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La ricolonizzazione della Costa d'Avorio

1) LA COSTA D’AVORIO È UN ESEMPIO EVIDENTE DELL’INGERENZA E DEL NEOCOLONIALISMO
Intervista a Michel Collon, 22.5.2017

2) КОЛОНИЗАЦИЈА АФРИКЕ – ПОД ВОЂСТВОМ АФРИКАНАЦА 
Peter Koenig i Russia-TV24, 18.5.2017


Á lire aussi:
Commission d’enquête Gbagbo (OLIVIER NDENKOP ET CARLOS SIÉLENOU / Le Journal de l’Afrique n°32 – 22 May 2017)
Puisqu’il est difficile de comprendre la Côte d’ivoire d’aujourd’hui et peut être de demain sans savoir comment Gbagbo est arrivé au pouvoir en 2000, comment il a gouverné ou plutôt comment il a été empêché de gouverner jusqu’en 2010, pourquoi et comment il a été débarqué pour être remplacé par Alassane Ouattara, Investig’Action a organisé une conférence sous forme de Commission d’enquête le 22 avril dernier à Paris. Michel Collon a donné la parole à 17 témoins privilégiés : conseillers, ministres, avocats de Gbagbo ou de ses proches, des journalistes et intellectuels indépendants… Cette édition du Journal de l’Afrique revient sur leurs témoignages et donne la parole à Michel Collon qui a décidé de faire éclater la vérité sur la Côte d’Ivoire en faisant parler les acteurs clé qu’on a toujours refusé d’écouter...
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ORIG.: Michel Collon : « La Côte d’Ivoire est un exemple flagrant d’ingérence et de  néocolonialisme » (Olivier Ndenkop, 22.5.2017)


La Costa d’Avorio è un esempio evidente dell’ingerenza e del neocolonialismo

intervista a Michel Collon – da investigaction.net

Traduzione di Lorenzo Battisti per Marx21.it

Olivier A. Ndenkop / Michel Collon

In questa intervista esclusiva, il giornalista e scrittore belga torna sulla conferenza di Parigi che aveva per tema “Gbagbo contro la Françafrique”

Le journal de l’Afrique (JDA): dal 2011 la Françafrique (la presenza francese in Africa) ha imperversato in diversi paesi africani: Repubblica Centrafricana, Costa d’Avorio, Mali, Libia. Perché scegliere di organizzare una grande conferenza sul caso del Gbagbo?

Michel Collon (MN) : con le forze limitate della nostra squadra Investig’Action, è impossibile trattare tutti questi interventi come sarebbe necessario! Ho molto lavorato sull’aggressione contro la Libia, producendo un libro e un piccolo film, è stata veramente una guerra contro tutta l’Africa.

Ma la Costa d’Avorio è anch’essa un esempio evidente dell’ingerenza e del neocolonialismo. Imprigionare a L’Aia un presidente che ha solamente voluto difendere l’indipendenza del suo paese serve a intimidire tutti quelli che in Africa vorrebbero liberarsi della Françafrique. A mio parere, ne abbiamo parlato troppo poco, e il pubblico largo è rimasto con un’impressione confusa fabbricata dai media. Le tecniche di demonizzazione mediatica hanno funzionato bene. Quindi, verificare i fatti con i testimoni diretti mi sembrava indispensabile per sensibilizzare un pubblico più largo e cominciare a cambiare i rapporti di forza.

JDA : Qual è l’idea generale che si coglie dalle testimonianze raccolte?

MC:  i nostri 17 testimoni principali hanno portato una mole incredibile di fatti concreti, di rivelazioni e di analisi pertinenti. Io stesso ho imparato molto.

La Francia delle multinazionali ha calpestato il diritto internazionale, ha organizzato direttamente i brogli dei risultati delle elezioni (Ggabo aveva vinto, senza alcun dubbio), la corruzione dei politici, il furto di risorse di cacao e di altro, un vero e proprio colpo di stato con rapimento politico. Considerano l’Africa come una loro proprietà e pensano che il governo debba obbedire loro. D’altra parte, prima di Gbagbo, l’ordine del giorno dei consigli dei ministri era deciso a Parigi, e dice tutto!

I responsabili sono Sarkozy, Villepin, Alliot-Marie, Juppé e la loro politica è stata continuata da Hollande, Valls e Kouchner. Ma i veri comandanti sono una serie di multinazionali francesi e altre di cui abbiamo ascoltato le malefatte con precisione.

JDA : l’affare Gbagbo è molto seguito in Africa e oltre. Avete preso posizioni per una larga diffusione delle testimonianze raccolte?

MC: si, sebbene i nostri mezzi siano limitati come ho detto, noi abbiamo fatto attenzione a registrare nelle condizioni migliori. Con il comitato organizzatore, Investig’Action prepara un DVD. Penso che sarà uno strumento prezioso perché ciascuno possa far conoscere quello di cui i media non parlano mai.

JDA: Laurent Gbagbo e i suoi sostenitori sono perseguiti presso la Corte Penale Internazionale e in Costa d’Avorio. Nel mentre, Alassane Ouattara e Guillaume Soro non sembrano preoccupati. Come spiegare questa politica dei due pesi e due misure?

MC: Gli avvocati ci hanno mostrato chiaramente che i processi sono dei bidoni, che l’istruzione del Procuratore a carico, e che malgrado i suoi mezzi enormi, il dossier è vuoto. In realtà, hanno fatto allungare il processo per impedire il ritorno di Gbagbo alla vita politica.

JDA: Il Fondo Monetario Internazionale non smette di elogiare il regime di Ouattara che mostra un tasso di crescita elevato (8,6% nel 2016). Vuol dire che la partenza di Gbagbo è stata una cosa positiva per l’economia ivoriana?

MC: Delle cifre finte! L'ingegnere Ahoua Don Mello, ex ministro, ha mostrato che queste cifre sono false: la “crescita” proviene dal settore delle costruzioni, interamente finanziato dall’”aiuto allo sviluppo”, di cui beneficiano le multinazionali francesi delle costruzioni. Mentre i settori creatori di ricchezza sono crollati del 10% o addirittura del 22% per il petrolio.

JDA: La conferenza di Parigi si è tenuta alla vigilia del primo turno delle presidenziali. Una semplice coincidenza o una strategia?

MC: una coincidenza, ma cascava a fagiolo per mostrare la situazione internazionale. D’altra parte abbiamo chiesto agli 11 candidati quello che volevano fare riguardo questo processo, sull’imprigionamento di Gbagbo e in generale sulla Françafrique, specialmente sul Franco coloniale. Solo tre hanno risposto, con buone posizioni di Mélenchon e di Assalineau...

JDA: L’arrivo di Emmanuel Macron all’Eliseo può cambiare qualche cosa nella Françafrique?

MC: Ecco, è il terzo ad avere risposto. Ma non cambierà alcunché. Non ha risposto alle domande, ma ha inviato un testo di generalità e di bla bla sulla continuazione del bel partenariato tra la Francia e l’Africa. Come hanno fatto tutti i presidenti precedenti.

JDA: Tra i sostenitori di Macron, c’è Bernard Henry Levy. Visto il suo ruolo nel caso libico, non dobbiamo temere altre guerre imperialiste in Africa sotto Macron?

MC: Assolutamente. Macron è un guerrafondaio, allineato agli Stati Uniti, aggressivo verso i palestinesi, e pericoloso per l’Africa. Levy è un venditore di propaganda di guerra che viene inviato ovunque bisogna giustificare un’aggressione coloniale.

JDA: Cosa ne pensate dell’attuale mobilitazione contro il Franco Coloniale?

MC: Molto positiva. È molto importante che tutto il continente si unisca su alcuni obiettivi precisi. Il Franco coloniale è uno strumento centrale per mantenere l’attuale tutela, è giusto prendere di mira questa morsa che blocca i popoli.

JDA: Nel 2013, il Collettivo Investig’Action che voi avete creato e diretto dal 2004, ha lanciato il Journal de l’Afrique. Cosa vi ha spinto a creare questo mensile?

MC: Ero cosciente che non si voleva parlare dei problemi dell’Africa, sull’internet internazionale. E quando se ne parla, raramente si parla degli africani. Ho quindi ritenuto molto importante creare questo incontro mensile, sono molto contento che il testimone abbia potuto essere assicurato dal redattore capo della redazione di Investig’Action, Alex Anfruns, e da voi stessi. È una vera soddisfazione vedere che il JDA si sviluppa bene, contando sulle proprie forze e spero che possa ancora allargare la sua rete di autori, i suoi scambi di idee e il suo impatto. Ne avevo parlato con Hugo Chavez, posso dirvi che considerava l’America Latina e l’Africa come due sorelle che dovevano assolutamente battersi insieme.

JDA: Avete altri progetti per l’Africa?

MC: Ora che   Alex Afruns mi ha sostituito come redattore capo del sito, posso concentrarmi sulla scrittura dei miei libri e sullo sviluppo della nostra casa editoriale. Nel 2018 pubblicheremo un grande manuale strategico di tutta l’Africa, preparato dal celebre sociologo Said Bouamama. E vogliamo ripubblicare un altro libro molto importante, un vero “classico”, sulla storia del continente africano, spero di poterne dire di più a breve.

Ma vorrei sottolineare che la nostra piccola squadra non può niente senza il sostegno e la partecipazione dei suoi lettore. Nella battaglia delle informazioni, il rapporto di forza non potrà cambiare che se ognuno diventa un attore attivo.

Lista dei testimoni

Professeur BALOU-BI, ex prigioniero politico del regime di Ouattara,
Pr. Albert BOURGI, insegnante di diritto
Bernard GENET,  giurista e consigliere di relazioni internazionali
Robert CHARVIN, universitario
Henriette EKWE, giornalista e panafricanista
Bernard HOUDIN, portaparola per l’Europa di Laurent GBAGBO
Guy LABERTIT, ex delegato per l’Africa del Ps
Théophile KOUAMOUO,  giornalista
François MATTEI, giornalista
Clotilde OHOUOCHI, ex ministro in esilio
Maître Habiba TOURE, avvocato
Seed ZEHE, avvocato
Séri ZOKOU, avvocato
Aminata TRAORE, scrittore impegnato
Ahoua DON MELLO, ex ministro in esilio
Georges Peillon


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L'articolo che segue – nel quale si traccia un parallelismo tra caso Milosevic e caso Gbagbo – è una sintesi dell'intervista apparsa in inglese:
Libya – Why Was Muammar Gaddafi Killed – May We Never Forget (By Peter Koenig and Russia-TV24 – Global Research, May 18, 2017)
http://www.globalresearch.ca/libya-why-was-muammar-gaddafi-killed-may-we-never-forget/5590628


Хашки суд и неолиберална финансијска олигархија  

КОЛОНИЗАЦИЈА АФРИКЕ – ПОД ВОЂСТВОМ АФРИКАНАЦА 

                            Попут Слободана Милошевића и бивши кандидат за председника Обале Слоноваче Лаурент Гбагбо веома је непријатан притвореник суда у Хагу, али би могао бити још непријатнији ако би био на слободи, изјавио је Петер Кениг, геополитички аналитича у интервјуу за ТВ Русија 24 а преноси Глобал Ресеарцх. 
           У изборима за председника Обале Слоновача 2010 године Гбагбо се кандидовао против дотадашњег председника Аласан Кватара. Званичници су објавили, међутим, да је изгубио трку, па је Гбагбо затражио да се поново преброје гласови.                                                                                                                  
                         Уместо тога Кватара – бивши службеник ММФ-а и симпатизер међународних неолоберланих финансијских институција – прогласио је своју победу. Петер Кениг наглашава у интервјуу да је Кватара био у служби западних корпорација и да је све чинио по савету ММФ-а. По Кенигу је ово типичан пример модерне неоколонизација, доказ да је она жива и да траје. „Називан то финансијским државним ударом, наметнутим од страних финансијских институција“, додаје Кениг. 
                      Након извесног времена Лаурет Гбагбо је оптужен за читав низ тешких кривичних дела – само зато што се супротставио светској финансијкој диктататури – за убиств, силовање и врло брзо пребаче у Међународндни кривични суд у Хагу, где је чекао 5 година да апочне суђење –које траје још од јануаара 2016. Маја 2017 године суђење му је продужено на захтев Тужиоца због потреба да се прибаве допуснке чињенице. По Кенигу је то обична судска фарса како би се обманула јавност д аповерује како у Хагу има правичан суд и правично суђење. 
                       Већ у првом саслушању 2014 Гбагбо је оглашен кривим за сва кривична дела која му се стављају на терет – све до кривичних дела против човечности. Кениг на то изјављуе:“Попут Слободана Милошевића, и он је непријатан притвореник, који може бити још непријатнији као слободан грађанин. Због тога ће вероватно остати у затвору – а једног дана ће починити „самоубство“ или ће преминути од „срчаног удара“ (алузија на убиство Слободана Милошевића). То је већ хашка класика.Јер тако Запад поступа са свим потенцијалним сведоцима његових (Западних) злочина. Крај приче!. Нико се неће бунити, јер „слобони свет“ већ чврсто верује ономе што му пласирају западни медији да су то особе нехумани тирани. Слично су западни медији пласирали и о Моамеру Гадафију у својим насловним странама када су саопштили – Смрт тиранина
                        У 2015 године, Кватара је „поново изабран“ малом маргином. Тако кажу западни медији. Тако настаје колонизација Африке под „афричким вођством“. Највећу подршку Кватари је пружила француска војска. 

    (Види – „Либија – зашто је убијен Моамер Гадафи – несмемо никада заборавити“




“Care italiane, cari italiani, cari connazionali,

leggendo nei siti on line di gran parte dei quotidiani italiani ed ascoltando i report radiofonici e televisivi emessi dalla Rai e da altre catene, abbiamo purtroppo registrato che rispetto ai fatti venezuelani, vige una informazione a senso unico che rilancia esclusivamente le posizioni e le interpretazioni di una delle parti che si confrontano.

Abbiamo anche letto e ascoltato spesso che l’attenzione prestata alla situazione venezuelana viene giustificata per la presenza in Venezuela di una “consistente comunità italiana o di origine italiana” in sofferenza e che sembrerebbe essere accomunata in modo unanime alle posizioni dell’opposizione.

Noi sottoscrittori di questa lettera, siamo membri di questa comunità. Ma interpretiamo in modo assai diverso l’origine e le cause della grave situazione che attraversa il paese dove viviamo da tanti anni e dove abbiamo costruito la nostra vita e formato le nostre famiglie. Siamo in questo paese perché vi siamo arrivati direttamente o perché siamo figli e nipoti di emigrati italiani che raggiunsero il Venezuela nel dopoguerra per emanciparsi dalla situazione di povertà o di mancanza di opportunità e di lavoro in Italia.

In tanti abbiamo condiviso e accompagnato il progetto di socialismo bolivariano proposto da Chavez e proseguito da Maduro, sia come militanti o elettori, sia partecipando direttamente il progetto di un Venezuela più giusto e solidale.

Ciò che era ed è per noi inaccettabile è che in un paese così bello e ricco di risorse e di potenzialità, decine di milioni di persone vivessero da oltre un secolo in una situazione di oggettiva apartheid, al di fuori da ogni opportunità di emancipazione sociale e quindi senza i diritti essenziali che sono quelli di una vita dignitosa, cioè quello delle reali condizioni di vita, di lavoro, di educazione, di servizi sanitari pubblici, di pensioni per tutti.

Questa situazione è durata in Venezuela per oltre 100 anni e bisogna chiedersi perché, soltanto all’inizio di questo secolo, con Hugo Chavez, per la prima volta nella storia di questo paese, questi problemi sono stati affrontati in modo deciso. E come mai, prima, questo non era accaduto. Chi oggi manifesta nelle strade dei quartieri ricchi delle città del nostro paese, gridando “libertà!” dove stava, cosa faceva, di cosa si occupava, prima che Chavez fosse eletto in libere elezioni democratiche ?

In questi anni, diverse agenzie dell’Onu e l’Onu stessa, hanno certificato che il Venezuela è stato tra i primi paesi al mondo nella lotta alla povertà, all’analfabetismo, alla mortalità infantile, raggiungendo risultati che non hanno confronti per la loro entità, rapidità e qualità.

Si citano la mancanza di prodotti di primo consumo e di farmaci, ma nessuno dice che è in atto una azione coordinata di accaparramento e di speculazione che ha fatto lievitare i prezzi e fatto crescere in modo esponenziale l’inflazione. Chi ha in mano il settore dell’importazione di questi prodotti ? Alcune grandi e medie imprese private per giunta sovvenzionate dallo Stato. La penuria di questi prodotti è in realtà l’effetto dell’inefficienza di questi gruppi privati nel migliore dei casi, o piuttosto dell’uso politico che essi stanno operando, analogamente a quanto avvenne in Cile, nel 1973 per abbattere il governo democratico di Allende.

E’ evidente che l’obiettivo principale di questa specie di rivolta dei ricchi (perché dovete sapere che le rivolte sono situate solo nei quartieri ricchi delle nostre città) sia rimettere in discussione tutte le conquiste sociali raggiunte in questi anni, svendere la nostra impresa petrolifera e le altre imprese nascenti che operano in settori strategici, come il gas, l’oro, il coltan, il torio scoperti recentemente e in grandi quantità nel bacino del cosiddetto arco minero: l’obiettivo di questi settori sociali è tornare al loro mitico passato, un passato feudale in cui una piccola elite godeva di tanti privilegi e comandava sul paese, mentre decine di milioni languivano nell’indigenza.

Noi non abbiamo una verità da trasmettervi; abbiamo però tante cose che possiamo raccontare e far conoscere agli italiani in Italia. Che possiamo dire ai vostri giornalisti e ai vostri media. A partire dal fatto che la comunità italiana non è, come oggi si vuol dare ad intendere, schierata con i violenti e con i vandali che distruggono le infrastrutture del paese o con i criminali che hanno progettato e che guidano le cosiddette proteste che non hanno proprio nulla di pacifico.

La comunità italiana in Venezuela è composta di circa 150 mila cittadini di passaporto e oltre 2 milioni di oriundi. Questi cittadini, che grazie alla Costituzione venezuelana approvata sotto il primo governo di Hugo Chavez possono avere o riacquisire la doppia cittadinanza, hanno vissuto e vivono insieme agli altri venezuelani i successi e le difficoltà di questi anni. Gran parte di loro hanno sostenuto e sostengono il processo di modernizzazione e democratizzazione del Venezuela. Molti di loro sono stati e sono sindaci, dirigenti sociali e politici, parlamentari della sinistra, imprenditori aderenti a “Clase media en positivo”, ad organizzazioni cristiane come Ecuvives ed hanno sostenuto e sostengono il processo bolivariano. Diversi di loro hanno partecipato alla stesura della Costituzione, che molto ha preso dalla Costituzione italiana. In gran parte hanno sostenuto Hugo Chavez e sostengono Maduro, opponendosi alle manifestazioni violente e vandaliche organizzate dai settori dell’ultra destra venezuelana.

Un’altra parte, limitata, come è limitata l’elite venezuelana, è sulle posizioni dell’opposizione. Grazie a sostegni finanziari esterni svolgono una continua campagna di diffamazione del Venezuela bolivariano in molti paesi, compresa l’Italia.

L’Ambasciata italiana censisce una ventina di associazioni italiane in Venezuela. Si tratta di associazioni costituite sulla base della provenienza regionale dei nostri emigrati, veneti, campani, pugliesi, abruzzesi, siciliane, ecc. che aggregano circa 7.000 soci e che intrattengono relazioni stabili con l’Italia e le proprie regioni. Solo alcune di queste associazioni, insieme a qualche giornale sovvenzionato con fondi pubblici italiani, hanno svolto in questi anni, in piena libertà, una campagna di informazione contro l’esperienza bolivariana; esse hanno costituito talvolta le uniche “fonti di informazione” privilegiate e accreditate da diversi organi di stampa italiani.

Ma questa non è “la comunità italiana” in Venezuela. Ne è solo una parte limitata, le cui opinioni vengono amplificate da alcuni organi di informazione. Il resto della comunità italiana e il resto del mondo degli oriundi italo-venezuelani si organizza e si mobilità in questo paese nello stesso modo in cui si mobilita e si organizza il resto del paese. Vi è chi è contro e chi è a favore del processo bolivariano.

Da questo punto di vista, non vi è alcun pericolo per la collettività italiana in Venezuela. Come in ogni paese latino americano, e come dovunque, si parteggia e si lotta con visioni politiche e sociali differenti.

Strumentalizzare la presenza italiana in Venezuela è un gioco sbagliato, pericoloso e che non ha alcun fondamento se non l’obiettivo di alimentare lo scontro e la menzogna.”

 

Caracas, Venezuela, 23 giugno 2017

Giulio Santosuosso - Caracas, 
Donatella Iacobelli - Caracas, 
Mario Cavani - Cumana, 
Cecilia Laya - Caracas, 
Angelo Iacobbi Por la Mar - Margarita, 
Michelangelo Tavaglione - Maracay, 
Giordano Bruno Venier - Caracas,
Mario Neri - Caracas,  
Isa Carascon - Caracas, 
Franca Giacobbe - Valencia, 
Alfredo Amoroso, Caracas
Evedia M. Ochoa - Caracas,
Beda Sanchez - Caracas, 
Antonio Mobilia - Caracas, 
Ennio Di Marcantonio V. - Caracas,   
Fulvio Merlo - Caracas,  
Pietro Altilio - Caracas, 
Luca Spadageo - Caracas, 
Celestino Stasi - Maracay, 
Luigino Bracci - Caracas, 
Sandra Emanuela Neri - Caracas,
Immacolata Diotaiuti - Caracas, 
Stella Coiro - Valencia, 
Nancy Guerra - Caracas, 
Marco Aurelio Venier - Caracas, 
Irving Francesco Sanchez - Caracas,  
Leo Zanelli - Caracas,  
Antonietta  Zanelli - Caracas, 
Damaris Alcala - Barcelona, 
Giovannina De Vita - Caracas, 
Domenico Mosuca - Caracas, 
Vittorio Altilio - Caracas, 
Marina Yanes - Caracas, 
Elio Gallo - Caracas,
Antonio Gerardo Di Santi - Caracas,  
Luisa Fabbro - Caracas, 
Vita Napoli - Caracas, 
Alfedo Tepedino - Caracas, 
Donato Jose Scudiero - Lecheria, 
Maria Bernieri - Valencia, 
Francesco Misticoni - Caracas,
Gimar Patricia - Valencia,  
Escudiero - Puerto La Cruz, 
Margy Rosina Escudiero - El Tigre,
Orietta Caponi - Caracas, 
Mario Gallo - Caracas, 
Mercedes de Cavani - Cumana, 
Maira Garcia - Caracas, 
Arcangelo Manganelli - Valencia, 
Franco Altilio - Caracas, 
Giuseppe Tramonte - Caracas, 
Antonieta Petroni - Guarico, 
Nelson Mendez - Puerto la Cruz, 
Ennio F. Di Marcantonio - Caracas, 
Monica Vistali - Caracas, 
Antonio Neri - Barcelona, 
Tramonte Andrea - Caracas, 
Biagio Scudiero - Lecheria, 
Giuliana Geremia - Valencia, 
Pasquale di Carlo - Maracay, 
Lira Millan - Caracas, 
Bruna Mijares - Caracas, 
Valeria D’Amico - Caracas, 
Maurizio Conforto - Barinas, 
Lucia Di Natale - Acarigua, 
Antonietta Rivoltella - Puerto la Cruz, 
Alessandro Carinelli - Caracas, 
Gianni Daverio - Morrocoy, 
Giacomo Altilio - Caracas,
Mayira Leandro - Puerto la Cruz, 
Marta Trappiello - Valencia, 
Vincenzo Gallo - Caracas, 
Alfonso Bruni - Caracas,
Claudio Manganelli - Valencia, 
Maria Eugenia Tepedino - Caracas, 
Luigi Puglia - Caracas, 
Mariaelena De Vita - Caracas, 
Rosanna Percepese - Caracas, 
Gabriela Merlo - Caracas,
Vincenzo Policcello - Barquisimeto, 
Ada Martínez – Maracay,
Barbara Meo Evoli – Caracas, 
Valeria D’Amico - Puerto la Cruz.

  

*. Colectivo de Italovenezolanos Bolivarianos
* V.O.I. – Venezolanos de Origen Italiana;
* CEIC – Colectivo Estudiantes de Origen Italiano
* Circulo   Bolivariano Antonio Gramsci



Per contatti: CBantoniogramsci @ hotmail.com

Sul sito Cambiailmondo, che ha pubblicato la lettera tra i primi – https://cambiailmondo.org/2017/06/23/lettera-dal-venezuela-alle-italiane-e-agli-italiani/ –, appare oggi 26 giugno 2017 la seguente Nota redazionale:

<< L’elenco dei firmatari della lettera è stato sospeso a causa di gravi minacce subite da alcuni di loro e dalle rispettive famiglie da parte di soggetti che evidentemente non tollerano il pluralismo di opinioni. Con molta probabilità questo tipo di squadrismo fascista è presente anche tra le fila di italo-venezuelani che sono venuti a conoscenza della lettera. Vi sono sufficienti ragioni per sollecitare il Governo italiano e le sue rappresentanza diplomatiche e quello del Venezuela a richiamare al rispetto del diritto alla libera espressione anche i nostri connazionali nel paese e, insieme, a garantire la loro incolumità. Sia la Costituzione italiana che quella venezuelana garantiscono la libertà di opinione. E i reati ad essa connessi, minacce, intimidazioni e quant’altro, sono punibili in entrambi i paesi. >>




1) È NATO il neonazismo in Europa (Manlio Dinucci, 13 giugno 2017)
2) FLASHBACKS: Democrazia NATO in Ucraina... ed altri link (Manlio Dinucci)


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Sullo stesso tema si veda anche:

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La Notizia di Manlio Dinucci : È NATO il neonazismo in Europa (PandoraTV, 13 giu 2017)
Il parlamento di Kiev ha votato un emendamento legislativo per l’adesione ufficiale dell’Ucraina alla Nato. Mossa pericolosissima: se l’Ucraina entrasse nella Nato gli altri 29 membri, in base all’Art. 5, dovrebbero andare in guerra contro la Russia. Il “merito” dell’iniziativa va al presidente del parlamento Andriy Parubiy, famigerato neonazista (ricevuto con tutti gli onori a Montecitorio dalla presidente Boldrini), uno dei capi del colpo di stato sotto regia Usa/Nato che ha trasformato l’Ucraina in «vivaio» del rinascente nazismo nel cuore dell’Europa...


L’arte della guerra 

È NATO il neonazismo in Europa

Manlio Dinucci
  
L’Ucraina, di fatto già nella Nato, vuole ora entrarvi ufficialmente. Il parlamento di Kiev, l’8 giugno, ha votato a maggioranza (276 contro 25) un emendamento legislativo che rende prioritario tale obiettivo. 

La sua ammissione nella Nato non sarebbe solo un atto formale. La Russia viene accusata dalla Nato di aver annesso illegalmente la Crimea e di condurre azioni militari contro l’Ucraina. Di conseguenza, se l’Ucraina entrasse ufficialmente nella Nato, gli altri 28 membri della Alleanza, in base all’Art. 5, dovrebbero «assistere la parte attaccata intraprendendo l’azione giudicata necessaria, compreso l’uso della forza armata». In altre parole, dovrebbero andare in guerra contro la Russia. 

Il merito di aver introdotto nella legislazione ucraina l’obiettivo di entrare nella Nato va al presidente del parlamento Andriy Parubiy. Cofondatore nel 1991 del Partito nazionalsociale ucraino, sul modello del Partito nazionalsocialista di Adolf Hitler; capo delle formazioni paramilitari neonaziste, usate nel 2014 nel putsch di Piazza Maidan, sotto regia Usa/Nato, e nel massacro di Odessa; capo del Consiglio di difesa e sicurezza nazionale che, con il Battaglione Azov e altre unità neonaziste, attacca i civili ucraini di nazionalità russa nella parte orientale del paese ed effettua con apposite squadracce feroci pestaggi di militanti del Partito comunista, devastando le sue sedi e facendo roghi di libri in perfetto stile nazista, mentre lo stesso Partito sta per essere messo ufficialmente fuorilegge. 

Questo è Andriy Parubiy che, in veste di presidente del parlamento ucraino (carica conferitagli per i suoi meriti democratici nell’aprile 2016),  è stato ricevuto il 5 giugno a Montecitorio dalla presidente della Camera, Laura Boldrini. «L'Italia - ha sottolineato la presidente Boldrini - ha sempre condannato l'azione illegale avvenuta ai danni di una parte del territorio ucraino». Ha così avallato la versione Nato secondo cui sarebbe stata la Russia ad annettersi illegalmente la Crimea, ignorando il fatto che la scelta dei russi di Crimea di staccarsi dall’Ucraina e rientrare nella Russia è stata presa per impedire di essere attaccati, come i russi del Donbass, dai battaglioni neonazisti e le altre forze di Kiev. 

Il cordiale colloquio si è concluso con la firma di un memorandum d'intesa che «rafforza ulteriormente la cooperazione parlamentare tra le due assemblee, sia sul piano politico che su quello amministrativo». Si rafforza così la cooperazione tra la Repubblica italiana, nata dalla Resistenza contro il nazi-fascismo, e un regime che ha creato in Ucraina una situazione analoga a quella che portò all’avvento del fascismo negli anni Venti e del nazismo negli anni Trenta. 

Il battaglione Azov, la cui impronta nazista è rappresentata dall’emblema ricalcato da quello delle SS Das Reich, è stato incorporato nella Guardia nazionale, trasformato in unità militare regolare e promosso allo status di reggimento operazioni speciali. È stato quindi dotato di  mezzi corazzati e pezzi d’artiglieria. Con altre formazioni neonaziste, trasformate in unità regolari,  viene  addestrato da istruttori Usa della 173a divisione aviotrasportata, trasferiti da Vicenza in Ucraina, affiancati da altri della Nato. 

L’Ucraina di Kiev è così divenuta il «vivaio» del rinascente nazismo nel cuore dell’Europa. A Kiev confluiscono neonazisti da tutta Europa, Italia compresa. Dopo essere stati addestrati e messi alla prova in azioni militari contro i russi di Ucraina nel Donbass, vengono fatti rientrare nei loro paesi. Ormai la Nato deve ringiovanire i ranghi di Gladio. 

(il manifesto, 13 giugno 2017) 



=== 2: FLASHBACKS ===

Di Manlio Dinucci, sullo stesso tema, si vedano anche:

Heil mein Nato! L’Ucraina «vivaio» del rinascente nazismo in Europa (M. Dinucci, 5.1.2016 – testo e video)
TESTO: https://ilmanifesto.it/ucraina-heil-mein-nato/
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=UTuVZwvLlco

Manlio Dinucci sull'euro-NATO-nazismo ucraino (rassegna JUGOINFO 15 set 2015)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8388

I neo-nazisti ucraini addestrati dagli Usa (Manlio Dinucci,  9.2.2015)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8256

Come la Nato ha scavato sotto l’Ucraina (Manlio Dinucci, 25 febbraio 2014)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7904

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En français: Démocratie selon l’Otan en Ukraine (par Manlio Dinucci, 22 septembre 2015)
La presse occidentale tenta de faire passer le coup d’État en Ukraine pour une « révolution » populaire et spontanée. Mais avec le temps et l’accumulation de preuves, il fut admit que les événements avaient été provoqués et encadrés de manière à en finir avec la « dictature ». On devait donc admettre cette entorse au droit international comme un moyen malheureux permettant d’arriver à la démocratie. Un an et demi plus tard, Manlio Dinucci observe ce qu’est devenu le pays. Le bilan montre qu’il n’a jamais été question d’instaurer de régime démocratique ce qui pose à nouveau, rétrospectivement cette fois, deux questions. La première sur la légitimité des institutions actuelles, la seconde sur la nature et les ambitions de l’Otan qui organisa ce coup...
http://www.voltairenet.org/article188771.html

L’arte della guerra
 
Democrazia NATO in Ucraina 

Manlio Dinucci
  

«Storica» visita del segretario generale della Nato Stoltenberg, il 21/22 settembre, in Ucraina, dove partecipa (per la prima volta nella storia delle relazioni bilaterali) al Consiglio di sicurezza nazionale, firma un accordo per l’apertura di un’ambasciata della Nato a Kiev, tiene due conferenze stampa col presidente Poroshenko. 

Un decisivo passo avanti nell’integrazione dell’Ucraina nell’Alleanza. Iniziata nel 1991 quando, appena divenuta Stato indipendente in seguito alla disgregazione dell’Urss, l’Ucraina entra nel «Consiglio di cooperazione nordatlantica» e, nel 1994, nella «Partnership per la pace». Nel 1999, mentre la Nato demolisce con la guerra la Jugoslavia e ingloba i primi paesi dell’ex Patto di Varsavia  (Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria), viene aperto a Kiev l’«Ufficio di collegamento Nato» e formato un battaglione polacco-ucraino per l’operazione Nato di «peacekeeping» in Kosovo. 

Nel 2002, il presidente Kuchma dichiara la disponibilità a entrare nella Nato. Nel 2005, sulla scia della «rivoluzione arancione» (organizzata e finanziata da Washington attraverso «Ong» specializzate e sostenuta dall’oligarca Poroshenko), il presidente Yushchenko viene invitato al summit Nato a Bruxelles. Ma, nel 2010, il neoeletto presidente Yanukovych annuncia che l’adesione alla Nato non è nella sua agenda. 

Nel frattempo la Nato tesse una rete all’interno delle forze armate ucraine e addestra gruppi neonazisti (come prova una documentazione fotografica di militanti di Uno-Unso addestrati nel 2006 in Estonia da istruttori Nato). I neonazisti vengono usati come forza d’assalto nel putsch di Piazza Maidan che rovescia Yanukovych nel febbraio 2014, mentre il segretario generale della Nato intima alle forze armate ucraine di «restare neutrali». 

Subito dopo va alla presidenza Poroshenko, sotto la cui guida – dichiara la Nato – l’Ucraina sta divenendo «uno Stato sovrano e indipendente, fermamente impegnato per la democrazia e il diritto». 

Quanto sovrana e indipendente sia l’Ucraina lo dimostra l’assegnazione di incarichi ministeriali a cittadini stranieri scelti da Washington e Bruxelles: il ministero delle finanze è affidato a Natalie Jaresko, cittadina statunitense che ha lavorato al Dipartimento di Stato; quello del commercio e dello sviluppo economico al lituano Abromavicius, che ha lavorato per gruppi bancari europei; quello della sanità all’ex ministro georgiano Kvitashvili. L'ex presidente  georgiano Saakashvili, uomo di fiducia di Washington, viene nominato governatore della regione ucraina di Odessa. E, per completare il quadro, Kiev affida le proprie dogane a una compagnia privata britannica. 

Quanto l’Ucraina sia impegnata per la democrazia e il diritto, lo dimostra il fatto che i battaglioni neonazisti, rei di atrocità contro i civili di nazionalità russa nell’Ucraina orientale, sono stati inquadrati nella Guardia nazionale, addestrata da istruttori statunitensi e britannici. Lo dimostra la messa al bando del Partito comunista ucraino e della stessa ideologia comunista, in un clima persecutorio simile a quello dell’avvento del fascismo in Italia negli anni Venti. Per evitare testimoni scomodi, Kiev ha deciso il 17 settembre di impedire l'ingresso nel paese a decine di giornalisti stranieri, tra cui tre della Bbc, definiti «una minaccia alla sicurezza nazionale». 

L’Ucraina di Poroshenko – l’oligarca arricchitosi col saccheggio delle proprietà statali, del quale il premier Renzi loda la «saggia leadership» – contribuirà anche alla nostra «sicurezza nazionale» partecipando come partner all’esercitazione Nato Trident Juncture 2015 che si svolge in Italia.
 
(il manifesto, 22 settembre 2015)  




D’Alema: «A sinistra è vietata la rottura, per tutti noi è l’ultima chiamata» 

Il colloquio. L'ex premier: un fischio non mi spaventa, ma insieme a tanto impegno al Brancaccio c’era dell’estremismo. La sfida di governo è doverosa. I civici facciano una svolta, servono tutte le forze. Con Pisapia ingenerosi, ho detto a Vendola: non è una creatura del renzismo 

Daniela Preziosi 
Il Manifesto 
ROMA 20.6.2017, 8:59 

Per dirla come la direbbe un comunista italiano, non si può dire che Massimo D’Alema sia stato convinto dalla riunione dei ’civici’ di domenica scorsa al Brancaccio. 
«Da vecchio militante ho una certa esperienza di assemblee, in questa c’era un po’ di estremismo. A partire dall’introduzione di Tomaso Montanari», spiega a chi gli chiede un giudizio. 
C’è dell’ironia. Ma la questione è seria. 
D’Alema era in prima fila, a un passo dal palco, quando il combattivo giovane studioso ha elencato le colpe del vecchio centrosinistra. E, nel lungo elenco, ha scandito «la guerra illegale in Kosovo». D’Alema, che era il presidente del consiglio in quel marzo ’99, non ha mosso ciglio. 
Ma ora replica: «Vorrei spiegare a Montanari che di questo fui accusato da un gruppo di giuristi. Poi la Cassazione emise una sentenza che archiviò tutto riconoscendo la piena legittimità del mio agire». Perché, spiega, l’art.11 della Costituzione dice che «l’Italia ripudia la guerra» eccetera, «ma poi anche che consente alle limitazioni di sovranità necessarie agli obblighi derivanti dai trattati internazionali». La conclusione è tagliente: «L’accusa è decaduta, se lui la rilancia è una calunnia». 
Non che intenda passare alle carte bollate, l’ex presidente del consiglio. Ma «il mondo è complesso, prima di parlare meglio informarsi, non ci si aspetta da un illustre storico dell’arte una sortita inutile e dannosa. Non si fanno battute a caso, tanto più se si lavora ad unire la sinistra». 
Segue racconto dei suoi ritorni in Serbia, dei giovani che lo hanno ringraziato perché quella guerra fu l’inizio «del ritorno alla libertà». Ma questa sarebbe un’altra storia. 
(...) «Sono diventato buono, so che i giornalisti hanno nostalgia del D’Alema cattivo ma invece, vede, ho ascoltato quelle calunnie sul Kosovo e sono rimasto seduto. In altri tempi mi sarei alzato e me ne sarei andato. A proposito, andrò a piazza Santi Apostoli il primo luglio, lo considero un mio dovere di militante».

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https://alganews.wordpress.com/2017/06/20/dalema-e-i-suoi-ricordi-di-guerra/

D’ALEMA E I SUOI RICORDI DI GUERRA

di Alberto Tarozzi, 20.6.2017

D’Alema oggi, su il Manifesto, bacchetta Tomaso Montanari che l’altro giorno, al Brancaccio, aveva fatto riferimento alle sue responsabilità relativamente alla “guerra illegale in Kosovo”.

D’Alema sostiene che Montanari, critico d’arte, certe cose non le capisce e che meriterebbe una denuncia per calunnia che lui, bontà sua gli risparmierà. Esiste infatti una sentenza della Corte costituzionale che stabilisce che quella guerra non fu anticostituzionale. Anche se l’art.11 della Costituzione sostiene che l’Italia ripudia la guerra, poi consente, dice D’Alema “limitazioni di sovranità necessarie agli obblighi derivanti dai trattati internazionali” come, evidentemente, quelli legati alla nostra presenza nella Nato.

Ha ragione: il giovane e inesperto Montanari ignorava che per “limitazioni di sovranità” si potessero intendere i bombardamenti sulle popolazioni civili. Non è il solo, ma si è sbagliato.
A dire il vero Montanari è incorso pure in un’altra disattenzione minore, non passibile di calunnia, di cui però l’attento D’Alema non si è accorto: ha parlato di guerra in Kosovo. L’Italia, sotto la premiership di D’Alema fece da rampa di lancio per aerei che per molti giorni andarono a bombardare Belgrado, Novi Sad, Nis e molte altre città che dal Kosovo distano kilometri e kilometri.

Un’imprecisione di termini in cui molti sono soliti cadere. In fondo, se Montanari anziché di guerra illegale in Kosovo avesse parlato di bombardamenti della Nato, Italia compresa, sulla popolazione civile della Jugoslavia nessuno lo avrebbe potuto accusare di imprecisione e nessuno lo avrebbe potuto denunciare per calunnia. Un’altra volta ci dovrà stare più attento.

Peraltro, per quanto riguarda D’Alema, anche lui è uscito in un’affermazione che avrebbe richiesto qualche chiarimento politico in più, quando ha citato il suo ritorno in Serbia ai tempi in cui era Ministro degli Esteri del Governo Prodi tra il 2006 e il 2008.

Dice che i giovani lo hanno ringraziato perché quella guerra fu l’inizio “del ritorno alla libertà”.

Personalmente non nutro pregiudizi, quando si tratta di stabilire la verità dei fatti e i fatti di quegli anni li conosco discretamente, anche se può essermi sfuggito qualcosa. Per esempio non ho problemi a riconoscere che a Belgrado, D’Alema, come Ministro degli esteri del governo Prodi, fece un intervento che ricevette applausi. Solo che non riguardava tanto “il ritorno della libertà” in Jugoslavia grazie alle bombe della Nato. Piuttosto riguardava un progetto di possibile cooperazione economica tra Italia e Serbia che conteneva elementi di interesse per il governo locale.
Nessun problema a riconoscerlo, ma le due cose mi sembrano parecchio diverse.

Naturalmente, per Massimo D’Alema come per tutti, fino a prova contraria, vale la sua parola a proposito di quei giovani serbi che l’avrebbero ringraziato per le bombe. Però, ci faccia un piacere. Ci mostri un documento, una registrazione, uno straccio di attestazione che confermi questa sua affermazione. E che magari metta in risalto il numero e la rilevanza politica dei soggetti che si erano complimentati con lui. Altrimenti saremmo nostro malgrado portati a formulare cattivi pensieri sul suo conto. Magari che lui non sia quel modello di attendibilità che dichiara di essere.

Qui mi fermo: nessun processo alle intenzioni.
Ma nemmeno nessuna disponibilità a farmi prendere in giro dalle giravolte dialettiche del politico di turno, indipendentemente dal fattore generazionale.

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Sulle denunce penali a D'Alema ed altri per la aggressione alla RF di Jugoslavia si veda la documentazione alla nostra pagina:
https://www.cnj.it/24MARZO99/giudiziario.htm
Sulle implicazioni di quella aggressione, mirata a rovesciare la leadership politica democraticamente eletta ed a smembrare ulteriormente il paese a partire dalla secessione della provincia del Kosovo, si veda:
https://www.cnj.it/24MARZO99/index.htm