Informazione


OTTOBRE / 1: 

A-B-C della Rivoluzione d'Ottobre

1) Da febbraio a ottobre. Una cronistoria (di Guido Carpi)
2) Dopo la rivoluzione: i primi atti del potere sovietico (di Vladimiro Giacché)
3) La Rivoluzione d’Ottobre e i diritti delle donne (di Margarida Botelho)


Alla nostra pagina https://www.cnj.it/INIZIATIVE/1917.htm , frequentemente aggiornata, è riportata una rassegna di documenti fondamentali assieme al calendario delle iniziative promosse nel centenario della Rivoluzione d'Ottobre


=== 1 ===


Da febbraio a ottobre. Una cronistoria

a cura di Guido Carpi

4 apr 2017

17 febbraio. Pietrogrado. Gli operai delle immense officine Putilov chiedono un aumento salariale del 50% e annunciano sciopero; la vertenza dilaga. Le motivazioni politiche sono inizialmente assai vaghe.

22 febbraio. In concomitanza con la partenza dello zar da Pietrogrado per il quartier generale, una delegazione operaia delle Putilov si reca dai deputati socialisti alla Duma Aleksandr Kerenskij e Nikolaj Čcheidze per ottenere una sponda politica.
23 febbraio. Giorno della festa della Donna secondo il calendario giuliano in vigore in Russia. Una marea di popolane si riversa nelle strade per chiedere pane, mentre scioperi e tafferugli dilagano per la città
24 febbraio. Lo sciopero è ormai totale, ma senza armi il movimento popolare non può avere la meglio.
25 febbraio. Dopo altre manifestazioni oceaniche, verso le 9 di sera lo zar ordina al comandante militare della città, generale Sergej Chabalov, di «far cessare i disordini» tramite l’uso della forza. I soldati, in grande maggioranza contadini in armi, si mostrano recalcitranti.
26 febbraio. Una compagnia del reggimento Pavlovskij fa fuoco sui gendarmi che stavano sparando sulla folla inerme.
27 febbraio. La rivolta coinvolge anche le altre guarnigioni dell’esercito. Nel frattempo, sotto la direzione del menscevico Čcheidze, inizia a coagularsi l’ossatura di un Consiglio (Soviet) dei deputati degli operai e dei soldati, rappresentativo delle realtà produttive e militari dell’intera capitale. Il neonato Soviet di Pietrogrado – o Petrosovèt – si ispira agli omonimi consigli sorti spontaneamente durante la rivoluzione del 1905, ma assume fin da subito un ruolo e un’autorità senza precedenti, date le condizioni di insurrezione generale e il conseguente vuoto di potere. La folla vittoriosa occupa il Palazzo di Tauride, sede della Duma, e il Comitato esecutivo del Petrosovèt vi si insedia.
1 marzo. Il Comitato esecutivo del Petrosovèt emana il cruciale Ordine № 1, che chiama le guarnigioni di Pietrogrado a far ritorno in caserma, e insieme istituisce comitati della truppa in ogni unità militare, decretando che, «quanto alle questioni politiche», i soldati debbano attenersi non più agli ordini dei superiori, ma alle disposizioni di tali comitati; i diritti politici e civili dei soldati sono equiparati a quelli di tutti i cittadini, i titoli per gli ufficiali sono aboliti.
2 marzo. Nicola II firma l’abdicazione in favore del fratello Michail, che rifiuta; la dinastia dei Romanov termina nell’indifferenza generale. A Pietrogrado nasce il primo governo provvisorio, definito nel corso di una riunione del Comitato provvisorio della Duma. I 12 ministri appartengono quasi tutti al Partito Costituzionale-Democratico (cadetti), più alcuni indipendenti del mondo delle professioni e degli affari; primo ministro diviene il presidente dell’Unione delle amministrazioni locali (zemstva) principe Georgij L’vov, ma il vero dominus del governo sarà per un mese e mezzo il leader cadetto e ministro degli esteri Pavel Miljukov. Unico ministro socialista è Kerenskij, alla giustizia.
4 marzo. A Mosca, alla temperatura di –10°, sulla Piazza rossa si tiene una parata\processione di grande effetto.
10 marzo. Viene firmato l’accordo fra Soviet e associazioni imprenditoriali sull’introduzione della giornata lavorativa di 8 ore.
15 marzo. il Soviet emette un appello Ai popoli del mondo, secondo cui «è giunta l’ora di iniziare una lotta decisa contro le ambizioni predatorie dei governi di tutti i Paesi; è giunta l’ora che i popoli prendano nelle proprie mani la soluzione della questione sulla guerra e sulla pace»; al «proletariato germanico», finora convinto di «difendere la cultura d’Europa dal dispotismo asiatico», si fa presente che «la Russia democratica non può essere una minaccia alla libertà e alla civiltà».
23 marzo. Sul Campo di Marte a Pietrogrado vengono celebrati i funerali delle vittime della rivoluzione.
Inizio aprile. Per tutto il Paese si riuniscono comitati contadini che iniziano a elaborare le proprie rivendicazioni e le proprie strategie sulla questione agraria.
3 aprile. Sera. Assieme a numerosi compagni, il leader bolscevico Vladimir Il’ič Lenin (Ul’janov) torna a Pietrogrado dopo avere attraversato la Germania (su un treno messo a disposizione dal governo tedesco), la Svezia e la Finlandia.
Dal 29 marzo al 4 aprile. Prima Conferenza panrussa dei Soviet, che ribadisce il sostegno condizionato al governo, istituisce un Soviet panrusso (di cui il Petrosovèt non è ormai che una sezione, seppure la più rilevante) ed elegge un Comitato esecutivo centrale (Ispolkòm) ancora saldamente in mano ai socialisti centristi: menscevichi e socialisti-rivoluzionari (o esèry).
4 aprile. Lenin espone ai delegati della Conferenza panrussa dei Soviet le proprie Tesi d’aprile, che definiscono la nuova strategia bolscevica: la rivoluzione è attualmente in un momento di passaggio dove si pone con forza il tema del potere, che deve passare dalla borghesia al proletariato; pur in minoranza nei soviet, i bolscevichi devono spiegare alle masse «la necessità del passaggio di tutto il potere statale ai soviet», poiché in un momento in cui già esistono i soviet come forma di democrazia popolare, tornare alla repubblica parlamentare borghese sarebbe un passo indietro: sull’esempio della Comune di Parigi, la «repubblica dei soviet dei deputati degli operai, dei salariati agricoli e dei contadini» dovrebbe sopprimere polizia, esercito e corpo dei funzionari, sostituendoli con milizie popolari e funzionari eletti e revocabili; confiscare tutte le grandi proprietà fondiarie, nazionalizzare tutte le terre e metterle a disposizione dei soviet locali dei contadini; fondere tutte le banche del paese in un’unica banca nazionale sotto il controllo dei soviet. «Il nostro compito immediato non è l’“instaurazione” del socialismo, ma, per ora, soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei soviet dei deputati operai».
18 aprile. Grande manifestazione a Pietrogrado per la giornata internazionale del Primo maggio, in nome della pace e della fratellanza fra i lavoratori. In serata però, il ministro degli Esteri Miljukov emette una nota alle potenze alleate, in cui si ribadisce la determinazione della Russia a proseguire la guerra «fino alla piena vittoria».
20-21 aprile. A Pietrogrado si tengono manifestazioni contrapposte: in centro il ceto medio manifesta a favore della prosecuzione della guerra, mentre dalle periferie e dalle caserme muovono cortei di operai e di soldati che manifestano per la pace. Si verificano scontri che spingono gli operai a organizzare i primi reparti di una propria Guardia rossa.
5 maggio. Esce dal governo l’ormai indifendibile Miljukov, entrano ministri socialisti, e il baricentro del potere si sposta su Kerenskij, nuovo ministro delle Guerra. Il Soviet accetta di partecipare al governo nella speranza di poter indire a breve una conferenza internazionale socialista che avvicini le trattative di pace, ma di congressi internazionali pacifisti non si parlerà più.
Maggio. Si svolge il I Congresso panrusso del Soviet dei deputati contadini: fra le masse rurali crescono tanto le spinte autonomiste quanto l’irritazione per la mancata redistribuzione delle terre.
14-22 aprile. Si riunisce la conferenza cittadina dei bolscevichi pietrogradesi (57 delegati di 12.000 membri), che approva le Tesi di Lenin a stragrande maggioranza.
23 aprile. Vengono legalizzati i già capillari comitati di fabbrica: all’inizio essi si accontentano di controllare assunzioni, licenziamenti e bilanci, senza entrare nel merito delle scelte produttive; ma iniziano presto a vedere nella diretta cogestione dell’impresa il proprio compito principale, per impedire ai padroni di far danni. Il 19 maggio il pieno controllo operaio diviene politica ufficiale del Partito bolscevico, che si avvia velocemente a diventare egemone nelle fabbriche.
Fine maggio. Alle elezioni dei municipi di quartiere a Pietrogrado trionfano esèry e menscevichi, ma i bolscevichi conquistano il quartiere di Vyborg (45% di operai sulla popolazione). Il predominio di esèry e menscevichi è generale anche nei capoluoghi di governatorato (57,2%) ma anche i bolscevichi ottengono un’importante affermazione di media (12,9%), con picchi nelle roccaforti operaie.
Fine maggio – inizio giugno. Si tiene il III congresso del Partito dl socialisti-rivoluzionari (esèry), vero e proprio “partito della nazione”, forte di più di 1 milione di iscritti, riuniti in 436 organizzazioni in tutti i governatorati, nelle flotte e su tutti i fronti della guerra. L’estrema divaricazione delle posizioni all’interno del partito non consente però di elaborare una linea condivisa e ne paralizza l’azione. Inizia a coagularsi un’opposizione interna di sinistra, guidata dall’ex terrorista Marija Spiridonova e decisa a battersi nel modo più energico possibile per la pace e la socializzazione delle terre.
3 al 24 giugno. I Congesso panrusso dei Soviet, tenutosi a Pietrogrado, in rappresentanza di 8 milioni di soldati, 5 milioni di operai, 4,2 milioni di contadini; i moderati godono di una larga maggioranza (285 esèry, 248 menscevichi e 105 bolscevichi, più decine di indipendenti o appartenenti a piccoli gruppi, dai socialisti popolari agli anarchici); eppure, l’azione del Congresso è bloccata dall’incertezza sulla linea politica da seguire.
1 luglio. A Pietrogrado le razioni alimentari vengono ridotte. Operai e soldati iniziano ad agitarsi. Assente Lenin, i bolscevichi decidono di aderire alle proteste e di promuovere una manifestazione «pacifica ma armata».
3 luglio. Delegazioni di soldati si dirigono alle fabbriche per chiamare gli operai alla grande manifestazione che avrebbe dovuto conferire tutto il potere al Soviet. Per tutta la città si moltiplicano sparatorie e tafferugli.
4 luglio. Nonostante Lenin abbia invitato alla «calma, prudenza, fermezza», verso mezzogiorno il Palazzo di Tauride, sede del Soviet, è circondato da una folla immensa che rifiuta di andarsene se il Soviet non assume i pieni poteri. Infine la manifestazione si scioglie da sola; mentre in città giungono truppe fedeli al governo, per le strade infuriano i combattimenti, i saccheggiatori spadroneggiano e anche i comuni cittadini devono ricorrere alle armi per proteggere le proprie case: alla fine, i morti negli scontri saranno circa 700. Lenin si dà alla macchia (finirà per riparare in Finlandia), mentre il partito bolscevico subisce repressioni e arresti, ed entra nella semi-illegalità.
6 luglio. Finisce infatti in modo inglorioso l’offensiva militare che si trascina da due settimane, i tedeschi avanzano su tutti i fronti e la dissoluzione dell’esercito russo entra nella fase irreversibile.
7 luglio. Kerenskij diviene primo ministro.
26 luglio – 3 agosto. In un’atmosfera di semilegalità, i bolscevichi tengono il proprio sesto congresso (il secondo dell’anno). Lev Trockij e il suo gruppo confluiscono nel partito bolscevico. Se pure in forma vaga e incerta, la prospettiva insurrezionale diventa la linea guida del programma bolscevico.
13 – 15 agosto. A Mosca, nel teatro Bol’šoj, lontano dalle sediziose masse pietrogradesi, si svolge la Conferenza di Stato (Gosudarstvennoe soveščanie), pletorica assise in cui 2.500 rappresentanti della politica, dell’economia e della società civile sono chiamati a dibattere sulle prospettive della democrazia russa. L’iniziativa però fallisce: masse popolari e ceti privilegiati non possono ormai trovare un terreno comune. Ormai più di Kerenskij, vero eroe dell’ala destra della Conferenza di Stato è il comandante in capo dell’esercito, il generale Lavr Kornilov, che richiama i delegati alla necessità di ristabilire legge e ordine nelle retrovie e disciplina al fronte. A latere delle sedute, industriali, finanzieri e politici si accordano con Kornilov e il suo entourage circa i finanziamenti dell’imminente colpo di Stato, con le necessarie coperture.
20 agosto. I bolscevichi trionfano alle elezioni municipali di Pietrogrado, col 33%, laddove alle elezioni di quartiere, in maggio, avevano ottenuto solo il 20%.
22 agosto. La battaglia di Riga si conclude disastrosamente, con l’occupazione della città-chiave del Baltico da parte dell’esercito germanico. Fra caduti, feriti, dispersi e prigionieri, i tedeschi hanno perso circa 4.500 uomini, i russi circa 25.000. La caduta di Riga apre ai tedeschi la strada verso il golfo di Finlandia e verso Pietrogrado.
27 agosto. Il generale Aleksandr Krymov, su ordine di Kornilov, muove su Pietrogrado con la sua divisione di cavalleria. Kerenskij, che inizialmente aveva trescato coi golpisti, capisce che questi – occupata la capitale – instaureranno una dittatura militare e per prima cosa esautoreranno lui: dichiara dunque Kornilov “ribelle” e si affida alla difesa della capitale nel frattempo approntata dal Soviet e dai reparti della Guardia rossa, organizzati in un Comitato militare rivoluzionario (Revkòm) egemonizzato dai bolscevichi. In un paio di giorni, la divisione golpista si sbanda, Krymov si spara e Kornilov viene esautorato e arrestato.
Agosto-settembre. A Helsingfors\Helsinki, nell’opuscolo Stato e rivoluzione (pubbl. fine 1917), Lenin dà una sistemazione organica alle riflessioni degli ultimi anni, e si concentra sul ruolo dello Stato, ossia sul carattere e sull’esercizio del potere nella fase di passaggio al socialismo: i comunisti preparano la sostituzione di un meccanismo di oppressione classista – quello borghese – con un altro meccanismo di coercizione organizzata, atto ad esercitare la dittatura del proletariato. La macchina dello Stato borghese va spezzata, le sue strutture – esercito, istituzioni politiche, burocrazia – vanno demolite e sostituite, sull’esempio dato dalla Comune di Parigi, da «qualcosa che non è più propriamente uno Stato», ma una sorta di comitato liquidatorio per l’estinzione di quest’ultimo. Lo Stato proletario attua una graduale soppressione di se stesso: l’esercito va rimpiazzato da milizie popolari, le istituzioni parlamentari borghesi vanno sostituite da una democrazia di base, organizzata dai lavoratori nei luoghi di produzione (i soviet), e in luogo della burocrazia che regola le infrastrutture deve subentrare il controllo operaio.
7 settembre. Prosegue lo smottamento delle masse verso i bolscevichi: a questi ultimi va la maggioranza del Soviet di Pietrogrado, da sempre architrave degli equilibri fra socialisti, e ora in netta opposizione nei confronti dell’Ispolkòm, ancora in mano ai moderati. Alla presidenza del Petrosovet sale Lev Trockij, che da questo momento svolgerà negli avvenimenti un ruolo chiave, non inferiore a quello dello stesso Lenin. Nel medesimo periodo, gli esèry di sinistra escono definitivamente dal partito-madre, indebolendo così la maggioranza moderata dell’Ispolkòm e del governo.
14 settembre. A un mese esatto dalla Conferenza di Mosca, al teatro Aleksandrinskij di Pietrogrado si apre la Conferenza democratica. La nuova assise non comprende i partiti “borghesi” e le organizzazioni padronali, ma affianca ai delegati del Soviet una nutrita schiera di rappresentanti delle cooperative, delle municipalità e degli zemstvo: la Conferenza ha infatti lo scopo di allargare la base di legittimazione di un Ispolkòm ormai screditato e traballante, nonché di decidere se il governo venturo dovesse essere nuovamente di coalizione coi partiti borghesi, oppure se fosse venuta l’ora di un esecutivo “omogeneo”, ossia composto dai partiti socialisti delle varie sfumature. Non stupisce dunque che alla fine, le votazioni incrociate della Conferenza portino a una risoluzione paradossale, che certifica l’impasse istituzionale: a favore di un governo di coalizione con la borghesia, ma – contro ogni logica – senza i cadetti, che della borghesia sono il referente politico! «La sinfonia patetica si è spezzata su un cialtronesco accordo di balalajka», commenta il 21 settembre il giornale della destra menscevica “Den'”.
20 settembre. La Conferenza democratica vara il nuovo, assai pasticciato governo e istituisce un Consiglio provvisorio della Repubblica russa (o “Preparlamento”): nelle intenzioni, esso avrebbe dovuto indirizzare l’azione di governo, ma viene subito ridimensionato a organo consultivo, ossia del tutto inutile.
7 ottobre. I bolscevichi escono dal Preparlamento, col che si chiude ogni spiraglio per una soluzione pacifica, “parlamentare” della crisi.
10 ottobre. Si riunisce in contumacia il Comitato centrale bolscevico, alla presenza di Lenin e Zinov’ev ancora latitanti. Si decide per l’insurrezione, malgrado alcuni obiettino che «l’insurrezione armata può anche portare alla vittoria, ma poi che si fa?»; al che i sostenitori dell’insurrezione – ricorda Trockij – ribattono: «E voi che proponete?» «Beh, agitazione, propaganda, compattare le masse, et cetera…» «Sì, ma poi che si fa?»
12 ottobre. Il Comitato esecutivo del Petrosovet inizia a mobilitare il Revkòm e la Guardia rossa, formalmente per tutelare l’ordine nella capitale. Il 18, le guarnigioni di Pietrogrado dichiarano che eseguiranno solo gli ordini operativi con la controfirma del Revkòm, col che il potere reale è già passato sostanzialmente ai bolscevichi, che nominano un commissario del Revkòm in ogni unità militare.
23 ottobre. Le guardie governative tentano di chiudere il giornale bolscevico, e il Revkòm coglie il casus belli atteso da giorni, impartendo il segnale di attacco.
24 ottobre. Piccoli drappelli della Guardia rossa agiscono in modo molecolare e chirurgico, disarmano le sentinelle governative, occupando stazioni, centrali elettriche, poste e telegrafi, da giorni sotto discreta sorveglianza; le operaie della Siemens organizzano il pronto soccorso mobile, con più di 200 infermiere. Dal punto di vista della preparazione tattica, l’Ottobre è un vero capolavoro.
25 ottobre. Alla mattina, ai governativi rimane solo il Palazzo d’Inverno, presidiato da due compagnie di allievi ufficiali, da 40 cavalieri di San Giorgio invalidi e dalle soldatesse «spaventate a morte» del battaglione femminile (circa 140 unità), trascinate al Palazzo col pretesto di una parata. Il Revkòm diffonde il proclama Ai cittadini della Russia, che annuncia la presa del potere. Una cannonata a salve dalla fortezza dall’incociatore “Avrora” – ormeggiato in pieno centro! – dà il segnale dell’assalto al Palazzo d’Inverno. Alle 22 e 45 si è aperto il 2° Congresso panrusso dei Soviet, dove i bolscevichi godono di una solida maggioranza assieme ai pur recalcitranti alleati esèry di sinistra.
26 ottobre. Il Congresso dei Soviet forma il primo governo sovietico: il Consiglio dei commissari del popolo, o Sovnarkòm, nonché il Comitato centrale esecutivo panrusso (Vcik), organo supremo del potere legislativo; fra i due organi non c’è una chiara divisione dei poteri. Alle 20 e 40 Lenin sale alla tribuna del Congresso e dà lettura del Decreto № 1 sulla pace: il governo operaio e contadino, forte dell’appoggio dei Soviet, propone a tutti i popoli belligeranti (e poi – ai loro governi!) l’immediato inizio di trattative per una pace giusta e democratica senza annessioni e senza indennità; per la prima volta nella storia, la legittimità dei possessi coloniali e la pratica della diplomazia segreta vengono ufficialmente rigettate, e il governo sovietico, nel proporre un armistizio, si rivolge in particolare agli «operai coscienti delle tre nazioni più progredite dell’umanità» – Francia, Inghilterra, Germania – affinché leghino la lotta per la pace a quella per il socialismo. Quando gli applausi si spengono, Lenin passa a illustrare il Decreto № 2 sulla terra, fondato sulla risoluzione del congresso contadino di primavera: la grande proprietà fondiaria è abolita senza indennizzo e la terra «è dichiarata proprietà di tutto il popolo e passa a tutti coloro che la lavorano»; hanno diritto al godimento della terra tutti i cittadini dello Stato russo (senza distinzione di sesso) che desiderano coltivarla con l’aiuto della loro famiglia o in cooperativa <…>. Il lavoro salariato non è ammesso».
Ciò che segue è altra storia.



=== 2 ===


Proponiamo, per gentile concessione dell’autore e dell’editore, alcune pagine dell’introduzione di Vladimiro Giacché al volume Lenin, Economia della rivoluzione, Milano, Il Saggiatore, 2017, da oggi in libreria; sono state riprodotte le pagine 14-19, eliminando poche righe di testo, nonché alcune note e riferimenti testuali.

Dopo la rivoluzione: i primi atti del potere sovietico

di Vladimiro Giacché

Per creare il socialismo, voi dite, occorre la civiltà. Benissimo. Perché dunque da noi non avremmo potuto creare innanzi tutto quelle premesse della civiltà che sono la cacciata dei grandi proprietari fondiari e la cacciata dei capitalisti russi per poi cominciare la marcia verso il socialismo?
LENIN, Sulla nostra rivoluzione, 17 gennaio 1923

Quando Lenin, il 30 novembre 1917, licenziò per la stampa Stato e rivoluzione, accluse un poscritto in cui informava il lettore di non essere riuscito a scrivere l’ultima parte dell’opuscolo originariamente prevista. E aggiunse: «la seconda parte di questo opuscolo (L’esperienza delle rivoluzioni russe del 1905 e del 1917) dovrà certamente essere rinviata a molto più tardi; è più piacevole e più utile fare “l’esperienza di una rivoluzione” che non scrivere su di essa». 

L’esperienza in questione era iniziata il 25 ottobre 1917 (7 novembre secondo il calendario gregoriano, che dal marzo 1918 sarebbe stato adottato anche in Russia). La notizia era stata comunicata ai cittadini russi attraverso un appello, scritto dallo stesso Lenin, in cui si dava notizia dell’abbattimento del governo provvisorio guidato da Kerenskij e del passaggio del potere statale «nelle mani dell’organo del Soviet dei deputati operai e soldati di Pietrogrado, il Comitato militare rivoluzionario». L’appello proseguiva: «La causa per la quale il popolo ha lottato, l’immediata proposta di una pace democratica, l’abolizione della grande proprietà fondiaria, il controllo operaio della produzione, la creazione di un governo sovietico, questa causa è assicurata». 

Nei giorni successivi questo programma si sarebbe tradotto in decreti. Non si trattava di un programma estemporaneo. Al contrario, i suoi punti erano stati esposti in dettaglio dallo stesso Lenin in diversi scritti precedenti la Rivoluzione. Dal punto di vista politico, si trattava di rompere il dualismo di potere creato dalla Rivoluzione di febbraio tra governo provvisorio e consigli (soviet) degli operai e dei soldati, dando «tutto il potere ai soviet». Dal punto di vista economico, già nelle Tesi di aprile Lenin aveva affermato: «il nostro compito immediato non è l’“instaurazione” del socialismo, ma per ora, soltanto il passaggio al controllo della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei soviet dei deputati operai». Nel mese di settembre, in La catastrofe imminente e come lottare contro di essa, dopo aver descritto la situazione di collasso economico e militare del paese e denunciato l’incapacità del governo provvisorio di farvi fronte, aveva individuato in quel passaggio, nel «controllo veramente democratico, cioè “dal basso”, il controllo degli operai e dei contadini poveri sui capitalisti», e al tempo stesso nell’accentramento nelle mani dello «Stato democratico rivoluzionario» del potere economico, gli elementi chiave per evitare la catastrofe e procedere verso il socialismo. Di fatto Lenin individuava nel «capitalismo monopolistico di Stato», e in particolare nell’accentramento delle funzioni produttive e distributive nelle mani dello Stato che diversi paesi in guerra – a cominciare dalla Germania – avevano realizzato, un presupposto essenziale per il socialismo. A patto che il potere non fosse più nelle mani dei capitalisti e dei loro rappresentanti: «il capitalismo monopolistico di Stato, in uno Stato veramente democratico rivoluzionario, significa inevitabilmente e immancabilmente un passo, e anche più d’un passo, verso il socialismo!». 

Il 7 novembre stesso il potere fu formalmente consegnato dal comitato militare rivoluzionario nelle mani del II Congresso dei Soviet, che si riuniva proprio quel giorno. Nella stessa sede Lenin lesse un Rapporto sul potere dei Soviet di cui abbiamo un resoconto giornalistico. Il significato della Rivoluzione è ravvisato da Lenin nella creazione di un «governo sovietico […] senza nessuna partecipazione della borghesia. […] Il vecchio apparato statale sarà distrutto dalle radici e sarà creato un nuovo apparato di direzione: organizzazioni sovietiche». Nel suo Rapporto Lenin ribadisce che la Rivoluzione «deve come ultimorisultato condurre alla vittoria del socialismo»: in altri termini, la conquista del potere politico per Lenin non coincide immediatamente con l’instaurazione del socialismo. Quanto ai compiti immediati, è posta in prima linea «la necessità di porre subito fine alla guerra» […]. 

Il primo decreto approvato dal Congresso dei soviet è infatti quello sulla pace. In un testo recente dedicato al 1917 la sua presentazione è così sintetizzata: l’8 novembre «alle 20.40 Lenin sale alla tribuna del Congresso e dà lettura del Decreto N° 1 sulla pace: il governo operaio e contadino, forte dell’appoggio dei soviet, propone a tutti i popoli belligeranti (e poi – ai loro governi!) l’immediato inizio di trattative per una pace giusta e democratica senza annessioni e senza indennità; per la prima volta nella storia, la legittimità dei possessi coloniali e la pratica della diplomazia segreta vengono ufficialmente rigettate, e il governo sovietico, nel proporre un armistizio, si rivolge in particolare agli “operai coscienti delle tre nazioni più progredite dell’umanità” (Francia, Inghilterra, Germania) affinché leghino la lotta per la pace a quella per il socialismo». [1]

Sotto il profilo economico il decreto cruciale è però il secondo, il Decreto sulla terra, approvato dal Congresso dei soviet nella notte tra l’8 e il 9 novembre. Esso prevedeva l’abolizione immediata e senza alcun indennizzo della grande proprietà fondiaria e metteva a disposizione dei comitati contadini e dei soviet distrettuali tutti i possedimenti dei grandi proprietari fondiari e le terre dei conventi, delle chiese e della corona, con il compito di distribuirle ai contadini. Al decreto era annesso il Mandato contadino sulla terra, approvato nell’agosto 1917 da un congresso contadino e frutto di 242 risoluzioni di assemblee contadine, cui veniva così conferito valore di legge. Questo mandato, ispirato dai socialisti-rivoluzionari, era rimasto lettera morta durante il governo provvisorio, di cui pure i socialisti-rivoluzionari facevano parte. Adesso lo realizzavano i bolscevichi, pur non condividendone appieno i contenuti: esso infatti poneva l’accento più su una ripartizione egualitaria della terra che sulla necessità di creare grandi imprese agricole collettive in grado di aumentare la produttività del lavoro agricolo. Questi diversi punti di vista emersero nella discussione del Congresso dei soviet. Alle perplessità di una parte dei bolscevichi Lenin rispose così: «Si sentono qui voci le quali affermano che il mandato e il decreto stesso sono stati elaborati dai socialisti-rivoluzionari. Sia pure. [...] Come governo democratico non potremmo trascurare una decisione delle masse del popolo, anche se non fossimo d’accordo. […] Ci pronunciamo perciò contro qualsiasi emendamento di questo progetto di legge […]. La Russia è grande e le condizioni locali sono diverse. Abbiamo fiducia che i contadini sapranno risolvere meglio di noi, in senso giusto, la questione. La risolvano essi secondo il nostro programma o secondo quello dei socialisti-rivoluzionari: non è questo l’essenziale. L’essenziale è che i contadini abbiano la ferma convinzione che i grandi proprietari fondiari non esistono più nelle campagne, che i contadini risolvano essi stessi tutti i loro problemi, che essi stessi organizzino la loro vita». Ancora nel dicembre del 1917 Lenin ribadirà questo punto di vista: «Ci dicono che siamo contro la socializzazione della terra e che perciò non possiamo metterci d’accordo con i socialisti-rivoluzionari di sinistra. A questo rispondiamo: sì, noi siamo contro la socializzazione della terra come la vogliono i socialisti-rivoluzionari, ma ciò non ci impedisce una onesta alleanza con i socialisti-rivoluzionari di sinistra»: l’obiettivo fondamentale è infatti «la stretta alleanza degli operai e dei contadini». Ancora nel febbraio 1918 la Legge fondamentale sulla socializzazione della terra che sostituì il Decreto avrebbe espresso il prevalere di posizioni riconducibili ai socialisti-rivoluzionari di sinistra. 

Le conseguenze del decreto, dal punto di vista dell’entità della terra redistribuita, furono immense. Anche perché nell’attuazione pratica, demandata a livello locale, si andò oltre le stesse previsioni del mandato: di fatto, la parte del patrimonio agrario sottratta alla distribuzione fu molto inferiore a quella prevista. In media, in tutto il paese, la terra concessa in uso ai contadini passò dal 70 per cento al 96 per cento di tutta l’area coltivata, in Ucraina dal 56 per cento al 96 per cento, mentre in altre regioni arrivò quasi al 100 per cento. Passarono così ai contadini 150 milioni di ettari di terra in tutta la Russia; i contadini furono inoltre liberati da fitti nei confronti dei grandi proprietari fondiari del valore di 700 milioni di rubli all’anno e da un debito di 3 miliardi di rubli nei confronti della Banca dell’Agricoltura; il valore degli attrezzi espropriati si aggirò intorno a 300 milioni di rubli. Non meno importanti le conseguenze in termini di stratificazione sociale nelle campagne: il decreto ridusse la polarizzazione sociale, accrescendo il peso dei contadini medi.

Decisive e immediate furono infine le conseguenze politiche: con il decreto sulla terra la Rivoluzione si conquistò l’appoggio dei contadini, legittimando e incentivando un processo dal basso di esproprio delle grandi proprietà fondiarie già in corso, e accentuò la spaccatura all’interno dei socialisti-rivoluzionari tra la destra, ostile all’esperimento rivoluzionario, e la sinistra, che infatti nel mese di dicembre entrò a far parte del Consiglio dei commissari del popolo vedendosi attribuito tra l’altro proprio il Commissariato all’agricoltura. 

È interessante notare che nel 1924, in un discorso tenuto poche settimane dopo la morte di Lenin, uno dei principali dirigenti bolscevichi, Zinov’ev, individuò tra le principali innovazioni di Lenin alla teoria e prassi rivoluzionarie precisamente «il suo atteggiamento nei confronti dei contadini. Probabilmente fu questa la più grande scoperta di Vladimir Il’ič: l’unione della rivoluzione degli operai con la guerra contadina»; e ancora: «il problema del ruolo dei contadini […] è la questione di fondo del bolscevismo, del leninismo». [2] Convergente la testimonianza dello scrittore russo Maksim Gor’kij, il quale ricorda così i motivi del proprio dissidio con Lenin nell’anno della Rivoluzione, sin dalle Tesi di aprile: «pensai che sacrificasse ai contadini l’esercito sparuto ma eroico degli operai politicamente consapevoli e degli intellettuali sinceramente rivoluzionari. Quest’unica forza attiva sarebbe stata gettata, come una manciata di sale, nell’insipida palude delle campagne e si sarebbe dissolta senza mutare lo spirito, la vita, la storia del popolo russo». Per Gor’kij la politica di Lenin avrebbe insomma assecondato in misura eccessiva i contadini, non tenendo conto della necessità di «sottomettere gli istinti della campagna alla ragione organizzata della città». [3]

Con riferimento a queste prime mosse dei bolscevichi al potere, è utile riproporre il commento di Andrea Graziosi:

“Lenin si mosse con straordinaria risolutezza emanando decreti di forza impressionante, che riunivano il meglio delle tradizioni socialiste, democratiche e persino liberali. Quello sulla pace arrivò solo due ore dopo l’arresto del governo, seguito il giorno stesso da quello sulla terra. Entrambi furono approvati dal Congresso nazionale dei soviet, nella sua prima seduta, assicurando in qualche modo la legittimità del nuovo potere. Il 15 novembre un nuovo decreto proclamava l’uguaglianza e la sovranità dei popoli dell’ex impero, riconoscendone il diritto all’autodeterminazione e alla secessione. Esso fu presto seguito da altri provvedimenti che abolivano la pena di morte […] e introducevano il controllo operaio, nonché misure liberali in materia di previdenza sociale, istruzione ecc. L’impatto fu enorme, sia nel paese, dove queste misure, tanto desiderate, rafforzarono l’appoggio al governo di buona parte delle campagne, dell’esercito e delle minoranze nazionali, sia fuori di esso”. [4]

LEGGI IN FORMATO PDFhttp://www.marx21.it/documenti/giacche_lenin_introduzione.pdf

NOTE

1. G. Carpi, Russia 1917. Un anno rivoluzionario, Carocci, Roma 2017, p. 157.

2. Cit. in A. Nove, An Economic History of the Ussr 1917-1991, Penguin, London 19923, p. 29. Di «unione della “guerra dei contadini” con il movimento operaio», a proposito della Rivoluzione russa, parlò lo stesso Lenin in uno dei suoi ultimi scritti, ricordando che essa era stata ritenuta «una prospettiva possibile» anche da Marx nella Prussia del 1856 (Lenin, Opere complete, vol. XXXIII, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 438).

3. M. Gor’kij, Lenin (1931), a cura di I. Ambrogio, Editori Riuniti, Roma 1975, p. 46.

4. A. Graziosi, L’Urss di Lenin e Stalin, Il mulino, Bologna 2007, p. 93.



=== 3 ===


La Rivoluzione d’Ottobre e i diritti delle donne

10 Giugno 2017

di Margarida Botelho

da “O Militante”, rivista teorica del Partito Comunista Portoghese

Traduzione di Marica Guazzora per Marx21.it

Fu l’Unione Sovietica il primo paese del mondo a mettere in pratica e a sviluppare come nessun altro i diritti  sociali fondamentali come l'uguaglianza dei diritti delle donne e degli uomini nella  famiglia nella vita e nel lavoro, i diritti e la protezione della maternità.  La Rivoluzione d’Ottobre dette un impulso straordinario al conseguimento dei diritti delle donne raggiungendo nel giro di pochi giorni i diritti che nel nostro paese abbiamo messo decenni a raggiungere, ed è servita di esempio e di incoraggiamento per la lotta delle donne in tutto il mondo. Il processo di costruzione del socialismo in URSS ha sempre mantenuto al centro delle sue preoccupazioni l'emancipazione femminile. La scomparsa dell'URSS ha portato a battute d'arresto brutali nelle condizioni di vita delle donne, non solo negli ex territori sovietici, ma a livello internazionale.

Questi fatti non sono ancora noti alla maggior parte delle donne. Fate una semplice esperimento: scrivete su  Google "diritti delle donne", e il primo testo che appare, da Wikipedia, omette qualsiasi riferimento all'URSS. E neppure al  fatto assolutamente indiscutibile che questa  è stata la prima società al mondo in cui tutti,  uomini o donne, analfabeti o laureati di qualsiasi nazionalità o condizione sociale, hanno ottenuto gli stessi diritti.

E ' partendo da questa realtà che questo articolo cerca di  contribuire a fornire  gli  elementi e gli strumenti necessari per la battaglia ideologica scatenata intorno al centenario della Rivoluzione d'Ottobre.

Il contesto

La realtà russa nell'ottobre del 1917 era molto complessa. Da un lato, l'arretratezza secolare del paese, l'incubo della guerra, le enormi disparità sul piano economico, sociale e culturale delle varie repubbliche che costituirono  l'Unione Sovietica. In alcune regioni c’erano rapporti semi-feudali, e il ruolo delle donne era di subordinazione, in particolare nelle regioni dell'Asia centrale, dove le donne facevano parte del "patrimonio" del marito.

D'altro lato, i diritti delle donne e dei bambini erano fin dall'inizio parte integrante  del programma della  rivoluzionari russa. (...) Nel progetto del Programma del Partito Operaio Socialdemocratico della Russia, scritto da Lenin, già erano contenute rivendicazioni quali, ad esempio, il suffragio universale, uguale diritto al lavoro, l'istruzione universale e gratuita. Nel marzo del 1917, dopo la rivoluzione di febbraio,  si tenne a Pietrogrado, il Primo Congresso delle Donne Lavoratrici  dove fu approvato un programma con i diritti e le misure relativi alla tutela della maternità e dell'infanzia, che hanno costituito la base del sistema sovietico in queste aree di intervento .2)

Le prime decisioni

L'esistenza di questo programma aiuta a capire come sia stato possibile avanzare così tanto e così rapidamente. "Il primo stato socialista del mondo, fin dai  primi giorni di esistenza, abolì tutte le leggi che discriminavano le donne nella famiglia e nella società. Nel 1919, dopo soli due anni, Lenin richiamò  l'attenzione che in questo breve periodo di tempo "il potere sovietico, in  uno dei paesi più arretrati d'Europa, ha fatto di più per la liberazione della donna e l'uguaglianza con il sesso" forte " di ciò che è stato fatto in 130 anni sommando tutte le repubbliche progressiste, istruite e “democratiche” nel mondo". 3)

In data 8 novembre 1917, il decreto della Pace e della Terra stabilì che l'uso della terra era concesso a tutti i cittadini, senza distinzione di sesso.

In data 11 novembre, fu approvato il decreto che sancì otto ore di lavoro giornaliero, con pause per la refezione, un giorno fisso di riposo settimanale, il diritto alle ferie retribuite e il divieto di lavoro al di sotto dei 14 anni. Lo stesso giorno, fu anche approvato il decreto della Sicurezza Sociale, che forniva la protezione per le malattie,  per   la vecchiaia, il parto, la vedovanza, ecc.  Due giorni dopo, la prima ministro donna al mondo assunse la carica di Commissario del Popolo per la Sicurezza Sociale. Il suo nome era Alexandra Kollontai e qualche tempo dopo sarebbe diventata anche la prima ambasciatrice donna del mondo (nel 1922, in Svezia).

Il 31 dicembre fu approvato il decreto che introdusse il matrimonio civile - che divenne l’unico  riconosciuto dalla legge -  si legalizzò  il divorzio e si concluse la distinzione tra figli legittimi e illegittimi.

Nel mese di dicembre 1918, fu pubblicato il Codice del Lavoro. Abolì diverse discriminazioni(fine della restrizione alle professioni basate sul sesso, vietato il licenziamento delle donne in gravidanza e  stabilì, tra l’altro,  la parità di retribuzione a parità di lavoro) e fornì le condizioni di sostegno alle famiglie che volevano incoraggiare le donne a lavorare ed intervenire socialmente. (ostetriche, infermiere ecc.).

Le donne lavoratrici

Con la rivoluzione fu promossa  l'idea che l'ingresso delle donne nel mercato del lavoro è  un elemento chiave per la loro emancipazione. In URSS il numero delle  donne lavoratrici è aumentato  nel corso degli anni. Nel 1975, le donne erano il 51% dei lavoratori, tre volte e mezzo in più rispetto al 1940. 4)

La specificità del lavoro delle donne fu protetto, prevedendo un'età di pensionamento anticipato rispetto agli uomini (55 per le donne, 60 per gli uomini), e anche  la riforma di alcuni settori (50 per le donne del settore industria , 45 a radiologia, ospedalieri  e alcune professioni del teatro) .5)

Prima della Rivoluzione d'Ottobre, il tasso di analfabetismo femminile era l’83%. Il salto fu enorme: nel 1986, le donne erano il 59% delle persone con   istruzione superiore e secondaria specializzata, circa il 50% degli ingegneri industriali e del settore agricolo, il 30% dei giudici, tre medici su quattro .6)

Sostegno alla maternità e all’infanzia

Quattro mesi di gravidanza e congedo di maternità, con stipendio pieno, con la possibilità di soggiornare fino a un anno a casa con il bambino con il lavoro salvaguardato, lavoro più leggero al termine della gravidanza, furono diritti  conquistati fin dal  1918.

Il benessere delle donne meritava costante ricerca. La contraccezione era gratuita. Il cosiddetto "parto indolore" - il metodo psico-profilattico – nacque in URSS, essendo stato introdotto nel mondo accademico sovietico nel 1949 da un gruppo di ostetrici e psichiatri. Fu divulgato nel resto del mondo a partire dal 1952, dopo che il famoso francese Lamaze fece uno stage in URSS e tornò a Parigi.

L'allattamento al seno fu accuratamente protetto. il Codice del Lavoro del 1918 prevedeva che durante il primo anno di vita del bambino, e per tutto il periodo dell’allattamento, la mamma avesse diritto a 30 minuti di tempo ogni tre ore per nutrire il piccolo.

Almeno dagli anni ’50 esistevano banche del latte materno in tutto il paese che garantivano alle donne che per qualsiasi ragione non potevano allattare i figli, il cibo più completo che i bimbi possano avere. Il carattere innovativo di questa misura è ben significativo se ricordiamo che la prima banca del latte umano in Portogallo è nata in via sperimentale nel 2009 e ha ancora una portata molto limitata.

Lo Stato sovietico sviluppò una rete di infrastrutture di supporto e protezione dei bambini, in particolare asili nido e giardini d’infanzia con orari adatti sia al lavoro in turni  che  al lavoro di carattere stagionale. Queste strutture esistevano sia nelle università che nella maggior parte delle aziende. Ma esistevano anche colonie estive, villaggi turistici infantili, case dei pionieri, ecc.

Una esperienza brillante: la legalizzazione dell’aborto in Urss 7)

Nel 1920 di fronte alla disastrose conseguenze dell’aborto clandestino (la metà delle donne soffriva di infezioni successive e ne moriva il 4%,  nonostante fin dal 1918 fosse introdotto un congedo di tre settimane con salario intero in caso di aborto spontaneo o indotto) il governo sovietico legalizzò l’aborto in ospedale pubblicando un decreto per “proteggere la salute delle donne e che il metodo repressivo in questo  campo non raggiunge questo obiettivo”. I risultati furono positivi e non ci furono morti o infezioni a seguito di aborti effettuati nei servizi pubblici, e a partire dal 1925 una diminuzione di mortalità infantile e un aumento del tasso di natalità.

Nel 1937 questa normativa cambiò radicalmente. Il Consiglio dei Commissari del CEC del Popolo dell ‘URSS dopo un’ampia discussione popolare del progetto di legge, durata quasi un anno, decise di proibire la pratica dell’aborto tranne che per quello terapeutico stabilendo una “critica sociale” alle donne che lo praticassero infrangendo la legge, anche con la prigione,  poiché la stessa legge  presupponeva che le mutate condizioni economiche e sociali potessero essere considerate come il culmine di tutta la lunga e tenace lotta contro l’aborto condotta fin dal 1920.

Partecipazione politica

Nel 1974 il 31% dei componenti del Soviet Supremo era costituito da donne, il 36% nei Soviet Supremi delle Repubbliche Federate e Autonome e il 47% nei Soviet locali.  8)

A dimostrazione che esiste una rapporto intimo tra ideologia e partecipazione e che i diritti non sono garantiti per sempre occorre registrare il fatto che nelle prime elezioni chiamate “libere”  dopo la sconfitta del socialismo nei paesi dell’ex URSS la presenza delle donne elette nei parlamenti nazionali fu compresa tra il 3,5 e il 20%. 9)

Le faccende domestiche

"Non soddisfatto dall’eguaglianza formale delle donne, il Partito lotta per liberare le donne da ogni responsabilità  domestica obsoleta, sostituendola con case comunali, mense pubbliche, lavanderie pubbliche, asili nido, ecc" - si legge nel programma politico del Partito Comunista Russo (bolscevico),  approvato nel suo 8 ° Congresso nel 1918.   10)

Non  si dispone di dati sistematici sul grado di raggiungimento di questi obiettivi, ma è noto che ci furono diverse agevolazioni a prezzi molto bassi in mense, lavanderie, laboratori, etc.

Nonostante i progressi, nel 1975  in un'edizione speciale della rivista "La vita sovietica, dedicata all'anno internazionale della donna” , fu presentato uno studio sociologico che dichiarava che" intervistato circa il 60% delle  lavoratrici  di diverse città, queste risposero  che facevano  i lavori di casa, senza l'aiuto dei loro mariti. " 11)

Nella Conferenza del Partito Comunista Portoghese su 'Emancipazione delle donne in Portogallo di Aprile', il testo finale considerava  a questo proposito che "non scompaiono improvvisamente i pregiudizi sulle donne, e la loro emancipazione  non si verifica automaticamente con i nuovi rapporti di produzione." 12)

Le donne e la guerra

La  drammatica dimensione della perdita di vite umane durante la Seconda guerra mondiale, che ha ucciso 20 milioni di sovietici, naturalmente ebbe conseguenze nella composizione demografica della società. Durante la guerra le donne presero i posti resi vacanti dagli uomini che andarono ai fronti di battaglia, e dopo la guerra il loro lavoro continuò ad essere essenziale per la produzione e lo sviluppo economico.

Ma le donne sovietiche parteciparono anche in prima persona alla guerra. Il servizio militare fu aperto alle donne nel 1939. Si stima che più di 800.000  donne parteciparono  direttamente ad azioni di battaglia e di guerriglia, e furono la metà dei medici distaccati al fronte. Sono famosi i reggimenti aerei  con esclusivamente tiratori di sesso femminile, in particolare, il 46esimo Reggimento  di bombardamento in picchiata, che cominciò ad operare nel 1941, e per  la cui efficacia guadagnò da parte dell'esercito nazista, l'epiteto di "Streghe della notte". Va notato a questo proposito che la prima volta che la Forza Aerea portoghese ha accettato una donna nel corso di aviatore pilota è stato nel 1988 e la prima donna pilota sui caccia americani  si è laureata nel 1994.

★★★

Pubblicizzare le conquiste delle donne nel contesto della Rivoluzione d'Ottobre non ha solo interesse storico. Conoscere i diritti ottenuti e la lotta condotta per confermare e approfondire, valutare gli aspetti chiave di questi successi, come ad esempio la preparazione delle forze di classe e la questione dello Stato, imparare dalle esperienze e dai limiti che si sono verificati, riflettere su per  quanto tempo certe mentalità si perpetuano nelle società, sono tutti elementi che dobbiamo prendere in considerazione e continuare ad approfondire. Perché anche per quanto riguarda l'emancipazione femminile, il socialismo è davvero una esigenza del presente e del futuro.

Note

(1) Risoluzione del Comitato Centrale del PCP  "Centenario della Rivoluzione d'Ottobre - il socialismo, la domanda di oggi e di domani", del  17 e 18 settembre 2016.
(2) Manuela Pires, "La rivoluzione  e i diritti delle donne  in 'Vertex', 137 / novembre-dicembre 2007, p. 54.
(3) "Emancipazione delle Donne in Portogallo di Aprile" - Conferenza del PCP 15 novembre 1986, pag. 12.
(4) "Donne: diritti pari all'uomo," intervista con Lydia Líkova, in "La vita sovietica", anno 1, n ° 6/7 - Ottobre / Novembre 1975, pp. 10-11.
(5) Idem.
(6) Álvaro Cunhal, intervento di chiusura in  "Emancipazione delle donne in Portogallo di Aprile" - Conferenza PCP, pag. 67.
(7) Titolo del  capitolo dedicato alla realtà in URSS nel "L'aborto - cause e soluzioni», Álvaro Cunhal, pp. 87-93. Tutte le informazioni e citazioni su questo punto sono di  questa fonte.
(8) La donna in Unione Sovietica: Alcuni dati, in "La vita sovietica", anno 1, n ° 1, maggio 1975, pag. 21.
(9) Conceição Morais nel Forum PCP sulla "Situazione delle donne alle soglie del XXI secolo", 23 gennaio, 1999, p. 94.
(10) Manuela Pires articolo citato.
(11) "Orizzonti famigliari," articolo di Anatoly Khártchev, in "La vita sovietica", anno 1, n ° 6/7 - Ottobre / Novembre 1975, pp. 22-23.
(12) "Emancipazione delle Donne in Portogallo di Aprile" -  Conferenza del PCP, pag. 13.
(13) Manuela Pires articolo citato , p. 66.

I soviet delle donne

"La nuova morale sovietica si affermò  a fatica nella vita, nella coscienza delle persone. In queste condizioni, i Soviet delle donne costituirono un potente e al tempo stesso penetrante  strumento, con l'aiuto del quale è stato possibile eliminare i costumi secolari in un tempo relativamente breve (10-15 anni circa).”

Uno degli abitanti di Ianguiiul (città Uzbekistan), contemporaneo di questi eventi, ci disse  che le  prime attiviste dei Soviet furono donne russe espressamente inviate dal Partito Comunista, per aiutare i loro compagni uzbeki, tagiki, kirghizi, turkmeni. Dirigevano i gruppi di alfabetizzazione, indirizzavano le donne  all'attività sociale, alla partecipare alla produzione, e svilupparono una grande attività per far  acquisire agli uomini  la consapevolezza della necessità di porre fine ai vecchi metodi,  per far loro  capire che le  donne dovevano avere gli stessi diritti degli uomini.

 "Nel nostro paese (...) le donne organizzarono dei corsi di cassiera. Quando iniziarono a lavorare nei negozi, molte persone si riunirono a vedere perché non credevano che le donne  potessero essere in grado di misurare e pesare con precisione una merce o di contare i soldi. Attualmente ci sono nelle nostre città centinaia di medici, insegnanti, ingegneri."

(Estratto da Tatiana Sinitsina storia, "La vita sovietica", anno 1, n ° 6/7 -. Ottobre / novembre 1975. 26 p).






Decodex : Michel Collon expose les médiamensonges du Monde

Source: Investig’Action
23 Jun 2017 – MICHEL COLLON / ERIC PAUPORTÉ

« N’écoutez pas Michel Collon ! Ne lisez pas Investig’Action ! » Lancé par Le Monde, le DECODEX prétend vous dire ce que vous devez lire et ce que vous devez boycotter !

Petit problème : pour donner un carton rouge à Michel Collon, Le Monde se base sur deux médiamensonges gros comme des camions ! Michel Collon le démontre ici et lance un défi à ces « journalistes » : oserez-vous débattre ?

Investig’Action dépose plainte contre Le Monde : défendez le droit à une info indépendante en finançant le procès, merci !



Decodex : Michel Collon expose les médiamensonges du Monde (Investig'Action - Michel Collon, 23 giu 2017)
Investig’Action dépose plainte contre Le Monde : défendez le droit à une info indépendante en finançant le procès, merci !

DONATION PONCTUELLE 
SOUTENEZ NOTRE PROCÈS CONTRE LES ATTAQUES DU MONDE ! 
Sur base de calomnies, Le Monde prétend empêcher les internautes de lire Michel Collon et Investig'Action. Nous avons déposé plainte. Défendez le droit à une info indépendante en finançant le procès, merci!




AMPIO SOSTEGNO DALL'ITALIA AL TERRORISMO IN VENEZUELA


Venezuela: quando per i media il terrorista è un "eroe"
(di Francesco Santoianni,  29 giu 2017)

VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=58Zw2aWq1og




[Ripetiamo l'invio di questo post poiché la versione precedente risultava in parte illeggibile a causa di un problema tecnico. Ce ne scusiamo con gli iscritti a JUGOINFO]

Rom e pogrom

1) Pogrom in Kosmet
– Sono nata in Kosovo e sono rom...

2) Pogrom a Roma
– “I media smettano di parlare di clan o faide tra rom”. Parla lo zio delle bambine uccise (di Graziano Halilovic)
– L’orrenda strage di Centocelle: finalmente la sinistra si mobilita (di Annamaria Rivera)
– Cambiare subito le politiche rivolte a Rom, Sinti e Caminanti. Appello per commissione d’inchiesta
– Rogo di Centocelle. La pista rom si arena sull’alibi. Le altre dove sono?

3) Torino. A un passo dal pogrom


=== 1: Pogrom in Kosmet ===

da FuoriBinario (Firenze) n.190, Maggio 2017, p.15

Sono nata in Kosovo e sono rom...

Sono nata in Kosovo e sono rom, ho frequentato la scuola per alcuni anni, poi ho conosciuto un giovane e mi sono sposata, avevo 15 anni. Sono nata in una famiglia cristiano-ortodossa, poi mi sono avvicinata alla religione musulmana che è la religione di mio marito. Tito, il presidente jugoslavo, è morto nel 1980, quando c'era Tito la vita per i rom in Jugoslavia era buona, c'erano giornali, radio e televisioni in lingua rom, si trovava lavoro, avevamo le case e frequentavamo le scuole. Dal 1982 la situazione generale è iniziata a peggiorare, io lavoravo all'ospedale, facevo le pulizie, aiutavo in cucina, ma mio marito aveva difficoltà a trovare lavoro, così ha deciso di partire per l'Italia per cercare lavoro ed è arrivato a Firenze, era il 1988, ogni tre o quattro mesi mio marito tornava a trovarci, abbiamo avuto quattro figli, un ragazzo e tre ragazze, io vivevo con i miei figli e con la madre ed un fratello di mio marito. Era un grande sacrificio stare per lungo tempo senza mio marito, ma i soldi che guadagnava in Italia servivano per la nostra famiglia in Kosovo, io continuavo a lavorare all'ospedale e in questi anni siamo riusciti a costruire una nuova grande casa ed è venuto a stare con noi anche un altro fratello di mio marito con la sua famiglia.
A marzo del 1999, una sera hanno fatto un appello al telegiornale delle 20: "Preparate un po' di bagagli, qualcosa per mangiare e cercate di nascondervi, se avete la possibilità di usare una cantina o salite in montagna." Noi siamo andati tutti da un nostro parente che aveva una grande cantina ed eravamo circa 70 persone. Sono iniziati i terribili bombardamenti (24 marzo 1999), quando suonava l'allarme noi si correva in questa cantina sotto la casa, i bambini piangevano a sentire questi grandi scoppi. Eravamo spesso senza luce e con il passare dei giorni era sempre più difficile trovare da mangiare. Poi gli albanesi dell'UCK sono venuti a casa col viso coperto e con le armi, hanno portato via tutto quello che poteva avere un valore e poi ci hanno costretto a scappare minacciando che avrebbero ucciso i bambini. Siamo riusciti a trovare dei posti su un autobus e ci siamo rifugiati in una cittadina serba, abbiamo trovato una casa in affitto. Ma dopo poco dovevo tornare a lavorare in ospedale così sono ritornata con i miei figli nella nostra casa a Pristina in Kosovo. Il 10 giugno del 1999, dopo 78 giorni, i bombardamenti si sono fermati e si pensava finalmente di avere un po' di pace, invece sono venuti di nuovo quelli dell'UCK, erano persone che conoscevamo bene, abitavano vicino a noi, prima si può dire che eravamo come amici, sono arrivati armati, hanno picchiato mia suocera, anche io sono stata ferita, volevano uccidere mio figlio ed hanno anche dato fuoco alla nostra casa così siamo stati costretti a scappare di nuovo, in quei giorni tante famiglie rom, serbe, ecc sono dovute scappare ed hanno perso le loro case.
Siamo scappati a Belgrado, abbiamo vissuto in una palestra, eravamo tante famiglie rom. Volevamo raggiungere l'Italia, ma ci volevano molti soldi, verso metà agosto si pensava di prendere un traghetto, ma proprio in quei giorni un traghetto carico di rom del Kosovo affondò vicino alle coste del Montenegro e morirono 115 persone, si salvò solo un giovane. Così noi si decise di aspettare ancora e cercare di trovare i soldi (migliaia di euro) per poter arrivare in Italia via terra. Finalmente nel mese di ottobre del 2001 siamo riusciti ad arrivare a Firenze.


(testimonianza raccolta da Paola Cecchi)


=== 2: Pogrom a Roma ===

Sulla strage di Centocelle si vedano anche:

Roma. Centocelle reagisce al rogo omicida (di Redazione Contropiano, 11 maggio 2017)
Ieri pomeriggio decine di persone si sono recate al parcheggio del centro commerciale Primavera dove è stato bruciato il camper e sono state uccise una ragazza e due bambine di una famiglia rom. Poco dopo un corteo si è composto su viale della Primavera aperto dallo striscione "Centocelle antirazzista". Per sabato prossimo alle 16.00 è stato convocato un corteo nel quartiere. 

Rogo di Centocelle. Tragedie Rom e dell’informazione (di Alberto Tarozzi, 3 giugno 2017)
... a Torino, sette anni fa, i rom musulmani chiedono l’apartheid nei pulmini che portano i bambini a scuola, per non mescolarsi ai rom ortodossi. In effetti, su quel pulmino, erano risse quotidiane. Poi a Roma, quel che nessuno ricorda, nel 2013, a Castel Romano, rom serbi di una piccola comunità che scappano per sfuggire alle aggressioni continue dei rom bosniaco musulmani, che sono la grande maggioranza...

---


Roma. “I media smettano di parlare di clan o faide tra rom”. Parla lo zio delle bambine uccise


di Redazione Roma, 12 maggio 2017

Graziano Halilovic, lo zio delle bambine rom bruciate vive nel rogo del camper in cui dormivano a Centocelle, ha diffuso pubblicamente un comunicato che riproduciamo qui di seguito integralmente e consigliamo di leggere con grande attenzione:


Sono Graziano Halilovic, cugino di Romano Halilovic e zio di Francesca, Angelica ed Elisabeth,
Qualcuno, un mostro, ha bruciato vive tre bambine nel sonno, con una bottiglia incendiaria che ha trasformato in un rogo il camper di Romano, l’altra notte, a Centocelle, in un parcheggio pubblico, dove stazionavano senza disturbare nessuno.
Non sappiamo chi sia stato potrebbe essere stato chiunque: un rom, un gagiò, un giornalista per fare notizia, un razzista per odio, un italiano o uno straniero….
Un mostro, di certo, che ha commesso un crimine orribile, imperdonabile e disumano, che ha visto dei genitori assistere inermi alla morte dei figli bruciati dal fuoco.
Il punto è che non sappiamo chi sia stato e non possiamo usare la fragilità e il dolore del momento per individuare un colpevole prima che le indagini facciano il loro corso.
Confido che le forze dell’ordine svolgano le indagini senza farsi influenzare da pregiudizi razziali e riescano a dare un nome e un volto al colpevole.
Ma fino ad allora chiedo agli attivisti rom e non rom, alla società civile, a tutte le organizzazioni e ong dei diritti umani, ai politici italiani ed europei di intervenire sui media affinché nel rispetto del dolore della famiglia e nel rispetto delle vittime e della comunità rom, vengano diffidati ad utilizzare termini diffamatori, parlando di “clan” e di “faide tra rom”, associando così la comunità rom ancora una volta a termini che richiamano la criminalità organizzata, finché le indagini di chi ne ha la competenza non porteranno alla luce la verità.
Non sappiamo al momento se il colpevole sia un rom, un italiano, uno straniero, un giornalista o di quale ideologia politica sia. Fare delle illazioni a riguardo, cercando di coinvolgere un’intera comunità, è un gioco inutile e irrispettoso nei confronti dei rom che colpisce la famiglia delle vittime due volte: prima nella irrimediabile perdita e poi nella continua discriminazione.
Voglio ringraziare Papa Francesco, il Presidente della Repubblica Mattarella, il Pontificio Romano e il Vescovo Don Paolo LoJudice, la Comunità di Sant’Egidio, i cittadini di Centocelle e tutti coloro, politici e cittadini italiani, che hanno espresso solidarietà alla famiglia di Romano in questo momento di insuperabile dolore.
Questo è il momento della preghiera e del silenzio, e non della strumentalizzazione per fini diversi di quanto è accaduto: dobbiamo stare vicini a Romano, a Mela e ai loro figli superstiti, e rispettare il loro lutto.
Grazie

Graziano Halilovic


---


L’orrenda strage di Centocelle: finalmente la sinistra si mobilita


di Annamaria Rivera*

Chiunque sia l’assassino che nella notte fra il 9 e il 10 maggio scorsi ha ridotto in cenere i poveri corpi di Francesca, Angelica ed Elisabeth, è indubbio che quest’atto atroce sia stato favorito dalla marginalità, dalla stigmatizzazione, dalla condizione di povertà estrema inflitte a una parte della diaspora rom: tali da costringere una famiglia di tredici persone a stiparsi in un camper parcheggiato in un’area della borgata romana di Centocelle.  

Non potrebbe essere più surreale il contrasto fra una tale condizione miserabile e il luogo in cui si è consumato il rogo delittuoso: il parcheggio di un grande centro commerciale, freddo e anonimo anche nella struttura, concepita come una sorta di tempio del consumismo. Eppure, allorché, dopo un lungo percorso, vi è approdato il folto corteo del 13 maggio scorso – che rivendicava verità e giustizia per le tre sventurate sorelle di quattro, otto e venti anni –  gli slogan e gli interventi al microfono si sono spenti d’un tratto, soverchiati da una commozione corale intensa e palpabile. 

In realtà, l’intero corteo si è caratterizzato non solo per radicalità e chiarezza politiche, ma anche per empatia e autentica indignazione. A conferirgli questo tono ha contribuito la presenza di una molteplicità di soggetti: dalle femministe di “Non una di meno” alla locale sezione dell’Anpi, dai partiti della sinistra ai centri sociali, dai rappresentanti di alcune associazioni rom al movimento per il diritto all’abitare, fino agli insegnanti e ai genitori dell’Istituto di via  Ferraironi, che comprende scuole primarie decisamente all’avanguardia quali la “Iqbal Masiq” e la “Romolo Balzani”. Il giorno prima ben settecento bambini, accompagnati dalle/dagli insegnanti, avevano raggiunto il luogo della strage a recare fiori e disegni. 

Nonostante il processo di gentrificazione, Centocelle conserva tracce di memoria e retaggi concreti della sua storia di borgata “rossa”: ricordo che, insieme al Quarticciolo e al Quadraro, la borgata fu focolaio decisivo della Resistenza romana – cosa pagata con deportazioni e fucilazioni– e, più tardi, fu anche nodo importante dei movimenti degli anni ’70. Di una tale storia è erede la rete di presidî democratici e antirazzisti presente nel quartiere. E’ anzitutto questa – mi sembra – ad aver permesso la riuscita del corteo e ad aver sventato il rischio che prevalesse, anche in un caso così tragico, l’ormai consueto sussulto di razzismo popolare: in realtà, spesso aizzato e organizzato da qualche Casa Pound o Forza Nuova, nondimeno fatto passare per “guerra tra poveri”. 

D’altra parte, nel corso degli anni recenti, la sinistra, anche quella detta alternativa, non si era certo contraddistinta per attivismo in favore dei diritti dei rom, se non in qualche occasione e soprattutto per merito dell’associazionismo antirazzista. Né valse a mobilitarla la morte atroce di quattro bambini nel 2011: anch’essi morti carbonizzati da un incendio, quella volta scoppiato nel campo-rom di Tor Fiscale, sull’Appia Nuova.  

Per dire di quali pregiudizi alberghino anche nelle nostre file, basta un piccolo esempio: tre giorni dopo l’orrendo attentato di Centocelle, su una testata online d’estrema sinistra qualcuno – evitando il più piccolo cenno alla strage – scriveva dei rom come di “un’etnia i cui usi e costumi non consentono l’integrazione nel tessuto civile”.  

A mia memoria, la mobilitazione di sinistra più ampia ed efficace risale al 2008. Allorché il ministro dell’interno Maroni predispose la schedatura di massa dei rom, con prelievo forzoso delle impronte digitali anche ai bambini: un provvedimento simile alle schedature razziste dei regimi nazifascisti, finalizzate a costruire archivi per l’individuazione, segregazione, concentramento, deportazione delle minoranze. Fu per merito di tale mobilitazione, oltre che per le condanne anche da parte d’istituzioni internazionali, che Maroni e il sindaco Alemanno furono costretti a fare qualche passo indietro.

Al di là di questa piccola vittoria, nulla è cambiato, a Roma e altrove, nella condizione dei rom in emergenza abitativa. Ricordo che, se in Italia la popolazione di rom e sinti conta al massimo 180mila persone – delle quali almeno 70mila sono di cittadinanza italiana – appena 28mila sono quelle che vivono in baraccopoli istituzionali o in insediamenti informali: cifra che corrisponde a uno scarso 0,05% della popolazione italiana. 

Sebbene così esiguo sia il numero dei casi che occorrerebbe risolvere con politiche abitative adeguate, si perpetuano la logica del famigerato Piano nomadi, la politica degli sgomberi forzati – talvolta violenti – dei campi “abusivi”, l’esclusione dall’edilizia residenziale pubblica, la repressione di attività informali, uniche possibili fonti di reddito. In realtà, i campi rappresentano il dispositivo con cui si compie, in modo estremo ed esemplare, il processo di allontanamento spaziale e simbolico dalla società e dalla civitas di persone reputate ed etichettate come altre, dunque indesiderabili per eccellenza. 

Per non dire che tuttora insoddisfatte restano le rivendicazioni contenute in una proposta di legge, a sua volta modellata su una d’iniziativa popolare: il riconoscimento quale minoranza storico-linguistica, in rispetto degli articoli 3 e 6 della Costituzione; l’incentivo e la tutela delle associazioni costituite da rom e sinti; il diritto di vivere dignitosamente e secondo il modo liberamente scelto, che sia la sedentarietà o l’itineranza. 

Su un numero così esiguo di persone si addensa il massimo non solo di stigmatizzazione, ma anche di valenza simbolica. Quest’ultima vale anche in un altro senso: la legge del 18 aprile 2017, n. 48, in materia di sicurezza urbana, con cui s’intende sorvegliare, criminalizzare e punire la marginalità, la povertà, ma anche la non-conformità sociale, colpirà, sì, in primo luogo i rom, ma pure chiunque si sottragga alla “norma” sociale. Non foss’altro che per questo, tutti/e noi dovremmo sentircene coinvolti/e.  


Versione ampliata dell’articolo pubblicato dal manifesto il 17 maggio 2017

(18 maggio 2017)

---


Cambiare subito le politiche rivolte a Rom, Sinti e Caminanti. Appello per commissione d’inchiesta

Pubblicato il 19 mag 2017

Gentile Presidente della Camera dei deputati dott. Laura Boldrini,
alla luce dell’ennesima, orribile tragedia di cui sono rimaste vittime tre ragazze rom nella Capitale, i cui contorni si fanno purtroppo sempre più nebulosi, ci rivolgiamo a lei per chiedere alle istituzioni un drastico e fattivo cambiamento nelle politiche rivolte alla minoranza rom, sinti e caminanti.
 Gli esiti delle azioni intraprese, in primis a Roma, negli ultimi trent’anni con la creazione dei campi nomadi e le trame sorte intorno ad essi sono drammaticamente esemplificati non soltanto dalle verità emerse con la “Operazione Mondo di Mezzo” ma, a nostro avviso, anche dalla strage appena avvenuta.
 Il 25 luglio dello scorso anno l’on. Giovanna Martelli ha presentato in qualità di prima firmataria la proposta di istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare sull’allestimento, la gestione e la manutenzione dei campi nomadi nel territorio di Roma Capitale.
 Il testo, che riprende la denuncia sporta da Marco Pannella nei confronti del Comune per discriminazione razziale verso i Rom e i Sinti, sottolinea la necessità della massima attenzione da parte del Parlamento sul legame tra criminalità organizzata e violazioni dei diritti umani fondamentali. All’origine della inchiesta della Procura che ha messo in risalto questo preoccupante legame, un “sistema-campi” che a tutt’oggi è ancora in piedi, con l’odioso carico di segregazione e speculazione che porta con sé. 

 

Ora, non si può trascurare il fatto che la corruzione connessa all’esclusione sociale, col tempo, non può che sollecitare le peggiori pulsioni: un rischio che non si scongiurerà né col populismo né con la demagogia, che possono unicamente, semmai, affrettarne l’esplosione. Riteniamo inoltre che lo scandalo noto come “Mafia Capitale” sia, purtroppo, un pezzo di storia del nostro paese di cui non è sufficiente vergognarsi, che non può essere cancellato con la retorica o con la speranza in un cambiamento possibile.
 Al contrario, abbiamo l’obbligo di far emergere la verità su questo pezzo di storia, calendarizzando la proposta d’inchiesta parlamentare affinché le istituzioni stesse siano investite di questo compito.
 Un passo che, a nostro avviso, il Parlamento deve non solo ai cittadini rom né unicamente ai romani, ma a tutti gli italiani che hanno il diritto di conoscere tanto le responsabilità quanto i meccanismi che hanno reso possibile “Mafia Capitale”. Senza questo passo, è inutile parlare di superamento dei campi, che resteranno dove sono fino a quando le istituzioni non vorranno assumersi le proprie responsabilità.
 Per questo ci rivolgiamo a lei e le chiediamo di calendarizzare la proposta dell’on. Martelli, confidando nella sua sensibilità e volontà di opporsi al razzismo, alla speculazione e alla corruzione. Se la Camera si esprimerà sulla necessità di un’inchiesta romperà un silenzio assordante anzitutto su un fatto inaccettabile: i contribuenti hanno pagato per mantenere un sistema di segregazione razziale, rendendosi complici di una serie di reati.
 E su questo le istituzioni devono, pena una irrimediabile perdita di credibilità, indagare e cercare di fornire risposte.

 

Maurizio Acerbosegretario nazionale di Rifondazione Comunista
Samir Alijaattivista e mediatore culturale
Carmine Amorosoregista e scrittore
Laura Arcontipresidente di Amnistia Giustizia e Libertà
Nedzat Beganajmembro di Alleanza Romani e Nazione Rom
Federica Benguardatotesoriera di Amnistia Giustizia e Libertà
Marco Brazzoduropresidente di Cittadinanza e Minoranze
Gianni Carbottico-autore di “Dragan aveva ragione”
Francesca Daneseex assessora alle politiche sociali di Roma Capitale
Vincenzo Di Nannasegretario di Amnistia Giustizia e Libertà
Saska Jovanovic Fetahicoordinatrice Romni Onlus, presidente RoWNI 
Camillo Maffiaco-autore di “Dragan aveva ragione”
Moni Ovadiaattore e scrittore
Dijana Pavlovicattrice e attivista
Giuseppe Rippadirettore di Agenzia Radicale e Quaderni Radicali
Marcello Zuinisilegale rappresentante dell’Associazione Nazione Rom

---

http://contropiano.org/altro/2017/06/14/rogo-centocelle-la-pista-rom-si-arena-sullalibi-le-092894

Rogo di Centocelle. La pista rom si arena sull’alibi. Le altre dove sono?

di F.R., 14 giugno 2017

Seif Seferovic è il giovane rom accusato del rogo del camper di Centocelle in cui morirono bruciate vive tre sorelle, di cui due bambine. Quasi subito si parlò di lui come l’autore dell’orribile omicidio. Lo stesso Seferovic lo apprese leggendo il giornale, ragione per cui si affrettò a chiedere informazioni in Procura tramite il suo avvocato Gianluca Nicolini rendendosi disponibile ad essere interrogato. Dalla sua aveva un alibi a prova di bomba: la notte del rogo di Centocelle stava dormendo in un autogrill lungo l’autostrada Roma-Civitavecchia ed era stato identificato proprio dalla polizia che poi lo aveva pure fermato. 

Per precauzione si era allontanato dal campo rom di Salviati dove viveva, (zona Tor Sapienza, periferia Est di Roma). L’idea molto probabilmente era quella di rifugiarsi all’estero. Poi però si fece trovare a Torino, dove aveva dato appuntamento alla sua compagna che però era stata pedinata dalla polizia, la quale ha arrestato Seferovic con l’accusa del rogo omicida di Centocelle.
Gli investigatori della Capitale restano convinti che sia stato Seferovic a lanciare la molotov omicida la notte del 10 maggio. 

Seferovic però si professa innocente e deve rispondere di omicidio plurimo, tentato omicidio (nel camper quella notte c’erano tutti e 13 i componenti della famiglia Halilovic), detenzione, porto e utilizzo d’arma da guerra e incendio doloso. Il 6 giugno c’è stato il primo accertamento tecnico irripetibile sulle impronte lasciate sui frammenti della bottiglia.  Seferovic è stato scarcerato e non ha dovuto partecipare di persona all’accertamento. Al momento è rimasto a Torino e, secondo il suo legale, è perfettamente reperibile.

Il provvedimento con cui il Gip di Torino ha convalidato il fermo di Seferovic ma non ha disposto alcuna misura cautelare potrebbe essere impugnato dalla Procura di Roma. I magistrati romani stanno infatti valutando l’ordinanza emessa dalla Procura torinese e non è escluso che possano impugnare il provvedimento davanti al Tribunale del riesame. Ma a otto giorni dall’accertamento tecnico ancora non se ne sa nulla.

Forse è venuto il momento di riporre la stessa domanda che ponemmo il giorno stesso del rogo omicida di Centocelle.

a) Gli investigatori sulla base delle dichiarazioni del padre delle bambine uccise indicarono subito la pista della “faida tra rom”, anzi la indicarono come l’unica pista investigativa. Alla luce di quanto emerso successivamente – incluso l’alibi di ferro di Seferovic rappresentato dai funzionari di polizia che lo hanno identificato e fermato in un luogo distante dal rogo di Centocelle – questa pista può essere ancora considerata l’unica da percorrere oppure si può cominciare a guardare alle indagini con una visione più ampia e non a senso unico?


=== 3 ===


Torino. A un passo dal pogrom

di Patrizia Buffa, 9 giugno 2017

Porrajmos, il grande divoramento, lo sterminio degli zingari: una parola che non dovremmo mai dimenticare, ma che non abbiamo mai voluto ricordare.

Al grido di “vi uccidiamo”, “siete animali”, “vi cacceremo via”, due giorni fa, il 6 giugno, i comitati anti-rom hanno manifestato a ridosso del campo nomadi di Strada dell’Aeroporto a Torino. Improvvisamente e senza preavviso una colonna di persone, animate da isteria collettiva e odio razziale e munite di torce accese, è spuntata minacciosa dall’oscurità: rituali che, purtroppo, si ripetono sempre più frequentemente in una “ordinarietà” che li sta progressivamente svuotando della loro essenza criminosa. Nel cielo notturno le fiaccole erano puntate come dei riflettori. Poi sono state lanciate nel campo, provocando il panico generale.

Nessuno aveva preavvisato le famiglie del campo a proposito della manifestazione – racconta Vesna Baxtali Vuletic, presidente di Idea Rom Onlus – con il risultato che alcune donne erano sole al campo con i bambini. Nessun veicolo delle forze dell’ordine era presente all’ingresso del campo nomadi per presidiare eventuali situazioni di emergenza.”

Alcune frange del corteo si sono poi staccate, dirigendosi verso le abitazioni più isolate e costringendo molte persone alla fuga in mezzo ai rovi e in direzione del fiume. I bambini sono fuggiti a piedi lungo la tangenziale, tra le macchine che sfrecciavano ad altissima velocità. Molti di loro si sono persi e sono stati poi ritrovati dopo alcune ore, pieni di graffi causati, durante la fuga, dagli arbusti.

C’è una sola parola che restituisce efficacemente quanto accaduto: pogrom, metastasi di un sistemache criminalizza rom, migranti, senza casa, poveri, disoccupati e che esercita il potere in modosadico, al punto da modificare anche la percezione che i più deboli hanno di  e della realtà,riducendoli a un sentimento d’impotenza, di fragilità, di solitudine, la condizione dei “sottouomini”. 

Il razzismo e la xenofobia possono dare impulso aaccessi di violenza collettiva, a vere e proprie “liturgie” di massa scandite sulla dialettica amico/nemico, a scenari sinistri di cui, purtroppo, la nostra storia è costellata. Gli psicologi delle masse spesso hanno spiegato l’adesione a rituali xenofobi collettivi, riconducendoli alla ricerca di un rifugio di fronte al senso di smarrimento. “Il cerimoniale permette a un gruppo di comportarsi in un modo simbolicamente ordinato così da dare l’impressione di rivelare un universo ordinato; ogni particella acquista la sua identità mediante la semplice interdipendenza con le altre” (Erik Erikson).

Eppure varrebbe la pena interrogarsi non solo sul “perché” le cose accadono ma anche sul “come”.

Quel “come” non è riconducibile solo agli aspetti irrazionali. Sono i dispositivi politici, le strutture giuridiche e le macchine amministrative che fanno apparire accettabile, “ordinario”, se nonaddirittura socialmente giustificabile, il volto della persecuzione. È quanto si sta verificando col nuovo decreto Minniti – Orlando che rappresenta la “normalizzazione” di una politica che</

(Message over 64 KB, truncated)