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STRASBURGO BRUCIA?

1) Alcune considerazioni sulle giornate anti NATO nella capitale della UE scritte dalla delegazione della Rete nazionale Disarmiamoli! al controvertice del 3 – 4 aprile 2009

2) Otan: le cercle vicieux de la violence. Par Diana Johnstone

3) La mission tentaculaire de l’Otan embrasse la France. Par Diana Johnstone


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Alcune considerazioni sulle giornate anti NATO nella capitale della UE scritte dalla delegazione della Rete nazionale Disarmiamoli! al controvertice del 3 – 4 aprile 2009


Spenti i fuochi alla periferia di Strasburgo, la “grandeur” francese si misurerà da ora in poi all’interno di una alleanza che appare sin da subito poco incline a compiacere il piccolo De Gaulle di turno, Nicolas Sarkozy.

Lo scontro con gli Stati Uniti sull’ingresso della Turchia è solo una delle tante contraddizioni che rischiano di aumentare, anziché risolvere, i gravi problemi di gestione di una alleanza malata sempre di più di elefantiasi, incapace di risolvere sul campo il conflitto afgano, in empasse sul progetto di “scudo antimissile”, bloccata dalla Russia nell’offensiva georgiana contro l’Ossezia del Sud.

Il sofferto allargamento della NATO ad Est, il tentativo di integrazione con le strutture militari della UE, le ipotesi di proiezione di potenza ben oltre l’area eurasiatica e mediorientale indicano però una tendenza alla “soluzione militare” per affrontare la gravissima crisi economica attraversata dal sistema capitalistico.

Montare sul treno della guerra è di vitale importanza. Chi ne rimane escluso rischia di esserne schiacciato. Ecco quindi il feroce sgomitare di Stati e classi dirigenti: Tutti sui vagoni, possibilmente in prima classe, con il rischio di far deragliare l’intero convoglio. Al momento il contributo del movimento altermondialista all’auspicato incidente ferroviario è, alla luce dei fatti di Strasburgo, abbastanza debole.

I padroni di casa del vertice dovevano garantire, nel momento del “grande rientro” nell’alleanza, una assoluta calma nel cuore della City, intorno ai palazzi del potere militare occidentale. Così è stato.

Per tenere a debita distanza i militanti anti NATO dai luoghi di incontro dei “grandi” sono stati impiegati oltre 10.000 poliziotti, in cielo, in terra ed anche in acqua, con decine di motovedette e gommoni distribuiti intorno ai ponti che attraversano l’Ill.

Strasburgo si è trasformata in pochi giorni in una città sotto assedio, con i cittadini delle zone arancione e rossa ridotti ad una condizione di vigilati speciali. Ognuno con un pass del colore della zona di residenza, rivelatosi poi inutile nei momenti topici del vertice, la mattina ed il pomeriggio di sabato 4 aprile, quando neppure quello è servito per spostarsi da una zona all’altra.

Abbiamo assistito a proteste individuali di alcuni cittadini, ma nel complesso il corpo sociale di una città che prospera intorno alle istituzioni europee non si è organizzato contro lo stato d’assedio imposto dalla NATO. La “democrazia occidentale” ha i suoi costi, che i sudditi più fortunati sono evidentemente disposti a pagare.

Il variegato movimento contro la guerra affluito nella città francese non ha trovato mai un momento di vera sintesi politica, sia rispetto alle strategie attuali e future contro l’alleanza di guerra, che per la gestione della piazza negli stessi giorni del vertice.

Abbiamo osservato all’opera le molte anime del movimento, o di ciò che ne rimane, nelle forme storiche del Forum Sociale Europeo, attraverso le varie espressioni politiche, culturali, sindacali.

Durante il contro-summit di venerdì 3 aprile, svoltosi all’interno del centro sportivo di Illkirch Lixenbhul (all’estrema periferia della città), di fronte a circa 800 – 1.000 partecipanti si sono confrontati gli esponenti delle varie forze presenti, PCF, CGT francese, NPA (Nuovo Partito Anticapitalista francese), Socialist Workers (inglesi), la Linke tedesca, i greci del comitato internazionale per la pace (Greek Committee for International Détente and Peace - EEDYE), alcuni parlamentari del GUE, Attac France, donne in nero ed altri piccoli gruppi politici eminentemente tedeschi, polacchi, spagnoli. La presenza italiana è stata molto ridotta, con la presenza di circa 30 attivisti del Patto contro la guerra e delle donne in nero.

Il contro-summit organizzato dal Forum sociale è stato, a nostro giudizio, sostanzialmente edulcorato nei contenuti e debolissimo nei referenti politici.

Nessun riferimento diretto al ruolo imperialista dell’Europa, non una parola sulla guerra “costituente” della nuova NATO, ovvero il bombardamento sulla ex Jugoslavia, tema costato ai greci del EEDYE l’estromissione dal comitato organizzatore. Nonostante questo, è stato grazie a loro che l’aggressione nei Balcani è stata denunciata e discussa, attraverso una intera sessione del contro vertice.

Inviti a dir poco discutibili per i dibattiti finali (ai quali non abbiamo partecipato) del 5 aprile, con una rediviva Lidia Menapace tra i relatori. Si, proprio quella anziana signora che durante il governo Prodi, per giustificare il suo voto a favore dell'occupazione e dei bombardamenti della NATO sull’Afghanistan inventò l’agghiacciante teoria della “riduzione del danno”.

Una debolezza rivelatasi con ulteriore chiarezza durante la riunione organizzativa per la manifestazione anti NATO del 4 aprile, con gli esponenti francesi del Forum sociale a proporre l’accettazione dell’itinerario indicato all’ultimo momento dalle autorità: un percorso a 8 – 10 km dal centro storico, praticamente tra gli hangar della zona industriale e commerciale.

Il dibattito sul tema ha evidenziato una profonda e sostanziale divergenza nella gestione della piazza, tra chi accettava la rappresentazione in periferia e chi intendeva mantenere il tragitto iniziale dell’attraversamento del ponte d’Europa, verso la zona del summit.

Gli eventi di piazza determinatisi il giorno dopo evidenzieranno la sostanziale inconsistenza ed inutilità fattuale di quel confronto. Ma di questo accenneremo in seguito.

Nessuna sorpresa quindi se alcune espressioni più radicali del movimento contro la guerra si siano agglutinate in altri luoghi e con altre modalità, come il centro sociale “Molodoi”, in rue du Ban del la Roche ed il campeggio internazionale di Rue de Ganzau, nel quartiere di Neuhof, confinato a 7 chilometri dal centro storico. In questi luoghi altri i temi, altri gli interlocutori e gli obiettivi in discussione.

Sorprende invece che alcune forze politiche, espressione nei vari paesi di contenuti e lotte conseguenti contro il militarismo imperialista, continuino a frequentare ambiti oramai rivelatisi asfittici ed inadeguati ad affrontare le nuove sfide imposte all’umanità da un capitalismo in profonda crisi e per questo particolarmente aggressivo.

Sabato 4 aprile . Alla periferia di Strasburgo

Inutile descrivere la dinamica concreta degli avvenimenti della giornata clou del vertice e del contro vertice, degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine ( sugli eventi stiamo preparando un video molto circostanziato). Di questo hanno parlato abbondantemente le prezzolate agenzie di regime, con infiniti fermo immagine sugli incendi e sui redivivi e “feroci” black block.

La gestione della piazza da parte del sistema di controllo e di repressione degli Stati interessati (Francia e Germania in primis) è stata quasi impeccabile.

Dopo una intera giornata di scontri, un albergo di 8 piani dato completamente alle fiamme insieme alle grandi strutture che contenevano gli uffici frontalieri in prossimità del ponte d’Europa, i feriti e i fermati si contavano sulle dita di poche mani.

Osservando all’opera i poliziotti franco/tedeschi abbiamo capito ancora di più quanto sia l’odio che guida ed informa la mano dei “nostri”, così come egregiamente dimostrato a Genova nel 2001.

La manifestazione è stata incanalata dentro il recinto predefinito, all’estrema periferia di Strasburgo, abitata eminentemente da lavoratori, immigrati, precari, così come tante altre banlieue europee. Dalle case e dalle finestre di questo spicchio di città poche bandiere della pace e ancor meno espressioni di solidarietà e partecipazione al corteo. Alcune tensioni, invece, tra giovani simil banlieusards e settori di corteo poco propensi ad accettare una interlocuzione che possiamo eufemisticamente definire “rude”.

Nei fatti i vari tessuti sociali di questa metropoli di oltre 450.000 abitanti – dal centro alla periferia – sono apparsi sostanzialmente impermeabili alla mobilitazione contro la NATO.

Il diniego assoluto di attraversare il ponte d’Europa, così come era stato concordato nei giorni precedenti, la divisione della città in zone off limits e l’impressionante militarizzazione del territorio hanno evidenziato nel contempo il fallimento della cosiddetta “democrazia occidentale” e la sostanziale inutilità di contro /vertici che tentano in contemporanea di imporre un altro punto di vista politico rispetto alle determinanti prestabilite dai cosiddetti “grandi della terra”.

In queste condizioni accettare la logica del recinto – come proposto da alcuni leader del forum sociale - avrebbe significato divenire parte integrante del meccanismo “democratico”, funzionali alla sua legittimazione.

Ecco allora la legittima reazione all’impedimento fisico di un esercizio elementare come quello di manifestare. Alcune migliaia di manifestanti hanno ripetutamente - e legittimamente - tentato di forzare i blocchi della polizia. Tra essi i più organizzati sono stati quelli che vengono sbrigativamente definiti "black block", fenomeno giovanile ancora tutto da indagare, ma che poco ha a che vedere con una espressione politica definita. Moltissima tattica e mobilità para militare, nessuna idea oltre quella di distruggere tutti i simboli della civiltà, dalle cabine telefoniche agli alberghi.

Non siamo tra quelli che si stracciano le vesti di fronte ad incendi o devastazioni. Di ben altra natura e pesantezza sono le “operazioni chirurgiche “ dei bombardieri della NATO sui villaggi afgani.

Il problema, come sempre, è politico, ed attiene alla capacità dei futuri movimenti di rafforzare la propria presenza nel tessuto sociale delle metropoli. Se e quando le banlieu diverranno un retroterra strategico della lotta contro la guerra imperialista saremo in grado di risolvere anche la “contraddizione” black block.

La lezione di Strasburgo deve servire per affinare la riflessione sui metodi di azione nella nuova fase politica che abbiamo di fronte. Non è più tempo di contro vertici, ma di radicamento delle idee forza antimilitariste ed antimperialiste all’interno dell’impetuoso flusso di lotte che la crisi capitalistica determinerà in tutto il continente europeo e ancora più in là.

a cura della Rete "Disarmiamoli"
www.disarmiamoli.org
3384014989  3381028120


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Mercredi 08 Avril 2009  
  Otan: le cercle vicieux de la violence
Diana Johnstone   

Où qu’elle aille, l’Otan crée des menaces. C'est  son fond de commerce. Que ce soit en Afghanistan ou à Strasbourg, la présence  militaire étrangère provoque la rébellion violente, surtout de la part de  jeunes gens qui veulent relever le défi. Leur rébellion sert à justifier une  augmentation de violence répressive. Et ainsi de suite…



6 avril 2009



Ce cycle était  visible samedi le 4 avril à Strasbourg, où plusieurs milliers de policiers et  un petit nombre de casseurs du Black Block ont volé la vedette à ce qui aurait  dû être le début d’un nouveau mouvement de masse européen contre l’Otan. La  manifestation pacifiste fut écrasée et désintégrée par la police en armes,  pendant que des jeunes aux capuchons noirs jetaient des pierres, cassaient des  vitres et mettaient le feu aux bâtiments.

 

Provocateurs contre provocateurs

Dans ce cycle de provocation, il n’y a aucun doute que c'est  l'Otan qui a commencé. La célébration ostentatoire du 60ème anniversaire de  l’Alliance tenue dans trois villes du Rhin, Strasbourg, Kehl et Baden Baden ce  jour-là, constituait une insulte aux citoyens. Après tout, si les dirigeants  de "l’Occident démocratique" sont tellement appréciés, pourquoi faut-il  transformer les villes qui les reçoivent en forteresses assiégées pour les  accueillir? Si les Européens bénéficient de la protection de l’Otan, pourquoi  les tenir à distance de leur bienfaiteurs ? Mais bien sûr l’Otan n’est pas une  force de défense. Depuis l’agression contre la Serbie il y dix ans jusqu’au  bourbier afghan aujourd’hui, l’Otan se transforme progressivement en force  expéditionnaire destinée aux interventions lointaines. Les mesures de sécurité  draconiennes appliquées à trois villes européennes plutôt conservatrices,  enfermant les habitants dans leurs domiciles, ressemblaient à une occupation  étrangère. Malgré la grande – mais peut-être passagère – popularité d’Obama,  le sommet de l’Otan a illustré l’écart qui se creuse entre les peuples et  leurs dirigeants politiques. Grand « communicateur », le Président des  Etats-Unis s’est efforcé de persuader les Européens qu’ils sont encore plus  menacés par Osama bin Laden et Al Qaeda que les Américains, et doivent donc  payer leur tribut en impôts et en soldats pour éliminer cette menace quelque  part en Afghanistan, si ce n’est au Pakistan ou ailleurs. Les médias européens  ont pu distraire le public de cette notion saugrenue en dirigeant l’attention  vers la tenue vestimentaire de Michelle Obama. Mais, entre temps, des dizaines  de milliers de citoyens européens se dirigeaient vers Strasbourg dans l’espoir  de manifester leur désaccord. Ils avaient des arguments à faire entendre. Ils ont fini étouffés par des nuages de gaz lacrimogènes, et ont été traités comme  des bêtes.

La responsabilité du fiasco

La responsabilité de ce fiasco  est partagée. De loin les plus responsables sont les forces de l'ordre qui ne  cessent de durcir leurs modes de répression partout en Europe. Sous le regard  des hélicoptères, les divers policiers, gendarmes et CRS pratiquent la  technique d’origine anglaise de « kettling » qui consiste à diviser et à  enfermer les manifestants à l’intérieur de petits espaces séparés, parfois  entourés de barrières métalliques. Il s’agit de traiter les êtres humains  comme du bétail. Plus de dix mille policiers ont employé un arsenal d’armes  anti-personnelles contre un nombre comparable de manifestants sans défense.  Des gaz lacrimogènes, des balles en caouchouc et des armes à « son et lumière  » ont d’abord mis fin aux discours avant d’égarer les manifestant dispersés et  désorientés. Tout cela a fini dans un chaos total.

Ce fut le résultat  recherché. Mais une part de responsabilité incombe aux organisateurs, si on  peut utiliser ce mot pour un événement où l’organisation faisait à ce point  défaut. La manifestation anti-Otan du 4 avril était organisée par un collectif  de groupes de militants français dont aucun n’avait l’autorité pour imposer un  plan cohérent. Ainsi, le doyen de ces groupes, le Mouvement de la Paix, a fini  par exercer la plus grande influence sur les décisions, notamment celle  d’accepter le choix du site pour le rassemblement offert par la Préfecture. Au  lieu de pouvoir se rassembler sur une place publique et de défiler dans les  rues de Strasbourg sous les fenêtres des habitants, avec leurs banderolles,  leurs slogans et leur théâtre de rue, les manifestants furent exilés sur une  île périphérique entre le Rhin et un grand canal dans une zone industrielle.  Les deux seuls ponts permettant l’accès du côté français étaient faciles à  bloquer pour les forces d’ordre. Il suffit de regarder un plan pour voir qu’il  s’agissaitt d’un piège, et, sur le terrain, le dénivellement rendait celui-ci  pire encore. Situé à quelques huit kilomètres de la gare, un jour où tout  transport public était supprimé, le site était difficile à atteindre. De plus,  le point de rassemblement et le parcours imposé était quasi invisible au  public. Bref, les manifestants étaient coupés de toute communication avec le  public. Et la souricière donnait l’avantage à la police pour exercer ses  méthodes de répression. Pourtant les organisateurs ont accepté ce site  inacceptable – sans même fournir un service d’ordre pour guider et essayer de  protéger les manifestants.

Il est vrai qu’en échange, la Préfecture avait  fait certaines promesses – non tenues. Les ponts et les rues qui devaient  rester ouverts pour permettre aux manifestants de joindre le rassemblement sur  l’île se trouvaient bloqués de façon imprévisible par la police, provoquant  les premières échauffourées. Curieusement, plusieurs milliers de manifestant  pacifistes furent bloqués sur la rive allemande du Rhin, sans jamais pouvoir  rejoindre le rassemblement, tandis que des Black Block allemands y  parvenaient. En général, la police a traité les pacifistes comme l’ennemi dans  une guerre civile, sans protéger les personnes ou les biens de la minorité  violente.
Le rassemblement, tenu dans un creux sur l’île, était perturbé  par le spectacle d’un hôtel voisin consumé par les flammes. Les haut-parleurs  cédaient au bruit des hélicoptères. Le défilé programmé n’a jamais pu se  faire. Des manifestants désorientés étaient abandonnés à eux-mêmes lorsqu’ils  tentaient d’échapper aux gaz lacrimogènes à travers un labyrinthe de contrôles  policiers.

Le Black Block

Les pacifistes ne pouvaient concurrencer les  casseurs du Black Block, pourtant beaucoup moins nombreux. Contrairement aux  pacifistes, ils paraissent, sur les vidéos, comme étant maîtres de leur propre  jeu, en combat avec la police. Il est probable qu’ils en éprouvent fierté et  satisfaction.
Après le désastre de Strasbourg, il est clair que, pour  survivre et se développer, le mouvement anti-Otan doit faire face à trois  problèmes : ses propres faiblesses organisationnelles, la répression policière  et le Black Block.
Question fréquente : les casseurs du Black Block  sont-ils des provocateurs travaillant pour la police ? Incapable d’enquêter  sérieusement sur cette question, ma propre réponse intuitive est :  subjectivement non, mais objectivement oui. Ils ne peuvent pas tous être des  policiers en capuchon noir. La plupart croient sans doute qu’ils sont en train  de « combattre le capitalisme », comme ils le proclament. Mais objectivement  ils arrivent à justifier cette même répression policière qu’ils combattent  avec tant d’élan.


Errare humanum est. Les mauvaises intentions  fleurissent, mais les erreurs sont encore plus courantes. Un mouvement  intelligent contre l’Otan doit essayer d’appliquer l’alternative à la guerre –  l’argumentation rationnelle – en toutes circonstances. Nous devons débattre  avec les gens qui se trompent sur l’Otan, pour expliquer sa nocivité. Et nous  devons débattre avec ceux du Black Block, pour signaler ce qui ne va pas dans  leur forme de protestation.

Comment entamer un tel dialogue n’est pas  évident. En faisant l’hypothèse que les participants aux actions du Black  Block ne sont pas tous des policiers déguisés, j’inviterais, si j’en avais les  moyens, ceux qui sont sincères à prendre en considération plusieurs  idées.

  • Les combattants du Black Block devraient mettre en question leurs  propres motivations. Tout au long de l’histoire, de jeunes gens s’amusent à se  mettre en bandes pour combattre un ennemi. La testosterone et l’adrénaline ne  sont pas des arguments politiques. Mais ce sont des stimulants très efficaces  quand il s’agit de lancer des projectiles contre l’adversaire. Les combattants  de rue se sentent facilement victorieux et supérieurs face aux phalanges de  flics casqués qui paraissent bien lâches dans ce contexte. Les casseurs sont  victorieux dans le match du machisme, mais à quoi bon, si ce n'est à flatter  leur orgueil ?
  • Les combattants du Black Block devraient surtout penser à  l’effet de leurs actions sur la masse des citoyens, qui peuvent être indécis  politiquement. L’Otan et les forces de l’ordre profitent du sentiment  d’insécurité des citoyens. Les actions du Black Block attisent ce  sentiment.
  • Les combattants du Black Block devraient évaluer l’impact  désastreux de leurs activités sur d’autres formes de protestation publique.  Avec la police, ils vident les rues des manifestations de masse.
  • Les  combattants du Black Block devraient réfléchir sur la facilité avec laquelle ils sont exploités par leur ennemi. D’une part, quoi qu’ils en pensent, ils  sont certainement infiltrés par des agents. Et ils doivent se demander  pourquoi certains d’entre eux ont pu casser les vitres de l’Hôtel Ibis sur l'île du Rhin à Strasbourg, puis y mettre le feu de façon méthodique, sans la  moindre intervention policière. De plus, cet incendie impressionnant dévora  l’hôtel pendant plus d’une heure avant l’arrivée des pompiers. Ce spectacle  servit parfaitement à faire peur aux manifestants et à hâter leur dispersion, mais surtout à remplir les écrans de télévision avec la preuve que « les  manifestants sèment la destruction ». Les autorités ont cité l’incendie comme  justifiant leurs mesures policières (pourtant parfaitement inutile dans ce cas  précis). Et pourquoi mettre le feu à un hôtel Ibis, alors qu’il y en a huit à Strasbourg, celui-ci étant probablement le moins rentable ? Et quels moyens  semi-professionnels étaient nécessaires pour cette action de pyromane ? Et pourquoi mettre également le feu à une pharmacie qui servait les résidents  plutôt modestes de ce quartier déshérité ? Quel message politique exprime-t-on  ainsi ?
  • Bref, les militants du Black Block, quel que soit leur âge, doivent quitter l’adolescence attardée et se rendre compte que le combat  contre les pouvoirs injustes commence par la pensée, la raison, les faits et les arguments. Jouer avec la violence c'est jouer sur le seul terrain où ils  sont les plus forts, c’est jouer leur jeu. L’action du style d’Intifada peut  être le seul recours pour des Palestiniens désespérés, mais, en Europe, il existe encore d’autres moyens d’opposition politique. Il faut les inventer,  les explorer, les développer.

Que faire?

L’année 2008 fut un vrai  tournant, avec deux événements de très grande portée qui changent, petit à  petit, la vision du monde que peuvent avoir la plupat des gens :  l’effondrement financier, et l’attaque israélienne contre Gaza. Les  répercussions s'en feront de plus en plus sentir. Elles préparent le terrain  pour l’opposition massive des peuples aux puissances financières et militaires  qui dirigent l’Occident et qui s’efforcent toujours, à travers l’Otan en  particulier, d'imposer leur domination au monde entier. Il y a des indices que  le pouvoir reconnaît le danger et prépare des technologies de répression pour  contrer les révoltes à venir. Il est urgent de fournir des alternatives  politiques en termes de programmes et d’organisation. Si les manifestations de  masse sont vulnérables à la répression policière et aux casseurs, il faut  inventer d’autres moyens plus variés et plus flexibles pour communiquer les  uns avec les autres afin d' élargir un mouvement cohérent capable de combattre  la militarisation de la société et de construire une économie centrée sur les  véritables besoins des êtres humains. En tout cas, toute manifestion future  contre l’Otan doit se doter de son propre service d’ordre. On ne peut pas  mélanger des manifestants pacifiques avec les casseurs qui cherchent ce que  cherche la police : les combats violents.

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http://www.michelcollon.info/index.php?view=article&catid=6%3Aarticles&id=1992%3Ala-mission-mondiale-nauseabonde-de-lotan&option=com_content&Itemid=11
Mercredi 08 Avril 2009
La mission tentaculaire de l’Otan embrasse la France
Diana Johnstone   

L’OTAN, le bras principal à l’étranger du complexe militaro-industriel des Etats-Unis, ne fait que s’étendre. Sa raison d’être originelle, le bloc soviétique supposé menaçant, est morte depuis 20 ans. Mais à l’instar du complexe militaro-industriel lui-même, l’OTAN est maintenue en vie et continue de croître à cause d’une combinaison d’intérêts économiques bien établis, d’inertie institutionnelle et d’un état d’esprit officiel proche de la paranoïa, avec des boîtes à idées bien financées (les « think tanks ») qui cherchent désespérément des « menaces ».



29 mars 2009

Ce mastodonte s’apprête à célébrer son 60ème anniversaire en avril, sur le Rhin, à Strasbourg en France et à Kehl et Baden Baden en Allemagne. Le président français, Nicolas Sarkozy, dont la popularité s’effrite, lui offre un cadeau exceptionnel : le retour de la France dans le « commandement intégré » de l’OTAN. Cet événement bureaucratique, dont la signification pratique reste peu claire, fournit au chœur des fonctionnaires et des éditorialistes OTANolâtres de quoi s’enorgueillir. Voyez ! Ces idiots de Français ont reconnu leur erreur et sont rentrés au bercail.

Sarkozy dit les choses autrement. Il affirme qu’en rejoignant le commandement de l’OTAN l’importance de la France s’accroîtra, en lui donnant de l’influence sur la stratégie et les opérations d’une Alliance qu’elle n’a jamais quittée et pour laquelle elle a continué de contribuer plus que sa part en terme de forces armées.

Le défaut dans cet argument est que c’était en premier lieu le contrôle total et inébranlable des Etats-Unis sur le commandement intégré de l’OTAN qui persuada le Général Charles de Gaulle à le quitter, en mars 1966. De Gaulle ne le fit pas sur un coup de tête. Il avait essayé de changer le processus de prise de décision et avait constaté que c’était impossible. La menace soviétique avait diminué et de Gaulle ne voulait pas être entraîné dans des guerres qu’il pensait inutiles, comme les efforts étasuniens de gagner la guerre en Indochine que la France avait déjà perdue et qu’il considérait ingagnable. Il voulait que la France soit capable de poursuivre ses propres intérêts au Proche-Orient et en Afrique. D’autre part, la présence militaire des Etats-Unis en France stimulait les manifestations « Yankee go home ». Le transfert du commandement de l’OTAN en Belgique satisfaisait tout le monde.

Le prédécesseur de Sarkozy, Jacques Chirac, étiqueté à tort par les médias étasuniens comme « anti-américain », était déjà prêt à rejoindre le commandement de l’OTAN s’il pouvait obtenir quelque chose de substantiel en retour, comme le commandement de l’OTAN en Méditerranée. Les Etats-Unis refusèrent platement.

A la place de Chirac, Sarkozy accepte des miettes : l’affectation d’officiers supérieurs français à un commandement au Portugal et dans quelque base d’entraînement aux Etats-Unis. « Rien n’a été négocié. Deux ou trois officiers français supplémentaires en position de recevoir des ordres des Américains ne changeront rien », a observé l’ancien ministre français des affaires étrangères, Hubert Védrine, lors d’un récent colloque sur la France et l’Otan. Sarkozy a annoncé ce retour le 11 mars, six jours avant que cette question ne soit débattue par l’Assemblée Nationale. Les protestations de gauche comme de droite seront vaines.

Il semble qu’il y ait deux causes principales à cette reddition inconditionnelle.

L’une est la psychologie de Sarkozy lui-même, dont l’adoration pour les aspects les plus superficiels des Etats-Unis s’est exprimée dans son discours embarrassant devant le Congrès des Etats-Unis en novembre 2007. Sarkozy est peut-être le premier président français qui semble ne pas aimer la France. Ou, du moins, qui semble préférer les Etats-Unis (la version qu’il a vue à la télévision). Il peut donner l’impression d’avoir voulu être le président de la France, non pas par amour pour son pays, mais par vengeance sociale contre lui. Depuis le début, il s’est montré pressé de « normaliser » la France, c’est-à-dire, de la refaçonner en accord avec le modèle américain.

L’autre cause, moins flagrante mais plus objective, est la récente expansion de l’Union Européenne. L’absorption rapide de tous les anciens satellites d’Europe de l’Est, ainsi que des anciennes républiques soviétiques d’Estonie, de Lettonie et de Lituanie, a radicalement changé l’équilibre du pouvoir au sein de l’UE elle-même. Les nations fondatrices, la France, l’Allemagne, l’Italie et les pays du Benelux, ne peuvent plus guider l’Union vers une politique étrangère et de sécurité unifiée. Après le refus de la France et de l’Allemagne d’accepter l’invasion de l’Irak, Donald Rumsfeld a discrédité ces deux pays comme faisant partie de la « vieille Europe » et il s’est gargarisé de la volonté de la « nouvelle Europe » de suivre l’exemple des Etats-Unis. La Grande-Bretagne à l’Ouest et les « nouveaux » satellites européens à l’Est sont plus attachés aux Etats-Unis, politiquement et émotionnellement, qu’ils ne le sont à l’Union Européenne qui les a accueillis et leur a apportés une considérable aide économique au développement et un droit de veto sur les questions politiques majeures.

Le rêve européen brisé

Cette expansion a enterré de fait le projet français de longue date de construire une force de défense européenne pouvant agir hors du commandement de l’OTAN. Les dirigeants de la Pologne et des Etats Baltes veulent une défense américaine, à travers l’Otan, point. Ils n’accepteraient jamais le projet français d’une défense européenne qui ne serait pas liée à l’OTAN et aux Etats-Unis.

La France a son propre complexe militaro-industriel , un nain comparé au complexe militaro-industriel américain, mais le plus grand de l’Europe occidentale. Tout complexe de ce type a besoin de marchés à l’exportation pour son industrie d’armement. Le marché avec le plus grand potentiel aurait été des forces armées européennes indépendantes. Sans cette perspective, certains pouvaient espérer qu’en rejoignant le commandement intégré les marchés de l’OTAN s’ouvriraient à la production militaire française.

Un espoir ténu, cependant. Les Etats-Unis protègent jalousement les acquisitions majeures de l’OTAN au bénéfice de leur propre industrie. La France n’aura probablement pas beaucoup d’influence au sein de l’OTAN pour la même raison qui fait qu’elle abandonne sa tentative de construire une armée européenne indépendante. Les Européens sont eux-mêmes profondément divisés. Avec une Europe divisée, les Etats-Unis règnent. De plus, avec la crise économique qui s’accentue, l’argent est de moins en moins disponible pour l’armement.

Du point de vue de l’intérêt national français, ce faible espoir de commercialiser des équipements militaires lourds est plus que compromis par les conséquences politiques désastreuses de l’acte d’allégeance de Sarkozy.

Il est vrai que même hors du commandement intégré de l’OTAN l’indépendance de la France n’était que relative. La France a suivi les Etats-Unis dans la première guerre du Golfe – le Président François Mitterrand espéra vainement gagner ainsi de l’influence à Washington, le mirage habituel qui attire les alliés dans les opérations étasuniennes douteuses. La France s’est jointe à l’OTAN en 1999 dans la guerre contre la Yougoslavie, malgré les doutes aux plus hauts niveaux. Mais en 2003, le Président Jacques Chirac et son ministre des affaires étrangères Dominique de Villepin ont réellement usé de leur indépendance en rejetant l’invasion de l’Irak. Il est généralement reconnu que la position française a permis à l’Allemagne de faire de même. La Belgique a suivi.

Le discours de Villepin, le 14 février 2003, au Conseil de Sécurité des Nations-Unies, donnant la priorité au désarmement et à la paix sur la guerre, reçut une rare standing ovation. Le discours de Villepin fut immensément populaire dans le monde entier et a accru énormément le prestige de la France, en particulier dans le monde arabe. Mais, de retour à Paris, la haine personnelle entre Sarkozy et Villepin atteignit des sommets passionnels et l’on peut suspecter que le retour de Sarkozy dans l’obédience de l’OTAN est également un acte de vengeance personnelle.

Le pire effet politique est beaucoup plus vaste. L’impression est à présent créée que « l’Occident » - l’Europe et l’Amérique du Nord - se barricadent contre le reste du monde par une alliance militaire. Rétrospectivement, la dissidence française a rendu service à l’ensemble du monde occidental en donnant l’impression - ou l’illusion - que la pensée et l’action indépendantes étaient toujours possibles et que quelqu’un en Europe pouvait écouter ce que d’autres parties du monde pensaient et disaient. Désormais, ce « resserrement des rangs », salué par les fervents défenseurs de l’OTAN comme « améliorant notre sécurité », sonnera l’alarme dans le reste du monde. L’empire semble resserrer ses rangs en vue de faire la loi dans le monde. Les Etats-Unis et ses alliés ne prétendent pas ouvertement diriger le monde, seulement le réguler. L’Ouest contrôle les institutions financières mondiale, le FMI et la Banque Mondiale. Il contrôle le judiciaire, la Cour Pénale Internationale, laquelle, en six années d’existence, a jugé seulementun obscur chef de guerre congolais et mis en accusation 12 autres personnes, toutes africaines – alors que, pendant ce temps, les Etats-Unis causent la mort de centaines de milliers, voire de millions de personnes en Irak et en Afghanistan et soutiennent l’agression continuelle d’Israël contre le peuple palestinien. Pour le reste du monde, l’OTAN n’est que la branche armée de cette entreprise de domination. Et cela à un moment où le système du capitalisme financier dominé par l’Ouest entraîne l’économie mondiale dans l’effondrement.

Cette gesticulation, consistant à « montrer l’unité occidentale » pour « notre sécurité », ne peut que rendre le reste du monde inquiet pour l’avenir. Pendant ce temps, l’OTAN manœuvre chaque jour un peu plus pour encercler la Russie avec des bases militaires et des alliances hostiles, notamment en Géorgie. En dépit des sourires pendant les dîners avec son homologue russe, Sergueï Lavrov, Hillary Clinton répète le mantra étonnant selon lequel « les sphères d’influence ne sont pas acceptables » - voulant dire, bien sûr, que la sphère historique russe est inacceptable, tandis que les Etats-Unis l’incorporent vigoureusement dans leur propre sphère d’influence, qui s’appelle l’OTAN.

Déjà, la Chine et la Russie accroissent leur coopération en matière de défense. Les intérêts économiques et l’inertie institutionnelle de l’OTAN poussent le monde vers un alignement préalable à la guerre bien plus dangereux que la Guerre Froide.

La leçon que l’OTAN refuse d’apprendre est que sa recherche d’ennemis crée des ennemis. La guerre contre le terrorisme nourrit le terrorisme. Entourer la Russie avec des missiles soi-disant « défensifs » - lorsque tout stratège sait qu’un bouclier accompagné d’une épée est aussi une arme offensive – créera un ennemi russe.

La recherche des menaces

Pour se prouver à elle-même qu’elle est réellement « défensive », l’OTAN continue de rechercher des menaces. Eh bien, le monde est un endroit agité, en grande partie grâce à la sorte de mondialisation économique imposée par les Etats-Unis au cours des décennies passées ! Cela pourrait être le moment d’entreprendre des efforts diplomatiques et politiques afin de mettre au point des moyens internationalement acceptés pour traiter les problèmes tels que la crise économique mondiale, le changement climatique, l’utilisation de l’énergie, les pirates informatiques (« la guerre cybernétique »). Les groupes de réflexion de l’OTAN se jettent sur ces problèmes pour y trouver de nouvelles « menaces » qui doivent être traitées par l’OTAN. Cela conduit à une militarisation des décisions, là où elles devraient être démilitarisées.

Par exemple, que peut bien vouloir dire répondre à la menace supposée du changement climatique avec des moyens militaires ? La réponse semble évidente : la force militaire peut être utilisée d’une manière ou d’une autre contre les populations obligées de fuir de chez elles à cause des sécheresses ou des inondations. Peut-être, comme au Darfour, la sécheresse conduira-t-elle à des conflits entre groupes ethniques ou sociaux. Ensuite, l’OTAN peut décider quel est le « bon » camp et bombarder l’autre camp. Quelque chose de ce genre.

Le monde semble en effet se diriger vers une période de troubles. L’Otan semble se préparer à affronter ces troubles en utilisant la force armée contre des populations indisciplinées.

Cela sera évident lors de la célébration du soixantième anniversaire de l’OTAN, qui se déroulera les 3 et 4 avril prochains à Strasbourg et à Kehl.

Ces villes seront transformées en camps armés. Les habitants de la ville tranquille de Strasbourg sont obligés demander des badges pour pouvoir quitter leurs propres habitations ou y entrer durant ce joyeux évènement. Aux moments cruciaux, ils ne seront pas autorisés du tout à quitter leur domicile, sauf en cas d’urgence. Le transport urbain sera stoppé. Ces villes seront aussi mortes que si elles avaient été bombardées, afin de permettre aux dignitaires de l’OTAN de simuler une démonstration de paix.

Le point culminant sera une séance de photos de dix minutes, lorsque les dirigeants français et allemand se serreront la main sur le pont au-dessus du Rhin reliant Strasbourg à Kehl. Comme si Angela Merkel et Nicolas Sarkozy faisaient la paix entre la France et l’Allemagne pour la première fois ! Les gens du cru seront enfermés afin de ne pas déranger cette mascarade.
L’OTAN se comportera comme si la plus grande menace à laquelle elle est confrontée est les peuples d’Europe. Et la plus grande menace pour les peuple d’Europe pourrait bien être l’OTAN.

Source: Counterpunch: http://www.counterpunch.org/




7 aprile 1939 - L'Italia fascista aggredisce l'Albania

1) Cronologia storico-politica
2) Discorso pronunciato da Enver Hoxha in occasione della giornata della proclamazione dell'indipendenza e dell'entrata del Governo Democratico a Tirana
3) Albania oggi: la memoria della guerra partigiana è gettata nell'immondizia


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www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 08-04-09 - n. 268


da Enver Hoxha, Resistenza e Rivoluzione - Scritti scelti 1941-1944, Mazzotta, 1977, pagg. 46-47, 312-319
trascrizione a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
 
Cronologia storico-politica
 
[….]
25 marzo 1939 - Mussolini presenta a Zog [Re d'Albania N.d.R.] un «progetto di trattato» che è in pratica un ultimatum a consegnare de facto l'Albania al governo italiano. Alcuni giorni dopo, sempre da parte italiana, viene fissato il giorno 6 aprile come data definitiva per la risposta da parte albanese.
 
1 aprile 1939 - Hanno luogo le prime grandi manifestazioni popolari a Tirana e in altre città albanesi contro l'ormai evidente minaccia italiana d'invasione. I comunisti, ovunque, guidano queste proteste di massa per imporre agli organi di governo un'efficace azione in difesa della patria.
 
5 aprile 1939 - Il primo ministro albanese Koco Kota risponde all'ultimatum italiano chiedendo tempo per discutere il trattato proposto da Mussolini il 25 marzo, e presenta contemporaneamente controproposte, allo scopo di guadagnare tempo calmando il popolo e cercando alleanze con altri paesi (principalmente con la Francia).
In tutta l'Albania si intensificano le dimostrazioni antitaliane, a sostegno dell'indipendenza della patria.
 
6 aprile 1939 - Zog, incapace di affrontare seriamente le minacce italiane, anziché organizzare la resistenza all'ormai inevitabile invasione italiana, fugge nottetempo verso la Grecia con i massimi dirigenti del regime e con gran parte delle ricchezze dello Stato.
 
7 aprile 1939 - Invasione dell'Albania da parte delle truppe italiane, forti di oltre 40.000 uomini comandati dal generale fascista Guzzoni. Nonostante l'eroica resistenza di parte della popolazione a causa della completa incapacità dei militari governativi, e per l'inefficienza dell'apparato di fuoco di quello che doveva essere l'esercito di difesa del paese, nello spazio di soli tre giorni tutta l'Albania cade nelle mani dell'esercito italiano.
Così, il regime antinazionale di Zog, dopo lunghi anni di reazione antipopolare all'interno e di sottomissione all'Italia fascista conduce il paese alla perdita completa dell'indipendenza e della sovranità,nell'asservimento più tragico allo straniero.
L'invasione fascista italiana trova però nel paese un considerevole movimento di resistenza che, sin dagli Anni Trenta, aveva già assunto un certo carattere progressista rivoluzionario anche nel campo della lotta ideologica contro gli atteggiamenti reazionari delle classi possidenti e dell'alto clero oscurantista.
 
12 aprile 1939 - Viene convocata dagli italiani una cosiddetta «Assemblea Costituente» di agenti albanesi filoitaliani (latifondisti, grossa borghesia commerciale e clero collaborazionista soprattutto della confessione cattolica). Tale «Assemblea» proclama l'«unione» dell'Albania all'Italia nella «persona di Vittorio Emanuele III» e insedia il primo governo quisling, presieduto dal «grande proprietario terriero» Shefqet Verlaci (vecchio collaboratore di Zog).
 
3 giugno 1939 - Lo statuto del «Regno d'Albania», proclamato in questo giorno, affida il potere esecutivo e legislativo a Vittorio Emanuele III che nomina suo «luogotenente generale» in Albania il fascista Francesco Jacomoni.
L'Albania diviene cosi, anche de jure, una provincia dell'Italia fascista.
 
28 novembre 1939 - In questi primi mesi di instaurazione del regime economico-politico coloniale del fascismo italiano, la popolazione si oppone con energia allo sfruttamento e all'opera di denazionalizzazione del paese.
 
In occasione del XXVII anniversario dell'indipendenza nazionale, nella capitale, la popolazione dà vita a una grande manifestazione apertamente antifascista e antitaliana, organizzata dai comunisti che, con l'avvento del fascismo, avvertono sempre più la necessità di superare le polemiche interne tra i vari «gruppi comunisti» del paese, per giungere alla creazione di un Partito comunista unico quale necessità storica urgente.
[…..]


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www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 08-04-09 - n. 268 

Discorso pronunciato da Enver Hoxha in occasione della giornata della proclamazione dell'indipendenza e dell'entrata del Governo Democratico a Tirana
 
28 novembre 1944
 
Popolo albanese,
In un giorno memorabile come questo, nel 1912, dopo un lungo periodo di servitù, nacque l'Albania indipendente. Quando il nostro paese era minacciato da ogni lato dai nemici esterni, quando per il nostro popolo venivano forgiate nuove catene di servaggio, il vecchio Ismail Qemal, con un pugno di valorosi patrioti, levò alta la bandiera della libertà a Vlorë e il popolo albanese poté respirare. Noi riuscimmo vincitori, ma selvagge tempeste si abbatterono sul nostro sventurato popolo, e quel simbolo di libertà fu calpestato. Se ne fece turpe abuso, esso divenne merce di scambio per i satrapi del passato regime, venne impiegato per coprire le abiezioni e le vessazioni commesse a danno del nostro popolo. Ma la bandiera del popolo, la bandiera di Ismail Qemal, veniva conservata immacolata nell'animo dei patrioti albanesi, e quella bandiera fu levata in alto e tenuta dalle mani d'acciaio dei combattenti del popolo passando intatta e indomita fra tempeste e uragani, simbolo della libertà e dell'indipendenza.
 
Dopo tanti eroici scontri con il fascismo, la bandiera rossa di Vlorë, bagnata dal sangue degli eroi del popolo caduti in questa lotta antifascista, sventola oggi superba nel cielo della libera Albania. Cinque anni sono trascorsi da quando ci fu imposta la pesante schiavitù fascista, cinque volte per le vie delle città d'Albania, a ogni 28 novembre, si è visto scorrere il sangue degli eroici figli del popolo che si scontravano con le baionette dell'occupatore e dei traditori. Il Giorno della Bandiera divenne un giorno due volte sacro, giorno dell'indipendenza e dell'unità del popolo albanese
 
Il 7 aprile del 1939 ci fu imposta la schiavitù, una schiavitù pesante, fummo invasi dal fascismo, il maggior nemico nostro e dell'umanità. Hitler e Mussolini stavano preparando una grande guerra, stavano preparando un immane macello. Fummo noi a pagarne il primo tributo. L'orizzonte internazionale era fosco. L'Europa si stava armando con febbre selvaggia, ma in nostra difesa non si levò una voce, eccetto le grida del nostro popolo tradito dai governanti di quel tempo, grida che chiedevano armi per combattere gli italiani. Il tradimento non conobbe limiti. Gli intriganti della politica, gli speculatori furono pronti a dar man forte all'occupatore, ad abbracciarlo per opprimere il popolo, per farne uno schiavo, carne da cannone. Fascisti e traditori operarono sistematicamente per soffocare ogni resistenza, per cancellare ogni sentimento patriottico, per calpestare l'onore del nostro paese, per far scomparire le nostre usanze e la nostra lingua, per colonizzare l'Albania e dar modo agli italiani di riversarsi dal nostro paese sui popoli vicini e sull'Unione Sovietica. Ma pur sotto un terrore estremo nacque la grande resistenza del nostro popolo, il quale si sollevò per riconquistare la libertà che gli era stata tolta. I barbari fascisti, armati fino ai denti con le armi più moderne e sostenuti dai traditori, si trovarono di fronte i petti dei nostri combattenti, in cui fremeva il sentimento della libertà e il cuore era pregno di una ferrea volontà e di una abnegazione infinita. Si levarono i figli del popolo, pietosi delle sorti della patria, gravati dalle sofferenze, dalle miserie e dagli affanni del popolo stesso. Molti di essi, sin dalle prime ore di lotta, si immolarono per quel popolo che tanto amavano, caddero con il canto sulle labbra, felici, poiché sapevano perché combattevano, sapevano che sul loro sangue e sulle loro ossa sarebbe stata edificata la nuova Albania. Questo era il richiamo, era l'appello che giungeva al popolo dalla sua avanguardia, la quale gli diceva che sul paese incombeva una mortale minaccia, che occorreva impugnare le armi e con una spietata e incessante lotta liberare la patria. Il popolo albanese udí l'appello dei suoi figli. E comprendendo che il sangue sparso nelle vie delle città e dei villaggi era il suo sangue impugnò le armi.
 
Cosi ebbe inizio la nostra gloriosa Lotta di liberazione nazionale. Una lotta impari, perché noi non avevamo armi, eravamo scalzi e affamati, ma eravamo forti, poiché ci battevamo per una grande causa, ci battevamo per liberare il popolo, per portargli giorni felici, per vendicarci dei nemici che cercavano di soffocarci nel sangue. Eravamo un piccolo popolo di fronte a una grande belva; ma eravamo forti, poiché nutrivamo nei nostri cuori un odio immenso per coloro che avevano calpestato i nostri focolari e ci avevano depredato di tutto ciò che avevamo. Impugnammo le armi e ci gettammo nella lotta poiché eravamo sicuri della vittoria sapendo che la giustizia era dalla nostra parte e che in questa lotta non eravamo soli. Tutto il mondo antifascista e amante del progresso, unito in un solido blocco, era in guerra contro lo stesso nemico: il nazismo e il fascismo, nemico dell'umanità.
 
Popolo albanese,
Tre anni di lotta armata, di pagine gloriose scritte nella storia del nostro paese col sangue più puro dei figli e delle figlie d'Albania. Il nostro movimento di liberazione nazionale crebbe e si rafforzò, sviluppando una spietata lotta armata e politica. I nostri nemici erano forti e astuti, essi ricorsero al terrore e alla demagogia, impiegarono tutte le loro forze per soffocare la nostra resistenza. I traditori del nostro paese, Mustafa Kruja, Mehdi Frashéri, Ali Kélcyra, Mithat Frashéri, Abaz Kupi, Shefqet Vérlaci e tutti gli altri collaborazionisti, impiegarono tutti i mezzi per dividere il nostro popolo; la loro demagogia era sottile e in principio una parte del popolo si lasciò fino a un certo punto trarre in inganno da questi banditi, ciechi strumenti sempre pronti a servire i nemici interni ed esterni. Le organizzazioni del Balli Kombetar, del Legaliteti etutte le altre organizzazioni terroristiche divennero armi attive degli occupanti e con inaudita ferocia si scagliarono assieme ai tedeschi sul popolo, massacrando in massa gli innocenti, donne, vecchi e bambini, commettendo rapine e stupri. Questi assassini vomitarono fuoco e fiele contro il nostro movimento di liberazione nazionale, contro il nostro esercito, ma il nostro movimento non si piegò, poiché esso aveva solide basi, poiché esso era un movimento popolare, un movimento democratico e progressista. Nel nostro Fronte di liberazione nazionale si riunì la parte onesta del popolo che lavora, del popolo che si guadagna il pane col sudore della fronte e non con l'inganno e il tradimento. Il nostro Fronte di liberazione nazionale riunì tutti gli elementi democratici, senza distinzione di tendenza politica o religiosa, esso divenne l'organismo sano, capace di attuare questo difficile e nobile compito. Il nostro Esercito di liberazione nazionale, cresciuto e temprato in cruente battaglie, era un esercito del popolo, in cui i contadini, gli operai, gli intellettuali, uniti come un sol uomo, si battevano per uno scopo comune, per un'Albania libera, per un'Albania indipendente, per una democrazia popolare. E dopo tre anni di sforzi eroici, dopo aver sparso tanto sangue, patito tante sofferenze e fatto tanti sacrifici, noi vincemmo sgominando il barbaro tedesco e i traditori che erano al suo servizio.
 
In questi tre anni di lotta, il nostro Fronte di liberazione nazionale divenne una realtà, furono creati i Consigli di liberazione nazionale, organi della lotta e basi del potere, e questi si rafforzarono e divennero l'autentico potere democratico del popolo. Questo nuovo potere popolare ha fatto piazza pulita del vecchio potere, divenuto cieco strumento al servizio dell'occupante e dei traditori. Per creare il Fronte e il potere popolare han dato la propria vita migliaia di figli d'Albania, i quali si sono battuti con abnegazione perché erano certi di assicurare cosI un felice avvenire al nostro popolo. Il nostro movimento, con la sua giusta piattaforma politica, ha dischiuso al popolo vaste prospettive indicandogli la via della vittoria. II nostro movimento di liberazione nazionale, che aveva per obiettivo l'unione di tutto il popolo albanese, si è sforzato di provare con il sangue versato e di far comprendere ai fuorviati che la strada da essi seguita era nefasta per la nostra patria. Il Comitato antifascista di liberazione nazionale e la presidenza del Consiglio antifascista d'Albania, con l'appello indirizzato agli elementi che ancora militavano nelle file del nemico, han fornito un'altra prova concreta degli scopi cui tendeva il nostro movimento.
 
Dopo tre anni di eroici sforzi, dopo tanto sangue versato, siamo usciti vincitori. Il sanguinario nemico tedesco è stato cacciato da quasi tutto il nostro paese, sono state sgominate le bande dei reazionari, colpevoli di fraticidio e oggi, il 28 novembre, viene celebrato con indescrivibile entusiasmo da tutto il popolo albanese che ha conquistato la sua libertà a prezzo del suo sangue. Oggi nella Tirana liberata dopo un'aspra battaglia combattuta strada per strada e casa per casa, oggi nella capitale dell'Albania libera e democratica, tra questa popolazione eroica che si è mantenuta irremovibile all'avanguardia della nostra lotta e che i massacri dei tedeschi e dei traditori non sono riusciti a piegare, ma gli han dato maggior vigore, è giunto il Governo democratico d'Albania.
 
Popolo albanese,
La nostra lotta vittoriosa ha elevato il prestigio del nostro paese, ha fatto si che il nome d'Albania e di albanese sia onorato in tutto il mondo progressista, che si parli di noi con rispetto, poiché noi ci siamo mantenuti e ci manteniamo fedeli alla grande alleanza del blocco antifascista, poiché noi abbiamo sparso il nostro sangue a rivoli a fianco dei nostri alleati che si battevano eroicamente per salvare l'umanità dalle grinfie del nazismo tedesco.
 
La nostra eroica lotta era strettamente legata alla lotta dei nostri grandi alleati: Unione Sovietica, Inghilterra e America, era strettamente legata alla lotta dei popoli asserviti. Durante la nostra lotta noi eravamo mossi da una fiducia irremovibile nella vittoria, poiché avevamo il grande appoggio dell'alleanza anglo-sovieto-americana. Quando la gloriosa Armata rossa, quella stessa Armata rossa che ora marcia verso Occidente per il decisivo attacco all'ultimo bastione hitleriano, guidata dal grande stratega dei tempi moderni, il maresciallo Stalin, sgominava senza pietà le orde hitleriane, liberava i propri territori, nel nostro popolo si rinnovavano e si moltiplicavano le energie che lo sostenevano nella lotta, aumentavano il suo vigore e la sua fede. Le splendide vittorie dell'Armata rossa erano anche vittorie nostre e del mondo intero, poiché costituivano il principale fattore per la distruzione del nazismo. Grazie a queste vittorie, la lotta di liberazione nazionale dei popoli asserviti ha acquistato nuovo vigore; queste vittorie dell'Armata rossa hanno contribuito a farci giungere a questo giorno che oggi celebriamo con tanto splendore. E il nostro piccolo, ma invitto popolo, rivolge ai popoli eroici dell'Unione Sovietica e all'Armata rossa di chiara fama l'espressione della sua infinita riconoscenza. In questa lotta immane, l'Inghilterra e gli Stati Uniti d'America non si lasciarono piegare dal nazismo tedesco, hanno combattuto e combattono con valore per la causa comune. La guerra condotta da loro sui mari, in terra e nei cieli, che arreca tanti danni alla macchina bellica tedesca, è un valido aiuto per il nostro popolo. L'apertura del secondo fronte e l'annientamento della resistenza tedesca in Francia servono ad affrettare la vittoria finale.
 
Nella sua Lotta di liberazione nazionale, il nostro popolo ha avuto il sostegno dell'eroica lotta dei popoli della Jugoslavia. I nostri popoli, vicini e fratelli, sin dai primi giorni dell'occupazione, si sono impegnati in una risoluta lotta di liberazione. Il nostro esercito e quello jugoslavo versano il loro sangue fianco a fianco sui campi di Kosova e della Metohija: i nostri soldati e quelli jugoslavi si fasciano a vicenda le ferite riportate in aspre battaglie contro lo stesso nemico e col sangue si forgia l'amicizia; le nostre brigate, che hanno ricevuto l'ordine di non lasciare uscir vivo nessun tedesco dal nostro paese, si stanno trasferendo in Montenegro, dove assieme alle brigate jugoslave metteranno fine alla resistenza tedesca in quelle zone. Col sangue e con le comuni sofferenze si sta cementando l'amicizia fra il nostro popolo e i popoli della Jugoslavia. In questo giorno di grande festa per il nostro paese, noi inviamo il nostro saluto ai popoli fratelli di Jugoslavia.
 
Con il vicino popolo greco abbiamo combattuto e versato assieme il nostro sangue, ci siamo fasciati a vicenda le ferite in questa comune lotta antifascista, ed è nostro desiderio di mantenere sempre buone relazioni con questo nobile popolo. Notiamo con rincrescimento che le bande scioviniste e reazionarie di Zerva stanno martirizzando la minoranza albanese, la depredano dei suoi beni e la espellono dai suoi territori. Elementi di Zerva passano clandestinamente il nostro confine, uccidendo e ferendo i nostri partigiani. Non tollereremo simili atti nel nostro paese. Il primo ministro greco, Papandreu, ha avanzato delle pretese di annessione per le nostre regioni di Gjirokastér e di Korce, che a lui piace chiamare Vorio-Epiro. Certamente simili pretese non facilitano il mantenimento di buoni rapporti con i nostri vicini del Sud. I nostri confini sono indiscutibili, poiché al loro interno non vi è che terra nostra, la terra lasciataci in retaggio dai nostri avi e che noi abbiamo bagnato del nostro sangue. Nessuno avrà l'ardire di toccarli, poiché sapremo difenderli.
 
Il nostro movimento di liberazione nazionale ha riconosciuto alla minoranza greca in Albania diritti uguali a quelli della popolazione albanese. Il Governo democratico d'Albania garantirà alla minoranza greca nel nostro paese le libertà e i diritti democratici e nazionali, per i quali i figli di questa minoranza hanno combattuto eroicamente nelle brigate dell'Esercito di liberazione nazionale.
 
Popolo albanese,
Oggi ha inizio una nuova pagina della nostra storia, una pagina che dipende da noi rendere, e la renderemo, altrettanto gloriosa quanto lo è stata quella della nostra lotta contro l'occupatore. E questa è la pagina della lotta per la ricostruzione dell'Albania, per l'edificazione della sua economia, per l'edificazione della cultura e dell'istruzione del nostro popolo, per l'elevamento del suo livello sociale, economico e politico. Il nostro movimento ha intrapreso in momenti critici una gigantesca e impari lotta, uscendone vincitore, poiché il nostro popolo si unì come un sol uomo attorno al Fronte di liberazione nazionale. Il nostro movimento di liberazione nazionale intraprenderà anche questa seconda lotta e ne uscirà vincitore, poiché questo è il testamento spirituale di coloro che sono caduti sul campo dell'onore, poiché a questo è collegata la vita di tutto il popolo e il suo avvenire. I nazisti tedeschi e i traditori hanno seminato orrore e lutti nel nostro paese, intere regioni sono in cenere, l'agricoltura è in sfacelo, l'economia del paese ha subito gravi danni, migliaia di famiglie sono all'aperto, senza tetto e senza pane, devono essere aperte le scuole, occorre salvaguardare la salute della popolazione. Tutti questi importanti compiti potranno essere assolti, se rafforzeremo il nostro potere e porteremo alla guida del paese quegli uomini a cui sta a cuore il popolo. Perciò ci si pone il dovere di dare ogni cosa per il potere, di renderlo forte e affinché esso possa attuare tali compiti di vitale importanza, tutto il popolo gli si mobiliti attorno. Rafforziamo il nostro Fronte di liberazione nazionale ed esso riunisca nelle sue file tutto il nostro popolo, alimentandolo della nostra giusta politica, legandolo strettamente al potere e rendendolo cosciente dei compiti che gli si prospettano. Dobbiamo renderci conto anche ora, cosi come lo abbiamo compreso durante la lotta armata che per assolvere questi compiti, per assicurare al popolo una vita più felice e più prospera, è necessario che il popolo intero partecipi a questa grande opera. Nessun albanese onesto rimanga fuori del Fronte, nessuna energia venga sprecata. In occasione della festa del 28 novembre, in occasione della liberazione di Tirana, la presidenza del Consiglio antifascista di liberazione nazionale concede una amnistia generale per tutti i membri del Balli Kombetar, del Legaliteti e delle altre organizzazioni che hanno collaborato con l'occupatore; sono esclusi da questa amnistia tutti i criminali di guerra, coloro che hanno ucciso, incendiato, violentato e che hanno rapinato i beni del popolo. Questo è un altro fatto che testimonia gli elevati scopi del movimento di liberazione nazionale, di quel movimento che ha combattuto e che combatterà per il popolo, di quel movimento che ha come suo principio la massima giustizia.
 
L'Albania tutta diventi un cantiere di lavoro, in cui grandi e piccoli comprendano che non lavorano per gli stranieri, ma lavorano e costruiscono per il proprio paese. E per il nostro paese, per il quale non abbiamo risparmiato neppure la vita, non dobbiamo risparmiare il nostro sudore e la nostra fatica. Dobbiamo dedicare tutte le nostre forze affinché il nostro esercito, grande fattore di questi successi, sia potenziato e divenga un esercito moderno nel vero senso della parola. Esso sia il vero difensore del popolo e del suo potere. Per assolvere tale compito essenziale, è necessario che facciamo del nostro esercito un esercito veramente cosciente e politico, poiché solo cosi esso sarà in grado di concludere la lotta con il massimo successo e di divenire vivo usbergo degli interessi del popolo.
 
Popolo albanese,
I frutti della tua lotta eroica dovrai raccoglierli tu stesso, perché spettano a te e tu li hai pagati al prezzo del tuo sangue. Affinché i banditi, gli speculatori, gli intriganti e i politicanti imbroglioni, coloro che son usi a vivere alle nostre spalle e che ci hanno succhiato il sangue, non possano strapparceli e sottrarceli, serriamo le nostre file più forte che mai, riuniamoci tutti attorno al potere, al Fronte, al Governo democratico e cosi uniti procediamo verso gli obiettivi a cui tendiamo, e che sono il miglioramento della vita sociale ed economica del nostro paese.
 
Evviva l'Albania libera e democratica!
Evviva il popolo albanese!
Evviva l'Esercito di liberazione popolare!
Evviva i nostri grandi alleati: Inghilterra, Unione Sovietica e America!*
Evviva la fratellanza dei popoli dei Balcani amanti della libertà!
Evviva l'eroico popolo di Tirana!
 
 
Note:
* Nel testo albanese in ordine alfabetico [N.d.R.]
 

=== 3 ===

1 marzo 2009

Un gravissimo fatto è avvenuto in Albania. 
Il monumento dedicato agli eroi di Vig, situato nella piazza centrale di Scutari è stato vigliaccamente e vergognosamente spostato in una discarica di immondizie. E' un fatto gravissimo, una grave offesa ai partigiani albanesi caduti per sconfiggere il nazifascismo.
Non solo, anche la lapide e la via dedicata all'eroico combattente partigiano italiano Terzilio Cardinali, Medaglia d'Oro, sono state rimosse! 
Sono atti che fanno rabbrividire. Se poi consideriamo quello che sta avvenendo anche nel nostro Paese con la ripresentazione della proposta di legge per parificare repubblicani di Salò alleati con i nazisti e i partigiani liberatori, oltre a sfregi a lapidi e leggi sempre più liberticide, abbiamo di che riflettere e prendere posizione.
Poichè entro marzo il Presidente della Repubblica effettuerà una visita ufficiale in l'Albania si è pensato, insieme alle figlie di Cardinali e a varie sezioni ANPI, di far pervenire una lettera in cui si esprima tutto lo sdegno delle forze sinceramente antifasciste.
Non possiamo restare indifferenti perchè è un insulto non solo ai partigiani albanesi ma anche ai tantissimi italiani che in quella terra seppero schierarsi dalla parte giusta costituendo il "Battaglione Antonio Gramsci" con atti di grande eroismo.
Penso che questo sia il minimo che si debba fare.

Piero Beldì
Segretario ANPI Ovest Ticino

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Egregio Signor Presidente del Repubblica,
 
sappiamo che nei prossimi giorni Lei sarà in visita ufficiale in Albania.
In questa occasione, vogliamo informarLa del grave atto compiutosi, nei giorni scorsi, a Shkodra (Scutari), dove è stato rimosso il monumento ai “Cinque Eroi di Vig” dello scultore Sh. Haderi, spostandolo dal centro della città ad una zona periferica adiacente ad una discarica.
Il famoso libro “Lettere dei condannati a morte della Resistenza Europea”, sui cui insegnamenti si sono formate intere generazioni di giovani, si apre proprio con la lettera dei Partigiani albanesi “Eroi del popolo” Ndoc Deda, Ndoc Mazi, Naim Gjylbeku, Hidajet Lezha, Ahmet Haxhia, caduti combattendo il 21 Agosto 1944 contro le bande collaborazioniste dei nazisti. Ecco le loro parole:
 
«Cari compagni,
siamo circondati ed aspettiamo che, da un momento all'altro, ci colpiscano i proiettili dei traditori, ma è meglio dare la vita che conservarla tradendo la lotta che abbiamo iniziato. Abbiamo detto una volta per tutte “O libertà o morte”. Quindi, compagni, proseguite con coraggio incrollabile la nostra opera dove noi la lasciamo.
Compagni, dai monti della Mirdita vi mandiamo il nostro saluto gridando tutti insieme “Morte al fascismo - Libertà al popolo”»
 
La rimozione di questo simbolo della Resistenza, che ha indignato l'opinione pubblica albanese, è stata compiuta dagli eredi dei collaborazionisti responsabili dell'uccisione dei cinque martiri di Vig, in dispregio dell'appello lanciato dall'Organizzazione Nazionale dei Veterani della Lotta di Liberazione del Popolo Albanese ed in violazione delle stesse leggi dello Stato Albanese.
Questo grave atto costituisce un affronto ed un'ingiuria nei confronti non solo dei 28.000 caduti della Lotta di Liberazione Nazionale contro il nazifascismo in Albania, ma anche nei confronti degli ideali stessi della Resistenza che hanno accumunato i popoli europei e che sono ancora oggi vivi e validi.
Questo grave atto costituisce anche un'offesa ed un insulto ai partigiani italiani che hanno combattuto in Albania a fianco dei partigiani albanesi nelle file del Brigata Gramsci, guidati dall'eroica figura del Comandante Terzilio Cardinali, medaglia d'oro della Resistenza, e si somma all'affronto con cui il suo nome è stato cancellato dalla toponomastica della città di Peshkopje, nel cui distretto è eroicamente caduto in combattimento l' 8 Luglio 1944.
Non solo, ma coloro che oggi hanno sfregiato il monumento dei Cinque Eroi di Vig sono gli stessi che hanno tolto la lapide ed il cippo partigiano in ricordo di Terzilio Cardinali, con un atto di oltraggio anche nei confronti dello Stato Italiano che Lei andrà a rappresentare in Albania.
Come Partigiani italiani, come cittadini italiani ed albanesi che vivono in Italia, come familiari di Terzilio Cardinali e di Ahmet Haxhia (Tigri) Le chiediamo, in occasione della sua prossima visita ufficiale in Albania, di farsi interprete della comune indignazione nei confronti di questi atti, portando un fiore (il fiore simbolico della sua Alta Parola, quale rappresentate dello Stato e del Popolo Italiano) al Monumento dei Cinque Eroi di Vig e al Cippo Partigiano in ricordo di Terzilio Cardinali.

Seguono firme

(eventuali aggiornamenti saranno riportati alla pagina https://www.cnj.it/PARTIGIANI/albania_revisionismo.htm )



Operai di "Zastava automobili Kragujevac" propongono raccolta sangue per le vittime del terremoto ad Aquila

KRAGUJEVAC, 6 april (Agenzia informativa Serba - Tanjug) - Il Sindacato dello stabilimento 'Zastava automobili' oggi ha inviato una lettera al Governo d'Italia e all'Ambasciata d'Italia in loro paese, con le profonde condoglianze per la perdita di vite umane causate dal terremoto , che notte scorsa ha colpito alcune zone d'Italia. "Tutti i lavoratori dello stabilimento 'Zastava automobili' esprimono loro estremo cordoglio per il tragico evento che ha colpito vostro paese, e inviano le più sincere condoglianze ai familiari delle vittime. Il Sindacato di 'Zastava automobili' è in grado di organizzare una campagna di raccolta di sangue dai volontari, qualora questo tipo d'aiuto vi fosse necessario", si cita nella lettera.

http://www.tanjug.rs/RssSlika.aspx?24808
KRAGUJEVAC, 6. aprila (Tanjug) - Sindikat kragujevačke fabrike 'Zastava automobili' uputio je danas pismo vladi Italije i ambasadi te zemlje u Beogradu, u kojem, u ime radnika 'Zastave', izražava najdublje žaljenje zbog žrtava zemljotresa koji je jutros pogodio Italiju. 'Svi zaposleni u Fabrici automobila izražavaju najdublje žaljenje povodom tragičnog događaja koji je pogodio vašu zemlju i upuću najiskrenije saučešće porodicama nastradalih', navedeno je u pismu.

http://www.b92.net/info/vesti/index.php?yyyy=2009&mm=04&dd=06&nav_category=78&nav_id=354040
Sindikalna organizacija "Zastava automobili", navodi se u pismu, "u mogućnosti je da vam kao pomoć ponudi i organizuje akciju davanja krvi, ukoliko vam je ta pomoć potrebna".

(trad. a cura di Dk)

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JEDINSTVENA SINDIKALNA ORGANIZACIJA 
ZASTAVA

SUL CONTRATTO STIPULATO TRA LA FIAT E IL GOVERNO DELLA REPUBBLICA DI SERBIA

(comunicato del 1/4/2009)

In conformità al Contratto firmato a settembre del 2008 la Fiat Group ha costituito con lo stato serbo l’impresa FIAT AUTOMOBILI SERBIA con capitale sociale di 100.000 euro, e piu precisamente nel rapporto 67% - 33% a favore della FIAT.
Secondo il Contratto, la FIAT si e impegnata di versare i primi 200.000.000 euro entro il 31.03.2009. Finora non sono stati versati. Con tale versamento noi potremmo investire nella ricostruzione della fabbrica e nella introduzione del modello nuovo che sarebbe prodotto in serie di 200.000 unita all’anno. In compenso, il nostro Stato ha rinunciato (senza rimborso) alla licenza per la Punto (pagata da noi 3.000.000 euro) e all’apparecchiatura completamente nuova per la produzione di questo modello (pagata da noi 14.000.000 euro).
Siccome il Contratto si è trovato a rischio, 2 mesi fa è stato fatto un Contratto nuovo che si riferisce al solo montaggio del modello vecchio della vettura Punto.
Ora, grazie al nostro governo abbiamo qui la FIAT che lavora sulla nostra attrezzatura, con la propria licenza e i NOSTRI lavoratori senza 1 euro di investimento. E per completare la commedia, la FIAT si comporta già come Grande Padrone e ci comanda di portare via dalla fabbrica tutte le nostre attrezzature il che noi come sindacato assieme ai lavoratori abbiamo bloccato.
Facciamo presente che solo per la Verniciatura rasa al suolo nei bombardamenti del ’99 bisogna investire 200.000.000 euro. Ora tutte le operazioni vengono fatte a mano eccetto padiglione (verniciatura semiautomatica).
La situazione in fabbrica e nello stato di allarme con possibili disordini perche i lavoratori stanno perdendo la pazienza.

SINDACATO SAMOSTALNI
FABBRICA ZASTAVA





8 aprile giornata dei diritti di Rom e Sinti


Posted By rino On 3 Aprile 2009 @ 12:24 am In Immigrazioneantifascismo | No Comments


L’8 aprile si celebra la giornata internazionale dei diritti di Rom e Sinti, in ricordo dell’8 aprile 1971 in cui si costituì l’Unione Romanì Internazionale (IRU), riconosciuta nel 1979, dal Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, come “organizzazione, non governativa e non territoriale, con potere di consultazione che rappresenta tutte le comunità romanès del mondo” (Alexian Santino Spinelli “Baro romano drom”, Meltemi editore 2005; pagg.7-87 : “La storia”).

Dal 1981, anche la Comunità Europea si è espressa affinché la pubblica amministrazione degli stati si attivasse contro le inadempienze politiche di cui il popolo rom è vittima.

Purtroppo riguardo al popolo rom, nel panorama culturale e politico mondiale, la posizione italiana, spesso, senza distinzione tra destra e sinistra, appare arretrata e razzista.

In ogni contesto italiano infatti, gli approcci alla storia e/o alla cultura romanì sono sempre correlati da un esplicito richiamo alle situazioni di degrado in cui parte della popolazione romanì vive, come peraltro accade a tutti i popoli del mondo, anche a quelli economicamente privilegiati come il nostro (mafia, camorra, delitti compiuti sul posto di lavoro per mancato rispetto delle norme di sicurezza, aberrazioni criminali e famigliari, ecc.).

In ambito più squisitamente politico poi, ho riscontrato come anche le prese di posizione antirazziste, quando si riferivano ai Rom, per poter aggregare il maggior numero di adesioni, dovessero specificare che è fondamentale richiedere al popolo rom il rispetto dei “doveri” e delle norme giuridiche. Alcune riflessioni mi paiono d’obbligo sul messaggio che tale specifica comunica: certo siamo antirazzisti, ma sappiamo che molti Rom compiono reati. Mi chiedo se, alla luce di quanto è accaduto agli ebrei sotto il nazismo (che ha perseguitato analogamente Rom e Sinti mietendo oltre 500.000 vittime) avremmo il coraggio di approvare un messaggio che prima dell’olocausto comunicasse certo siamo antirazzisti, ma sappiamo che molti Ebrei sono usurai. Sul piano del rapporto tra fruizione dei diritti e rispetto dei doveri, mi pare evidente che soltanto se veramente si gode di diritti si è in grado di ottemperare ai doveri civili. Non sono certo forieri di diritti la ghettizzazione nei campi nomadi, gli ostacoli che impediscono un sereno approccio alla scolarizzazione (scuole lontane dal luogo in cui risiedono i Rom, bambini discriminati, guardati come “diversi”, costretti a lavarsi, seppure puliti, mentre un bimbo italiano, addirittura se è sporco, non riceve lo stesso trattamento), la diffidenza, fomentata anche dai giornali più illuminati, che crea ulteriori ostacoli ai rom nella ricerca di un posto di lavoro. . .

In Italia, ingenti capitali (si tratta di milioni e milioni di euro, provenienti in genere da progetti della Comunità Europea) vengono spesi per gestire i campi nomadi (in cui, in realtà, le persone vivono in condizioni disumane) e per “educare” i rom ad essere “integrabili” nella nostra società (con suggerimenti su come vestirsi e porsi verso gli altri).

In Jugoslavia ho conosciuto rom giornalisti, professori, chirurghi, farmacisti, ingegneri e nessuno di loro era nomade e/o stato “educato” con programmi di inserimento.

Nella stessa Italia, d’altro canto, esistono Rom operai, professori, giornalisti, infermieri, albergatori, baristi, imprenditori, vigili urbani, dipendenti di banche e della Pubblica Amministrazione. La loro vita non è stata condizionata e/o facilitata da educatori non rom; certamente hanno sopportato maggiori discriminazioni degli italiani non rom e forse molti di loro, in condizioni normali, avrebbero potuto raggiungere posizioni sociali ancora più appaganti. E’ avvilente constatare che, seppure con i dovuti aggiornamenti, riguardo ai campi nomadi e alla necessità di educare i Rom al vivere civile, persista l’ideologia che, a partire dal 1899, ha fomentato in Germania il razzismo contro la popolazione romanì, dall’istituzione di centri di studio e monitoraggio - destinati ufficialmente alla raccolta di informazioni sui Rom, ma che in realtà li schedavano - alla redazione di tesi di genetica sull’esistenza, nei Rom, del gene del nomadismo, all’estromissione dei Rom dalle loro terre e dalle loro abitazioni fino all’ internamento nei campi.


Piera Tacchino


Scarica il volantino (clikka): http://www.lsmetropolis.org/wp-content/volantino-marcia-rom.pdf


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http://www.lsmetropolis.org/2009/03/8-aprile-di-rom-e-sinti/


8 APRILE Giornata Internazionale dei diritti di Rom e Sinti


Posted By rino On 27 Marzo 2009 @ 5:02 pm In ImmigrazioneInternazionale | 1 Comment



L’8 aprile si celebra in tutto il mondo il “Romano Dives”, la Giornata internazionale della nazione Rom, in ricordo di quell’8 aprile del 1971 quando a Londra si riunì il primo Congresso internazionale del popolo Rome si costituì la Romani Union, la prima organizzazione mondiale dei Rom riconosciuta dall’Onu nel ‘79. Vogliamo ricordare quest’anniversario con un’iniziativa di pace aperta a tutti.

RITROVO:MERCOLEDI’ 8 APRILE ORE 16,30 a Torino

IN PIAZZA PALAZZO DI CITTA’ (davanti al municipio)


Le culture rom e sinti sono patrimonio dell’umanità; le premesse indispensabili per superare pregiudizi e stereotipi sono la conoscenza, le iniziative interculturali, una comunicazione che non alimenti sentimenti xenofobi, così come richiesto anche dal Parlamento europeo e dalle istituzioni internazionali.

Desideriamo che l’occasione dell’8 aprile si trasformi in una dimostrazione di pace e nonviolenza per tutti, perché tutti ne hanno diritto.

Facciamo un appello affinché le persone, associazioni, sindacati, chiese, realtà politiche intervengano in prima persona alla costruzione dell’iniziativa:

appuntamento il 31marzo alle ore 20 presso la Casa Umanista di via Martini 4bis - Torino

Ad oggi hanno aderito:Opera Nomadi, Ass. Romano Ilio, Cantieri di Pace, Comitato Promotore della Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza, Pastorale Migranti, Coordinamento antidiscriminazione Sa Phrala, AIZO, Terra del Fuoco

Il comitato promotore 8 aprile

Per informazioni:

tel. 339.1360447 - 338.6152297

sportellodellapace@...


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Casale Monferrato (AL)

Una rassegna cinematografica con i film di Tony Gatlif

ZINGARI, LA BELLEZZA DI UN POPOLO

In Via del Carmine 8, al Centro dell’Associazionismo
 
A concludere il lavoro svolto dalla Consulta per la Pace, che ha coinvolto gli studenti in un percorso di sensibilizzazione su tematiche interculturali legate ai Rom, e che ha portato, nelle scuole e in un incontro pubblico Suor Carla Osella dell’AIZO (Associazione Italiana Zingari Oggi) e le sue testimonianze, viene ora proposta una rassegna cinematografica, dal titolo “Zingari, la bellezza di un popolo”, organizzata dalla stessa Consulta e dall’Associazione di Promozione Interculturale Serydarth, che metterà in scena tre film del regista gitano Tony Gatlif, capaci in maniera profonda di mettere in mostra qualcosa di sublime e radicato nella cultura Rom, diverso dai luoghi comuni generati dalla rappresentazione mediatica ordinaria.
 
I film saranno proiettati il lunedì, ogni quindici giorni, a partire dal 6 aprile, alle ore 21.15 presso il Centro dell’Associazionismo di via del Carmine.
Si comincia il 6 aprile con “Latcho Drom”, un vero e proprio viaggio musicale tra i gitani, partendo dal Rajasthan e arrivando all'Andalusia, passando per l' Egitto, la Romania, l' Ungheria e la Francia
 
Il 20 aprile sarà la volta di “Gadjo Dilo – Straniero Pazzo”, il cui protagonista, un giovane parigino, si ritrova ospite in un villaggio Rom nei pressi di Bucarest, una realtà profondamente diversa da quella cui è abituato.
 
A concludere la rassegna, “Vengo - Demone flamenco”, in cui gli zingari rappresentati sono i gitani in Andalusia. Una storia di vendetta familiari, un dramma accompagnato dalla magia e il pathos del flamenco.
 
In tutti e tre i film, la musica e la cultura zingara sono gli attori principali.
 
La partecipazione alle rassegne è riservata ai soci, il costo della tessera 2009 è di 5€.
 
Consulta per la Pace, Associazione Serydarth
Casale Monferrato (AL)

Uff. Stampa Ass. Serydarth
tel.349.5250560
e-mail serydarth@...