Informazione


Manlio Dinucci
BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI 

PARTI 1... 5 (CONTINUA). Fonti:https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/19855724
https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/19926482 
https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/19990202
https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/20047091

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Si vedano anche:

– il libro di Manlio Dinucci
L’arte della guerra. Analisi della strategia USA/NATO (1990-2015)
Prefazione di Alex Zanotelli. Nota redazionale di Jean Toschi Marazzani Visconti
Zambon editore, 2015, pp. 550, euro 18,00
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8419

– la serie di Manlio Dinucci del 2014-2015 sul riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda:
Prima parte: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8200 
Seconda e terza parte: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8208 
Quarta e quinta parte: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8225

Sulla storia della NATO ben prima del 1991 segnaliamo: 

LA NATO. IL NEMICO IN CASA (1968)
Regia: Giuseppe Ferrara. Casa di produzione: Pci. Sezione stampa e propaganda
Abstract: Il documentario, realizzato interamente con materiali di repertorio, è una ricostruzione degli eventi che precedettero la firma del Patto Atlantico e degli avvenimenti spesso drammatici che si sono succeduti in Italia e nel mondo. Le lotte popolari in difesa della pace e per l'indipendenza nazionale, i conflitti armati determinati in diversi paesi dalla politica aggressiva dell'imperialismo americano
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=bfPSPelQAqw

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BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 1) 

Manlio Dinucci

La Nato, fondata il 4 aprile 1949, comprende durante la guerra fredda sedici paesi: Stati Uniti, Canada, Belgio, Danimarca, Francia, Repubblica federale tedesca, Gran Bretagna, Grecia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Turchia. Attraverso questa alleanza, gli Stati Uniti mantengono il loro dominio sugli alleati europei, usando l’Europa come prima linea nel confronto, anche nucleare, col Patto di Varsavia. Questo, fondato il 14 maggio 1955 (sei anni dopo la Nato), comprende Unione Sovietica, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Repubblica democratica tedesca, Romania, Ungheria, Albania (dal 1955 al 1968). 

DALLA GUERRA FREDDA AL DOPO GUERRA FREDDA
Nel 1989 avviene il «crollo del Muro di Berlino»: è l’inizio della riunificazione tedesca che si realizza quando, nel 1990, la Repubblica Democratica si dissolve aderendo alla Repubblica Federale di Germania. Nel 1991 si dissolve il Patto di Varsavia: i paesi dell’Europa centro-orientale che ne facevano parte non sono ora più alleati dell’Urss. Nello stesso anno, si dissolve la stessa Unione Sovietica: al posto di un unico Stato se ne formano quindici. 
La scomparsa dell’Urss e del suo blocco di alleanze crea, nella regione europea e centro-asiatica, una situazione geopolitica interamente nuova. Contemporaneamente, la disgregazione dell’Urss e la profonda crisi politica ed economica che investe la Russia segnano la fine della superpotenza in grado di rivaleggiare con quella statunitense.
La guerra del Golfo del 1991 è la prima guerra che, nel periodo successivo al secondo conflitto mondiale, Washington non motiva con la necessità di arginare la minacciosa avanzata del comunismo, giustificazione alla base di tutti i precedenti interventi militari statunitensi nel «terzo mondo», dalla guerra di Corea a quella del Vietnam, dall'invasione di Grenada all'operazione contro il Nicaragua. Con questa guerra gli Stati Uniti rafforzano la loro presenza militare e influenza politica nell’area strategica del Golfo, dove si concentra gran parte delle riserve petrolifere mondiali. 
Allo stesso tempo Washington lancia ad avversari, ex avversari e alleati un inequivocabile messaggio. Esso è contenuto nella National Security Strategy of the United States (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti), il documento con cui la Casa Bianca enuncia, nell’agosto 1991, la nuova strategia.  
«Nonostante l'emergere di nuovi centri di potere – sottolinea il documento a firma del presidente – gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Negli anni Novanta, così come per gran parte di questo secolo, non esiste alcun sostituto alla leadership americana». 
Sei mesi dopo la direttiva presidenziale, un documento proveniente dal Pentagono -- Defense Planning Guidance for the Fiscal Years 1994-1999 (Guida alla pianificazione della Difesa per gli anni fiscali 1994-1999), filtrato attraverso il New York Times nel marzo 1992 -- chiarisce ciò che nella direttiva presidenziale doveva restare necessariamente implicito: il fatto che, per esercitare la loro leadership globale, gli Stati Uniti devono impedire che altre potenze, compresi i vecchi e i nuovi alleati, possano divenire competitive: «Il nostro primo obiettivo è impedire il riemergere di un nuovo rivale, o sul territorio dell'ex Unione Sovietica o altrove, che ponga una minaccia nell'ordine di quella posta precedentemente dall'Unione Sovietica. Dobbiamo impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione le cui risorse sarebbero sufficienti, se controllate strettamente, a generare una potenza globale. Queste regioni comprendono l'Europa occidentale, l'Asia orientale, il territorio dell'ex Unione Sovietica, e l'Asia sud-occidentale. 
In tale quadro, sottolinea il documento, «è di fondamentale importanza preservare la Nato quale principale strumento della difesa e della sicurezza occidentali, così pure quale canale dell'influenza e della partecipazione statunitensi negli affari della sicurezza europea. Mentre gli Stati Uniti sostengono l'obiettivo dell'integrazione europea, essi devono cercare di impedire la creazione di dispositivi di sicurezza unicamente europei, che minerebbero la Nato, in particolare la struttura di comando dell'Alleanza», ossia il comando Usa. 

IL NUOVO CONCETTO STRATEGICO DELLA NATO
Mentre riorientano la propria strategia, gli Stati Uniti premono sulla Nato perché faccia altrettanto. Per loro è della massima urgenza ridefinire non solo la strategia, ma il ruolo stesso dell’Alleanza atlantica. Con la fine della guerra fredda e il dissolvimento del Patto di Varsavia e della stessa Unione Sovietica, viene infatti meno la motivazione della «minaccia sovietica» che ha tenuto finora coesa la Nato sotto l’indiscussa leadership statunitense: vi è quindi il pericolo che gli alleati europei facciano scelte divergenti o addirittura ritengano inutile la Nato nella nuova situazione geopolitica creatasi nella regione europea. 
Il 7 novembre 1991 (dopo la prima guerra del Golfo, a cui la Nato ha partecipato non ufficialmente in quanto tale, ma con sue forze e strutture), i capi di stato e di governo dei sedici paesi della Nato, riuniti a Roma nel Consiglio atlantico, varano «Il nuovo concetto strategico dell'Alleanza». «Contrariamente alla predominante minaccia del passato – afferma il documento – i rischi che permangono per la sicurezza dell'Alleanza sono di natura multiforme e multidirezionali, cosa che li rende difficili da prevedere e valutare. Le tensioni potrebbero portare a crisi dannose per la stabilità europea e perfino a conflitti armati, che potrebbero coinvolgere potenze esterne o espandersi sin dentro i paesi della Nato». Di fronte a questi e altri rischi, «la dimensione militare della nostra Alleanza resta un fattore essenziale, ma il fatto nuovo è che sarà più che mai al servizio di un concetto ampio di sicurezza». Definendo il concetto di sicurezza come qualcosa che non è circoscritto all’area nord-atlantica, si comincia a delineare la «Grande Nato». 


BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 2) 

Manlio Dinucci

L’INTERVENTO NATO NELLA CRISI BALCANICA 
Il «nuovo concetto strategico» della Nato viene messo in pratica nei Balcani, dove la crisi della Federazione Jugoslava, dovuta ai contrasti tra i gruppi di potere e alle spinte centrifughe delle repubbliche, ha raggiunto il punto di rottura. 
Nel novembre 1990, il Congresso degli Stati Uniti approva il finanziamento diretto di tutte le nuove formazioni «democratiche» della Jugoslavia, incoraggiando così le tendenze secessioniste. In dicembre, il parlamento della Repubblica croata, controllato dal partito di Franjo Tudjman, emana una nuova costituzione in base alla quale la Croazia è «patria dei croati» (non più dei croati e dei serbi, popoli costituenti della repubblica) ed è sovrana sul suo territorio. Sei mesi dopo, nel giugno 1991, oltre alla Croazia, anche la Slovenia proclama la propria indipendenza. Subito dopo, scoppiano scontri tra l’esercito federale e gli indipendentisti. In ottobre, in Croazia, il governo Tudjman espelle oltre 25mila serbi dalla Slavonia, mentre sue milizie occupano Vukovar. L’esercito federale risponde, bombardando e occupando la città. La guerra civile comincia a estendersi, ma potrebbe ancora essere fermata. 
La via che viene imboccata è invece diametralmente opposta: la Germania, impegnata a estendere la sua influenza economica e politica nella regione balcanica, nel dicembre 1991 riconosce unilateralmente Croazia e Slovenia quali stati indipendenti. Come conseguenza, il giorno dopo i serbi di Croazia proclamano a loro volta l’autodeterminazione, costituendo la Repubblica serba della Krajna. Nel gennaio 1992 l’Europa dei dodici riconosce, oltre alla Croazia, anche la Slovenia. A questo punto si incendia anche la Bosnia-Erzegovina che, in piccolo, rappresenta l’intera gamma dei nodi etnici e religiosi della Federazione Jugoslava. 
I caschi blu dell’Onu, inviati in Bosnia come forza di interposizione tra le fazioni in lotta, vengono volutamente lasciati in numero insufficiente, senza mezzi adeguati e senza precise direttive, finendo col divenire ostaggi nel mezzo dei combattimenti. Tutto concorre a dimostrare il «fallimento dell’Onu» e la necessità che sia la Nato a prendere in mano la situazione. Nel luglio 1992 la Nato lancia la prima operazione di «risposta alla crisi», per imporre l’embargo alla Jugoslavia. 
Nel febbraio 1994, aerei Nato abbattono aerei serbo-bosniaci che violano lo spazio aereo interdetto sulla Bosnia. E’ la prima azione di guerra dalla fondazione dell’Alleanza. Con essa la Nato viola l’art. 5 della sua stessa carta costitutiva, poiché l’azione bellica non è motivata dall’attacco a un membro dell’Alleanza ed è effettuata fuori dalla sua area geografica. 

LA GUERRA CONTRO LA JUGOSLAVIA 
Spento l’incendio in Bosnia (dove il fuoco resta sotto la cenere della divisione in stati etnici), i pompieri della Nato corrono a gettare benzina sul focolaio del Kosovo, dove è in corso da anni una rivendicazione di indipendenza da parte della maggioranza albanese. Attraverso canali sotterranei in gran parte gestiti dalla Cia, un fiume di armi e finanziamenti, tra la fine del 1998 e l’inizio del 1999, va ad alimentare l’Uck (Esercito di liberazione del Kosovo), braccio armato del movimento separatista kosovaro-albanese. Agenti della Cia dichiareranno successivamente di essere entrati in Kosovo nel 1998 e 1999, in veste di osservatori dell’Osce incaricati di verificare il «cessate il fuoco», fornendo all’Uck manuali statunitensi di addestramento militare e telefoni satellitari, così che i comandanti della guerriglia potessero stare in contatto con la Nato e Washington. L’Uck può così scatenare un’offensiva contro le truppe federali e i civili serbi, con centinaia di attentati e rapimenti.
Mentre gli scontri tra le forze jugoslave e quelle dell’Uck provocano vittime da ambo le parti, una potente campagna politico-mediatica prepara l’opinione pubblica internazionale all’intervento della Nato, presentato come l’unico modo per fermare la «pulizia etnica» serba in Kosovo. Bersaglio prioritario è il presidente della Jugoslavia, Slobodan Milosevic, accusato di «crimini contro l’umanità» per le operazioni di «pulizia etnica». 
La guerra, denominata «Operazione forza alleata», inizia il 24 marzo 1999. Mentre gli aerei di Stati Uniti e altri paesi della Nato sganciano le prime bombe sulla Serbia e il Kosovo, il presidente democratico Clinton annuncia: «Alla fine del XX secolo, dopo due guerre mondiali e una guerra fredda, noi e i nostri alleati abbiamo la possibilità di lasciare ai nostri figli un’Europa libera, pacifica e stabile». Determinante, nella guerra, è il ruolo dell’Italia: il governo D’Alema mette il territorio italiano, in particolare gli aeroporti, a completa disposizione delle forze armate degli Stati Uniti e altri paesi, per attuare quello che il presidente del consiglio definisce «il diritto d’ingerenza umanitaria». 
Per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane, 1100 aerei effettuano 38 mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili. Il 75 per cento degli aerei e il 90 per cento delle bombe e dei missili vengono forniti dagli Stati Uniti. Statunitense è anche la rete di comunicazione, comando, controllo e intelligence attraverso cui vengono condotte le operazioni: «Dei 2000 obiettivi colpiti in Serbia dagli aerei della Nato – documenta successivamente il Pentagono – 1999 sono stati scelti dall’intelligence statunitense e solo uno dagli europei». 
Sistematicamente i bombardamenti smantellano le strutture e infrastrutture della Serbia, provocando vittime soprattutto tra i civili. I danni che ne derivano per la salute e l’ambiente sono inquantificabili. Solo dalla raffineria di Pancevo fuoriescono, a causa dei bombardamenti, migliaia di tonnellate di sostanze chimiche altamente tossiche (compresi diossina e mercurio). Altri danni vengono provocati dal massiccio impiego da parte della Nato, in Serbia e Kosovo, di proiettili a uranio impoverito, già usati nella guerra del Golfo. 
Ai bombardamenti partecipano anche 54 aerei italiani, che compiono 1378 sortite, attaccando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. «Per numero di aerei siamo stati secondi solo agli Usa. L’Italia è un grande paese e non ci si deve stupire dell’impegno dimostrato in questa guerra», dichiara il presidente del consiglio D’Alema durante la visita compiuta il 10 giugno 1999 alla base di Amendola, sottolineando che, per i piloti che vi hanno partecipato, è stata «una grande esperienza umana e professionale».
Il 10 giugno 1999, le truppe della Federazione iugoslava cominciano a ritirarsi dal Kosovo e la Nato mette fine ai bombardamenti. La risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’Onu dispone che la presenza internazionale deve avere una «sostanziale partecipazione della Nato» ed essere dispiegata «sotto controllo e comando unificati». A chi spetti il comando lo chiaritsce il presidente Clinton, sottolineando che l’accordo sul Kosovo prevede «lo spiegamento di una forza internazionale di sicurezza con la Nato come nucleo, il che significa una catena di comando unificata della Nato». «Oggi la Nato affronta la sua nuova missione: quella di governare», commenta The Washington Post. 
Finita la guerra, vengono inviati in Kosovo dagli Stati Uniti oltre 60 agenti dell’Fbi, ma non vengono trovate tracce di eccidi tali da giustificare l’accusa, fatta ai serbi, di «pulizia etnica». Slobodan Milosevic, condannato a 40 anni di reclusione dalla Corte Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, muore dopo cinque anni di carcere. La stessa corte lo scagiona, nel 2016, dall’accusa di «pulizia etnica».  
Il Kosovo, dove gli Usa installano una grande base militare (Camp Bondsteel), diviene una sorta di protettorato della Nato. Contemporaneamente, sotto la copertura della «Forza di pace», l’ex Uck al potere terrorizza ed espelle oltre 250 mila serbi, rom, ebrei e albanesi «collaborazionisti». Nel 2008, con l’autoproclamazione del Kosovo quale Stato indipendente, viene ultimata la demolizione della Federazione Jugoslava. 


BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 3) 

Manlio Dinucci

IL SUPERAMENTO DELL’ARTICOLO 5 E LA CONFERMA DELLA LEADERSHIP USA
Mentre è in corso la guerra contro la Jugoslavia, viene convocato a Washington, il 23-25 aprile 1999, il vertice che ufficializza la trasformazione della Nato in «una nuova Alleanza più grande, più flessibile, capace di intraprendere nuove missioni, incluse le operazioni di risposta alle crisi». 
Da alleanza che, in base all’articolo 5 del Trattato del 4 aprile 1949, impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell’area nord-atlantica, essa viene trasformata in alleanza che, in base al «nuovo concetto strategico», impegna i paesi membri anche a «condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza». 
A scanso di equivoci, il presidente democratico Clinton spiega in una conferenza stampa che gli alleati nord-atlantici «riaffermano la loro prontezza ad affrontare conflitti regionali al di là del territorio della Nato». Alla domanda di quale sia l’area geografica in cui la Nato è pronta a intervenire, «il Presidente si rifiuta di specificare a quale distanza la Nato intende proiettare la propria forza, dicendo che non è questione di geografia». In altre parole, la Nato intende proiettare la propria forza militare al di fuori dei propri confini non solo in Europa, ma anche in altre regioni. 
Ciò che non cambia, nella mutazione della Nato, è la gerarchia all’interno dell’Alleanza. La Casa Bianca dice a chiare lettere che «noi manterremo in Europa circa 100 mila militari per contribuire alla stabilità regionale, sostenere i nostri vitali legami transatlantici e conservare la leadership degli Stati Uniti nella Nato». 
Ed è sempre il Presidente degli Stati Uniti a nominare il Comandante Supremo Alleato in Europa, che è sempre un generale o ammiraglio statunitense, e non gli alleati che si limitano a ratificare la scelta. Lo stesso avviene per gli altri comandi chiave dell’Alleanza.

LA SUBORDINAZIONE DELL’UNIONE EUROPEA ALLA NATO 
Il documento che impegna i paesi membri a operare al di fuori del territorio dell’Alleanza, sottoscritto dai leader europei il 24 aprile 1999 a Washington, ribadisce che la Nato «sostiene pienamente lo sviluppo dell’identità europea della difesa, all’interno dell’Alleanza». Il concetto è chiaro: l’Europa occidentale può avere una sua «identità della difesa», ma essa deve restare all’interno dell’Alleanza, ossia sotto comando Usa.
Viene così confermata e consolidata la subordinazione dell’Unione europea alla Nato. Il Trattato di Maastricht del 1992 stabilisce, all’articolo 42, che «l’Unione rispetta gli obblighi di alcuni Stati membri, i quali ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite la Nato, nell’ambito del Trattato del Nord Atlantico». Questo stabilisce, all’art. 8, che ciascuno Stato membro «si obbliga a non sottoscrivere alcun impegno internazionale in contrasto con questo Trattato». 
E a ulteriore conferma di quale sia il rapporto Nato-Ue, il protocollo n. 10 sulla cooperazione istituita dall’art. 42 sottolinea che la Nato «resta il fondamento della difesa» dell’Unione europea.

L’ADOZIONE DA PARTE DELL’ITALIA DI UN «NUOVO MODELLO DI DIFESA» CHE VIOLA L’ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE
Partecipando con le sue basi e le sue forze armate alla guerra contro la Jugoslavia, paese che non aveva compiuto alcuna azione aggressiva né contro l’Italia né contro altri membri della Nato, e impegnandosi a condurre operazioni non previste dall’articolo 5 al di fuori del territorio dell’Alleanza, l’Italia conferma di aver adottato una nuova politica militare e, contestualmente, una nuova politica estera. Questa, usando come strumento la forza militare, viola il principio costituzionale, affermato dall’Articolo 11, che «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
È il cosiddetto «nuovo modello di difesa» adottato dall’Italia, sulla scia del riorientamento strategico Usa, quando con il sesto governo Andreotti essa partecipa alla guerra del Golfo: i Tornado dell’aeronautica italiana effettuano 226 sortite per complessive 589 ore di volo, bombardando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. E’ la prima guerra a cui partecipa la Repubblica italiana, violando l’articolo 11, uno dei principi fondamentali della propria Costituzione.
Subito dopo la guerra del Golfo, durante il settimo governo Andreotti, il Ministero della difesa pubblica, nell'ottobre 1991, il rapporto Modello di Difesa / Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. negli anni '90. Il documento riconfigura la collocazione geostrategica dell'Italia, definendola «elemento centrale dell'area geostrategica che si estende unitariamente dallo Stretto di Gibilterra fino al Mar Nero, collegandosi, attraverso Suez, col Mar Rosso, il Corno d'Africa e il Golfo Persico». Considerata la «significativa vulnerabilità strategica dell'Italia» soprattutto per l'approvvigionamento petrolifero, «gli obiettivi permanenti della politica di sicurezza italiana si configurano nella tutela degli interessi nazionali, nell'accezione più vasta di tali termini, ovunque sia necessario», in particolare di quegli interessi che «direttamente incidono sul sistema economico e sullo sviluppo del sistema produttivo, in quanto condizione indispensabile per la conservazione e il progresso dell'attuale assetto politico e sociale della nazione». 
Nel 1993 – mentre l’Italia sta partecipando all’operazione militare lanciata dagli Usa in Somalia, e al governo Amato subentra quello Ciampi – lo Stato maggiore della difesa dichiara che «occorre essere pronti a proiettarsi a lungo raggio» per difendere ovunque gli «interessi vitali», al fine di «garantire il progresso e il benessere nazionale mantenendo la disponibilità delle fonti e vie di rifornimento dei prodotti energetici e strategici». 
Nel 1995, durante il governo Dini, lo stato maggiore della difesa fa un ulteriore passo avanti, affermando che «la funzione delle forze armate trascende lo stretto ambito militare per assurgere anche a misura dello status e del ruolo del paese nel contesto internazionale». 
Nel 1996, durante il governo Prodi, tale concetto viene ulteriormente sviluppato nella 47a sessione del Centro alti studi della difesa. «La politica della difesa – afferma il generale Angioni – diventa uno strumento della politica della sicurezza e, quindi, della politica estera». 
Questa politica anticostituzionale, introdotta attraverso decisioni apparentemente tecniche, viene di fatto istituzionalizzata passando sulla testa di un parlamento che, in stragrande maggioranza, se ne disinteressa o non sa neppure che cosa precisamente stia avvenendo. 


BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 4) 

Manlio Dinucci

L’ESPANSIONE DELLA NATO AD EST VERSO LA RUSSIA
Nello stesso anno – il 1999 – in cui lancia la guerra contro la Jugoslavia e annuncia di voler «condurre operazioni di risposta alle crisi, non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza», la Nato inizia la sua espnasione ad Est. Essa ingloba i primi tre paesi dell’ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria. 
Quindi, nel 2004, si estende ad altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania (già parte dell’Urss); Bulgaria, Romania, Slovacchia (già parte del Patto di Varsavia); Slovenia (già parte della Federazione Jugoslava). Al vertice di Bucarest, nell’aprile 2008, viene deciso l’ingresso per l’anno seguente di Albania (un tempo membro del Patto di Varsavia) e Croazia (già parte della Federazione Jugoslava).
Facendoli entrare nella Nato, Washington lega questi paesi non tanto all’Alleanza, quanto direttamente agli Usa. Romania e Bulgaria mettono subito a disposizione degli Stati Uniti le importanti basi militari di Costanza e Burgas sul Mar Nero. 
La Repubblica Ceca garantisce la disponibilità del suo territorio per la dislocazione di rampe missilistiche dello «scudo antimissili» Usa. 
La Lituania, ancor prima di entrare nella Nato, comincia ad acquistare armamenti statunitensi, a partire da 60 missili Stinger per un valore di oltre 30 milioni di dollari. 
La Polonia acquista nel 2002 48 caccia F-16 della statunitense Lockeed Martin e, per pagarli, usa un prestito statunitense di quasi 5 miliardi di dollari (con interessi non solo finanziari ma politici).  
La Bulgaria procede, su direttiva di Washington, a una drastica epurazione delle forze armate, espellendo migliaia di ufficiali (ritenuti non del tutto affidabili) per sostituirli con oltre 2 mila giovani e fidati ufficiali, formati da istruttori statunitensi e in grado di parlare un ottimo inglese, anzi americano. 
In tal modo gli Stati Uniti rafforzano ulteriormente la loro influenza in Europa. Sui dieci paesi dell’Europa centro-orientale che entrano nella Nato tra il 1999 e il 2004, sette entrano nell’Unione europea tra il 2004 e il 2007: all’Unione europea che si allarga a Est, gli Stati Uniti sovrappongono la Nato che si allarga a Est sull’Europa. Quale sia il reale scopo dell’operazione lo rivelano funzionari del Pentagono: i dieci paesi dell’Europa centro-orientale entrati nella Nato – essi dichiarano nel febbraio 2003 – «stanno prendendo rilevanti posizioni filo-Usa, riducendo efficacemente l’influenza delle potenze della vecchia Europa, come la Germania e la Francia». 
Si rivela così, chiaramente, il disegno strategico di Washington: far leva sui nuovi membri dell’Est, per stabilire nella Nato rapporti di forza ancora più favorevoli agli Stati Uniti, così da isolare la «vecchia Europa» che potrebbe un giorno rendersi autonoma. 
L’espansione a Est della Nato ha, oltre a queste, altre implicazioni. Inglobando non solo i paesi dell’ex Patto di Varsavia ma anche le tre repubbliche baltiche un tempo facenti parte dell’Urss, la Nato arriva fino ai confini della Federazione Russa. Nonostante le assicurazioni di Washington sulle intenzioni pacifiche della Nato, ciò costituisce una minaccia, anche nucleare, verso la Russia.  
Per tranquillizzare la Russia, la Nato afferma di «non avere intenzione, né piani, di schierare armi nucleari sul territorio dei nuovi membri» dell’Europa centro-orientale. Quanto valga tale impegno, lo dimostra il fatto che la Nato, dopo aver promesso solennemente di non mantenere unità da combattimento sul territorio dei paesi dell’Europa centro-orientale in procinto di entrare o entrati nell’Alleanza, subito dopo usa la base aerea ungherese di Taszar quale principale centro logistico delle forze statunitensi operanti nei Balcani. 
L’impegno a non schierare armi nucleari nei paesi dell’Europa centro-orientale viene smentito dal fatto che, tra le armi nucleari mantenute dagli Stati Uniti in Europa nel quadro della Nato, vi sono «bombe nucleari per aerei a duplice capacità». Poiché aerei di questo tipo, come gli F-16 della U.S. Air Force e i 48 acquistati dalla Polonia, operano nei paesi dell’Europa centro-orientale entrati nella Nato, la loro presenza in queste basi avanzate costituisce una potenziale minaccia nucleare nei confronti della Russia. 


BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 5)

Manlio Dinucci

AFGHANISTAN: LA PRIMA GUERRA DELLA NATO AL DI FUORI DELL’AREA EURO-ATLANTICA 
Il reale motivo dell’intervento Usa/Nato in Afghanistan non è la sua liberazione dai taleban, che erano stati addestrati e armati in Pakistan in una operazione diretta dalla Cia per conquistare il potere a Kabul, ma l’occupazione di quest’area di primaria importanza strategica per gli Stati Uniti. 
L’Afghanistan è al crocevia tra Medio Oriente, Asia centrale, meridionale e orientale. In quest’area (nel Golfo e nel Caspio) si trovano le maggiori riserve petrolifere del mondo. Si trovano tre grandi potenze – Cina, Russia e India – la cui forza sta crescendo e influendo sugli assetti globali. Come aveva avvertito il Pentagono nel rapporto del 30 settembre 2001, «esiste la possibilità che emerga in Asia un rivale militare con una formidabile base di risorse». 
La decisione di dislocare forze in Afghanistan, quale primo passo per estendere la presenza militare statunitense nell’Asia centrale, viene presa a Washington non dopo l’11 settembre 2001, ma prima. Lo rivelano attendibili fonti, secondo le quali «il presidente Bush, due giorni prima dell’11 settembre, era in procinto di firmare un piano dettagliato che prevedeva operazioni militari in Afghanistan» (NBC News, 16 maggio 2002): era già dunque sul tavolo del presidente, prima dell’attacco terroristico che ufficialmente motiva la guerra in Afghanistan, «il piano di guerra che la Casa Bianca, la Cia e il Pentagono hanno messo in atto dopo l’11 settembre». 
Nel periodo precedente l’11 settembre 2001, vi sono in Asia forti segnali di un riavvicinamento tra Cina e Russia, che si concretizzano quando, il 17 luglio 2001, i presidenti Jang Zemin e Vladimir Putin firmano a Mosca il «Trattato di buon vicinato e amichevole cooperazione», definito una «pietra miliare» nelle relazioni tra i due paesi. Pur senza dichiararlo, Washington considera il riavvicinamento tra Cina e Russia una sfida agli interessi statunitensi in Asia, nel momento critico in cui gli Stati Uniti cercano di occupare, prima di altri, il vuoto che la digregazione dell’Urss ha lasciato in Asia centrale. Una posizione geostrategica chiave per il controllo di quest’area è quella dell’Afghanistan. 
Con la motivazione ufficiale di dare la caccia a Osama bin Laden, indicato come mandante degli attacchi dell’11 settembre a New York e Washington, la guerra inizia il 7 ottobre 2001 con il bombardamento dell’Afghanistan effettuato dall’aviazione statunitense e britannica. Precedentemente vengono infiltrate in territorio afghano forze speciali con il compito di preparare l’attacco insieme all’Alleanza del nord e altre formazioni anti-talebane. Sotto i massicci bombardamenti e l’offensiva terrestre dell’Alleanza del nord, le forze talebane, cui si affiancano volontari provenienti dal Pakistan e altri paesi, sono costrette ad abbandonare Kabul il 13 novembre.
A questo punto il Consiglio di sicurezza dell’Onu autorizza, con la risoluzione 1386 del 20 dicembre 2001, la costituzione dell’Isaf (Forza internazionale di assistenza alla sicurezza). Suo compito è quello di assistere l’autorità ad interim afghana a Kabul e dintorni. Secondo l’art. VII della Carta delle Nazioni unite, l'impiego delle forze armate messe a disposizione da membri dell’Onu per tali missioni deve essere stabilito dal Consiglio di sicurezza coadiuvato dal Comitato di stato maggiore, composto dai capi di stato maggiore dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Anche se tale comitato non esiste, l’Isaf resta fino all’agosto 2003 una missione Onu, la cui direzione viene affidata in successione a Gran Bretagna, Turchia, Germania e Olanda. 
Ma improvvisamente, l’11 agosto 2003, la Nato annuncia di aver «assunto il ruolo di leadership dell’Isaf, forza con mandato Onu». E’ un vero e proprio colpo di mano: nessuna risoluzione del Consiglio di sicurezza autorizza la Nato ad assumere la leadership, ossia il comando, dell’Isaf. Solo a cose fatte, nella risoluzione 1659 del 15 febbraio 2006, il Consiglio di sicurezza «riconosce il continuo impegno della Nato nel dirigere l’Isaf».
A guidare la missione, dall’11 agosto 2003, non è più l’Onu ma la Nato: il quartier generale Isaf viene infatti inserito nella catena di comando della Nato, che sceglie di volta in volta i generali da mettere a capo dell’Isaf. Come sottolinea un comunicato ufficiale, «la Nato ha assunto il comando e il coordinamento dell’Isaf nell’agosto 2003: questa è la prima missione al di fuori dell’area euro-atlantica nella storia della Nato». La missione Isaf viene quindi inserita nella catena di comando del Pentagono. Nella stessa catena di comando sono inseriti i militari italiani assegnati all’Isaf, insieme a elicotteri e aerei, compresi i cacciabombardieri Tornado. 


(CONTINUA)




Venezuela: da dove vengono le "fake news" e perché

1) Da "La Stampa" al "Fatto Quotidiano", ecco a voi il letame della stampa italiana (LINKS)
2) Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti finanzia media e giornalisti stranieri in funzione dei suoi piani d'intervento (Misión Verdad)
3) Amnesty International e il Venezuela: una lettera critica al portavoce italiano Riccardo Noury (di Adolfo Perez Esquivel e altri firmatari)
4) Venezuela. I consiglieri di Soros indicano la strada per il rovesciamento di Maduro (di Sergio Cararo)
5) COME FUNZIONANO LE “RIVOLUZIONI COLORATE”, DALL’EGITTO AL VENEZUELA. Gli inizi in Serbia... (Natalia Viana, 2012)


Si vedano anche:

Tutti gli articoli de L'ANTIDIPLOMATICO sul Venezuela
http://www.lantidiplomatico.it/argnews-Venezuela/58/

Chi c’è dietro il colpo di Stato contro il Venezuela? (Misión Verdad, TeleSUR 27 aprile 2017 – Global Research)
Creare un’immagine distorta della crisi umanitaria è il punto di partenza. Tracciare l’immagine di un Paese sull’orlo del collasso è l’alibi
https://aurorasito.wordpress.com/2017/05/07/chi-ce-dietro-il-colpo-di-stato-contro-il-venezuela/

Premio Nobel della Pace Esquivel: "i grandi mezzi di comunicazione producono notizie false per il deterioramento del Venezuela" (Telesur / L'Antidiplomatico, 1/5/2017)
... Per Esquivel, il Venezuela soffre una crisi imposta dagli Stati Uniti, che non vuole perdere il controllo continentale e cerca di impedire l'autodeterminazione dei popoli attraverso golpe morbidi...

Violenza e incitazione all’odio: così i siti dell'opposizione venezuelana preparno uno "scenario Ruanda" (di Geraldina Colotti, il Manifesto, 5 maggio 2017)
... non si tratta di manifestazioni pacifiche, come vorrebbe il racconto a senso unico dei media internazionali. Diversi leader di opposizione, mentre si fanno vedere in piazza a incitare gli incappucciati (Freddy Guevara)... basta farsi un giro tra i siti di opposizione per imbattersi nella rivendicazione piena di quel che sta avvenendo, con una cifra di violenza e di incitazione all’odio che ricorda in modo preoccupante quel che accadde in Ruanda nel 1994 e che portò al genocidio. Digitate per esempio su google «resistencia venezolana por la sexta Republica»...

Venezuela. Ex Generale dell'Aviazione: "Le violenze si sono trasformate in insurrezione armata su ordine del Comando del Sur (Usa)" (RT / L'Antidiplomatico, 05/05/2017)
... Per Izarra, l'azione di questi gruppi armati persegue "un piano del Comando Sur (degli Stati Uniti, ndr), che è quello che dirige le operazioni destabilizzatrici contro il Venezuela"...

"Purtroppo non ho avuto le risposte che mi aspettavo". Il video che prova la faziosità dei media contro il Venezuela (L'Antidiplomatico, 06/05/2017)
Javier Couso... euro-deputato di Izquierda Unida... ha letteralmente umiliato la faziosità e l'ignoranza dei media europei... E' il caso di questa giornalista di Deutsche Welle che si accanisce ai limiti dell'isteria per difendere le ragioni dell'estrema destra golpista venezuelana, come se ad essere minacciata fosse la sua stessa incolumità a Berlino...
QUI IL VIDEO: Eurodiputado de Izquierda Unida, Javier Couso Permuy, coloca en su lugar a periodista de DW TV (YVKE Radio Mundial Margarita, 4 mag 2017)

"Invitiamo a rispettare la nostra sovranità". Comunicato dell'Ambasciata del Venezuela in Italia (8/5/2017)

Venezuela: ONG finanziate da Washington per destabilizzare (Fabrizio Verde / L'Antidiplomatico, 11/05/2017)
... Già nel 2014, allorquando fu sviluppato il piano golpista ‘La Salida’ per cui Leopoldo Lopez sta scontando 13 anni di reclusione, la sola NED ha fornito alle ONG venezuelane ben 2 milioni 381 mila 824 dollari; mentre nel 2015, 1 milione 908 mila 087 dollari ; e nel 2016, 1 milione 611 mila 637 dollari...

Le sole due alternative per il Venezuela (Atilio Boron / marx21.it, 14/05/2017)
... Tutte queste proteste e i loro istigatori hanno un unico obiettivo: garantire la vittoria della controrivoluzione e restaurare il vecchio ordine pre-chavista attraverso il caos scientificamente programmato da gente come Eugene Sharp e altri consulenti della CIA che hanno scritto vari manuali di istruzione su come destabilizzare governi...

EE.UU. envía 5,5 mdd a Venezuela para financiar "democracia" (TeleSUR, 17 mayo 2017)
... El informe fiscal estadounidense de 2017 revela que Estados Unidos continúa financiando organizaciones en Venezuela, lo ha que sido denunciado por el Gobierno Bolivariano como un acto injerencista...
Venezuela. Ecco come gli Usa preparano l'invasione tramite la Colombia (di Geraldina Colotti / il Manifesto / L'Antidiplomatico, 19/05/2017)
... Il bilancio fiscale degli Stati uniti rivela che per “difendere le pratiche democratiche, istituzioni e valori che appoggiano i diritti umani”, gruppi e ong di opposizione (e giornalisti) hanno ricevuto 5,5 milioni di dollari nel 2017. Cifre che risultano alla pagina 96 del rapporto sul bilancio degl Congresso, Dipartimento di Stato, Operazioni straniere e Programmi annessi degli Stati uniti. Finanziamenti essenziali per acquistare e distribuire armi e il costosissimo equipaggiamento dei “guarimberos”. Per attrezzare un “pacifico manifestante” serve una cifra pari a oltre 20 salari operai...
Gli Usa inviano 5,5 milioni di dollari per "la democrazia" in Venezuela (L'Antidiplomatico, 19/05/2017)
... La cifra esatta emerge a pagina 96 del rapporto [ https://www.state.gov/documents/organization/252179.pdf ], come riporta Telesur....

Venezuela: il chavismo inonda le strade di Caracas (L'Antidiplomatico, 21/05/2017)
... Il popolo chavista in questo momento delicato scende in campo in massa per difendere le conquiste della Rivoluzione e impedire che l’opposizione possa imporre al paese un ritorno al nefasto neoliberismo che mise in ginocchio il paese...
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-venezuela_il_chavismo_inonda_le_strade_di_caracas/5694_20193/

Documento USA trapelato. La lista dei politici e artisti venezuelani pagati per attaccare il governo sulle reti sociali (L'Antidiplomatico, 22/05/2017)
Un documento trapelato del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti mette in evidenza il finanziamento che avrebbero ricevuto alcuni personaggi pubblici e politici venezuelani da parte del paese nord-americano...
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-documento_usa_trapelato_la_lista_dei_politici_e_artisti_venezuelani_pagati_per_attaccare_il_governo_sulle_reti_sociali/82_20207/

Venezuela. Perché è un vostro diritto pretendere che i fake media vi mostrino questo video (L'Antidiplomatico, 22/05/2017)
... Nel video potete osservare come paghino  i mercenari terroristi che durante la giornata incendiano ospedali, assediano edifici pubblici, danno fuoco a bus, tengono in ostaggio interi quartieri...
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-venezuela_perch__un_vostro_diritto_pretendere_che_i_fake_media_vi_mostrino_questo_video/82_20208/

Il rapporto che smonta tutte le fake news dei media mainstream sulle morti in Venezuela (L'Antidiplomatico, 24/05/2017)
Il ministro del Potere Popolare per la Comunicazione e l’Informazione Ernesto Villegas; Il ministro degli Esteri del Venezuela Delcy Rodríguez e il Segretario Esecutivo del Consiglio Nazionale per i Diritti Umani, Larry Devoe, hanno tenuto una conferenza stampa con i mezzi d’informazione nazionali e internazionali, presentando un rapporto sui 51 giorni di violenza provocati dai partiti estremisti dell’opposizione, che hanno causato la morte di 60 persone...

Fronte popolare antimperialista e antifascista (PCV / Resistenze.org, 25/05/2017)
... Si richiede urgentemente un'azione congiunta e il coordinamento tra le organizzazioni rivoluzionarie, le forze del movimento operaio e popolare e degli ufficiali patriottici delle Forze Armate Nazionali Bolivariane (FANB). E' necessario un Piano Unitario Patriottico e Popolare per sconfiggere la destra terrorista e l'imperialismo. Il contrario significherebbe agire irresponsabilmente. Il contrario, nella pratica, corrisponderebbe a una resa. Le vere e i veri rivoluzionari non si arrendono, ma combattono uniti fino alla vittoria...

Il Venezuela accusa il Parlamento europeo di alimentare la violenza (30/5/2017)

Venezuela: terrorista confessa di ricevere vestiti e denaro per gli atti vandalici (Fabrizio Verde / L'Antidiplomatico, 30/05/2017)
... Attraverso un video che circola sulle reti sociali, viene mostrato uno dei terroristi che tiene sotto scacco gli abitanti di Altamira e Bello Monte (Caracas) che riconosce di essere remunerato dall’estrema destra venezuelana...

Venezuela: la Russia «estremamente preoccupata» per gli attacchi degli oppositori a scuole ed ospedali (Fabrizio Verde / L'Antidiplomatico, 31/05/2017)
... questa la denuncia forte della portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, che in una conferenza stampa ha anche segnalato come Mosca sia «estremamente preoccupata perché scuole, ospedali e mezzi di trasporto sono bersaglio di attacchi». La portavoce del ministero russo ha inoltre denunciato i «casi di linciaggio» sofferti da sostenitori del governo Maduro per mano dei terroristi dell’opposizione...

Rapporto Nazioni Unite. Venezuela migliore in termini di uguaglianza sociale in America Latina, Colombia ultima (L'Antidiplomatico / TeleSUR, 31/05/2017)
Secondo i dati forniti da un nuovo rapporto della Commissione economica per l'America Latina e i Caraibi (CEPAL, commissione regionale delle Nazioni Unite con sede a Santiago del Cile), il Venezuela e l'Uruguay hanno le migliori percentuali in termini di distribuzione della ricchezza. Colombia e Guatemale sono le peggiori...


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Da "La Stampa" al "Fatto Quotidiano", ecco a voi il letame della stampa italiana (LINKS)

Più realisti del Re. La Stampa di Torino sul Venezuela rilancia perfino le fake news smentite dall'opposizione (di Fabrizio Verde, L'Antidiplomatico, 30/04/2017)
... Il giornalista del quotidiano torinese afferma che il giovane studente è stato colpito da una bomba lacrimogena al petto. Una menzogna colossale smentita dal quotidiano di opposizione ‘El Nacional’ e dal sindaco del municipio di Chacao...

Il Fatto Quotidiano e il Venezuela: il giornale di Travaglio si conferma la migliore "sponda dell'interventismo"
(L'Antidiplomatico, 01/05/2017)
... La disinformazione parte gia dal titolo: «Venezuela, ingiusto Maduro: il dittatore senza qualità con la paranoia di Chavez»...

Travaglio e il Fatto Quotidiano: Cavallini dell'Impero (L'Antidiplomatico, 04/05/2017)
... L’ennesima ‘perla’ del quotidiano diretto da Marco Travaglio, è regalata dal blogger Massimo Cavallini. Al pari di quei 'corrispondenti' dei vari quotidiani italiani che vengono spacciati per inviati a Caracas mentre scrivono i loro articoli comodamente dagli Stati Uniti. ...

Venezuela. Quella visione di Washington che trapela da La Repubblica (Sergio Cararo, Contropiano, 5/5/2017)
... Uno speciale di ben otto pagine che sui rivela però una sorta di monologo del corrispondente del giornale: Omero Ciai. Nessuna intervista, nessun documento, nessun altro contributo. Insomma è totalmente assente quella articolazione informativa che, di solito, dà sostanza e interesse ad uno speciale coerente con questo il senso comune che si dà a queste forme di approfondimento. E’ solo un monologo di un corrispondente con una visione ben precisa di come si debba raccontare una realtà...

L'ultima incredibile "fake news" di Repubblica. Senza rispetto neanche dei morti (di Alessandro Bianchi, L'Antidiplomatico 5/5/2017)
Laura Boldrini in un recente Convegno alla Camera ha chiesto impegni concreti, non solo parole, contro le fake news che inquinano un nostro diritto fondamentale. Dobbiamo agire, dichiara la Boldrini. Bene agiamo...

Venezuela, l'incredibile foto bufala de la Stampa: le fake news non sono sul web, le pagate 1,50 in edicola! (L'Antidiplomatico, 25/05/2017)
... la persona ritratta nella foto si chiama Orlando Figuera, ambulante di Caracas. Registra ustioni per l'80% del suo corpo e la sua vita è salva solo per l'intervento della polizia. La sua unica colpa è quella di aver confermato di essere chavista a questi terroristi, fascisti e mercenari...


=== 2 ===

ORIG.: El Departamento de Estado financia las noticias falsas en Venezuela (investigación) (MAYO 3 DE 2017)
El establishment de los Estados Unidos financia permanentemente a medios de noticias y periodistas extranjeros en función de sus planes de intervención en países esenciales para su control político global, como el caso de Venezuela...
http://misionverdad.com/columnistas/el-departamento-de-estado-financia-las-noticias-falsas-en-venezuela-investigacion

EN FRANCAIS: Le Département d’Etat USA finance les fausses informations contre le Venezuela
L’establishment des Etats-Unis finance constamment des médias de presse et des journalistes étrangers en fonction de leurs plans d’intervention dans des pays essentiels pour leur contrôle politique mondial, comme le Venezuela...



Ecco da dove arrivano le fake news sul Venezuela

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti finanzia media e giornalisti stranieri in funzione dei suoi piani d'intervento


da Mision Verdad

Organi di governo come il Dipartimento di Stato, il Dipartimento della Difesa, la USAID e la NED finanziano lo «sviluppo dei media» in oltre 70 paesi, specificamente organizzazioni non governative straniere (ONG), associazioni di giornalisti, mezzi d’informazione e spazi accademici di giornalismo. 

 

Le corporation e i governi vogliono che l’esercizio della propaganda sia coperto con l’estetica e linguaggi apparentemente neutrali con elementi di rapidità e reattività, così il ricevitore dell’informazione può giudicare come ragionevole la viralizzazione del messaggio senza valutare l’interesse o l’intenzione che c’è dietro i dati forniti, lasciando come unico fattore di mediazione tra la ‘verità’ e il suo consumo le proprie emozioni e i sentimenti. 

 

Dollari per un difficile contesto operativo 

 

L’obiettivo di finanziare la destabilizzazione per favorire un contesto di guerra non convenzionale è portato avanti dal Dipartimento di Stato, come dimostra il Congressional Budget Justification o CBJ, presentazione annuale che l’organizzazione tiene davanti al Congresso degli Stati Uniti sulle operazioni che realizza all’estero.

 

Finanziando i mezzi di comunicazione venezuelani, gli Stati Uniti rafforzano una delle armi più potenti contro il chavismo. Mark Weisbrot, economista del Center for Economic and Policy Research, un think thank di Washington, ha affermato che «in un certo numero di paesi, tra cui Venezuela e Bolivia, l’USAID sta operando come un’agenzia coinvolta in operazioni segrete, come la CIA, piuttosto che un’agenzia per lo sviluppo», i nomi delle organizzazioni straniere che ricevono fondi non vengono rivelati in quanto segreti di Stato, esattamente come nel caso della CIA. 

 

Nei casi in cui vengono richieste informazioni sulle organizzazioni beneficiarie, l’USAID risponde che non può «confermare o negare l’esistenza di documenti».

 

Canali incrociati, finanziamento efficiente e diretto

 

Tra il 2007 e il 2009, il Dipartimento di Stato ha versato almeno 4 milioni di dollari (US$4MM) a giornalisti in Bolivia, Nicaragua e Venezuela attraverso la Fondazione Panamericana per lo Sviluppo (PADF) con sede a Washington, creata dal Dipartimento di Stato nel 1962 e affiliata all’OSA. 

 

Secondo il giornalista Jeremy Bigwood questo importo è stato destinato al finanziamento dei migliori mezzi di comunicazione venezuelani e al reclutamento di giovani giornalisti. I risultati di Bigwood si evincono da un documento del Dipartimento di Stato denominato ‘requisiti’ che attualmente non è disponibile online, dove vengono nominate le ONG Espacio Público e Instituto Prensa y Sociedad.

 

Un rapporto pubblicato nel maggio del 2014 dal think thank europeo di centrodestra FRIDE (rimosso dal sito web poco dopo la pubblicazione) ha rivelato il finanziamento statunitense al giornalismo venezuelano, dal 2002 gli Stati Uniti hanno investito tra 3 e 6 milioni di dollari ogni anno in «piccoli progetti con partiti politici e ONG». 

 

Secondo un rapporto ancora non completato dall’USAID, il finanziamento alle ONG, partiti e media venezuelani è calato dai 14 milioni del 2009 ai 5 del 2016. Questo importo rappresenta poco più della metà di quanto investito negli ultimi 15 anni. Quei fondi, che sicuramente sono stati dilapidati dall’opposizione, sono stati concentrati sull’attacco mediatico, che ha generato i maggiori risultati.

 

Menzogne potenziate e ampliate

 

Uno degli obiettivi nel 2016, secondo il CBJ, è stato potenziare « i media indipendenti, liberi e professionali». Durante quest’anno (2016) e il precedente è stato notevole l’emergere di nuovi media digitali così come il rafforzamento di altri già esistenti il cui dispiegamento nelle reti sociali continua a essere massiccio e crescente. Media come EL Pitazo, Caraota Digital, Efecto Cocuyo ed El Estimulo, tutti che in misura maggiore o minore, cercano di accreditarsi come «media indipendenti». 

 

Il Dipartimento di Stato afferma che le sue attività in Venezuela «non di parte», cercano di promuovere i valori della democrazia rappresentativa e i diritti umani, oltre a migliorare l’accesso del pubblico all’informazione.
Come vedremo in seguito questi media producono notizie false (o fake news). 

 

 Il circuito di elaborazione della notizia falsa comincia con la deformazione di un fatto che immediatamente viene ripreso dai media internazionali, il pezzo viene cancellato in un lasso di tempo che va da 1 a 4 ore ma l’informazione continua a circolare sui social network, quando emerge la versione reale nessun media internazionale corregge la notizia, o quantomeno viene utilizzata la stessa veemenza. Così è accaduto in occasione di varie morti verificatesi durante le guarimbas in corso e attribuite ai collettivi chavisti (definiti paramilitari dagli operatori politici). 

 

La linea editoriale delle fake news viene definita dal Dipartimento di Stato: accusare di terrorismo di Stato e crimini contro l’umanità il governo venezuelano (sfruttando la matrice dei ‘collettivi paramilitari’) per formare un assedio diplomatico e finanziario nei suoi confronti. Come già accaduto in Nicaragua, Haiti, Siria e Libia.
In merito a questo caso il Ministero degli Interni e Giustizia ha stabilito che il responsabile della morte è un militante di Vente Venezuela, Iván Alexis Pernía Pérez. Vente Venezuela è un partito di opposizione guidato da Maria Corina Machado. La giovane non partecipava alle proteste, come insinuato da Efecto Cocuyo. 

 

El Pitazo non si è tirato indietro ed essendo parte integrante dell’operazione di propaganda ha diffuso la falsa notizia.
Sulla stessa linea c’è El Estimulo che ha generato disinformazione, assicurando senza alcuna prova o testimoni credibili, che queste organizzazioni «reprimono» le manifestazioni pacifiche dell’opposizione. In questo caso cercando di sfruttare il fattore di sensibilità che suscita una donna. Sino a questo momento El Estimulo non ha presentato alcuna prova.
Altro aspetto non meno ingannevole è rappresentato dalla pubblicazione di immagini di altri luoghi per spaventare i cittadini e generare nevrosi mediatiche. Per Esempio Caraota Digital, che per documentare la repressione a El Paraiso…
Utilizza la stessa fotografia pubblicata dal portale Dolar Today per accusare «i collettivi» di provocare il caos in prados del Este, dove gruppi violenti dell’opposizione erano appostati dal pomeriggio. 

 

L’utilizzo di notizie false come arma di guerra psicologica e mediatica, è servito per forzare scenari di intervento contro Libia e Siria, come il presunto bombardamento della Piazza Verde a Tripoli nel 2011 o l’attacco chimico del governo siriano nello stesso anno. In Venezuela utilizzano lo stesso copione per ottenere lo stesso risultato.

(Traduzione dallo spagnolo per l’AntiDiplomatico di Fabrizio Verde)



=== 3 ===


Amnesty International e il Venezuela: una lettera critica al portavoce italiano Riccardo Noury

di Adolfo Perez Esquivel E Altri Firmatari

Signor Riccardo Noury,
Portavoce e responsabile della comunicazione di Amnesty International Italia

con grande rammarico e preoccupazione apprendiamo come la sua organizzazione sia tornata a prestare il fianco all’offensiva delle destre contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela. In un nuovo rapporto intitolato ‘Ridotti al silenzio con la forza: detenzioni arbitrarie e motivate politicamente in Venezuela’, Amnesty accusa le autorità venezuelane «di aver intensificato la persecuzione e le punizioni nei confronti di chi la pensa diversamente, in un contesto di crisi politica in cui le proteste che si susseguono in tutto il paese hanno dato luogo a diverse morti e a centinaia di ferimenti e arresti».
Si tratta di una ricostruzione falsa, tendenziosa e che getta ulteriore benzina sul fuoco delle violenze provocate da chi cerca, per la terza volta (2002 e 2014 i precedenti), di esautorare un governo legittimo con la violenza e con il terrorismo sulle strade.
I dirigenti dell’opposizione venezuelana hanno innescato una spirale di odio ormai sfuggito anche al loro stesso controllo. Gruppi di violenti – fascisti e mercenari con un tariffario preciso perlopiù – applicano con un’organizzazione paramilitare omicidi (che poi i media trasformano in “morti per la brutale repressione del regime”), rapine e devastazioni, oltre a veri e propri atti di terrorismo contro ospedali infantili, linciaggi in piazza, blocco di strade e distruzioni di edifici pubblici.

Se la situazione non fosse così grave per il futuro del Venezuela, suonerebbero quasi comiche le parole di Erika Guevara Rosas, direttrice per le Americhe della sua organizzazione, che arriva a parlare di una «campagna diffamatoria sui mezzi d’informazione nei confronti di oppositori politici». Siamo oltre il farsesco.

Quale sarebbe, signor Noury, secondo Lei la reazione di un qualunque governo occidentale se i dirigenti dell’estrema destra del paese scendessero in piazza a coordinare le azioni dei violenti, spesso armati, come fatto da Freddy Guevara di Voluntad Popular? Il Partito estremista e violento di Gilbert Caro e Stelcy Escalona, che citate nel vostro rapporto. Il dirigente e la militante del partito guidato dal golpista Leopoldo Lopez, sono stati fermati di ritorno dalla Colombia e trovati in possesso di un fucile FAL calibro 7,62 mm, di proprietà della Forza Armata Nazionale Bolivariana con il numero di serie cancellato; un caricatore con 20 cartucce; 3 stecche di esplosivo C4. Ci sembra quanto meno arduo prendere le difese di chi viene trovato in possesso di un vero e proprio arsenale.

Quale sarebbe, signor Noury, secondo Lei la reazione di un qualunque governo occidentale se uno dei leader dell’estrema destra del paese in un’intervista alla BBC, certamente non un organo che può essere additato di simpatie con l’attuale governo venezuelano, invitasse testualmente l’esercito e la polizia del paese a compiere un colpo di stato non obbedendo più agli ordini dello Stato? E’ quello che ha fatto recentemente Julio Borges, altro leader della destra venezuelana.

Come nel caso di Honduras, Haiti, Paraguay e Brasile, in Venezuela è in corso un nuovo tentativo di “golpe morbido”. E i mezzi di comunicazione, purtroppo, si sono posti al servizio dei grandi interessi economici e politici, con l’intento di screditare il governo venenzuelano attraverso notizie false che servono a provocare il deterioramento generale del paese. “Quello che mi spaventa di più del Venezuela è l’opposizione, o una gran parte di essa. Credo che ci sia un clima di radicalizzazione che si è trasformata in irrazionale e che nel lungo periodo finisca per favorire la destra. Questo è molto pericoloso dato che c’è Trump negli Stati Uniti. Siamo ormai abituati alla retorica della difesa della democrazia, dei diritti umani, contro le armi di distruzione di massa. E dopo arriva sempre il terribile intervento armato degli Stati Uniti. Il peggio che possiamo fare come latinoamericani è fare da sponda all’interventismo. La radicalizzazione e quello che sta facendo Almagro nell’OSA è un pericolo, non solo per il Venezuela, ma per tutto il continente”. Sono le parole illuminanti di Pepe Mujica, ex Presidente dell’Uruguay.

Ecco, signor Noury, perché la sua organizzazione ha deciso di fare da “sponda all’interventismo”? Prevenire le guerre di aggressione, come le tante che l’Occidente ha condotto in questi decenni, è un modo sicuro per evitare oceani di dolore e il disfacimento di interi paesi, che poi costringe a moltiplicare le organizzazioni addette all’emergenza umanitaria, bellica e post-bellica. Per prevenire le guerre occorre anche combattere le menzogne che le favoriscono, perché creano il pretesto. Quando – e solo ogni tanto – le menzogne sono smascherate, è troppo tardi e un paese è già distrutto.

Le ripetiamo, signor Noury: perché la sua organizzazione ha deciso di fare da sponda all’interventismo contro il Venezuela aiutando a creare il “pretesto”? Dopo ex Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, Ucraina, Siria… la sua organizzazione non ha già visto troppi morti e sofferenza nel mondo prodotti dalla furia cieca dell’ingerenza occidentale?

E, per concludere, Signor Noury, non provate rimorso nei confronti delle famiglie delle vittime riunite nel ‘Comitato vittime delle Guarimbas e del Golpe Continuato’ che Lei, adducendo come motivazione la mancanza di tempo, ha rifiutato di incontrare l’anno scorso quando erano in visita in Italia? Sa signor Noury, quelle persone erano la testimonianza viva di quella violenza terrorista che oggi, come nel 2014, si ripete in Venezuela con gli stessi strumenti e protagonisti.

23 maggio 2017

Primi firmatari:

Adolfo Pérez Esquivel – Premio Nobel per la pace 1980. Carcerato e torturato dalla dittatura argentina.
Gianni Vattimo – Filosofo
Frei Betto – Teologo della liberazione brasiliano
Pino Cacucci – Scrittore
Gianni Minà – Giornalista e scrittore
Alessandra Riccio – Docente universitario e giornalista
Maïté Pinero – Giornalista 
Giorgio Cremaschi – Ex leader del sindacato Fiom 
Luciano Vasapollo – Docente universitario. Capitolo Italiano della Rete di Intellettuali in difesa dell’umanità



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Venezuela. I consiglieri di Soros indicano la strada per il rovesciamento di Maduro

di Sergio Cararo, 31 maggio 2017

L’International Crisis Group, organizzazione creata e finanziata da Soros al tempo della disgregazione forzata della Jugoslavia, ha pubblicato una lunga analisi di un suo esperto, Phil Gunson, nella quale vengono delineati i passaggi del progetto di regime change in corso (un modo elegante per non pronunciare la parola gole, ndr).

Secondo l’ICS: “La pressione internazionale è fondamentale, ma deve essere attentamente calibrata con carote e bastoni, per fornire uno sbocco ai membri del regime che possono essere inclini a negoziare un ritorno alla democrazia. A questo proposito, l’Assemblea Nazionale dovrebbe prendere in considerazione le leggi che prevedono l’amnistia parziale e condizionale per i membri militari e civili del regime, segnalando l’intenzione di cercare la riconciliazione e di evitare una caccia alle streghe, nel caso di una transizione. Anche se la Corte Suprema quasi certamente porrà il veto, la legge avrebbe mandato un messaggio che potrebbe isolare i relativamente pochi seguaci del regime che non potrebbero beneficiare di un’amnistia, a causa del loro coinvolgimento in attività come il traffico di droga o di gravi violazioni dei diritti umani. Sanzioni individuali, come quelli già imposte dagli Stati Uniti contro alcuni dirigenti del regime potrebbero essere estese e avere come bersaglio individui associati con flagranti violazioni dei diritti umani, così come proposto da un progetto bipartisan in Senato (Usa,ndr) la scorsa settimana”.

In coerenza con scenari realizzati in altri paesi, il documento dell’International Crisi Group, prosegue indicando quasi praticamente le tappe da percorrere per l’abbattimento del governo Maduro. “Veri negoziati – a differenza dei “dialoghi” senza fine che predilige il governo – sono essenziali, e dovrebbero idealmente portare ad elezioni e ad un governo ad interim di unità nazionale in cui alcuni funzionari attuali (forse anche il procuratore generale Ortega) possono essere parte . Un risultato di questo genere dovrebbe includere a breve termine il riconoscimento dell’Assemblea Nazionale, e il rispetto per i suoi poteri. Non c’è più futuro per lo sforzo di mediazione guidato dall’ex primo ministro spagnolo Jose Luis Rodriguez Zapatero, anche se alcuni dei suoi elementi possono essere incorporati in una struttura più stretta di negoziazione efficace. Questo dovrebbe essere un obiettivo primario dell’iniziativa dell’Organizzazione degli Stati Americani, che richiederà la creazione di un “gruppo di amici”, tra cui almeno un governo di un paese sostenitore di Maduro”.

Esaminiamo bene questo progetto. In primo luogo si dice no a qualsiasi mediazione che non sia finalizzata a buttare giù il governo Maduro (viene infatti dato il benservito al tentativo negoziale di Zapatero); in secondo luogo la creazione di un club di paesi – così come fatto con la Siria – per legittimare il dualismo di potere nel paese, con la perfidia di voler cercare di coinvolgere anche “un paese sostenitore di Maduro” per non dare l’idea di un patto sovranazional

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JUNCKER-KRAZIA

In ordine cronologico inverso:

L'Olanda ratifica l'Accordo di associazione UE-Ucraina bocciato dal referendum
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-lolanda_ratifica_laccordo_di_associazione_ueucraina_bocciato_dal_referendum/11_20323/
30/05/2017 – Il senato olandese ha approvato la ratifica dell'Accordo di Associazione tra UE-Ucraina, portando a conclusione una saga politica che è iniziata più di un anno fa, quando gli elettori olandesi hanno respinto l'accordo in un referendum tenuto nell'aprile 2016 con il 61,1%.
Quasi due terzi del Senato ha votato per la ratifica, con l'opposizione proveniente per lo più da partiti di estrema sinistra e di estrema destra.
 "Il voto di oggi al Senato olandese manda un segnale importante dai Paesi Bassi e l'intera Unione europea ai nostri amici ucraini: il posto dell' Ucraina è in Europa", ha commentato il Presidente della Commissione Ue, JUNCKER.

Olanda: Parlamento contro popolo + Ucraina, lezioni di educazione civica (Pandora TV 20.4.2016)
[Parlamento olandese straccia il risultato del referendum]

In Europa si apre ufficialmente il fronte anti-ucraino. L’Olanda: «Non li vogliamo in Ue» (di Eugenio Cipolla, 31/03/2016)
... mentre Poroshenko è negli Usa per cercare di ottenere da Obama ulteriori aiuti economici e militari, in Europa si è aperto ufficialmente il “fronte anti-ucraino”, che potrebbe presto raccogliere le adesioni di diversi paesi dell’Unione. Intervista dal portale di notizie NU.nl, il premier dei Paesi Bassi, Mark Rutte, ha detto che il suo paese è contrario a un ingresso dell’ex repubblica sovietica in Europa. (...) Mercoledì 6 aprile, infatti, i cittadini dei Paesi Bassi saranno chiamati a esprimere la propria opinione sull’accordo di associazione tra Ue e Ucraina. (...) Jean-Claude JUNCKER ha avvertito i cittadini dei Paesi Bassi:«Non credo che diranno no all’accordo di associazione, perché questo aprirebbe la porta a una grande crisi continentale». Ad Amsterdam e dintorni sono avvertiti. 




Domenico Losurdo:
Il Marxismo Occidentale
Editori Laterza, 2017 

ISBN 9788858127476, 220 pagine; 20€ cartaceo, 11,99€ digitale

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Aprire gli occhi sul mondo

di Luigi Sanchi per Marx21.it
19 Maggio 2017

A PROPOSITO DEL MARXISMO OCCIDENTALE DI DOMENICO LOSURDO

Il nuovo saggio di Domenico Losurdo offre un notevolissimo contributo al rinnovamento tanto filosofico quanto politico del marxismo, in Italia e negli altri paesi che, come l’Italia, sono stati segnati da un destino particolare : quello di avere visto la presenza di un potente movimento operaio, democratico e comunista pur essendo delle potenze chiaramente imperialiste, sia prima che dopo la creazione della NATO. Proprio questa situazione sembra aver presieduto all’involuzione del movimento di pensiero che si richiamava a Marx o che era sgorgato dalle fila delle internazionali socialiste in Europa occidentale. Un saggio non è un trattato : e così Losurdo non tenta di ripercorrere tutte le vie che hanno imboccato tutti i protagonisti e i teorici di questo movimento politico-filosofico. Non è qui il punto. Come infatti precisa il sottotitolo, e al di là del dichiarato contrasto con le tesi di Perry Anderson, il focus dell’autore è cercare di capire « come nacque » il marxismo occidentale (in opposizione al marxismo detto orientale), « come morì » e soprattutto – in tacita opposizione con la visione pessimistica di Costanzo Preve – « come può rinascere ».

La tesi centrale del libro consiste nel rilevare che la variante occidentale del marxismo ha trascurato sempre più la questione essenziale dell’imperialismo, prima chiudendola nel recinto del « terzomondismo » (definizione paternalistica e condiscendente), poi addirittura sostituendole la nozione di « totalitarismo », funzionale alla Guerra Fredda e all’attuale neocolonialismo guerrafondaio. Distorsione del pensiero più autenticamente marxiano che nasce dalla tendenza ad isolare in Marx il genio filosofico puro, dimenticando l’organizzatore politico e il pensatore enciclopedico e tentacolare, oppure a pensarlo come teorico di un capitalismo disincarnato, antiumanistico. Ora, basterebbe il concetto marxiano di divisione internazionale del lavoro in seno al modo di produzione capitalista e alla realtà del mercato mondiale a legittimare la teorizzazione dell’imperialismo prodotta successivamente da Lenin. Giacché i centri mondiali della produzione capitalistica impongono in effetti la divisione del lavoro tra i territori, siano essi Stati autonomi, colonie o semicolonie, con tutte le sofferenze e i costi, umani ed economici, che ne conseguono.

Una volta posta fra parentesi tale articolazione coatta del lavoro tra centro e periferie, ecco che riesce facile concentrarsi sulle contraddizioni fra capitale e lavoro nelle sole metropoli avanzate, relegando il resto del pianeta a « Terzo mondo ». Oppure, su un altro versante, restringere la filosofia di Marx ed Engels a puro dibattito nel salotto buono della storia della filosofia europea, perdendo di vista gli altri aspetti caratteristici della sfera marxiana e (come Losurdo dimostra brillantemente) ritornare nell’alveo dell’imperialismo più classico e indossare di nuovo i panni dell’intellettuale tradizionale, al servizio del potere neocoloniale e della sua propaganda « umanitaria ».

Le basi materiali di tali ritorni (o rinunce) non sono certo mancate : potente è stato, durante la Guerra Fredda, l’arruolamento tra le fila della piccola o media borghesia di tanti intellettuali dapprima critici del capitalismo o compagni di strada dei PC occidentali, via l’ampliamento e la progressiva massificazione delle università, in primo luogo di quelle umanistiche, notoriamente ripari di menti progressiste… da convertire quanto prima alle logiche del capitale e all’ideologia liberale. E una volta liquidato, in Italia, il PCI, è stato facile convicere i sedicenti neo-socialdemocratici della bontà della politica offensiva messa in atto dalla NATO dopo la fine della Guerra fredda.

Se questa è la costatazione di partenza, Domenico Losurdo offre al lettore lo squadernamento di un panorama totalmente altro – e quanto mai salutare. Lo fa in due modi : da un lato, sviluppando nei capitoli successivi una serrata argomentazione logica, che tocca tutti i principali nodi teorici in cui il marxismo occidentale si è in un primo tempo distaccato da quello, ben più efficace e realista, dei Paesi socialisti, e poi, in un secondo tempo, fuorviato nei buoni sentimenti dell’avversione al « totalitarismo » ; dall’altro lato, come in una sorta di spartito musicale, orchestrando e riprendendo nei punti-chiave del suo discorso i riferimenti a fatti macroscopici della storia mondiale che i marxisti occidentali e il loro pubblico dimenticano volentieri : per citare solo alcuni esempi, il ruolo direttore della rivolta degli schiavi di Santo Domingo e Haiti, la presenza di proprietari di schiavi nella storia dei governi statunitensi, la diversa cronologia della Prima Guerra mondiale se vista dal mondo coloniale e in particolare dalla Cina, l’anteriorità delle tesi razziste prodotte da esponenti delle potenze liberali rispetto alle teorizzazioni dei nazisti.

Di fronte alle esperienze emancipatrici, per quanto epiche e contraddittorie, emerse con le diverse creazioni di Stati che hanno cercato di rendersi realmente indipendenti dal sistema imperialistico, il marxismo occidentale ha spesso preferito velarsi gli occhi, rifugiandosi in un ribellismo miope e in utopie certo già presenti in Marx ed Engels, ma assolutizzate e usate questa volta strumentalmente contro il movimento di liberazione dall’orrore coloniale. Dal punto di vista di questa rigenerazione utopistica di marca millenarista (Losurdo preferisce dire « messianica »), sembrano grigie e povere le storie così avvincenti dei popoli che, sotto la guida di leader ispirati dal marxismo, hanno preso in mano il loro destino e vittoriosamente resistito agli attacchi delle potenze imperiali (di cui il nazismo è parte integrante), riuscendo non solo a rimettere in discussione la divisione internazionale del lavoro decisa dai centri del capitale, ma anche a recuperare in buona parte il tremendo distacco tecnologico rispetto ai Paesi ricchi, costruendo nazioni coese e capaci di resistere ai loro attacchi. L’esempio della Cina è sotto gli occhi di chiunque lo voglia prendere in considerazione.

Oltre alla fuga in avanti millenaristica, il marxismo occidentale ha spianato la strada ad un ritorno dell’eurocentrismo, quando non addirittura del neo-imperialismo trasfigurato nelle pretese guerre di esportazione della democrazia occidentale, veicolando un pregiudizio eurocentrico, inconsciamente razzista. Il nuovo contributo di Losurdo, facendo séguito a una stringente serie di saggi dedicati a grandi temi politici (dalla lotta di classe al pacifismo, dalla nozione di sinistra a quelle di liberalismo e di impero), aiuta quindi ad aprire gli occhi di certa sinistra post-marxista sulla realtà del mondo attuale così com’è. Perché il metodo messo magistralmente in opera da Losurdo e consistente nel vagliare alla luce di queste realtà rimosse o accantonate le tesi e le concezioni di vari pensatori, da Horkheimer a Negri-Hardt passando per la Arendt e Foucault, non è solo quello della proverbiale « cartina di tornasole ». La Cina, il Vietnam, Cuba (o, dall’altro lato, i Paesi martirizzati come l’Indonesia, il Cile, le Isole Filippine…) non sono né metafore né esempi : sono Paesi, parti del mondo, punti nevralgici della dialettica di classe nel mondo di oggi, instrinsecamente legati alla storia suscitata dalla Rivoluzione d’Ottobre e portata avanti con coerenza e sforzi sovrumani dall’Unione Sovietica.

Se tanta parte del marxismo occidentale ha preferito rimuoverli, non per questo tali giganteschi eventi cessano di esistere. Ben al contrario, essi sono al centro della transizione oggi in corso, di cui l’Europa occidentale o gli Stati Uniti d’America non constituiscono il punto d’osservazione più adeguato. In queste contrade del Primo mondo, solo alcuni analisti politici hanno le idee chiare. Si veda quanto scrive il politologo polono-statunitense (e influente consigliere di presidenti come Carter e Reagan) Zbigniew Brzezinski in un articolo dell’aprile 2016, intitolato Verso un riallineamento mondiale :

« Quanto avviene oggi nel Medio Oriente potrebbe essere solo l’inizio di un più ampio fenomeno che emergerà nei prossimi anni in Africa, Asia e persino tra i popoli pre-coloniali dell’emisfero occidentale. I periodici massacri dei loro non così lontani antenati, perpetrati da coloni e procacciatori di ricchezze ad essi associati e provenienti in larga parte dall’Europa occidentale (da paesi che oggi sono, almeno nelle intenzioni, fra i più aperti alla coabitazione multietnica), hanno avuto come risultato negli ultimi due secoli circa l’assassinio delle genti colonizzate su una scala paragonabile ai crimini nazisti della Seconda Guerra mondiale. Le vittime sono letteralmente centinaia di migliaia, addirittura milioni. L’autoaffermazione politica, che l’indignazione e il dolore differiti rafforzano, è un motore potente che oggi ritorna in campo, assetato di vendetta, non soltanto nel Medio Oriente musulmano, ma molto probabilmente anche in altre regioni. Gran parte dei dati non possono essere attestati con esattezza ma, presi nell’insieme, sono scioccanti . [1]» 

E prosegue enumerando i più gravi massacri della storia coloniale, dal secolo XVI in poi. Come suggerisce Losurdo, il marxismo occidentale per rinascere ed incidere di nuovo sulla realtà deve fare i conti con la realtà, con questa tragica storia, pena l’incomprensione totale e il rifugiarsi nella comoda postura dell’anima bella.

NOTE

1. Towards a global realignment, « The American interest », 11/6 : « What is happening in the Middle East today may be just the beginning of a wider phenomenon to come out of Africa, Asia, and even among the pre-colonial peoples of the Western Hemisphere in the years ahead. Periodic massacres of their not-so-distant ancestors by colonists and associated wealth-seekers largely from western Europe (countries that today are, still tentatively at least, most open to multiethnic cohabitation) resulted within the past two or so centuries in the slaughter of colonized peoples on a scale comparable to Nazi World War II crimes: literally involving hundreds of thousands and even millions of victims. Political self-assertion enhanced by delayed outrage and grief is a powerful force that is now surfacing, thirsting for revenge, not just in the Muslim Middle East but also very likely beyond. Much of the data cannot be precisely established, but taken collectively, they are shocking. »

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Losurdo e i cattivi maestri del “marxismo occidentale” 

La critica corrosiva di Losurdo nel suo nuovo volume Il Marxismo Occidentale*.

di Alessandro Pascale  
27/05/2017

Domenico Losurdo si supera ancora. Dopo aver realizzato capolavori storico-filosofici come Controstoria del liberalismoStalin. Storia e critica di una leggenda neraLa non-violenza. Una storia fuori dal mito e La lotta di classe, uno degli ultimi grandi intellettuali marxisti-leninisti italiani realizza un'opera di cui oggi più che mai si sentiva un bisogno essenziale. 

Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere, propone una novità dimenticata da molti, fin dalla ripresa della categoria coniata da Maurice Merleau-Ponty negli anni '50 e sviluppata da Perry Anderson negli anni '70: il fatto cioè che il marxismo non coincida esclusivamente con le elaborazioni intellettuali di stampo occidentale, né tantomeno con quelle critiche al sistema dei “socialismi reali”. Già dalla lettura de Il dibattito nel marxismo occidentale di Perry Anderson emergeva chiaramente come la divaricazione che si era venuta creando tra due marxismi (uno “occidentale eterodosso” e uno “orientale ortodosso”) fosse in realtà soprattutto un processo che accentuava la specializzazione settoriale degli autori occidentali su aspetti per lo più marginali e secondari della società, oltre che il distacco sempre maggiore tra teoria e prassi. Se i vari Kautsky, Luxemburg, Trockij, Lenin erano dirigenti di partito che non mancavano di realizzare opere complete di analisi economica e politica su ogni aspetto della realtà, non altrettanto facevano i marxisti successivi, i quali dalle aule universitarie concentravano sempre più l'attenzione sul campo della cultura e filosofia, perdendo il contatto soprattutto con le categorie economiche e politiche. 

L'accusa di Losurdo è però ben diversa, anche perché questo crinale rischierebbe di mettere in discussione anche autori ben riconducibili al marxismo-leninismo, come Lukàcs e Gramsci, i quali pure non hanno ad esempio mai affrontato uno studio sistematico e analitico delle questioni economiche. Losurdo contesta in realtà alla gran parte del pantheon del marxismo occidentale di aver dimenticato la grande questione della lotta anticolonialista, non capendo anzitutto gli enormi meriti storici del socialismo nell'aver favorito la decolonizzazione di gran parte del cosiddetto “Terzo Mondo”, ma anche la fine della segregazione razziale, della schiavitù formalizzata, oltre che del sostanziale asservimento femminile. 

Su questi temi Losurdo si era già espresso più volte in passato, mostrando adeguatamente i meriti storici immensi dei movimenti comunisti e dei “socialismi reali” e le enormi contraddizioni del movimento liberale. L'elemento di novità sta ora nell'andare a smantellare sistematicamente, uno dopo l'altro, tutti i numi tutelari che per decenni hanno sostituito i nomi di Marx, Engels, Lenin e Gramsci come punti di riferimento per le nuove generazioni di sinistra. A salire sul banco degli imputati, con accuse più o meno gravi, sono Della VolpeCollettiTrontiAlthusserBlochHorkheimerAdornoSartreMarcuseArendtTimpanaroFoucaultAgambenNegriHardtHollowayDavid Harvey, fino a giungere a Zizek e Badiou. Nessuno ne esce indenne.

Lo scontro è titanico e maestoso e non pretende di essere esaustivo, ma traccia un percorso illuminante con cui si chiarificano tutti i limiti intellettuali e politici di questa sfilza illustre di personalità; soprattutto si comprendono le origini degli errori ideologici introiettati in profondità negli strati sociali della sinistra attuale, sia in Italia che più in generale in campo europeo. Dal ragazzo che frequenta i centri sociali, all'elettore moderatamente progressista, dal militante iscritto ad un'organizzazione comunista al frequentatore di circoli ARCI, dal sindacalista più o meno radicale all'attivista per i diritti umani, tutto il mondo della sinistra è cresciuto negli ultimi decenni in un contesto culturale di sconfitta e incomprensione che è stato alimentato pervicacemente non solo dai media e dalle strutture dell'imperialismo, ma paradossalmente dalla stessa sinistra più o meno marxista, o autodicentesi tale. 

Da parte di Losurdo non arrivano scomuniche né accuse di tradimento, sia chiaro. Ma la lettura rende evidente come ci sia stato, in particolar modo dal secondo dopoguerra ad oggi, un profondo e costante cedimento culturale nel campo del marxismo occidentale, di fronte alle offensive ideologiche della borghesia. L'essersi affidati a dei “cattivi maestri”, oltre che l'incapacità di non aver saputo replicare agli attacchi della borghesia (agevolati, è sempre bene ricordarlo, dalla modalità disastrosa con cui il movimento comunista si è inflitto l'autoflagellazione della “destalinizzazione”) sono eventi causati secondo Losurdo all'aver “dimenticato” la questione coloniale. 

Sorge però l'impressione che il giudizio del professore sia fin troppo generoso e assolutorio. Ad essere venuti meno tra l'intellighenzia occidentale sono anzitutto la conoscenza essenziale dei pilastri del marxismo e del leninismo, la cui ignoranza o ripudio sono difficilmente ammissibili per degli intellettuali che hanno avuto un peso culturale così grande. Pesa come un macigno insomma l'incapacità di aver saputo maneggiare con adeguatezza le categorie del materialismo storico e del materialismo dialettico, a partire dal venir meno di una categoria essenziale per un filosofo marxista: quella della totalità. Senza capacità di avere una visione complessiva della realtà diventa impossibile svolgere un adeguato bilancio, non solo morale e storico, ma politico. E questa è l'accusa più generosa che si possa fare, per quanto sia già grave, perché le alternative sono ben peggiori: l'indifferenza o il pressapochismo con cui le questioni coloniali sono state trattate da certi autori potrebbero far sorgere il sospetto di un razzismo congenito, introiettato, forse non consapevole ma che implica l'adesione ad uno stretto eurocentrismo che non a caso ha avuto come conseguenza la rimozione della categoria dell'imperialismo, o la sua assurda estensione arbitraria a qualunque sistema capitalista che abbia relazioni economiche con altri Paesi, accettando come vie nazionali dei “socialismi di mercato”.

Altra tendenza deleteria, legata teoreticamente alle precedenti, è quella di scadere in un massimalismo messianico utopistico che porta al predominio di una critica fine a sé stessa, puramente distruttiva (non a caso percorso tipico di chi ha fatto del marxismo una pura “teoria critica”) e intrapresa da “anime belle” incapaci di elevarsi a soggetto compartecipe delle esperienze realizzate di emancipazione, e anzi ostili a qualsiasi modello socio-politico che non realizzi immediatamente tutte le proprie speranze ed esigenze. 

In conclusione Losurdo spiega bene come il “marxismo occidentale” sia nato, abbia “inquinato” le sinistre in campo cultural-politico e come pur continui a sopravvivere ridotto ormai ad una serie di autori per lo più autoreferenziali e sempre più inconcludenti o fallimentari

La pars destruens è perfetta. Manca forse una soluzione adeguata sul percorso da intraprendere. Il ritorno ad un marxismo-leninismo concretamente antirazzista e ben conscio della questione colonial-imperialista è senz'altro la base teorica di partenza. Sgombrare il campo dall'adesione acritica di ogni altra moda filosofica sinistroide è però passo necessario ma non sufficiente. Se la pars destruens è una boccata di ossigeno, la pars construens non può limitarsi solo alla difesa complessiva della Storia del socialismo, né alla difesa acritica dei governi socialisti esistenti. 

Il prossimo passo da compiere è una necessaria riflessione costruttiva sul marxismo-leninismo, capace non solo di analizzare i suoi immensi meriti storici (cosa qui già fatta egregiamente), ma che analizzi anche i suoi limiti, senza i liquidazionismi o revisionismi in cui sono caduti gli autori del marxismo occidentale, ma senza nemmeno evitare di affrontare la questione del perché i comunisti siano entrati storicamente in crisi proprio nei Paesi europei storicamente “colonizzatori”. 

Questo è un campo in cui i comunisti di tutto il mondo non si sono ancora avventurati con la necessaria serietà e consapevolezza. Il marxismo orientale perché aveva effettivamente problemi più importanti di cui occuparsi. Il marxismo occidentale perché ha sostanzialmente perso 70 anni di tempo a diventare subalterno all'ideologia borghese. Speriamo che la questione posta possa essere di spunto per il prossimo libro di Losurdo.