Informazione
From: Cathrin Schütz
Sent: Saturday, April 18, 2009 4:02 PM
Subject: Berlin und Frankfurt: Film
10 Jahre NATO-Angriffskrieg gegen Jugoslawien
"Jugoslawien: Der vermeidbare Krieg"
Filmveranstaltung der Tageszeitung junge Welt, des Deutschen Freidenker Verbandes und der Vereinigung für Internationale Solidarität
in Frankfurt am Main und Berlin
Deutsche Fassung des Dokumentarfilms "Yugoslavia: the avoidable war" - " Jugoslawien: Der vermeidbare Krieg"
USA/D 1999/2001 Regie: George Bogdanich und Martin Lettmayer
28. April 2009, 18:30 Uhr: Frankfurt am Main, DGB-Haus, Jugendclub, Wilhelm-Leuschner-Str. 69-77, 60329 Frankfurt
Podium: Thomas Deichmann (Journalist), Klaus Hartmann (Vorsitzender des deutschen Freidenker Verbandes), Martin Lettmayer (Regisseur des Films), Cathrin Schütz (Politologin, junge Welt-Autorin)
9. Mai 2009, 19:00 Uhr, Berlin: Ladengalerie der Tageszeitung junge Welt, Torstr. 6
Dabei kommen zahlreiche Beteiligte zu Wort, darunter der damalige Verhandlungsführer der Europäischen Gemeinschaft, Lord Peter Carrington, die damaligen Außenminister der USA, James Baker und Lawrence Eagleburger sowie der deutsche Außenminister Hans Dietrich Genscher.
"Sollte von allen gesehen werden, die mit der Situation in Jugoslawien zu tun haben."
-- Lord Peter Carrington, ehemaliger bristischer Außenminister und EU-Beauftragter
"Yugoslavia, The Avoidable War" ist ein brillianter, fesselnder, sogar schockierender Film. Er nimmt stellt die Ansicht in Frage, daß die NATO-Mächte nur unschuldige Beobachter des Zerbrechens Jugoslawiens waren, die zu spät aus "humanitären" Gründen in die Kriege eingriffen. Der Film argumentiert, daß zunächst Deutschland und Österreich, dann die Vereinigten Staaten als Haupteingreifender, das Zerbrechen ermutigt, Partei ergriffen und ihre favorisierten Parteien bewaffnet haben. Der Film verwendet eine bemerkenswerte Ansammlung von wohlqualifizierten Journalisten, Balkanspezialisten, politischer Insider, und benutzt sie effektiv, um die Motivationen der Schlüsselfiguren zu untersuchen und die falschen Behauptungen aufzudecken, auf die die Kriegsherren ihre Argumente für den Krieg aufgebaut hatten. Da der Film nachweist, daß die Mainstreammedien eine Schlüsselrolle in der Verbreitung von Propaganda und der Hilfe zur Mobilisierung für den Krieg spielten, wird deren Bereitschaft, diese
m Film Eingang in die nationale Debatte über die Balkankriege zu verschaffen, ein guter Test für ihre Integrität sein ebenso wie für die Effektivitäte der US-Demokratie.
-- Edward S. Herman (Ko-Autor mit Noam Chomsky von "Manufacturing Consent")
"Ein Dokumentarfilm ersten Ranges."
-- George Szamuely, New York Press
Vi saremo grati se vorrete pubblicare il seguente intervento. Chiediamo che le firme appaiano in chiaro, perché indicano una condivisione responsabile. Grazie
Regime nato per stroncare con la violenza e la repressione le lotte dei lavoratori; per un ventennio trascinò gli italiani in criminali avventure imperialiste (l’ultima fu la proditoria invasione della Jugoslavia a fianco dei nazisti, con la brutale annessione all’Italia di regioni abitate da circa 800.000 fra sloveni e croati); infine fu sconfitto, nel 1943. Ma i "fedelissimi" del "Duce" riciclato per ordine del "Führer", fondarono la "Repubblica Sociale Italiana": in pratica un insieme di milizie (più o meno) volontarie e di uffici amministrativi dedicati alla collaborazione attiva con gli occupanti per contrastare la guerriglia partigiana. Provocando così un altro anno e mezzo di odiosa e feroce guerra (in)civile.
Questo è il contesto in cui maturarono sia gli ordini di "epurazione" da parte di comandi militari e/o politici della resistenza, sia gli episodi spontanei ed esasperati di vendetta e "giustizia sommaria" che si possono raggruppare col nome di "resa dei conti", e che ci furono in tutta l’alta Italia. Per l’Istria si può discutere quanto sia pesata in certi casi l’identificazione "italiano=fascista", ma è del tutto fuori luogo il ritornello "solo perché italiani", ripetuto ossessivamente, guarda caso, dai nostalgici del fascismo.
Non si tratta di giustificare né di negare dunque, ma di non confondere la ricerca della verità, e la doverosa pietà per le vittime, con l’acritica e complice accettazione dei "resoconti" e delle "testimonianze" sensazionali che le agenzie di propaganda nazifasciste cominciarono a costruire e diffondere già in tempo di guerra allo scopo di demonizzare la lotta di resistenza (in particolare quella degli "slavocomunisti") e di giustificare i propri crimini ed efferatezze. Nel dopoguerra – come è ormai ampiamente dimostrato [si veda p. es. la relazione della commissione storico culturale italo slovena: I rapporti italo sloveni 1880-1956, o le approfondite ricerche nella collana "resistenza storica", ed. KappaVu] – le "leggende foibologiche" si ingigantirono e moltiplicarono, sia per sostenere le rivendicazioni di sovranità italiana sui territori contesi con la Jugoslavia (neo irredentismo), sia per convogliare consensi e aiuti alle organizzazioni dei profughi e degli esuli "giuliano dalmati" (serbatoio elettorale). Va da sé che, con l’avallo delle massime autorità dello Stato, quelle leggende divennero "verità inconfutabili". Per fare solo qualche esempio: i 20.000 infoibati della Venezia Giulia (dato reale: alcune centinaia), i 350.000 esodati italiani (ca. 200.000, di varia nazionalità), i 500 metri cubi (!!) di cadaveri ancora sepolti nel pozzo della miniera di Basovizza (quasi certamente nessuno: cfr. C. Cernigoi, Operazione FOIBE tra storia e mito, cap. V), le "testimonianze dei sopravvissuti" (tutte false, ma utili per ricostruire la storia del mito: cfr. Pol Vice, La foiba dei miracoli…), ecc. ecc..
Insomma, i fascisti non riuscirono ad annientare con le armi la resistenza e ad impedire la liberazione, ma si sono fatti passare per vittime (usando cinicamente i cadaveri altrui) e sono riusciti a inserirsi nei gangli della nuova Repubblica, a farsi sdoganare perché utili in funzione (ancora una volta) anticomunista, e oggi, tornati "democraticamente" al potere, possono permettersi diannullare impunemente le conquiste di quella lotta, e magari cambiare la Costituzione (con l’appoggio dell’ineffabile Presidente Napolitano) quanto serve a creare un regime abbastanza forte per far fronte al probabile acuirsi della lotta di classe col procedere della crisi… Ha proprio ragione il prof. Galeotto: bisogna terminare il lavoro cominciato dai partigiani! A questo scopo è un compito primario degli insegnanti aiutare i giovani a sviluppare e ad usare con efficacia le armi della critica.
A proposito, quelle "verità inconfutabili" sopra citate hanno una propugnatrice entusiasta nell’assessore regionale all’istruzione Elena Donazzan, opportunamente richiamata da Galeotto. Vorremmo sapere se il democratico prof. Oscar Campagnaro e gli altri firmatari della lettera di censura si riferiscono a lei quando scrivono: "la scuola deve rimanere il luogo dello sviluppo delle capacità critiche degli studenti, non lo strumento per orientarli politicamente".
Da parte nostra continueremo a combattere, per completare la liberazione dai crimini fascisti e dalle atrocità delle guerre imperialiste, anche contro la campagna di intossicazione delle coscienze organizzata ogni anno dai camerati dei "comitati 10 febbraio". Insieme con chi vuole davvero costruire una società giusta e solidale, dove concetti come "difesa", "sicurezza", "libertà" non continuino ad essere rovesciati nei loro contrari per mantenere privilegi e sfruttamento.
Paolo Consolaro (Pol Vice), Vicenza - Germano Raniero, Vicenza - Patrizia Cammarata, Vicenza - Franca Bassanese, Vicenza - Riccardo Bocchese, Vicenza - Grazia Bollin, Vicenza - Carlo Francesca, Vicenza - Paolo Manfredotti, Vicenza - Federico Martelletto, Vicenza - Gerardo Pigaiani, Vicenza - Claudia Rancati, Vicenza - Nereo Turati, Vicenza - Gino Vallesella, Vicenza - Raffaele Zenere, Vicenza - Ezio Lovato, Arzignano - Silvio Zanella, Bassano d. Grappa - Mario Barbieri, Brogliano - Fulvio Frigo, Cogollo del Cengio - Tiziano Mistrorigo, Creazzo - Giuseppe Ceola, Malo - Ermanno Cerati, Montecchio Maggiore - Roberto Fogagnoli, Schio - Andrea Martocchia, Bologna - Giancarlo Staffolani per il collettivo "B. Brecht" Veneto Orientale, S. Stino di Livenza (VE) - Giorgio Ellero, Trieste - Gilberto Vlaic, Trieste - Alessandro (Sandi) Volk per l’associazione "Promemoria", Trieste - Alessandra Kersevan, Udine – Sergio Zollo per il colletivo "Tuttinpiedi", Venezia Mestre.
Bolivia: Assassination Team Included Croatian Paramilitaries
Posted by: "rwrozoff"
Sat Apr 18, 2009 7:03 am (PDT)
http://www.b92. net/eng/news/ world-article. php?yyyy= 2009&mm=04& dd=18&nav_ id=58599
BBC News
April 18, 2009
Bolivia gang "fought in Balkans"
LA PAZ - Two members of a mercenary gang said to have plotted to kill Bolivian President Evo Morales were veterans of the Balkan wars of the 1990s, reports say.
Three died and two were arrested in the eastern city of Santa Cruz after police fought a gun battle with the group.
Bolivian police officials said two of the five fought for Croatian independence. The three others are said to be Irish, Romanian and Hungarian.
They were said to be planning attacks on government and opposition figures.
Chief among the suspected targets was Bolivian President Evo Morales, but Vice-President Alvaro Garcia Linera and Santa Cruz Governor Ruben Costas, a bitter opponent of Morales, were also targeted, police said.
There has been no immediate explanation of why the alleged plotters would target government and opposition targets alike.
Costas has questioned the government's information, accusing it of "mounting a show" aimed at discrediting the opposition.
Revealing details of the alleged mercenary gang, police chief Victor Hugo Escobar said prosecutors were now seeking "clear and concrete information" .
The group, suspected by authorities of being behind a dynamite attack on the home of a Catholic cardinal earlier in the week, was tracked down on Thursday to a hotel in Santa Cruz, some 900km (620 miles) east of the capital, La Paz.
The resulting shootout killed Magyarosi Arpak, a Romanian, and Irishman Michael Martin Dwyer, officials say.
The police chief named Eduardo Rosa Flores, 49, a Bolivian-Hungarian man also killed in the gun battle, as the ringleader of the group.
He fought in the war for Croatian independence in the 1990s where he commanded a paramilitary organization, reports said.
The two men arrested were named as Mario Francisco Tasik Astorga, 58, another veteran of the Croatian war, and Elot Toazo, a Hungarian computer expert.
Morales revealed the existence of the alleged plot as he travelled to Venezuela and Trinidad for regional summits.
He said intelligence reports had warned of an assassination plot by a group comprising foreign attackers intending to "riddle us with bullets".
Early reports from Bolivia's leftist government suggested the plotters were linked in some way to opposition movements in the country's lowlands supported by Costas.
But news that Costas was himself thought to be a target brought a clarification from government officials.
"The terrorist group has a strategy... not only against the president or vice-president, but other authorities as well," Deputy Interior Minister Marcos Farfan told Bolivian radio.
Giovedì, il giorno dopo un attacco dinamitardo alla casa del cardinale Julio Terrazas, primate cattolico, le forze speciali boliviana hanno fatto irruzione in un hotel nel centro di Santa Cruz uccidendo tre presunti terroristi - il boliviano-ungherese Eduardo Rosza Flores, l'irlandese Dwyer Michael Martin e l'ungherese Magyarosi Arpas - e arrestandone altri due - il boliviano-croato Mario Radic e l'ungherese Elod Toazo.
La situazione si è ulteriormente ingarbugliata dopo una serie di perquisizioni che hanno portato allo scoprimento di un arsenale di armi e di esplosivi nel padiglione che ospita la Cooperativa di telecomunicazioni Cotas alla Fiera-esposizione cruceña.
Il vicepresidente Alvaro Garcia Linera ha denunciato che si trattava di una cospirazione dell'ultra-destra, accusando quel gruppo «di mercenari stranieri e boliviani» di essere il responsabile anche per l'attaco dinamitardo contro la casa del cardinale e di star organizzando attentati non solo contro il presidente Morales ma anche contro il governatore Costas, il personaggio più in vista dell'opposizione. Fonti investigative hanno segnalato anche di avere incontrato prove che il gruppo di recente si era recato nella località di Alto Parapatí, dove il presidente era andato per ripartire terre fra i contadini, con lo scopo di «studiare il sistema di sicurezza» di Morales. I media sotto controllo statale hanno dato molto spazio ai vincoli fra l'ex-leader del Comitato civico di Santa Cruz, Branko Markovich, di origini croate, e la destra radicale di Croazia.
«Cercano una scusa per decapitare l'opposizione», ha ribatto il governatore Costas segnalando la non casualità fra questi fatti e il viaggio di Morales in Venezuela al vertice dell'Alba (l'Alternativa bolivariana per le Americhe) e a Trinidad al summit delle Americhe, «dove certo dovremo ascoltare la litania sul golpe civile-militare-dipartimentale per rovesciare il presidente».
Però è la romanzesca figura del capo apparente del gruppo, il boliviano-ungherese Eduardo Rosza Flores, quella che aggiunge una nuova dose di dubbi. Nato 49 anni fa a Santa Cruz, suo padre fu un liberopensatore comunista ungherese che formò tutta una generazione di artisti plastici cruceños e sua madre una fervente cattolica boliviana. Da questa miscela uscì un personaggio con una vita tanto estrema quanto contraddittoria: dopo l'esilio di suo padre passò la sua adolescenza nel Cile di un Allende alle ultime battute; si formò militarmente in Ungheria e all'accademia Dzerzhinski di Mosca; ogni giorno più anticomunista studiò linguistica e letteratura all'università di Budapest. Duante la guerra dei Balcani, negli anni '90, lavorò come corrispondente del giornale di Barcellona La Vanguardia e dell'agenzia londinese Bbc. Però il richiamo delle armi fu più forte di quello della penna e in poco tempo divenne comandante della brigata internazionale di volontari stranieri che si battevano per l'indipendenza della Croazia. La sua vita fu portata sullo schermo in Ungheria in un film intitolato «Chico» in cui lui interpretava se stesso e dove si ricorda la sua «amicizia» con il famoso terrorista Carlos, lo sciacallo.
Le sue posizioni religiose non risultano meno sconcertanti: di origine ebrea, si convertì al cattolicesimo dell'Opus Dei per passare infine, nel '95 a Sarajevo, all'Islam. Poi come poeta poliglotta produsse scritti sulla mistica sufi.
«Rosza era un buon combattente ma è stato sempre un enigma», è stato il commento del deputato croato Branimir Glavas. Zoltan Brady, caporedattore della rivista letteraria ungherese Kapu in cui lavorò Rosza, ha dichiarato al giornale The Budapes Times che nel 2008 Chico viaggiò in Bolivia con l'obiettivo di lottare «contro il governo comunista» e per l'indipendenza di Santa Cruz. In effetti il suo blog è pieno di links a siti independentisti radicali.
Ora, in un'atmosfera molto confusa, l'opposizione ha cominciato a parlare di «esecuzione» dei presunti terroristi anziché dello scontro a fuoco raccontato dalla polizia. Investigazioni ufficiose di giornalisti crucegni rivelano che Rosza sarebbe stato contrattato dagli ultrà di Santa Cruz per addestrare gruppi irregolari e circolano anche voci su uno scontro in atto fra il governatore Costas - considerato troppo «moderato» - e possibili candidati radicali alla sua successione, come Marinkovich. Tuttavia le acrobazie ideologico-religiose di Rosza fanno saltare qualsiasi filo logico come del resto le continue denunce di attentati contro di lui da parte di Evo hanno inevitabilmente indebolito la versione ufficiale dei fatti. Chissà che i due sopravissuti arrestati possano far luce sull'intrigo.
"Nel ’94, trascorsi un paio di giorni con lui - racconta sul Quotidiano Nazionale il giornalista italiano Andrea Cangini - e dopo l’uscita dell’intervista, fummo abbordati da un fotoreporter. Ci mise in guardia. Considerava Flores responsabile dell’assassinio di due giornalisti che indagavano su un traffico d’armi".
Il coinvolgimento di mercenari europei, già attivi nelle milizie di destra all’interno della guerre che hanno dilaniato la Jugoslavia negli anni Novanta, rivelano all’opinione pubblica internazionale l’esistenza di una rete terrorista neofascista ancora attiva e che trova nelle forze reazionarie ancora dominanti in alcune regioni boliviane, un inquietante centro di complicità. Lo scenario disegnato dagli attentati contro il Presidente e il Vicepresidente della Bolivia e contro il cardinale di Santa Cruz appare estremamente grave e preoccupante non solo per la Bolivia ma per tutte le forze democratiche e progressiste dell’America Latina e del mondo.
I democratici e i progressisti italiani non possono rimanere indifferenti di fronte alla gravità dei fatti accaduti in Bolivia. Non solo per la simpatia e la solidarietà verso il primo presidente indigeno nella storia recente dell’America Latina e della Bolivia o per il processo democratico e popolare che la nuova Costituzione boliviana sta realizzando. Quanto accaduto in Bolivia concretizza agli occhi dell’opinione pubblica l’esistenza ancora attiva di quella rete terroristica neofascista che ha insanguinato con attentati e stragi anche la storia recente dell’Italia e che ha trovato storicamente rifugio e complicità proprio negli ambienti della destra boliviana che oggi si oppone violentemente al cambiamento democratico in corso in Bolivia. Non è irrilevante ricordare che il fascista italiano Stefano Delle Chiaie collaborò insieme al nazista tedesco Klaus Barbie nel golpe militare del 1980 in Bolivia e assunse incarichi di consigliere nel regime emerso dal golpe o che - molto più recentemente - un altro fascista italiano rifugiatosi in Bolivia, Marco Marino Diodato, è coinvolto nella strage degli indios sostenitori di Evo Morales avvenuto a Pando nel settembre 2008 e fondatore nel '94 dell'organizzazione paramilitare FRIE, la Fuerza de Reacion Immediata del Ejercito
Esprimendo la nostra piena solidarietà al Presidente Evo Morales, al suo governo e al popolo boliviano intendiamo esprimere anche la nostra determinazione nel combattere in ogni angolo del mondo il terrorismo neofascista che intende sbarrare la strada al protagonismo popolare nei processi di cambiamento democratico, in Bolivia come in Europa.
COME L’AMORE così la guerra: c’è chi la fa per noia, chi per professione e chi, infine, per passione. Eduardo Rozsa Flores aveva in sé tutti e tre i moventi. Dicono fosse in Bolivia per uccidere il presidente Evo Morales, sicuramente faccia al suolo è finito lui. Giovedì, assieme ad altri due «mercenari», ucciso dopo una sparatoria lunga una trentina di minuti. Questa la versione ufficiale. Di certo c’è che Flores, detto ‘il Comandante’ in onore di una passione giovanile per il Che, scelse la guerra e lo fece consapevolmente. «La vita — ci disse durante un incontro di 15 anni fa — è passione, impulso, emozione, rischio. Dove, se non in guerra, può realizzarsi a pieno? In guerra non c’è menzogna che tenga, tutti vengono fuori per quello che realmente sono...».
UN AVVENTURIERO, dunque. Nel senso di amante dell’avventura, delle emozioni forti e dei legami cementati dal rischio comune perché «il cameratismo è un sentimento di gran lunga superiore all’amicizia: quando hai rischiato la vita per qualcosa in cui credi, chi si trovava al tuo fianco ti resterà vicino per sempre». Nel ’91 Flores era un giornalista della Vanguardia e il giornale di Barcellona lo mandò a seguire gli albori del conflitto yugoslavo. Osservò due cose. «Che mi trovavo meglio con i soldati croati che con i miei colleghi» e che «i serbi sparavano deliberatamente sui giornalisti». Non era tipo da rimanere in albergo in attesa di notizie.
PER SFIDA, si appese un bersaglio alla schiena. Ma la sfida doveva andare oltre. Si licenziò con un telegramma, si arruolò nell’esercito croato, fondò la Brigata internazionale (Piv): una sorta di legione straniera di cui, col grado di colonnello, divenne il capo. Sul campo si guadagnò l’etichetta di eroe, ma una sola guerra non poteva bastargli. Prima, quando il comunismo cominciava a scricchiolare, organizzò la fuga degli ebrei albanesi da un paese ormai in disfacimento. Operazione di certo gradita al Mossad. Più di recente, fu avvistato in Iraq; si presume col ‘gradimento’ della Cia. Di passaporti ne aveva diversi. Di personalità pure.
NATO in Bolivia nel ’60 da padre ebreo comunista ungherese e madre cattolica boliviana, dopo un passaggio in Cile e uno in Svezia, a 14 anni Eduardo Flores si ritrovò in Ungheria. Amava allora definirsi «comunista di sinistra, qualsiasi cosa volesse dire». A Budapest finisce gli studi e si arruola. Si specializza nel mestiere delle armi in Unione Sovietica, ma dopo meno di due anni appende la divisa al chiodo. «Niente di più noioso che fare il soldato in tempo di pace», spiegherà. Vincere la noia, dunque. Ma come? Qualche mese in Israele («alla ricerca delle mie radici») non basta. Due lauree prese in Spagna men che meno. Diverrà il referente ungherese di Ilich Ramirez Sanchez detto Carlos. Meglio conosciuto come lo Sciacallo: il più famoso, e fors’anche il più spietato, terrorista internazionale. Attraverso Flores, Carlos tiene i contatti con una parte della Baden Meinhof e con alcune cellule della Raf, le Brigate rosse tedesche. Inutile dire che il Comandante andava fiero del loro rapporto e mai fece nulla per nasconderlo. Anzi.
SI IMPEGNÒ in prima persona per consentire allo Sciacallo, dal ’94 in carcere a Parigi, di essere estradato in Venezuela. E attorno al loro sodalizio ruota buona parte del film che un regista ungherese ha qualche anno fa deciso di dedicare alla sua vita. Una vita da film, in effetti. Si intitola ‘Chico’. Ecco, ‘Chico’, o meglio il Comandante, apparteneva a quella categoria di uomini che i romanzi li leggono, ma preferiscono viverli. Che i film li vedono, ma preferiscono recitarli. Un uomo di quelli che provano a fare della propria vita un’opera d’arte. Lui ci riuscì, la sua arte fu la guerra. La guerra e l’intrigo.
ERA TUTTO già lì, nella sua testa e nel lampo degli occhi. Ma non nel corpo. Basso, grassoccio, gioviale e apparentemente bonario: a vederlo, mai si sarebbe detto che era un guerriero. Un guerriero per scelta. «Ogni volta che vedo il nemico mi si paralizzano le gambe», diceva. Per poi aggiungere: «Ma dopo un istante subentra il gelo». Nel ’94, trascorsi un paio di giorni con lui e dopo l’uscita dell’intervista, fummo abbordati da un fotoreporter. Ci mise in guardia. Considerava Flores responsabile dell’assassinio di due giornalisti che indagavano su un traffico d’armi. E’ possibile. Di certo il Comandante sognava l’azione. O meglio, «la rivoluzione». Ridendo, raccontava d’essere stato dato per morto 18 volte. Non ci sarà una diciannovesima.
Eduardo Rozsa Flores nel 1992, quando era
a capo della Brigata internazionale croata
Flores con
i commilitoni:
sopra è il primo
da sinistra accucciato; qui sventola la bandiera spagnola
Le armi trovate dalla polizia durante
il blitz di antiterrorismo; sotto,
il cadavere di Eduardo Rozsa Flores
(Ansa e Reuters)