’arrivo alla fine di novembre di preventivi assai dettagliati (e di decine e decine di foto) e’ risultato che i lavori relativi ai punti 2 e 3 non erano poi cosi’ costosi come si pensava; in totale si tratta di 9920 euro, per la ricostruzione di 180 metri quadrati di pavimenti e dei bagni. Questo e’ dovuto al fatto che il Sindacato acquistera’ direttamente i materiali necessari da grossisti e fara’ eseguire i lavori ad alcuni artigiani (senza passare attraverso una impresa edile) mentre i genitori degli alunni forniranno lavoro volontario per la posa in opera dei pavimenti.

Durante questa nostra visita consegnamo quindi al Sindacato la somma di 7550 euro che provengono dalle varie associazioni che partecipano insieme a noi ai progetti a Kragujevac

ABC Roma 700 euro

ALJ Bologna 500 euro

Ass. Zastava Brescia 2000 euro

Non bombe ma solo Caramelle 4000 euro

Un ponte per... Roma 350 euro

a cui va aggiunta la Associazione Mir Sada di Lecco che si prende in carico l’acquisto delle lavagne per 350 euro.

Come vedete mancano ancora 2370 euro che saranno consegnati a breve, alla fine di maggio.

I lavori sono cominciati due settimane dopo la nostra visita (verso meta’ aprile) e al momento in cui scriviamo questa relazione sono pressoche’ finiti.


[FOTO: Il riscaldamento / Lo stato dei bagni / Dettagli dei pavimenti attuali]


E poi, sempre a Male Pcelice, ci aspettano all’Ospedale psichiatrico di Kragujevac.

Abbiamo gia’ scritto con molto dettaglio su questo ospedale nella relazione di viaggio di luglio 2011, quando lo avevamo visitato per la prima volta.
E’ il piu’ grande della Serbia, con circa utenti, dai 18 ai 90 anni
Dipende dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali; e’ stato aperto nel 1972.
Si occupa di adulti con disturbi nello sviluppo mentale e di malati mentali di livello alto e medio-alto.
Il personale complessivo e’ di 308 unita’, tra cui 7 medici e 47 infermieri.
L’ospedale e’ costituito da vari padiglioni, all’interno di un parco tenuto piuttosto bene.
Possiede un campo sportivo, una biblioteca molto curata, una grande palestra per fisioterapia, e numerosi laboratori per terapie basate su attivita’ manuali.
A luglio 2011 avevamo inviato a questo ospedale 35 letti ospedalieri e altrettanti comodini, tutti in ottime condizioni, che ci erano stati regalati la casa di riposo Giovanni Chiaba' di San Giorgio di Nogaro, che li doveva dismettere per modifiche delle normative sugli arredi ospedalieri. Con questi letti l’ospedale di Kragujevac aveva arredato un reparto appena ristrutturato.
Mancavano i materassi che l’ospedale non poteva acquistare per carenza di fondi; avevamo deciso di acquistarli con fondi della nostra ONLUS quando a febbraio scorso ci era arrivata dall’International Centre for Theoretical Physics di Trieste l’offerta di 60 materassi in ottime condizioni, provenienti dai dormitori dei studenti, e che dovevano essere cambiati, anche in questo caso perche’ non piu’ rispondenti alle normative di legge.
35 di questi materassi sono arrivati a Male Pcelice alla fine di febbraio, gli altri sono stati mandati in un orfanotrofio in Romania.
Visitiamo insieme alla Direttrice Suzana Perovic il reparto dove sono stati installati questi letti: le stanze sono affollatissime, ma molto pulite, cosi come tutti i locali che visitiamo.
Nel corridoio della direzione e’ esposta la bandiera della Pace che avevamo lasciato durante la nostra precedente visita.

[FOTO: Una delle stanze]


La mattina termina con un’altra visita importante, al Centro medico della Zastava.

Si tratta di una grossa struttura sanitaria, con 290 dipendenti in totale, a cui fanno riferimento tutti i lavoratori, e le loro famiglie, del gruppo Zastava e della Fiat Auto Serbia, per un totale di circa 40.000 persone.
Vi avevamo informati attraverso la nostra pagina Facebook (con vari documenti messi in rete a inizio marzo) che a circa 2000 lavoratori del gruppo Zastava (con i familiari si arriva a piu’ di 6000 persone) a marzo non erano stati pagati i contributi sanitari, per cui queste persone non avevano piu' la (gia' scarsa) assistenza sanitaria pubblica e erano quindi costretti a pagarsi integralmente medici e medicine.
Successivamente dopo uno sciopero molto duro, il pagamento dei contributi era stato ripristinato, almeno per tre mesi; dunque a giugno prossimo saremo da capo...
Per sostenere in modo concreto questi lavoratori e su specifica richiesta del loro Sindacato Samostalni avevamo deciso di portare in questo viaggio molti piu’ medicinali del solito.
Ci siamo messi in contatto con una ONLUS di Grottaferrata, Le Medicine, che nel giro di tre giorni ci ha spedito circa 100 chili di medicinali, mirati alle patologie piu’ frequenti.
Vi consigliamo di visitare la loro pagina http://www.lemedicine.org
E cosi’ siamo ora qui, a incontrare i delegati sindacali del Centro medico e il dottor Vukosavljevic, che gestisce da sempre i medicinali che portiamo, e che li distribuisce (ovviamente in modo gratuito) ai lavoratori che ne hanno bisogno.
E’ la prima volta che lo incontro, e fa veramente impressione vedere come lavora; riporta a mano su dei registri il nome di CIASCUNA scatola di farmaci che portiamo (sono centinaia per ogni viaggio) e poi a fianco nome e indirizzo della persona a cui viene consegnata, e fa firmare questo registro.
Ecco le foto che accompagnano questa straordinaria consegna.

[FOTO: Le medicine a Trieste, appena arrivate da Grottaferrata / Le medicine sul nostro furgone a Kragujevac / E finalmente nell’ufficio del dottor Vukosavljevic! / I registri del dottor Vukosavljevic]


Incontriamo poi la Direttrice del centro medico, che conosciamo da molti anni, perche’ qui abbiamo sviluppato parecchi progetti, in collaborazione con la ONG Cooperazione Odontoiatrica Internazionale (quattro poltrone dentistiche portate qui dall’Italia) e con la Misericordia della Bassa Friulana di San Giorgio di Nogaro, che nel 2006 dono’ a questo Centro una ambulanza che doveva essere dismessa, e che e’ ancora in funzione.
La Direttrice delle difficolta’ di reperire i finanziamenti per mantenere attivo il centro, della incertezza per il futuro, della strumentazione obsoleta. Insieme ai delegati sindacali del centro visitiamo poi il reparto di fisioterapia, dove ci vengono illustrate le necessita’ piu’ urgenti per renderlo piu’ efficiente.
Da parte nostra non possiamo promettere niente, ma e’ certo che al nostro ritorno in Italia faremo il possibile per trovare qualche soluzione a questi problemi.

L’appuntamento successivo e’ al Centro per anziani della citta’.

In questo casa di riposo e’ stato stato portato a termine un bellissimo progetto da parte del Sindacato Pensionati SPI-CGIL di Brescia e della ONLUS Zastava Brescia per la Solidarieta’ Internazionale che hanno voluto costruire un centro di accoglienza diurno, particolarmente dedicato alle persone senza fissa dimora e con estreme necessita’ personali; e’ stata costruita anche una sala per fisioterapia.
La nostra ONLUS non ha partecipato al progetto, ma il direttore del centro ci ha invitato lo stesso a visitare la struttura, che e’ veramente grande e ben tenuta.
Questo progetto ha avuto un percorso travagliato, perche’ oltre al finanziamento delle associazioni bresciane erano stati messi a bilancio fondi comunali e anche un contributo ministeriale, che non arrivavano mai. E finalmente, a pochi mesi dalle elezioni (chissa’ perche’...) i fondi si sono sbloccati e i lavori hanno ripreso, celerissimi in modo tale da poter essere inaugurati in pompa magna da ministri e assessori il 16 aprile scorso, con le elezioni municipali e politiche del 6 maggio alle porte...
Durante la nostra visita diciamo molto chiaramente al DIrettore (il quale, poveretto, non ne ha colpa) che non e’ intenzione di nessuna delle associazioni italiane fare la campagna elettorale per questi personaggi; comunque questa e’ una contraddizione reale, di cui siamo coscienti e che ci irrita moltissimo: il personaggio politico di turno cerchera’ sempre di utilizzare per i propri scopi personali ed elettorali cio’ che facciamo.
Visitiamo comunque con grande piacere questa nuova struttura, che si inserisce perfettamente nella logica degli interventi realizzati a Kragujevac, tesi a dare dignita’ e a sostenere i bisogni delle categorie piu’ deboli e svantaggiate della citta’.

[FOTO: Due viste del centro di accoglienza diurno]


Ulteriore tappa presso la sede della Associazione Malati di Distrofia Muscolare.

Questa associazione ha 148 membri di cui circa la meta’ bambini, sono persone invalide, quasi tutte disoccupate, molte di loro ormai legate alla carrozzina e che necessitano di aiuto di altre persone anche per le necessita’ piu’ semplici. Spesso sono persone molto povere e ai margini della societa’.

Recentemente hanno subito un furto nella loro sede, gli sono stati rubati un televisore (letteralmente strappato dal muro dove era avvitato) ed il computer che avevano in ufficio. Si sono rivolti al Sindacato per vedere se era possibile ricevere un aiuto economico per poter ricomprare le cose rubate.

C’e’ un momento di imbarazzo al nostro ingresso, non ci conosciamo ancora, ma si stempera subito quando Rajko, il segretario del Sindacato Samostalni, spiega bene chi siamo e come e perche’ interveniamo a Kragujevac.

Scoppia un fragoroso applauso e scorrono molte lacrime quando illustriamo una grande sorpresa, che avevamo tenuta accuratamente nascosta: nel nostro viaggio di ottobre porteremo con noi un pullmino dotato di rampa per il trasporto di due carrozzine, dono della Misericordia della Bassa Friulana di San Giorgio di Nogaro; non e’ un furgone nuovo, e’ stato immatricolato nel 2004, ma e’ in ottime condizioni e i volontari della Misericordia verranno con noi per questa consegna.

E’ il terzo mezzo speciale che questa associazione porta a Kragujevac: dapprima nell’estate del 2006 un’ambulanza per il Centro medico della Zastava, poi un altro pullmino per trasposto invalidi, che era stato regalato all’associazione malati di sclerosi multipla di Kragujevac, nel luglio del 2008.

E oltre questi mezzi la Misericordia ha molto sostenuto i ‘’nostri’’ lavoratori e le loro famiglie con numerosi interventi, dagli affidi a distanza, al vestiario, ai computer, a grandi quantita’ di pannoloni.


[FOTO: Due foto dell’incontro / Il pullmino]


Concludiamo questo giorno infinito con una rapida visita al centro collettivo per profughi a Trmbas, che avevamo visto per la prima volta esattamente un anno fa.
Tutti i lavori che abbiamo svolto sono finiti ed e’ stata apposta una grande targa che ricorda tutte le associazioni che hanno partecipato a questo progetto veramente impegnativo.
Abbiamo gia’ scritto moltissimo su questo campo nelle nostre precedenti relazioni, e pubblicato molte foto, specie nella nostra pagina facebook; ricordiamo in breve in che cosa e’ consistito il nostro intervento.
Si tratta di un ex villaggio turistico, di proprieta’ pubblica, utilizzato fino al 1990 come colonia per gli studenti di Kragujevac; e’ situato in un bosco a circa 5 chilometri dalla citta’ nel piccolo villaggio di Trmbas.
E’ costituito da 10 edifici in legno a due piani, e tre edifici in muratura che contengono i servizi igienici comuni, un deposito viveri e un locale cucina-refettorio.
Dal 1991 fino ad ora e’ stato usato come campo per profughi, dapprima per quelli provenienti dalla Croazia e poi dal 1999 per quelli del Kosovo; attualmente e’ occupato da circa 60 famiglie (poco meno di 300 persone).
Il campo soffre di un grande degrado umano che dipende in gran parte dalla assoluta mancanza di prospettive per il futuro della gente che vi abita; il nostro ruolo e’ stato quello di recuperare le baracche in cui questa gente vive (erano in totale abbandono da molti anni) e di impegnare il Comune ad una pulizia radicale del campo, all’epoca soffocato dai rifiuti.
E poi successivamente ci eravamo anche impegnatii nel recupero edilizio deella scuola primaria adiacente al campo, che e’ frequentata dai figli di questi profughi, dando una nuova dignita’ anche a questi piccoli.
Dopo che avevamo iniziato ad occuparci del campo, avevamo presentato alla Chiesa Valdese una domanda di contributo (a valere sui loro fondi dell’8 per mille), e a settembre del 2011 avevamo ricevuto la comunicazione che il nostro progetto era stato integralmente approvato e che la Tavola rimborsava tutte le spese sostenute; con questo denaro potremo portare avanti nuovi progetti...

[FOTO: La targa apposta all’ingresso del campo]


Sabato 31 marzo 2012

E’ la giornata della consegna degli affidi a distanza e degli ultimi incontri.

Il primo e’ con Jelena Trifunovic, l’instancabile direttrice del Centro per ragazzi Down 21 Ottobre, che e’ stato il nostro primo progetto importante a Kragujevac, e che funziona ormai da sette anni in maniera eccellente, per la dedizione e la caparbieta’ di Jelena, delle operatrici che lavorano con lei e dei genitori di questi sfortunati ragazzi.
Le consegnamo un regalo di 300 euro, che proviene da un gruppo di lavoratori del gruppo bancario ICCREA di Roma, che gestisce anche dall’inizio della campagna di solidarieta’ dieci affidi a distanza.

C’e’ poi un lungo incontro con Zoran Markovic, segretario del Sindacato Samostanli per la Fiat Auto Serbia, che ci illustra la situazione attuale della fabbrica auto e le prospettive future.
Abbiamo gia’ pubblicato la trascrizione di questo incontro nella nostra pagina Facebook il 16 aprile, e lo abbiamo anche spedito a tutti gli indirizzi della nostra lista di posta elettronica.
Comunque possiamo riassumere cosi’ questo incontro: i piani della Fiat sono bellissimi, dal cielo non cascano piu’ i missili della NATO che hanno distrutto la Zastava ma scende lieve la manna, il futuro dei lavoratori e’ radioso, peccato che venga sempre tutto spostato sempre all’anno successivo...
Quasi 30% degli abitanti di Kragujevac sono senza lavoro e resteranno per sempre ai margini della sopravvivenza e nessuna vaghissima (e sempre rimandata) promessa di ingresso nella comunità europea riuscirà a tramutare in condizioni di vita dignitose le loro speranze. E tutto questo in un paese europeo che poteva aspirare ad un futuro normale, prima di essere distrutto dai bombardamenti dei civilissimi Paesi aderenti alla NATO. tra cui, non dimentichiamolo mai, l’Italia.
Accompagnati dall’amarezza di queste realtà ci avviamo all’ incontro con le nostre famiglie: eccole qui, come sempre serie e composte, ci scrutano in silenzio, ci ringraziano, ci stringono la mano, ci abbracciano, ci manifestano la loro gratitudine e la loro stima.

C’e una grande novita’ rispetto alle assemblee degli ultimi tre-quatto anni.
Prima di descriverla sono d’obbligo due spiegazioni.
All’inizio dell’anno 2012 avevamo ricevuto dalla associazione Mato Grosso di Chiarano (in provincia di Treviso) una generosa sottoscrizione di 7000 euro da destinare agli affidi.
Abbiamo sempre sottoposto a verifica la situazione dei ragazzi in affido, in funzione dell’eta’, del fatto che vadano o meno a scuola, di chi lavora in famiglia, se sono o meno presenti malattie gravi, in modo da poter concentrare le disponibilita’ economiche sulle situazioni con bisogni maggiori.
Cosi’ abbiamo chiuso alcuni affidi e in accordo con le famiglie italiane adottanti ne abbiamo aperti altri.
In questa maniera possiamo aprire 24 nuovi affidi, tutti bambini piccoli al di sotto dei dieci anni che ci guardano un po’ meravigliati e un po’ sospettosi, e due studentesse universitarie.
Come sempre qualcuno di noi passa con dei grandi vassoi di caramelle, cosi’ da mettere subito a loro agio questi piccoli.

Mi ritorna sempre in mente, in queste occasioni, la frase che disse a me e a Riccardo dell’associazione di Brescia, durante il nostro primo viaggio a Kragujevac, un lavoratore in cassa integrazione della Zastava, quando andammo a trovarlo a casa, se cosi’ si poteva chiamare la baracca in cartongesso dove abitava con moglie e due figli, in mezzo ad un lago di fango: noi vi ringraziamo per gli aiuti che ci portate, ma quello che non riusciremo mai a dimenticare e’ che voi venite da tanto lontano per portarci solidarieta’ e amicizia.

Qui termina il nostro viaggio tra i nostri amici lavoratori serbi nel cuore dell’Europa civile...

Il giorno dopo rientriamo in Italia, e inizieremo a preparare il prossimo viaggio con la stessa determinazione, convinzione e testardaggine con cui abbiamo preparato tutti i precedenti.

Grazie a tutte/i voi per il sostegno che date a questa campagna solidale.

Trieste, 19 maggio 2012

[FOTO: Vi salutano i bambini del campo di Trmbas]


Non bombe ma solo caramelle – ONLUS
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intestato a ‘’Non bombe ma solo caramelle –ONLUS’’






Since graveyard humor is a Serbian specialty, it seems appropriate that Serbs just played a little joke on everybody by electing a former undertaker as President.
In the May 20 runoff, affable former funeral home manager Tomislav Nikolic won slightly over 50% of valid votes cast against the incumbent, Boris Tadic, who had spent his eight years in office doing everything possible to please the Western powers that have in return done all they could to keep Serbia alone and humiliated. Constantly compared to Nazi Germany, Serbs have been subjected to a sleazy imitation of the Nuremberg war crimes tribunal, but no Marshall Plan billions to revive the economy. Conditions are increasingly desperate.
More than half the electorate, perhaps considering the election itself a joke, did not bother to vote. Nikolic promised change, but there is no sign that he has either a plan or the means to bring it about. Earlier in the month, parliamentary elections were tainted by evidence of massive ballot rigging in favor of the ruling coalition. Even before the presidential runoff, the Socialist Party leader made a deal to form a coalition with Tadic’s Democratic Party – the coalition favored by Western embassies. So Nikolic may find himself only a figurehead, with the government run by a prime minister from the same old Tadic majority.
Still, voters at least get a chance from time to time to say “no”, and saying “no” to Tadic brought a fleeting illusion of freedom.
For Western media and politicians, Serbia serves only one purpose: to be the bad example of “nationalism” that enhances the virtuous anti-nationalism of the EU and NATO. In an era when in EU countries a mere disparaging remark against any ethnic or religious group may lead to lawsuits for “incitement to racial hatred”, the Serbs are there to allow cartoonists, editorialists and film-makers to stigmatize the pariah group to their heart’s content. Serbia’s most prized export to Europe is its “genocidal war criminals”, sent to The Hague to feed Europe’s pride in its humanitarian values. So the best thing Serbia could do for Western media was to elect “an extreme nationalist” – well, not exactly – only a “former extreme nationalist”, or “a former ultranationalist”, or “a former strident nationalist”. In The Guardian, Ian Traynor fretted that “Serbia’s hopes of fast-track integration into Europe suffered a severe setback” with the defeat of the endlessly accommodating Tadic.
This “fast track” is another sour joke. After eight years of giving in to EU pressure, all Tadic got this spring was grudging permission for Serbia to become an “official candidate” to join the EU. To join when? Only when Serbia makes some more “reforms” and above all, when Belgrade accepts the “independence” of Kosovo, stolen from Serbia by NATO bombing in 1999 and handed over to Albanian gangsters with friends in Washington.
That is something no Serbian government dares to do. At least not openly. Like Tadic, Nikolic has promised to pursue two mutually exclusive policy aims: EU membership, and refusal to recognize that the historic Serb province of Kosovo is now an “independent State”.
The election of Nikolic probably shows that enthusiasm for joining the EU is waning, which would make sense considering the current crisis of the euro zone. But even a sinking ship may look like salvation to a drowning man.
Ever since the 1999 NATO war, Serbia has been a semi-occupied country, surrounded by NATO. Its politicians must seek approval of Western embassies and pro-Western media. Many have been groomed in the United States. Nikolic is an exception, but to compensate, he has turned to former U.S. Ambassador William Montgomery for advice on how to improve his image in the West.
As a “former extreme nationalist”, Nikolic may be called upon by EU gatekeepers to do even more (if such is possible) to prove his conversion to “Western values”. He started off with the rather astonishing statement that he was eager to meet Angela Merkel, his “best ally in Europe” – astonishing since everyone knows that Germany and Austria, as Serbia’s historic enemies (Sarajevo 1914) were first to sponsor Croatian and Slovenian secession from Yugoslavia and have vigorously pursued their century-old vendetta against Serbs ever since.
Nikolic has modified his former vow to pursue closer relations with Russia into a suggestion that Serbia must “have friends all over the world”. The “former extreme nationalist”, who left the Serbian Radical Party to form his own Progressive Party, does not appear to be the man to defy Serbia’s Western tormentors.
“Take Him to The Hague!”
Since only “former extreme nationalists” are left in Serbia, whatever happened to the real thing? Whatever happened to Vojislav Seselj?
Nikolic’s political mentor, the lawyer and Serbian Radical Party leader Vojislav Seselj, has been in prison in the Netherlands for over nine years, as his trial for belonging to an alleged “joint criminal enterprise” gets nowhere.
On February 24, 2003, learning that the Prosecutor’s office of the International Criminal Tribunal for former Yugoslavia (ICTY) had issued a secret indictment against him, Seselj booked his own regular flight to the Netherlands to give himself up before the indictment could be issued. He announced boldly that he was “convinced that I’m capable of winning against The Hague tribunal and refuting these Western allegations against the Serbian people.” A farewell rally was held in Belgrade.
He has been in the ICTY prison in the Netherlands ever since.
The ICTY chief Prosecutor at that time, Ms. Carla Del Ponte, wrote in her memoirs “The Hunt” that the indictment was issued at the request of the authorities in Belgrade. At a meeting on February 17, 2003, Zoran Djindjic, who owed his position as Serbian Prime Minister to support from NATO powers, and was assassinated shortly thereafter, allegedly told her: “As far as Vojislav Seselj is concerned, we have only one request –take him away, never to bring him back again!”
The reason for getting Seselj out of Serbia was obvious. He was a popular politician who had lost elections to Milosevic, but with Milosevic out of the way, he might be a formidable opponent for the pro-Western politicians sponsored by the NATO powers. Or so they might worry.
The Seselj case illustrates an original purpose of the Hague tribunal, as described by one of its designers, Michael Scharf, a State Department adviser who took part in the creation of the ICTY. In an August 2004 Washington Post column, Scharf recalled: "In creating the Yugoslavia tribunal statute, the U.N. Security Council set three objectives: first, to educate the Serbian people, who were long misled by Milosevic’s propaganda, about the acts of aggression, war crimes and crimes against humanity committed by his regime; second, to facilitate national reconciliation by pinning prime responsibility on Milosevic and other top leaders and disclosing the ways in which the Milosevic regime had induced ordinary Serbs to commit atrocities; and third, to promote political catharsis while enabling Serbia’s newly elected leaders to distance themselves from the repressive policies of the past."
To put it in slightly different terms, the purpose of the Tribunal was to oblige the Serbian people to accept the NATO version of events in their country.
Already in 1992, U.S. Secretary of State Lawrence Eagleburger called for a war crimes tribunal as an instrument to force the Serbian people to see things our way: While “waiting for the people of Serbia, if not their leaders, to come to their senses, we must make them understand that their country will remain alone, friendless, and condemned to economic ruin and exclusion from the family of civilized nations for as long as they pursue the suicidal dream of a Greater Serbia. They need, especially, to understand that a second Nuremberg awaits the practitioners of ethnic cleansing, and that the judgment, and opprobrium, of history awaits the people in whose name their crimes were committed.”
In reality, the Tribunal, precisely because it intervened in a complex civil war against the Serb side, has never been credible among most Serbs, but instead has served to strengthen the NATO countries’ own view of the conflict as caused solely by Serbian nationalism. The enemies of the Serbs, nationalist leaders of the Albanians, Bosnian Muslims or Croats, use the Western anti-Serb bias for their own purposes, first of all to portray themselves as pure innocent victims with no responsibility for the mayhem that tore Yugoslavia apart. That version is far too simplistic to convince Serbs who are aware of the complexities, even when they admit that crimes were indeed committed by Serbs during the bloody conflicts. Far from fostering reconciliation, the Tribunal has cemented divisions and made eventual reconciliation all but impossible.
Seselj, however, is a special case. There is no evidence that he ever took part in combat, much less in war crimes, or that he exercised any command responsibility. He joined a national unity government briefly during the NATO bombing of Yugoslavia in 1999, but for the rest of the time was an often bitter and vehement political opponent of President Slobodan Milosevic.
As a witness at the Milosevic trial in The Hague, Seselj surprised the prosecution by insisting that he, Seselj, was the real champion of “Greater Serbia”, while Milosevic was always opposed to the concept and instead wanted to preserve multi-ethnic Yugoslavia. Milosevic died in his cell before the end of his trial.
In short, Seselj is spending years on trial for what he said, not for what he did.
The Crime of the “Rusty Spoons”
Some twenty years ago, Seselj became notorious in Western media for having allegedly boasted of “tearing out the eyes of Croats with rusty spoons”. This was one of the main horror stories that built the reputation of Serbs as genocidal maniacs.
Vojislav Seselj was never one to be concerned with political correctness. He gained a certain prominence in the early 1980s as one of Yugoslavia’s best-known political prisoners. Internationally known intellectuals of the Praxis group rallied to his defense on grounds of free speech, even though they disagreed with him on just about all major questions, as they tended to be reformist Marxists and Seselj was strongly anti-communist. But even his adversaries acknowledged his courage and intelligence.
Under Milosevic, political prisoners were released, and in the early 1990s Seselj became leader of the Serbian Radical Party, a revival of Serbia’s main historic political party from Serbia’s democratic heyday in the early 1900s, before World War I and the creation of Yugoslavia at the Versailles conference. As Yugoslavia began to break up under the pressure of Croatian and Slovenian secessionism, Seselj became the leading champion of Serb nationalism, meaning roughly the idea that if Yugoslavia were to break up into its component nations, Serbia should revert to the nation it could have been as a victor in World War I before the creation of Yugoslavia, World War II, and the Communist division of Yugoslav territory – in short, “Greater Serbia”. Milosevic never endorsed this idea.
In 1991, conflict was brewing between ethnic Serbs and nationalist Croats in regions of Croatia with a large Serb population. Some Serbs fled to Serbia, fearful of a return of the Nazi-backed Ustasha movement that massacred Serbs after Nazi Germany invaded and broke up Yugoslavia in 1941. While the conflict aroused Serb fears of Ustasha, it also aroused Croat fears of Chetniks – the name for Serb guerrillas in wars against the Ottoman Empire or against the Nazi occupation.
That year, Seselj was guest on a satirical television show called Minimaxovision that made fun of the accusations against Serbs. “So you Chetniks are slaughtering people again?” Seselj was asked. He replied deadpan: “of course, only we have changed our methodology. Now, instead of knives we use shoe horns. And rusty ones at that, so that it cannot be established whether the victim died because of butchering or from tetanus.” The talk show participants laughed at the absurdity of using shoe horns. This was graveyard humor in a tradition understood perhaps in Belgrade, but not everywhere.
Urged on by their Croat friends, Western reporters took the whole thing seriously. The tasteless joke became a testimony to the fact that Seselj had boasted that his men slaughtered Croats with rusty spoons (the word kasika means both spoon and shoe horn in Serbian).
Since then, Seselj has explained repeatedly that he was joking. But the story lives on. The May 22 report on Nikolic’s election in the International Herald Tribune included a background reference to Vojislav Seselj who “said he would like to gouge out the eyes of Croats with a rusty spoon. He is now in The Hague for war crimes.”
An unmentioned aspect of this story is that in a paradoxical way it echoes the Italian author Curzio Malaparte, who wrote in “Kaputt”, his autobiographical account of Italy’s role in World War II, that when he visited the Leader of the fascist Independent State of Croatia, Ustasha chief Ante Pavelic, he was shown a basket of what looked like oysters and was told they were “human eyes… gouged from Serbs”.
Personally, I have never been able to take Malaparte’s story literally, and tend to think that it, too, is an illustration of a certain Balkan humor.
The simplistic belief that the Yugoslav wars of disintegration were caused solely by evil Serbs, imitating Hitler, is necessary to justify NATO bombing of Yugoslavia in order to “save the Kosovars”. This myth must be upheld as precedent for further “humanitarian intervention” whenever the United States and NATO decide to overthrow another recalcitrant government somewhere. Until NATO goes broke, or Western citizens wake up and oppose endless war, the Serbs have no chance of achieving truth or justice. They can only console themselves with graveyard humor. 



Da: Y.&K.Truempy <trumparzu  @  bluewin.ch>

Oggetto: Syrien: USA torpedieren friedliche Lösung

Data: 01 giugno 2012 18.56.04 GMT+02.00


Wie schon in den 90-er Jahren in Jugoslawien betreiben die USA in Syrien eine Politik der Torpedierung aller Friedensbemühungen (siehe Artikel unten). Vordergründig zeigt man sich sehr besorgt über die Entwicklung in diesem multi-ethnischen Staat. Wie damals Milosevic, steht nun Assad - beides Repräsentanten einer nicht voll auf die USA ausgerichteten Politik - auf der Abschussliste der Amerikaner. Während man bei G.W.Bush wenigstens wusste woran man war, betreibt Obama, wie vorher Clinton, eine perfid-geheuchelte Aggressionspolitik gegen jegliche Überreste aus der Entkolonialisierungspolitik des 20-Jh. Nicht dass ein offener Faschismus einem getarnten vorzuziehen ist, die Konturen wären jedoch für jedermann erkennbar. Die kritische westliche Öffentlichkeit ist leider so eingelullt, dass die von den gleichgeschalteten Medien servierten Gräuel-Geschichten immer wieder akzeptiert werden (sonst hätte z.B. der Tagesanzeiger nicht so eine hohe Auflage). Ob sich der Westen diesmal eine Ignorierung der klaren Positionen Russlands und Chinas leisten kann wird sich zeigen.
K.Trümpy, ICDSM Schweiz
 
 
 
 
USA torpedieren friedliche Lösung
 
Hans Springstein
 
Der Doppelanschlag in Damaskus vom 10. Mai mit etwa 70 Toten gilt gemeinhin als Zeichen dafür, daß Kofi Annans Friedensplan und jeglicher Versuch einer friedlichen Lösung des syrischen Konfliktes zum Scheitern verurteilt sind. Das überrascht nicht.
DeutschlandRadio Kultur sendete einen Tag später in der Reihe »Ortszeit« einen interessanten Beitrag zum Thema »Wer steckt hinter dem Anschlag von Damaskus?« Der libanesische Ex-General Hisham Jaber sagte in dem Radio-Beitrag, daß die Täter keine Amateure aus der Opposition gewesen sein können. Dazu seien nur gut ausgebildete Profis fähig. Und er fügte hinzu: »Ich spreche nicht von Al-Qaida.« Aber es gebe eine ganze Reihe von Gruppen mit ähnlichen Motiven und Zielen und mit »800 bis 1.000 Leuten in Syrien«. »Die kommen aus Libyen, Jemen, Nordlibanon und Irak« und haben keine Verbindungen zur syrischen Opposition. Jaber bezeichnete Behauptungen, der syrische Geheimdienst stecke hinter den mehrfachen Bombenanschlägen seit Dezember 2011, um sie der Opposition in die Schuhe zu schieben, als »abwegig«. Die syrische Regierung habe kein Interesse daran zu zeigen, daß sie die Kontrolle über Damaskus verliere. Ihr nutzten diese Anschläge nicht: »Nein, das Regime hat keinerlei Interesse an solchen Operationen.« Jaber befürchtet ein Zunahme derartiger Anschläge. Der Annan-Plan für eine friedliche Lösung könne praktisch abgeschrieben werden.
Wer kein Interesse an dem Friedensplan des ehemaligen UN-Generalsekretärs hat, zeigte sich schon Tage zuvor. Am 4. Mai meldete AP, daß die US-Regierung den Versuch Annans, den Frieden in Syrien wiederherzustellen, für gescheitert erklärt. Jay Carney, Sprecher des US-Präsidenten Barack Obama, sagte laut Agenturmeldung, die Gewalt in Syrien müsse nun auf andere Weise gestoppt werden. Die Verantwortung dafür trage das Regime des Präsidenten Baschar al-Assad. AP erinnerte daran, daß die US-Regierung dem Annan-Plan von Anfang an skeptisch gegenüber gestanden hatte.
Dazu paßte dann der Bericht der Washington Post vom 16. Mai: Die bewaffneten syrischen »Rebellen« erhalten mit Hilfe der USA neue und bessere Waffen. Das geschehe über Saudi-Arabien und Katar. Diese Partner Washingtons hatten schon im April, kurz nachdem Kofi Annan seinen Friedensplan vorgestellt hatte, erklärt, daß sie die bewaffneten »Rebellen« mit 100 Millionen Dollar unterstützen werden. Die USA hätten Kontakt zu jenen, die sie mit Waffen versorgen lassen, schrieb das Blatt. Die Lieferungen stärkten die Positionen der »Rebellen« gegenüber der syrischen Armee, die seit einiger Zeit die Lage unter Kontrolle zu haben schien. Die Obama-Administration habe sogar mit syrischen Kurden über die Möglichkeit einer zweiten Front gegen die syrische Armee gesprochen, schrieb Washington Post. Inzwischen bereite das Pentagon auch mögliche Luftschläge gegen die syrische Luftverteidigung vor.
Beleg für die Einmischung der USA in den syrischen Konflikt ist auch die AP-Meldung vom 26. April über einen Besuch von syrischen »Rebellen« im Kosovo, um von der UCK zu lernen und sich von der Terrortruppe beraten zu lassen. »We are here to learn«, sagte der Exilsyrer Ammar Abdulhamid der Nachrichtenagentur in Pristina. Wer ihn nach Kosovo schickte, stand nicht dabei, nur daß Abdulhamid seit 2005 in den USA lebt. Daß es nicht nur ums Lernen und Beraten gehen könnte, zeigte eine Meldung von RIA Novosti vom 14. Mai: »Das Kosovo will nach Angaben des russischen Außenministeriums Kämpfer für die syrische Opposition ausbilden. Dabei könnten die Trainingslager der ehemaligen paramilitärischen Organisation UCK in Anspruch genommen werden.«
Im Kosovo läuft seit dem NATO-Krieg gegen Jugoslawien 1999 nichts ohne die USA und die führenden EU-Staaten. Die USA wollen dem selbsternannten unabhängigen Staat nun auch helfen, Mitglied der EU und der NATO zu werden, erklärte US-Außenministerin Hillary Clinton am 5. April in Washington. Ihr Gesprächspartner an diesem Tag war der ehemalige UCK-Terrorist und jetzige Kosovo-»Premierminister« Hashim Thaci. Auf die Rolle des Kosovo in der US-Strategie machte eine Woche später der Publizist F. William Engdahl auf der Website GlobalResearch.ca aufmerksam: »Das Kosovo ist zwar ein winziges Ländchen, gehört aber wegen seiner geopolitischen Bedeutung zu den strategisch wichtigsten Positionen in ganz Europa; von dort aus kann das US-Militär die Ölströme und die politischen Entwicklungen vom ölreichen Mittleren Osten bis nach Rußland und Westeuropa kontrollieren.« (zitiert nach der deutschen Übersetzung auf www.luftpost-kl.de)
Zu erinnern ist in diesem Zusammenhang daran, daß die USA 1998 die UCK von der terroristischen Vereinigung, als welche sie bis dahin galt, zu einer Vereinigung von »Freiheitskämpfern« werden ließ und diese zu unterstützen begann. Alles deutet darauf hin, daß der Aufenthalt der syrischen »Rebellen« im Kosovo und die zugesagte Unterstützung durch die UCK kein Zufall oder nur ein solidarischer Akt unter »Freiheitskämpfern« sind. RIA Novosti hatte im Februar Leonid Iwaschow, Präsident der Moskauer Akademie für geopolitische Probleme, zitiert: »Die USA wollten ihre Ziele ›mit fremden Händen‹ erreichen ... Hierfür würden sie die innersyrischen Kräfte, vor allem die Opposition, ausnutzen.« Damit diese Hände ihren Job richtig machen, werden sie vorher ins Kosovo geschickt.
Während die Obama-Administration heuchelt, sie würde Annans Friedensplan unterstützen, fördert sie aktiv jene, die kein Interesse an einer friedlichen Lösung haben. Deshalb sei daran erinnert, was in Annans Sechs-Punkte-Plan steht: »Der vereinbarte Waffenstillstand soll durch die Vereinten Nationen überwacht werden. Zum Schutz der Zivilbevölkerung und zur Stabilisierung des Landes sollen alle Beteiligten die bewaffnete Gewalt in jeglicher Form beenden. Die Armee soll Truppenbewegungen beenden, den Einsatz schwerer Waffen in Wohnvierteln einstellen und mit der Verlegung der Soldaten zurück in die Kasernen beginnen.« Während die UNO-Beobachter in Syrien unterwegs sind, ignoriert die US-Regierung die UNO und alle Bemühungen für eine friedliche Lösung. Verwunderlich ist das nicht, hatte doch Obama Anfang März erklärt, die Tage des syrischen Präsidenten Assad seien gezählt: »Das ist keine Frage des Ob, sondern des Wann.«
 
Ossietzky, 11/2012