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"Od Triglava do Vardara..." "Dal monte Triglav al fiume Vardar..."
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Così non va. Chi ha paura a discutere liberamente sulle foibe?
Scritto da Francesco Giliani |
Giovedì 10 Febbraio 2011 |
è diventato l’occasione per sviluppare un’opera di revisione dal punto di vista storico portata avanti non solo dalla destra, ma anche da intellettuali presuntamente progressisti. Pubblichiamo una riflessione a riguardo di Francesco Giliani, che è stato testimone di un tentativo di questo genere in una scuola superiore della provincia di Modena.
lunedì 14 febbraio 2011
«Non sono favorevole a questa scelta, avendo già ricevuto un'istanza da un gruppo di profughi istriani, per evitare contrapposizioni ideologiche e politiche. Penso che sia orrenda la storia delle foibe, ma va inquadrata in un'epoca di follia storica, caratterizzata da opposte violenze, resta pur sempre la valutazione che Tito ebbe una funzione storica rispetto all'antinazismo ed all'antifascismo». Le parole di Verrengia mancano tuttavia del riferimento all’anticomunismo, sono molti gli istriani e i dalmati che vivono nell’Aversano, i quali dopo che cacciati dalle loro terre annesse alla Jugoslavia, vennero trasferiti anche in quello che divenne il Campo Profughi di Aversa.
(ANSA, sabato 5 febbraio 2011)
Josip Broz, piu' noto come maresciallo Tito, a capo della Jugoslavia dalla fine della seconda guerra mondiale alla morte, nel 1980, e' ancora tra i cavalieri di Gran Croce della Repubblica Italiana. Lo denuncia l'Unione degli Istriani, chiedendo la revoca dell'onorificenza.
Il presidente dell'associazione, Massimiliano Lacota, ha scritto oggi al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, chiedendogli di ''voler procedere all'annullamento immediato del titolo di cavaliere di gran croce decorato di gran cordone dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, cioe' l'onorificenza piu' alta prevista dagli ordinamenti di benemerenza internazionale''.
L'onorificenza fu conferita il 2 ottobre 1969, come si legge sul sito del Quirinale, dall'allora presidente Giuseppe Saragat. ''E' semplicemente orribile e disgustoso - ha spiegato Lacota - che lo Stato italiano riconosca il dramma delle Foibe e allo stesso tempo annoveri tra i suoi piu' illustri insigniti proprio chi ordino' i massacri e la pulizia etnica degli Italiani d'Istria, ovvero il dittatore comunista Tito''.
L'Unione degli Istriani, si legge in una nota, ''informa che senza il ritiro da parte del Presidente della Repubblica dell'onorificenza concessa a Tito, nessun rappresentante potra' partecipare alla Cerimonia del 10 febbraio, Giorno del ricordo per le vittime delle foibe, al Quirinale''.
Oggetto: 'via Tito' a Reggio Emilia resiste
Data: 26 gennaio 2011 19.20.10 GMT+01.00
Respinta la mozione per cambiare nome a via Tito
Eboli (Pdl) e Parenti (Lega): “Il Comune organizza iniziative a ricordo dei Martiri delle foibe e non cambia toponimo alla via intitolata al principale responsabile di quei massacri”. La risposta: “polemica di basso cabotaggio”
REGGIO – I consiglieri comunali Marco Eboli, Cristian Immovilli, Claudio Bassi (Gruppo Pdl) e Andrea Parenti (Gruppo Lega nord) hanno commentato oggi nel corso di una conferenza stampa l’esito del voto che ieri in Sala Tricolore ha visto respingere una mozione promossa dallo stesso Eboli. La proposta era di sostituire, in occasione della Giornata del Ricordo, il nome della via dedicata al maresciallo Tito con un altro toponimo. Il nome suggerito con la mozione era quello di Rolando Rivi, seminarista di Castellarano per il quale è avviato il processo di beatificazione. La mozione è stata respinta con 17 voti contrari (Gruppi Pd e SeL) e 9 favorevoli (Pdl e Lega nord).
Le polemiche più accese quelle con il capogruppo comunale del Pd Luca Vecchi, che “arrampicandosi sugli specchi” avrebbe motivato il voto contrario del gruppo con la constatazione che Tito, responsabile dei massacri delle foibe, “nonostante tutto, è stato un grande statista”. Anche la presidente del Consiglio comunale Emanuela Caselli, del Pd è stata oggetto di critiche per il suo voto contrario e lo stesso sindaco Graziano Delrio, che invece non ha partecipato al voto, le cui iniziative in ricordo dei Martiri delle foibe, tra le quali la recente visita prima della scomparsa all’ultimo testimone reggiano delle foibe Graziano Udovisi, sono state giudicate in contraddizione con l’atteggiamento tenuto ieri dalla maggioranza che lo sostiene.
“Le motivazioni di Vecchi – hanno detto Eboli e Parenti – testimoniano l’arretratezza dei consiglieri, anche giovani, che provengono dall’ex partito comunista e fanno parte di una formazione politica che ha la pretesa di definirsi partito democratico”. Unico consigliere che si è distinto dalla maggioranza, il direttore di Istoreco Nando Rinaldi – che non ha partecipato al voto – al quale i consiglieri di Pdl e Lega hanno riconosciuto maggiore onestà intellettuale rispetto ai colleghi del Pd. Secondo Immovilli, l’atteggiamento dei consiglieri del Pd testimonia una deriva di sinistra e un’assenza dei cattolici che militano in quel partito. A sostegno della mozione Eboli ha anche ricordato che, nel 2005, il comune di Imola ha tolto l’intitolazione di un parco a Tito, mentre “a Reggio si mantiene un atteggiamento contraddittorio, che porta a partecipare e organizzare iniziative in ricordo dei Martiri delle foibe, ai quali è stata intitolata una via, e non si elimina un toponimo che ricorda il principale responsabile di quei tragici episodi”.
La risposta del Pd
In serata è arrivata la replica del gruppo consigliare del Pd in Comune. “Le accuse che arrivano dall’opposizione sulla decisione di non revocare l’intestazione di una strada a Tito, già presidente della Repubblica Jugoslava, sono impostate sulla solita oziosa demagogia e sono da rigettare. Una cosa è la storia, un’altra cosa è la toponomastica e più precisamente la storia della toponomastica cittadina”. Si legge tra le righe del comunicato: “a nessuno di noi sfugge il dramma della vicenda delle Foibe, ivi comprese le responsabilità che furono del presidente Tito in quel frangente della storia. Ma non ci sfuggono nemmeno la complessità e le contraddizioni del ruolo giocato dal maresciallo Tito nella vicenda politica mondiale del Novecento. Tito è stato infatti definito dal capogruppo Luca Vecchi dittatore e uomo di Stato che ha attraversato oltre 30 anni della storia internazionale. E’ indubbio che gli amministratori dell’inizio anni Ottanta, che decisero l’intestazione fossero certamente calati nel sentire comune del proprio tempo. Oggi a nessuno verrebbe l’idea di istituire una via a Tito. Ma il pregio della toponomastica è proprio questo: l’essere figlia del proprio tempo, contribuendo a stratificare l’evoluzione e i cambiamenti intervenuti nel sentire comune di ogni epoca, di una città, di un Paese, di un continente”.
Stoccata, in chiusura, all’opposizione. “Secondo la logica del centrodestra che dovremmo fare di via Adua, di via Makallè, o di tanti luoghi, anche in questa città, ancora oggi intestatari di fatti tragici che pesano ancora come gravi responsabilità storiche della storia del nostro Paese? Questo è il centrodestra della nostra città, che già aveva sollevato questa proposta nel 2003. Questa è la vacuità delle loro proposte e dell’iniziativa politica che li contraddistingue. Questo è lo spirito che ha scomposto la discussione consiliare. Ci è sembrata una discussione troppo strumentale e faziosa, politicamente poco seria, per un Consiglio comunale che avrebbe il compito di dedicarsi con assoluta attenzione a ben altri problemi”.
"La nostra non è solo una provocazione - hanno spiegato consiglieri comunali, regionali e simpatizzanti del Pdl presenti alla manifestazione - è anche un modo per riparare il grande torto fatto in Aula ad un uomo che aveva fatto della sardità la sua bandiera. Come ha dimostrato anche dopo la sua morte: ha chiesto di essere sepolto in Sardegna e che la sua bara fosse avvolta dai Quattro Mori. Nuoro, che è la culla dell'identità sarda, avrebbe dovuto premiarlo". La città si è divisa tra favorevoli e contrari sull'intitolazione della strada a Cossiga, tanto che un quotidiano locale ha svolto anche un mini referendum che ha dato ragione alla maggioranza di centrosinistra.
Global Research - January 22, 2011 / Politika Daily Monday, 10 January 2011 (page 1 and 7)
Fact and Propaganda: Yugoslavia and The "Politics of Genocide"
Is it possible that the prevailing current usage of the word genocide is “an insult to the memory of the Nazi regime's victims”?
This incisive thought of Noam Chomsky was taken from the preface he wrote to an astonishing book titled “The Politics of Genocide” by Edward Herman and David Peterson, published in Belgrade in 2010 by Vesna info.
Edward Herman is a professor emeritus teaching finance at the University of Pennsylvania and David Peterson is a free-lance journalist. What an unusual match, you might think at first. However, if you check the exhaustive list of references you will find out that they have worked on at least two more published books, both dedicated to the former Yugoslavia and its disintegration. David Peterson is author of another dozen published books, either alone or in cooperation with other authors.
According to Noam Chomsky, the end of the Cold War “opened an era of Holocaust denial,” in which the humanitarian bombing of Yugoslavia (read: Serbia) is far from being the last piece of the puzzle.
According to “Counter-Revolutionary Violence: Bloodbaths in Fact and Propaganda,” written by Edward Herman and Noam Chomsky, in the period between 1945 and 2009 the USA organized “major” military interventions in as many as 29 countries. “Thanks to its dominant position and its global counter-revolutionary efforts, the US has been the key single instigator, organizer and provider of moral and material support for some of the heaviest bloodshed that took place after the World War Two.
"US officials, supported by the media and intellectuals close to the administration (“genocide intellectuals”), have mastered the skills of “crime management” used to draw the attention of the public away from the violence instigated and endorsed by the leading global super-power and direct the public eye towards the violence perpetrated by US enemies."
In line with this the authors [Herman and Peterson] have come up with an unusual classification of the bloodbaths into four categories: constructive, benign, criminal and mythical.
“The largest genocidal act undertaken in the last thirty years was the economic sanctions imposed on Iraq following the invasion of Kuwait in 1990, both in respect of the number of victims and in respect of full awareness of the impact of this policy among its creators,” reads the introductory section of the book.
The New York Times revealed that “in the long run, Iraq has been pushed back into pre-industrial times, though it still suffers from post-industrial dependence on energy and technology.” And the Washington Post, quoting a reliable source, stated that “the bombs… were targeted at everything that was vital for survival of the country.” Sounds familiar, doesn't it?
Denis Halliday, the leading UN humanitarian coordinator in Iraq, resigned, issuing a statement that the overall effects of the sanctions were comparable to that of genocide. And Eleanor Robinson, lecturer at the Old Soul College in Oxford (England), added: ”You will have to go back in time as far as the Mongol invasion of Baghdad in 1258 to find an example of pillage of comparable magnitude.” You can guess who was doing the pillage!
Edward Herman and David Peterson have exposed the ill doings of politicians, intellectuals and reporters who used the word genocide in their reports on the most deadly world crisis since the end of the World War Two (5.4 million dead between 1998 and 2007 in DR Congo) only 17 times, while the killing of 4,000 Albanians in Kosovo and Metohija was qualified as genocide as many as 323 times!
George Robertson, British Defense Minister, admitted during a hearing before Parliament: “Before Račak this year (24 March 1999), the KLA was responsible for more deaths in Kosovo than the authorities of Yugoslavia”. The number of killings since 1998 was estimated at 2,000, and 500 of these killings were attributed to Serbian forces.
“During the civil wars in the wake of the disintegration of the former SFR Yugoslavia in the nineties, the USA, Germany, NATO and EU supported national minorities which insisted on breaking away from the federal state and acted against the national group of Serbs who persisted in their efforts to save the former Yugoslavia. That is why the Western powers strongly supported first Croats and Slovenes, later Bosnian Muslims, and finally Kosovo Albanians,” explained Edward Herman and David Peterson, quoting a number of critically acclaimed works.
We are also informed that the NATO forces supported, “even coordinated war operations, and as there were numerous cases of ethnic cleansing and ethnically motivated killings, it was only natural that expressions such as ethnic cleansing, massacre and genocide were applied primarily to the war acts of the Serbs.” Regarding the “Srebrenica massacre”, they say that there is no proof that Serbian forces killed anyone but “Muslim men capable of army service,” taking care to evacuate all children, women and the elderly by buses.
“If Račak was a contrived crime, and we believe that it was, then the war sold to the world on the strength of this crime was based on a lie, and therefore any claims that the war was waged on humanitarian grounds must be disputed, if for no other reason then on account of this fact alone,” said Edward Herman and David Peterson, referring to their own article “CNN: Sale of a NATO War on a Global Scale” from 2009.
“The Račak massacre” perfectly suited the needs of Bill Clinton's administration and NATO and provided them with an excuse to launch the air attacks against Yugoslavia (Serbia), which had been prepared for a long time, soon after the failure of the negotiations in Rambouillet, “one of the greatest staged deceptions in recent history.”
When Madeleine Albright was first informed that the attacks had been launched, she commented with delight: “Spring has come early to Kosovo this year.”
This valuable book meticulously reveals the double standards applied to war acts in Darfur (Sudan), Rwanda, Iraq, Lebanon, Afghanistan, Indonesia, Guatemala, El Salvador, and so on.