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Antonio Gramsci e l’Unità d’Italia (Cap. III)


www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 14-02-11 - n. 351

Pubblichiamo, su gentile concessione dell'autore:
Vincenzo De Robertis, A. Gramsci e l’Unità d’Italia
 
Vincenzo De Robertis
 
A. Gramsci e l’Unità d’Italia
 
 
Capitolo III
 
Nell’Europa della prima metà del secolo XIX crescita demografica ed industrializzazione sono le due forze-motrici di un processo di trasformazione economico-sociale, che si muove in linea contraria al processo politico della Restaurazione.
 
La rivoluzione industriale, avviata in Inghilterra, si estende a poco a poco sul Continente conquistando e trasformando l’attività produttiva di sempre più numerosi Paesi, mentre si verifica un incremento della produzione agricola in quei paesi in cui più radicale è stato il superamento degli ordinamenti feudali.
 
Grandi città nascono e si sviluppano in Europa, effetto dello spostamento di consistenti fette di popolazione dai centri rurali a quelli urbani (urbanizzazione), e, mentre si assiste al progressivo tramonto dei ceti legati alla rendita agraria, nei centri urbani emergono nuove classi sociali legate alle nuove forme di produzione: la borghesia ed il proletariato.
 
Nell’Italia della prima metà del secolo XIX in che termini si pone il rapporto città-campagna ?
 
Occorre, innanzitutto, specificare, con le parole di Gramsci, cosa si debba intendere in Italia per città e che cosa per campagna, dato che la storia della penisola ha scandito in maniera diversa, che in altri paesi europei, lo sviluppo della borghesia.
 
[…]I rapporti tra popolazione urbana e popolazione rurale non sono di un solo tipo schematico, specialmente in Italia. Occorre pertanto stabilire cosa si intende per «urbano» e per «rurale» nella civiltà moderna e quali combinazioni possono risultare dalla permanenza di forme antiquate e retrive nella composizione generale della popolazione, studiata dal punto di vista del suo maggiore o minore agglomerarsi. Talvolta si verifica il paradosso che un tipo rurale sia più progressivo di un tipo sedicente urbano.
 
Una città «industriale» è sempre più progressiva della campagna che ne dipende organicamente. Ma in Italia non tutte le città sono «industriali» e ancor più poche sono le città tipicamente industriali. Le «cento» città italiane sono città industriali, l’agglomeramento della popolazione in centri non rurali, che è quasi doppio di quello francese, dimostra che esiste in Italia una industrializzazione doppia che in Francia? In Italia l’urbanesimo non è solo, e neppure «specialmente», un fenomeno di sviluppo capitalistico e della grande industria.[1]
 
Rispetto a molti altri Paesi europei, che con le monarchie assolutistiche avevano già realizzato l’unificazione del mercato interno, l’Italia manifestava ora, agli inizi del XIX secolo, tutta la sua debolezza, per l’arretratezza economica che la caratterizzava.
 
L’attività industriale, che nel settore tessile (lana, cotone, lino e seta) aveva il suo punto di forza, si presentava in tutti gli Stati della penisola ancora in una posizione complessivamente subordinata rispetto all’agricoltura, che per numero di addetti e per importanza economica restava la principale risorsa delle collettività.
 
La stessa attività manifatturiera, peraltro ancora poco meccanizzata, non conosceva quella concentrazione in grossi centri urbani che, invece, già si era realizzata in Inghilterra e si andava affermando in Europa.
 
Essa, agli inizi del secolo XIX, veniva ancora svolta, prevalentemente, con un decentramento nelle campagne ed il commerciante-imprenditore, antesignano del futuro capitalista, si faceva carico, dopo averlo commissionato, di raccogliere il prodotto finito per venderlo poi sul mercato.
 
La borghesia, che aveva mostrato sin dal tempo dei Comuni la propria incapacità a legare le masse contadine ad un proprio progetto di sviluppo e progresso economico, soccombeva ancora agli inizi del XIX secolo di fronte alla forte presenza della rendita parassitaria.
 
E quello della presenza nefasta della rendita parassitaria nell’economia del Continente, ed in particolare in Italia, è uno dei temi della forte denuncia che Gramsci fa, anche nelle pagine dei Quaderni dedicate ad Americanismo e fordismo, evidenziando come la superiorità economica degli U.S.A. rispetto all’Europa derivi dal fatto:
 
[…]che non esistano classi numerose senza una funzione essenziale nel mondo produttivo, cioè classi assolutamente parassitarie. La «tradizione», la «civiltà» europea è invece proprio caratterizzata dall’esistenza di classi simili, create dalla «ricchezza» e «complessità» della storia passata che ha lasciato un mucchio di sedimentazioni passive attraverso i fenomeni di saturazione e fossilizzazione del personale statale e degli intellettuali, del clero e della proprietà terriera, del commercio di rapina e dell’esercito prima professionale poi di leva, ma professionale per l’ufficialità. Si può anzi dire che quanto più vetusta è la storia di un paese, e tanto più numerose e gravose sono queste sedimentazioni di masse fannullone e inutili, che vivono del «patrimonio» degli «avi», di questi pensionati della storia economica. Una statistica di questi elementi economicamente passivi (in senso sociale) è difficilissima, perché è impossibile trovare la «voce» che li possa definire ai fini di una ricerca diretta; indicazioni illuminanti si possono ricavare indirettamente, per esempio dall’esistenza di determinate forme di vita nazionale.
 
Il numero rilevante di grandi e medi (e anche piccoli) agglomerati di tipo urbano senza industria (senza fabbriche) è uno di questi indizi e dei più rilevanti.[2]
 
Nel contesto italiano non è, quindi, la dimensione ed il numero di abitanti l’indicatore sicuro della modernità in senso capitalistico di una città e delle sue caratteristiche produttive. Ne fa testo Napoli.
 
[…] Quella che fu per molto tempo la più grande città italiana e continua ad essere delle più grandi, Napoli, non è una città industriale: neppure Roma, l’attuale maggiore città italiana, è industriale. Tuttavia anche in queste città, di un tipo medioevale, esistono forti nuclei di popolazione del tipo urbano moderno; ma qual è la loro posizione relativa? Essi sono sommersi, premuti, schiacciati dall’altra parte, che non è di tipo moderno ed è la grandissima maggioranza.[3]
 
[…] Napoli è la città dove la maggior parte dei proprietari terrieri del Mezzogiorno (nobili e no) spendono la rendita agraria. Intorno a qualche decina di migliaia di queste famiglie di proprietari, di maggiore o minore importanza economica, con le loro corti di servi e di lacché immediati, si organizza la vita pratica di una parte imponente della città, con le sue industrie artigianesche, coi suoi mestieri ambulanti, con lo sminuzzamento inaudito dell’offerta immediata di merci e servizi agli sfaccendati che circolano nelle strade. Un’altra parte importante della città si organizza intorno al transito e al commercio all’ingrosso. L’industria «produttiva» nel senso che crea e accumula nuovi beni è relativamente piccola, nonostante che nelle statistiche ufficiali Napoli sia annoverata come la quarta città industriale dell’Italia, dopo Milano, Torino e Genova…
 
…Il fatto di Napoli si ripete in grande per Palermo e Roma e per tutta una serie numerosa (le famose «cento città») di città non solo dell’Italia meridionale e delle Isole, ma dell’Italia centrale e anche di quella settentrionale (Bologna, in buona parte, Parma, Ferrara ecc.). Si può ripetere per molta popolazione di tal genere di città il proverbio popolare: quando un cavallo caca, cento passeri fanno il loro desinare. [4]
 
Napoli rappresenta, quindi, l’espressione più ampia ed evidente di questo rapporto parassitario ed oppressivo della città sulla campagna, che secondo Gramsci condiziona anche i piccoli centri della provincia.
 
[…] Il fatto che non è stato ancora convenientemente studiato è questo: che la media e la piccola proprietà terriera non è in mano a contadini coltivatori, ma a borghesi della cittaduzza o del borgo, e che questa terra viene data a mezzadria primitiva (cioè in affitto con corrisponsione in natura e servizi) o in enfiteusi; esiste così un volume enorme (in rapporto al reddito lordo) di piccola e media borghesia di «pensionati» e «redditieri», che ha creato in certa letteratura economica degna di Candide la figura mostruosa del così detto «produttore di risparmio», cioè di uno strato di popolazione passiva economicamente che dal lavoro primitivo di un numero determinato di contadini trae non solo il proprio sostentamento, ma ancora riesce a risparmiare: modo di accumulazione di capitale dei più mostruosi e malsani, perché fondato sull’iniquo sfruttamento usurario dei contadini tenuti al margine della denutrizione e perché costa enormemente; poiché al poco capitale risparmiato corrisponde una spesa inaudita quale è quella necessaria per sostenere spesso un livello di vita elevato di tanta massa di parassiti assoluti. (Il fenomeno storico per cui si è formato nella penisola italiana, a ondate, dopo la caduta dei Comuni medioevali e la decadenza dello spirito d’iniziativa capitalistica della borghesia urbana, una tale situazione anormale, determinatrice di stagnazione storica, è chiamato dallo storico Niccolò Rodolico «ritorno alla terra» ed è stato assunto addirittura come indice di benefico progresso nazionale, tanto le frasi fatte possono ottundere il senso critico).[5]
 
Questo rapporto parassitario della città sulla campagna si accompagna ad un disprezzo ed odio contro il “villano”, contraccambiato da pari sentimenti della campagna verso la città.
 
[…] In questo tipo di città esiste, tra tutti i gruppi sociali, una unità ideologica urbana contro la campagna, unità alla quale non sfuggono neppure i nuclei più moderni per funzione civile, che pur vi esistono: c’è l’odio e il disprezzo contro il «villano», un fronte unico implicito contro le rivendicazioni della campagna, che, se realizzate, renderebbero impossibile l’esistenza di questo tipo di città. Reciprocamente esiste una avversione «generica» ma non perciò meno tenace e appassionata della campagna contro la città, contro tutta la città, tutti i gruppi che la costituiscono.
 
Questo rapporto generale, che in realtà è molto complesso e si manifesta in forme che apparentemente sembrano contraddittorie, ha avuto una importanza primordiale nello svolgersi delle lotte per il Risorgimento, quando esso era ancor più assoluto e operante che non sia oggi.[6]
 
Alla luce di quanto detto sopra, si possono cominciare a raccogliere i primi elementi per giungere ad una spiegazione del mancato sviluppo in Italia del cosiddetto giacobinismo storico e di quanto poco studiata fosse nella penisola l’esperienza della Rivoluzione francese, sin dai primi emulatori, quali furono i giacobini meridionali, ma soprattutto da quei soggetti politici, che saranno poi i protagonisti del Risorgimento.
 
[…] Il primo esempio clamoroso di queste apparenti contraddizioni è da studiare nell’episodio della Repubblica Partenopea del 1799: la città fu schiacciata dalla campagna organizzata nelle orde del cardinale Ruffo, perché la Repubblica, sia nella sua prima fase aristocratica, che nella seconda borghese, trascurò completamente la campagna da una parte, ma dall’altra, prospettando la possibilità di un rivolgimento giacobino per il quale la proprietà terriera, che spendeva la rendita agraria a Napoli, poteva essere spossessata, privando la grande massa popolare dei suoi cespiti di entrata e di vita, lasciò freddi se non avversi i popolani napoletani.[7]
 
(Non è per caso che i decreti contro i privilegi della feudalità furono emanati a Napoli, non durante la Rivoluzione, ma qualche anno più tardi da un francese, Giuseppe Buonaparte, anche se il loro scopo non fu quello di spezzettare il latifondo a vantaggio dei contadini “senza terra” ed il loro risultato fu solo quello di rafforzare la borghesia delle campagne).[8]
 
E’ in questo contesto, caratterizzato, sotto il profilo economico dall’arretratezza e dalla forte presenza di ampi settori di economia parassitaria, sotto il profilo politico dallo spezzettamento in tanti staterelli del territorio peninsulare, con la presenza a nord dell’Austria in funzione di gendarme armato contro ogni rivendicazione di libertà, unità ed indipendenza, che va inquadrata l’analisi delle forze motrici del processo risorgimentale, fatta da Gramsci.
 
[…] Dal rapporto città-campagna deve muovere l’esame delle forze motrici fondamentali della storia italiana e dei punti programmatici da cui occorre studiare e giudicare l’indirizzo del Partito d’Azione nel Risorgimento. Schematicamente si può avere questo quadro: 1) la forza urbana settentrionale; 2) la forza rurale meridionale; 3) la forza rurale settentrionale-centrale; 4-5) la forza rurale della Sicilia e della Sardegna.
 
Restando ferma la funzione di «locomotiva» della prima forza, occorre esaminare le diverse combinazioni «più utili» atte a costruire un «treno» che avanzi il più speditamente nella storia.[9]
 
Il problema che Gramsci affronta in queste pagine dei Quaderni è quello, detto in altri termini, del blocco storico-sociale che la borghesia del Nord doveva porre in essere attraverso una politica di alleanze per realizzare l’obbiettivo della costituzione dello Stato unitario, premessa politico-istituzionale al suo ulteriore sviluppo.
 
Il rapporto è sempre quello generale di città-campagna, che l’analisi gramsciana scompone fra la borghesia industriale (la città), da un lato, e, dall’altro, quattro sezioni delle forze rurali (la campagna) divise fra loro per problemi specifici, come quelli legati alla presenza di correnti indipendentiste in Sicilia e Sardegna
 
La prima forza, la borghesia industriale del Nord, ha due grosse sezioni al suo interno: quella piemontese e quella lombarda, a cui corrispondono anche, come si vedrà più avanti, espressioni politiche differenti, per un certo periodo in contesa fra loro per l’egemonia sull’intero processo;
 
[…] ma rimane fissato che, già «meccanicamente», se tale forza ha raggiunto un certo grado di unità e di combattività, essa esercita una funzione direttiva «indiretta» sulle altre. Nei diversi periodi del Risorgimento appare che il porsi di questa forza in una posizione di intransigenza e di lotta contro il dominio straniero, determina un’esaltazione delle forze progressive meridionali: da ciò il sincronismo relativo, ma non la simultaneità, nei movimenti del 20-21, del 31, del 48. Nel 59-60 questo «meccanismo» storico-politico agisce con tutto il rendimento possibile, poiché il Nord inizia la lotta, il Centro aderisce pacificamente o quasi e nel Sud lo Stato borbonico crolla sotto la spinta dei garibaldini, spinta relativamente debole.[10]
 
Se un certo grado di unità interna di questa classe consente “meccanicamente” di esercitare un ruolo di direzione (egemonia) sulle altre classi, nella prospettiva della costituzione dello Stato unitario, non sono altrettanto pacificamente risolti i problemi legati all’esercizio dell’egemonia sulle altre classi, una volta preso il potere.
 
Una delle prime questioni è la realizzazione dell’unità interna di classe della borghesia industriale, sia al Nord che al Sud.
 
[…] La prima forza doveva quindi porsi il problema di organizzare intorno a sé le forze urbane delle altre sezioni nazionali e specialmente del Sud. Questo problema era il più difficile, irto di contraddizioni e di motivi che scatenavano ondate di passioni… Ma la sua soluzione, appunto per questo, era uno dei punti cruciali dello sviluppo nazionale.[11]
 
E’ vero che identica, sia al Nord che al Sud, è la posizione della borghesia industriale nel processo produttivo e comune a tutte le sue sezioni territoriali è l’interesse per la costituzione di uno Stato unitario.
 
Tuttavia, diverso è il peso specifico che questa classe esercita nella società civile settentrionale o meridionale:
 
[…] Le forze urbane sono socialmente omogenee, quindi devono trovarsi in una posizione di perfetta uguaglianza. Ciò era vero teoricamente, ma storicamente la quistione si poneva diversamente: le forze urbane del Nord erano nettamente alla testa della loro sezione nazionale, mentre per le forze urbane del Sud ciò non si verificava, per lo meno in egual misura.[12]
 
La questione, perciò, poteva avere diverse soluzioni:
 
Una era quella che la borghesia industriale meridionale rinunciasse a qualsiasi velleità di uguaglianza con quella settentrionale e si limitasse a riconoscerne la funzione egemone.
 
[…] Le forze urbane del Nord dovevano quindi ottenere da quelle del Sud che la loro funzione direttiva si limitasse ad assicurare la direzione del Nord verso il Sud nel rapporto generale di città-campagna, cioè la funzione direttiva delle forze urbane del Sud non poteva essere altro che un momento subordinato della più vasta funzione direttiva del Nord.[13]
 
L’altra ipotesi, partendo dalla perfetta uguaglianza fra le due sezioni, avrebbe potuto estendere quell’uguaglianza fino ai confini dell’indipendenza reciproca.
 
[…] La contraddizione più stridente nasceva da questo ordine di fatti: la forza urbana del Sud non poteva essere considerata come qualcosa a sé, indipendente da quella del Nord; porre la quistione così avrebbe significato affermare pregiudizialmente un insanabile dissidio «nazionale», dissidio tanto grave che neanche la soluzione federalistica avrebbe potuto comporre; si sarebbe affermata l’esistenza di nazioni diverse, tra le quali avrebbe potuto realizzarsi solo un’alleanza diplomatico-militare contro il comune nemico, l’Austria (l’unico elemento di comunità e solidarietà, insomma, sarebbe consistito solo nell’avere un «comune» nemico).[14]
 
Questa seconda ipotesi, però, non ebbe mai modo di affermarsi, anche se forti furono le opposizioni nel Sud al progetto dello Stato unitario, perché
 
[…] era la debole posizione delle forze urbane meridionali in rapporto alle forze rurali, rapporto sfavorevole che si manifestava talvolta in una vera e propria soggezione della città alla campagna. [15]
 
In queste condizioni di inferiorità,
 
…[i]l collegamento stretto tra forze urbane del Nord e del Sud, dando alle seconde la forza rappresentativa del prestigio delle prime, doveva aiutare quelle a rendersi autonome, ad acquistare coscienza della loro funzione storica dirigente in modo «concreto» e non puramente teorico e astratto, suggerendo le soluzioni da dare ai vasti problemi regionali. …
 
…[I]l compito più grave per risolvere la situazione spettava in ogni modo alle forze urbane del Nord che non solo dovevano convincere i loro «fratelli» del Sud, ma dovevano incominciare col convincere se stesse di questa complessità di sistema politico: praticamente quindi la quistione si poneva nell’esistenza di un forte centro di direzione politica, al quale necessariamente avrebbero dovuto collaborare forti e popolari individualità meridionali e delle isole. Il problema di creare una unità Nord-Sud era strettamente legato e in gran parte assorbito nel problema di creare una coesione e una solidarietà tra tutte le forze urbane nazionali.[16]
 
Se queste erano le problematiche connesse al rapporto di alleanza fra la forza urbana settentrionale e le forze produttive del meridione, altri problemi si ponevano nel rapporto con le forze rurali centro-settentrionali, contrassegnate, a differenza di quelle delle tre sezioni meridionali, da una più forte presenza della piccola proprietà contadina.
 
[…]In queste forze rurali occorreva distinguere due correnti: quella laica e quella clericale-austriacante. La forza clericale aveva il suo peso massimo nel Lombardo-Veneto, oltre che in Toscana e in una parte dello Stato pontificio; quella laica nel Piemonte, con interferenze più o meno vaste nel resto d’Italia, oltre che nelle legazioni, specialmente in Romagna, anche nelle altre sezioni, fino al Mezzogiorno e alle isole. Risolvendo bene questi rapporti immediati, le forze urbane settentrionali avrebbero dato un ritmo a tutte le quistioni simili su scala nazionale.[17]
 
Le forza politica che avrebbe dovuto rappresentare gli interessi della borghesia industriale settentrionale, il Partito d’Azione, non fu mai capace di farsi carico di tutte queste problematiche, per dare ad esse una soluzione in senso progressista.
 
[…]Su tutta questa serie di problemi complessi il Partito d’Azione fallì completamente: esso si limitò infatti a fare quistione di principio e di programma essenziale quella che era semplicemente quistione del terreno politico su cui tali problemi avrebbero potuto accentrarsi e trovare una soluzione legale: la questione della Costituente. Non si può dire che abbia fallito il partito moderato, che si proponeva l’espansione organica del Piemonte, voleva soldati per l’esercito piemontese e non insurrezioni o armate garibaldine troppo vaste. [18]
 
Ne derivò una caratteristica del processo unitario, che Gramsci più volte definì “rivoluzione passiva”, perchè spogliò le masse popolari, che all’epoca erano prevalentemente contadine, del diritto di partecipare alla sua realizzazione, tenendole, anzi, accuratamente lontane e pervenendo, così, alla realizzazione dello Stato unitario, obiettivo di per sé progressista e rivoluzionario (giudicato dai contemporanei come “miracolo”), senza intaccare i rapporti sociali delle campagne, che nel meridione significavano subordinazione della città alla campagna, dell’attività produttiva alla rendita parassitaria.
 

[1] A.Gramsci, Quaderni del carcere. Edizione critica a cura di V. Gerratana. Ed.Einaudi 1975 pagg.2035-6
[2] A.Gramsci, Op.cit.. pagg.2141-2
[3] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2036
[4] A.Gramsci, Op.cit.. pagg.2142-3
[5] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2143
[6] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2036
[7] A.Gramsci, Op.cit.. pagg.2036-7
[8] Vedi P.Bevilacqua, Breve storia dell’Italia meridionale. Donzelli Editore. Roma 1996 pagg.3-9
[9] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2042
[10] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2042
[11] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2043
[12] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2043
[13] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2043
[14] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2043
[15] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2043
[16] A.Gramsci, Op.cit.. pagg.2043-4
[17] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2044
[18] A.Gramsci, Op.cit.. pag.2044

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www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 29-01-11 - n. 349

Pubblichiamo, su gentile concessione dell'autore:
Vincenzo De Robertis, A. Gramsci e l’Unità d’Italia
 
Vincenzo De Robertis
 
A. Gramsci e l’Unità d’Italia
 
Indice:
Capitolo III
Capitolo IV
Capitolo V
Capitolo VI
Capitolo VII
Capitolo VIII
Capitolo IX
 
Un ringraziamento particolare a chi mi ha aiutato in questo mio lavoro: al Prof. Marcello Montanari, che ha tollerato la mia impostazione, senza opporre contestazioni, ed all’amico e compagno Prof. Andrea Catone, che mi ha aiutato per le citazioni di Gramsci.
 
Introduzione
 
Questo libro nasce dall’opportunità di approfondire il pensiero di A.Gramsci sul tema della formazione dello Stato Unitario italiano e del processo che la generò, il Risorgimento, in occasione della ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità d’Italia.
 
L’attualità del pensiero gramsciano sul tema è data, non solo dalle contestazioni che oggi da più parti vengono sollevate, “ a posteriori”, sul modo attraverso cui si svolse il processo storico risorgimentale (si pensi, ad esempio, al giudizio negativo della Lega Nord su Garibaldi, oppure all’attuale rinascita di un “partito” filo-borbonico), ma anche dalla necessità di recuperare, sul piano dell’analisi storica, il filo rosso che lega le ragioni di un distacco marcato fra le grandi masse popolari italiane e lo Stato italiano, da sempre percepito come Ente estraneo.
 
Il materiale esposto è il frutto della ricerca messa in atto in occasione della elaborazione della mia tesi di laurea, nella quale analizzavo alcuni aspetti del pensiero politico di A.Gramsci, che mi è sembrato opportuno riproporre in questo libro.
 
In particolare, vengono messi a fuoco i concetti di Rivoluzione passiva, di Blocco storico-sociale e di Egemonia, così come A.Gramsci li ha espressi nella sua riflessione sul periodo che abbraccia tutto il Risorgimento, i primi decenni di vita dello Stato Unitario italiano, fino alla Grande Guerra ed alla nascita del fascismo; un periodo storico di quasi settant’anni che comprende la fase della presa del potere politico e del suo consolidamento da parte della borghesia italiana.
 
L’analisi del rapporto “struttura-sovrastruttura”
 
….è l’origine dell’attenzione che Gramsci dà alla storia del Risorgimento e a tutta la storia italiana. Egli ricerca nella storia del Risorgimento, ricerca nelle analisi sui differenti momenti della storia italiana, ricerca nell’analisi della funzione che hanno avuto gli intellettuali nella storia del nostro Paese…. una definizione dei rapporti di classe della società italiana più esatta di quelle che abitualmente si sogliono dare. Continuamente attento all’azione reciproca tra la struttura dei rapporti produttivi e le sovrastrutture (politiche, militari, organizzative, ideologiche, ecc.), giunge ad individuare quello che egli chiama il “blocco storico, le forze che lo dirigono ed i contrasti interiori che ne determinano il movimento.[1]
 
Seguendo, quindi, l’evoluzione degli avvenimenti storici, si esporrà l’analisi gramsciana delle condizioni internazionali e nazionali che consentirono (solo nella seconda metà del XIX secolo e non prima) di realizzare e portare a termine il processo unitario: i nuovi equilibri europei, la crisi egemonica del Papato in Europa ed in Italia, l’influsso sugli avvenimenti italiani della Rivoluzione francese e degli eserciti napoleonici.
 
Si prenderà, quindi, in considerazione il blocco storico-sociale che si rese protagonista del processo unitario: l’aristocrazia agraria e gli industriali del Nord unitamente agli agrari del Sud; l’esclusione dei contadini, sia al Nord, ma soprattutto al Sud, dalla partecipazione al Risorgimento; la caratteristica di “rivoluzione passiva” assunta dal processo, cioè un cambiamento radicale, operato dall’alto, senza il coinvolgimento delle masse popolari.
 
L’analisi gramsciana dei partiti protagonisti del processo risorgimentale: moderati e democratici; egemonia dei moderati sui democratici; debolezza del giacobinismo storico in Italia; mancanza di un programma agrario da parte del Partito d’Azione; mancanza di una rappresentanza politica autonoma da parte dei contadini.
 
Le “tare originarie” del processo unitario: questione meridionale, debolezza strutturale di rappresentanza del neonato Stato unitario, unitamente a debolezza economica della borghesia industriale italiana (“capitalismo straccione”), condizionano le vicende politiche dei primi decenni dello Stato liberale; la Destra storica e la Sinistra storica al Governo; il trasformismo fino a Giolitti, la nascita del Partito Socialista e lo scoppio della Grande Guerra, offrono ampia testimonianza delle difficoltà incontrate dal blocco storico dominante nell’esercizio del rapporto di dominio sulla restante parte della popolazione, rapporto sempre in bilico fra autoritarismo e democrazia a causa della mancanza di un consenso diffuso.
 
Infine, la grande guerra del ’15-’18, l’esperienza maturata dalle masse operaie e contadine in quella grande carneficina, i partiti politici nel dopo-guerra, le elezioni a “suffragio universale” del 1919, il nuovo protagonismo che si manifesta nelle occupazioni delle fabbriche e delle terre, la Rivoluzione bolscevica in Russia e la paura del comunismo, la conseguente crisi di egemonia delle classi dominanti, la “situazione di equilibrio delle forze ad evoluzione catastrofica”, i fenomeni di cesarismo; tutto ciò completa il quadro storico di riferimento.
 
Le fonti utilizzate sono i Quaderni del carcere ed, in particolare, il quaderno XIX. Ma anche gli scritti politici dal 1919 al 1926, dove maggiormente vengono evidenziate le caratteristiche assunte dalla rivoluzione borghese nel nostro Paese ed i problemi politici e sociali, che essa ha portato con sé.
 
La necessità di approfondire il pensiero gramsciano, sia attraverso la riflessione forzatamente “pacata” e formalmente a-sistematica, da lui effettuata in carcere, che attraverso gli scritti più marcatamente politici, pubblicati sui periodici di partito negli anni precedenti il suo arresto, poggia sulla convinzione che un nesso profondamente ed organicamente unitario leghi i due periodi di attività del dirigente comunista, il cui impegno politico resta la chiave di volta per interpretarne correttamente il pensiero.
 
Come considerare, a tale proposito, la ricerca fatta in carcere, se non come la naturale prosecuzione di quella battaglia, quasi subito avviata da Gramsci nel PCd’I – partito internazionalista per nascita e “vocazione” (sezione della III internazionale) - per la sua “nazionalizzazione”, battaglia mirata, cioè, ad ancorare l’azione del Partito alle condizioni concrete italiane, così come storicamente determinatesi, e finalizzata al suo radicamento nel Paese, come premessa di qualsiasi processo di trasformazione rivoluzionaria; battaglia che vide nel III Congresso di quel Partito, svoltosi a Lione, una tappa fondamentale ?
 
Rileggendo le “Tesi di Lione”, soprattutto le tesi dalla n. 4 alla n.18bis, dove viene dipinto il quadro della situazione economico-sociale dell’Italia di quel periodo e tratteggiato a grandi linee il percorso storico attraverso cui si pervenne a quella situazione, oppure lo scritto “Alcuni aspetti della questione meridionale”, come non rintracciare i temi poi approfonditi in tante riflessioni contenute nei Quaderni del carcere?
 
A questa impostazione metodologica e a questo approccio unitario al pensiero gramsciano mi sono attenuto in questo lavoro, condividendo ciò che a riguardo è stato espresso, in maniera molto più chiara e brillante, da P. Togliatti nei suoi “Appunti” in previsione del convegno di studi gramsciani, svoltosi nel ’58, su iniziativa dell’Istituto Gramsci:
 
[...] Gramsci fu un teorico della politica, ma soprattutto un politico pratico, cioè un combattente. La sua concezione della politica rifugge sia dalla strumentalità, sia dall’astratto moralismo o dalla elaborazione dottrinale astratta. Fare della politica significa agire per trasformare il mondo. Nella politica, quindi, è contenuta tutta la filosofia reale di ognuno, nella politica sta la sostanza della storia e, per il singolo che è giunto alla coscienza critica della realtà e del compito che gli spetta per trasformarla, sta anche la sostanza della sua vita morale. Nella politica è da ricercarsi l’unità della vita di A. Gramsci: il punto di partenza e di arrivo. La ricerca, il lavoro, la lotta, il sacrificio sono momenti di questa unità. [...] [F]are oggetto di indagine non soltanto le posizioni da G. elaborate e sostenute nel dibattito filosofico e di dottrina, ma la sua attività pratica, come uomo politico, fondatore e dirigente del partito di avanguardia della classe operaia italiana […] questo [è] il solo modo giusto di avvicinarsi all’opera di Gramsci e penetrarne il significato.[2]
 
Bibliografia
 
A.Gramsci, Quaderni del carcere. Edizione critica a cura di V. Gerratana. Einaudi Torino1975
A.Gramsci, Scritti politici, a cura di P.Spriano. Editori Riuniti Roma 1967
A.Gramsci, Pensare la democrazia. Antologia dai Quaderni del carcere, a cura di M.Montanari. Einaudi Torino 1997
Da Gramsci a Berlinguer. La via italiana al socialismo attraverso i congressi del PCI . Edizioni del calendario. Marsilio Venezia 1985
AA.VV., Oltre Gramsci con Gramsci. Critica marxista n.2-3 Editori Riuniti Roma 1987
A.Asor Rosa, Intellettuali e classe operaia. La Nuova Italia Firenze 1973
P.Bevilacqua, Breve storia dell’Italia meridionale. Donzelli. Roma 1996
M.Bontempelli, E.Bruni, Storia e coscienza storica. Trevisini Milano 1983
C.Buci-Glucksmann, Gramsci e lo Stato, trad.it. Editori Riuniti Roma 1976
B.Caizzi, Storia dell’industria italiana. UTET Torino 1965
M.Ciliberto, Filosofia e politica nel Novecento italiano. De Donato Bari 1982
A.De Bernardi, S.Guarracino, L’operazione storica, vol.3. B.Mondatori Milano 1993
R.Del Carria, Proletari senza rivoluzione. Savelli Milano 1981
P. Grifone, Il capitale finanziario in Italia. Einaudi Torino 1971
G.Liguori, Gramsci conteso. Storia di un dibattito. Editori Riuniti Roma 1996
A.Macchioro, Studi di storia del pensiero economico ed altri saggi. Feltrinelli Milano 1970
L.Masella, Passato e presente nel dibattito storiografico, De Donato Bari 1979
W.Maturi, Interpretazioni del risorgimento. Einaudi Torino 1962
V.Melchiorre, C.Vigna e G.De Rosa (a cura di), A.Gramsci. Il pensiero teorico e politico, la “questione leninista”. 2 voll., Città Nuova Editrice Roma 1979
F.Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità. Feltrinelli Milano 1975
M.Montanari, Studi su Gramsci. Pensa Multimedia Lecce 2002
R.Morandi, Storia della grande industria in Italia. Einaudi Torino 1966
G.Nardone, Il pensiero di Gramsci. De Donato Bari 1971
P.Ortoleva, M.Revelli, Storia dell’Età Contemporanea. B.Mondatori Milano 1988
L.Paggi, A.Gramsci ed il moderno principe. Editori Riuniti Roma 1970
L.Paggi, Le strategie del potere in Gramsci, Editori Riuniti Roma 1984
L.Paggi, Americanismo e riformismo, Einaudi Torino 1989
R.Romanelli, Storia dello Stato italiano dall’Unità ad oggi. Donzelli. Roma 1995
R.Romeo, Risorgimento e capitalismo, Laterza Bari 1970
M.Rosa, M.Verga, Storia dell’Età Moderna 1450-1815. B.Mondatori Milano 1998
A.W.Salomone, L’età giolittiana . La Nuova Italia Firenze 1988
M.Salvatori, Gramsci ed il problema storico della democrazia. Einaudi Torino 1972
M.Salvatori, N Tranfaglia, Il modello giacobino e le rivoluzioni. La Nuova Italia Firenze 1984
P.Spriano, Storia del Partito comunista italiano. Da Bordiga a Gramsci. Einaudi Torino 1967
P.Togliatti, Gramsci ed il leninismo.Associazione Culturale Marxista Roma 1987
G.Vacca, Gramsci e Togliatti. Editori Riuniti Roma 1991
G.Vacca, Appuntamenti con Gramsci. Carocci Roma 1999
R.Villari, Il sud nella storia d’Italia, antologia della questione meridionale - vol.II Laterza Bari 1974
N.Zitara, L’unità d’Italia: nascita di una colonia. Jaca Book Milano 1971.   
 
 


[1]P.Togliatti, Gramsci ed il leninismo, Ed. a cura dell’Associazione Culturale Marxista, Roma, 1987, pp. 32-33
[2] P. Togliatti, op. cit., p. 5



(italiano / english / srpskohrvatski)

LIBIA: INTEGRITA' STATUALE E PRECEDENTE JUGOSLAVO


Una parte del discorso di Gheddafi all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 23.9.2009, fu dedicata alla Jugoslavia e alla richiesta di indagine sulle guerre balcaniche. 

Quel paese pacifico, la Jugoslavia, era stato costruito con le proprie forze, mattone per mattone, dopo che Hitler l’aveva distrutto, per essere distrutto di nuovo con la stessa modalità hitleriana. La Federazione jugoslava, paese pacifico creato da un eroe della pace, Tito, fu costruita pietra su pietra, e dopo la morte di Tito, voi siete venuti nell’ex Jugoslavia e l’avete distrutta pezzo per pezzo per i vostri interessi individuali, imperialistici. Come potremmo sentirci sicuri, noialtri, di cosa ci succederà dopo quello che è successo alla pacifica Jugoslavia? L'Assemblea generale deve investigare su questo, deve vedere chi debba essere processato alla Corte Internazionale..."

in english:
<< A peaceful country like Yugoslavia which built itself brick by brick after it had been destroyed by Hitler has been destroyed once again by the second Hitler. This is illegal. Federal Yugoslavia was a peaceful country. It was built by Tito the champion of peace brick after brick and then after the death of Tito it was fragmented into pieces for personal, imperialist interests. We others how can we feel peaceful if the peaceful country of Yugoslavia which did not pose any threat to anyone was invaded. The general assembly has to investigate this. It has to see who to prosecute in the ICJ. >>
( http://www.btinternet.com/~davidbeaumont/msf/gadafi.htm )

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Il figlio di Gheddafi: "Se prevale la violenza sarà peggio che in Jugoslavia"


VIDEO / Gadafijev sin: "Nastavi li se nasilje, biće gore nego u Jugoslaviji"

S.B. - 21. 02. 2011. • 13:16

24SI - Saif al-Islam, sin libijskog čelnika Moamera Gadafija, izjavio je u 40-minutnom televizijskom obraćanju javnosti da libijski narod mora izabrati između izgradnje "nove Libije" i građanskog rata, dok su u noći sa nedjelje na ponedjeljak sukobi zahvatili Tripoli.
"Libija je na raskrsnici. Ili ćemo se danas dogovoriti o reformama ili će krv teći cijelom Libijom", rekao je Saif al-Islam u televizijskom govoru.
"Borićemo se do posljednje minute, do posljednjeg metka", izjavio je Gadafijev sin. "Nastavi li se nasilje, biće gore nego u Jugoslaviji", rekao je Al-Islam. (...)

(fena)

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Libia/ Attaccati 50 serbi, Belgrado avvia evacuazione

Dipendenti di una ditta inviano allarme via mail a radio B92

Belgrado, 21 feb. (TMNews) - La serbia avvia le operazioni di evacuazione dei propri cittadini in Libia - che sarebbero almeno un migliaio - dopo un attacco a un gruppo di serbi nella parte settentrionale del Paese nordafricano.

L'ambasciata serba a Tripoli "è entrata in contatto con i cittadini (serbi) che si trovano in un campo nei pressi della città di Raslanalf, aggrediti la notte scorsa da un piccolo gruppo di uomini armati. Nessuno nessuno è rimasto ferito, e la loro sicurezza, a questo momento non è compromessa", riferisce un comunicato il ministero degli Esteri serbo. Un gruppo di 50 connazionali dipendenti della ditta serba in Libia " Petrolcomet" ha inviato una mail con richiesta di aiuto all'emittente privata belgradese, B92, informando di essere stati attaccati da una ventina di uomini armati e dichiarandosi "in pericolo di vita" Il ministero degli Esteri di Belgrado "in collaborazione con la compagnia di bandiera JAT lavora (..)per l'evacuazione dei cittadini serbi che sono attualmente in Libia" aggiunge la nota. La Serbia vanta una storica collaborazione economica con la Libia, che risale ai tempi del Movimento dei Non allineati, di cui l'allora Jugoslavia e il Paese africano furono protagonisti. Attualmente l'ambasciata di Belgrado a Tripoli è stata contattata da circa 700 connazionali, ma il numero dei serbi stabili in Libia è "ben più alto", secondo quanto riporta l'agenzia locale, Beta.

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“Ma il colonnello ha sottovalutato i clan delle montagne”


Tonino Bucci*
Intervista ad Angelo Del Boca storico del colonialismo italiano

Tripoli a un passo dalla capitolazione. Fino a pochi giorni nessuno avrebbe scommesso sulla caduta di Gheddafi. La Libia – tanto per fare qualche numero – aveva un surplus di ricchezza tra i più alti in Africa. Nel 2009 le risorse disponibili per i capitoli di spesa ammontavano a 26 miliardi di euro. Il debito pubblico era fermo, ormai da anni, al quattro per cento del Pil. Un’utopia irraggiungibile per molti paesi occidentali. Perché allora questa rivolta? Lo chiediamo allo storico Angelo Del Boca, profondo conoscitore della Libia.
La rivolta libica ha sorpreso tutti. La Libia sembra un paese solidissimo. Cosa è accaduto?

Ho una mia tesi, diversa da quella sostenuta nei giornali. Se non si fosse mossa la Cirenaica difficilmente la sommossa sarebbe arrivata a Tripoli e non avrebbe causato la fine del regime. La Cirenaica è da sempre una regione non addomesticata agli ordini di Gheddafi perché è storicamente sotto l’influenza della Senussia. Non dimentichiamo che è la regione dove Omar al Mukhtar ha fatto la sua guerra contro gli italiani ed è stato ucciso. Per tradizione la Cirenaica non ha mai obbedito molto al regime di Gheddafi, tanto è vero che già nel ’96 il Colonnello dovette mandare addirittura l’esercito, la marina e l’aviazione per reprimere una sommossa. Non mi stupisce perciò quanto è accaduto a Bengasi. Mi sorprende, invece, che la rivolta si sia estesa anche alla Tripolitania, questo sì. In apparenza non c’erano motivi gravi perché si potesse prevedere una insurrezione del genere. E’ vero che c’è un trenta per cento di giovani che non hanno un lavoro, ma i prodotti di prima necessità sono calmierati e la gente vive abbastanza bene.
In Europa non abbiamo visto un libico andare per le strade a chiedere l’elemosina. Era un paese molto diverso da quelli confinanti. Credo che ci sia stato un input dall’esterno. Esistono alcuni gruppi di libici residenti all’estero, negli Stati Uniti, a Londra e a Ginevra, che hanno partecipato, dai blog e attraverso internet, all’organizzazione della sommossa. All’interno non conosciamo gli agitatori. Non ci sono personaggi noti o di spicco. Sappiamo però che le tribù delle montagne sopra Tripoli si sono associate alla rivolta. Tra loro ci sono i Warfalla e i Berberi. Le stesse tribù nel 1911 diedero filo da torcere agli italiani, sconfitti nella battaglia di Sciara Sciat. Il ruolo dei clan è stato determinante nel provocare di fatto la caduta di Gheddafi. Il Colonnello ha sottovalutato le tribù delle montagna. Lui pensava che con la sua teoria di una terza via, quella esposta nel suo Libro Verde, di avere smantellato la struttura tribale e di avere costruito uno Stato moderno. Si sbagliava. Ma, in fondo, lo aveva già confessato. Ricordo che in un’intervista che gli feci nel ’96, confessò che il Libro Verde era stato un fallimento. Credeva di avere amalgamato il paese e costruito una nazione. Quando ho pubblicato A un passo dalla forca, alcune copie sono entrate clandestinamente in Libia. Ho saputo poi che il ministero degli interni aveva bloccato il libro perché parlava bene della Senussia.
L’integrità nazionale e statale della Libia rischia davvero di disgregarsi?
Sì. Le tre regioni se ne potrebbero andare ciascuna per la propria strada. La Cirenaica, ad esempio, subisce ancora l’influsso della confraternita senussa e potrebbe darsi un proprio governo. Non credo che a guidare il paese possa essere il figlio di Gheddafi Saif al Islam, nonostante le sue dichiarazioni liberali. Se abbattono il padre, abbattono anche il figlio. I ribelli vogliono demolire un’intera epoca e dei Gheddafi non ne vogliono più sapere. A prendere il sopravvento potrebbe essere qualche capo dei clan della montagna.
C’è da tenere sott’occhio anche il ruolo dell’esercito, o no?

Non è un grande esercito, nulla di paragonabile ai 400mila uomini dell’esercito egiziano. E’ un esercito di ottantamila uomini e in Cirenaica si sono schierati con gli insorti. E, in parte, anche in Tripolitania.
La Libia di Gheddafi, non sottovalutiamolo, è anche un impero finanziario con partecipazioni in tante banche e società occidentali. Non è così?

Berlusconi ha concluso un Trattato con Gheddafi con molta superficialità, a occhi chiusi, ben sapendo delle violazioni dei diritti umani. I libici hanno investito in Italia, ci danno un terzo del petrolio e del gas, hanno relazioni con Finmeccanica e con altre ditte che stanno lavorando in Libia. Avremo delle sorprese.
*Liberazione
Pubblicato il 22 febbraio 2011 
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Altri link segnalati:

MILOSEVIC: LIBIA, PER ESTRADIZIONE DUE PESI E DUE MISURE (2001)

Artel: DA SU HTELI POSLUSATI GADAFIJA ... (2005)





Segnalazioni iniziative

1) Gorica/Gorizia 24/2: Metamorfosi etniche 
2) Montereale Valcellina (PN) 26/2: "Bog i Hrvati" (Iddio e i Croati)
3) Padova 26/2: kosovo AttoUno / ZASTAVA AnnoZerO


=== 1 ===

24 FEBBRAIO ore 17,30

Kulturni Dom - Gorizia 

presentazione in lingua slovena del libro di Piero Purini 

“Metamorfosi etniche. I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria. 1914-1975”

Interverrà Mirko Primozic dell’Anpi di Gorizia



=== 2 ===

Sabato 26 febbraio alle ore 16:45

Sala “Menocchio” in via Ciotti, 1 Montereale Valcellina (PN)


"Bog i Hrvati" (Iddio e i Croati)


Per la serie “genocidi dimenticati”, l’olocausto balcanico durante la Seconda Guerra Mondiale. Anteprima nazionale del documentario realizzato dal Ministero della Cultura Serba. Durata: 65’.
Ospiti della serata saranno:

- Vladan Relic: ex presidente della comunità Serbo Ortodossa di Trieste;
- Alessandra Kersevan: storica;

Alle ore 20:00, presso i locali del Circolo, seguirà una cena di finanziamento e presentazione della campagna referendaria contro la privatizzazione dell’acqua. Per l’occasione sarà presente Ferruccio Nilia del Comitato Referendario “2 sì per l’Acqua Bene Comune”.



=== 3 ===

PROGETTO BAOBAB
ex-Scuderie in Piazza Napoli - ex-Fornace Carotta
Padova - zona Sacra Famiglia
Sabato 26 febbraio – ore 18

Videoproiezioni
del fotoreporter Bruno Maran

kosovo AttoUno
Un reportage degli avvenimenti del febbraio 2008 nella provincia del Kosovo. L'autoproclamata indipendenza della provincia del Kosovo, culla delle più profonde radici storiche e religiose per i serbi, dove la maggioranza albanese è riuscita a staccarsi, dopo la guerra "umanitaria" del '99, con la sospetta connivenza di varie diplomazie occidentali.

ZASTAVA AnnoZerO
Il capitale viaggia in prima classe, il lavoro in quarta
Viaggio della globalizzazione
Testimonianza sulla realtà dopo i bombardamenti del ‘99, sullo smantellamento delle ”vecchie” linee, sulla situazione del lavoro nei “nuovi” reparti e per riaffermare che i lavoratori serbi non stanno togliendo lavoro agli operai italiani...
Kragujevac, città della Serbia centrale, importante centro industriale e pertanto pesantemente bombardata durante la guerra "umanitaria" del 1999.
Al centro vi è la fabbrica di automobili Zastava, tornata alle cronache per le vicende relative all'acquisizione da parte della Fiat, con le relative ripercussioni sul mondo operaio italiano a causa della prevista delocalizzazione di attività da parte del gruppo torinese in Serbia. La Zastava, fondata nel 1862, divenne, nel secondo dopoguerra, la più importante realtà industriale dei Balcani, vanto della Jugoslavia socialista. Il suo nome era Savodi Crvena Zastava. Fino allo sfascio della Jugoslavia produceva 220mila vetture l'anno, con più di 50mila lavoratori e 280 imprese dell’indotto dislocate in 130 città jugoslave. A Kragujevac erano occupati 32mila operai. Durante la guerra “umanitaria“ fu pesantemente bombardata con 36 missili Cruise, con pericolosi effetti, ancora presenti, sulla popolazione nonché sugli operai, specie tra quelli che rimossero le rovine. Dal 1° febbraio 2010, la Fiat, in accordo col governo serbo, ha preso il completo controllo della fabbrica, occupando circa mille operai con contratto a termine.



(italiano / deutsch / english)

ICTY prison director kept US Embassy informed on Milosevic

1) INTRODUZIONE. In base a rivelazioni Wikileaks, il direttore del carcere dell'Aia Tim McFadden riferiva all'ambasciata USA in Olanda i dettagli delle conversazioni telefoniche private di Milosevic e del suo stato di salute. Perché?
2) Gespräch mit Christopher Black: Gefängnisdirektor als Informant Washingtons (jW)
3) REACTIONS IN DEN HAAG (IWPR):
KARADZIC REQUESTS TRIAL SUSPENSION / SESELJ URGES ACTION OVER EX-DETENTION UNIT OFFICER
4) FLASHBACK: The Hague ICTY Tribunal killed Yugoslavia's President Slobodan Milosevic / L'11 marzo 2006 il tribunale de L'Aia ha ucciso il presidente della Jugoslavia Slobodan Milosevic

LINK: 
Wikileaks cable from Clifford Johnson of the US embassy in The Hague which details statements made by Timothy McFadden, the former commanding officer of the United Nations Detention Unit, UNDU

NEL QUINTO ANNIVERSARIO DELL'ASSASSINIO: DEMONSTRATION AND EVENTS IN VIENNA, 11-12/3/2011
siti internet del Comitato Internazionale Slobodan Milosevic: 
http://www.icdsm.infohttp://www.free-slobo.de/
archivio Milosevic:
https://www.cnj.it/MILOS/

sull'assassinio di Milosevic nella galera dell'Aia:
https://www.cnj.it/MILOS/morte.htm


=== 1 ===

In base a rivelazioni Wikileaks, il direttore del carcere dell'Aia Tim McFadden riferiva all'ambasciata USA in Olanda i dettagli delle conversazioni telefoniche private di Milosevic e del suo stato di salute. Perché?

Riportiamo di seguito (a) una intervista a Christopher Black, giurista canadese e avvocato di fiducia di Mira Markovic, vedova di Slobodan Milosevic. 
L'intervista, che è apparsa sul quotidiano berlinese Junge Welt, riguarda l'inchiesta a proposito delle circostanze della morte di Milosevic. Black commenta in particolare le recenti rivelazioni di Wikileaks (b), secondo cui il direttore del carcere Tim McFadden ascoltava le telefonate di Milosevic e ne comunicava i contenuti riservati all'ambasciata USA, cioè a Washington. 
Seppure in molte carceri l'ascolto delle telefonate, come dei colloqui, sia previsto e legale, i loro contenuti non andrebbero divulgati a terzi. Viceversa, spiega Black,

<< McFadden ha divulgato conversazioni tra Milosevic e sua moglie, in cui si toccavano questioni relative alla strategia di difesa ed a testimoni, discussioni interne al team della difesa, il punto di vista di Milosevic su queste questioni, la mancanza di mezzi finanziari per la difesa, le influenze politiche, eccetera. E [McFadden] ha trasmesso agli USA dettagli strettamente confidenziali sullo stato di salute di Milosevic. Peraltro io temo che McFadden si sia incontrato anche con rappresentanti dell'Accusa. (...) McFadden ed il governo USA in questo modo di sono immischiati in un processo in corso, violando il dovere di neutralità. (...)
[Le rivelazioni di Wikileaks] possono seriamente influenzare il corso dei processi all'ICTY [il "tribunale ad hoc" dell'Aia]. Ogni accusato si deve adesso chiedere se è sottoposto ad un processo imparziale, quando il governo USA viene informato di tutto ciò che egli fa o dice. Se l'ICTY è indipendente e super-partes, che ragione hanno gli USA per incontrarsi con McFadden e raccogliere tutte queste informazioni? Quali informazioni vanno all'Accusa? Forse la controparte conosce ogni passo successivo previsto? Radovan Karadzic perciò, subito dopo la comparsa di queste rivelazioni, ha richiesto la fine delle intercettazioni ai suoi danni. (c)
(...) Ci dobbiamo anche chiedere quale origine abbia questo rapporto tra McFadden e gli USA, e come si è sviluppato. L'intero quadro cambia a seguito di questi nuovi dati di fatto. >>

Queste rivelazioni - nel carosello delle tante di Wikileaks, che ad osservatori attenti appaiono comunque parziali, incomplete ed orientate solo a scopi geostrategici piuttosto precisi, cioè a mettere in imbarazzo alcuni alleati poco affidabili per gli USA - sono passate sostanzialmente sotto silenzio. In Italia ne ha riferito solamente un lancio AGI (che riportiamo di seguito), nel quale tuttavia tra i tanti sciocchi pettegolezzi sui rapporti di Milosevic con i famigliari (d) si omette di sollevare lo scandalo più grosso: e cioè il fatto stesso che l'ex direttore della galera dell'Aia era un informatore di Washington.

(a cura di Italo Slavo)

NOTE:
(a) Si veda di seguito, sezione *2*.
(c) Sulle reazioni nelle aule del "Tribunale ad hoc" dell'Aia, a proposito di queste rivelazioni Wikileaks, in particolare da parte degli "imputati" Karadzic e Seselj, si vedano i testi riportati nella sezione *3* di questo post.
(d) I pettegolezzi sulle abitudini di Milosevic in carcere e sui suoi rapporti telefonici con collaboratori e famigliari erano già stati fatti trapelare, proprio dal direttore della galera McFadden, allo scopo di deviare l'attenzione pubblica dai contenuti del "processo"-farsa per mezzo di << una pioggia ben dosata di rivelazioni minori intrise di sarcasmo >> - si veda: http://archiviostorico.corriere.it/2002/febbraio/09/Milosevic_cella_con_Sinatra_Hemingway_co_0_0202096992.shtml .

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Olanda: su Wikileaks documento che racconta la vita di Milosevic in carcere


Agi, 6 febbraio 2011

Un cablogramma diplomatico statunitense, svelato oggi dal sito Wikileaks, ha fornito uno spaccato unico sulla vita dell’ex presidente serbo, Slobodan Milosevic, nella prigione del Tribunale penale internazionale (Tpi) dell’Aia in cui è morto. Il documento descrive Milosevic come un appassionato lettore di thriller giudiziari di qualità mediocre, un ascoltatore delle canzoni di Frank Sinatra e un detenuto che non mancava di godere della sua ora d’aria nel cortile della prigione.
L’Ambasciata statunitense all’Aia ha inviato al Dipartimento di stato Usa la sua informativa nel novembre 2003, quando il processo a Milosevic entrava nel suo secondo anno. L’autore del documento aveva avuto un colloquio col capo dell’unità di detenzione del Tpi Tim McFadden. Quest’ultimo era in contatto quotidiano con Milosevic e aveva accesso al contenuto delle sue conversazioni con la sua famiglia e i suoi amici, oltre che al dossier medico dell’ex presidente serbo. Nei colloqui con i rappresentanti dell’ambasciata, McFadden ha spiegato che Milosevic chiamava ogni giorno la moglie, Mira Markovic, e descriveva la loro relazione come “straordinaria”.
Markovic è descritta come una donna dalla personalità fortissima. “Milosevic poteva manipolare tutta una nazione, ma finiva a mal partito quando deve gestire sua moglie che, al contrario, sembrava esercitare una forte ingfluenza su di lui”.
Milosevic aveva problemi cardiaci e d’ipertensione, problemi che l’hanno angustiato durante tutto il corso del processo in cui doveva rispondere per genocidia e crimini di guerra relativi ai conflitti balcanici degli anni 90. Si trattava di sintomi “seri e difficilmente controllabili con i farmaci”. McFadden, inoltre, descrive Milosevic come un “narcistista” che si credeva “circondato da matti” nel tribunale. Eppure era convinto di controllare l’andamento del processo. “Ha una grande fiducia nelle proprie capacità e pensa che riuscirà a vincere di fronte al tribunale, un atteggiamento che rafforza il suo stato di salute stabile attuale”. Tuttavia, nel documento, c’è la previsione che le sue condizioni cliniche sarebbero peggiorate. Previsione che s’è avverata tre anni dopo, quando - il 14 marzo 2006 - l’ex presidente è morto.


=== 2 ===


11.02.2011 / Ausland / Seite 2

»Details über Gesundheit weitergegeben«


Gefängnisdirektor als Informant Washingtons. US-Depesche über Haft von Slobodan Milosevic. Ein Gespräch mit Christopher Black


Interview: Cathrin Schütz

Der kanadische Jurist Christopher Black ist Anwalt von Mira Markovic zur Aufklärung der Todesumstände von Slobodan Milosevic und Verteidiger am Internationalen Strafgerichtshof für Ruanda


Slobodan Milosevic hat während seines Prozesses vor dem UN-Sondertribunal für das ehemalige Jugoslawien (ICTY) in Den Haag in seiner Zelle »billige Kriminalthriller« gelesen und CDs von Frank Sinatra gehört, heißt es in einer von Wikileaks veröffentlichten US-Depesche. Auch was der frühere jugoslawische Präsident in privaten Gesprächen gesagt haben soll, wird kolportiert. Die Informationen stammen vom Gefängnisdirektor Tim McFadden. Ging dessen Abhöraktion mit rechten Dingen zu?

Enthüllt wurden von Wikileaks hier gleich mehrere Skandale: Zum einen hat der Gefängnisdirektor Details über Milosevics Privatleben und seinen Gesundheitszustand weitergegeben. Damit hat er seine strikte Schweigepflicht gebrochen. Zum anderen hat er dabei, wie es scheint, als Informant der US-Regierung agiert. Die Inhalte seiner privaten Gespräche mit Milosevic wie der Telefonate zwischen diesem und seiner Frau sowie Bekannten und auch persönliche Gewohnheiten, Launen, Bemerkungen hat er nämlich den USA gemeldet.

Sind die Abhörmaßnahmen legal?

Sie sind in vielen Gefängnissen gängig. Allerdings nicht, wenn es um vertrauliche Gespräche geht, etwa mit Anwälten und Beratern. McFadden hat Gespräche zwischen Milosevic und seiner Frau weitergegeben, in denen es um Fragen der Verteidigungsstrategie und um Zeugen ging, um Debatten innerhalb des Beraterteams, Milosevics Sicht auf diese Fragen, den Mangel an finanziellen Mitteln zur Verteidigung, politische Einflüsse usw. Und er hat streng vertrauliche Details über Milosevics Gesundheit an die USA geliefert. Außerdem befürchte ich, daß sich McFadden auch mit Vertretern der Anklageseite getroffen hat. Diese hätte einen klaren Nutzen daraus ziehen können.

McFadden und die US-Regierung haben sich dadurch in einen laufenden Prozeß eingemischt und die Neutralitätspflicht verletzt. McFadden stattet seinen Bericht nicht Rußland ab oder anderen Mitgliedern des UN-Sicherheitsrats. Meine Vermutung, daß es sich beim Jugoslawien-Tribunal um eine reine Kreatur von NATO und USA handelt, die nicht im Sinne des Rechts agiert, sondern politische Entscheidungen ausführt, wird erneut untermauern.

Könnte diese Wikileaks-Enthüllung die laufenden Prozesse vor dem ICTY betreffen?

Sie kann diese ernsthaft beeinflussen. Jeder Angeklagte muß sich nun fragen, ob er einen fairen Prozeß haben kann, wenn die Regierung der USA über alles informiert wird, was er tut und sagt. Wenn das ICTY unabhängig und unparteiisch ist, welchen Grund haben dann die USA, sich mit McFadden zu treffen und all diese Informationen einzuholen? Welche Informationen gehen an die Anklage? Kennt die Gegenseite vielleicht jeden geplanten nächsten Schritt? Radovan Karadzic hat übrigens gleich nach Erscheinen der Enthüllung das Ende seiner Observation beantragt.

Als Anwalt von Milosevics Witwe Mira Markovic sind Sie mit der Aufklärung seiner Todesumstände betraut. Milosevic verstarb im März 2006 im Gefängnis, angeblich an einer natürlichen Ursache, unter der Obhut von McFadden. Beeinflußt die Enthüllung Ihre Arbeit?

Wir wußten nicht, daß die US-Regierung Milosevic bewachte – eine Regierung, die während der NATO-Aggression gegen Serbien im Frühjahr 1999 versuchte, Präsident Milosevic zu töten, indem sie unter Verletzung des Kriegsvölkerrechts sein Haus mit Cruise Missiles angriff, sein Land unter Verletzung des Völkerrechts bombardierte und die ihn über ihre Handlanger mittels falscher Anschuldigungen anklagen ließ. Diese Regierung hat Milosevic möglicherweise während all der Jahre in Den Haag beobachten lassen, wußte alles, was er sagte und tat. Unsere Untersuchungen der Todesumstände von Milosevic müssen diese Fakten berücksichtigen. Warum wurden die USA über den Gesundheitszustand und seine Behandlung so umfassend informiert? Welchen Einfluß hatten sie auf die Arbeit der Haftanstalt, auf die Anordnungen von McFadden? Haben sie ihm gesagt, was er tun soll? Was er Wärtern und Krankenschwestern anordnen soll? Welche Rolle spielten die USA vor allem in den Monaten vor seinem Tod? Und wir müssen auch fragen, woher die Beziehung zwischen McFadden und den USA stammt, wie sie sich entwickelt hat. Das ganze Bild ändert sich durch diese neuen Fakten.

Am 11. März findet in Wien anläßlich des 5. Todestages von Slobodan Milosevic eine internationale Protestveranstaltung statt, auf der u.a. Christopher Black und der Anwalt von Radovan Karadzic, Goran Petronijevic, reden werden. Weitere Informationen: www.free-slobo.de

=== 3 ===



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IWPR’S ICTY TRIBUNAL UPDATE No. 678, February 7, 2011

KARADZIC REQUESTS TRIAL SUSPENSION

Former Bosnian Serb president says he needs time to consider new material.

By Rachel Irwin

Radovan Karadzic this week requested that his trial at the Hague tribunal be suspended for three months due to a large volume of material the prosecution recently disclosed to him.

This material – about 32,000 pages - mainly concerns events in various Bosnian municipalities, which is the next component of the prosecution’s case. Currently, the trial is still focused on the sniping and shelling of Sarajevo, as it has been since last April.

Karadzic is requesting that the proceedings be suspended from February 15 until May 15, save for a few witnesses with dates already fixed.

He claims that since most of the new material is in the Serbian language, only a few members of his legal team have the ability to review it. According to the submission, the time off from trial preparation “will ensure that the accused is not required to start defending events in the municipalities until he has received all of the disclosure he was entitled to receive before the trial commenced” including additional material that is expected in early April.

The judges have previously granted Karadzic’s requests for a trial suspension on three occasions—for a month last November, one week last September and two weeks last August. Each of those times Karadzic had just received a trove of material from the prosecution.

The prosecution has not yet responded to Karadzic’s request, and the judges will not make a decision on the matter until that response is filed.

In other recent developments, Karadzic has also requested that his phone calls no longer be monitored by court officials, as is standard practice regarding all detainees.

He bases his January 28 request on a leaked Wikileaks cable from Clifford Johnson of the United States embassy in The Hague which details statements made by Timothy McFadden, the former commanding officer of the United Nations Detention Unit, UNDU.

In the cable – which Karadzic attached to his request – McFadden is said to have described in great detail phone calls between Milosevic and his wife Mirjana Markovic.

“Milosevic could manipulate a nation, [McFadden] said, but struggled to maintain his wife who, on the contrary, seemed to exert just such a pull on him,” the cable states.

The cables also describe Milosevic’s taste in music, including Frank Sinatra, and “pot boiler thrillers”, it read.

Karadzic claims that the way McFadden disclosed this information is “shocking and disturbing.

“It is unknown to what extent, if any, officials of the United Nations detention unit or registrar have discussed with third parties information obtained in whole or in part through the monitoring or recording of Dr Karadzic’s conversations,” he states.

Karadzic further requests that the registrar obtain a statement under oath from the current commander of the detention unit, and all commanders since July 2008, “setting forth all instances in which they discussed Dr Karadzic’s case with persons outside of the registry and in the information revealed in those discussions”.

The president of the tribunal, Judge Patrick Robinson, has yet to respond to Karadzic’s request.

At a press conference on January 26, chief of the registrar’s office Martin Petrov told journalists that “at this point, the tribunal is unable to confirm the authenticity of the report but the matter is being looked into.

“A preliminary analysis of the alleged cable indicates that many of the issues raised in it were already in the public domain.”

For example, he said that “details about the daily routine of ICTY detainees have been available to the public for years”.

Petrov stressed “that the tribunal has clear confidentiality rules, which apply to all, including and especially to ICTY staff members. Alleged breaches of confidentiality are always investigated and appropriate action taken”.

Rachel Irwin is an IWPR reporter in The Hague.

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IWPR’S ICTY TRIBUNAL UPDATE No. 679, February 14, 2011

SESELJ URGES ACTION OVER EX-DETENTION UNIT OFFICER

Serb nationalist politician claims the former officer revealed Milosevic’s personal details prejudicing work of tribunal. 

By Rachel Irwin

Serbian nationalist politician Vojislav Seselj this week urged the Hague tribunal to take action against the former commanding officer of the United Nations detention unit in The Hague for allegedly disclosing personal details about ex-Serbian president Slobodan Milosevic to a United States diplomat.

Seselj’s remarks – in a report to tribunal president Judge Patrick Robinson – were related to a reportedly leaked diplomatic cable where Clifford Johnson, of the United States embassy in The Hague, allegedly detailed statements that former commanding officer Timothy McFadden is said to have made about Milosevic.

“Milosevic could manipulate a nation, [McFadden] said, but struggled to maintain his wife who, on the contrary, seemed to exert just such a pull on him,” the alleged cable stated about Milosevic’s daily phone conversations with his wife, Mirjana Markovic.


The said cable goes on to describe Milosevic’s “nearly photogenic memory”, his supposed narcissism, as well as his state of health and daily routine. In addition, the alleged cable mentions his taste in music and books, which included Frank Sinatra and “pot boiler thrillers”.

Seselj claims that “by sending the information to US agencies and state organs, [McFadden] caused serious prejudice to the reputation and the work of the [tribunal]”. He said that if Judge Robinson doesn’t take action “commensurate” with the allegations at hand, “the already poor international reputation of the [tribunal] will be ruined further”.

Seselj then listed numerous rules enacted at both the tribunal and the detention unit, known as the UNDU, and described how McFadden allegedly broke them.

The reported details about Milosevic’s relationship with his wife were “a scandalous disclosure about the private relationship between spouses”, he alleged, and went on to note that it is “normal for spouses to call each other every day”.

He concluded by urging Judge Robinson to take action on the matter, or “it will be clear that the [tribunal] is under the same jurisdiction as the Guantanamo camp/military court”.

Detained at the UNDU since 2003, Seselj is charged with nine counts of war crimes and crimes against humanity – including murder, torture and forcible transfer – for atrocities carried out in an effort to expel the non-Serb population from parts of Croatia and Bosnia between August 1991 and September 1993. He remains leader of the Serbian Radical Party, SRS, based in Belgrade.

Seselj’s trial has endured repeated delays since it officially began in November 2007, a full year after the original trial date was postponed due to the accused’s hunger strike. In addition, he was found guilty of contempt in July 2009 for revealing confidential details about protected witnesses in one of the books he authored. The accused is set to face yet another contempt trial on similar charges.

Fellow accused Radovan Karadzic has already used the alleged leaked cable as a basis for requesting that his phone calls no longer be monitored by court officials, as is standard for all detainees.

In a January 28 motion, Karadzic claimed that the way McFadden disclosed the information on Milosevic was “shocking and disturbing.

“It is unknown to what extent, if any, officials of the United Nations detention unit or registrar have discussed with third parties information obtained in whole or in part through the monitoring or recording of Dr Karadzic’s conversations,” he stated.

Karadzic further requested that the registrar obtain a statement under oath from the current commander of the detention unit, and all commanders since July 2008, “setting forth all instances in which they discussed Dr Karadzic’s case with persons outside of the registry and in the information revealed in those discussions”.

The president of the tribunal has yet to respond to Karadzic’s request.

At a press conference on January 26, chief of the registrar’s office Martin Petrov told journalists that “at this point, the tribunal is unable to confirm the authenticity of the report but the matter is being looked into.

“A preliminary analysis of the alleged cable indicates that many of the issues raised in it were already in the public domain”.

For example, he said that “details about the daily routine of [tribunal] detainees have been available to the public for years”.

Petrov stressed “that the tribunal has clear confidentiality rules, which apply to all, including and especially to staff members. Alleged breaches of confidentiality are always investigated and appropriate action taken”.

Rachel Irwin is an IWPR reporter in The Hague.


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The Hague ICTY Tribunal killed Yugoslavia's President Slobodan Milosevic


Global Research, March 10, 2009
Strategic Cultural Foundation

President Slobodan Milosevic. In memoriam

On 11 March 2006 the Hague Tribunal killed Yugoslavia's President Slobodan Milosevic


On 11 March 2006 the UN`s International Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY) reported that Slobodan Milosevic had been “found dead in his cell”. On 14 March the court stopped all trial procedures on the case. While reporting on the causes of Milosevic`s death, the Tribunal's Vice-President Kevin Parker said “Milosevic died a natural death as a result of a heart attack”. But there is evidence that Slobodan Milosevic was killed, and that the ICTY was responsible for the murder.

This is how it all happened. First, Milosevic was placed in prison, where his health deteriorated. Then he was refused to be treated in a heart surgery center and when his heart condition worsened, he did not receive urgent medical help. The Tribunal did so deliberately as they knew about his health problems.

One should just read the following medical reports to understand that Milosevic had not received necessary medical treatment. Dr. Aarts: “Atherosclerosis is typical for people of his age”. Dr. De Laat: “Over the past 6 months Milosevic suffered strong head noise and tension and a partial hearing and sight loss. Probably, poor hearing was caused by cardiovascular problems”. Dr.Spoelstra knew that Milosevic had been wearing earphones for five years but still suggested “just to regulate volume level for the earphones”. The ICTY prison doctor Paulus Falke: “I discussed the issue with an otolaryngologist from the Bronovo hospital. He told me Milosevic`s poor hearing was normal for people of his age”. Could all these reports be just a medical mistake? No.

Milosevic was diagnosed correctly, and all the rest doctors were aware of it. On 4 November 2005 Slobodan Milosevic said he wanted to be examined by doctors. There were three of them: Doctor of Medicine, Professor Shumilina M.(Russia), Professor Leclerc (France) and Professor Andric (Serbia). Doctor Shumilina said Milosevic had not received proper medical treatment and insisted on urgent thorough medical examination and treatment. She also warned there was a risk of serious brain problems. Cardiologist Leclerc was not given an opportunity to familiarize himself with the results of Milosevic` previous medical examinations. He said an ECG test he did to Milosevic was “extremely anomalous”. In their joint report, the international group of doctors warned the Tribunal that the patient's condition was very grave and he was at risks. They said Milosevic had to be examined more throughly to get a precise diagnosis. The doctors asked for a 6-week rest for Milosevic`s body and mind so that he could feel at least some kind of relief.

Shumilina`s opinion caused much annoyance. It was the first time when a group of independent doctors proved that Milosevic`s poor health condition had been caused by improper medical treatment. Shumilina was criticized and even accused of being involved in conspiracy with Milosevic. On 14 December 2005 she wrote a letter to the Tribunal to express her annoyance at the attempts made by some of doctors to play down the importance of her resolution on Milosevic`s health. Among other things, she wrote that not the age of 64 had caused Milosevic`s atherosclerosis but the lack of proper treatment for his arterial hypertension.

In December 2005 Leo Bokeria, Director of Moscow's Bakulev Heart Surgery Center, wrote to the ICTY President Fausto Pokar that Milosevic`s health had deteriorated due to wrong treatment. Bokeria said the aim was to “prevent cardiovascular catastrophe”, so the Tribunal`s President should hardly have any doubts about it. In December 2005 Slobodan Milosevic asked the court to let him be hospitalized in Moscow. Despite the fact that all the regulations were observed, Milosevic was refused.

The ICTY accused Milosevic of deliberately taking unprescribed drugs to worsen his health condition in order to leave for Moscow and there escape from court.

Timothy McFadden, the prison governor responsible for Milosevic, wrote a letter to the Tribunal on 19 December 2005, in which he said he had long doubted whether Milosevic was taking prescribed drugs. McFadden also reported that the ICTY prison doctor could no longer hold responsibility for Milosevic`s health, neither the Tribunal's secretary was going to do it. Obviously, conclusions made by McFadden were not based on the results of medical treatment. Actually, Milosevic`s blood tests showed “low levels of prescribed and unprescribed medicines”. And without having any solid evidence, McFadden described the blood tests as the result of Milosevic`s deliberate actions.

In his letter of January, 6, 2006 the ICTY prison doctor Paulus Falke repeats McFadden: “The tests showed that he had been taking prescribed medicines not as regularly as he should. Besides, he took drugs neither me nor other doctors have prescribed him”. Toxicologist Donald Uges added: “I have reasons to believe Milosevic had been taking unprescribed drugs. This is what could have caused his high blood pressure”.

Dr. Tou was the only one to name a few possible reasons for low concentration of prescribed drugs in Milosevic`s blood: weak gastrointestinal absorption, inaccurate use of prescribed medicines, interaction with other substances, lowered absorption of enzymes and quick metabolism for CYP2D6. All these conclusions were based on elementary medical tests. The question is how other doctors failed to be aware of this. Obviously, it could have been done only deliberately. However, before Dr. Tou`s report was published, Falke ruled out any other causes except non-use of prescribed drugs. Falke lacked competence to make conclusions like he did. He wanted the court to have a negative image of Milosevic.

On 12 January 2006 Slobodan Milosevic demanded a sample of his blood to be taken for analysis. The procedure took place after he had been taking the medicines prescribed by Falke. The test showed the same level of medicines as before. Thus Falke`s and McFadden's allegations were refuted. Falke insisted that Milosevic had been taking “unprescribed drugs”. But toxicologist Uges said only two medicines were spotted in Milosevic`s blood- Diazepam and Nordazepam. Appointed attorneys found out that Diazepam had been prescribed to Milosevic by Falke in the middle of October 2005. According to Dr. Tou, who did a repeated expertise, the metabolism of Nordazepam is possible only with participation of Diazepam. Dr. Uges added that “concentration of both medicines in blood was too low to have any pharmacological effect”. Even if these two medicines are found in a patient's blood for months, they will not do any harm and cause high blood pressure in any way. In view of this, all the reports presented at the Tribunal are nothing but a provocation.

The appointed attorneys noted: “It was mentioned in none of the reports that Diazepam had been repeatedly prescribed to Milosevic by Dr. Falke: a) during a whole period of his imprisonment; b) particularly, during three days in mid October 2005. On 7 March 2006, three days before Milosevic`s death, the judges were reported that Milosevic`s blood taken for analysis on 12 January contained unprescribed Rifampicin, which could neutralize the effects of the heart medicine Milosevic was required to take.

The report published after Milosevic`s death by the ICTY Vice-President Kevin Parker read: “Autopsists diagnosed a grave heart condition which caused death”. If investigators were objective, they would have been noted that grave heart condition was diagnosed long before by Shumilina and Bokeria. In any case, diagnosis should be made when a patient is alive but Milosevic was refused to undergo necessary medical examination. Unbiased investigation should have been focused on the reasons of a heart attack. However, nothing of the kind was discussed.

Instead of investigating the situation with rifampicin in Milosevic`s blood, Parker was busy justifying Dr. Falke. But he was doing it so clumsily that even members of the Tribunal were puzzled. The information about rifampicin appeared two months after the medicine had been spotted in blood. “Dr. Falke and his colleagues discussed a possibility to reveal the information without Milosevic`s permission”, Parker explained. But such explanation is absurd since nothing prevented Falke from disclosing all information. It was even more absurd to say that the information about rifampicin was hidden from Milosevic. Firstly, this explanation itself refutes all the previous (if Milosevic did not know about rifampicin, why should he be against this information be disclosed?). Secondly, in his report Parker lies when he says “Dr. Falke did not informed Milosevic on rifampicin in his blood in accordance with the Dutch regulations on anonymity in medicine”.

Three days before his death Slobodan Milosevic wrote in a letter to the Russian Foreign Ministry: “the fact that my blood contains rifampicin, an antibiotic that is normally used to treat leprosy and tuberculosis, proves that none of these doctors have the right to treat me... I defended by country from them and now they want me to keep silence for ever”. The fact that the court stopped all trial procedures without investigating the causes of Milosevic`s death makes us think that the ICTY either organized the murder or sheltered the criminals.

Today there is hardly anyone who believes that Milosevic`s killers may be found and tried. But I am confident that such mission should exist, no matter how impossible it is. Well, now those criminals enjoy power in the Hague and worldwide but it won't last for ever. Slobodan Milosevic proved resistance is possible. Men of such strength are rare nowadays. That is why their death is perceived as personal tragedy.

Never forget President Slobodan Milosevic!


© Copyright , Strategic Cultural Foundation, 2009 

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di seguito la traduzione fattaci pervenire da Alessandro Lattanzio
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Presidente Slobodan Milosevic. In memoriam

Alexander Mezayev 11.03.2009

L'11 marzo 2006 il tribunale de L'Aia ha ucciso il presidente della Jugoslavia Slobodan Milosevic
 
L'11 marzo 2006 il tribunale internazionale dell’ONU per l'ex Jugoslavia (ICTY) ha segnalato che Slobodan Milosevic “era stato trovato privo di vita nella sua cellula”. Il 14 marzo la corte ha sospeso tutte le indagini sul caso. Mentre segnalava le cause della morte di Milosevic, il vice presidente del Tribunale Kevin Parker ha detto che “Milosevic è morto per cause naturali in conseguenza di un attacco di cuore”. Ma vi è prova che Slobodan Milosevic è stato ucciso e che l’ICTY è responsabile dell'omicidio. Ecco cos’è veramente accaduto.
In primo luogo Milosevic è stato costretto in prigione, dove la sua salute s’è deteriorata. Allora gli è stato rifiutata la possibilità d’essere curato in un centro di cardiologia e quando lo stato del suo cuore ha peggiorato, non ha ricevuto un aiuto medico urgente. Il tribunale ha agito in tal modo deliberatamente, sapendo dei suoi problemi sanitari. Si dovrebbero leggere solo i seguenti rapporti medici per capire che Milosevic non ha ricevuto il trattamento medico necessario.
Dott. Aarts: “L'arteriosclerosi è tipica per gente della sua età”. Dott. De Laat: “In questi ultimi 6 mesi Milosevic ha sofferto un forte mal di testa, tensioni e una perdita parziale della vista e dell’udito. Probabilmente, il calo dell'udito è stato causato dai problemi cardiovascolari”. Il Dr.Spoelstra ha saputo che Milosevic stava portando i trasduttori auricolari da cinque anni ma ha suggerito solo “di regolare il livello del volume per i trasduttori auricolari”. Il dottore Paulus Falke della prigione dell’ICTY: “Ho discusso la cosa con un otorinolaringoiatra dell'ospedale di Bronovo. Mi ha detto che il calo d’udito di Milosevic era normale per persone della sua età”.
Potevano essere tutti questi rapporti solo un errore medico? No. Milosevic ha avuto la diagnosi corretta e, del resto, tutti i medici erano informati di ciò. Il 4 novembre 2005 Slobodan Milosevic ha detto che voleva essere esaminato dai medici. C’erano tre di loro: la professoressa Shumilina M. (Russia), il professor Leclerc (Francia) ed il professor Andric (Serbia). La dottoressa Shumilina ha detto che Milosevic non aveva ricevuto il trattamento medico adeguato e aveva insistito su un esame medico e su un trattamento completo urgente. Inoltre ha avvertito che c’era il rischio di problemi seri al cervello. Il cardiologo Leclerc non ha avuto l’occasione di familizzare con i precedenti risultati degli esami medici di Milosevic. Ha detto che ha eseguito un test ECG su Milosevic ed era stato “estremamente anomalo”.
Nel rapporto congiunto, il gruppo internazionale dei medici ha avvertito il tribunale che lo stato del paziente era molto serio ed era a rischio. Hanno detto che Milosevic doveva essere esaminato completamente per ottenere una diagnosi precisa. I medici hanno chiesto per sei settimane per esaminare il corpo e la mente di Milosevic, in modo che potessero compiere almeno un certo genere di rilievi. L'opinione della Shumilina ha causato molta irritazione. Era la prima volta che un gruppo di medici indipendenti ha dimostrato che lo stato sfavorevole della salute di Milosevic era stato causato da un trattamento medico improprio. Shumilina è stata criticata e perfino è stata accusato di coinvolgimento in una cospirazione con Milosevic.
Il 14 dicembre 2005 ha scritto una lettera al tribunale per esprimere la sua irritazione verso i tentativi fatti da alcuni medici per sminuire l'importanza del suo referto sulla salute di Milosevic. Tra l'altro, ha scritto che non è stata l'età di 64 anni ad aver causato l'arteriosclerosi di Milosevic, ma la mancanza di trattamento adeguato per la sua ipertensione arteriosa.
Nel dicembre 2005 Leo Bokeria, direttore del centro di cardiochirurgia Bakulev di Mosca, ha scritto al presidente Fausto Pokar dell’ICTY, dicendo che la salute di Milosevic era deteriorata a causa del trattamento errato. Bokeria ha detto che lo scopo era “impedire la catastrofe cardiovascolare”, così che il presidente del tribunale non dovrebbe avere alcun dubbio su ciò.
Nel dicembre 2005 Slobodan Milosevic ha chiesto alla corte di lasciarlo ospedalizzare a Mosca. Malgrado il fatto che tutte le norme fossero osservate, la richiesta è stata rifiutata.
L’ICTY ha accusato Milosevic di aver deliberatamente preso delle droghe non prescritte per peggiorare il suo stato di salute per andare a Mosca e, da lì, sottrarsi alla corte. Timothy McFadden, il direttore della prigione responsabile di Milosevic, ha scritto una lettera al tribunale il 19 dicembre 2005, in cui ha detto che da tempo dubitava del fatto che Milosevic stesse prendendo dei medicinali prescritti. McFadden inoltre ha segnalato che il medico della prigione dell’ICTY non aveva più la responsabilità dello stato di salute di Milosevic, e né la segreteria del Tribunale se ne curava.
Ovviamente, le conclusioni di McFadden non sono basate sui risultati del trattamento medico. Realmente, le analisi del sangue di Milosevic hanno mostrato “bassi livelli di medicine prescritte e non prescritte”. E senza avere alcuna prova solida, McFadden ha descritto le analisi del sangue come risultato delle azioni intenzionali di Milosevic. Nella sua lettera del 6 gennaio 2006 il dottore della prigione dell’ICTY Paulus Falke segue McFadden: “Gli esami hanno provato che stava prendendo regolarmente le medicine prescritte come doveva. Inoltre, ha preso a droghe che né io che nessun altro medico ha prescritto”.
Il Tossicologo Donald Uges ha aggiunto: “Penso che Milosevic stesse prendendo droghe non prescritte. Cose che potrebbero aver causato la sua ipertensione”. Il Dott. Tou è stato l’unico a parlare dei motivi possibili per la bassa concentrazione di medicinali prescritti nel sangue di Milosevic: l'assorbimento gastrointestinale debole, l'uso inesatto delle medicine prescritte, interazione con altre sostanze, hano abbassato l'assorbimento degli enzimi e del metabolismo rapido per CYP2D6. Tutte queste conclusioni sono basate su test medici elementari. La domanda è come altri medici non sono riusciti a rendersi conto di ciò, ovviamente, ciò può essere accaduto solo deliberatamente. Tuttavia prima che il rapporto del Dott. Tou fosse pubblicato, Falke ha escluso tutte le altre cause tranne l’uso di medicinali non prescritti. Falke manca della competenza per trarre le conclusioni che ha fatto. Ha voluto che la corte avesse un'immagine negativa di Milosevic.
Il 12 gennaio 2006 Slobodan Milosevic ha richiesto un campione del suo sangue per l'analisi. La procedura è avvenuta dopo, quando stava prendendo le medicine prescritte da Falke. L'esame ha provato lo stesso livello di medicine di prima. Così le accuse di McFadden'e Falke sono state confutate. Falke ha insistito che Milosevic stesse prendendo “droghe non prescritte”. Ma il tossicologo Uges ha detto che soltanto due medicine sono state tracciate nel sangue di Milosevic: Diazepam e Nordazepam. Gli avvocati nominati hanno scoperto che il Diazepam era stato prescritto a Milosevic da Falke verso la metà dell'ottobre 2005. Secondo il Dott. Tou, che ha fatto u

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