Informazione


L'operaio low cost e la "Fiat Bomba"

1) L' operaio low cost di Zastava: Con quei 400 euro sono rinato (E. Livini)

2) La Fiat Bomba / Le newco del mondo libero (A. Di Meo / A. Robecchi)


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L' operaio low cost di Zastava 

Con quei 400 euro sono rinato

KRAGUJEVAC - L' incubo di Mirafiori è un omone di un metro e 90 con una stretta di mano che fa scrocchiare le nocche: «Piacere Boris Djoric!» si presenta nell' anticamera del suo piccolo appartamento tra i casermoni di Stara Radnika Kolonija a Kragujevac, 140 km. a sud di Belgrado. Il cognome stampato con una vecchia Dymo sotto il campanello di casa sarebbe un altro. Ma lui strizza l' occhio: «Non ci faccia caso - dice - . Mi fido di lei e la ricevo solo perché mi è stato presentato da un carissimo amico». Messaggio ricevuto. «La prego di capirmi. Ho quasi cinquant' anni, fino a vent' anni fa non ci sarebbero stati problemi - spiega sprofondando in una vecchia poltrona - Lavoravo alla catena di montaggio di Zastava-Fiat. Prendevo 1.800 marchi (quasi mille euro) di stipendio al mese. E con mia moglie ci concedevamo il ristorante una volta alla settimana. Ma sa qual è adesso il più bel giorno della mia vita? Il 28 febbraio scorso. Quando ho finito il periodo di prova in Fiat Automobili Srbija. E, dopo aver buttato via due decenni della mia esistenza, ho ritrovato un posto di lavoro fisso». Stipendio? «Poco più di 400 euro, una fortuna che non posso permettermi di rischiare ora». Nell' era del «Dopo Cristo» dell' auto - per dirla con Sergio Marchionne - la felicità è una categoria soggettiva. A Mirafiori è allarme rosso per la decisione del Lingotto di spostare a Kragujevac la produzione della nuova monovolume del gruppo. Boris invece - l' operaio low cost che guadagna un quinto di quanto prendeva nel `90 - fa festa. «Capisco i miei colleghi italiani. Siamo tutti sulla stessa barca, spero alla fine ci sia lavoro per tutti. Ma per me è la fine di un incubo». La sua storia è quella del suo Paese. «Tutto è iniziato ad andare male con le sanzioni a inizio anni ' 90», racconta. Poi è arrivata la guerra. «Ho visto gli aerei Nato bombardare la fabbrica dove lavoravo. E nel ' 95 sono rimasto senza lavoro». Come altri 45mila qui a Kragujevac, orfani dello smantellamento del glorioso conglomerato serbo. «Come ho fatto a campare? Mi sono arrangiato - ricorda facendo ballare tra le mani una tazza di caffè - Ho vissuto per oltre 10 anni con un assegno mensile di 16mila dinari (150 euro) garantiti dallo Stato. Ho arrotondato vendendo metallo e macchinari recuperati delle fabbriche distrutte. Ho avuto qualche impiego saltuario nell' edilizia». Ristoranti zero. «In tavola ci sono stati solo pane e frittelle di grano per mesi. Ho tagliato le sigarette da 20 al giorno a due alla settimana». Una vita d' inferno: «Già nel ' 93 con mia moglie avevamo abbandonato il sogno di un figlio. Nel ' 97 mi hanno tagliato la corrente perché non pagavo le bollette. Due anni dopo ho lasciato casa mia, 120 euro d' affitto al mese, per trasferirmi in una baracca con i servizi di fortuna a 70. E solo tre anni fa il governo mi ha trasferito a 100 euro qui. E chiude un occhio se ritardo con i pagamenti». Il vento però è cambiato. Boris, i suoi affitti arretrati e la sua rassegnazione («trent' anni fa non mi sarei mai immaginato che la vita potesse andare indietro invece che avanti») sono un' occasione irripetibile per un capitale che insegue per il mondo la stella polare dei bassi costi. I politici di Belgrado e Veroljub Stevanovic, storico sindaco di Kragujevac e per 15 anni direttore di Zastava-Fiat, hanno cavalcato l' onda: «Eravamo, siamo e saremo la città dell' automobile. Eravamo, siamo e saremo figli della Fiat», dice il primo cittadino. Hanno messo sul piatto incentivi d' oro, benefici fiscali, 200 milioni di investimenti statali per risistemare la fabbrica (su un miliardo totale). E persino, ciliegina sulla torta, il progetto di un maxi-monumento alla Fiat: «Un' automobile su una piattaforma girevole nella seconda rotonda all' ingresso del paese, subito dopo il grande Crocefisso della prima rotonda», anticipa l'orgoglioso borgomastro [cfr. https://www.cnj.it/documentazione/orrori.htm ]. Sforzi che come dimostra il caso di Boris (e malgrado i 20mila disoccupati sui 200mila abitanti della città) iniziano a pagare. «Quando l' autunno scorso mi hanno convocato con i 3mila reduci di Zastava auto per i colloqui in Fiat ero emozionato come per un esame a scuola», racconta. Ha preso il suo foglio, risposto a quasi tutte le domande del test («di quelle di meccanica non ne ho sbagliata una». E quando a gennaio il Lingotto ha assunto le prime mille persone («saranno 2.500 quando nel 2012 produrremo 220mila auto l' anno, come vent' anni fa», dice soddisfatto il sindaco») Boris era nella lista. «Il giorno in cui me l' hanno detto ho chiamato mia moglie e per la prima volta dal ' 91 siamo usciti a cena». Salsicce, verdure e dolce con vista sul fiume Lepenica («una volta sapevamo di che colore stavano verniciando le auto dalla tinta dell' acqua», scherzano qui). Prezzo 900 dinari, nove euro. «Un mezzo tesoro per noi, ma dopo tanti guai». E' la legge dei vasi comunicanti. L' Italia e gli operai di Mirafiori rischiano di scendere la scala dei diritti sociali e del lavoro. Kragujevac e il suo operaio low-cost Boris ritornano a salire. «So che sono uno strumento, non sono stupido. Fiat è qui per guadagnare, non per migliorare la mia vita. Ci pagano poco, in fabbrica tra di noi ci lamentiamo. E magari tra 15 anni perderemo il lavoro a favore di una fabbrica a basso costo in Africa. Ma dopo tutto quello che ho passato non penso al domani. E mi tengo stretti i miei 400 euro. L' unico problema è che in Fiat non posso più fumare alla catena di montaggio come si faceva in Zastava». Qualcuno in Italia - buttiamo lì - sostiene che la scelta di Kragujevac per la monovolume sia solo una boutade di Marchionne per strappare concessioni a Mirafiori. Boris si irrigidisce sulla poltrona, trangugia l' ultimo sorso di caffè e guarda fuori dalla finestra, verso le gru gialle al lavoro per rinnovare lo stabilimento di Fiat Automobili Srbija. «Non ci voglio nemmeno pensare». Con quel che ha passato è difficile dargli torto.


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La Fiat Bomba

Nell’articolo di Alessandro Robecchi di domenica scorsa su “il manifesto”, “Le newco del mondo libero”, mancava all’elenco un modello di auto: la Fiat Bomba.
Questa potrebbe davvero essere prodotta in Serbia, proprio in quella fabbrica, la Zastava, distrutta dai bombardamenti del 1999. Ci racconta Rajka Veljovic, del sindacato Samostalni, che ormai non esiste più, messo all’angolo e lasciato senza i secondi...
“Nel 99 fummo uniti a difendere la Zastava. Stavamo dentro, invitammo le maggiori testate televisive europee per dire che non avremmo abbandonato quella che era la nostra seconda casa. Ma ci bombardarono lo stesso.”
L’intera intervista è riportata nel film-documentario “L’urlo del Kosovo”, che in questi giorni esce unitamente al libro di cui Tommaso Di Francesco ha scritto appassionata recensione il 23 luglio [cfr. http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/6808 ].
Quella che era la Torino dei Balcani, la città jugoslava di Kragujevac e quella che era la Fiat dei Balcani, la Zastava, furono bombardate senza nessun tipo di remora o ritegno, il giorno della Pasqua ortodossa, mandando in frantumi strutture, macchinari e... uova pasquali, colorate e pronte da distribuire fra i lavoratori. In un vortice dove tutto si mischia, vita e morte, dramma e grottesco, lacrime e scoppi di risate, fu bombardata quella che era la seconda casa di questi lavoratori, così come tutta la Serbia e così come tutto il Kosovo, ultima amputazione in ordine cronologico della Jugoslavia, ultimo schiaffo in faccia ai Serbi.
A Kragujevac un inquinamento ambientale spaventoso dovuto alle fuoriuscite di materiale tossico e oli combustibili usati nelle lavorazioni industriali, ha causato e causa tuttora, nascite con malformazioni e l’insorgenza di malattie tumorali mentre i profughi, che da Kragujevac a Kraljevo vivono sparsi in decine di migliaia, molti dei quali provenienti dalle fabbriche satelliti della Zastava, in particolare da Pec, nel Kosovo occidentale, hanno reso, loro malgrado, la situazione di vita quotidiana drammatica per tutti. Cacciati senza nessuna possibilità di ritorno dalla loro terra, dalla loro vita, nel giro di poche ore dal 10 giugno del 1999, con la Kfor che assisteva “distratta” alle violenze dell’estremismo panalbanese, vivono spesso di sussidi, aiuti, e lavori saltuari. Lavoro diventato una chimera anche per chi lo aveva sempre avuto garantito.
Salari che non arrivano ai 200 euro, prezzi che salgono alle stelle, le verdure più semplici che arrivano anche a un euro al chilo, mentre rasenta i due euro al chilo la carne, senza contare le spese fisse per elettricità, riscaldamento e altro, con il dinaro che ogni mese perde  punti, (dall’inizio dell’anno a oggi è passato da 95 per 1 euro ai 105 attuali), se non fosse per le secolari capacità di adattamento alla tragedia delle donne e degli uomini di questo popolo, sarebbe la catastrofe.
E invece, eccoli che ancora resistono. Si resiste a Kragujevac, città che nell’ottobre del ’41 vide intere generazioni di uomini e ragazzi e adolescenti ammazzate in un giorno e mezzo dalla belva nazifascista. Oggi un parco ricorda quell’eccidio al cui confronto le nostre Fosse Ardeatine diventano una carezza. Sa sopportare la gente di Kragujevac il destino avverso, ci vuole ben altro che un Marchionne qualunque per piegarla. Ma questa contrapposizione fra lavoratori italiani e serbi fa molto male, soprattutto a loro. Perché nella sede del vecchio sindacato campeggiano alle pareti le foto della solidarietà, che ancora unisce i lavoratori italiani e serbi, attraverso i sostegni a distanza di centinaia di famiglie di operai o ex operai della Zastava. Dalla Fiat non è arrivata una lira, ancora oggi, mentre dai lavoratori delle varie organizzazioni sindacali la solidarietà non è mai mancata, da quel maledetto 24 marzo 1999 fino a oggi. Non avrebbero mai pensato di doversi trovare coinvolti in queste strumentalizzazioni, vere e proprie guerre fra poveri.
Dalla Fiat, che prima delle bombe era solita mandare panettoni, sono arrivati solo diktat e imposizioni che hanno avuto, come conseguenza, licenziamenti in massa, subappalti, ritmi di lavoro disumani, perdita di garanzie e diritti, impoverimento dei salari, perdita di futuro.
Bisogna che questi ponti fra lavoratori italiani e serbi non vengano distrutti dalla superficialità e dalla propaganda, così come vennero distrutti tanti ponti della Serbia durante i bombardamenti. Vogliono le guerre fra i poveri, ma è ora che i “poveri” comincino a guardare oltre il loro stretto utile quotidiano, perché ci sarà sempre qualcuno più ricattabile pronto a fare gli interessi di manager e aziende senza scrupoli. E gli stessi lavoratori dovranno diffidare dei tanti, soprattutto politici che, a parole, sono con loro ma poi, nei fatti, li lasciano soli. Chi sta rischiando davvero di essere ridotto alla fame, sono soltanto loro, i lavoratori. Pensano di ridurli  a più miti pretese, tenendoli sotto ricatto. Ma potrebbero sbagliare e dare modo alla solidarietà di avere il sopravvento.
E allora, questa Fiat Bomba davvero potrebbe diventare un veicolo affidabile, da prodursi in cooperazione Italo-Serba. La Fiat Bomba, della solidarietà.

Alessandro Di Meo

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Il Manifesto del 25.07.2010, p.1

FOGLIETTONE   |   di Alessandro Robecchi

Le newco del mondo libero

Grazie alle nostre talpe nella sede centrale Fiat, a Detroit, siamo giunti in possesso dei futuri piani di sviluppo dell'azienda americana. Eccoli.

La Fiat Lapa, burinissima e riconoscibile dai tatuaggi sulle portiere, verrà prodotta nel Borneo meridionale. L'accordo prevede sgravi fiscali per i prossimi duemila anni ad aziende guidate da figli di scrittori imbolsiti il cui nome cominci per E e finisca per lkann. Per ogni operaio assunto, il governo darà alla Fiat l'equivalente di ottomila dollari in banane. Marchionne si è mostrato interessato. Il Corriere della Sera ha lodato la maturità dei sindacati locali.

La Fiat Kakka, la monovolume di forma cilindrica allungata, sarà prodotta in Corea del Nord. I sindacati nordcoreani sono entusiasti per il salto di qualità salariale dei loro iscritti: «Una banana al mese per una famiglia nordcoreana è come vincere al totocalcio». I turni di lavoro di 32 ore consecutive con una pausa per il bagno di ventisei secondi sono considerati lussi occidentali, «esagerati» secondo La Stampa di Torino.

La Fiat Sòla, la macchina sportiva per fughe veloci, si produrrà molto probabilmente in Brasile. Il governo si impegna a fornire alla Fiat sgravi fiscali, soldi in contanti per ogni operaio assunto e incentivi per tutti i manager con la panza che si presentino in maglione anche se ci sono 54 gradi all'ombra. Tutto in anticipo, così quando Fiat dirà che non se fa più niente, avrà già incassato un discreto gruzzoletto e potrà annoverare la Fiat Sòla tra i suoi successi.

La Fiat Panda. Dovevano farla a Pomigliano, ma disgraziatamente il sindacato non è collaborativo come quello di Pyongyang. In linea con lo stile Fiat, chiuderà anche Mirafiori e il nuovo modello si costruirà in Serbia, con un nuovo nome. Si chiamerà Fiat Rappresaglia: per ogni macchina costruita si licenzieranno quattro lavoratori italiani. I rastrellamenti sono già cominciati a Termini Imerese e risaliranno la penisola nei prossimi mesi.


(italiano / english / deutsch)

Kosovo: Life under the toxic mountain

1) Negligenza mortale (VI puntata)

2) Flashback: “Scandalous treatment of Roma in Kosovo” (Tanjug, february 2010)


LINKS:

Kosovo: Life under the toxic mountain (video)

16/07/2010 - After the destruction of their homes and forced expulsion from South Mitrovica in Kosovo in 1999, the Roma people were displaced to temporary UN camps at the foot of mountains of toxic lead waste. Ten years later, families are still there suffering from chronic lead poisoning.

Link: http://www.guardian.co.uk/world/video/2010/jul/15/lead-refugees-mitrovica-kosovo


* UNICEF-Studie zur Lage der Roma-Kinder aus dem Kosovo: Kinder ohne Chance 

8. Juli 2010 - Rund 5.000 Kinder aus Familien der Roma und weiterer ethnischer Minderheiten sollen in den kommenden Jahren aus Deutschland in den Kosovo abgeschoben oder rückgeführt werden, obwohl sie dort kaum eine Perspektive auf Schulbildung, medizinische Versorgung und gesellschaftliche Integration haben. Zu diesem Ergebnis kommt eine neue UNICEF-Studie zur Lage von Roma-Kindern in Deutschland und im Kosovo.  

http://www.roma-kosovoinfo.com/index.php?option=com_content&task=view&id=259&Itemid=1


* UNICEF: Zur Situation von Kindern kosovarischer Roma, Ashkali und Ägypter in Deutschland und nach ihrer Rückführung in den Kosovo 

http://www.unicef.de/download.php?f=content_media/presse/Roma-Studie_2010/UNICEF-Studie_Roma_2010neu.pdf


* Thomas Hammarberg: "Children victimised when families are forced to return to Kosovo" 

08 July 2010 - The Council of Europe Commissioner for Human Rights (CHR), Thomas Hammarberg, has published a comment today following a UNICEF report on what has happened to those who were forcibly returned from Germany to Kosovo. Highlighting that in the last few years, several thousand persons, including Roma,Ashkali and Egyptians, have been forcibly returned to Kosovo by west European states (mainly from Austria, Germany, Sweden and Switzerland) the CHR expresses his concern that children are the ones most affected by these forced returns, as many of them have little or no attachment at all to Kosovo. Furthermore, as they are often sent away without warning, they find themselves with no documents in Kosovo, rendering them de facto stateless.

The comment is available here: http://commissioner.cws.coe.int/tiki-view_blog_post.php?postId=56

The UNICEF Report is available in German only here:

http://www.unicef.de/download.php?f=content_media/presse/Roma-Studie_2010/UNICEF-Studie_Roma_2010neu.pdf


* Abschiebung ins Nichts, DRadio Wissen, 8.7.2010 

http://wissen.dradio.de/index.33.isuv.html?dram:article_id=4033

* "Ich kann mir vorstellen, wie verzweifelt die Leute sind", junge welt, 5.7.2010 

http://www.jungewelt.de/2010/07-05/027.php


* Was sollen die im Kosovo?, tageszeitung, 30.6.2010 

http://www.taz.de/1/politik/deutschland/artikel/1/was-sollen-die-im-kosovo/


* Gruppenabschiebung nach Kosovo gestoppt, Neues Deutschland, 23.6.2010

http://www.neues-deutschland.de/artikel/173713.gruppenabschiebung-nach-kosovo-gestoppt.html

* Council of Europe calls deporting refugees back to Kosovo irresponsible, Deutsche Welle, 15.4.2010 

http://www.dw-world.de/dw/article/0,,5469539,00.html


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Negligenza mortale (VI puntata)

by Paul Polansky

[continuaHarri Hermanni Holkeri

L'ANTI-PREMIO CITAZIONE INUTILE: alla persona che amava fare citazioni giornaliere, ma queste citazioni non hanno salvata nemmeno una vita in Kosovo. Riguardo ai Rom e agli Askali, Harri rifiutò di mettere in pratica quanto predicava, da qui questo anti-premio.

Le Citazioni giornaliere di Holkeri

  • Quello che possiamo fare come individui può non essere molto nella scala globale, ma dobbiamo iniziare il cambio vivendo come insegniamo.
  • Se non accettiamo il pensiero altrui, non si può progredire nel proprio interesse. Abbiamo bisogno dell'altrui aiuto per ottenere risultati.
  • Uomini e donne hanno il loro ruolo - i loro ruoli sono differenti, ma i loro diritti sono uguali.
  • Ci sono molte sfide, ci sono molti ostacoli: cerchiamo di cambiare gli ostacoli in vantaggi.
  • Abbiamo gli strumenti, ma dobbiamo imparare come usarli. Questa è la mia filosofia politica.
  • In crisi nazionali o internazionali, ci sono sempre questioni di mancanza di confidenza. Devi cambiare le menti delle persone se vuoi ottenere risultati.
  • Non voglio parlare di sovrappopolazione o di controllo delle nascite, ma penso che l'istruzione sia la maniera di dare nuovo impeto alla questione della povertà.
  • Non puoi prendere decisioni facili se prima non ti impegni per difficili soluzioni.

Holkeri è nato il 1 gennaio 1937 ad Oripaa, Finlandia. Divenne membro del Partito della Coalizione Nazionale di Finlandia (Kokoomus) e poi del Parlamento dal 1970 al 1978. Holkeri fece parte del tavolo dei direttori della Banca di Finlandia nel 1978-97 e fu candidato alle elezioni presidenziali nel 1982 e nel 1988. Fu Primo Ministro dal 1987 al 1991. Più tardi divenne speaker dell'Assemblea Generale dell'ONU (2001-2001). Giocò anche un ruolo costruttivo nell'Accordo del Buon Venerdì in Irlanda del Nord. I suoi sforzi vennero premiati con il cavalierato onorario conferitogli dalla regina Elisabetta II. Venne poi nominato Rappresentante Speciale del Segretario Generale in Kosovo.

Se sotto l'SRSG Steiner tutti gli aiuti alimentari ai campi zingari vennero interrotti, sotto l'SRSG Holkeri i campi furono completamente ignorati. Nonostante gli appelli a portare la questione all'attenzione del suo staff, l'invisibile Holkeri rimase tale eccetto per le sue dichiarazioni quotidiane. Nel maggio  2004 Holkeri si ritirò dalla sua posizione presso l'UNMIK, adducendo problemi di salute dopo un collasso per esaurimento a Strasburgo. Il collasso avvenne il giorno dopo che Holkeri aveva visitato il quartiere generale ONU a New York, dove disse al Consiglio di Sicurezza che l'orgia di violenze di metà marzo (2004) aveva scosso la missione nelle "sue fondamenta". A seguito di intensi scontri tra la KFOR ed estremisti albanesi, l'UNMIK riportò che 4.366 Serbi ed alcuni Rom erano stati costretti a fuggire dalle loro case. Inoltre erano state distrutte o danneggiate circa 950 case, assieme a 36 chiese, monasteri ed altri monumenti serbi. Sotto Holkeri l'ONU fu lento a reagire. Molti osservatori ritengono che lui non comprese a sufficienza la situazione in Kosovo. Però, concordò nell'evacuare dalle loro case oltre 4.000 Serbi usando la polizia ONU, creando così un precedente in Kosovo per lo sgombero forzato quando le vite umane fossero a rischio. Fino ad oggi, non ha elaborato una dichiarazione per quella filosofia umanitaria.


PREMIO TESCHIO E TIBIE INCROCIATE al funzionario ONU sotto il cui sguardo morirono più bambini e feti di ogni altra epoca, nei nove anni in cui l'ONU amministrò questi campi della morte per gli zingari del Kosovo.

Jessen-Petersen nato nel 1945 a Nørrensundbay, Danimarca, venne nominato Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per il Kosovo e capo dell'UNMIK il 16 giugno 2004 e mantenne la posizione sino alla fine di giugno 2006. Jessen-Petersen è attualmente Direttore dell'ufficio di Washington Indipendent Diplomat, lettore presso la Scuola di Servizi Esteri all'Università di Georgetown, e Studioso Ospite all'Istituto di Pace degli Stati Uniti (USIP).

Jessen-Petersen ha avuto una lunga carriera nelle Nazioni Unite. Avvocato e giornalista per formazione, iniziò il suo servizio nel 1972 presso l'ufficio dell'Alto Commissario ONU per i Rifugiati (UNHCR) in Africa. Nei successivi 30 anni salì diversi gradini nell'UNHCR, nei vari uffici di Stoccolma, Ginevra e New York ed infine nel 1998 venne nominato Inviato Speciale dell'UNHCR nella ex Jugoslavia. Attualmente risiede a Washington DC con la moglie di diciannove anni e due dei suoi quattro figli.

Nonostante una carriera apparentemente distinta con l'Alto Commissario ONU per i Rifugiati, Jessen-Petersen perse il proprio compasso morale in Kosovo quando i bambini Rom/Askali iniziarono a morire di avvelenamento da piombo nei campi UNHCR e lui si rifiutò di evacuarli come richiesto dall'OMS. Sino a novembre 2004, in molti non sapevano che i campi zingari fossero così pericolosi, nonostante il rapporto medico ONU inviato all'SRSG Bernard Kouchner ad ottobre 2000. Ma quando nel 2004 venne portata a conoscenza la morte di Jenita Mehmeti nel campo ONU di Zitkovac, venne svelato il tentativo dell'UNMIK di nascondere la verità, anche se Jessen-Petersen tentò di far luce sulla tragedia. Quando la TV del Kosovo chiese a Jessen-Petersen del mio libro dove spiegavo l'avvelenamento da piombo, l'SRSG replicò "Polansky non ha di meglio da fare."

Per mascherare il proprio dilemma morale, Jessen-Petersen tentò di dire alla stampa che gli Zingari si stavano avvelenando da sé smaltendo le batterie delle auto. Anche se l'ONU aveva davvero dato licenza per smaltire le batterie e permesso di tenerle nei campi ONU, un dottore tedesco (Klaus Runow) aveva raccolto campioni dei capelli in 66 bambini dei campi e trovato 36 elementi tossici nel loro corpo, non presenti nelle batterie delle macchine. Jessen-Petersen tentò allora di "curare l'avvelenamento da piombo" donando150.000 euro prendendolo dal budget per il Kosovo. Ma fu solo un tentativo cosmetico, neanche un euro servì a curare un bambino dato che vennero sprecati per voci non mediche: 24.000 euro per latte scremato, 12.000 per saponi e shampoo, 9.500 euro per fumigare le baracche e 33.000 euro per i kit di analisi del suolo. Nonostante venisse detto che l'avvelenamento da piombo non potesse essere curato finché i bambini e le donne incinte (i più vulnerabili) non fossero rimossi dalla fonte dell'avvelenamento, Jessen-Petersen rifiutò ancora di evacuare i campi. Sotto il suo sguardo morirono più di 30 Zingari.


Fine sesta puntata. Le puntate precedenti:

http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3919
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3933
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3946
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3956
http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=3966


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FLASHBACK:

http://www.b92.net/eng/news/society-article.php?yyyy=2010&mm=02&dd=16&nav_id=65233

Tanjug News Agency - February 16, 2010


“Scandalous treatment of Roma in Kosovo” 


KOSOVSKA MITROVICA: Council of Europe Human Rights Commissioner Thomas Hammarberg called for an end to forcible return of Roma to Kosovo. 

After his second visit in ten months to the contaminated Roma camps in Cesmin Lug and Osterode, Hammarberg said that the situation had not changed, and called for an urgent evacuation of the settlements.

“The fact is that these camps have been inhabited for an entire decade is scandalous. The international community is partly to blame for this situation,” Hammarberg said. 

He said that the lead contamination posed a very serious danger for the people and children of the community. 

“New, safe housing is needed for about 600 people, in order to close the camps. They all need immediate medical care as well,” he said. 

Hammarberg said that he is concerned about the fact that Europe is implementing a forcible return of Roma to Kosovo. 

According to UN statistics, 2,500 people from EU countries were returned to Kosovo in 2009. 

Some of the Roma forced to go back to the province were sent to the contaminated camps, most of them being from Austria, Germany, Sweden and Switzerland. 

“I am calling on European countries to stop the forcible return until Kosovo is ready to secure the necessary conditions of life, medical care, education, social services and jobs,” he said.

He reminded that Kosovo has already signed readmission agreements with several countries. 

“In Kosovo alone there are 20,000 internally displaced persons and the unemployment rate is at about 50 percent, which clearly shows that Kosovo still lacks the infrastructure needed to allow a sustainable reintegration of refugees,” Hammarberg said. 

He added that some of the refugees have lived in other countries for a long time and have children that were born in European countries, speak the languages of these countries fluently and have no ties to Kosovo. 

“The result is that many refugees are trying to return as soon as they can to the countries they used to live in,” the commissioner said. 

In a report published last summer, Human Rights Watch said that the Roma district in the northern city of Kosovska Mitrovica was attacked by ethnic Albanians in June 1999. 

"By June 24, the district had been looted and burned to the ground, and its 8,000 inhabitants had fled. Many were resettled by the UN in camps in a heavily contaminated area located near a defunct lead mine. The move was originally intended to be temporary, yet about 670 Roma still live in camps near the site, with damaging consequences for their health," said the report.  




IL MINISTRO DEL GOVERNO CHE APPROVA L'INDIPENDENZA DEL KOSOVO



Corriere della Sera, 23 luglio 2010 - Pagina 6

Il governo a Bolzano: via i cartelli in tedesco o lo facciamo noi

Ultimatum di Fitto: 60 giorni per farli sparire 
Il procuratore Guido Rispoli: «Soluzione semplice: basta mettere davanti a tutti i nomi via, malga o rifugio»

Sarà che gli «italiani» del Tirolo hanno perso la pazienza. O forse perché il ministro s' è innamorato delle montagne dell' Alto Adige («Ci vado ogni anno da quando sono diventato papà», ha dichiarato al Corriere dell' Alto Adige). Fatto sta che il ministro per le Regioni, Raffaele Fitto, ha deciso di passare ai fatti: «In Alto Adige, i 36 mila cartelli in montagna scritti solo in lingua tedesca devono sparire». Se non lo farà la Provincia autonoma di Bolzano, provvederà lo Stato. Fissato il tempo per sostituirli: 60 giorni. Parole dure. Che rischiano di aprire un altro fronte nell' annosa questione «etnica» del Tirolo, tra italiani e comunità tedesca. La querelle non è nuova. Da anni si combatte una vera e propria battaglia sulla «toponomastica». Da una parte la minoranza tedesca, rappresentata soprattutto dai partiti che stanno alla destra della Svp (il partito di maggioranza relativa) che spingono per una «germanizzazione» dei nomi di vie, piazze e sentieri. Dall' altra gli italiani, che denunciano il sopruso. E il pericolo. Quale? Di andare in montagna e rischiare di cadere o perdersi perché le scritte sono solo in tedesco. In Alto Adige, il «Cai» versione tedesca si chiama «Alpenverein», finanziato dalla Svp. Sono loro che piazzano i cartelli scritti solo in lingua tedesca. Il Landeshauptmann (il presidente della provincia di Bolzano), «re» incontrastato della Svp, Luis Durnwalder, dice di non saperne nulla: «I cartelli della Provincia sono tutti bilingui. Quelli contestati sono stati installati da terzi che non spettava a me come gestirli». E per la prima volta, ieri, ha risposto in modo durissimo all' ultimatum del ministro: «Me ne frego». Luis, come lo chiamano tutti, non è un estremista ed è molto amato dal suo popolo. Ha avuto un leggero appannamento d' immagine solo quando è stato lasciato dalla moglie: s' era messo con una donna di Monaco molto più giovane di lui (particolare omesso in un libro Der Luis, edito da Athesia, che ha fatto finire la sua biografia al 1998 proprio per non ricordare il divorzio). Il suo «me ne frego» si spiega con la politica tutta interna alla comunità tedesca. La Svp negli ultimi anni ha perso consenso elettorale, a favore dell' aggressivo Die Freiheitlichen, una forma di opposizione antitaliana e degli Schützen, il movimento indipendentista capeggiato da Eva Klotz, che vorrebbe ritornare ai nomi precedenti al periodo fascista e che dalla Corsica commenta: «Fitto? Faccia pure, faccia pure...». Così Luis per non perdere contatto con il suo popolo (che riceve fuori orario d' ufficio, tutti i giorni, a partire dalle 6 del mattino) ha virato a destra. La guerra dei nomi delle vie s' inquadra in questa logica. Due anni fa italiani e tedeschi s' erano azzuffati per un outlet: alcuni imprenditori austriaci avevano osato chiamare al confine un centro commerciale con il nome italiano «Brennero». Per i tedeschi c' era una «o» di troppo (in tedesco è Brenner). Alla fine, su pressioni della Svp, la «o» era stata rimossa. Sulla questione ha esternato pure il procuratore capo Guido Rispoli: «La soluzione è semplice: basta mettere davanti a tutti i nomi via, malga o rifugio. Applicare la legge è l' unica cosa sensata». 

Agostino Gramigna 




Da Liberazione sulla Zastava

1) Quando l'Italia bombardava le fabbriche serbe
G. Vlaic, R. Pilato - 25/7/2010

2) «Ci hanno affamato, ora ci ricattano» 
Intervista a Radoslav Delic - 25/7/2010

3) Flashback: Lo stile Fiat sbarca a Kragujevac
F. Salvatori - 24/12/2009

Per i passati aggiornamenti sulla Zastava e una galleria fotografica da Kragujevac si veda:


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Liberazione, 25/7/2010

http://lettura-giornale.liberazione.it/giornale_articolo.php?id_pagina=81733&pagina=4&versione=sfogliabile&zoom=no&id_articolo=542693

La campagna di solidarietà coi lavoratori della Zastava partita subito dopo l'aggressione Nato del 1999

Quando l'Italia bombardava le fabbriche serbe

Gilberto Vlaic*
Riccardo Pilato**


Perchè parliamo di solidarietà internazionale con la Serbia in un momento in cui in Italia si parla di Serbia in tutt'altro senso e con la strisciante idea che proprio da lì venga una concorrenza accanita contro i lavoratori italiani di Mirafiori? Perchè c'è molta disinformazione, per non dire cattiva volontà in tutto questo parlare senza avere cognizioni di causa sulle vicende. La solidarietà internazionale con la Serbia, e specialmente con la città di Kragujevac e con i lavoratori della Zastava è partita subito a ridosso dei bombardamenti Nato del 1999, che hanno portato distruzione, perdita di lavoro, danneggiamenti di ogni genere colpendo settori trainanti dell'industria con l'obiettivo non tanto occulto di mettere in ginocchio un Paese per farlo allineare alle politiche liberiste dell'Occidente. Non dimentichiamo che il complesso metallurgico Zastava di Kragujevac con i suoi 36.000 dipendenti fu pesantemente bombardato con la motivazione che lì si producevano armi. In realtà la Zastava produceva una vasta gamma di prodotti, dagli aghi per insulina alle auto, ai camion, ai fucili da caccia; ciò che fu colpito e distrutto furono i reparti auto, camion, la fucina, la centrale termica, il centro di calcolo. La campagna di solidarietà è partita da alcuni settori del sindacato italiano della Cgil e del sindacalismo di base, che non digerivano la scelta del governo italiano di partecipare ai bombardamenti in palese contrasto con la Costituzione, e non accettavano la subordinazione dei vertici sindacali alle posizioni del governo. Un dato sembra importante per connotare da subito questa azione di solidarietà, che si rivolgeva inizialmente in affidi a distanza per i figli dei lavoratori Zastava rimasti senza lavoro a causa dei bombardamenti: è stato un atto politico e non una semplice beneficienza, e questo lo dimostra bene il caso della fabbrica bresciana Alfa Acciai dove circa 150 operai sostengono da oltre 10 anni, collettivamente, gli affidi di 26 ragazzi e ragazze di Kragujevac. Questa iniziativa di solidarietà è nata come risposta a una richiesta di aiuto che il sindacato serbo Samostalni ha lanciato nell'aprile del '99 ai lavoratori europei e alle loro organizzazioni nel tentativo di contrastare questa aggressione. Da subito in molte città italiane, Roma, Torino, Milano, Brescia, Bologna, Bari, Napoli, Bolzano, Lecco, Trieste, e altre ancora, sono nate associazioni fondate da gruppi di lavoratori e da persone che volevano prendere una pubblica posizione contro i bombardamenti, al fine di mettere in atto azioni di solidarietà nei confronti dei lavoratori serbi. Si sviluppò in quel periodo una forte consapevolezza che era necessario dar corpo a forme di solidarietà materiale al popolo e ai lavoratori bombardati. Ci fu una primissima fase emergenziale, durante la quale il sostegno era caratterizzato dalla spedizione di numerosi camion di aiuti, soprattutto vestiario, prodotti per l'igiene personale, materiale scolastico, medicinali. Poi si attivò una campagna di affidi a distanza dei figli dei lavoratori Zastava, attività che dura tutt'ora perchè la situazione del paese rimane di estrema povertà, disoccupazione e bassi salari per chi riesce a lavorare. Il sindacato Samostalni creò da subito una apposita struttura, l'Uffico adozioni-Ufficio rapporti internazionali, con il compito di seguire le relazioni con le varie associazioni italiane e di fornire e aggiornare le liste dei ragazzi e ragazze di famiglie in maggiore difficoltà. Attualmente gli affidi sono circa 1500. La particolarità di questa campagna sta nel fatto che la consegna del denaro avviene in apposite assemblee pubbliche direttamente ai genitori, con la firma di ricevuta, e senza alcuna trattenuta sui fondi che i sottoscrittori versano, nel senso che le spese di viaggio per andare a consegnare il denaro sono a carico di chi vi partecipa. Nel 2004, da parte di alcune associazioni, si è deciso di affiancare agli affidi anche una serie di interventi mirati di carattere sociale rivolti a fasce deboli della città di Kragujevac e appositamente richiesti dal sindacato Samostalni e da varie associazioni locali. Questi interventi sono realizzati nel campo della scuola, della disabilità fisica e mentale, della sanità pubblica e hanno potuto contare anche sull'intervento finanziario di alcune istituzioni pubbliche e di altre associazioni di volontariato italiane. Una fonte preziosa di finanziamento di questi progetti è stato il 5 per mille sottoscritto per le nostre associazioni.


*Non Bombe ma Solo Caramelle Onlus Trieste
**Associazione Zastava Brescia


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Liberazione, 25/7/2010

http://lettura-giornale.liberazione.it/giornale_articolo.php?id_pagina=81732&pagina=2&versione=sfogliabile&zoom=no&id_articolo=542682

Radoslav Delic segretario generale di Samostalni

«Ci hanno affamato, ora ci ricattano.
Per questo dobbiamo lottare insieme»

Raika Veljovic

Radoslav Delic è segretario generale delle aziende dell’ex gruppo Zastava per il sindacato Samostalni, i metalmeccanici serbi.

Cosa c’è di vero nell’intenzione della Fiat di spostare le produzioni da Torino a Kragujevac?

Il nostro governo non ha dato nessuna informazione ufficiale che riguardi questa presunta intenzione resa nota da Marchionne e i massmedia in Serbia non hanno fatto altro che diffondere le notizie pubblicate dalla stampa italiana.

Ci sono stati incontri tra Marchionne e il sindacato serbo?

Assolutamente no.

La Fiat sta giocando al ricatto con i lavoratori degli stabilimenti italiani, prima contrapponendo Tychy (Polonia) a Pomigliano. Ora sta facendo lo stesso gioco contrapponendo Torino a Kragujevac. Lo scopo è quello di scatenare una guerra tra poveri dove sopravvivono i lavoratori che si offrono alle peggiori condizioni. Non credi che occorra unirsi per evitare di essere messi gli uni contro gli altri? E se è così, cosa si deve fare?

Da molti anni abbiamo rapporti con organizzazioni territoriali e aziendali della Cgil e con varie associazioni, rapporti costruiti intorno alla solidarietà con il popolo serbo maturati durante i bombardamenti scatenati dalla Nato contro il nostro Paese nel ’99. Queste relazioni solidali hanno prodotto centinaia di adozioni a distanza che durano tutt’ora. Sul piano sindacale, il nostro segretario dell’ex gruppo Zastava e vicesegretario nazionale di Samostalni Zoran Mihajlovic è stato invitato due anni fa dalla Fiom di Torino per concertare un’iniziativa finalizzata ad unire in una rete tutti i sindacati Fiat del mondo. In quell’occasione tutti fummo d’accordo, ma l’idea è rimasta allo stato delle intenzioni. Una delle nostre proposte fu che si doveva promuovere l’unità a livello della lotta sindacale: pensavamo che se sciopera il nostro compagno in Italia o in Spagna, bisogna trovare la forza di scioperare in tutte le fabbriche Fiat del pianeta, perché solo così è possibile opporsi validamente al padrone, che altrimenti ha gioco facile ad isolarci, a contrapporci e a batterci gli uni dopo gli altri.

Gli operai di Tychy hanno scritto ai loro compagni di Pomigliano una lettera molto forte, chiedendo loro di non farsi intimidire e proponendo di fare causa comune contro la prepotenza della Fiat. Perché questo avvenga è necessario costruire un plafond di diritti comuni. Ma come è possibile se le condizioni di partenza sono così diverse?

Nel già citato convegno torinese fu proprio la Fiom italiana a proporre che si convenisse su una piattaforma che individuava alcuni fondamentali diritti per i quali battersi in tutte le aziende del gruppo Fiat. Questo è indispensabile, al di là delle differenze economiche e sociali che continuano a sussistere e che temo sussisteranno ancora a lungo nei diversi Paesi. Certo, ci sono grandi difficoltà. Per esempio, il lavoro minorile va combattuto ovunque, anche se da noi il problema fondamentale, in un quadro devastato dalla disoccupazione, è dare il lavoro agli adulti.

La debolezza dei lavoratori serbi, il loro assoluto bisogno di lavorare è cinicamente usato dalla Fiat per imporre condizioni di lavoro e di salario pessime, per poi spiegare ai lavoratori italiani che devono fare altrettanto perché lo impongono le regole della competizione internazionale. Non è giunto il momento che in Europa si consolidi un coordinamento sindacale capace di impedire questo gioco al ribasso?

Naturalmente dobbiamo impedire questo gioco perverso. Noi lavoratori e il nostro sindacato abbiamo perfettamente chiaro che il padrone è sempre in cerca della realtà in cui può fare maggiore profitto. I lavoratori serbi sono ora divenuti il bersaglio privilegiato perché dopo più di dieci anni di embargo, bombardamenti e liberalizzazioni selvagge si sono trovati a vivere sotto la soglia della povertà, avendo essi bisogno di tutto per sopravvivere. La sporca guerra che abbiamo subito e l’instaurazione in Serbia di un vorace capitalismo che ha privatizzato tutto ciò che vi era di pubblico si sono trasformati in un boomerang anche per i lavoratori italiani contro i quali oggi viene scatenato il dumping. Per impedire questo genere di ricatti dobbiamo essere uniti e ripetiamo per l’ennesima volta che la nostra battaglia sindacale deve essere comune. Non possiamo chiudere gli occhi davanti alle difficoltà e alle minacce che oggi subiscono i lavoratori fratelli di altri paesi. Tuttavia bisogna sapere che ci sono la nostra estrema debolezza e la nostra povertà alla base di tutto, perché se noi ora stessimo meglio il padrone italiano non sarebbe venuto qui, e noi non avremmo accettato un salario di 200 euro al mese.


=== FLASHBACK ===

Liberazione del 24 dicembre 2009


http://lettura-giornale.liberazione.it/a_giornale_index.php?DataPubb=24/12/2009

Lo stile Fiat sbarca a Kragujevac

Fabrizio Salvatori

Nei giorni scorsi è arrivata in Italia una delegazione di sindacalisti della Zastava, ospiti dell’ass. “Non bombe ma solo caramelle”. Ha portato la sua testimonianza e ha voluto approfondire le reali intenzioni della Fiat

Il gioco è chiaro: sembra la fotocopia di quanto già accaduto in Italia: profitti privati e oneri pubblici. Con azzeramento delle relazioni sindacali, condizioni di lavoro da anni ’50, e clima di tensione


Un grande striscione con su scritto "Bentornata Fiat". Un anno e mezzo fa Kragujevac, cittadina industriale di 200mila abitanti a meno di cento chilometri da Belgrado, aveva almeno la speranza.
Dieci anni dopo i drammatici bombardamenti sulla Serbia. Dieci anni di povertà, malattie e disperazione. Dieci anni a tenere in piedi quella fabbrica, la Zastava, contro la quale la Nato aveva riversato tonnellate di bombe all'uranio impoverito perchè - così sosteneva - in quel sito, che dava da mangiare alle famiglie di quasi quarantamila tute blu, in realtà si producevano armi. In realtà vennero quasi azzerati gli impianti di produzione auto e la centrale termica.
L'accordo per l'arrivo della Fiat è servito, almeno per il momento, a far vincere le elezioni ai "neofurbi" liberisti che in Serbia abbondano. Il 29 aprile del 2008 c'è stata la firma tra il presidente della Repubblica Boris Tadic ed il vicepresidente Fiat Altavilla, alla presenza del ministro dell'economia Dinkic, e l'11 maggio si sono svolte le elezioni.
Un tempismo straordinario quello di Tadic e Dinkic. Sul resto è ancora buio pesto. Lo striscione, per decenza è stato tolto. E il sogno di diventare la piattaforma per un mercato potenziale di 800 milioni di persone, così continuano a scrivere i giornali italiani, per il momento è meno di una mera ipotesi.
Nei giorni scorsi è arrivata in Italia una delegazione di sindacalisti della Zastava, ospiti dell'associazione "Non bombe ma solo caramelle". Ha portato la sua testimonianza a Brescia e a Trieste. Ed ha voluto approfondire le reali intenzioni della Fiat.
Finora le auto prodotte sono state quindicimila. Prodotte è una parola grossa. Il modello è quello della vecchia Punto, che i mille operai serbi non fanno altro che assemblare con componenti che arrivano dalle più svariate province dell'Impero Fiat. Alla Zastava, insomma, non viene prodotta nemmeno una vite.
"La Fiat entro il 31 marzo del 2009 - scrive Nenad Popovic, presidente del Consiglio economico del Partito democratico serbo - doveva versare 200 milioni del capitale iniziale. L'anno prossimo sarebbe dovuta partire la produzione di un modello nuovo, per la quale dovevano essere assunti circa 2.500 lavoratori. Cosa c'è da festeggiare?"
Ma la beffa non è finita qui. I lavoratori vengono retribuiti con le sovvenzioni del Governo della Serbia, che in questo accordo dovrà metterci 300 milioni. La Fiat ci mette solo i componenti ed ha il 10% di contributo statale garantito su ogni vettura. Se l'azienda è ripartita è stato grazie ai serbi, in realtà, che hanno speso 14 milioni per gli impianti e avevano comprato per 3 milioni la licenza per riscattare il marchio e chiamare la vettura "Zastava10". Ora però, se l'accordo diventerà operativo la proprietà tornerà in mano alla Fiat con il 66% delle azioni. E quindi anche la licenza di produzione di quel modello di auto.
Il gioco della Fiat è chiaro. E sembra la fotocopia di quanto è già accaduto in Italia: profitti privati e oneri pubblici.
Senza metterci una lira di investimento, Marchionne ha imposto lo "stile Fiat": azzeramento delle relazioni sindacali, condizioni di lavoro da anni '50, soprattutto per quel che riguarda la verniciatura, e clima di tensione contro chi prova anche soltanto a sollevare dubbi e perplessità. La Polonia non è così lontana. E i manager lasciano capire che a trasferire la misera quota di produzione di circa ventimila vetture all'anno, non ci vuole poi granchè.
La Serbia, intanto, si sta letteralmente svenando per convincere la Fiat a restare: terreni risanati e regalati, zona franca e infrastrutture. L'assalto all'Est Europa è pronto. "Quattroruote" scrive che il prossimo anno partirà la produzione del nuovo modello, ma gli impianti, fanno sapere i delegati del sindacato serbo dei metalmeccanici, non ci sono ancora. "Per montarli - dicono - non ci si può mettere meno di due anni". Le previsioni economiche dell'Istituto centrale di statistica parlano chiaro: si passerà secondo le previsioni da una crescita del Pil del +5,4% del 2008 al -3% del 2009, sono calati drasticamente gli investimenti esteri, la disoccupazione è cresciuta di 2 punti percentuali (dal 14,4 al 16,4%) ed in genere la Serbia spende più di quel che produce.
La Fiat non è certo una dama di San Vincenzo.