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Kosovo : plusieurs milliers de Serbes célèbrent Vidovdan à Gazimestan

1) KOSOVO Ieri e Oggi: 1389-2009 - Storia e Attualità. A cura di Enrico Vigna
2) Kosovo : plusieurs milliers de Serbes célèbrent Vidovdan à Gazimestan (B92)

Vedi anche: 
TESTO DEL DISCORSO DI SLOBODAN MILOSEVIC, 28 GIUGNO 1989


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www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 23-06-09 - n. 279

KOSOVO Ieri e Oggi: 1389-2009 - Storia e Attualità
A cura di Enrico Vigna, portavoce Forum Belgrado Italia, per un mondo di eguali
 
Dalla battaglia di Kosovo Polje, seicentoventi anni di resistenza del popolo serbo
 
 "…Nel mezzo della piana, la più ampia ampiezza. 
Nel mezzo del mare, il fondo più profondo. 
Nel mezzo del cielo, l’altezza più alta. 
Nel Kosovo, il campo di battaglia più alto…”         (Poema epico serbo)
 
L'Attualità della Battaglia di Kosovo Polje
 
Il 28 giugno di ogni anno, giorno di San Vito ("Vidovdan"), i serbi commemorano la sconfitta del 1389 ad opera dei Turchi sulla piana di Campo dei Merli ("Kosovo Polje"), a pochi chilometri dall'odierna Pristina. Con quell'avvenimento l'antico regno di Serbia, quello della dinastia dei Nemanja e dei monasteri medioevali, iniziava a disfarsi: nel 1459, settanta anni dopo, aveva fine l'indipendenza della Serbia, spartita tra Ungheria ed Impero Ottomano. Solo nel XIX Secolo, nell'ambito del Risorgimento guidato dai Karadjordje, come in Italia anche in Serbia il problema dell'indipendenza politica ritornava all'ordine del giorno. Per secoli il mito dei fatti sanguinosi di Kosovo Polje è stato al centro della tradizione orale dei "cantastorie", i "guslar" (dal nome di uno strumento medievale: gusla) e poi della letteratura scritta dei popoli slavi del Sud, di tutti i popoli slavi del Sud, non solo dei serbi. A partire dalla "Lode al Knez Lazar" del patriarca Danilo (1392), il sacrificio del principe Lazar e di Obilic furono celebrati per secoli, e non solo dai serbi ma anche da tutta la corrente jugoslavista, fiorente nell'Ottocento pure in Croazia e Slovenia e culminata con la creazione del Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni al termine della Prima Guerra Mondiale... Il poema epico del sovrano montenegrino Njegos "Il serto della montagna" (1847) pure cantava i fatti del Kosovo, il sacrificio deliberato e cosciente della nobiltà e dei soldati serbi impegnati a difendere la propria terra e la propria gente dall'invasione straniera. Lo stesso attentatore di Sarajevo Gavrilo Princip ferì a morte l'arciduca Ferdinando in una data non casuale, il 28 giugno 1914, quasi a volersi inserire nella scia dei "giustizieri di tiranni"... E la tradizione patriottica jugoslava riprese ed usò i fatti ed i miti di Kosovo Polje tra le due guerre mondiali, in un senso non solamente"serbo" ma, anche, jugoslavo, di comunanza fra popoli impegnati a difendere la propria sovranità ed indipendenza. D'altronde, alla battaglia partecipò lo stesso sovrano della Bosnia Tvrtko, che combatté a fianco del principe Lazar, ed anche gli storici albanesi raccontano che i loro antenati diedero man forte ai serbi contro l'invasore turco.
 
Con la Seconda Guerra Mondiale però, i rapporti tra le popolazioni balcaniche venivano di nuovo pesantemente incrinati grazie al contributo fattivo del nazifascismo occupante; seguiva la Guerra Popolare di Liberazione guidata da Josip Broz "Tito", essa stessa fonte di nuove memorie gloriose e di miti e valori fondanti della identità multinazionale jugoslava, conquistata con la dura resistenza partigiana. L'eroismo dei partigiani di tutte le nazionalità e la più recente memoria di altre, altrettanto dure, battaglie per la libertà facevano passare in secondo piano i fatti lontani del principe Lazar e del sultano Murad... La chiesa serbo-ortodossa si faceva allora principale custode della memoria della antica battaglia di Kosovo Polje. Fino agli anni Ottanta, quando con la crisi della RFS di Jugoslavia, il movimento secessionista pan-albanese riprende quota, appoggiato in maniera sempre più palese dalle forze politiche occidentali, dai settori impegnati nei traffici di droga internazionali, poi dall'Albania del clan di Berisha e del nazionalismo irredentista post-'89, poi dai media e dai servizi segreti di tutto il mondo occidentale, infine dalla NATO che aggredì la Repubblica Federale Jugoslava per 78 giorni a partire dal 24 marzo 1999, a forza di bombe, proprio per staccare il Kosovo dalla Federazione jugoslava e consegnarlo alle bande "contras" dell'UCK. Il Kosovo, ricco di minerali e punto strategico dei Balcani, passo-chiave per la ricolonizzazione di tutta l'area dell'Europa sud-orientale. In questo stesso anniversario della battaglia di Kosovo Polje truppe straniere di nuovo oggi si muovono su quel territorio, dopo che il nazifascismo italiano, tedesco e bulgaro ne era stato scacciato oltre 60 anni fa dallo sforzo comune dei partigiani kosovari serbi e kosovari albanesi.
 
Vi è poi un altro 28 giugno da non dimenticare, un ennesima umiliazione e violenza morale (comunque la si pensi) del popolo serbo: infatti il 28 giugno 2001, proprio nel giorno di "Vidovdan", questo popolo ha dovuto assistere al rapimento del proprio Presidente Slobodan Milosevic, quando un elicottero Nato, violando confini e sovranità, preleva e rapisce un cittadino jugoslavo in disprezzo di qualsiasi concetto di Diritto Internazionale e di indipendenza di un paese: quindi un’operazione di banditismo internazionale.
 
Indelebili resteranno le parole di Milosevic che, rivolgendosi ad un agente dei servizi segreti serbi gli disse: "…capisco loro (riferendosi agli agenti segreti americani), ma tu che sei serbo, figlio di questa terra, come puoi nella tua coscienza essere complice, nel giorno di Vidovdan e di Lazar, di un atto così ignobile che non è contro di me, ma contro tutto il nostro popolo. Vergognati, di questo non potrai mai vantartene nella tua famiglia o tra la tua gente… Potrai festeggiare solo con gli invasori ed occupanti. Vergogna…".
 
Oggi il Kosovo è stato pulito etnicamente, umiliato, violentato; i monasteri del Kosovo sono stati attaccati e distrutti (oltre 148) dalle bande di terroristi armati ed addestrati dall'Occidente. Oggi il Kosovo è stato ricolonizzato, sotto tutti punti di vista: militarmente, politicamente, economicamente, etnicamente e anche culturalmente; prima del Kosovo erano venute Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Macedonia, Montenegro. Poi toccherà al Sangiaccato, alla Vojvodina... Perciò la memoria della battaglia di Kosovo Polje è oggi più attuale che mai, vive nelle enclavi assediate, vive in ogni uomo, donna, bambino che caparbiamente continua a resistere, vivendo lì e che non accetta la resa totale all'ingiustizia, alla violenza prevaricatrice dei terroristi albanesi al soldo degli USA. Per loro, per la loro "Resistenza", nella lotta per non essere assassinati o cacciati, per difendere la loro storia, la loro dignità, il loro DIRITTO di esistere e vivere sulla propria terra, nelle proprie case, ai propri focolari…Per loro Kosovo Polje non è una ricorrenza lontana è la memoria storica per non arrendersi OGGI e DOMANI.
 
L'attualità per noi, sta nella necessità di sostenere nel nostro paese un impegno per riaffermare i diritti e gli interessi dei popoli, sia nelle sedi istituzionali, negli organi informativi e nei movimenti contro la guerra e per la pace, un compito inserito in un quadro più generale per sostenere e supportare un impegno di Giustizia e di Verità, che non attiene di certo solo al "problema Kosovo".
 
L’unica possibilità di costruire un vero processo di Pace per il Kosovo, nel quadro sopra delineato, è che tutte le parti (Albanesi, Serbi, Rom, e le altre minoranze) abbiano una soluzione che difenda in modo equo e paritario gli interessi e i diritti di tutti reciprocamente, soluzione che non può che essere il risultato di trattative paritarie tra le parti sotto l’egida dell’ONU, senza pressioni, ricatti o ingerenze di potenze o lobby esterne alla realtà locale, che perseguono in realtà propri fini e convenienze
 
Questo riteniamo sia il vero impegno e lavoro per costruire un mondo migliore per tutti.
 
"L'espulsione del popolo serbo dal Kosovo [dove all'inizio del secolo i serbi rappresentavano più del 40 per cento della popolazione] è la rappresentazione grandiosa della sua sconfitta storica. Nella primavera del 1981 è stata dichiarata al popolo serbo una guerra del tutto speciale... Se una autentica sicurezza e una uguaglianza di diritti per tutti i popoli che vivono nel Kosovo e Metohija non vengono instaurate, se non vengono create condizioni solide e durature per il ritorno della popolazione scacciata, questa parte della Repubblica di Serbia, sarà sempre un problema europeo con conseguenze destabilizzanti e portatrici di conflittualità e violenze. Il Kosovo è una delle questioni più importanti aperte nei Balcani e in Europa. La diversità etnica in numerosi territori balcanici corrisponde al profilo etnico della penisola balcanica. L'attuazione di un Kosovo etnicamente puro non è soltanto una pesante e diretta minaccia per tutti i popoli che vi si trovano in minoranza, ma, se si affermerà, rappresenterà un pericolo reale e quotidiano per tutti i popoli della Jugoslavia e dei Balcani" ("Memorandum" dell'Accademia delle Arti e delle Scienze della Serbia, 1986; LIMES 1/2-1993).
 
Brevi cenni storici
 
Dopo un periodo nell'Impero Bulgaro, e un altro periodo sotto i bizantini, nel 1180 il Kosovo divenne parte dello stato serbo. Nel 1219 Pec divenne la sede della Chiesa Serbo-Ortodossa. La battaglia di Kosovo Polje, che in serbo significa Campo dei Merli, fu combattuta nel 1389.
 
Al principio, e particolarmente nel '500, il governo ottomano si era caratterizzato in modo più razionale e tollerante di qualsiasi stato europeo del periodo. Ogni principe o capo villaggio che si convertiva all'Islam, veniva accettato come un uguale dagli ottomani, e al solito vedeva il suo potere e il suo patrimonio aumentare, alle spese dei principi che rimanevano cristiani. D'altro lato il potere ottomano non perseguitava cristiani ed ebrei, semplicemente favoriva i convertiti. Col passare del tempo, i convertiti divennero padroni di latifondi sempre più estesi, su cui vivevano i servi della gleba, che nel caso della Bosnia e del Kosovo erano per lo più Serbi.
 
La battaglia di Kosovo Polje, ebbe luogo nel 1389, il 28 giugno del calendario gregoriano o il 15 giugno per il calendario giuliano, al "Campo dei Merli" (in serbo kos significo merlo ed ovo è un suffisso che indica il luogo), Kosovo significa quindi luogo dei merli o Paese dei merli o ancora Campo dei merli. La battaglia oppose l'impero ottomano ai serbi. Questa battaglia è profondamente legata al cuore della maggior parte dei serbi, che continuano a ricordare questa data particolare, che segnò la fine della loro indipendenza per quasi cinque secoli, ed il loro passaggio sotto il dominio ottomano. Ma i serbi non furono i soli ha prendere parte alla battaglia, anche se costituivano la stragrande parte delle forze in campo. Guidati da Lazar, principe di Serbia, con al suo fianco Tvrtko, re di Bosnia, e alleati ungheresi, bulgari, e albanesi, cercarono di contrastare l'avanzata degli ottomani dell'Emiro Murad. Fra questi vi erano alcuni principi albanesi. Anche se nessuno stato albanese esisteva ancora, tribù albanesi erano alleate dei vicini serbi, e le relazioni amichevoli tra serbi e capi clan albanesi erano il naturale risultato del desiderio comune di liberarsi prima dei bizantini e poi degli oppressori turchi. Giovanni Castriota (di origine serba), il padre di quello che fu forse la figura storica albanese più eccelsa, l'eroe della lotta per l'indipendenza del popolo albanese, Giorgio Castriota Skanderbeg (che il secolo successivo, organizzando un alleanza di clan albanesi, tentò l'ultima resistenza contro l'invasore ottomano, morendo in battaglia nel 1468), andò a Kosovo Polje per unirsi a Lazar, alla testa di una forza serbo-albanese raccolta nell'area di Debar.
 
Da una parte erano schierati circa 30.000 uomini guidati da Lazar, in campo avverso erano schierati circa 60.000 soldati guidati da Murad. 
La situazione geopolitica nella regione balcanica, prima della battaglia, vedeva la dominazione turca avanzare in tutte le direzioni dalla sue prime apparizioni nel 1346, e tendeva ormai a soppiantare il potere bizantino ormai morente. I bizantini di Giovanni Paleologo erano diventati i vassalli del sultano fin dal 1373, così come i bulgari. In Occidente, il Papa provò a scatenare una crociata, ma la sua chiamata si concretizzò solo nel 1396. Il cuore dello stato serbo medievale ereditato dallo Zar Dusan morto nel 1355, era oramai sotto la minaccia diretta dell'impero ottomano e questo già lanciava i suoi attacchi fino in Bosnia (1388). I progressi economici e culturali dello stato del principe Lazar attiravano sempre più gli interessi turchi verso la Serbia. Lazar lo sapeva e si preparava con attenzione per il confronto contro il potente potere ottomano. Il primo scontro tra i serbi ed i turchi ebbe luogo nel 1381 a Dubravica, vicino a Paracin. L'esercito serbo, con alla testa i generali Crep e Vitomir, ottenne una vittoria. Poi, nel 1386, Lazar affrontò un secondo esercito, condotto dal sultano Murad in persona, vicino al fiume Toplica nei pressi di Plocnik, e fu ancora una disfatta per gli ottomani. Malgrado queste sconfitte contro i serbi, l'avanzata turca andava di vittoria in vittoria nel resto dell'Europa sud-orientale: nel 1388 Tessalonica cade dopo un lungo assedio, Serres già nel 1383 era occupata dagli ottomani, così come erano stati occupati due regni serbi, quello di Balsa II nel 1385 e quello di Vukasin nel 1371. I turchi avevano così notevoli riserve di forze militari, grazie ai loro nuovi vassalli. Attaccarono allora il re di Bosnia Tvrtko alleato di Lazar, cercando così di indebolire Lazar; ma il generale di Tvrtko, Vlatko Vukovic, mise in rotta l'esercito ottomano condotto da Lala Sahin.
 
La Battaglia
 
La leggendanarra che la notte prima della battaglia il cuculo cantò tutta la notte e che l'acqua del torrente dietro l'accampamento, scorreva color rosso sangue, il presagio per l'indomani.
 
Le forze serbe si trovavano sotto il comando di due principi, che avevano in quel tempo la supremazia sui serbi: lo "Zar" Lazar Hrebeljanovic, principe di Serbia e Vuk Brankovic, signore serbo del Kosovo. Essi erano sostenuti dagli alleati quali il principe di Bosnia Tvrtko, e formavano circa un terzo delle truppe di Lazar.Le forze ottomane erano formate in gran parte da turchi ma anche da vassalli musulmani e cristiani. Erano anche presenti i "giannizzeri", il corpo di élite dell'impero turco. Le forze ottomane erano molto più numerose di quelle della coalizione balcanica, ma quest’ultima poteva contare sul fior fiore della cavalleria serba. Tra le sue fila vi erano, e furono poi immortalati nei canti popolari epici serbi come eroi: Miloš Obilic, Toplica Milan, Kosancic Ivan e Jug Bogdan ed i suoi nove figli che perirono tutti nei combattimenti.
 
Lo svolgimento della battaglia che durò tutto un giorno, fu altalenante e sanguinosa. In una prima fase, la cavalleria serba sbaragliò una delle ali turche e Murad perì, in circostanze che sono state presentate con differenti versioni. Secondo i racconti epici serbi, Miloš Obilic avendo promesso di uccidere il Sultano prima della battaglia, si era recato al cospetto di Murad fingendosi traditore di Lazar, per poi ucciderlo con un pugnale nascosto nel suo stivale. In un primo momento questa morte provò duramente gli ottomani che cominciarono a scompaginarsi, ma il figlio di Murad, Bayazet riuscì ad evitare il crollo. I turchi si ripresero e scatenarono una violentissima e sanguinosa reazione sui serbi. Lazar e tutti i suoi nobili furono fatti prigionieri e decapitati sul campo di battaglia. Si narra che fu una battaglia così violenta e cruenta e che talmente tanto sangue fu versato, che la terra non riusciva ad assorbirlo tutto. Quando il giorno andava a finire ed il sole cominciava a scendere, per il popolo serbo cominciò la notte che sarebbe durata cinque secoli.
 
Gli ottomani vinsero la battaglia decimando l'avversario. Si narra di settantasettemila morti, di cui la quasi totalità delle forze serbe, ma non penetrarono oltre in Serbia per sottometterla del tutto, perché la morte di Murad e dell'altro figlio Yakub da parte del suo stesso fratello Bayazet durante la battaglia, aveva indebolito notevolmente l'autorità di Bayazet, che dovette far ritorno sulle sue terre per affermare il suo potere sui vassalli ed evitare rischi di rivolta nell'impero. Prima di questo fu sancita la pace con la principessa Milica, vedova di Lazar ed il grosso delle truppe tornò in patria. Solo Vuk Branković, con alcuni superstiti riuscì a ritirarsi e continuò poi la resistenza contro gli ottomani, finché fu catturato da questi ultimi, morendo poi in prigionia.Qui c'è da segnalare anche una versione riportata in alcuni scritti epici, che indica Vuk Brankovic come traditore di Lazar. Questa ipotesi è stata disconosciuta da numerosi storici e studiosi di quel periodo, anche perché il despota serbo continuò la guerra contro gli ottomani, per quanto era possibile dopo la disfatta, e perché infine morì in prigionia dei turchi una volta catturato.
 
I due condottieri e sovrani, entrambi caduti nella piana del Kosovo, circondati dai loro valorosi guerrieri, ebbero ovviamente sorti diverse, il corpo di Murad fu portato dai suoi in Asia Minore, a Broussa. Ai serbi fu permesso di raccogliere la testa troncata del loro condottiero, dalla grazia del nuovo Sultano turco, e fu portato insieme col corpo alla Chiesa di Pristina. Più tardi i resti furono trasferiti al Convento Ravanitsa che aveva costruito Lazar e poi durante la seconda guerra mondiale, per preservarlo dai fascisti croati ustascia, le spoglie furono portate a Belgrado.
 
Con questa sconfitta le conseguenze per i serbi furono disastrose: oltre alla distruzione della, leggendaria per l'epoca, cavalleria serba, il paese vide sparire il fior fiore della sua élite politica e militare ed il popolo serbo cadde di fatto in schiavitù. Il nuovo sultano Bayazet I prese come moglie per il suo harem, la figlia di Lazar, la principessa Olivera Despina. I serbi vennero costretti a pagare tributi ai turchi ed a compiere servizi militari presso l'esercito ottomano. In seguito, dopo altre due battaglie minori e l'assedio di Semendria, gli ottomani annetterono il resto del Regno di Serbia, completandone la conquista nel 1459. La fine dell'indipendenza serba fu l'evento che diede la possibilità all'esercito ottomano di arrivare fino alle porte di Vienna.
 
La profonda e secolare radice identitaria del popolo serbo, fondata su questo evento storico.
 
Per la nazione ed il popolo serbo, il Kosovo Metohija rappresenta il sigillo della sua identità, la chiave delle lezioni insegnate dalla sua storia, la bandiera delle libertà e indipendenza nazionali e rappresenta una parte irrinunciabile della propria coscienza di popolo.
 
Si possono tracciar alcune linee di riflessione: da un lato attraverso questa battaglia, che fu dal punto di vista strettamente militare una sconfitta, si è generata nel popolo serbo la possibilità di esprimere la fierezza per l'eroismo ed il coraggio dei suoi combattenti, ed anche il profondo senso di indipendenza e libertà, che storicamente hanno sempre contraddistinto la storia di questo popolo, fino ai giorni nostri. Costi quel che costi. Nel campo di Kosovo, l'esercito serbo marciò verso la morte certa, col solo intento di consegnare alla storia la propria irriducibilità verso l'oppressore e l’invasore straniero. Questo ha permeato e formato le coscienze e la cultura di un popolo intero, in modo secolare fino ad oggi, generazione dopo generazione, da 620 anni.
 
Così Lazar salutò, con queste parole che nelle mitologia nazionale serba è indicata come la "Maledizione di Lazar", prima della battaglia i suoi soldati ed il suo popolo, sapendo la sorte che li avrebbe attesi l'indomani: "Chiunque sia nato di sangue o di ceppo serbo, non viene a lottare contro i turchi a Kosovo, a lui: mai più un suo figlio o figlia nati , mai più nessun bambino od erede, mai più la sua terra possano sopportare di sentire ancora il suo nome. Per lui nessun acino d'uva possa mai più crescere rosso, mai più nessun seme di mais possa crescere bianco, nella sua mano nulla prosperi mai più. Possa egli vivere solo più in solitudine, non amato, e morire da nessuno pianto, solo e abbandonato!". Per essi, questa battaglia contro gli ottomani, ha significato la fine dell'età prospera e l'inizio dell'oppressione e delle costrizioni per i popoli jugoslavi durante i secoli.
 
Il memoriale eretto a Gazimestan nel 1953, come "Memoriale agli eroi caduti" in quel giorno di San Vito (Vidovdan), in onore dei soldati e cavalieri serbi caduti nella battaglia del Kosovo, fu opera di Aleksander Deroko. Esso fu costruito nello stesso luogo dove si svolse la battaglia del Kosovo, il 28 giugno 1389. Ha la forma di una torre medievale ed è fatto in pietra rosata di varie sfumature. Sulla sommità del monumento era possibile (oggi è stata attaccata e dinamitata dai terroristi secessionisti dell'UCK ed è protetta, per impedire che venga del tutto distrutta, da forze militari della Kfor, Unmik, Eulex…), dall'altezza del suo terrazzo, contemplare il "Campo dei Merli". Una mappa di bronzo descrive la battaglia e una tavola di orientamento illustra la posizione degli eserciti così come spiega la strategia che fu adottata dalle due parti. Sulle pareti sono scritti a lettere di bronzo infisse sulla pietra, versi che celebrano l'eroica morte dei combattenti. Sono scolpite le seguenti parole:"Oh tu uomo, straniero o visitatore su questo suolo, quando entri su questa terra serba, chiunque tu sia... quando vieni a questo campo chiamato Kosovo, vedrai esso ricoperto, sopra tutta la sua estensione delle ossa dei morti caduti, e con loro io, torre di pietra, sto in piedi diritta nel mezzo del campo, a rappresentare la croce e la bandiera. Così non passare da qui ignorandomi come qualche cosa di non meritevole e vacuo, avvicinati a me. Io ti imploro, oh mio caro, studia le parole che io porto alla tua attenzione, dove potrai capire perché io sto qui in piedi eretto...
 
In questo luogo vi era una volta un grande condottiero, un tempo straordinario ed un sovrano serbo dal nome di Lazar, una figura non tremante di pietà, un mare di ragioni ed una profondità di saggezza... che amava tutto ciò che Cristo voleva... Egli accettò la corona sacrificale della lotta e della gloria eterna... Il combattente valoroso fu catturato e lo strazio del supplizio egli accettò... il grande Principe Lazar... Tutto questo qui succedette nel 1389... il quindicesimo giorno di giugno, martedì alla sesta o settima ora, io non so precisamente, solo Dio sa…"
 
La leggenda dice che il sangue serbo versato nella pianura durante la battaglia fa fiorire ogni anno le splendide peonie rosse del Kosovo che, in effetti, sono piante che solo lì fioriscono così…
 
Nessuno dei popoli europei ha nella sua memoria storica e identitaria quello che il popolo serbo individua nel Kosovo, a parte il popolo russo per il prezzo della lotta contro l'invasore nazi fascista durante la seconda guerra mondiale. L'epopea dalla lotta e della sofferenza nella lotta per la libertà.
 
Da allora il Kosovo è diventato, per un intero popolo e un’intera nazione, da secoli, il campo, la terra, il cimitero santo degli eroi. Per questo la più grande e sentita ricorrenza di tutto un popolo, credenti, laici e non credenti è il giorno di San Vito il Vidovdan. Dove, celebrando il grande sacrificio della vita nel Kosovo martoriato, in quel 28 giugno 1389, non si intende celebrare i vinti ma i vincitori, non i morti ma quelli che sono vivi, nella memoria collettiva e nella consapevolezza di essere storicamente un popolo di uomini e donne liberi, nella propria coscienza.
 
Gli storici serbi considerano quella del Kosovo come la giornata più gloriosa della loro storia nazionale, al centro di questa simbologia è collocata la figura di Lazar, il "Grande eroe", che con la sua morte indicò la strada del riscatto dalla schiavitù "agarena" (la sottomissione, cioè, ai figli di Agar, come venivano chiamati i musulmani dalle popolazioni balcaniche non convertite).
 
Vidovdan è la ricorrenza e la festa del giorno, non della notte. 
E' la festa della luce contro le tenebre. 
E' la festa per il proprio futuro non solo del proprio passato. 
E' la solennità dell'identità orgogliosa di un popolo fiero e indomito.
 
Tutto questo, o parte di questo e tanto altro, può essere una delle letture di questa epica battaglia, per le genti serbe. 
La studiosa Dora d'Istria (pseudonimo di Elena Ghica), principessa romena di stirpe albanese, profonda conoscitrice e studiosa delle tradizioni e costumi balcanici, scrisse nel 1865, che attraverso i canti e poemi, epici e popolari serbi, era trasmessa la "scienza del mito nazionale serbo".


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B92

Kosovo : plusieurs milliers de Serbes célèbrent Vidovdan à Gazimestan


Traduit par Persa Aligrudić

Publié dans la presse : 29 juin 2009
Mise en ligne : lundi 29 juin 2009
Cette année, la célébration de Vidovdan, la fête nationale serbe, a réuni plusieurs milliers de personnes à Gazimestan, le monument qui commémore la bataille de 1389 au Champ des Merles, Kosovo Polje. Des ministres serbes se rendant aux célébrations ont été caillassés près de Leposavić, mais c’est le seul incident à déplorer malgré l’affluence record depuis 1999.

Un incident a eu lieu près de Leposavić lorsque des pierres ont été jetées sur un convoi de voitures dans laquelle se trouvaient les ministres du gouvernement de Serbie se rendant à Gazimestan [1] pour fêter Vidovdan [2].

La célébration à Gazimestan a rassemblé cette année le plus grand nombre de personnes depuis 1999. L’organisation 1389 a revendiqué l’attaque de Leposavić. Goran Bogdanović, le ministre pour le Kosovo-et-Metohija de Serbie, a déclaré que le gouvernement de Serbie ne tolérerait plus des attaques comme celle qui a eu lieu ce samedi.
 


Sur Youtube on peut voir la manière dont les membres de 1389 jettent des pierres sur les voitures où se trouvent les ministres serbes.

Les fauteurs de trouble ont été chassés par un groupe de jeunes gens armés de battes de baseball dont on présume qu’ils font partie de la sécurité du ministre Goran Bogdanović.

L’incident n’a pas fait de victimes, seuls deux véhicules ont été endommagés.

Liturgie à Gračanica et parastos [3] à Gazimestan



Le délégué du patriarche Pavle, le métropolite du Monténégro et du Littoral, Amfilohije, les évêques Artemije, Filaret et Teodosije, ont célébré l’office pour les héros du Kosovo à Gazimestan, à l’occasion du 620e anniversaire de la bataille de 1389. 

Après la célébration, l’évêque Artemije a déclaré que « les héros kosovars ont laissé leur vie pour que nous puissions aujourd’hui vivre au Kosovo et à Metohija ».

 L’évêque Artemije a souligné que les Serbes se sont rassemblés à Gazimestan afin de prier Dieu et de se dire, à eux-mêmes et aux autres, que ceci est une terre serbe sainte pleine du sang et des larmes de nos aïeux.

« Le Kosovo a été et sera le cœur de la Serbie, comme il l’était il y a 620 ans », a ajouté l’évêque de Raška et de Prizren.

Un très grand nombre de Serbes se sont déplacés de Gračanica et de partout ailleurs. 
Ils sont venus avec une soixantaine d’autobus et quelques centaines de véhicules, aussi bien de Serbie que du Monténégro et de Republika Srspka. En plus des membres de la police du Kosovo, le rassemblement était sous la sécurité des soldats tchèques de la Kfor positionnés tout près du monument commémorant la bataille de 1389.



Cette année, pour la première fois, une estrade a été installée à Gazimestan et tout le monument était recouvert d’une fresque du prince Lazare et du drapeau serbe. 



Ont assisté à la liturgie et à la célébration les ministres serbes Bogoljub Šijaković (ministre des Cultes), Goran Bogdanović (ministre du Kosovo-et-Metohija) et Nebojša Bradić (ministre de la Culture), le prince Aleksandar Karadjordjević et son épouse Katarina.

 



KPS : Calme et sans incidents



Le porte-parole de la police du Kosovo (KPS), Arber Beka, a déclaré que la célébration de Vidovdan au Kosovo s’était déroulée dans le calme et sans incident.

« La police du Kosovo a pris les mesures nécessaires pour que la célébration de Vidovdan se déroule dans le calme et sans problème », a-t-il dit, sans vouloir préciser le nombre de policiers déployés sur le terrain dans tout le Kosovo.

Arber Beka a ajouté qu’ils étaient « suffisamment nombreux pour parer à toutes les provocations qui les attendaient dans la journée et pour assurer la sécurité de tous les citoyens du Kosovo » et que « pour l’instant tout se passait tranquillement ». « La police a préparé un plan opérationnel pour empêcher tout incident », a-t-il conclu.

Arber Beka a lui aussi estimé que la célébration de Vidovan n’avait jamais rassemblé autant de monde à Gazimestan. Selon lui, il y avait plusieurs milliers de personnes, bien plus que les années précédentes.


[1] le site de la bataille du Champ des Merles en 1389, qui se trouve dans les environs de Pristina.

[2http://fr.wikipedia.org/wiki/Vidovdan

[3] commémoration des morts chez les orthodoxes





www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 30-06-09 - n. 280

da Calendario del Popolo, luglio 1949
A sessanta anni dalla morte
trascrizione a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Gloria eterna a Giorgio Dimitrov eroico combattente per il socialismo
 
Il nome di Giorgio Dimitrov è e rimarrà indissolubilmente legato a un grande e glorioso periodo di lotte per la civiltà e il progresso, per la libertà e l'indipendenza dei popoli: al periodo dell'unione di tutte le forze democratiche e socialiste nella lotta per l'abbattimento del fascismo. Per i lavoratori, per i democratici di tutto il inondo, Dimitrov è, prima di tutto, il vincitore del processo di Lipsia, l'uomo che a Lipsia mise il nazismo in stato d'accusa dinanzi alla coscienza democratica e socialista internazionale. Prima di Lipsia, questo rivoluzionario, questo capo della classe operaia bulgara aveva acquistato fama anche fuori del suo paese, nel movimento operaio internazionale, per la parte avuta nell'insurrezione del settembre 1923 contro il governo di Zankov, per la sua condanna a morte, per il suo esilio operoso. A Lipsia, il suo nome divenne una bandiera per le forze progressive di tutti i paesi.
 
Il processo di Lipsia coincise con un momento di svolta della situazione internazionale. La vittoria del nazismo in Germania fu un grave colpo per le forze della democrazia e della pace, un colpo che, nel giro di pochi anni, avrebbe avuto come conseguenza la seconda guerra mondiale, ma esso preparò anche il terreno a uno schieramento di forze rivoluzionarie e democratiche, vasto e potente come non era più stato possibile realizzare in nessun paese dopo il riflusso della ondata rivoluzionaria dell'altro dopoguerra. Si può dire che dal 1921 in poi, la classe operaia - tranne che nell'Unione Sovietica ed eccettuati alcuni momenti della rivoluzione cinese - aveva dovuto rinchiudersi in una difficile, penosa, logorante lotta difensiva, subire l'iniziativa della reazione, abbandonare all'avversario molte posizioni avanzate; ma nel 1932, un soffio potente aveva riaperto il cuore di milioni e milioni di uomini, di lavoratori, alla speranza, alla certezza della vittoria: nonostante l'ostilità, gli intrighi, i complotti, gli attacchi del mondo capitalistico, l'Unione Sovietica aveva attuato, in quattro anni, il primo piano quinquennale staliniano; il primo Stato proletario, sotto la guida di Stalin, si era affermato, in modo decisivo, come una grande potenza, aveva compiuto un passo gigantesco sulla via della sua trasformazione in un grande paese industriale, aveva gettato le basi della società socialista.
 
Le ripercussioni di questo fatto furono immense: era la prova tangibile che nonostante l'imperversare del fascismo e della reazione in Germania, in Italia e in altri paesi, l'iniziativa apparteneva storicamente alla classe operaia e ai suoi alleati. In breve volger di tempo, si registrarono numerosi avvenimenti significativi da questo punto di vista: l'esercito popolare cinese si mise alla testa della lotta contro gli invasori giapponesi; le forze popolari francesi, raggruppate attorno alla classe operaia, respinsero un attacco in forze del fascismo; la tendenza all'unità d'azione, al fronte unico e al fronte popolare cominciarono a prendere il sopravvento sulle tendenze scissionistiche e disgregatrici delle forze democratiche e popolari. Il processo di Lipsia si inserì in questo potente movimento, contribuì a svilupparlo e a determinare alcuni degli avvenimenti sopraccennati.
Quando Dimitrov comparve davanti ai suoi accusatori nazisti, la volontà di lotta contro il fascismo si rafforzava nella classe operaia, nelle masse popolari: Giorgio Dimitrov fu la voce e - si può dire - la personificazione di questa volontà. Nell'aula del tribunale nazista era rappresentato in una sintesi suggestiva, avvincente per la sua intensa drammaticità, il conflitto che si svolgeva in tutto il inondo: da una parte gli aguzzini nazisti forti della forza armata dello Stato hitleriano, di tutto l'apparato terroristico del fascismo tedesco, dell'appoggio della. reazione internazionale; dall'altra parte il rappresentante dei lavoratori, della coscienza democratica, apparentemente solo, inerme, in catene, ma forte della solidarietà dei lavoratori e degli uomini liberi di tutto il mondo e in primo luogo dell'Unione Sovietica. L'uomo apparentemente solo e inerme, dopo un'epica lotta, vinse la battaglia e questa vittoria ebbe un'immensa risonanza e vaste ripercussioni. Con la vittoria di Lipsia, si apre praticamente il periodo della unità d'azione, del fronte unico, del fronte popolare per la lotta contro il fascismo e la guerra, si inizia la controffensiva delle classi lavoratrici e delle forze democratiche, raggruppate attorno alla classe operaia.
 
Alla testa di questo grande movimento popolare non poteva esserci che il partito della classe operaia, l'Internazionale Comunista. E Dimitrov, dopo la vittoria di Lipsia, tenne, nelle sue mani esperte, il timone dell'Internazionale. La sua formazione di militante si era compiuta attraverso lunghi decenni di milizia nel movimento operaio bulgaro e precisamente, fin dall'adolescenza, in quel partito socialista degli e «stretti» (tesniaki), partito rivoluzionario che sempre si oppose fermamente al partito opportunista dei e «larghi» e che fu in tutte le fasi del suo sviluppo il più sensibile all'esempio del Partito bolscevico, tanto che nel 1919, quando prese il nome di Partito comunista e si affiliò alla III Internazionale, venne riconosciuto valido per i suoi iscritti, agli effetti dell'anzianità di partito, il periodo trascorso nelle file della II Internazionale. In quel partito, alla testa dei lavoratori bulgari, Dimitrov si era temprato come rivoluzionario, aveva rapidamente sviluppato le sue qualità di grande dirigente e capo della classe operaia bulgara.
Costretto nel 1923 a prendere la via dell'esilio, egli aveva continuato a guidare dall'estero il Partito comunista e il movimento operaio bulgaro, ma, ben presto, il campo della sua attività era diventato immensamente più vasto. A stretto contatto col Partito bolscevico, la mente e l'animo aperti agli insegnamenti del leninismo, sotto la guida diretta di Stalin, Dimitrov si avviava a grandi passi verso il suo completo sviluppo ideologico e politico. Quando fu arrestato a Berlino, egli era ormai uno dei migliori dirigenti dell'Internazionale Comunista.
A Lipsia, tutto il mondo ne ebbe la rivelazione e, qualche tempo dopo, al VII Congresso dell'Internazionale Comunista, la luminosa conferma: il vecchio operaio tipografo bulgaro, meritava pienamente di essere il segretario generale dell'Internazionale Comunista in uno dei periodi più ardui del movimento operaio e della lotta dei popoli per la libertà e per la pace. I due rapporti di Dimitrov e di Ercoli al VII Congresso, elaborati in stretta e continua collaborazione dai due relatori, suscitarono un immenso entusiasmo nel campo del movimento operaio e della democrazia, diedero un impulso potente all'organizzazione del fronte unico e del fronte popolare, crearono le condizioni per la vittoria del fronte popolare in Francia, per una potente ripresa della lotta di liberazione in Cina, per la gloriosa resistenza del popolo spagnolo durata più di due anni e mezzo, per l'intensificazione della lotta contro il fascismo in tutti i paesi.
Oggi si può dire, sulla base degli avvenimenti dell'ultimo decennio che la resistenza, la lotta partigiana, le vittoriose insurrezioni popolari contro il fascismo sono state preparate dalla politica tracciata dal VII Congresso dell'Internazionale Comunista. Dimitrov fu il grande e geniale animatore di quella politica, ne fu il realizzatore tenace, combattivo, paziente. Perciò la memoria di Giorgio Dimitrov rimarrà viva in eterno nella storia del movimento operaio di tutto il mondo, nella storia dei popoli.
 
Durante la guerra, la sua forte voce giungeva incitatrice, ricca di insegnamenti preziosi, attraverso la radio, ai combattenti della libertà che, in tutti i paesi, affrontavano gli aggressori e gli oppressori fascisti.
La sua grande e più ambita ricompensa fu certo di poter rientrare nella sua patria, liberata dall'oppressione domestica e straniera con l'aiuto degli eserciti del paese del socialismo, di fondare, con la sua opera e con la sua dottrina, alla testa del popolo bulgaro, il nuovo Stato popolare della Bulgaria, di aprire al suo popolo la via del socialismo, di difenderne con mano ferma le grandi conquiste.
Colpito durante la guerra da una tremenda sventura familiare, la quale aggravò repentinamente il male che da anni metteva a dura prova la sua fibra e che doveva portarlo a fine immatura, Giorgio Dimitrov ebbe il supremo conforto di veder coronata la sua opera dalla libertà del suo popolo, dallo schiacciamento del fascismo e dai passi giganteschi compiuti in tutto il mondo dalla causa del socialismo.
 

AFGHANISTAN: UNA TIPICA MISSIONE DI PACE


Un video pubblicato da El Mundo sbugiarda chi ancora sostiene che i
soldati italiani non siano in guerra

http://it.peacereporter.net/videogallery/video/11983

(Due sono i progetti concorrenti per il trasporto del gas naturale dall'area del Caspio verso l'Europa Centrale: "Nabucco" è centrato sulla Turchia, appoggiato dagli USA, e metterebbe fuori gioco la Russia; "South Stream" taglia fuori la Turchia ed è appoggiato dalla Russia e dall'Italia. In Germania, il progetto filoamericano è sostenuto da Joschka Fischer, mentre il progetto filorusso è sostenuto da Gerhard Schröder - li ricordiamo entrambi come responsabili della politica criminale praticata dal governo di "centrosinistra" contro la Jugoslavia attorno al 1999...)



Germany: Joschka Fischer takes post as Nabucco pipeline adviser


By Ulrich Rippert 
3 July 2009

Representatives of the Nabucco consortium in Vienna have confirmed that Joschka Fischer—former Green Party leader and foreign minister in the former Social Democratic Party (SPD)-Green government—has taken a post as adviser to the Nabucco pipeline project, in which the German RWE company is also involved. According to media reports, the “six-digit salary” consultancy contract has already been signed.

Fischer is following in the footsteps of his former coalition partner, former German chancellor Gerhard Schröder (SPD), who also has a lucrative post in the energy industry. The two men, however, are working in direct competition with one another. Just a few months after the change of government at the end of 2005, Schröder took up a lucrative position as head of the supervisory board of the NEGP pipeline consortium, which is building a pipeline under the Baltic Sea in close cooperation with the Russian energy group Gazprom.

Fischer’s job now is to speed up the rival Nabucco project, which is supported by both the European Union and the American government, and seeks to transport natural gas from the Caspian region to Europe, bypassing Russia en route. The project has been at a virtual standstill for some years.

The crux of the Nabucco project lies in Turkey. The planned pipeline is to run from Ankara eastward to the Azerbaijani port of Baku on the Caspian Sea, via Georgia. The gas is then to flow westward over Bulgaria, Romania and Hungary, to Austria, the Czech Republic and Germany.

The pipeline is planned to stretch approx 3,300 kilometres and cost €7.9 billion, with funding provided by a banking group including the European Investment Bank. Although the European Union terms the Nabucco pipeline one of its most important energy projects, the commencement of its construction has been pushed back several times and is currently planned for 2011. The first stage of development is due to be completed by 2014.

As the most important transit country for the pipeline, Turkey is demanding a special price for transporting the gas. The government in Ankara increasingly regards the Nabucco project as an instrument to expedite its plans to join the EU. In January this year the Turkish Prime Minister Recep Tayyip Erdogan demanded a speeding up of EU membership negotiations and for the first time raised the Nabucco project in this regard. In the event that Turkish membership be denied, then Turkey would regard the Nabucco project as “endangered.”

According to media reports, Fischer’s job is to commence negotiations with the Turkish government as quickly as possible. In his role as former foreign minister he was a strong advocate of EU membership for Turkey and is therefore regarded as highly suitable for the job.

But Nabucco has a much bigger problem than Turkish demands for gas transit fees. So far it is completely unclear which countries are to supply the gas for the pipeline. Possible central Asian supplier countries such as Kazakhstan, Uzbekistan and Turkmenistan currently export their gas via Russia. Moscow then sells the gas with a price increase to Western Europe.

So far, gas from Azerbaijan was regarded as the main source for Nabucco, but in fact the country could only supply one fifth of the necessary amount. In discussions with Turkey, therefore, the main issue has been how to win the cooperation of Iran for the Nabucco project. At the “energy summit” of the European Union held at the beginning of May in Prague, Turkish President Abdullah Gül stressed that Turkey was relying on winning Iranian cooperation for the Nabucco project.

In an article published in the Austrian newspaper Die Presse, Professor Gerhard Mangott from the Austrian Institute for International Policy described the significance of Iranian involvement in Nabucco: “The profitability of Nabucco requires a transport quantity of 31 bcm (billions cubic meters). From the current standpoint this volume cannot be acquired without Iranian natural gas. After Russia, Iran holds the second largest global reserves of natural gas (16 percent). Up to 60 percent of this total resides in largely unexplored gas fields. Access to this gas is strategically vital for the energy security of the European Union.”

Just three days before taking up his advisory post for Nabucco, Fischer wrote a detailed article in Süddeutsche Zeitung giving his own estimate of current developments in Iran.

Fischer’s piece begins with praise for the “great speech” made recently by US President Barack Obama in Cairo to the Muslim world, which he says will have “substantial repercussions.” The situation in the Middle East is on the move, Fischer writes, and asks, is this a “mere coincidence or outstanding timing?”

“Since this speech, elections in Lebanon have taken place, which resulted in a surprising advance for the pro-Western party alliance against the Hezbollah and its allies,” he writes. Obama’s speech also encouraged the Iranian population to take to the streets to oppose “the obvious falsification of the election in favour of the acting president.” Fischer has only one explanation for the stance taken by Ahmadinejad: “The elections were stolen!”

Alongside domestic policy, the issue in the Iranian election campaign was “whether under conditions of opening up and international integration the country would develop a more rational foreign policy or not.” According to Fischer, Ahmadinejad stands for a policy of confrontation and partial isolation, Mousavi for the opening up of the Islamic republic.

The West confronts a dilemma, because the regime in Teheran is “on the one hand discredited and lacks legitimacy due to electoral fraud.” On the other hand, many problems cannot be solved “without the cooperation of the Iranian government.” This applies not only to the Iranian nuclear programme, but also to the conflicts in Afghanistan, Pakistan, Iraq, the Persian Gulf, Lebanon, as well as Palestine. “Iran will also play a role in the Caucasus and Central Asia.”

In his article Fischer did not expressly mention that the Ahmadinejad government has clearly stepped up its cooperation with China in recent years—but he is well aware of this fact. Undoubtedly one of the reasons for his support for the Mousavi camp is the fear of German and European energy groups that they could be denied access to Iranian energy reserves by the Ahmadinejad regime.

Recently the Iranian government gave the National Iranian Oil Company (NIOC) permission to conclude a contract with the China National Petroleum Corporation for the development of the South Pars gas field. In addition to this $4.7 billion deal with the CNPC, NIOC is also cooperating with the China National Offshore Oil Corporation in the exploitation of the North Pars gas field.

According to Guido Steinberg from the Foundation of Science and Politics, German companies threaten to be left out: “If the Iranians no longer do business with us, then they will look for other partners,” he warns. Teheran is currently in the process of a disturbing “geopolitical reorientation,” he writes in the recent edition of the Eurasischen Magazins.

An additional problem for Fischer and the Nabucco project comes from the Kremlin, and the executive floor of Gazprom, where Gerhard Schröder works. It is called “South Stream” and is a planned Russian-Italian natural gas pipeline, due to run across the bottom of the Black Sea and link the Russian port of Novorossiysk to the Bulgarian city of Varna.

From Bulgaria, South Stream is due to branch off with pipelines to Italy and Austria. In its final development stage, transit capacity is estimated at 47 billion cubic meters per year. Partners of the joint venture are Gazprom and the Italian power supplier Eni. The costs are estimated at more than €10 billion.

South Stream is to due to make the transport of Russian natural gas to Europe independent of the previous transit countries, Ukraine and Belarus. At the same time, the South Stream project could mean the end of Nabucco, because both Serbia and Hungary, as well as Bulgaria, have agreed to provide access facilities for the pipeline. This means the construction of South Stream could take place much faster than the Nabucco pipeline.

A hundred years ago the German government and Emperor Wilhelm II sought to extend German influence in the Ottoman Empire and gain access to the newly discovered oilfields in the Middle East through the construction of the Baghdad railway. This led to violent conflicts between the European great powers, which eventually contributed to the outbreak of the First World War. A similar role is being played today by the Nabucco pipeline and the associated global competition for access to energy. The Green Party and its long-time former leader Joschka Fischer are playing a key role in advancing this imperialist project.

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