Informazione


                  * Jugoslavenski glas - Voce jugoslava *
 
 "Od Triglava do Vardara..." "Dal monte Triglav al fiume Vardar..."

Svakog drugog utorka, od 14,00 do 14,30, na Radio Città Aperta, i valu FM 88.9 za regiju Lazio,
                                         JUGOSLAVENSKI GLAS
Emisija moze se pratiti i preko Interneta: http://www.radiocittaperta.it/stream.htm 
Pisite nam na jugocoord@...  Citajte nas na www.cnj.it

Ogni due martedì dalle ore 14,00 alle 14,30, su Radio Città Aperta, FM 88.9 per il Lazio:
                                              VOCE JUGOSLAVA
La trasmissione si può seguire via Internet: http://www.radiocittaperta.it/stream.htm
Scriveteci all'indirizzo email: jugocoord@...  Visitate il nostro sito www.cnj.it.


Programma 15 febbraio 2011:

- "Giorno del Ricordo" 2011. Un quadro delle iniziative di quest'anno ed alcune considerazioni sui temi ed i toni che va assumendo il dibattito attorno a questa data.
- Il quinto anniversario dell'uccisione di Slobodan Milosevic all'Aia. Una manifestazione a Vienna ed alcuni aggiornamenti sull'inchiesta.
- Kosovo "indipendente" e traffico d’organi: il Parlamento Europeo ha approvato la Risoluzione di Dick Marty

In studio Eleonora, in collegamento telefonico con Andrea




Così non va. Chi ha paura a discutere liberamente sulle foibe?


Pubblicato il febbraio 10, 2011 da prctavagnacco
Scritto da Francesco Giliani
Giovedì 10 Febbraio 2011


Dal 2004, ovvero da quando è stato istituito, il giorno del ricordo in memoria delle vittime delle foibe
è diventato l’occasione per sviluppare un’opera di revisione dal punto di vista storico portata avanti non solo dalla destra, ma anche da intellettuali presuntamente progressisti. Pubblichiamo una riflessione a riguardo di Francesco Giliani, che è stato testimone di un tentativo di questo genere in una scuola superiore della provincia di Modena.

Comprendere un dibattito storiografico, distinguere le fonti storiche, contestualizzare i processi storici. Tanti “obiettivi” declamati fino alla nausea nelle circolari ministeriali e nelle programmazioni dei docenti. Nient’altro che una lista di belle intenzioni, viste da un’assemblea d’Istituto sulle foibe. In queste assemblee assistiamo da anni alla ripetizione ossessiva di un unico punto di vista, quello di “storici” come Marco Pirina (coinvolto nel golpe Borghese del 1970):  le foibe furono pulizia etnica praticata dai partigiani jugoslavi, ispirati dalla criminale ideologia comunista, contro l’inerme popolazione italiana infoibata a causa della sua nazionalità. I video giocano cinicamente sui sentimenti , gli storici di turno presentano la storia in modo “neutro” e non opinabile ed infine gli esuli – di solito membri o vicini alla neo-irredentista Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia – si mettono molto spesso a fare storia invocando il proprio status di esule come garanzia di attendibilità ed infallibilità. E’ talmente forte la pressione della Giornata del Ricordo che nelle scuole saltano anche le sempre più ossessive attenzioni al contraddittorio – spesso peraltro interpretato dalle presidenze in modo veramente desolante, come se dovessimo riprodurre una par condicio in stile “Porta a Porta”. Insomma, le istituzioni vogliono che niente rovini la festa. Tutti allineati.
Come docenti non credo che sia possibile voltarsi dall’altra parte e non prendere posizione. Professare ignoranza o scarsa conoscenza sull’argomento non è più scusabile. Perché non è scusabile stare zitti davanti ad una gigantesca iniezione di nazionalismo tra i giovanissimi per mezzo della scuola pubblica.
Nei dibattiti sulle foibe i fatti scompaiono. O meglio, chi interviene a sostegno della tesi dominante è di fatto legittimato a non portare fonti ed argomenti a supporto della propria tesi. Può semplicemente passare da un’affermazione all’altra. I numeri vengono gonfiati a dismisura. Gli scomparsi sono addizionati agli infoibati. Chi mette in discussione le cifre iperboliche dei foibologi (diecimila o anche più) interessati a creare un contraltare “rosso” ad Auschwitz è accusato di fare il ragioniere coi morti, di negare il “genocidio” (altro termine usato a vanvera) degli italiani, vittime innocenti di una pulizia etnica. Per capire un qualsiasi fenomeno è necessario – ripeterlo suona elementare – accertarne anche le dimensioni: se gli infoibati sono stati nell’ordine delle centinaia e per lo più appartenenti a formazioni armate fasciste o collaborazioniste, infatti, verrebbe a cadere anche la tesi della “pulizia etnica” contro italiani inermi e si dovrebbe ammettere che il sentimento dominante era antifascista e non anti-italiano. Per le foibe, però, tutto deve apparire già accertato col consenso unanime di tutti. Chi lo nega è un blasfemo.
Il copione non è stato diverso dal canovaccio solito all’ultima assemblea d’Istituto sulle foibe a cui ho assistito come docente il 4 febbraio 2011 a Carpi. Un’assemblea simile a tante altre in tutt’Italia. In meno di due ore di assemblea ho ascoltato buona parte di quelle falsità che storici come Claudia Cernigoi e Sandi Volk hanno smontato con diversi libri basati su ricerche a pettine in tutti gli archivi possibili e immaginabili, al di qua e al di là del confine. Ricerche che, biografie alla mano, mostrano che la grandissima parte delle centinaia di infoibati tra Istria ’43 e Trieste ’45 erano volontari della Milizia di Difesa Territoriale o della X Mas, massacratori vari, delatori e collaborazionisti al servizio dei nazisti che esercitavano un dominio diretto su quell’area con la formazione della Zona d’Operazioni Litorale Adriatico. Altri, alcune migliaia di criminali di guerra fascisti, furono arrestati nel maggio ’45 tra Trieste e Gorizia e vennero internati in Jugoslavia, dove molti di loro morirono di stenti e alcuni dopo condanne a morte pronunciate dal Tribunale di guerra jugoslavo. E’ bene ricordare che nessuno dei criminali di guerra italiani richiesti dalla Jugoslavia venne mai estradato dallo Stato italiano. E’ dunque senza fondamento sostenere che gli infoibati sarebbero stati diecimila o più, cifre fornite da autori come Pirina e Luigi Papo (ex rastrellature di partigiani). Le loro liste, in realtà comprensive di tutti i dispersi, hanno percentuali d’errore anche del 65%, come dimostrato dalla Cernigoi nel caso dei loro elenchi relativi alla provincia di Trieste.
Nel video dell’Istituto Luce proiettato a Carpi errori e rimozioni erano innumerevoli. Ne ricordo tre: [1] la foiba di Basovizza piena di 300 metri cubi di cadaveri di italiani, [2] la soppressione del CLN di Trieste per mano dei partigiani di Tito, spesso citata come esempio della politica fratricida tra i nemici del fascismo, e [3] l’idea che di foibe si sia iniziato a parlare dal maggio-giugno ’45, quando Trieste fu occupata dai partigiani jugoslavi.
La storia sulla foiba di Basovizza è una colossale costruzione mediatica basata sul nulla. La leggenda che vi siano 300 metri cubi di cadaveri è smentita platealmente da un telegramma confidenziale delle massime autorità Alleate del 19 febbraio 1946 nel quale si affermava che “la cessazione delle investigazioni [sui cadaveri nella foiba di Basovizza] è autorizzata. Per minimizzare qualsiasi effetto sull’opinione pubblica italiana e qualsiasi possibilità che gli jugoslavi interpretino la cessazione come un’ammissione che le accuse contro di loro erano infondate, siete autorizzati a rilasciare una dichiarazione pubblica che la cessazione delle investigazioni è dovuta a difficoltà fisiche sopravvenute, e che ciò non implicava che le asserzioni fatte dal CLNAI siano dimostrate essere infondate”. In una precedente relazione del 21 ottobre 1945 ad opera del Comando Generale delle Forze Armate statunitensi nel Mediterraneo si scrisse che nelle foiba di Basovizza erano stati rinvenuti solo alcune decine di cadaveri, appartenenti a soldati tedeschi della prima guerra mondiale, e carcasse di animali. Non ci furono nuove investigazioni ,ma in compenso a Basovizza abbiamo un monumento nazionale. Di questo non si deve sentire parlare: rovinerebbe una storia troppo ben costruita fatta di partigiani comunisti cattivi, e per di più slavi, e di italiani vittime innocenti di un’ideologia criminale.
Nel secondo caso si tace il fatto che a causa della repressione nazista in città si susseguirono tre differenti CLN e l’ultimo, molto diverso dai precedenti, era composto di loschi figuri che consideravano la nuova Jugoslavia come un paese nemico, provenienti anche dalla X Mas, i quali, col paravento dell’antifascismo, cercavano alleanze coi residui del regime fascista in funzione nazionalista ed anti-slava, giungendo persino a preparare attentati ed azioni armate contro i partigiani di Tito. Non è allora normale che questi ultimi abbiano pensato di arrestarli, portarli a Lubiana e processarli?
Sul terzo punto la verità storica è, se possibile, ancora più scabrosa. I primi a parlare di infoibamenti frutto di pulizia etnica anti-italiana perpetrata da partigiani slavi furono i nazisti dopo la loro tremenda ri-occupazione dell’Istria nell’ottobre ’43. Il libello nazista in questione venne divulgato nell’autunno ’43 col titolo “Ecco il conto!”. Qualcuno avverte come sgradevole far risalire l’origine della propria versione dei fatti ad un opuscolo di propaganda nazista? Poco importa ai “foibologi”, inoltre, che l’8 gennaio 1948 un giornale locale di destra quale era Trieste Sera scrisse che “se consideriamo che l’Istria era abitata da circa 500mila persone, delle quali oltre la metà di lingua italiana, i circa 500 uccisi ed infoibati non possono costituire un atto anti italiano ma un atto prettamente antifascista.” Chi commise un vero ed efferato massacro furono le SS assieme ai Repubblichini di Salò quando ripresero il controllo della penisola istriana e massacrarono 13mila persone. Difficilmente, però, ne sentirete parlare in una conferenza sulle foibe. Rovinerebbe il resto del racconto.
Non si tratta quindi soltanto di mettere a fuoco il contesto storico dell’occupazione italiana della Jugoslavia – e non sarebbe poco, considerato che la RAI si ostina a non mandare in onda Fascist Legacy, filmato della BBC sui crimini italiani in Jugoslavia – durante la quale il generale italiano Robotti si lamentò in un telegramma della scarsa crudeltà dei soldati italiani, scrivendo in modo macabro e criminale “si ammazza troppo poco”.  E’ senz’altro necessario ricordare le 300mila vittime jugoslave dell’occupazione nazi-fascista e l’opera di snazionalizzazione portata avanti nella Venezia Giulia, nell’Istria e nella Dalmazia dal fascismo fin dal 1923 con la riforma Gentile, che chiuse le scuole in cui si insegnava lo sloveno od il croato, e continuata con la confisca dei beni delle cooperative contadine “non italiane” o l’invio al Tribunale Speciale di centinaia di antifascisti slavi di nazionalità italiana.
Si tratta anche di mettere a nudo un mito storiografico che vuole rilanciare un senso comune nazionalista ed anticomunista. Un senso comune ben compendiato da affermazioni anti-slave violente ed aggressive, come quelle udite a Carpi da un esule, Antonio Zappador, sull’Istria italiana da 2000 anni – come asserirebbe un libro del 1924 che il suddetto ci ha mostrato senza citare titolo e autore – o sul non aver nulla da spartire con gli slavi, dopo che nell’assemblea precedente aveva minimizzato le tensioni tra italiani e slavi durante il fascismo paragonandole grottescamente al campanilismo tra Modena e Bologna.
Con l’istituzione della Giornata del Ricordo stiamo dando medaglie e onorificenze a incalliti criminali di guerra. Gli elenchi dei “medagliati” sono di difficile accesso. Addirittura nel 2007, in provincia di Udine, i parenti di coloro che sono stati insigniti in quanto “martiri dell’italianità” hanno chiesto l’anonimato. Gli storici Volk e Cernigoi sono riusciti ad avere un elenco incompleto per le annate 2006, 2007 e 2008. Risulta che ben il 73% dei “premiati” erano membri di forze armate fasciste o collaborazioniste. Ecco i “modelli” per i giovani. Sono persone come Vincenzo Serrentino, premiato nella Giornata del Ricordo 2007 come “ultimo prefetto italiano di Zara”, dirigente del fascio di combattimento di Zara sin dal 1920, tenente colonnello delle Camicie Nere e, dopo l’occupazione della Jugoslavia da parte dell’Asse, membro del Tribunale speciale per la Dalmazia, criminale di guerra processato dagli jugoslavi, condannato a morte e fucilato nel ’47 a Sebenico. Oppure Graziano Udovisi, recentemente scomparso, ufficiale della collaborazionista Milizia per la Difesa Territoriale condannato nella sentenza n. 165/46 della Corte d’Assise Straordinaria di Trieste per aver arrestato partigiani poi legati col fil di ferro. E si potrebbe continuare.
Per concludere, perché non è mai menzionata l’origine politica dell’istituzione della Giornata del Ricordo, fortemente voluta dagli ex di Alleanza Nazionale legati alla loro gioventù missina ma accettata supinamente anche a sinistra? Fu Maurizio Gasparri a premere perché la RAI producesse una fiction sulle foibe, “Il cuore nel pozzo”, mediocre opera di propaganda nazionalista ed anticomunista (per un’efficace critica cliccate su YouTube militant a cuore pozzo). Lo stesso Gasparri nel 2004 ipotizzò “forse milioni” di infoibati, ovvero più di tutti gli abitanti dell’Istria di allora…
Istituzioni scolastiche repressive o comunque molto diffidenti quando gli studenti si interessano o, peggio ancora, fanno politica al di fuori delle pratiche considerate “accettabili” da chi comanda, celebrano acriticamente la Giornata del Ricordo occultandone l’origine politica e la relazione col dibattito attuale e con ciò “fanno politica” in maniera tutt’altro che limpida.
Se non ci vogliamo arrendere ad una potente ventata di nazionalismo, dovremo iniziare a chiederci e a chiedere chi e cosa viene celebrato pomposamente ogni 10 febbraio. E magari a ricordarci anche che circa 40mila ex soldati italiani allo sbando dopo l’8 settembre 1943 scelsero coraggiosamente e con spirito internazionalista di unirsi alle formazioni partigiane jugoslave, albanesi e greche per distruggere il fascismo.

Francesco Giliani (insegnante di storia nelle scuole medie superiori)

Bibliografia: Claudia Cernigoi, Operazione “Foibe” tra storia e mito, KappaVu, Udine, 2005; AA.VV., Foibe. Revisionismo di Stato e amnesie della Repubblica, KappaVu, Udine, 2009 (Atti del convegno del 9 febbraio 2008 a Sesto san Giovanni [MI]); Sandi Volk, Esuli a Trieste. Bonifica nazionale e rafforzamento dell’italianità sul confine orientale, KappaVu, Udine, 2004; Pol Vice, Scampati o no. I racconti di chi “uscì vivo” dalle foibe, KappaVu, Udine, 2005; AA.VV., Revisionismo storico e terre di confine, KappaVu, Udine, 2007, (Atti del convegno del 13-14 marzo 2006 a Trieste).



Chi ha paura di Josip Broz Tito

(in ordine cronologico inverso)

1) Iniziativa del sindaco di Calalzo (Belluno), Luca De Carlo, per la rimozione di tutti i toponimi che ricordano il leader della Lotta Popolare di Liberazione dal nazifascismo, Josip Broz "Tito". Il sindaco di Parete (Caserta) dice no.
2) Tito cavaliere: Lacota chiede la revoca
3) Reggio Emilia: Respinta la mozione per cambiare nome a via Tito.
4) Nuoro: gruppo consiliare ''oscura'' Via Tito, chiede di rinominare la strada al "gladiatore" Cossiga.


=== 1 ===


Il sindaco di Parete dice no ai profughi istriani ed al suo collega di Calalzo (Belluno)

Scritto da sa.pi.   
lunedì 14 febbraio 2011

Dopo la lettera inviata al Presidente della repubblica Giorgio Napolitano dal sindaco di Calalzo (Belluno), Luca De Carlo che per rispetto di tutti gli innocenti italiani gettati nelle foibe dai partigiani comunisti della Jugoslavia governata da Tito, aveva chiesto che avvenisse la rimozione di tutti i toponimi che ricordano il defunto dittatore iugoslavo, ha risposto il sindaco di Parete, Luigi Aurelio Verrengia, il cui comune è nell’elenco delle località italiane che hanno una via dedicata a Tito. Dice Verrengia:
«Non sono favorevole a questa scelta, avendo già ricevuto un'istanza da un gruppo di profughi istriani, per evitare contrapposizioni ideologiche e politiche. Penso che sia orrenda la storia delle foibe, ma va inquadrata in un'epoca di follia storica, caratterizzata da opposte violenze, resta pur sempre la valutazione che Tito ebbe una funzione storica rispetto all'antinazismo ed all'antifascismo». Le parole di Verrengia mancano tuttavia del riferimento all’anticomunismo, sono molti gli istriani e i dalmati che vivono nell’Aversano, i quali dopo che cacciati dalle loro terre annesse alla Jugoslavia, vennero trasferiti anche in quello che divenne il Campo Profughi di Aversa.


=== 2 ===

Tito cavaliere: Lacota chiede la revoca

(ANSA, sabato 5 febbraio 2011)

Josip Broz, piu' noto come maresciallo Tito, a capo della Jugoslavia dalla fine della seconda guerra mondiale alla morte, nel 1980, e' ancora tra i cavalieri di Gran Croce della Repubblica Italiana. Lo denuncia l'Unione degli Istriani, chiedendo la revoca dell'onorificenza.
Il presidente dell'associazione, Massimiliano Lacota, ha scritto oggi al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, chiedendogli di ''voler procedere all'annullamento immediato del titolo di cavaliere di gran croce decorato di gran cordone dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, cioe' l'onorificenza piu' alta prevista dagli ordinamenti di benemerenza internazionale''.
L'onorificenza fu conferita il 2 ottobre 1969, come si legge sul sito del Quirinale, dall'allora presidente Giuseppe Saragat. ''E' semplicemente orribile e disgustoso - ha spiegato Lacota - che lo Stato italiano riconosca il dramma delle Foibe e allo stesso tempo annoveri tra i suoi piu' illustri insigniti proprio chi ordino' i massacri e la pulizia etnica degli Italiani d'Istria, ovvero il dittatore comunista Tito''.
L'Unione degli Istriani, si legge in una nota, ''informa che senza il ritiro da parte del Presidente della Repubblica dell'onorificenza concessa a Tito, nessun rappresentante potra' partecipare alla Cerimonia del 10 febbraio, Giorno del ricordo per le vittime delle foibe, al Quirinale''.


=== 3 ===

Da:  Comitato antifascista e per la memoria storica - Parma <comitatoantifasc_pr @ alice.it>

Oggetto:  'via Tito' a Reggio Emilia resiste

Data:  26 gennaio 2011 19.20.10 GMT+01.00


A Reggio Emilia rimane la via intitolata a Tito, il Consiglio Comunale ha respinto la richiesta, (ri)formulata nell'approssimarsi del "giorno del ricordo delle vittime delle foibe", di PdL e Lega Nord di sostituire il nome della via dedicata a Tito con un altro toponimo. Leggendo la cronaca, sotto riportata, non possiamo, tuttavia, non rilevare una certa debolezza della posizione della maggioranza del Gruppo Consiliare del PD che pure è stata contraria alla cancellazione del nome di Tito. Non si tratta tanto di mantenere, "salvare", la vecchia toponomastica a testimonianza del tempo in cui fu decisa, la toponomastica in quanto «figlia del proprio tempo» dice il comunicato del Gruppo Consiliare PD - da questo p.d.v. allora  si sarebbe dovuto lasciare perfino vie dedicate al fascismo e a Mussolini! -  quanto di fare ricostruzioni corrette, fare un bilancio complessivo che tiene conto di tutti gli aspetti. Nella visione complessiva, il sistema jugoslavo creato da Tito ha avuto insieme pregi e meriti particolari e aspetti illiberali e autoritari, la politica estera e internazionale di Tito è stata largamente apprezzata, anche e a lungo dall'Occidente, soprattutto, Tito è stato l'artefice di una grande lotta popolare contro il nazifascismo. Non si cancella la Resistenza jugoslava, la più grande lotta popolare in Europa per la liberazione dal nazifascismo! Non dimentichiamo mai, anche a proposito dei morti delle foibe, la precedente aggressione e occupazione della Jugoslavia da parte della Germania nazista e dell'Italia fascista! «Oggi a nessuno verrebbe l’idea di istituire una via a Tito» dice ancora il comunicato del PD, però oggi, nel momento in cui più violento e mistificatorio si fa il "revisionismo storico" i democratici antifascisti devono difendere con convinzione la storia della Resistenza e i suoi valori di fondo, Resistenza jugoslava capeggiata da Tito compresa.
A proposito dell’ "ultimo testimone reggiano delle foibe Graziano Udovisi" leggere anche il libro di Pol Vice "La foiba dei miracoli" KappaVu ed., Udine 2008
 
 
 

Respinta la mozione per cambiare nome a via Tito


25 GENNAIO 2011 18 VISUALIZZAZIONI NESSUN COMMENTO

Eboli (Pdl) e Parenti (Lega): “Il Comune organizza iniziative a ricordo dei Martiri delle foibe e non cambia toponimo alla via intitolata al principale responsabile di quei massacri”La risposta: “polemica di basso cabotaggio”


REGGIO – I consiglieri comunali Marco Eboli, Cristian Immovilli, Claudio Bassi (Gruppo Pdl) e Andrea Parenti (Gruppo Lega nord) hanno commentato oggi nel corso di una conferenza stampa l’esito del voto che ieri in Sala Tricolore ha visto respingere una mozione promossa dallo stesso Eboli. La proposta era di sostituire, in occasione della Giornata del Ricordo, il nome della via dedicata al maresciallo Tito con un altro toponimo. Il nome suggerito con la mozione era  quello di Rolando Rivi, seminarista di Castellarano per il quale è avviato il processo di beatificazione. La mozione è stata respinta con 17 voti contrari (Gruppi Pd e SeL) e 9 favorevoli (Pdl e Lega nord).
Le polemiche più accese quelle con il capogruppo comunale del Pd Luca Vecchi, che “arrampicandosi sugli specchi” avrebbe motivato il voto contrario del gruppo con la constatazione che Tito, responsabile dei massacri delle foibe, “nonostante tutto, è stato un grande statista”. Anche la presidente del Consiglio comunale Emanuela Caselli, del Pd è stata oggetto di critiche per il suo voto contrario e lo stesso sindaco Graziano Delrio, che invece non ha partecipato al voto, le cui iniziative in ricordo dei Martiri delle foibe, tra le quali la recente visita prima della scomparsa all’ultimo testimone reggiano delle foibe Graziano Udovisi, sono state giudicate in contraddizione con l’atteggiamento tenuto ieri  dalla maggioranza che lo sostiene.
“Le motivazioni di Vecchi – hanno detto Eboli e Parenti – testimoniano l’arretratezza dei consiglieri, anche giovani, che provengono dall’ex partito comunista e fanno parte di una formazione politica che ha la pretesa di definirsi partito democratico”. Unico consigliere che si è distinto dalla maggioranza, il direttore di Istoreco Nando Rinaldi – che non ha partecipato al voto – al quale i consiglieri di Pdl e Lega hanno riconosciuto maggiore onestà intellettuale rispetto ai colleghi del Pd. Secondo Immovilli, l’atteggiamento dei consiglieri del Pd testimonia una deriva di sinistra e un’assenza dei cattolici che militano in quel partito. A sostegno della mozione Eboli ha anche ricordato che, nel 2005, il comune di Imola ha tolto l’intitolazione di un parco a Tito, mentre “a Reggio si mantiene un atteggiamento contraddittorio, che porta a partecipare e organizzare iniziative in ricordo dei Martiri delle foibe, ai quali è stata intitolata una via, e non si elimina un toponimo che ricorda il principale responsabile di quei tragici episodi”.

La risposta del Pd

In serata è arrivata la replica del gruppo consigliare del Pd in Comune. “Le accuse che arrivano dall’opposizione sulla decisione di non revocare l’intestazione di una strada a Tito, già presidente della Repubblica Jugoslava, sono impostate sulla solita oziosa demagogia e sono da rigettare. Una cosa è la storia, un’altra cosa è la toponomastica e più precisamente la storia della toponomastica cittadina”. Si legge tra le righe del comunicato: “a nessuno di noi sfugge il dramma della vicenda delle Foibe, ivi comprese le responsabilità che furono del presidente Tito in quel frangente della storia. Ma non ci sfuggono nemmeno la complessità e le contraddizioni del ruolo giocato dal maresciallo Tito nella vicenda politica mondiale del Novecento. Tito è stato infatti definito dal capogruppo Luca Vecchi dittatore e uomo di Stato che ha attraversato oltre 30 anni della storia internazionale. E’ indubbio che gli amministratori dell’inizio anni Ottanta, che decisero l’intestazione fossero certamente calati nel sentire comune del proprio tempo. Oggi a nessuno verrebbe l’idea di istituire una via a Tito. Ma il pregio della toponomastica è proprio questo: l’essere figlia del proprio tempo, contribuendo a stratificare l’evoluzione e i cambiamenti intervenuti nel sentire comune di ogni epoca, di una città, di un Paese, di un continente”.
Stoccata, in chiusura, all’opposizione. “Secondo la logica del centrodestra che dovremmo fare di via Adua, di via Makallè, o di tanti luoghi, anche in questa città, ancora oggi intestatari di fatti tragici che pesano ancora come gravi responsabilità storiche della storia del nostro Paese? Questo è il centrodestra della nostra città, che già aveva sollevato questa proposta nel 2003. Questa è la vacuità delle loro proposte e dell’iniziativa politica che li contraddistingue. Questo è lo spirito che ha scomposto la discussione consiliare. Ci è sembrata una discussione troppo strumentale e faziosa, politicamente poco seria, per un Consiglio comunale che avrebbe il compito di dedicarsi con assoluta attenzione a ben altri problemi”.



=== 4 ===

L'Unione Sarda, 19 novembre 2010

Nuoro: gruppo consiliare ''oscura'' Via Tito

Una piccola questione di Stato è scoppiata a Nuoro dopo che il Consiglio comunale ha respinto la proposta di intitolare una via cittadina al presidente emerito Francesco Cossiga. La protesta ha preso i contorni di una provocazione con il gruppo del Pdl in Consiglio comunale che, coprendo la targa intitolata a Tito, accusato di aver ucciso migliaia di italiani nelle foibe, ha sovrapposto un adesivo con l'intitolazione "Via F.Cossiga - Presidente della Repubblica".

"La nostra non è solo una provocazione - hanno spiegato consiglieri comunali, regionali e simpatizzanti del Pdl presenti alla manifestazione - è anche un modo per riparare il grande torto fatto in Aula ad un uomo che aveva fatto della sardità la sua bandiera. Come ha dimostrato anche dopo la sua morte: ha chiesto di essere sepolto in Sardegna e che la sua bara fosse avvolta dai Quattro Mori. Nuoro, che è la culla dell'identità sarda, avrebbe dovuto premiarlo". La città si è divisa tra favorevoli e contrari sull'intitolazione della strada a Cossiga, tanto che un quotidiano locale ha svolto anche un mini referendum che ha dato ragione alla maggioranza di centrosinistra.




http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=22909

Global Research - January 22, 2011 /  Politika Daily Monday, 10 January 2011 (page 1 and 7)

Fact and Propaganda: Yugoslavia and The "Politics of Genocide"

by Stanko Stojilkjovic 


Is it possible that the prevailing current usage of the word genocide is “an insult to the memory of the Nazi regime's victims”? 

This incisive thought of Noam Chomsky was taken from the preface he wrote to an astonishing book titled “The Politics of Genocide” by Edward Herman and David Peterson, published in Belgrade in 2010 by Vesna info.

Edward Herman is a professor emeritus teaching finance at the University of Pennsylvania and David Peterson is a free-lance journalist. What an unusual match, you might think at first. However, if you check the exhaustive list of references you will find out that they have worked on at least two more published books, both dedicated to the former Yugoslavia and its disintegration. David Peterson is author of another dozen published books, either alone or in cooperation with other authors.  

According to Noam Chomsky, the end of the Cold War “opened an era of Holocaust denial,” in which the humanitarian bombing of Yugoslavia (read: Serbia) is far from being the last piece of the puzzle.  

According to “Counter-Revolutionary Violence: Bloodbaths in Fact and Propaganda,” written by Edward Herman and Noam Chomsky, in the period between 1945 and 2009 the USA organized “major” military interventions in as many as 29 countries. “Thanks to its dominant position and its global counter-revolutionary efforts, the US has been the key single instigator, organizer and provider of moral and material support for some of the heaviest bloodshed that took place after the World War Two.  

"US officials, supported by the media and intellectuals close to the administration (“genocide intellectuals”), have mastered the skills of “crime management” used to draw the attention of the public away from the violence instigated and endorsed by the leading global super-power and direct the public eye towards the violence perpetrated by US enemies."

In line with this the authors [Herman and Peterson] have come up with an unusual classification of the bloodbaths into four categories: constructive, benign, criminal and mythical. 

“The largest genocidal act undertaken in the last thirty years was the economic sanctions imposed on Iraq following the invasion of Kuwait in 1990, both in respect of the number of victims and in respect of full awareness of the impact of this policy among its creators,” reads the introductory section of the book. 

The New York Times revealed that “in the long run, Iraq has been pushed back into pre-industrial times, though it still suffers from post-industrial dependence on energy and technology.” And the Washington Post, quoting a reliable source, stated that “the bombs… were targeted at everything that was vital for survival of the country.” Sounds familiar, doesn't it? 

Denis Halliday, the leading UN humanitarian coordinator in Iraq, resigned, issuing a statement that the overall effects of the sanctions were comparable to that of genocide. And Eleanor Robinson, lecturer at the Old Soul College in Oxford (England), added: ”You will have to go back in time as far as the Mongol invasion of Baghdad in 1258 to find an example of pillage of comparable magnitude.” You can guess who was doing the pillage! 

Edward Herman and David Peterson have exposed the ill doings of politicians, intellectuals and reporters who used the word genocide in their reports on the most deadly world crisis since the end of the World War Two (5.4 million dead between 1998 and 2007 in DR Congo) only 17 times, while the killing of 4,000 Albanians in Kosovo and Metohija was qualified as genocide as many as 323 times! 

George Robertson, British Defense Minister, admitted during a hearing before Parliament: “Before Račak this year (24 March 1999), the KLA was responsible for more deaths in Kosovo than the authorities of Yugoslavia”. The number of killings since 1998 was estimated at 2,000, and 500 of these killings were attributed to Serbian forces.  

“During the civil wars in the wake of the disintegration of the former SFR Yugoslavia in the nineties, the USA, Germany, NATO and EU supported national minorities which insisted on breaking away from the federal state and acted against the national group of Serbs who persisted in their efforts to save the former Yugoslavia. That is why the Western powers strongly supported first Croats and Slovenes, later Bosnian Muslims, and finally Kosovo Albanians,” explained Edward Herman and David Peterson, quoting a number of critically acclaimed works. 

We are also informed that the NATO forces supported, “even coordinated war operations, and as there were numerous cases of ethnic cleansing and ethnically motivated killings, it was only natural that expressions such as ethnic cleansing, massacre and genocide were applied primarily to the war acts of the Serbs.” Regarding the “Srebrenica massacre”, they say that there is no proof that Serbian forces killed anyone but “Muslim men capable of army service,” taking care to evacuate all children, women and the elderly by buses.  

“If Račak was a contrived crime, and we believe that it was, then the war sold to the world on the strength of this crime was based on a lie, and therefore any claims that the war was waged on humanitarian grounds must be disputed, if for no other reason then on account of this fact alone,” said Edward Herman and David Peterson, referring to their own article “CNN: Sale of a NATO War on a Global Scale” from 2009.  

“The Račak massacre” perfectly suited the needs of Bill Clinton's administration and NATO and provided them with an excuse to launch the air attacks against Yugoslavia (Serbia), which had been prepared for a long time, soon after the failure of the negotiations in Rambouillet, “one of the greatest staged deceptions in recent history.” 

When Madeleine Albright was first informed that the attacks had been launched, she commented with delight: “Spring has come early to Kosovo this year.” 

This valuable book meticulously reveals the double standards applied to war acts in Darfur (Sudan), Rwanda, Iraq, Lebanon, Afghanistan, Indonesia, Guatemala, El Salvador, and so on.