Informazione

(english / italiano)

Fare scempio dello scempio

... a dieci anni dalla strage dei 16 lavoratori della radiotelevisione serba da parte della NATO ...

1) Scempio dello scempio (A. Di Meo)
2) NATO murdered journalists, then jailed TV director (WW)
3) Amnesty: NATO bombing of Serbian TV 'war crime' / AI: Who will judge NATO's crimes? NATO says RTS was legitimate target 
4) AMNESTY · Il dossier che l'Aja non volle vedere. Effetti collaterali? No, omicidi deliberati (il Manifesto)
5) Remembrance of the victims of the NATO bombing of RTS 

Sulla strage commessa dalla N.A.T.O. ai danni dei lavoratori della RTS si veda quanto contenuto nel dossier di Amnesty International - "DANNI COLLATERALI" O UCCISIONI ILLEGALI? (2000): https://www.cnj.it/24MARZO99/amnesty2000.htm#rts - e la documentazione sulle denunce alla magistratura italiana e degli altri paesi N.A.T.O., tutte insabbiate: https://www.cnj.it/24MARZO99/giudiziario.htm#rts


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----- Original Message -----
Sent: Friday, May 08, 2009 5:50 PM
Subject: Scempio dello scempio

Si è parlato di dieci anni fa, ieri in ambasciata della repubblica di Serbia in Italia.
Dieci anni fa, la guerra, che avrebbe bombardato, fra i tanti obiettivi militari e non, il palazzo della televisione jugoslava con dentro molti operatori fra i quali16 persone che rimasero uccise.
Si è detto che quelle persone sono state ammazzate due volte ma, forse, non sono d'accordo. Le bombe hanno nomi e cognomi e non ammettono distrazioni o concorsi di colpa.
E si è detto pure che quello poteva essere obiettivo reale perchè la televisione faceva propaganda al dittatore Milosevic ma, forse, non sono d'accordo. Milosevic, dittatore anomalo,novello Hitler che lasciava alle opposizioni il governo delle maggiori città serbe, che lasciava manifestare tutti i giorni contro se stesso, senza polizia a caricare i manifestanti come farebbe qualunque buon governo democratico nostrano, che lasciava il potere dietro una sommossa detta troppo in fretta popolare contro la legge elettorale che prevedeva il turno di ballottaggio... e che si è fatto ammazzare, lui solo, da un tribunale davvero troppo speciale...
No, non sono d'accordo.
Se la propaganda può essere motivo per ricevere bombe allora, a quel tempo, in Italia un vero dio, se fosse esistito, ci avrebbe fulminato all'istante. Perchè la propaganda di guerra veniva fatta ogni giorno, in modo sistematico e scientifico, preparando coscienze sulla necessità di bombardare. Il gioco era truccato, bisogna non dimenticarlo mai. Registi nemmeno tanto occulti, uomini di Nato e di Cia riuscivano a manipolare a loro piacimento l'andamento del teatrino dei pupi politici italiani.
Allora, come ora...

Nel frattempo, il Kosovo è un narcostato, le mafie fanno affari, la Serbia è in ginocchio e l'Albania chiede di appropriarsi dei monasteri ortodossi, mentre il circo degli illusionisti organizza viaggi nella terra dei misteri, dove puoi assaporare, dicono...
"l'atmosfera del monastero ortodosso e dei monaci coi loro canti, e la poesia del minareto musulmano, perchè il Kosovo è la terra non solo della violenza ma della convivenza e della coesistenza...".

Maledetto gioco di equilibrismo che tutto nasconde, tutto salta e tutto dimentica, come se nulla fosse mai successo.
Intanto la gente continua a morire di guerra. In Serbia, ora, in Jugoslavia, prima... La Jugoslavia, da dove tutti, uno a uno, si sono staccati lasciando Serbia sola. Con i problemi della Jugoslavia. Profughi, sfollati, malati, disoccupati, fabbriche disfatte, lavoro e dignità calpestati. In tutto questo, ancora multietnica.
Intanto, a Bond Steel, ex Kosovo, c'è la più grande base americana, pardon... della Nato in Europa, che veglia su di noi, forse...
Guarda caso in un posto nemmeno sfiorato dai bombardamenti. Forse lo sapevano già che lì non avrebbero bombardato, inquinato, distrutto, devitalizzato? Si, lo sapevano già.

Sapevano che truccavano il gioco. Ma noi, nei rari incontri, facciamo finta di dimenticarlo. E andiamo avanti.
No, il vero scempio è questo. Lo scempio della devastazione delle parole, città che cambiano nome, calpestando la propria storia con il circo degli illusionisti che si accoda, nel nome dell'equidistanza.
Così le città si chiamano col nome albanese, città serbe, diventano albanesi in tutto. La parola Liberazione, usata per eserciti di terroristi ammaestrati, corrotti, criminali che non dovevano liberarsi da nessun invasore, da nessun esercito nemico, perde di significato. Ci si può, quindi, liberare dalla storia, dalla tradizione, dalla cultura, da una terra che non ci piace più.
Ormai il circo è partito, non si fermerà. La vera lotta va fatta nello smascherare questi circensi. Sono loro che stanno continuando il gioco sporco e truccato della guerra, iniziato molto più di dieci anni fa. Questo lo sanno molto bene le donne rimaste vedove già nel 98, a guerra lontana, i loro mariti fatti a pezzi da eserciti criminali che chiamavano di Liberazione. Scempio dello scempio.

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            visita: http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.com/

               "Deve esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto 
                      dove non soffriremo e tutto sarà giusto...

                             (francesco guccini - cyrano)

Un ponte per... associazione di volontariato per la solidarietà internazionale
                        Piazza Vittorio Emanuele II, 132 - 00185 - Roma
    tel 06-44702906  e-mail: 
posta@... web: www.unponteper.it


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Defend Yugoslavia’s Milanovic

NATO murdered journalists, then jailed TV director

By Heather Cottin 
Published May 1, 2009 8:21 PM

An international movement has been established to protest the already seven-year-long imprisonment of Dragoljub Milanovic, a target of NATO’s effort to blame the victim following its U.S.-led bombing campaign against Yugoslav civilians 10 years ago.

During March and April 1999, the Yugoslav television station RTS’s dedicated workers willingly risked danger to transmit to the world words and images about the US/NATO bombardment that was targeting the Serbian infrastructure and slaughtering Yugoslav civilians. Early NATO statements focused on the need to “degrade” the Yugoslav government’s “ability to transmit their version of the news.” (NATO press briefing, April 23, 2000)

NATO bombs and rockets destroyed 10 private radio and television stations and 50 TV transmitters and relay stations during the 78 days of air war. On April 23, 1999, a single NATO rocket—it was a U.S. rocket—hit RTS headquarters in Belgrade, killing 16 people and severely wounding 19 of the 120 workers in the building.

To cover its own role in this murder, NATO used the court that U.S. Ambassador to the United Nations Madeleine Albright had pushed to establish in 1993. As President Bill Clinton’s secretary of state, Albright promoted the 1999 war on Yugoslavia. The U.S. and its NATO allies funded this court, called the International Criminal Tribunal on Yugoslavia and based in The Hague, Netherlands.

The ICTY’s goal was to blame all the fighting in the Balkans on the peoples of the Balkans, especially the government in Belgrade.

The ICTY’s role starting in 1999 was to blame the victims—that is, to cover up NATO’s aggression by blaming Yugoslav leaders. Before the bombing ended, the ICTY had charged Yugoslav President Slobodan Milosevic with war crimes. It is notable that Milosevic waged a successful defense against these charges until his suspicious death in captivity in 2006, frustrating the ICTY’s goals.

In 2001, ICTY Prosecutor Carla Del Ponte claimed that Milosevic and Milanovic had been “warned” about the bombings of the TV headquarters, and were thus responsible for the deaths.

It’s true there were weeks of threats and rumors that NATO would attempt such a violation of the Geneva Convention. But the RTS reporters and staff, like many other Yugoslav patriots, voluntarily stayed at their posts.

By 2001, a NATO-organized coup had overthrown the Milosevic government and put NATO puppets in power in Belgrade, and a Belgrade court tried and found Milanovic guilty of the deaths of the RTS workers. Milanovic, a Yugoslav patriot, was the only person to be imprisoned for NATO’s war crimes.

Free Milanovic

Activists from Europe and North America, including representatives of the U.S.-based International Action Center, met March 25 in Pozarevac, Serbia, where Milanovic is imprisoned, to organize a campaign to free him.

Renowned Serbian Journalist Liljana Milanovic spoke at the meeting, noting that RTS was “deliberately bombed” according to the NATO commander in Europe at the time, Gen. Wesley Clark.

British Prime Minister Tony Blair admitted that NATO bombed the station after it showed the carnage from the bombing of the passenger train on the bridge in the Grdelička Gauge where 75 civilians were killed.

Thus NATO’s primary goal in attacking the broadcasting facility was not to disable the Serbian military command and control system, as NATO statements later claimed, but an attempt to stifle the truth. This makes the assault a war crime, as even Amnesty International charged in 2000 and repeated just this April.

On April 23 NATO again rejected the AI charge, claiming that the ICTY—itself a NATO creation—had absolved NATO of war crimes in the past.

The ICTY was never a neutral, unbiased body. When NATO spokesperson Jamie Shea was asked whether NATO leaders could ever be indicted by the ICTY, he said, “Without NATO there would be no tribunal because NATO countries are in the forefront of those who have established the Tribunal, who fund this Tribunal and who support its activities on a daily basis.” (IPS, July 1, 1999)

Thus the decision was no surprise. The ICTY exonerated NATO of responsibility for the crimes against humanity the U.S.-led alliance committed in Yugoslavia. These included deliberately bombarding vital civilian infrastructure, conspiracy to initiate a war of aggression, lethally targeting journalists, using depleted uranium and anti-personnel weapons such as cluster bombs in areas of high civilian concentration, and bombing with the intent and effect of unleashing environmental catastrophe.

No to NATO

Washington and the Western European colonial powers set up NATO in 1949 to prevent workers’ revolutions and to threaten the USSR and its allies. NATO’s first “out of area” war was against Yugoslavia, the only country in its region that was still resisting domination from the West.

Today there are 28 NATO members, including many former socialist countries in the east that are now semi-colonies of the U.S. and Western Europe. NATO, still under Washington’s leadership, backs up the investors and predators that exploit the human, mineral and strategic resources of the world. NATO has encircled Russia, sent its navies to the Arctic and to South America, is in the Horn of Africa and has occupied Afghanistan.

Milanovic’s continued imprisonment would allow the United States and other NATO governments to commit crimes against humanity, bomb and kill with immunity, and jail those who tell the truth. The current Serbian government is obediently re-trying Milanovic, adding years to his sentence in the service of its NATO paymasters.

Taking up the cause of Dragoljub Milanovic is not only to free an innocent person, it is to vindicate truth. At the meeting in Pozarevac, Vladimir Krsljanin, a political leader in Serbia, said, “This case is about freedom, truth and resistance to NATO.”

The writer represented the International Action Center in Yugoslavia at the Pozarevac meeting. For more information on the 1999 war and the ICTY, see “Hidden Agenda: the U.S./NATO Takeover of Yugoslavia,” at leftbooks.com.


Articles copyright 1995-2009 Workers World. Verbatim copying and distribution of this entire article is permitted in any medium without royalty provided this notice is preserved. 

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Amnesty: NATO bombing of Serbian TV 'war crime'

By Dusan Stojanovic, Associated Press Writer | April 23, 2009

BELGRADE, Serbia --An international human rights group demanded Thursday that NATO be held accountable for civilian casualties in the bombing of Serbia's state television headquarters a decade ago, calling the attack a "war crime."

Sixteen civilians were killed and 16 others injured during the attack on April 23, 1999, on the headquarters and studios of Radio Television Serbia in central Belgrade.

Amnesty International called on NATO and its member states to ensure independent investigations, full accountability and redress for victims and their families.

A NATO official, who spoke on condition of anonymity in line with standing regulations, said the U.N.'s International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia had already assessed those allegations and found the alliance had no case to answer.

"The ICTY has looked into this. They did not accept Amnesty's arguments at the time," the official said. "The accusations have been dealt with."

At the time of the bombing, NATO officials said the TV headquarters was a legitimate target because of the station's relentless war propaganda that contributed to the ethnically-inspired bloodshed in the Balkans.

The bombing was a part of a 78-day air-raid campaign against then-President Slobodan Milosevic to halt his onslaught against Kosovo Albanian separatists in the former Serbian province.

"The bombing of the headquarters of Serbian state radio and television was a deliberate attack on a civilian object and as such constitutes a war crime," Sian Jones, Amnesty International' s Balkans expert, said in a statement.

"Even if NATO genuinely believed RTS was a legitimate target, the attack was disproportionate and hence a war crime," Jones said.

The families of the victims gathered in front of the bombed TV headquarters early Thursday to demand why there was no advance warning that the attack would occur.

They believe top Serbian TV officials deliberately sacrificed their staff for propaganda purposes, even though they knew the building would be attacked.

Amnesty International said in the statement that NATO officials confirmed that no specific warning of the attack was given, even though they knew many civilians would be in the RTS building.


Associated Press writer Raf Casert contributed to this report from Brussels. 

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http://www.b92.net/eng/news/crimes-article.php?yyyy=2009&mm=05&dd=04&nav_id=58919

Beta News Agency/Politika - May 4, 2009


AI: Who will judge NATO's crimes? 


BELGRADE - An Amnesty International representative says this organization is "seeking mechanisms" so that NATO is tried for the crimes committed in Serbia and Afghanistan.

Sian Jones told Belgrade daily Politika that AI “is looking go mechanisms for NATO to answer for their crimes, because no world organization currently has jurisdiction over the most powerful military alliance on the planet.”

“We will continue to put pressure on NATO, because over the last ten years there has been clear proof that in 1999, during the bombing of Yugoslavia, there was a violation of human rights,” Jones said. 

AI stated in its 2002 report that the NATO bombing of Radio Television Serbia, RTS, in which 16 people were killed, should be seen as a war crime and a serious violation of international humanitarian law. 

“NATO is now immune to prosecution, whether for killing civilians in Serbia, or the killing of civilians, which we believe is still going on, in Afghanistan,” Jones said. 

She said that the reason can be found in the “complicated fact that the Alliance is at the same time an organization of individual countries, but an entity itself.” 

The European Director of the International Federation of Journalists, Marc Gruber, told Politika that the fact that NATO has not faced any legal responsibility for what it did in Serbia ten years after the fact is “a big problem which is not easy to solve at all”. 

“No court can start a trial against NATO, as there is no basis for it in international law, because the North Atlantic Alliance is an international coalition of states,” Gruber said. 

“We strongly condemn this crime. The least that NATO could do is offer an apology. We have been protesting for ten years against the fact that NATO targeted a television station, knowing there were journalists inside. The media can never be a military target,” Gruber told Politika.  

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http://makfax. com.mk/en- us/Details. aspx?ItemID= 3449

Makfax
April 24, 2009

NATO says RTS was legitimate target  
   
Brussels - NATO rejected a demand by Amnesty International that it be held accountable for civilian deaths caused by the bombing of Serbian television building 10 years ago.

NATO's spokeswoman Carmen Romero said the incident has been investigated thoroughly by the international war crimes tribunal for the former Yugoslavia as part of the overall investigation into the 1999 campaign. "The main conclusion was that NATO has no case to answer".

Romero said during the war the station's transmitters formed an integral part of the strategic communications network. On that basis, the war crimes prosecutor concluded that there was no basis into any of the allegations or into other incidents related to NATO air campaign, she added. 

Human rights watchdog Amnesty International (AI) said in a statement issued on Thursday that NATO's bombing was a deliberate attack on civilian object and as such constitutes a war crime. It called on NATO to launch a war crimes probe into the attack, in which 16 media workers were killed, to ensure full accountability and redress for victims and their families.  


=== 4 ===

Sull'argomento si veda quanto contenuto nel dossier di Amnesty International - "DANNI COLLATERALI" O UCCISIONI ILLEGALI? (2000): https://www.cnj.it/24MARZO99/amnesty2000.htm#rts - e la documentazione sulle denunce alla magistratura italiana e degli altri paesi N.A.T.O., tutte insabbiate: https://www.cnj.it/24MARZO99/giudiziario.htm#rts

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AMNESTY · Il dossier che l'Aja non volle vedere

Effetti collaterali? No, omicidi deliberati

di t. d. f. - Il Manifesto 

 
A rilanciare le accuse per i crimini della Nato in Serbia e in Kosovo, il 6 giugno del 2000 due giorni dopo l'assoluzione da parte del Tribunale dell'Aja, arrivò un dossier di Amnesty international - la stessa organizzazione che in questi giorni denuncia che sulle centinaia di sequestri di civili, serbi e albanesi, ancora non è stata fatta giustizia - con un'analisi dettagliata delle violazioni del diritto umanitario internazionale da parte dell'Alleanza atlantica. Se la possibilità che i leader della Nato venissero incriminati era caduta perché per l'allora procuratore Carla Del Ponte c'era la «difficoltà di acquisire prove certe delle violazioni dei diritti umani», il dossier di Amnesty, «Danni collaterali o omicidi illegali?» ( www.amnesty. org/ailib/intcam/ kosovo/docs/ notorep_all. doc )), elencava proprio con precisione tutte le azioni di guerra che avevano colpito la popolazione civile, serba e kosovara.
 
«Violati i principi umanitari»

«La Nato ha in più occasioni violato i principi umanitari da applicare in ogni conflitto armato», sostiene Amnesty, che accusa la Nato di «non aver rispettato le regole fondamentali sancite nelle convenzioni di Ginevra del 1949», causando la morte di numerosi civili. Tra le norme del diritto umanitario internazionale vi è, infatti, la proibizione di qualsiasi attacco diretto contro persone o strutture civili, degli attacchi condotti in modo da non distinguere gli obiettivi civili da quelli militari, e che, seppur condotti contro obiettivi militari legittimi, comportano un impatto sproporzionato sui civili. Molto spesso vennero utilizzate nei raid aerei le micidiali cluster bom - bombe a frammentazione e il totale delle vittime dirette degli effetti collaterali fu di circa 500 morti, tra civili serbi e albanesi, con più di seimila feriti. Senza considerare gli effetti sulla salute, sul medio-lungo periodo, dei proiettili e dei missili all'uranio impoverito utilizzati: 31 mila sul solo Kosovo e dai soli A-10 americani, come confermò, su richiesta italiana, l'allora segretario della Nato George Robertson in una lettera del febbraio 2000 all'allora segretario dell'Onu Kofi Annan. Ma il numero è probabilmente molto più alto perché la risposta della Nato parlava solo dei bombardamenti americani. E poi ci furono i bombardamenti mirati su industrie chimiche e raffinerie, come dimostra il rapporto dell'Unep (la task force Onu per i Balcani), che ha individuato quattro aree rimaste particolarmente a rischio in questi dieci anni, tra cui Pancevo, Novi Sad e Kragujevac. Tanto che in molti, come l'intellettuale tedesco Knut Krusewitz, hanno ipotizzato una vera e propria «guerra ecologica», vale a dire bombardamenti premeditati per ottenere gli stessi effetti che si sarebbero realizzati utilizzando armi chimiche vietate dalle convenzioni internazionali. Il rapporto di Amnesty international è basato sulla raccolta di testimonianze e sull'analisi dettagliata dei pronunciamenti ufficiali della Nato, nonché di materiale di fonte indipendente. Il 14 febbraio del 2000 una delegazione dell'associazione aveva incontrato i vertici della Nato. Che, lo ricordiamo, si sono sistematicamente rifiutati (come ha ammesso anche il Tribunale dell'Aja) di fornire dati e mappe precise relative ai bombardamenti, se si fa eccezione per quelle relative all'uranio impoverito sganciato in Kosovo, arrivate con dieci mesi di ritardo e solo dopo le bacchettate dell'Onu. A un anno esatto dalla conclusione della guerra, non si sapeva ancora niente, ad esempio, su ciò che è stato sganciato sulla Serbia, o sulle cluster bomb nell'Adriatico. Anzi, spesso la regola è stata quella di depistare, come testimoniò l'episodio del video «accelerato» mostrato ai giornalisti dallo stesso generale Wesley Clark e relativo all'«effetto collaterale» sul treno di civili, colpito mentre attraversava il ponte di Grdelica il 12 aprile '99 (i morti furono dodici).
 
«Un crimine la tv target»

Il rapporto di Amnesty analizza tutti gli obiettivi civili colpiti, compreso il bombardamento della tv jugoslava a Belgrado del 23 aprile, considerato «un crimine di guerra», perché «uno strumento di propaganda non può essere considerato un obiettivo militare». Per Amnesty l'attacco è stato «sproporzionato» , avendo causato la morte di 16 civili, con l'unico risultato di interrompere le trasmissioni per più di tre ore (e le vittime non vennero inserite nel rapporto annuale di Reporters sans frontieres sui giornalisti vittime di guerra). E poi l'attacco missilistico contro il ponte Varvarin, il 30 maggio, che uccise undici civili, senza che la Nato sospendesse l'azione pur essendo evidente il rischio di colpire persone innocenti. In altre due azioni, prosegue il dossier, il 14 aprile a Djakovica contro una colonna di profughi kosovaro-albanesi e il 13 maggio contro il villaggio di Korisa, dove ancora una volta furono colpiti civili albanesi (120 morti nei due attacchi) la Nato secondo Amnesty non avrebbe adottato le necessarie precauzioni per minimizzare i danni ai civili. O ancora, l'attacco all'ospedale di Surdulica, il 31 maggio, 16 morti. Un altro capitolo del dossier è dedicato al bombardamento dell'8 maggio all'ambasciata cinese di Belgrado che, oltre a uccidere tre persone e mandarne all'ospedale venti, rischiò di provocare una crisi internazionale con la Cina. Il giorno prima, cluster bomb lanciate sulla città di Nis avevano distrutto l'ospedale e diverse abitazioni (14 morti e 30 feriti). A ritroso, troviamo un autobus pieno di civili distrutto il 1 maggio a Luzhane, 20 km a nord di Pristina (40 morti tra civili e militari). Saranno bombardate anche le ambulanze intervenute sul posto per i soccorsi, accusa il rapporto di Amnesty. E la Croce rossa internazionale dichiarava il 23 maggio 1999: «Nella prima settimana di bombardamenti, il numero di obiettivi civili colpiti in realtà è apparso basso. Ma quando la campagna aerea si è intensificata, è cresciuto il numero delle vittime civili serbe e dei danni a obiettivi civili». Salirà mai qualcuno sul banco degli accusati di un tribunale internazionale per questi «effetti collaterali»?


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http://glassrbije.org/E/index.php?option=com_content&task=view&id=6976&Itemid=26

Serbian Radio - April 23, 2009

Remembrance of the victims of the NATO bombing of RTS    

Ten years have elapsed today since the NATO bombing of the Radio Television Serbia building, when 16 employees were killed and another 16 were injured. 

NATO bombed the building, in downtwon Belgrade, on the night between 22 and 23 April 1999, at 02.06 a.m. 

It was for the first time in the history of war that a media house, previously proclaimed as a military target, was bombed. 

The victims’ families and their colleagues from Radio Television Serbia have held a service today, laying flowers and lighting candles, on the monument dedicated to the victims of the NATO bombing of Radio Television Serbia.





MESSA A REPENTAGLIO LA SOPRAVVIVENZA DELLA RADIO JUGOSLAVIA

Il Sindacato indipendente della Radio Jugoslavia (Radio internazionale di Serbia) vorrebbe informare l’opinione pubblica della difficile situazione in cui si sono trovati gli impiegati di questo media dopo 73 anni di esistenza. La ragione per questa situazione è, non soltanto l’indefinito status della nostra casa, ma anche l’irregolare finanziamento delle attività di cui fanno parte gli stipendi degli impiegati.

Anche se è stato rielaborato il Bilancio per il 2009, la Radio Jugoslavia non ha ancora ricevuto dal Ministero della cultura un’informazione ufficiale sulla rata annuale destinata al funzionamento della nostra casa. Visto che il finanziamento della Radio Jugoslavia è definito nel Bilancio sotto il punto SOVVENZIONI, gli impiegati temono che la rata annuale sarà abbassata in modo forfetario, cosa che metterà a repentaglio il funzionamento e la sopravvivenza di questo media. Dopo l’approvazione precedente del Bilancio per il 2009, la rata mensile per la Radio Jugoslavia è stata abbassata di 12% rispetto alla rata mensile dell’anno scorso. Questo ha condizionato all’inizio di quest’anno l’abbassamento degli stipendi degli impiegati alla stessa altezza. Dall’altra parte, l’irregolare trasferimento dei mezzi ha minacciato il funzionamento del programma, a causa delle non pagate bollette della luce, dell’internet, del satellite, del telefono ecc.

Se il finanziamento della Radio Jugoslavia non sarà definito in modo preciso nel Bilancio della Repubblica di Serbia, e se con le annunciate misure del Ministero l’intera rata annuale sarà abbassata di alti 20%, gli impiegati della Radio Jugoslavia temono che sarà seriamente messa a repentaglio la sopravvivenza della nostra radio, degli impiegati e anche la sopravvivenza delle loro famiglie.

Ci aspettiamo dalle istituzioni competenti della Repubblica di Serbia, e soprattutto dal Ministero della cultura e dal ministro Nebojsa Bradic, di capire seriamente i problemi che stiamo affrontando e di esporre al più presto una proposta sul futuro finanziamento della Radio Jugoslavia, che non sarebbe diverso dal finanziamento degli impiegati nel Ministero della cultura. Nel caso contrario, gli impiegati della Radio Jugoslavia saranno obbligati a radicalizzare la propria lotta per la sopravvivenza della casa.

Il Sindacato indipendente della Radio Jugoslavia lancia un appello ai colleghi nel paese e all’estero, nonché agli ascoltatori, di appoggiare gli sforzi degli impiegati nella Radio Jugoslavia a conservare una delle più antiche stazioni radio nel mondo che trasmette sulle onde corte. Potete inviarci le vostre e-mai di supporto all’indirizzo radioju@....


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http://www.glassrbije.org/ap/

DOVEDEN U PITANJE OPSTANAK RADIO JUGOSLAVIJE

Samostalni sindikat Radio Jugoslavije (Međunarodni radio Srbija) ovim putem želi da obavesti javnost o veoma teškoj situaciji u kojoj su se, ne svojom krivicom, našli zaposleni u ovoj medijskoj kući posle 73 godine njenog postojanja. Razlog za takvo stanje je, ne samo nedefinisan status naše kuće, nego i neredovno finansiranje delatnosti u koje spada i isplata zarada zaposlenih.

Iako predstoji rebalans Budžeta za 2009. godinu, SJU Radio Jugoslavija od Ministarstva kulture još nije dobila zvaničnu informaciju o visini godišnje budžetske rate namenjene funksionisanju delatnosti kuće. S obzirom na to da je finansiranje RJ u Budžetu definisano pod stavkom SUBVENCIJE, zaposleni opravdano strahuju da će doći do paušalnog smanjenja godišnje rate, što će ugroziti funkcionisanje i opstanak kuće. Nakon ranije usvojenog Budžeta za 2009. godinu, mesečna sredstva za RJ umanjena su 12 procenata u odnosu na prošlogodišnju mesečnu budžetsku ratu. To je početkom ove godine uslovilo smanjenje zarada zaposlenih u istom obimu. S druge strane, neredovni transfer sredstava ugrozio je funkcionisanje programa zbog neplaćenih dugovanja za struju, satelit, internet, telefone i drugo.

Ukoliko finansiranje SJU Radio Jugoslavije ne bude precizno definisano u Bužetu Republike Srbije, a najavljenim merama Ministarstva ukupna godišnja rata bude smanjena za još oko 20 procenata, zaposleni u RJ opravdano strahuju da će biti ozbiljno ugrožen opstanak naše medijske kuće, ali i egzistencija njihovih porodica.

Očekujemo da nadležne institucije Republike Srbije, a pre svega da Ministarstvo kulture i ministar Nebojša Bradić ozbiljno shvate problem sa kojim smo suočeni i da u najkraćem roku ponude rešenje budućeg finansiranja RJ, koje ne bi bilo drugačije od finansiranja zaposlenih u Ministarstvu kulture. U suprotnom, zaposleni u Radio Jugoslaviji biće prinuđeni da radikalizuju svoju borbu za opstanak kuće.

SSRJ ovim putem apeluje na kolege i u zemlji i u inostranstvu, kao i na slušaoce, da podrže napore zaposlenih u RJ da očuvaju jednu od najstarijih kratkotalasnih radio stanica u svetu. Mejlove podrške možete slati na adresu radioju@...



5x1000 al CNJ


Dal 2007 il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia è ONLUS - associazione non lucrativa di utilità sociale. Da quest'anno (2009) è possibile indicarla come destinataria del cinque per mille nella dichiarazione dei redditi.

Per destinare il 5 per mille al CNJ ONLUS è sufficiente compilare lo spazio riservato al cinque per mille sulle dichiarazioni dei redditi (CUD, 730, Unico) nel seguente modo:
- apporre la propria firma nel riquadro "Sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni riconosciute che operano nei settori di cui all'art. 10, c.1, lett a), del D.Lgs. n. 460 del 1997 e delle fondazioni nazionali di carattere culturale";
- riportare il codice fiscale del CNJ - 97479800589 - nello spazio collocato subito sotto la firma.

Il cinque per mille non è una tassa in più. Semplicemente, il contribuente decide come deve essere utilizzata una parte delle tasse che già deve pagare. Se non decide nulla, il suo cinque per mille rimane a disposizione dello Stato; se lo destina al CNJ ONLUS, quella somma verrà impiegata per l'affermazione dei valori e degli obiettivi descritti nello Statuto associativo: http://www.cnj. it/documentazion e/documento_ costitutivo. htm#statuto

La disponibilità di denaro della nostra ONLUS è scarsissima. Eppure, per ogni iniziativa che organizziamo, e per poter comunicare le nostre idee e speranze verso il pubblico, le spese ci sono e pesano. Se non hai ancora deciso come destinare il 5x1000 ti invitiamo perciò a considerarci come possibili beneficiari.

Ulteriori informazioni al nostro sito: http://www.cnj. it/coordinamento s.htm#005




Italiani, il mito di brava gente

1) Recensione del libro di Davide Conti "L’occupazione italiana dei Balcani. Crimini di guerra e mito della brava gente (1940-1943)"

2) Recensione del romanzo di Boris Pahor "Qui è proibito parlare"


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Italiani, il mito di brava gente. Falso storico!

di Margherita Amatruda 
Da Odradek: quando l’Italia
occupava e massacrava:
i Balcani negli anni 1940-43


Un paese che non conosce la propria storia è destinato a ripetere gli stessi errori.
La nostra editoria è piena di saggi che ricostruiscono gli eventi della Seconda guerra mondiale. Quelle che spesso mancano sono le opere di descrizione degli accadimenti storici che indeboliscano le certezze consolidate e che permettano al lettore di rivedere le proprie convinzioni per capire e conoscere i momenti che, nel corso del Secondo conflitto mondiale,videro la partecipazione dell’Italia nel ruolo di aggressore e di occupante.
Il saggio di Davide Conti, L’occupazione italiana dei Balcani. Crimini di guerra e mito della brava gente (1940-1943), pubblicato da Odradek (pp. 278, € 18,00), offre una ricostruzione storica molto dettagliata di quella che durante  la Seconda  guerra mondiale, e ancor prima, fu l’invasione italiana dei Balcani, la conseguente opera di “snazionalizzazione” effettuata dal regio esercito e dalle milizie fasciste, la repressione nei confronti dei partigiani e della popolazione e il successivo atteggiamento di generale rimozione dei fatti accaduti e dei crimini commessi nella perpetua e autoassolutoria riproposizione del mito degli “italiani brava gente”.
Gli italiani si distinsero, come sempre accade nelle guerre di conquista, per ferocia e sopraffazione. L’autore mira ad evidenziare le atrocità perpetrate contro la popolazione civile delle zone conquistate e contro i partigiani che operavano sul territorio. Si tenga presente come: «il mito del “buon italiano” non solo abbia nel passato assolto [...] il suo compito di rimozione e autoassoluzione degli italiani rispetto alle responsabilità della Seconda guerra mondiale e della guerra di aggressione coloniale, ma anche come mantenga ancora nel presente [...] una funzione di organizzazione del consenso rispetto alle politiche militari».
I dati e le citazioni che spesso l’autore propone come inciso nel corpo del testo, la ricchezza di note e la presenza di accurati indici fanno di questo saggio un’opera interessante e completa, destinata a un pubblico di lettori esperti e appassionati di storia.
 
«Palikuća»
Proprio l’intervista a un partigiano italiano, Rosario Bentivegna, apre e contemporaneamente racchiude il senso di questa opera. Bentivegna, unitosi come combattente alle brigate partigiane che operavano in Montenegro durante  la Seconda  guerra mondiale, racconta, nelle prime pagine, della diffidenza che, comunque, i montenegrini nutrivano nei confronti degli italiani: «Tanto da portare la popolazione civile a ribattezzare il soldato italiano palikuća cioè incendiario, bruciatetti».
Basta questo incipit crudo a far cogliere al lettore quella che è stata la vera natura dell’occupazione italiana dei Balcani, simile a quella di tutte le guerre di conquista. Tale occupazione si caratterizza per la medesima ferocia dimostrata dai nazisti in tutta Europa. L’unica cosa che differenziava i due eserciti era la migliore organizzazione della milizia tedesca nelle operazioni belliche e nella sistematica opera di “snazionalizzazione” e repressione che seguiva alla conquista dei territori.
 
Antefatto
Premessa per le invasioni militari dei Balcani della Seconda guerra mondiale fu la medesima opera di progressiva “snazionalizzazione” anche di Istria e Slovenia per mezzo del governo fascista a partire dagli anni Venti: «Nell’ottobre del 1925 un decreto legge vietò definitivamente l’uso della lingua slovena [...] mentre nel 1927 fu imposta l’italianizzazione di tutti i cognomi».
Si pensi poi all’appoggio, neanche tanto velato, fornito da Mussolini e dal regime fascista agli Ustascia croati [da ustaš, “insorto”, o “ribelle”, Ndr] fuoriusciti che risiedevano, si riorganizzavano e operavano in Italia o dall’Italia: «i contatti tra Ante Paveliç [leader nazionalista degli Ustascia, criminale di guerra, Ndr] e il regime fascista sono ormai accertati [...]. Paveliç venne sostenuto [...] in tutte le sue attività da Mussolini che vedeva nella sua azione uno strumento di disgregazione e indebolimento dello Stato jugoslavo funzionale alla politica di espansione italiana dei Balcani [...]. Lo Stato croato diverrà, una volta occupata  la Jugoslavia  [...] una spietata macchina di repressione antipartigiana e di pulizia etnica».
Perfino i tedeschi ebbero a lamentarsi della violenza delle truppe croate: «I massacri che le milizie croate operarono in danno della popolazione [...] furono tanto frequenti e feroci da spingere diplomatici, politici e militari nazisti presenti in loco a inviare in Germania resoconti di biasimo della condotta degli Ustascia», se questo non sembra paradossale.
 
La notte dei Balcani
Successivamente all’invasione italotedesca del Regno di Jugoslavia (supportata anche da divisioni ungheresi e bulgare) del 6 aprile 1941, all’Italia viene assegnata  la Slovenia  meridionale. È da questo punto che l’opera di Davide Conti diventa, nella ricostruzione storica degli eventi, un susseguirsi di dati relativi ai crimini commessi dall’esercito italiano di occupazione. Scrive l’autore: «la repressione del movimento partigiano divenne, dunque, il fattore centrale della politica d’occupazione italiana, in quanto coniugava in sé due elementi fondamentali della strategia fascista: da un lato il completo controllo economico della regione [...], dall’altro il programma di snazionalizzazione delle terre slave occupate, attraverso eliminazioni fisiche e deportazioni di civili fiancheggiatori o meno con i partigiani – e ancora – per colpire la resistenza jugoslava, le autorità italiane puntarono sulla deportazione di intere zone popolate da civili».
Tale logica di “fare terra bruciata” attorno ai resistenti jugoslavi che operavano nelle zone occupate dagli italiani, unita alla logica di “snazionalizzare” i territori sostituendo slavi con italiani, comportò la necessità di realizzare campi di concentramento in Italia. Al termine della guerra, gli internati raggiunsero la stima complessiva di circa centomila persone, tra militari e civili. Il campo più grande venne costruito in Toscana, a Renicci d’Anghiari, e poteva ospitare fino a novemila reclusi.
L’idea che campi di concentramento così vasti siano stati presenti sul nostro territorio è un dato, non molto noto, che sconcerta il lettore.
Le ricostruzioni relative a fucilazioni, “soppressioni” di prigionieri ammalati, rappresaglie e uccisioni varie misurano quella che è stata l’occupazione e sono un pugno nello stomaco di chi, degli eventi accaduti e che qui vengono ricostruiti, non sapeva nulla: «la favola del bono italiano deve cessare [...] per ogni camerata caduto paghino con la vita dieci ribelli». Erano questi i toni dei proclami.
Tale condotta ci rese, successivamente alla caduta del regime fascista e ancora per lunghi anni, invisi alle popolazioni locali: «Durante e dopo la guerra in Jugoslavia la parola italiano divenne sinonimo di fascista».
 
Al termine della guerra si prova a presentare il conto
I crimini di guerra, commessi in Jugoslavia, furono oggetto di inchiesta da parte italiana alla fine della guerra.
Il piano di “snazionalizzazione” che il regime di allora tentò di realizzare nei territori occupati divenne il primo capo d’accusa denunciato, davanti alla Commissione delle Nazioni Unite, dalla Commissione di Stato per l’accertamento dei crimini degli occupanti e dei collaborazionisti, voluta da Tito nella Jugoslavia “liberata”.
La strategia difensiva – riproposta anche per i misfatti commessi in Grecia, Montenegro, Albania e Africa – fu quella di addossare l’intera responsabilità al passato regime, dissociando da questo l’Italia postbellica e cercando di giustificare il comportamento dei militari nel senso del “dovere di obbedire agli ordini impartiti” e circoscrivendo ai singoli la responsabilità delle violenze: «una dissociazione politica e morale», insomma. A Norimberga o nel processo intentato al criminale nazista Adolf Eichmann nel 1961, l’atteggiamento degli imputati fu sostanzialmente simile.
 
La giustizia si piega alle ragioni politiche e volge lo sguardo altrove
Le mutate condizioni politiche in Europa, il gravitare della nostra nazione nell’orbita di quella che sarà poi l’Alleanza Atlantica, il clima di sostanziale “Preguerra fredda” che già si viveva, aiutò non poco le autorità italiane della rinnovata democrazia a respingere le pretese jugoslave sull’estradizione dei militari accusati di reati e dei criminali e collaborazionisti jugoslavi rifugiati sul nostro territorio.
La ragione politica prevalse, dunque, sulla giustizia.
La necessità e la strategia di non indebolire il nascente blocco anticomunista, in cui l’Italia rappresentava una pedina preziosa, agevolò il nuovo mondo libero a girare la testa verso un’altra direzione. I partiti “antifascisti” si opposero con forza alle estradizioni (eccezion fatta per il Pci), gli organi di stampa sostennero questa linea (eccetto l’Unità prima e l’Avanti poi). La cesura tra il nostro paese e il Fascismo doveva essere netta e l’eventuale giudizio sarebbe stato (e così non fu) della giustizia italiana. Nessuno dei nostri militari – secondo i dossier dell’Onu – venne mai processato dai tribunali internazionali che si occuparono di crimini di guerra e tantomeno da quelli locali dei paesi che subirono le occupazioni. Resta l’amaro.
Se è vero che la storia la scrivono i vincitori, quella italiana, uscita perdente ma paradossalmente anche vincente dalla Seconda guerra mondiale, risulta evidentemente scritta da più mani che, come spesso accade, mentre scrivevano volgevano gli occhi e il pensiero altrove.
Qualcuno scrisse o sostenne “l’opera civilizzatrice” del nostro esercito nelle colonie, molti difesero la differenza con la brutalità nazista, altri, infine, si spinsero a: «Controaccusare l’esercito di Tito di ferocia e spietatezza». Unici responsabili dei reati eventualmente commessi sarebbero stati Benito Mussolini e i fascisti; regio esercito e popolo italiano erano da considerarsi vittime anch’essi. Sembra veramente troppo.
Poi sui fatti calò il silenzio. Interrotto negli anni da qualche spirito libero – si pensi al documentario della Bbc «Fascist Legacy» [«L’eredità fascista», di cui si torna a parlare in questi giorni, Ndr], o agli studi di Angelo Del Boca e alla querelle che lo contrappose, negli anni passati, a Indro Montanelli – che al mito della “brava gente ad ogni costo” proprio non si adegua.
 
Margherita Amatruda
 
(www.bottegascriptamanent.it, anno III, n. 21, maggio 2009)


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Liberazione, 4 marzo 2009

Sloveni senza lingua
l'italianità forzata

Tonino Bucci


Ema non ci sta. Non ci sta a farsi risucchiare da una Trieste che ha perduto il fascino antico della città multiculturale. Non ci sta a seguire lo stesso destino, volgare e tragico, della sorella Fani, caduta nella seduzione della propaganda fascista. Non ci sta, per dirla tutta, alla rassegnazione. No, non si abituerà mai alla persecuzione di cui è fatta oggetto la sua gente, la comunità slovena, i renitenti all'italianizzazione forzata. In una Trieste monocorde sul finire degli anni Trenta, all'apice dell'impero coloniale fascista subito dopo l'impresa etiopica, si svolge Qui è proibito parlare (Fazi Editore, pp. 400, euro 19), il nuovo romanzo di Boris Pahor, classe 1913, triestino di nascita, bilingue, ex docente di lettere italiane e slovene, membro attivo della resistenza antifascista slovena e deportato nei campi di concentramento nazisti.
I fasti della città mitteleuropea d'una volta sono spariti, ormai imperversa il conformismo di regime. Sotto la politica dell'assimilazione forzata Trieste ha smesso d'essere il crocevia di culture che era, luogo d'incontro tra comunità diverse, italiani, sloveni, croati, tedeschi, ungheresi, greci, ebrei. Lo sperimenta sulla propria pelle, anzi sul proprio corpo, la protagonista del romanzo (titolo originale in sloveno Parnik trobi nji ), Ema, giovane ragazza disoccupata segnata dai drammi familiari. Attraverso le sue parole di donna prende corpo la storia sua privata e quella dell'intera comunità slovena costretta al silenzio. Vive dapprima il dramma individuale della solitudine. A Trieste è nata, ma ora si sente come straniera nella sua città. E' la prima volta che ci ritorna da quando il padre, ferroviere, era stato costretto con tutta la famiglia al seguito a trasferirsi altrove. Ci ritorna sola, disoccupata, in cerca di un impiego da dattilografa, costretta ad alloggiare in una stanza misera nel quartiere più degradato della città. Ema desidera ritrovare un legame, ´far parte di una comunità è una difesa importante, non si è soli. Non essere soli: è questo che ci dà un senso di sicurezza'. Ma non sopporta doversi ritrovare nelle messe clandestine in sloveno, in una chiesa catacombale degli armeni, con altre ragazze slovene dall'aria rassegnata, tutte domestiche a servizio nelle famiglie borghesi. E' ironica, sarcastica:´Distinte signore, vi offriamo manodopera femminile che si dedicherà anima e corpo alle esigenze delle vostre case, vivendo in castità come suore in convento, vale a dire che non sottrarrà al suo impegno nemmeno quella parte di energia che di solito richiedono i peccati della carne'. Ma poi Ema si accorgerà di giudicare con troppa severità quanti, fra i connazionali di lingua slovena, ricorrono a sotterfugi pur di mantenere in clandestinità il diritto a parlare. Non tollera che per praticare la propria lingua ci si debba ridurre a incontrarsi nella chiese, nelle sedi clandestine, nei raduni in montagna. ´Che ci sbattano tutti in prigione. Tutti. Ma prima scendiamo tutti in piazza. Tutti gli sloveni in piazza. tutti gli abitanti dei villaggi per le strade, con il bestiame, con gli attrezzi da lavoro. Bloccare il traffico. Gridare. Cantare. Innalzare barricate. Morire tutti, se è necessario, piuttosto che accettare, nel ventesimo secolo, l'umiliazione di dover riunire due dozzine di liceeali per insegnare loro la lingua madre di nascosto'. Ma si renderà conto che il suo intransigentismo per gli altri è, per molta parte, provocato dal suo bisogno individuale di riscattarsi dalla sconfitta del padre. Ma soprattutto di non fare la stessa fine di sua sorella Fani, diventata fascista, traviata, alla fine morta in un tragico incidente sotto il treno Oriente express. Ema punta il dito sulla debolezza altrui per timore di scorgervi la propria. Tutto cambia quando sul molo, per caso, conosce Danilo. Anche lui è sloveno, membro di una rete clandestina antifascista. Con lui Ema incontra la politica ed entra nell'organizzazione clandestina. Intanto in Europa scoppia la guerra e stavolta, se l'Italia di Mussolini entrerà nel conflitto, non sarà come in Etiopia. Il regime potrebbe avere il tempo contato.
Il romanzo non si esaurisce alla sua cifra letteraria. Trascina il lettore nel clima storico di un'Europa che sperimenta il fallimento dei trattati di pace risalenti alla fine della Prima guerra mondiale. E' il principio dello Stato mononazionale, affermato sulla carta dopo il 1918, che non ha retto alla prova dei fatti. Le frontiere dei nuovi Stati che nascono dopo la Grande guerra non vengono affatto a coincidere con quelle delle popolazioni. Saranno quest'ultime, piuttosto, a doversi adattare ai confini politici. Da qui nasce il dramma di sloveni e croati che dopo la disgregazione del vecchio impero austriaco, si ritrovano in territorio italiano. ´Il problema della popolazione "allogena" - le parole sono di Sandi Volk, storico contemporaneo della Venezia-Giulia e autore di Esuli a Trieste (edizioni Kappa Vu) - venne affrontato con l'assimilazione, l'espulsione, ovvero lo scambio di popolazione, e con la colonizzazione dei territori nazionalmente misti o "allogeni" con popolazione appartenente alla nazione "statale". Questi tre approcci furono generalmente sincroni, paralleli e strettamente correlati tra di loro'. Il nazionalismo delle classi dirigenti italiane - di cui il fascismo rappresenterà la versione esasperata - individua il suo nemico nello Stato unitario di sloveni, croati e serbi che sta nascendo a ridosso dei suoi confini. L'occupazione e l'annessione della Venezia-Giulia si compie all'insegna del sacro egoismo nazionale, di un'Italia "proletaria" che cerca spazi vitali e di una brutale politica di italianizzazione forzata delle cosiddette popolazioni allogene.
Cosa nasconde la maschera d'italianità imposta a Trieste lo si scopre nel viaggio d'iniziazione della protagonista del romanzo di Pahor. Con ripetuti flash back il lettore viene a conoscenza di una sequenza storica. Delle atrocità commesse a Fiume e sulle isole ai tempi dell'impresa dei legionari di D'Annunzio, dei primi atti del fascismo, dello scioglimento di tutte le istituzioni slovene e croate, cinquecento associazioni culturali e sportive, e oltre trecento cooperative. Chiusi giornali e riviste, soppresse le scuole, allontanati professori e insegnanti, discriminati vescovi di lingua slovena. Violenze e massacre come l'incendio appiccato nel '20 dai fascisti al Narodni Dom, il centro culturale sloveno della città, dopo aver sbarrato le porte e impedito ogni via di fuga alla gente chiusa all'interno. ´Gli austriaci ai tempi in cui occupavano l'Italia settentrionale non avevano mai commesso atti paragonabili all'incendio del Narodni Dom'. Per non parlare dell'operazione sistematica di italianizzazione dei toponimi e dei nomi di battesimo, dei cognomi dei vivi e di quelli dei morti sulle lapidi nei cimiteri.
Non c'è altra via che resistere in clandestinità, Ema se ne convince sempre più, a costo di cadere nelle mani della polizia e di affrontare l'onta degli interrogatori. E come ogni altra resistenza anche quella raccontata da Pahor deve affrontare il nodo dei mezzi. ´Era successo dopo che gli sloveni sottoposti alla giurisdizione italiana, resisi conto che per vie legali non si cavava un ragno dal buco, avevano cominciato a opporsi alla violenza con la violenza'. Quale possibilità di difenderti ti rimane - si chiede Ema - se dappertutto, dove sorgono case di cultura slovene, s'innalzano roghi? E se addirittura non ti è permesso esistere pubblicamente come sloveno? Qui il romanzo s'intreccia con la storia e lungo il racconto s'incontra la vicenda dell'attentato di matrice slovena al giornale fascista Il popolo di Trieste , principale organo della campagna antislava. Inizia il tempo degli attacchi. ´No, non me ne pento - dice Danilo, l'amante di Ema - ma per certi versi mi vergogno di aver adottato simili metodi, sebbene sia stato il più forte a insegnarci come si cosparge la benzina e si appicca il fuoco'.
Boris Pahor accompagna Ema in questo viaggio della ribellione, non solo nelle sue scoperte politiche ma persino nella scoperta della dimensione erotica nel rapporto con Danilo. Un viaggio portato avanti con coraggio in tutte le sue conseguenze.


04/03/2009