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Tripudio nazista ai Mondiali di Calcio

0) Altri link
1) I calciatori croati Vukojević e Vida si esibiscono nel saluto banderista "Gloria all'Ucraina" per festeggiare la vittoria sulla nazionale russa
2) Strascichi dopo la partita Serbia-Svizzera
3) FLASHBACK: Kiev 1942, la partita della morte e quei campioni che sfidarono il destino



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[i calciatori croati Lovren e Modrić si esibiscono in canti e saluti nazisti]
Dejan Lovren sings "Bojna Čavoglave" after 3-0 win against Argentina (21 giu 2018)
Nazi Luka Modric saluting fans at World Cup 2018 (21 giu 2018)
Croatian and Real Madrid player Luka Modric saluting his fans Nazi style at World Cup 2018...

[comuni tifosi croati riconoscono l'ospitalità e lo spirito di amicizia con cui sono stati organizzati i Mondiali di Calcio in Russia]
‘It’s all propaganda, Russian people are the best!’ – Croatia fan on World Cup scaremongering (RT, 8 Jul, 2018)
https://www.rt.com/sport/432336-croatia-world-cup-russia-best-people-ever/

USTASCIA SUGLI SPALTI E IN CAMPO
Il nazismo nel calcio croato non è solamente sugli spalti
• Il calciatore della nazionale croata Maksimir Josip "Joe" Šimunić professa nazismo in campo (2013)
Boban e il teppismo anti-nazionale degli hooligan:
Cosa c'è nel calcio di peggio della fallosità 
• La "Bobaniade" e lo "yugo"-campionato / "Bobanijada" i "YU"-Liga (2001)
Livorno agosto 2006: tifosi croati si dispongono a svastica
Lituania, luglio 2006: Z. Mamić fa il saluto fascista
Finale degli Europei di pallanuoto 2003: SerbiaMontenegro - Croazia 9-8, teppisti croati si scatenano


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[I calciatori della nazionale croata Ognjen Vukojević e Domagoj Vida si esibiscono nel saluto banderista "Gloria all'Ucraina" per festeggiare la vittoria sulla nazionale russa] (Andrii Pavelko, 7 luglio 2018)
[La Federcalcio ucraina difende i giocatori croati]
Федерация футбола Украины поддержала бандеровскую выходку хорватского футболиста (8 июля 2018)
ФФУ поддержала бандеровскую выходку игрока сборной Хорватии Виды, записавшего ролик с использованием бандеровского приветствия «Слава Украине» в честь победы над сборной России...
[Petizione per il deferimento di Ognjen Vukojević e Domagoj Vida da parte della FIFA]
Футбол вне политики: Дисквалифицировать хорватов Огнена Вукоевича и Домагоя Виду
[La FIFA ammonisce il difensore della nazionale croata Domagoj Vida per comportamento antisportivo e contrario ai principi di fair play, per il video provocatorio in cui ha urlato lo slogan dei neonazisti ucraini "Gloria all'Ucraina". S. Gajić: "La vittoria della Croazia a Sochi è un colpo simbolico. Loro, come i loro nonni, combatterono contro i russi in uniforme nera. Molti russi dimenticarono le migliaia di volontari croati che combatterono dalla parte di Hitler. Solo nella prigionia sovietica erano circa 22 mila..."]
Стеван Гайич: Хорваты и украинцы – братья по ненависти (9 июля 2018)
В воскресенье, 8 июля, международная федерация футбола (ФИФА) вынесла предупреждение защитнику сборной Хорватии Домагою Виде за неспортивное поведение, противоречащее принципам честной игры за провокационное видео с использованием бандеровской кричалки «Слава Украине»...

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8 luglio 2018

Mondiali 2018 Russia, Croazia: Vida inneggia all'Ucraina, rischia la squalifica

Dopo la vittoria alle semifinali ai rigori contro la Russia, il difensore croato Vida (che gioca nella Dinamo) ha inneggiato all'Ucraina sui social e ora rischia una squalifica. La Fifa ha aperto un'inchiesta ma lui spiega: "Solo parole scherzose per i miei amici della Dinamo Kiev"

Un video postato su Facebook dopo la vittoria ai rigori contro la Russia, potrebbe costare caro al difensore croato Domagoj Vida. Il giocatore, autore anche del gol del 2-1 nei supplementari, ha esultato sui social urlando la frase "Slava Ukraini!", letteralmente "gloria all’Ucraina", in quello che a qualcuno è sembrato essere uno slogan anti-russo. Per questo motivo la Fifa ha aperto un’inchiesta a suo carico. Nel filmato, Vida festeggia il passaggio alle semifinali insieme a Ognjen Vukojevic, ex nazionale e ora membro dello staff della squadra allenata da Zlatko Dalic. In passato hanno giocato entrambi nella Dinamo Kyev. Dopo aver esclamato “gloria all’Ucraina”, il compagno accanto aggiunge: “Questa vittoria è per la Dynamo e per l'Ucraina...vai Croazia!". Quanto fatto da Vida non è piaciuto ad alcuni media russi e a molti utenti dei social, che hanno segnalato l'accaduto. Da qui l'apertura dell'inchiesta, confermata all’Ansa da fonti Fifa. Vida rischia due giornate di squalifica e una multa di cinquemila franchi svizzeri, parti a circa 4.300 euro. Vida tuttavia, citato dai media russi, ha tenuto a sdrammatizzare e a depoliticizzare il tutto, parlando di parole frutto di sensazioni molto personali. "Non c'è politica nel calcio. Sono parole scherzose per i miei amici della Dinamo Kiev. Voglio bene ai russi e voglio bene agli ucraini", ha detto il difensore croato.

Il precedente di Xhaka e Shaqiri

Screzi a sfondo politico si erano avuti anche in occasione della partita Serbia-Svizzera nella fase a gironi (Gruppo E), quando due giocatori svizzeri di origini kosovaro-albanesi, Xhaka e Shaqiri, esultando per i gol contro i serbi, avevano mostrato con braccia e mani il simbolo della bandiera albanese con l'aquila bicipite. Un gesto interpretato come una provocazione dai serbi, che avevano protestato. La Serbia non riconosce l'indipendenza del Kosovo, che continua a considerare una sua provincia a maggioranza albanese, e denuncia un piano nazionalista che mirerebbe a creare una 'Grande Albania, uno stato unico che raggruppi tutte le popolazioni albanesi presenti nei vari Paesi dei Balcani.

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Domagoj Vida e Ognjen Vukojevic fanno scoppiare un caso diplomatico, eliminano la Russia e dedicano la vittoria all’Ucraina

di Redazione Blitz, 8 luglio 2018

MOSCA – Vida e Vakojevic, i due croati sono nella bufera per aver dedicato il successo contro la Russiaall’Ucraina. I media serbi, come capita spesso quando riferiscono dei rivali storici della Croazia, non mancano anche oggi di denunciare l’intonazione nello spogliatoio di motivi ultranazionalistici e legati al vecchio stato croato degli ustascia durante la seconda guerra mondiale. Inoltre, riferisce la Tanjug, dopo la vittoria sulla Russia, Domagoj Vida e Ognjen Vukojevic – quest’ultimo attualmente membro dello staff della nazionale ma in passato giocatore anch’egli della nazionale – hanno dedicato il successo sui russi all’Ucraina, Paese dove in passato entrambi hanno giocato nella Dinamo Kiev, e un Paese l’Ucraina i cui rapporti con Mosca sono ai minimi storici. ‘Gloria all’Ucraina’, ‘Questa e’ una vittoria per l’Ucraina, per la Dinamo‘, hanno gridato i due croati. 
Nella cattolicissima Croazia l’accesso alle semifinali dei Mondiali di calcio dopo la vittoria ieri sera ai rigori contro i padroni di casa della Russia e’ stato salutato anche dal suono delle campane di tante chiese. Nella capitale Zagabria e in altre grandi citta’, subito dopo l’ultimo rigore messo a segno dalla nazionale a scacchi, le campane hanno suonato lungamente a festa, unendosi al clima di euforia e esaltazione che ha pervaso l’intero Paese.
E anche taluni commentatori televisivi non hanno mancato di ‘ringraziare Dio’ per i successi del calcio nazionale e per la marcia trionfale della nazionale di Modric, Mandzukic e compagni. ‘I croati non si arrendono!’, ‘E ora a Mosca per la (semi)finale’, ‘Cadranno anche gli inglesi, saremo campioni’ titolano oggi i giornali, prospettando e sognando non solo la vittoria contro l’Inghilterra mercoledì prossimo, ma anche un trionfo finale della squadra di Dalic ai mondiali di Russia.
Sui social dominano foto e video di giocatori e staff della nazionale croata che nello spogliatoio e a cena nell’albergo a Sochi cantano e ballano insieme alla presidente della Repubblica, Kolinda Grabar Kitarovic.
La presidente, che ieri sera allo stadio accanto al compassato premier russo Dmitri Medvedev ha seguito la partita indossando maglietta e pantaloni da tuta nei colori della Croazia, si è messa a ballare in tribuna al momento della vittoria, per poi raggiungere i giocatori nello spogliatoio e, abbracciandoli, ha cantato canti patriottici.
Tante anche le immagini di Luka Modric che, prima di lasciare il campo al termine dell’incontro vittorioso con i russi, ha abbracciato i suoi due figli facendo loro calciare dei tiri in porta.

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Mondiali 2018, Vida graziato dalla FIFA: nessuna squalifica, giocherà Croazia-Inghilterra

Domagoj Vida sarà regolarmente in campo nella semifinale dei Mondiali 2018 che vedrà la nazionale croata sfidare l’Inghilterra a Mosca mercoledì 11 luglio con fischio d’inizio alle ore 20. Il calciatore aveva sollevato un polverone dopo la partita vinta contro la Russia ai rigore per un video in cui ha esclamato “Slava Ukraine” (Gloria all’Ucraina)”

di Marco Beltrami,  9 LUGLIO 2018

Sospiro di sollievo per la Croazia. Domagoj Vida sarà regolarmente in campo nella semifinale dei Mondiali 2018 che vedrà la nazionale croata sfidare l'Inghilterra a Mosca mercoledì 11 luglio con fischio d'inizio alle ore 20. Il calciatore aveva sollevato un polverone dopo la partita vinta contro la Russia ai rigore per un video in cui ha esclamato "Slava Ukraine" (Gloria all'Ucraina)". Un attacco ai padroni di casa con un possibile riferimento politico che non è sfuggito alla Fifa che ha aperto una indagine. Nessuna squalifica per Vida, ma solo quella che può essere definita come "un'ammonizione ufficiale".

(...) La Fifa ha graziato Vida, nessuna squalifica per Croazia-Inghilterra
Il massimo organo calcistico internazionale dopo aver visionato il tutto ha deciso di non punire con la squalifica Vida che dunque sarà regolarmente in campo nella semifinale dei Mondiali 2018 Croazia-Inghilterra. La Fifa infatti ha optato per il classico "warning", ovvero un'ammonizione ufficiale, accettando dunque quelle che sono state le giustificazioni e spiegazioni di Vida e della Federcalcio croata.

La Croazia e la giustificazione di Vida che ha convinto la Fifa
La Croazia infatti ha dichiarato in maniera ufficiale che le parole pronunciate da Domagoj Vida al termine della partita contro la Russia si riferivano al sostegno dimostratogli dai tifosi ucraini durante i Mondiali. Vida infatti ha vestito la maglia della Dinamo Kiev dal 2013 al 2018. Nonostante tutto però anche la Federcalcio croata ha rivolto un invito a tutti i propri tesserati in una nota ufficiale: "la federcalcio croata invita i giocatori della nazionale ad astenersi da qualsiasi dichiarazione che può essere interpretabile come politica"


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23 giugno 2018

Serbia, il ct Krstajic: "La Var come la Corte dell'Aja". Polemiche anche con i politici kosovari

Il commissario tecnico ha commentato così il rifiuto dell'arbitro Brych di ricorrere alla moviola nella partita contro la Svizzera dopo un episodio dubbio ai danni dell'attaccante Mitrovic. I media serbi, intanto, riferiscono di interventi provocatori da parte di esponenti politici kosovari prima e dopo il match con toni nazionalistici e antiserbi

BELGRADO - "La Var è come la Corte dell'Aja: i serbi sono vittime di una giustizia selettiva". Si è espresso in questi termini il ct della Serbia Mladen Krstajic sul rifiuto dell'arbitro tedesco Brych di visionare il Var ieri sera nella partita dei Mondiali persa contro la Svizzera, dopo un episodio dubbio ai danni dell'attaccante Mitrovic. "Purtroppo solo i serbi, a quanto pare, vengono condannati sulla base di una giustizia selettiva - ha detto il ct serbo - Prima il maledetto Tribunale internazionale penale dell'Aja (Tpi), oggi nel calcio il Var".

LA POLEMICA CON I POLITICI KOSOVARI - Nel frattempo prosegue la polemica politica tra Belgrado e Pristina dopo la partita di ieri sera vinta 2-1 dagli elvetici con le reti messe a segno da Xhaka e Shaqiri, cittadini svizzeri entrambi di origini kosovare e etnia albanese. I media serbi riferiscono oggi di interventi 'provocatori' da parte di esponenti politici kosovari, che prima, durante e dopo la partita di ieri sera a Kaliningrad, sono intervenuti sulle reti sociali con toni nazionalistici e antiserbi, a sostegno dell'irredentismo kosovato-albanese.

Il ministro degli esteri del Kosovo Behgjet Pacolli, alla vigilia dell'incontro in questione, ha scritto su Twitter di sperare che gli 'albanesi kosovari' sconfiggeranno la Serbia, nonostante l'avversario dei serbi sarebbe stata la Svizzera. "Riusciranno i nostri ragazzi a battere la Serbia stasera? Penso di si", ha scritto Pacolli. Da parte sua Flora Citaku, ambasciatore del Kosovo negli Stati Uniti, ha affermato in un tweet dopo la partita che i gol degli albanesi Hhaka e Shaqiri sono qualcosa di storico per il Kosovo: "Due albanesi del Kosovo hanno determinato oggi la vittoria della Svizzera sulla Serbia - ha scritto Citaku - Le loro famiglie ottennero asilo in Svizzera durante la guerra in Kosovo (di fine anni novanta, ndr). Oggi hanno segnato e hanno vinto. Lo sport a volte è qualcosa di più dello sport. Oggi avete portato sulle spalle la nostra storia". "Vi voglio bene", ha twittato Citaku.

I due calciatori di origini kosovare, accusati da Belgrado di aver esultato dopo i gol con il gesto a indicare l'aquila della 'Grande Albania' (progetto nazionalista denunciato dalla Serbia e che mira a riunire in un unico stato tutti gli albanesi residenti nei vari paesi balcanici, ndr), hanno sostenuto di aver fatto tale gesto per la grande emozione e col pensiero diretto alle loro famiglie e al loro popolo, e non contro la Serbia. Critiche al loro comportamento sono giunte comunque dalla stampa svizzera, con il quotidiano Blik che ha parlato di un modo di festeggiare "inutile e stupido".

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Mondiale di calcio in Russia. L' arbitro tedesco a casa

L' ultimo fischio per il tedesco Felix Briech. Mandato a casa per le forti critiche di non aver concesso il rigore in favore della Serbia nella partita contro la Svizzera, ma anche a non volere consultare il VAR:


SVETSKO PRVENSTVO 

Poslednji zvižduk Feliksa Briha

Najbolji nemački sudija Feliks Brih poslat je kući posle žestokih kritika zbog nedosuđenog jedanaesterca za Srbiju protiv Švajcarske. U Nemačkoj smatraju da je to nepravda, a sve okolnosti su i dalje nepoznate.
Na rubu izveštavanja o Svetskom prvenstvu u fudbalu u Nemačkoj se svo vreme postavljalo pitanje: da li će Feliks Brih suditi finale? Te nade su ponešto podgrejane posle ispadanja Nemačke, ali su se ubrzo raspršile – Brih i njegovi asistenti posle samo jedne utakmice idu kući. Fifa je to i zvanično potvrdila.
Samo jedan nastup na Mundijalu je jedan nemački sudija poslednji put imao pre 36 godina. „Tok ovog SP je naravno teško razočaranje za mene i moj tim“, rekao je Brih. „Ali život ide dalje i doći ćemo ponovo.“


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Kiev, 1942: la partita della morte e quei campioni che sfidarono il destino

di Valerio Nicastro, 26 agosto 2014

Il calcio, lo sappiamo, per molti di noi è tutta la vita. Per un manipolo di calciatori ucraini, nell’agosto del 1942, però, il pallone fu davvero questione di vita o di morte. Una di quelle storie in cui sai già di affrontare un nemico che ti ha già sconfitto, una di quelle storie in cui sai già che dovrai piegare la testa e restare al tuo posto.

Ma, quando vedi quel pallone rotolare, e lo vedi prendere la forma del riscatto e della vendetta che probabilmente non ti potrai mai prendere, non riesci a fermarti, e allora giochi come sai fare, anche se sai che probabilmente ti costerà la vita. Così andò quella che è passata alla storia come “La partita della morte“, quella che si giocò a Kiev nell’agosto del 1942 e che, ancora oggi, fatica a svelare il suo alone di mistero e leggenda.

Secondo alcuni non è mai esistita, secondo altri le cose andarono diversamente. Secondo noi, c’è sempre un fondo di verità nelle storie che arrivano fino ai giorni nostri, e a noi piace raccontarla così come l’abbiamo conosciuta. Ma andiamo con ordine, perchè, fidatevi, è una di quelle storie che tolgono il fiato.

Siamo, come detto, nell’agosto del 1942, in Ucraina. Siamo in piena seconda guerra mondiale, e le truppe naziste sono nel loro periodo di massimo successo, sembrano avanzare verso la conquista dell’intera Unione Sovietica che, invece, arranca e soffre, cercando di non piegarsi all’invasore teutonico. Che, diciamocelo, non deve essere proprio bella la vita quando ci sono le truppe dell’esercito tedesco che bussano ai confini di casa tua.

Un gruppo di calciatori ed ex calciatori ucraini, principalmente militanti o che avevano militato (non è che si giocasse poi molto da quando c’era la guerra) tra la Lokomotiv e la Dinamo di Kiev sono lavorano in un panificio, non per piacere ma in condizione di prigionieri di guerra. Di tanto in tanto, unico sollievo in quella vita quantomeno triste, il pallone: giocano, alle volte, insieme, in una squadretta che prende il nome di Start FC.

I tedeschi, che anche loro si dilettavano a giocare al calcio, li sfidano una prima volta nel mese di luglio, con una formazione abbastanza raffazzonata, composta da soldati della Luftwaffe, l’aviazione, ma con la quale credevano avrebbero vinto abbastanza facilmente. D’altronde, chi andrebbe mai a pensare che dei prigionieri di guerra avrebbero avuto l’ardire di fare un torto ai propri aguzzini?

Quando però le squadre scendono in campo, se così si può chiamare quel che rimane del terreno di gioco in una Kiev disastrata dall’occupazione nazista, le cose non appaiono così semplici. Sugli spalti si sono radunati un gran numero di ucraini, e quelli che a pallone ci sanno giocare per davvero non se la sentono di fargli un torto. In quelle condizioni, si guardano negli occhi e sanno che oggi sono lì per dare una speranza a quella gente, per fargli vedere che possono, insieme, rialzare la testa. Risultato: cinque palloni da raccogliere in fondo al sacco e sonora umiliazione per i tedeschi. 5-1 per lo Start.

I tedeschi, ancora oggi, nell’anno del Signore 2014, non prendono mai bene una sconfitta.Figuratevi cosa doveva rappresentare quell’umiliazione nel 1942, contro una squadra di prigionieri di guerra debilitata dalla fame. E, allora, ecco che nasce l’idea della vera partita della morte, quella del 9 agosto 1942.

Viene organizzato un torneo al quale partecipano squadre composte da giocatori di diverse nazionalità, rumeni, russi, slavi. Ma lo sanno tutti, ci sono anche quelli dello Start FC. E sono lì solo per un motivo, per ritrovarsi di fronte ai tedeschi, in finale. Ed è quello che, ovviamente, il destino, in quel caso in divisa da gerarca nazista, fa succedere. 9 agosto, stadio Zenith di Kiev. Sta per andare in scena la partita della morte, la rivincita di quella di qualche mese prima.

Rivincita alla quale i tedeschi tenevano particolarmente: la Luftwaffe viene rafforzata dalla presenza dei migliori ufficiali che fossero in grado di tenere il pallone da calcio tra i piedi. Una squadra in salute, forte fisicamente, con il morale rafforzato dall’occupazione in terra straniera e una guerra che stava prendendo la via di casa. Contro un gruppo di prigionieri affamati, che non stavano in piedi, con il morale sotto i tacchi per non essere più padroni in casa loro. Arbitro, ovviamente, un ufficiale delle SS, ma non c’era manco bisogno di dirlo questo.

Ma, lo sappiamo, quando scendiamo in campo, non importa quanto forte sia l’avversario, quanto male stiamo noi o quanto in forma sia lui. Quando scendiamo in campo, anche se in condizioni disperate, vorremmo fare solo una cosa: segnare un gol in più degli avversari e vincere.

Il problema, però, era che quella partita i giocatori ucraini sapevano già di non poterla vincere. Sapevano già che, i permalosi ufficiali tedeschi, questa volta non gliel’avrebbero fatta passare liscia. Se avevano organizzato quella partita, era solo per infliggergli una pesante umiliazione e fargli capire chi comandava, in quel momento. E chi avrebbe comandato d’ora in poi.

Le istruzioni erano precise. Al momento di entrare in campo, bisogna fare il saluto nazista. Ma lo sappiamo, in campo nessuno ci sta a farsi comandare, figuriamoci se a dirlo sono quelli che ti stanno per invadere e che stanno uccidendo i tuoi cari, e non metaforicamente. Quando entrano in campo, i calciatori ucraini guardano i tanti ufficiali e soldati tedeschi in tribuna e urlano “Fitzcult Hura!”, il motto sovietico che veniva adottato anche dall’esercito. Se dobbiamo giocarci la vita, tanto vale giocarcela a modo nostro, pensano. Tanto vale mettere in campo quel poco che ci è rimasto, e fare l’unica cosa che ora possiamo fare per farci sentire vivi: giocare a calcio e dimostrare di essere i più forti.

E, per quanto debilitati dalla guerra e dalla prigionia, gli ucraini più forti lo sono per davvero. In condizioni normali, darebbero una grossa lezione ai tedeschi. Non tirava una bella aria, però, in tutta onestà. Dopo pochi minuti Trusevich, portiere dello Start, viene colpito alla testa in una mischia e resta qualche minuto a terra, stordito. L’imparziale direttore di gara nulla ha visto, ovviamente.

I tedeschi si portano in vantaggio, nel tripudio dello stadio che non è di casa, ma che, nei piani di Hitler e soci, a breve lo diventerà. Se questa storia fosse una storia normale, gli ucraini, distrutti, stanchi, affamati, mollerebbero e lascerebbero vincere i tedeschi facilmente, provando così a salvare la pelle. Ma l’animo umano non è fatto per conoscere la sconfitta, figuriamoci per sopportare l’umiliazione. Kuzmenko pareggia i conti su punizione, poi Goncharenko, il più talentuoso giocatore dello Start, realizza una doppietta da fuori area. Quasi costretto, perchè tirando da fuori l’arbitro non avrebbe potuto fischiare il fuorigioco…

All’intervallo è 3-1 per gli Ucraini, l’aria nello spogliatoio, che poi è una baracca in realtà, è pesante. In molti si chiedono se davvero gli convenga vincerla questa partita. D’altronde, però, non vorranno mica ammazzarci per il pallone. La risposta invece era probabilmente “si”, perchè un ufficiale tedesco si porta dietro un interprete e prova a far capire ai ragazzi che forse è meglio se la perdono quella partita, se ci tengono alla loro pelle. In parole povere, una sconfitta avrebbe fatto perdere la faccia al Terzo Reich, e, in quel momento, era l’ultima cosa che il Terzo Reich avrebbe voluto. Dunque, per il bene di tutti, che ne dite se gentilmente ci fate vincere questa partita?

Le parole probabilmente sorgono il loro effetto, e la ripresa inizia con i tedeschi all’attacco e due reti segnate: 3-3. Ma oramai, gli ucraini erano lì. Ed erano chiaramente più forti, e, quando sei più forte, non riesci a non fare quello che più ti riesce facile, battere il portiere avversario. Anche senza volerlo, probabilmente, segnano altre due reti, portandosi sul 5-3.

Come in un sogno ovattato, forse, è adesso che realizzano quello che sta per succedere, ma è forse anche questo il momento in cui realizzano che stanno per diventare degli eroi, delle icone del calcio e della patria. A pochi minuti dalla fine, Klimenko, dopo aver saltato tutta la difesa e il portiere tedesco, si ferma sulla linea di porta, si gira e calcia di forza il pallone verso la propria metà campo. Eccoci, venite a prenderci. I più forti siamo noi, vi battiamo quando volete. La morte, poi, cosa volete che sia?

Troppa l’umiliazione per i tedeschi, frettoloso triplice fischio finale. Lo Start ha vinto, il destino dei suoi giocatori è ormai segnato. Per i tedeschi, diventeranno carne da macello, per il popolo ucraino, che in quel momento stava assistendo, seppur in minima parte, allo spettacolo, eroi. Irrimediabilmente, incredibilmente, indissolubilmente eroi.

A poco a poco i giocatori dello Start moriranno tutti, vittime delle rappresaglie naziste. Si dice che Mykola Korotikh, uno dei più forti di quella squadra, venne preso praticamente in campo e ucciso pochi giorni dopo. Alcuni soldati tedeschi si recarono nei giorni successivi al forno dove lavoravano i giocatori ucraini, ne presero alcuni e li giustiziarono sul posto. Gli altri, a poco a poco, fecero la stessa fine. Era oramai inevitabile.

Non sappiamo per certo come andarono i fatti. Quella che vi abbiamo raccontato è la storia dei sopravvissuti a quella partita (solo tre: Fedor Tjutcev, Mikhail Sviridovskij e Makar Goncharenko, che riuscirono a scappare e si unirono poi all’Armata Rossa durante la liberazione di Kiev), probabilmente negli anni la leggenda è stata circondata da un alone di mistero che ne ha ingigantito i contorni. La partita della morte ha ispirato molti libri e film, tra cui il celeberrimo Fuga per la Vittoria, con Sylvester Stallone protagonista e la partecipazione di Pelè. Ecco, qui il lieto fine non c’è.

Quello che è certo però è che il calcio non è mai solo un gioco, e che, quando diventa qualcosa di maledettamente serio, non c’è morte che tenga. Per dimostrare di essere i più forti, per dimostrare di essere liberi, siamo disposti anche a morire. E a diventare eroi.


Non avevamo armi, ma avevamo la possibilità di lottare e vincere almeno sul campo; per la nostra bandiera, per la nostra Patria, per il popolo ucraino e i nazisti avrebbero potuto constatare che non sarebbe stato facile sottometterci e calpestare la nostra dignità” (Makar Goncharenko)



[na srpskohrvatskom: Bjekstvo iz koncentracionog logora “Casermette” – 75. godišnjica, 22.9.2018.god.

https://www.cnj.it/home/sr-yu/37-vrijednosti/8901-colfiorito2018sh.html ]

 

Con il patrocinio di: Regione Umbria Comune di Foligno

 

sabato 22 settembre 2018

nella Sala Convegni del Parco di Colfiorito, presso le Casermette

06034 Colfiorito di Foligno (PG)

 

Di più di 1500 internati nel campo di concentramento delle Casermette di Colfiorito – antifascisti jugoslavi in grande maggioranza originari del Montenegro, deportati per essersi opposti alla occupazione italiana delle loro terre – circa 1200 scapparono al calare del buio il 22 settembre 1943. Questi fuggiaschi, assieme a migliaia di altri provenienti da decine e decine di simili campi e luoghi di confino e prigionia, trovarono rifugio e protezione da umili e coraggiose famiglie di contadini e montanari nelle località più remote della dorsale appenninica, dove parteciparono ai primi fuochi della Resistenza italiana

 

La fuga dalle Casermette –
75° Anniversario



Convegno e rappresentazione teatrale per celebrare l'anniversario della grande fuga

ORE 10:00–18:30

Convegno

Sistema concentrazionario fascista / Resistenza e partecipazione degli jugoslavi nel Folignate e nel Centro Italia / Politiche della memoria dell'internamento e della Resistenza / Iniziative per le Casermette di Colfiorito

RELAZIONI DI: Manlio Marini (Officina della Memoria di Foligno) – Andrea Giuseppini (Campifascisti.it) – Luciana Brunelli (storica) – Alessandra Kersevan (storica) – Giuseppe Lorentini (Campocasoli.org) – Angelo Bitti (storico) – Andrea Martocchia (Jugocoord Onlus)

INTERVENGONO NELLA DISCUSSIONE: Testimoni degli eventi, Sindaco di Montecavallo (MC), Sindaco di Casoli (CH), presidenza Jugocoord Onlus, presidenza ANPPIA nazionale, ANPI comitati provinciali Perugia e Macerata e numerose sezioni locali, ANED Umbria. SONO INOLTRE INVITATI: Sindaco di Foligno, Assessori e Funzionari in rappresentanza del Comune e del Parco di Colfiorito, presidenza della Regione Umbria, Ass. Partigiani (SUBNOR/SOBNOR) del Montenegro, Com. Gherush92, Fondazione Basso, congiunti di antifascisti ex-prigionieri...

ORE 17:00

Spettacolo teatrale

DRUG GOJKO

Monologo di Pietro Benedetti



 

Lo spettacolo, che si avvale della testimonianza diretta di Marignoli, riguarda la storia locale, nazionale ed europea assieme, nel dramma individuale e collettivo della Seconda guerra mondiale. Una storia militare, civile e sociale, riassunta nei trascorsi di un artigiano, vulcanizzatore, del Novecento, rievocati con un innato stile narrativo, emozionante quanto privo di retorica. Regia di Elena Mozzetta. Produzione CP ANPI Viterbo. Ideato da Giuliano Calisti e Silvio Antonini. Testi teatrali Pietro Benedetti, Editore Davide Ghaleb. Consulenza letteraria Antonello Ricci. Musiche Bevano Quartet e Fiore Benigni. Foto Daniele Vita. Sullo spettacolo si veda anche la nostra pagina dedicata.

Pranzo a cura della "Botteguccia del Campo 64"
<< L'Osteria è specializzata in una cucina del territorio che segue la stagionalità. Quindi non possiamo essere precisi sulle singole pietanze, ma orientativamente proponiamo come antipasto una decina di assaggi, soprattutto di legumi e verdure, come primo due portate, delle quali una sicuramente al tartufo (di stagione), un secondo, vino, acqua, dolce, grappa, caffè.  Tutto può essere offerto a € 20,00 ai partecipanti al convegnoPer le prenotazioni chiamare il numero 349-3440350 specificando che siete partecipanti al convegno! >>

 
Sul sito di Jugocoord Onlus seguiranno tutti gli aggiornamenti sul Programma della giornata

 

(srpskohrvatski / italiano.
Altri nuovi testi di Mira Marković, soprattutto pubblicati sul sito della Associazione SloboDA.
Per i testi precedenti si vedano: 
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8892
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8875
Per altri testi di e su Mira Marković si veda alla nostra pagina https://www.cnj.it/MILOS/miramarkovic.htm 
A cura di I. Slavo)
 
Nuovi testi di Mira Marković
 
1) Intervista a Mira Marković al quotidiano “ Večernje Novosti“, 1 maggio 2018 
2) Прогнана и неизгубљена:

ИЗМЕЂУ ИМИТАЦИЈЕ И РЕТРАДИЦИЈАЛИЗАЦИЈЕ (27.jун 2018)

КОНТИНУИРАНИ ДИСКОНТИНУИТЕТ (22.jун 2018)

 

ДИГИТАЛНА ОПСТРУКЦИЈА ПАРЛАМЕНТАРНОГ ЖИВОТА (13.jун 2018)
КАД ЈЕ ОПОЗИЦИЈА УСКОГРУДА (6.jун 2018)

 
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ORIG.: НЕОКОЛОНИЈАЛНИ АРБИТРИ СУ УКИНУЛИ ЈУГОСЛАВИЈУ                       
Интервју са Миром Марковић, „Вечерње новости“, 1 маја 2018. 
http://www.sloboda.org.rs/miraintervju.html
 
 
http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=1295:intervista-a-mira-markovic-al-quotidiano-novosti&catid=2:non-categorizzato
 
Intervista a Mira Marković al quotidiano “ Večernje Novosti“
 
di Dragan Radević
 
Traduzione di Rajka V. per Forum Belgrado Italia/CIVG
 
Nell’edizione del 1 maggio 2018 “Večernje Novosti“ ha pubblicatato un'intervista con Mira Marković il cui testo pubblichiamo integralmente
 

D: Chi, oppure che cosa l’ha delusa di più dopo il colpo di stato del 5 ottobre 2000?

R: Da diciassette anni e mezzo che i giornalisti, tra le altre, mi fanno questa domanda. Ed io sempre rispondo: nessuno. Ecco i motivi per la risposta, nessuno. Alla fine degli anni settanta e all’inizio degli anni ottanta sono stata qualche volta in compagnia di un uomo che rispettava molto la politica di quel periodo sia serba che jugoslava, e quella politica, tra l’altro, esprimeva la paura dal nazionalismo serbo che pur nascosto era vitale, minacciava di mettere a rischio tutte le altre nazionalità ed etnie in Jugoslavia. Quest' uomo che rispettava tale politica ed i suoi rappresentanti più importanti in Serbia, esprimeva la propria posizione pubblicamente, spesso anche emotivamente. Ed ammirava i protagonisti di tale politica in ogni occasione, particolarmente in occasioni in cui loro erano presenti. Questa ammirazione sovradosata qualche volta imbarazzava pure loro.

Poi c’è stata l’Ottava seduta. Allora è successo il trionfo di una politica diversa, almeno per quanto riguardava la Serbia. Il nazionalismo serbo non è dominante nel popolo serbo e, dove esiste, non rappresentava un pericolo per la Jugoslavia, maggiore degli altri nazionalismi.

Alcuni giorni dopo l’Ottava seduta, è riapparso quest’uomo, stavolta come grande avversario delle politiche precedenti ad ammiratore di quelle nuove.

In quel periodo lui mi incontra e mi spiega che Milošević ha riportato al popolo serbo la fiducia nella vita, che è il personaggio storico più grande del popolo serbo, dopo Karađorđe e come io non so, a quale grande uomo vivo accanto...

E ci in invita a cena perchè sarà un onore per lui e per la sua famiglia. 

“Fammi questo favore“. “Va bene “ dico io. “Quando?“, mi chiede.

“Il secondo o il terzo giorno dopo la fine del mandato di Slobodan.“

“Non scherzare“ dico. “Sono serio,“ dice lui. “Anch’io“, dico io.

Me ne sono ricordata nei giorni dopo il colpo di stato. Lui non c’era per invitarci a cena.

Non aveva tempo. Adesso aiuta associazioni per i diritti umani, democrazia e adesione all’Ue.

Sapevo che era pronto per la prossima tappa, qualunque fosse stata.

Ecco, per questo nessuno mi ha deluso. Non essere solidi moralmente, fa parte integrante dell’ essere umano. Il loro volume e modalità di espressione, sono diversi in funzione dei periodi e ambienti. Ma sono inevitabili.

È piuttosto diffusa tendenza verso l’ateismo morale, con passar del tempo ne avverà una riduzione ma non inevitabilmente e automaticamente.

Una delle imprese di emancipazione più importanti sarà l’elevamento delle norme etiche.

Per quanto riguarda delusione negli eventi, non la potevo evitare.

Mi è successo una volta sola. Nel 1990 quando due milioni degli iscritti del Partito comunista jugoslavo sono fuggiti precipitosamente in altri partiti, in cui la maggioranza aveva posizioni diverse dal partito in cui avevano passato la vita intera o almeno la maggior parte della vita.

Se la risposta è ampia, non la modifichi. Elimini sia domanda che risposta. 

 

D: I monumenti dedicati agli statisti e personaggli importanti, non devono dividere ma unire. Slobodan rappresentava l’unità del popolo serbo nonostante che esistano quelli che la pensano diversamente.

R: I valori generazionali, i valori delle epoche si esprimono nei monumenti che li rappresentano.

Alcuni di questi valori rimangono a lungo, altri per sempre. Cosi anche i monumenti. Ciò si riferisce innanzitutto ai monumenti dedicati agli artisti, scenziati, comandanti dell’esercito, il cui contributo nelle battaglie storiche è rimasto significativo nonostante il tempo passato. Particolarmente quando si tratta del passato lontano.

Però quando si tratta dei personaggi della vita politica, i monumenti qualche volta durano fino a quando dura la politica che essi rappresentano.

Nella seconda metà del secolo scorso abbiamo visto costruire e distruggere monumenti a distanza di qualche decennio. Spesso lo hanno fatto le stesse persone.

 

D: Una volta ha dichiarato che "vive tra i sogni e la pallida luce della luna". A proposito,  è da molto tempo a Mosca, la Russia è diventata la sua seconda patria?

R: La mia  unica patria è Jugoslavia. Li sono nata, li ho vissuto, da lì me ne sono andata. Essa non esiste più. Qualche volta mi sembra che in esilio con me sia andata pure essa.

 

D: L'Ue è l'unica alternativa per la Serbia, come affermano alcuni?

R: L'unione dei popoli d'Europa è un'idea meravigliosa, una possibile possibilità.

Ma per esserlo bisogna che tutti nell'Unione abbiano uguali diritti e che ci sia prosperità per tutti.

Per ora tale unione non mi pare possibile. Prima di tutto c'è gerarchie tra gli stati e di conseguenza tra i popoli.

Perciò le decisioni che riguardano tutti gli stati membri, non vengono portate in un modo comune ed eguale. Per ora, esse vengono portate dai tre stati economicamente più potenti, il potere del mercato europeo.

Adesione della Serbia all'Ue ha vantaggi e svantaggi. Essi sono il motivo delle posizioni contraddittorie dei serbi riguardo all'Unione.

Da quasi diciotto anni l’adesione all'Ue rappresenta la piattaforma politica dominante del paese ed èappoggiata da un grosso numero di cittadini. Abbandonarla sarebbe una delusione per loro, perchècredono che l'Ue porti pace, stabilità e prosperità. È vero che i membri sono protetti dalla guerra, garantisce certa stabilità, c'è anche la possibilita, non spettacolare, di possibile prosperità.

Gli avversari temono che l’adesione potrebbe limitare la sovranitàorizzontale e l’indipendenza.

Queste due posizioni antagoniste provocano tensioni non solo nella vita politica ma anche al livello nazionale.

Qualunque fosse la decisione una parte del popolo non sarà contenta.

I punti deboli dell'Ue provocano queste posizioni contraddittorie, anche dentro stati membri.

I dilemmi dei paesi membri e dei membri potenziali, dureranno fino a quando l'Unione non si trasforma in una Unione, la cui qualitàprogressiva, farà sparire i privilegi di alcuni stati membri e verranno riesaminate la legittimità delle loro scelte.

In questo secolo si vedràse la trasformazione dell'Ue avverrà gradualmente, continuativamente, lentamente oppure a causa dei conflitti accumulati, non risolti o possibili nuovi, ci saràuna pausa per poter creare una vera unione dei popoli europei con uguali diriti.

 

D: Nel 1997, quando ha promosso la mostra dei pittori cinesi a Požarevac, ha sottolineato che “nasce una nuova e potente Cina, capace di creare un equilibrio positivo tra il passato ed il presente”. Allora molti “democratici” erano stupiti e sorrisero con aria ironica.

R: Per quanto riguarda la mia dichiarazione che la Cina crea equilibrio positivo tra il passato ed il presente, questo èilrisultato di discorsi e incontri, che negli anni novanta ho avuto in due Accademie delle scienze, in Università, all' Istituto delle scienze sociali del Partito Comunista cinese, con molti politici, scienziati, personaggi politici, artisti...

Questo equilibrio fa parte della loro piattaforma per la riforma della società cinese, entro cento anni.

Giàallora e specialmente adesso, si è dimostrato che questo equilibrio, come pure la riforma, hanno portato ai risultati positivi nella qualitàdella vita in Cina e nello status della Cina a livello internazionale.

Tale riforma e tutto quello che succede in Cina èrisultato di studi multiscientifici e di pianificazione.

Presso l'Accademia dele scienze a Shanghai, ho parlato due volte con il presidente e i capi di relativi settori e loro mi hanno presentato quali sforzi si stavano facendo su tutti i livelli scientifici, per trasformare Shanghai in una città modello per gli impieghi più vasti, nel caso si verificasse come un progetto di successo. E cosi èsuccesso.

Pensavo allora, se per secoli si credeva che la Cina fosse protetta e custodita dal muro cinese, adesso si sa che la Cina viene protetta e custodita dalla scienza.

E per quanto riguarda lo stupore di cui parla lei, negli anni novanta a Belgrado, non solo “democratici” ma anche molti altri mi prendevano in giro, per i miei contatti scientifici, pubblicistici e politici con la Cina. Come del resto per simili contatti con la Russia.

Allora Cina e Russia erano per la maggior parte della nostra opinione pubblica, indirizzi triviali nel senso scientifico, pubblicistico e politico. Con estremo disprezzo nella stampa di opposizione, scrivevano dei miei libri pubblicati in questi paesi e delle lezioni che tenevo nelle loro università.

Oggi questi indirizzi sono di prestigio, per tutti coloro che a suo tempo li avevano presi in giro.

Quando Russia e Cina si sono trovate in cima del palcoscenico mondiale, quando il destino del mondo in gran parte dipende dalle loro decisioni, si sono girati verso Oriente  gli uomini d'affari, gli artisti, gli animatori, gli sportivi ...

Ogni collaborazione con questa parte del mondo (come con altre parti del mondo) è giustificata se èreale e utile. E deve avere l'appoggio dello stato.

Però, lo stato dovrebbe  proteggere le sue nuove politiche economiche e culturali in questa parte del mondo, perchènon siano compromesse da quegli avvoltoi che non hannoavuto occasioni nei loro paesi e provano ad accumulare ricchezza in altro posto.

 

D: Qual èil futuro del Kosovo e se la Serbia sia in grado di difendere questa parte del suo territorio?

R: Dopo colpo di stato del 5 ottobre, il governo dello stato federale, con Kostunica a capo ed in Serbia con Đindzic come presidente, ha dato la possibilità alla minoranza albanese del Kosovo di creare un suo stato nel territorio del paese serbo.

Questo era la concezione di quella parte del mondo che si èautonominata comunità internazionale. Questa parte del mondo ed alcune altre parti del mondo, nel 2008 hanno riconosciuto lo stato kosovaro. Quindi questo stato sarà difeso da quelli che l'hanno riconosciuto. Il destino di questo stato dipende dal rapporto tra i poteri.

Quanto i suoi potrettori saranno disponibili a sorvegliare e quanto gli avversari saranno disponibili a compromettere le sue competenze. Se i serbi e gli albanesi, senza gli arbitri neocolonialisti fossero stati da soli a decidere sulle proprie vite, oggi sarebbero ancora insieme.

Come sarebbero insieme anche gli ex jugoslavi. La creazione dello stato kosovaro e lo sfascio della Jugoslavia, sono il risultato della politica neocoloniale, del potere imperialista che, sfasciando gli stati e provocando conflitti, preparano il terreno per poterli sottoporre al proprio controllo.

Sugli scontri interetnici veniva costruito il potere del colonialismo.

 

D: Nei Balcani e in Serbia ci sono state tempeste che sono ancora presenti. Lei ha collocato questo spazio “tra l'Est e Sud”.

R: Dal punto di vista di qualcuno che non vive nei Balcani, si tratta di una penisola pittoresca. Pittoresca geograficamente e storicamente. Ma non troppo raccomandabile per un soggiorno più lungo, particolarmente per un soggiorno a tempo indeterminato.

Ci si scontra con clima, interessi e caratteri. Quelli che vivono lì assomigliano al sud, ricordano guardando ad est, ammirano l'occidente, sognano il nord.

Come gente così, può organizzare la propria vita insieme, in un paese comune, in una comunità di popoli dei Balcani (con sede, per esempio, in uno degli altipiani di montagna Balcan). 

Nonostante clima, interessi e caratteri diversi, la Jugoslavia ha dimostrato che è possibile. Non èvero che Jugoslavia ha dimostrato che non è possbile.

Che è possibile lo vuole oggi dimostrare l'Ue. Se in Ue possono convivere felicemente discendenti di Amleto e del greco Zorbas perchè nei Balcani non possono convivere, forse piùfelici, discendenti di Matija Gubec, Georgi Dimitrov e Starina Novak.

La Jugoslavia è stata precursore di un Europa futura. L'Ue non ha guardato la Jugoslavia con simpatia, voleva essere lei stessa, precursore dell'unione dei popoli d'Europa e non la Jugoslavia. Ma la Jugoslavia lo era comunque. Perciò ha pagato un prezzo alto. Hanno fatto sventolare una bandiera della storia che volevano altri, più forti di lei.

Perciò questa bandiera non la darà nemmeno ai popoli dei Balcani. Nonostante il fatto che essa appartiene a loro dal punto di vista razionale e etico.

Per ora è così.Non so come saràdopo.

 

D: Il rapporto di Dick Marty ha messo in luce tutti i crimini dell'Uck in Kosmet, dall'estrazione e traffico di organi serbi, fino ai rapimenti, a terribili torture e crudeli esecuzioni dei serbi. Come interpreta che l'occidente tace e che fino ad oggi nessuno è stato processato per questi crimini terribili?

R: Questo “stato” Kosovo, è stato costruito in una notte e fuori dal Kosovo. Se fosse stato costruito di giorno e se fosse stato costruito dai migliori rappresentanti del popolo albanese, le sue fondamenta non sarebbero basate sulla violenza. Cioè,forse non ne avrebbero bisogno.

Se gli interessi dei kosovari albanesi fossero rappresentati dalla gente migliore, istruita ed emancipata, forse per realizzare questi interessi non avrebbero avuto bisogno di un altro stato albanese, ma tali interessi li avrebbero trovati nella convivenza con la gente con cui avevano vissuto in precedenza. Nello stato comune.

Siccome tale “stato” l'hanno fatto fuori dal Kosovo i non albanesi, hanno manipolato a tale scopo gli albanesi kosovari. I migliori non c'erano a loro disposizione.

Sono costretti a stare zitti sugli affari “statali” dei loro collaboratori.

Forse i creatori  di questo stato fuori del Kosovo, sperano che l’attuale gruppo di “statisti”, quando scade la loro durata, sarà sostituito di altri migliori, rivolti all'economia e cultura, non al traffico di organi e contrabbando.

 

D: Dopo tutto ciò che è successo in decenni precedenti, non è basso il numero di quelli che hanno rovesciato Slobodan, e oggi ribadiscono che sono stati manipolati e ingannati, e che volentieri andrebbero a Požarevac, alla sua tomba, per chiedergli scusa.

R: Che vadano. Che chiedano perdono. Dovrebbero però chiedere scusa anche a tutta quella gente che appoggiava Slobodan Milošević e la quale, a causa di questo appoggio, era minacciata, presa in giro, definita nazionalisti, banda rossa, bolsevichi, antieuropei, anticristo, cetnici...

Non potevano essere tutto questo contemporaneamente, perchè non erano niente di questo.

Erano come Slobodan Milošević per la pace, per un paese libero e indipendente, per uguali diritti tra le persone e i popoli.

D: Quali sono le conquiste più importanti che il presidente Milošević ha lasciato in eredità, per cosa verrà ricordato?

R: Vedo ogni tanto che le sue conquiste e il suo ruolo in sedici anni di presenza nella vita politica e sociale in Serbia, viene semplificata, perfino da quelli che hanno le intenzioni migliori. Tutti parlano dell'Accordo di Dayton e Risouzione 1244 come delle sue conquiste più importanti.

L'essenza della sua politica era la lotta contro il conservatismo e il colonialismo.

Per quanto riguarda il conservatismo Slobodan Milošević èstatoportatore dell'idea di una riforma economica, politica e sociale alla fine degli anni ottanta che, se fosse stata realizzata avrebbe trasformato la societàverso un livello più alto di sviluppo. Con tale riforma potevano essere risolti molti difetti del capitalismo neoliberista e del socialismo reale. Questa trasformazione iniziata nel 1987, l'hanno fermata la fine di guerra fredda e l’espansione del neocolonialismo in Europa e nel mondo.

Per quanto riguarda il colonialismo, nel nostro paese Slobodan era creatore e portatore della resistenza alla nuova egemonia. Ha mantenuto e difeso l’indipendenza del paese, il cui presidente era ed èriuscito, a fare sì che il paese sottoposto alle sanzioni, fosse comunque in condizioni di vita migliori dei paesi vicini, che non erano sotto sanzioni, ma erano appoggiati da quelli che a noi li avevano imposti.

Slobodan Milošević, a capo di un popolo piccolo, era non solo un simbolo di resistenza al nuovo colonialismo, ma anche la personificazione della resistenza. Era tutto questo come leader del popolo serbo, come capo dello stato ed anche lo è stato al tribunale dell'Aia.

Per precisare le sue conquiste:

1. Ha liberato il popolo serbo dal senso di colpa per il comportamento della borghesia serba nella seconda guerra mondiale (simile al comportamento della borghesia croata nello stesso periodo).

2. Ha proposto una riforma sociale radicale, basata sui principi di efficienza economica e uguaglianza sociale nella metàdegli anni ottanta.

3. Ha equiparato la Serbia con le altre Repubbliche jugoslave, modificando la Costituzione della Serbia nel 1989, ha limitato l’autonomia di Kosovo e Vojvodina, perchè c'era il pericolo che si trasformassero in repubbliche.

4. Nella Costituzione della Serbia nel 1990, sono state equiparate tutte le forme di proprietà, è stato introdotto il sistema pluripartitico, èstato rinforzato il ruolo del mercato e il presidente della Serbia èstato eletto  con le elezioni

5. Nella Costituzione del Partito socialista serbo nel 1990,  ha sancito e ha fatto approvare l’unità degli interessi nazionali e sociali, nel partito di sinistra più grande dei Balcani

6. Ha conservato l’indipendenza della Serbia, ha impedito una guerra civile nella comunità multietnica nonostante gli sforzi dall'esterno di accendere il fuoco.

7. La qualità della vita in Serbia era a un livello piùalto dei paesi limitrofi, che non erano sotto sanzioni e che non avevano le difficoltà in cui si era trovata Serbia nell’ultimo decennio del secolo scorso.

8. Era stato accolto e sistemato più di un milione di profughi, durante le guerre in Croazia e Bosnia Erzegovina, tra i quali non vi erano solo serbi ma anche altre etnie.

9. Ha aiutato materialmente e moralmente il popolo serbo, nelle guerre fuori dalla madre patria per un decennio.

10. Ha fatto sforzi decisivi per mantenere la SFRJ e nella costituzione della SRJ (Serbia e Montenegro) del 1992, come un unico paese in cui possa vivere più di un popolo slavo .

11. Ha ottenuto l’Accordo di Dayton, con il quale si è posto fine alla guerra in Bosnia Erzegovina e si è costituita la Republika Srpska nel 1995.

12.Il contributo personale più grosso alla politica con lo slogan: “I Balcani ai popoli dei Balcani“, all’incontro dei capi di stati balcanici in Creta nel 1997. Questa politica fu fermata dalle violenze in Kosovo e dai bombardamenti della Serbia, come misure imperialiste per fermare la realizzazione di tale politica.

13. L’accordo di Kumanovo, con il quale fu evitata  l’occupazione della Serbia da parte della NATO e arrivarono le forze della Kfor in Kosovo, con mandato di un anno nel 1999. Con questo accordo era stato ribadito il Kosovo come parte della Serbia.

14. Risanamento veloce e autonoma ricostruzione del paese dopo i bombardamenti 1999/2000.

15. Gli sforzi per unire la sinistra in Serbia e Serbia/Montenegro.

16. La sua dignità anome del suo popolo al Tribunale dell’Aia.

17. Cinque anni di battaglia per la verità e giustizia per la Serbia e il popolo serbo al Tribunale dell’Aia.

19. Ragionamenti e comportamento da statista.

 

D: Malintenzionati ribadiscono che Milošević non abbia capito cosa aveva significato il crollo del muro di Berlino e l’unificazione della Germania.

R: Perchè allora questi con così buona vista, buon udito e adeguato cervello non hanno detto in tempo debito cosa succedeva, a lui così cieco, sordo e stupido.

Avevano le occasioni per dirgli quello che vedevano e che lui non vedeva. L’opposizione aveva sotto controllo il novanta percento dei mass media negli anni novanta. E per quanto riguarda gli altri, i saggi osservatori, stavano seduti nei loro uffici o a casa propria. 

Sarà invece che questi pensatori, si sono ricordati nel 2017, di accusarlo di qualche altro peccato per diventare più simpatici ai suoi avversari potenti, mentre fanno politica nei ristoranti, uffici e case private. Che peccato, perchè negli anni novanta non avevano occasione di occuparsi di politica. Per quanto ricordo, negli anni novanta le mani di questi, gli servivano per applaudire e la lingua solo per ripetere le sue frasi, forse perchè non sapevano dire la verità, o le loro capacità linguistiche erano troppo scarse. Ma arrichite con il patriottismo da ristorante. Mi chiedevo allora: Dio mio, come mai non ha notato che è crollato il muro di Berlino...Per quanto riguarda il muro, Slobodan Milošević non l’ha solo visto, ma ha anche previsto cosa sarebbe successo dopo. Ciò si può leggere nel libro “Allegato alla storia del Novecento“ ed il libro con interviste “La battaglia di un leone“ che ho raccolto, redatto e pubblicato dieci anni fa, ma che non erano pervenute al pubblico. Non erano state a conoscenza del suo popolo, per la cui libertà aveva perduto la vita.

D: Oggi veniamo a sapere di tutte le manipolazioni relative all’Aia, la notizia più recente è che procuratore il Nais chiese ad Hashim Thaci 500 mila euro di un presunto debito. Come valuta lei, dopo tutto quanto accaduto,  questo cosiddetto Tribunale Internazionale?

R: Recentemente ho detto in un’intervista“ “...un mezzo di violenza imperialista contro gli avversari del neocolonialismo...“. Ora aggiungo. Al tribunale dell’Aia i serbi sono condanati, ho fatto i conti, a circa mille anni di reclusione.

D: Come valuta la situazione politica attuale e in tale contesto l’elezione di Vladimir Putin?

R: Dopo la fine della guerra fredda, il mondo occidentale che ha vinto, ritiene che abbia la capacità di sottomettere tutto il mondo. L’egemonismo imperialista occidentale, ritiene che disponga delle risorse per colonizzare il pianeta. Hanno riacceso guerre passate e provocato nuove guerre locali per inginnocchiare piccoli popoli e paesi non sviluppati, con la speranza di inginnocchiare anche quelli più grandi, Tutti.

L’ostacolo agli imperialisti sono paesi grandi come la Russia e Cina, che nel frattempo sono diventati economicamente, politicamente e militarmente potenti, ma anche capaci ad opporsi.

Questa resistenza è presente anche in alcuni paesi del Sudamerica. La loro resistenza non è unita, ma ci sono le condizioni per diventare un fattore forte nella lotta contro il colonialismo.

Adesso li sta crescendo una bella, generosa e potente pianta, che non potrà essere distrutta dagli avvoltoi. Per quanto riguarda la vittoria del presidente Putin, essa dimostra l’appoggio di massa alla sua politica dignitosa. Nonostante che il suo paese sia più il grande del mondo, con una grande forza militare, uno dei soggetti con più influsso al livello mondiale, la sua politica non è imperialista. Anzi. Questa politica è contro imperialismo e colonialismo. 

 

D: Dagli USA avvertono che la Serbia non può più sedersi su due sedie e che deve prendere una decisione.

R: Un paese piccolo deve avere buoni rapporti con tutti, particolarmente quelli che contribuiscono alla prosperità economica, sociale e culturale. Deve anche proteggere il proprio popolo da quelli che possono compromettere gli interessi nazionali. E deve appoggiare quella parte del mondo la cui politica contribuisce all’emancipazione, all’uguaglianza e alla libertà.

 
 
 
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Прогнана и неизгубљена    

ИЗМЕЂУ ИМИТАЦИЈЕ И РЕТРАДИЦИЈАЛИЗАЦИЈЕ

Пише: МИРА МАРКОВИЋ 
27.jун 2018
 
Некадашње социјалистичке земље (осим Руске федерације) већ скоро тридесет година се налазе у такозваном процесу транзиције, још увек траже свој индентитет у свим сферама свог живота – од економије, преко политичког система до културе. 

Мање–више још се нису снашле и зато и саме за себе кажу да су у транзиционом друштву. 

Још увек, дакле, немају за циљ одређени друштвено-економски концепт. Имају краткорочне економске, политичке и културне намере, везане за интегративне процесе у Европи и решавање ургентних економских и социјалних проблема који су већ пуних двадесет и осам година непрекидно велики. 

Све су опредељене за тржишну економију и вишестраначки систем. И у свима се и даље налазе трагови претходног социјалистичког система и у економском и у политичком животу. 

Комбинација остатака социјалистичке прошлости и нове капиталистичке садашњости не доноси баш брзе позитивне резултате у вођењу економске и социјалне политике. 

Естаблишмент, без обзира да ли га чине тобожњи левичари или фактички десничари, гаји подједнаку наду да је политика коју води добар (оправдан) избор и да су резултати бољи него што их широке народне масе као позитивне доживљавају. 

Овај заједнички оптимистички однос свих власти у овим земљама од 1989. године до данас произилази из чињенице да су све власти (осим једно време у Србији) водиле исту политику. 

Одсуство јасне идентификације друштвеног система у целини највише, разуме се, погађа сферу економског и социјалног живота, али је у истој мери присутно и у сфери културе. 

Те слабости у овој сфери нису од пресудног значаја за живот, не одражавају се на стандард, социјалну безбедност, запосленост, и тако даље, али нису ни сасвим секундарне природе, нарочито са аспекта будућности. 

Национална свест која се формира на текућим културним вредностима биће један од примарних фактора који ће креирати будућност. 

Будућност ће изгледати онако како садашње генерације буду процениле да треба да изгледа. 

А свест садашњих генерација у земљама транзиције формира се на комбинацији имитације западних културних вредности и ретрадицијализације сопствених. 

Западне културне вредности су присутне у музици, пубицистици, естради, моди, медијима, забави. Будући да нису аутентичне манифестују се као имитација. 

Музика, и музичка сцена у целини, је копија западне, пре свега америчке музике и сцене. Као и естрада уопште – по садржају и по дизајну. 

Мода, у свим својим манифестацијама – одећи, понашању, ентеријеру .... постоји само на принципу који дефинише западна модна култура. 

Та имитативна слика је вероватно најиритантније присутна у медијима. Ако се имитативност у моди није могла да избегне, у медијима није била неизбежна. Напротив. С обзиром на културну и политичку биографију ових народа и њихових земаља, медијска аутентичност је била не само могућа већ и оправдана. 

Нешто спорије и са аспекта националне нарави мање иритантно, овај имитативни процес захватио је и оно што се у слободној социолошкој лингвистици зове начин живота. Велики тржни центри, шопинг молови, америчког порекла, постају доминантне адресе свих већих урбаних локација на транзиционом терену. Њихови грађани постају житељи километарских самопослуга у које одлазе редовно породично и индивидуално, дневно и седмично, са посвећеношћу са којом су некада одлазили у цркву. 

Без обзира на квалитет националне кухиње, све већи број становника, нарочито млађе популације, у урбаним срединама даје предност такозваној брзој храни која је легитимни део америчког националног идентитета. 

Хотели, велики ресторани, мале кафане .... све више стичу предност у односу на традиционалне националне угоститељске стандарде. 

Неформално, мада не увек само неформално већ све чешће и формално, образложење за овај процес имитације који је у сфери културе захватио земље транзиције, образлаже се као оправдана потреба за припадношћу свету, као савременост, као цивилизовање постојеће стварности. 

Тај „свет“ је лоциран на англосаксонској територији и степен његовог економског, политичког и културног развоја дефинише стандарде савременог и цивилизованог, којима треба да тежи свако ко жели да то буде, односно ко жели да припада свету. 

То је образац за који су се определила сва транзициона друштва. 

Примену тог обрасца отежавају са њим несагласни субјекти у лицу појединаца, институција и организација, који желе да сачувају националну аутентичност као део националне и државне самосталности. 

Њихови напори су неконципирани, неорганизовани и неповезани. Манифестују се као активирање старих обичаја, форсирање фолклора у најширем смислу, понекад готово паганских навика, средњевековних религијских ритуала, као наметљиво реактивирање манастирске књижевности. И тако даље. 

Та ретрадицијализација није одговор имитативности. Напротив. Делује гротескно, тужно, за образоване младе људе поготово одбојно. 

Ако треба да бирају између ретрадицијализације и имитације изабраће ово друго. Ако треба да бирају између опанака и обуће Бруно Маљи, неће изабрати опанке. 

Заштита од прекопирања, имитирања туђих култура није у аутистичном ситуирању у простор националног. 

Национални идентитет и интегритет не штити изолација (од других нација) већ еманципаторски напори да се на националним искуствима и интересима и повезивању са највишим цивилизацијским достигнућима доба креира виши квалитет националног живота. 

Зато није решење у игнорисању или негирању других, света изван свог. 

У процесу универализације савременог света нужно се повезују сви његови делови, економске, политичке и културне везе су неизбежне, већ у овој епохи је јасно да ће свет све више живети планетарно. Али да би тај живот био у интересу свих не би смео да се одвија по једном обрасцу, поготово не по обрасцу који би из једног његовог дела био наметнут свим другим деловима. 

Ти заједнички, глобано испољени економоски, политички и културни процеси не искључују аутентичност, специфичност и аутономност делова – целина има смисла само ако не угрожава интересе делова, који су се за њу егзистенцијално, цивилизацијски определили.
 
 

(srpskohrvatski / italiano)

Domenico Losurdo e la Sinistra assente

1) Carlo Freccero: La resistenza di Losurdo al Pensiero Unico
2) Intervista a Domenico Losurdo (2012)
3) La ricca opera di Losurdo continuerà a illuminare la lotta per il socialismo (PCdoB / Fondazione Mauricio Grabois)
4) Liberalizam, ideologija “rase gospodara” (Lucien Sève / Lemondediplomatique.hr, 28. lipnja 2018. Recensione al libro di Losurdo "Controstoria del liberalismo")


Si veda anche: 
In memoria di Domenico Losurdo


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Carlo Freccero: La resistenza di Losurdo al Pensiero Unico

di Carlo Freccero per l'AntiDiplomatico

02/07/2018

Nel 2014 fui contattato dal Prof. Domenico Losurdo. Aveva letto alcuni miei interventi sulla Sinistra e li riteneva compatibili col suo pensiero. Mi chiedeva di presentare il suo ultimo libro in uscita: La Sinistra assente. Mi capita spesso di presentare, su richiesta, testi in uscita ed il mio contributo dovrebbe riguardare soprattutto la comunicazione. Ma proprio a livello di comunicazione La Sinistra assente ha modificato per sempre il mio modo di pensare. Nella mia ingenuità, non potevo pensare ad una manipolazione delle notizie che andasse al di là delle più diffuse tecniche di persuasione e di presentazione per arrivare alla contraffazione vera e propria.  Parafrasando Kant su Hume posso dire che Losurdo mi fece uscire dal sonno dogmatico per cui le notizie ritenute universalmente vere, sono vere sostanzialmente perché, al di là di un’interpretazione più o meno ideologica, conservano comunque un legame con la realtà. Con La Sinistra assente ho imparato che non esiste una separazione netta tra realtà e fiction. Il Prof mi aveva scelto come interprete de La società dello spettacolo, ma dimostrò anche a me, prove alla mano, che oggi l’informazione è solo spettacolo. Gli sono riconoscente. Da allora per me, niente è mai stato più come prima e sono finito ad ingrossare le fila, mio malgrado, di quei cospirazionisti ingenui che prima criticavo e che però - analizzati i fatti - dicono la verità. Questi che vi propongo sono i miei appunti di allora per la presentazione del libro.
 
 
 La forza del libro La sinistra assente di Losurdo è di essere un libro di filosofia che però si appoggia ed argomenta a partire da precisi dati storici. Il fatto, il documento, rappresentano un potente antidoto per due caratteristiche di quello che Losurdo tenta di definire in altri termini, ma che per me risponde perfettamente alla definizione di Ignacio Ramonet di “pensiero unico”.
  1. Il pensiero unico è il pensiero della postmodernità. E il postmoderno ha cancellato la storia a favore di “un eterno presente”. Non a caso Lukács, di cui Losurdo è studioso e cultore, in ben altre epoche (1967 Storia e coscienza di classe), invocava come meccanismo per il recupero della coscienza di classe, l’analisi del presente come storia. La storia del perché siamo arrivati sin qui, in un presente in cui siamo immersi e che ci appare naturale e quindi non criticabile, è l’unico vero antidoto per ricondurre il naturale ad una dimensione storica. Noi abbiamo costruito il presente, noi possiamo cambiarlo. 
  2.  Il secondo campo in cui il richiamo ad una dimensione storica funziona come potente antidoto, è il piano della comunicazione, che, ancora una volta si costruisce su un eterno presente. L’agenda dei media è una lavagna autocancellante in cui la notizia successiva spinge nell’oblio la notizia precedente: la vita di una notizia è così effimera da non richiedere neanche una smentita ufficiale (vedi Contro la comunicazione di Perniola). E veniamo all’argomento del libro: l’assenza della sinistra. Losurdo parte da una duplice constatazione:
a) stiamo vivendo una gravissima crisi economica;

b) sparsi per il mondo si moltiplicano i focolai di guerra e queste guerre disseminate sul territorio sembrano convergere in un disegno di guerra globale che ha per nemico designato la Cina, la Russia e gli altri paesi emergenti che si sono affrancati dalla servitù coloniale e della dominazione ideologica di quello che rappresenta oggi l’impero per eccellenza: gli Stati Uniti. 

In un contesto come questo sarebbe indispensabile una sinistra, intesa come opposizione, pensiero critico alternativo. Invece noi continuiamo a curare la crisi economica ricorrendo agli strumenti economici che l’hanno prodotta. E apriamo nuovi fronti di guerra facendo ricorso a quel meccanismo di indignazione  che ha prodotto tutte le guerre precedenti e prima ancora, le guerre coloniali. Prima di leggere il libro credevo che la definizione “La sinistra assente“ si riferisse all'attuale sparizione dei partiti di sinistra, in molti stati europei, a partire dall’Italia. No, c’è di peggio. E’ qualcosa su cui non avevo riflettuto abbastanza, perché emerge con chiarezza proprio dall’aver messo insieme dati e posizioni lontani e dispersi.

Quando la Sinistra interviene, ad esempio nel contesto delle varie guerre postcoloniali seguite al nuovo ordine, instaurato con la caduta del muro di Berlino, lo fa non in chiave critica o alternativa, ma per rafforzare al contrario, con il suo intervento, la logica del pensiero unico. E non si tratta di una sinistra moderata o collusa. Si tratta dei migliori rappresentanti della sinistra. Habermas ha sostenuto insieme ad Hardt, coautore con Negri di Impero, la guerra in Jugoslavia, Rossanda e Camusso l’intervento in Libia. Sloterdijk  e, in suo appoggio Žižek sono intervenuti contro lo stato sociale che si basa su imposte fiscali progressive , un “sistema dominante di coercizione fiscale“ che porta ad una “redistribuzione coatta” di quello che invece dovrebbe essere un dono, un’esigenza del dare, in breve, una forma di carità e non di dovere.

E si potrebbe continuare a lungo. Tutto ciò ci pone di fronte ad un’evidenza: la sinistra non dispone ormai di argomentazioni alternative al pensiero dominante. Il liberismo imperante rappresenta l’unico discorso possibile. E spesso l’essere di sinistra si risolve in un duplice discorso. Da un lato l’Occidente con i suoi valori di democrazia e diritti umani, dall’altro l’avversario, il nemico, che sempre viene descritto come un dittatore incapace di rispettare i diritti umani, assetato di sangue e capace di ogni nefandezza, come estrarre neonati dall’incubatrice per farli morire sul pavimento dell’ospedale ( nota Fake news su Saddam Hussein). I nemici dell’Occidente, e quindi dell’America, non solo vengono presentati all’opinione pubblica, con tratti satanici, ma dopo essere stati deposti, saranno eventualmente giudicati da un tribunale internazionale, per i loro crimini di guerra.

L’America non tollera il “terrorismo islamico“ e si ritiene in diritto di intervenire in ogni angolo del pianeta dove il mancato rispetto dei diritti umani si coniughi con benefici strategici sul piano militare o sul possesso delle fonti energetiche. Ad esempio è intervenuta in Afghanistan, dove i diritti delle donne erano calpestati dai talebani. Ma non è mai intervenuta a stigmatizzare il fondamentalismo degli Emirati Arabi, in cui veramente donne ed immigrati vivono in uno stato di asservimento e schiavitù. Esiste quindi un doppio binario anche per i diritti, secondo uno schema già sperimentato in epoca coloniale. Da un lato l’Occidente portatore di valori e diritti. Dall’altro gli Altri, specialmente se ricchi da materie prime, che l’Occidente deve rieducare alla luce dei suoi valori. La demonizzazione del nemico può scattare all’improvviso, dopo il passaggio da uno stato di collaborazione ed alleanza ad un conflitto di interessi. Pensiamo alla guerra in Libia, subita dall’Italia contro i propri interessi reali, al solo scopo di compiacere un fronte occidentale costituito da Francia ed Inghilterra, interessate a sostituirsi a noi allo sfruttamento delle risorse del paese. La figura di Gheddafi, da amico/alleato, magari un po’ eccentrico, si tramuta repentinamente in un dittatore sanguinario nemico del suo popolo.

Il copione è sempre lo stesso. Si demonizza il nemico, si sostiene un’eventuale resistenza locale, si soffia sul fuoco producendo disordini, si compiono atti estremi, come sparare sulla folla, accusando il dittatore di aggressione verso il suo popolo. É il copione messo in scena recentemente sia in Siria che in Ucraina, dove il ruolo dell’eroica resistenza al dittatore, era impersonato rispettivamente dall’Isis e dalle truppe neonaziste ucraine. Com' è stato possibile che la  sinistra non sia più in grado di produrre un pensiero critico e prendere le distanze dalle logiche del pensiero unico?

È quanto Losurdo cerca di spiegarci nel capitolo 3: Società dello spettacolo, terrorismo dell’indignazione e guerra. pag 77: “Per tutto un periodo storico, essenzialmente la modernità, i conflitti tra le grandi potenze capitalistiche, come tutte le lotte interne alla borghesia e alle classi dominanti, hanno fornito alle classi e ai popoli in condizione subalterna importanti elementi di illuminismo e progresso“. Il ricorso alla ragione permetteva alle sinistra una critica costruttiva interna al discorso dominante:
 
“Per tutto un periodo storico alle trombe delle classi dominanti, si sono in qualche modo contrapposte le campane delle classi subalterne”. 

Certo le due parti, classi dominanti e subalterne non combattevano ad armi pari, ma il pensiero critico era sufficiente a porre un argine alle argomentazioni più aberranti. Tutto questo finisce nell ‘89 con il superamento del comunismo ed il passaggio al pensiero unico. Ma non si tratta solo della fine di un mondo bipolare, in cui ad una visione del mondo si contrappone un’altra visione del mondo. Si tratta anche del passaggio da un’argomentazione di tipo razionale, ad un condizionamento puramente emotivo, irrazionale, basato su tecniche di manipolazione ispirate alla psicologia sociale di Gustave Le Bon o alla teoria del disgusto di Bismarck, come Losurdo ci insegna. Queste tecniche di persuasione occulta si formano e si elaborano nell’800 e sono alla base anche delle guerre coloniali. Ma, secondo me, conoscono una nuova vitalità quando con la postmodernità  il pensiero debole sostituisce il pensiero forte, e l'opinione prevale sulla ragione. Se niente è razionale, non è alla ragione, ma al sentimento che possiamo fare ricorso per condizionare il popolo. Ed è qui che per me, sparisce la figura della sinistra. La sinistra, secondo Bourdieu, si identifica col capitale culturale. Morta la cultura, morta la ragione, non vi può essere sinistra, cioè pensiero critico. Ed ecco che la Sinistra è vittima di quello stesso condizionamento che colpisce le masse. Come possiamo rendere accettabile una cosa inaccettabile come la guerra?

La nostra generazione ha vissuto l’esperienza del Vietnam, è stata pacifista, ha bruciato le cartoline di leva. La Sinistra di oggi chiede la guerra perché condizionata dal disgusto. È stato Bismarck il primo a porsi il problema di rendere accettabile la guerra. E la soluzione del caso è stata il disgusto. Demonizzando l’avversario si genera disgusto ed il disgusto ci porta infallibilmente al terrorismo dell’indignazione e alla richiesta della guerra per combattere il male. E qui si innesta anche il discorso dello spettacolo, della fiction che deve mettere in scena l’indicibile e l’intollerabile per creare nell’opinione pubblica la pulsione verso la guerra.  

L’armamentario è sempre il solito ed è stato fatto proprio da tutto l'Occidente. Per paradosso  i primi a subire l’applicazione pratica delle teorie del Bismarck sono stati i suoi stessi compatrioti. Nel corso del primo conflitto mondiale gli intellettuali inglesi attribuivano  ai tedeschi le seguenti atrocità: “avevano violentato donne e persino bambini, impalato e crocifisso uomini, mozzato lingue e seni, cavato occhi e bruciato interi villaggi“ (pag 74). Questo repertorio di nefandezze corrisponde oggi, alla lettera, nella propaganda corrente, all’operato dell’Isis, ma persino l’Isis ritorna un eroico movimento di resistenza quando si oppone ad analoghe nefandezze di Assad, e via discorrendo. E' un copione ormai logoro che però continua a funzionare. Il dramma è che funziona non tanto per l'assenza di una critica di sinistra, quanto per un impegno attivo della sinistra stessa che, prima vittima della propaganda, si fa parte attiva della sua attuazione su scala mondiale.


=== 2 ===


Dall'intervista che chiude il libro "L'humanité commune : Dialectique hégélienne, critique du libéralisme et reconstruction du matérialisme historique chez Domenico Losurdo" (Delga, Paris 2012).

Grazie di tutto.

[Stefano G. Azzarà, 28 giugno 2018]

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Domanda. Come incide questa debolezza teorica sullo stato della sinistra attuale? LEuropa si confronta oggi con trasformazioni imponenti che stanno mutando il volto del mondo. Sono trasformazioni che riguardano i rapporti di forza internazionali sul piano politico e su quello economico, ma anche lequilibrio tra Stato e mercato, la natura della democrazia, le grandi migrazioni. La sinistra non sembra avere oggi né idee, né prospettive politiche.


Losurdo. Con la crisi prima e col crollo poi del «socialismo reale», in Occidente e in Italia in modo particolare la sinistra ha smarrito ogni reale autonomia. Sul piano storico ha sostanzialmente desunto dai vincitori il bilancio storico del Novecento. Due sono i punti centrali di tale bilancio: per larghissima parte della sua storia, la Russia sovietica è il paese dellorrore e persino della follia criminale. Per quanto riguarda la Cina, il prodigioso sviluppo economico che si verifica a partire dalla fine degli anni 70 non ha nulla a che fare col socialismo ma si spiega soltanto con la conversione del grande paese asiatico al capitalismo. A partire da questi due capisaldi ogni tentativo di costruire una società post-capitalistica è oggetto di totale liquidazione e persino di criminalizzazione, e lunica possibile salvezza risiede nella difesa o nel ristabilimento del capitalismo. E paradossale, ma sia pure con sfumature e giudizi di valore talvolta diversi, questo bilancio viene spesso sottoscritto dalla sinistra, compresa quella «radicale».
Ancora più grave è la subalternità di cui la sinistra dà prova sul piano più propriamente teorico. Nellanalizzare la grande crisi storica che si sviluppa nel Novecento, lideologia dominante evita accuratamente di parlare di capitalismo, socialismo, colonialismo, imperialismo, militarismo. Queste categorie sono considerate troppo volgari. I terribili conflitti e le tragedie del Novecento sono invece spiegate con lavvento delle «religioni politiche» (Voegelin), delle «ideologie» e degli «stili di pensiero totalitari» (Bracher), dell«assolutismo filosofico» ovvero del «totalitarismo epistemologico» (Kelsen), della pretesa di «visione totale» e di «sapere totale» che già in Marx produce il «fanatismo della certezza» (Jaspers), della «pretesa di validità totale» avanzata dalle ideologie novecentesche (Arendt). Se questa è lorigine della malattia novecentesca, il rimedio è a portata di mano: è sufficiente uniniezione di «pensiero debole», di «relativismo» e di «nichilismo» (penso al Vattimo degli anni Ottanta). In tal modo non solo la sinistra fornisce il suo bravo contributo alla cancellazione di capitoli fondamentali di storia: i massacri e i genocidi coloniali sono stati tranquillamente teorizzati e messi in pratica in un periodo di tempo in cui il liberalismo si coniugava spesso con lempirismo e il problematicismo; prima ancora dellavvento del pensiero forte novecentesco, la prima guerra mondiale ha imposto col terrore a tutta la popolazione maschile adulta la disponibilità e la prontezza ad uccidere e ad essere uccisi. Per di più, come medico per eccellenza della malattia novecentesca viene spesso celebrato Nietzsche, che pure si attribuisce il merito di essersi opposto «ad una falsità che dura da millenni» e che aggiunge: «Io per primo ho scoperto la verità, proprio perché per primo ho sentito la menzogna come menzogna, la ho fiutata» (Ecce homo, Perché io sono un destino, 1). Così enfatica è lidea di verità, che coloro i quali sono riluttanti ad accoglierla sono da considerare folli: sì, si tratta di farla finita con le «malattie mentali» e con il «manicomio di interi millenni» (LAnticristo, § 38). Daltro canto, il presunto campione del «pensiero debole» e del «relativismo» non esita a lanciare parole dordine ultimative: difesa della schiavitù quale fondamento ineludibile della civiltà; «annientamento di milioni di malriusciti»; «annientamento delle razze decadenti»! La piattaforma teorico-politica suggerita a suo tempo da Vattimo ma che Vattimo stesso pare oggi mettere in discussione - mi sembra insostenibile da ogni punto di vista.
Altre correnti del pensiero dominante indicano il rimedio alle tragedie del Novecento non già nel relativismo, ma, al contrario, nel recupero della saldezza delle norme morali, sacrificate da comunisti e nazisti sullaltare del machiavellismo e della Realpolitik (Aron e Bobbio) ovvero della filosofia della storia e della presunta necessità storica (Berlin e Arendt). Nella sinistra e nella stessa sinistra radicale (si pensi a «Empire» di Hardt e Negri) è divenuta un punto di riferimento soprattutto Arendt. Rimossa o sottoscritta è la liquidazione a cui lei procede di Marx e della rivoluzione francese con la connessa celebrazione della rivoluzione americana (e il conseguente indiretto omaggio al mito genealogico che trasfigura gli Usa quale «impero per la libertà», secondo la definizione cara a Jefferson, che pure era proprietario di schiavi). In questo caso ancora più assordante è il silenzio sulla tradizione colonialista e imperialista alle spalle delle tragedie del Novecento. Arendt condanna lidea di necessità storica nella rivoluzione francese, e soprattutto in Marx e nel movimento comunista; dimentica però che il movimento comunista si è formato nel corso della lotta contro la tesi del carattere ineluttabile e provvidenziale dellassoggettamento e talvolta dellannientamento delle «razze inferiori» ad opera dellOccidente, si è formato nel corso della lotta contro il «partito del destino», secondo le definizione cara a Hobson, il critico inglese dellimperialismo, letto e apprezzato da Lenin. Arendt contrappone negativamente la rivoluzione francese, sviluppatasi allinsegna dellidea di necessità storica, alla rivoluzione americana, che trionfa allinsegna dellidea di libertà. In realtà lidea di necessità storica agisce con modalità diverse in entrambe le rivoluzioni: se in Francia viene considerata ineludibile anche lemancipazione degli schiavi, che è in effetti è sancita dalla Convenzione giacobina, negli Usa il motivo del Manifest Destiny consacra la conquista dellOvest, inarrestabile nonostante la riluttanza e la resistenza dei pellerossa, già agli occhi di Franklin destinati dalla «Provvidenza» ad essere spazzati via.
Arendt muore nel 1975, non ancora settantenne. In questa morte precoce cè un elemento paradossale di fortuna sul piano filosofico. Solo successivamente intervengono gli sviluppi storici che falsificano totalmente la piattaforma teorica della filosofa scomparsa: a partire dalla presidenza Reagan sono proprio gli Stati Uniti a impugnare la bandiera della filosofia della storia contro lUrss e i paesi che si richiamano al comunismo, destinati a finire nella «spazzatura della storia» e comunque collocati ai giorni nostri lo proclamano Obama e Hillary Clinton «dalla parte sbagliata della storia». Più longevi ma meno fortunati sul piano filosofico sono i devoti di Arendt, che continuano a ripetere la vecchia filastrocca, senza accorgersi del radicale rovesciamento di posizioni che nel frattempo si è verificato sul piano mondiale.
Subalterna sul piano del bilancio storico così come delle categorie filosofiche, la sinistra (compresa quella radicale) è chiaramente incapace di procedere a un«analisi concreta della situazione concreta». Tanto più, se teniamo presente che alla catastrofe teorico-politica ha contribuito ulteriormente una mossa sciagurata, quella che contrappone negativamente il «marxismo orientale» al «marxismo occidentale». Alle spalle di questa mossa agisce una lunga e infausta tradizione. In Italia, subito dopo la rivoluzione dottobre, Filippo Turati, che continua a fare professione di marxismo, non riesce a vedere nei Soviet nullaltro che lespressione politica di un«orda» barbarica (estranea e ostile allOccidente). A partire dagli anni 70 del secolo scorso, la divaricazione tra marxisti orientali e marxisti occidentali ha visto contrapporsi da un lato marxisti che esercitano il potere e dallaltro marxisti che sono allopposizione e che si concentrano sempre più sulla «teoria critica», sulla «decostruzione», anzi sulla denuncia del potere e dei rapporti di potere in quanto tali, e che progressivamente nella loro lontananza dal potere e dalla lotta per il potere ritengono di individuare la condizione privilegiata per la riscoperta del marxismo «autentico». E una tendenza che ai giorni nostri raggiunge il suo apice nella tesi formulata da Holloway, in base alla quale il problema reale è di «cambiare il mondo senza prendere il potere»! A partire da tali presupposti, cosa si può capire di un partito come il Partito comunista cinese che, gestendo il potere in un paese-continente, lo libera dalla dipendenza economica (oltre che politica), dal sottosviluppo e dalla miseria di massa, chiude il lungo ciclo storico caratterizzato dallassoggettamento e annientamento delle civiltà extra-europee ad opera dell'Occidente colonialista e imperialista, dichiarando al tempo stesso che tutto ciò è solo la prima tappa di un lungo processo all'insegna della costruzione di una società post-capitalistica?



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La ricca opera di Losurdo continuerà a illuminare la lotta per il socialismo

03 Luglio 2018

da vermelho.org.br

Un particolare ringraziamento a Mauro Gemma

l'omaggio del PCdoB e della Fondazione Mauricio Grabois

Traduzione di Mauro Gemma per Marx21.it

Il PCdoB e la Fondazione Mauricio Grabois hanno rilasciato una nota in occasione della morte del filosofo italiano Domenico Losurdo, nella pienezza della sua produzione intellettuale. La nota sottolinea la lunga amicizia di Losurdo con il Partito Comunista del Brasile e le collaborazioni con Grabois attraverso seminari, interviste, saggi e edizioni nazionali dei suoi libri.

Le forze rivoluzionarie, progressiste, e in particolare il movimento comunista internazionale, hanno perso giovedì uno dei più rilevanti pensatori marxisti contemporanei. L'eminente filosofo marxista Domenico Losurdo è morto in Italia all'età di 77 anni. Egli ha tradotto bene il motto del suo maestro Karl Marx: "Più importante che interpretare il mondo è trasformarlo". Losurdo associava il lavoro intellettuale inarrestabile e fecondo con la sua militanza comunista e antimperialista.

Oltre a onorare la vita e l'eredità teorica e politica di Domenico Losurdo, il PCdoB porge le sue condoglianze alla sua famiglia, in particolare alla moglie Hute e al figlio Federico, ai suoi compagni e al popolo italiano.

Losurdo ha studiato a Tubinga (Germania) e Urbino (Italia). E' diventato presidente della Hegel-Marx International Society for Dialectical Thought e membro fondatore dell'associazione Marx XXI e della Gramsci International Society (IGS). Ha insegnato Filosofia della storia all'Università di Urbino. Autore prolifico, ha scritto dozzine di opere essenziali di filosofia, storia e scienze politiche, nelle quali ha affrontato temi e dibattiti importanti volti a rafforzare il movimento rivoluzionario e trasformatore. Molti di questi lavori sono stati pubblicati in Brasile.

Uno dei suoi grandi obiettivi era quello di demolire i miti creati dal liberalismo. Tra questi c'era il fatto che l'instaurazione della democrazia politica e dei diritti umani, senza distinzione di sesso, età o razza, sarebbe stata una conseguenza dello sviluppo pacifico e non conflittuale del liberalismo borghese. Losurdo dimostra la falsità di questa tesi. La schiavitù e il liberalismo hanno vissuto molto bene per oltre un secolo. L'Inghilterra fu arricchita dalla tratta degli schiavi, e gli Stati Uniti furono un paese schiavista fino al 1865, e anche in seguito continuarono a escludere i neri dai diritti civili e politici. Nessuno di questi paesi e i loro ideologi liberali hanno inquadrato nel concetto di umanità i popoli sotto il giogo del colonialismo, considerati "razze inferiori" incapaci di autogoverno. Gran parte delle conquiste democratiche e sociali sono state ottenute dalla lotta della classe operaia.

Losurdo è stato un difensore dei processi di costruzione del socialismo del ventesimo secolo, sebbene fosse critico nei confronti degli errori commessi. Sapeva che, nonostante i numerosi problemi e le carenze presentate, l'equilibrio del primo ciclo del socialismo ha portato grandi risultati per gli operai e l'umanità. Per lui, non si potevano capire i progressi democratici e i movimenti di emancipazione che si sono verificati negli ultimi cento anni, ignorando l'esistenza dell'Unione Sovietica e del movimento comunista internazionale. Hanno incentivato decisamente la liberazione dei popoli dominati, la lotta contro il nazismo, il razzismo e il sessismo. Per questo motivo, la sinistra non dovrebbe capitolare di fronte all'offensiva ideologica liberal-borghese che cerca di demolire quelle esperienze complesse e contraddittorie, presentandole in modo riduzionistico come totalitarie.

Come ha scritto, riferendosi ai partiti marxisti che capitolavano di fronte all'offensiva ideologica neoliberale, "se l'autocritica è il presupposto della ricostruzione dell'identità comunista, l'autofobia è sinonimo di capitolazione e rinuncia ad un'identità autonoma". E continua: "la classe dominante consolida il suo dominio, privando le classi subalterne non solo della prospettiva del futuro, ma anche del proprio passato (...). La memoria storica è, quindi, uno dei motivi fondamentali su cui si sviluppa la lotta ideologica di classe ".

Losurdo ha anche seguito con attenzione - e molto ottimismo - le esperienze di costruzione del socialismo al giorno d'oggi, specialmente in Cina. Ammirava l'esempio di quella grande nazione orientale che ha spezzato i legami del colonialismo, sviluppato le sue forze produttive ed è divenuta una potenza mondiale e un riferimento per altri paesi che cercano alternative per lo sviluppo al di fuori del dogma neoliberista dettato dall'imperialismo.

Infine, si è stabilita un'amicizia reciproca tra Domenico Losurdo e il Brasile. Gran parte del suo lavoro è stato tradotto e pubblicato nel Paese da diversi editori. E' uno degli autori marxisti più letti nel paese. Gli piaceva scherzare sul fatto che fosse più conosciuto e letto tra i brasiliani che in Europa. Ogni anno veniva in Brasile e ha viaggiato in diversi stati, partecipando a presentazioni di libri e a conferenze.

C'è stata una grande amicizia tra Losurdo e il Partito Comunista del Brasile (PCdoB). Amicizia di oltre un decennio. Ha partecipato a numerosi eventi organizzati dalla Fondazione Mauricio Grabois in varie città del paese, tra cui segnaliamo la sua presenza, come relatore principale nel 2017, al seminario sul centenario della rivoluzione russa e per il 95 ° anniversario della fondazione del Partito comunista brasiliano. Grabois, in collaborazione con la casa editrice Anita Garibaldi, ha pubblicato quattro libri di Losurdo. Saggi importanti sono stati pubblicati anche in altri libri, così come dense interviste sono state concesse alla rivista Princípios e al portale Grabois.

Losurdo è stato ricevuto più volte dalla dirigenza nazionale di PCdoB, quando si è evidenziata una grande affinità nella sfera delle idee, tra cui la necessità di articolare la lotta nazionale e antimperialista con la lotta per la conquista del socialismo.

Domenico Losurdo è scomparso, ma ha lasciato in eredità un lavoro ricco e imprescindibile che continuerà a nutrire il cammino dell'emancipazione nazionale e sociale della classe operaia e dei popoli. Viva la sua memoria e la sua eredità!

San Paolo, 28 giugno 2018.

Luciana Santos
Presidente del Partito Comunista del Brasile - PCdoB

Renato Rabelo
Presidente della Fondazione Mauricio Grabois


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Liberalizam, ideologija “rase gospodara”

Lucien Sève

28. lipnja 2018.

Udžbeničke definicije liberalizam predstavljaju kao ideologiju individualne slobode i univerzalizacije ljudskih prava. Protupovijest liberalizma, važna knjiga preminuloga talijanskog povjesničara ideja Domenica Losurda, uvjerljivo otkriva selektivnost i jednostranost tih hagiografskih prikaza. U srce liberalnog projekta od početka je bila upisana antidemokratska i rasistička dimenzija

Onaj tko o liberalizmu gaji sliku kakvu nude liberali neugodno će se iznenaditi čitajući Protupovijest liberalizma, ključnu knjigu Domenica Losurda koja već na samom početku otkriva nevjerojatan paradoks. Biti liberalom u principu znači boriti se, po uzoru na velike mislioce poput Huga Grotiusa ili Johna Lockea, Adama Smitha ili Alexisa de Tocquevillea, za slobode pojedinca i protiv političkog apsolutizma, dirigirane ekonomije i filozofske netolerancije. Posrijedi je idejno i u praksi moćan pokret koji je u razdoblju od 16. do 18. stoljeća, s tri slavne revolucije u Nizozemskoj, Engleskoj i Americi, oblikovao čitavu suvremenu povijest. No upravo je s njim došlo do najvećeg razvoja ropstva. U Americi 1700. godine ima tristo tisuća robova, 1800. gotovo tri milijuna, a sredinom 19. stoljeća još dvostruko više. Holandija ukida ropstvo u svojim kolonijama tek 1863. godine. Sredinom 18. stoljeća, broj robova najveći je u Velikoj Britaniji – gotovo devetsto tisuća. Pritom je riječ o najgoroj vrsti ropstva, tzv. chattel racial slavery, gdje je rob druge rase jednostavno “imovina”. Teško je zamisliti radikalnije poricanje slobode pojedinca. Gdje je greška?

Ovo je djelo od početka do kraja posvećeno objašnjavanju te greške, potkrijepljeno dojmljivim obiljem krvavih činjenica i citata od kojih zastaje dah. Ne, ne radi se o grešci. Liberalna je doktrina rođena s dva lica i takvom je ostala: s jedne strane gorljiva poruka o slobodi pojedinca samo za građane, bijele posjednike koji čine Herrenvolk, “rasu gospodara” – germanizam koji je ta uvelike anglofona ideologija bez kompleksa usvojila; s druge cinično poricanje ljudskosti ne samo drugih rasa u kolonijama, nego jednako tako i naroda koje se smatralo “barbarima”, kao što su Irci ili američki Indijanci, te mnoštva sluga i radnika u metropolama, slobodno se može reći – velike većine ljudi. Protupovijest liberalizma, nimalo ne niječući njegove dobre strane, otkriva pune razmjere njegova mračnog naličja, koje je prisutno od početka, a liberalna ga hagiografija neprestano skriva. Na primjer (uzmimo jedan detalj od tisuću), kad saznamo da je veliki liberalni filozof John Locke bio dioničar tvrtke Royal African Company, glavne organizatorice trgovine crnim robljem, odjednom su nam jasnije mnoge stvari u našoj modernoj povijesti.

No također nam je jasno da je ovoj ikonoklastičkoj knjizi trebalo vremena da se pojavi. I da ono što o njoj škrto prozbore glavni mediji često odaje posramljenu zlovolju. Djelo je ujedno i previše eruditsko i jasno da bi ga se moglo lako odbaciti. Zbog toga se protiv njega služe izlizanim polemičkim trikovima. Dovode se u pitanje autorovi stavovi prema sasvim drugim temama, s kojima se uopće ne moramo slagati. Optužuje ga se za jednostranost, dok on ne propušta priliku da prikaže raznolikost aspekata liberalizma, složenost njegovih pravaca, često i dvosmislenost njegovih mislioca. Za kraj mu se dobacuje “Ali to je općepoznato!” iako dominantna ideologija bez prestanka radi na oživljavanju bezobrazno pristranog pozlaćenog mita o liberalizmu.

Treba reći da Losurdova knjiga obiluje navodima koji veoma štete tom mitu. Poput ovog Tocquevilleova teksta koji opravdava istrebljenje crvenokožaca: “Providnost im je, čini se, smještajući ih posred bogatstava Novog svijeta, dala samo kratkotrajno pravo uživanja. Oni su tamo, na neki način, samo čekali. Obale tako dobro pripremljene za trgovinu i industriju, tako duboke rijeke, neiscrpna dolina Mississippija, cijeli taj kontinent, djelovali su tada kao još uvijek prazna kolijevka jednog velikog naroda.” “Prazna kolijevka”: tako jedan slavni liberal lakim zamahom pera opravdava jedan od najvećih genocida u povijesti, unaprijed dajući dragocjeno opravdanje doktrinarcima “zemlje bez naroda” koju Bog nudi narodu bez zemlje. Tekstovi takvoga tona nisu rijetki u ovoj protupovijesti i često ih potpisuju imena kojima bismo se najmanje nadali.

Podučavajući nas mnogome, autor nam još više daje za razmišljanje. Na primjer, kad iznosi ove riječi jednog Georgea Washingtona ili Johna Adamsa, toliko indikativne za američku revoluciju koju su krajem 18. stoljeća vodili liberalni kolonisti, vlasnici robova, potpuno svjesni da su oni u odnosu na robove “bijeli britanski podanici, rođeni slobodni”, spremni na vapaj zbog Engleza iz metropole koji ih gnjave: “Ne želimo biti njihovi crnci!” Ovdje najednom upada u oči da liberalna misao nikad nije bila autentično univerzalistička misao. Slobode koje su se zahtijevale “za pojedinca” nipošto nisu za sva ljudska bića, nego samo za mali broj izabranih, u dvostrukom, biblijskom i građanskom, smislu riječi.

Ovakav agresivni partikularizam doista jest u samom temelju liberalnog učenja. Grotius, jedan od očeva liberalne doktrine u 17. stoljeću, bez oklijevanja opravdava instituciju ropstva (“Postoje ljudi rođeni za služenje”, piše on pozivajući se na Aristotela), govori o stanovnicima holandskih kolonija kao o “divljim životinjama” i, opisujući njihovu religiju kao “pobunu protiv Boga”, unaprijed opravdava njihovo kažnjavanje najokrutnijom “kaznom primjerenom krivcima”. Uopće se dakle ne radi o odstupanjima u praksi, sama ideja liberalizma odaje izravno segregirajući i dehumanizirajući antropološki aristokratizam.

Francuz Tocqueville, aristokrat-demokrat, i sâm o više tema misli na vrlo sličan način. Losurdo navodi ovu izjavu: “Europska je rasa od neba primila ili svojim trudom stekla toliko neporecivu nadmoć nad svim ostalim rasama koje čine veliku ljudsku obitelj, da je čovjek odavde, sa svim svojim porocima i neznanjem, onaj s dna društvene ljestvice, još uvijek prvi među divljacima.” Mnoge danas zapanjuje kastinska oholost koju pokazuju mnogi, i muški i ženski članovi vladajućeg miljea. Čitajući ovu Protupovijest shvaćamo da je ona, prije no što bi bila psihološko-društvena crta pojedinaca, temeljna osobina same liberalne doktrine i praktičnog držanja koje je u svim razdobljima nalagala. Liberalizam i demokracija nikad nisu bili sinonimi.

“Radi se”, zaključit će Losurdo, “o diskursu potpuno usredotočenom na ono što, za zajednicu slobodnih ljudi, predstavlja ograničen sveti prostor” – sveti prostor koji priznaje protestantska etičko-religiozna kultura odgojena na Starom zavjetu. Dovoljno je u analizu unijeti i čimbenik “profanog prostora” (robove iz kolonija i sluge iz metropola) da bi se uvidio neprikladan i varljiv karakter kategorija koje se uobičajeno koriste pri prikazu povijesti liberalnog Zapada: apsolutno prvenstvo slobode pojedinca, antietatizam, individualizam. Je li Engleska 18. i 19. stoljeća zemlja vjerske slobode? Što se Irske tiče, liberal Gustave de Beaumont, koji je pratio Tocquevillea za njegova putovanja u Ameriku, govori o “vjerskoj opresiji koja prelazi svaku maštu”.

Praćenje duge povijesti liberalizma također podrazumijeva makar drugorazredno zanimanje za ono što ga je pobijalo, što mu se protivilo. U ovoj knjizi vidimo kako su se oblikovale razne figure univerzalizma, od onog katoličkog i monarhijskog Jeana Bodina u 16. stoljeću, preko antikolonijalnog i abolicionističkog radikalizma kojemu su ponekad pomagali napredni liberali 19. stoljeća, pa sve do temeljne kritike Karla Marxa, koji briljira raskrinkavajući “konzervativni karakter engleske revolucije”. Buržujska politička emancipacija zapravo je bila znak društvenog bijesa ne samo prema narodima iz kolonija, nego i prema samim engleskim seljacima, prije no što će se okomiti na gradski proletarijat, nevjerojatno zlostavljan u tzv. workhouses, radnim kućama. Losurdo takvu analizu ipak ne slijedi u potpunosti, nego skicira osobni pregled liberalnih revolucija, kako latinskoameričkih tako i europskih.

No koliko god bili važni ti antiliberalni istupi, konkretnije su rezultate ostvarili sami narodni pokreti. Na prvo mjesto među njima Losurdo smješta pobunu na Saint-Domingueu (danas Haiti) i njezinog vođu Toussainta Louverturea, pravi topovski udar za to vrijeme (crnački narod s nevjerojatnom odvažnošću da se oslobodi!), koja, istodobno s Francuskom revolucijom, predstavlja odlučujuću prekretnicu za kreolsku neovisnost i ukidanje ropstva u Latinskoj Americi. Sto dvadeset i pet godina kasnije, moćan podstrek u istom smjeru dat će Oktobarska revolucija u Rusiji. “Kad se sve temeljito razmotri, pobuna na Saint-Domingueu i Oktobarska revolucija ugrozile su, svaka zasebno, prvo ropstvo, zatim teroristički režim bjelačke dominacije”; to su dva povijesna poglavlja koja je “većinski mrzila liberalna kultura epohe”.

Ne dotičući se nedavne povijesti neoliberalizma, Losurdo se za kraj pita o odgovornosti liberalizma za “katastrofe 20. stoljeća”, te je vrlo uvjerljivo procjenjuje velikom. Oslanjajući se na tezu Hannah Arendt koja “polazi od kolonija britanskog carstva da bi objasnila genezu totalitarizma 20. stoljeća”, podsjeća da su se svijet koncentracijskih logora i ostale antidemokratske institucije “počele ocrtavati davno prije kraja samoprozvane belle époque”, navodeći primjere “krvavih i uzastopnih deportacija Indijanaca, počevši od one koju je poduzela Jacksonova Amerika (koju je Tocqueville proglasio uzorom demokracije)”.

S postupanjem prema crncima u Novom svijetu dostignuti su, što se dehumanizacije tiče, “vrhunci kojima je teško parirati”. Na britanskoj Jamajci “roba bi se prisililo da se olakša u usta robu koji je nešto skrivio, da bi mu se zatim ta usta na četiri-pet sati zašila”. U SAD-u školska su djeca mogla dobiti slobodan dan da bi prisustvovala linčovanju. Jedna knjiga, izašla u Bostonu 1913. godine, u svom naslovu zaziva “krajnje rješenje” (ultimate solution) crnačkog pitanja. Jedan američki istraživač, Ashley Montagu, o rasizmu i nacizmu piše da je “to što se čudovište moglo slobodno kretati svijetom u velikoj mjeri naših ruku djelo (…), i mi smo odgovorni za stravičan oblik koji je poprimilo”.

Griješi li autor kad u zaključku poziva da se prestane s lažljivom hagiografijom liberalizma, koja nam se ponovno u visokim dozama servira posljednja tri desetljeća, od početka vladavine Margaret Thatcher?

S francuskog prevela: Mirna Šimat

* Lucien Sève je filozof. Autor je brojnih knjiga u kojima istražuje odnos filozofske antropologije, teorije ličnosti i marksizma.