Informazione



Il velo “umanitario” sulle missioni militari all’estero va strappato


di Sergio Cararo

Il vice presidente della Commissione Difesa, on. Massimo Artini (ex M5S), ha replicato con un lungo e articolato commento al nostro articolo di venerdi – ovviamente e fortemente critico – verso la legge approvata a luglio 2016 ed entrata in vigore il 31 dicembre 2016. Ci contesta una lettura negativa di un impianto legislativo a suo dire positivo. A noi così non sembra affatto, e non sembra esserlo stato neanche per 41 senatori che si sono astenuti o votato direttamente contro (al Senato l'astensione vale come voto contrario, ndr).

La legge quadro sulle missioni militari all'estero, infatti è stata approvata al Senato con 194 sì, un no e 40 astenuti, tra questi ultimi i senatori del M5S e alcuni del gruppo misto. Il voto contrario alla legge e' stato della senatrice Paola De Pin (anche lei ex M5S).

La legge disciplina (art. 1) «la partecipazione delle forze armate, delle forze di polizia … e dei corpi civili di pace a missioni internazionali istituite nell'ambito dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) o di altre organizzazioni internazionali cui l'Italia appartiene» (in particolare, come ben si comprende, la NATO e la Ue), toglie (art. 2) al Parlamento, che può intervenire solo con generici “atti d'indirizzo”, la facoltà di approvare o respingere, in modo vincolante, le missioni militari, e dà, viceversa, al Governo (art. 2 e art. 3), pieni poteri nella realizzazione e nella conduzione delle missioni di guerra del nostro Paese. 

All'apparenza la Legge prevede che la decisione di spedire militari in teatri di guerra adottata dal governo, vada inviata al Parlamento, il quale con appropriati atti di indirizzo, può dare luce verde o meno alla missione. Tale autorizzazione può essere sottoposta a condizioni. Dal momento che si è in presenza del totale coinvolgimento dei due rami del Parlamento, se non venisse dato l’assenso dai deputati e senatori, la missione internazionale non si potrebbe realizzare. Probabilmente, su questo impianto, a luglio 2016, quando la legge è stata approvata, il governo già riteneva che il Senato non ci sarebbe più stato in base alla controriforma costituzionale che il paese ha respinto a maggioranza il 4 dicembre con il referendum. Avevano insomma fatto i conti senza l'oste e venduto la pelle dell'orso prima di averlo ucciso.

Un risultato è stato comunque raggiunto dal governo. Le missioni militari all'estero non dovranno essere rinnovate (anche economicamente) ogni sei mesi ma saranno una decisione strategica che può essere revocata solo con un atto politico del governo. Nè ci sembra che la gravità della Legge sulle missioni militari possa essere attenuata da una delle operazioni più insidiose che abbiamo denunciato negli anni scorsi: i cosiddetti Corpi civili di pace che potranno affiancare le missioni militari vere e proprie. Su questo vedi un articolo pubblicato tempo addietro.

E' una lettura catastrofista e pregiudiziale della legge? Per dimostrare che su questo pesano e fanno la differenza i presupposti di partenza, è interessante vedere come invece i “laboratori” legati agli apparati di potere hanno dato la loro lettura delle legge stessa.

Ad esempio secondo la fondazione Astrid:“La legge quadro in questo senso costituisce un vero e proprio salto di qualità nella governance della nostra politica estera e di difesa”. Prendiamo ancora a prestito le valutazioni positive espresse dall'Astrid che, come noi coglie il dato secondo cui questa legge cerca di sanare le molteplici contraddizioni manifestatesi nella politica militare italiana dalla prima guerra del Golfo nel 1991. “L’importanza della cooperazione internazionale nelle missioni di peace-keeping, peace-making e peace-enforcement si è andata affermando soprattutto negli ultimi venti anni. Lo spartiacque può essere considerato la prima guerra del Golfo chevide operare, sotto l’egida di una risoluzione Onu, una coalizione di 34 nazioni, tra cui l’Italia, guidata dagli Stati Uniti”. Non solo. Lo stesso think thank ammette che quelle contraddizioni andavano sanate con un apparato legislativo che adeguasse la proiezione militare dell'Italia al nuovo scenario nelle relazioni internazionali: “Da allora, a causa di contesti internazionali sempre più complessi e di vincoli costituzionali molto stringenti, tale paradigma cooperativo si è rapidamente imposto come la principale modalità di intervento delle nostre Forze armate all’estero. Di fronte al moltiplicarsi degli eventi che hanno richiesto una partecipazione dell’Italia a missioni internazionali si è dunque reso necessario il rinnovamento di un quadro normativo che rimaneva troppo legato alle logiche rigide e bipolari della guerra fredda”.

L'on. Artini, di cui apprezziamo l'attenzione per il nostro articolo, ragiona su un presupposto diverso e distante dal nostro. In questa legge vede una razionalizzazione dell'impianto legislativo sulle missioni militari all'estero, noi ci siamo battuti sistematicamente contro l'idea e le decisioni di partecipare alle missioni militari italiane nei teatri di guerra. Perchè di questo si è trattato. Adesso ci sono 300 militari in Libia “per proteggere la costruzione di un ospedale a Misurata” e 1300 militari in Iraq “per proteggere la ristrutturazione della diga a Mosul”. Tremiamo all'idea che una azienda italiana vinca l'appalto per la costruzione di una autostrada in Siria o in qualche altro paese in guerra.

Negli anni scorsi, la cortina fumogena “umanitaria” in Jugoslavia, Libia, ha nascosto orrori e decisioni politicamente vergognose dei nostri governi. Quella poi dell'intervento militare in Afghanistan e Iraq è quanto ha somigliato di più ad una partecipazione vera e propria ad una guerra di aggressione ad altri Stati. E su questo non c'è alcuna mediazione possibile, né in parlamento né fuori. Su questo presupposto, e proprio per questo, abbiamo fatto a sportellate e poi rotto con i senatori e i deputati della sinistra al tempo del secondo governo Prodi. Purtroppo e per fortuna abbiamo buona memoria e senso della coerenza.

18 gennaio 2017



Il giorno 13 gen 2017, alle ore 18:00, 'Coord. Naz. per la Jugoslavia' ha scritto:

http://contropiano.org/news/politica-news/2017/01/13/litalia-si-dota-della-legge-la-guerra-087877

L’Italia si dota della Legge per la guerra


di Sergio Cararo

Piuttosto in sordina, il 31 dicembre scorso è entrata in vigore la Legge quadro sulle missioni militari all'estero. La legge era già stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale fin dal 1̊ agosto; ma ne era stata rimandata l'attuazione a fine anno, tranne che per la disposizione all'integrazione del Copasir, cioè dell'organismo di controllo sulle attività dei servizi segreti (venuto fuori come problema in occasione delle “missioni coperte” in Libia), anche se valido solo per la legislatura in corso.
L'Italia si è così dotata di una legge organica dello Stato per l'invio di contingenti militari all'estero che dovrebbe azzerare le contraddizioni di incostituzionalità sul ricorso alle azioni militari contro, verso o in altri paesi vincolate al rispetto dell'art.11. Infatti il nostro ordinamento fino ad oggi prevedeva solo la disciplina della "guerra". Ma lo stato di guerra deve essere deliberato dalle Camere, che conferiscono al Governo i poteri necessari (art. 78 Cost.), mentre la dichiarazione di guerra è prerogativa del Presidente della Repubblica (art. 87, 9° comma). ll tutto nei limiti sanciti dall'art. 11 Cost., che vieta la guerra di aggressione e consente l'uso della violenza bellica solo in ipotesi ben determinate (la difesa).
La storia di questi ultimi venticinque anni, con numerose operazioni militari all'estero e il coinvolgimento dell'Italia in teatri di guerra (Iraq, Afghanistan, Jugoslavia ma anche Somalia, Libano etc.), ha reso inevitabile una legge organica che legittimasse sul piano legale la partecipazione dei militari italiani a guerre e operazioni militari in altri paesi.
La Legge individua la tipologia di missioni, i principi generali da osservare e detta disposizioni circa il procedimento da seguire. La newsletter Affari Internazionali ne offre una sintesi molto utile:


a) Le missioni militari all'estero, sia di peace-keeping che di peace-emforcement, sono in primo luogo quelle con il mandato delle Nazioni Unite, ma aadesso lo sono anche quelle istituite nell'ambito delle organizzazioni internazionali di cui l'Italia è membro, comprese quelle dell'Unione Europea;


2) La Nato non è menzionata espressamente, ma è automaticamente inclusa. La Legge poi si riferisce anche alle missioni istituite nelle coalition of willing, cioè coalizione create su una crisi specifica sulla base di decisioni unilaterali dei paesi che vi aderiscono, infine si riferisce alle missioni "finalizzate ad eccezionali interventi umanitari".


3) La Legge specifica che l'invio di militari fuori dal territorio nazionale può avvenire in ottemperanza di obblighi di alleanze, o in base ad accordi internazionali o intergovernativi, o per eccezionali interventi umanitari, purché l'impiego avvenga nel rispetto della legalità internazionale e delle disposizioni e finalità costituzionali (che a questo punto vengono aggirate dalla legge stessa)


“Resterebbe da chiarire il significato di accordi intergovernativi e come questi si differenzino dagli accordi internazionali. Si tratta di accordi sottoscritti dall'esecutivo o addirittura di accordi segreti?” si interroga Affari Internazionali. “In parte tali dubbi dovrebbero essere fugati dai paletti volti a scongiurare una deriva interventista. Le missioni devono avvenire nel quadro del rispetto: a) dei principi stabiliti dall'art. 11 Cost., b) del diritto internazionale generale, c) del diritto internazionale umanitario, d) del diritto penale internazionale”.
Quanto al procedimento per la partecipazione alle missioni internazionali, viene reso centrale il ruolo del Parlamento, razionalizzando una prassi, qualche volta in verità disattesa, che faceva precedere l'invio del contingente militare all'estero da una discussione parlamentare. Ma spesso la ratifica parlamentare avveniva a posteriori, in occasione della conversione in legge del decreto-legge (DL) di finanziamento della missione.
L'iter disegnato dalla L. 145/2016 è il seguente: la partecipazione alle missioni militari è deliberata dal Consiglio dei ministri, Cdm, previa comunicazione al Presidente della Repubblica ed eventuale convocazione del Consiglio supremo di difesa.
La Legge quadro mette mano anche ad un'altra spinosa questione, ossia se ai militari impegnati nelle missioni debba essere applicato il codice penale militare di pace o il codice penale militare di guerra. Anche la soluzione indicata lascia aperta tutte le strade. La nuova legge dispone che sia applicabile il codice penale militare di pace, ma il governo potrebbe deliberare l'applicabilità di quello di guerra per una specifica missione. In tal caso è però necessario un provvedimento legislativo e il governo deve presentare al Parlamento un apposito disegno di legge. 

 

E' dalla partecipazione alla prima Guerra del Golfo (1991) che si pone il problema di conformare la legislazione italiana al ripetuto ricorso alla guerra "nella risoluzione delle controversie internazionali" che di volta in volta è stata mascherata con acronimi sempre più improbabili: operazione di polizia internazionale, guerra umanitaria, protezione di civili, difesa preventiva etc. etc. Operazioni militari che hanno visto negli anni migliaia e migliaia di soldati italiani prendere parte a guerre in altri paesi e miliardi di euro spesi per parteciparvi. Quando le furberie sulla guerra diventano una Legge organica dello Stato, vuole dire che il punto di non ritorno si è avvicinato ancora di un altra spanna.
 

13 gennaio 2017




EUROPEI BRAVA GENTE


Parrebbe un'anima candida, un innocuo uccellino, pacata e saggia guida di decine di milioni di innocenti, che sono peraltro le uniche persone per bene in un mondo di cattivoni.
Stiamo parlando di Donald Tusk, presidente del Consiglio Europeo, che è molto preoccupato per le sorti della civilissima Unione, circondata da barbari da ogni lato: «una Cina prepotente» sul mare, la Russia «aggressiva verso l’Ucraina e i suoi vicini», la nuova Amministrazione statunitense che disgraziatamente «sembra rimettere in questione gli ultimi 70 anni di politica estera americana» – 70 anni tutti rose e fiori, grazie alla NATO... E poi terrore e anarchia in Medio Oriente e Africa, situazioni gravissime soprattutto in Siria e in Libia, delle quali l'Unione Europea non porta assolutamente nessunissima responsabilità (ci mancherebbe). Infine, l'Unione è minacciata pure al suo interno dai secessionismi di chi non accetta la sacra guida tedesca e dai populismi di ogni genìa.
L'Unione Europea è inerme tra tante sciagure, anzi è una pura vittima, ed ha sempre ragione. Su tutto.

Nel frattempo, il regime ucraino, incoraggiato dalla Unione Europea con la quale ha stipulato il Patto di Associazione a seguito del golpe razzista e neonazista del 2014, ha ripreso i bombardamenti contro le popolazioni civili sul suo stesso territorio, causando un centinaio morti solo negli ultimi giorni.
E la Germania ha piazzato 200 veicoli militari, tra i quali 30 carri armati, e 450 soldati in Lituania al confine con la Russia, nemico storico, a scopo intimidatorio.


A cura di Italo Slavo. Fonti:

IT: Donbass. Un bombardamento dal vivo... (1.2.2017)

EN: Germany begins tank deployment to Lithuania as part of NATO commitment to Baltics (RT News, 31.1.2017)

IT: Guerre, armi e armati sul “fronte russo” (di Fabrizio Poggi, 31.1.2017)
http://contropiano.org/news/internazionale-news/2017/01/31/guerre-armi-armati-sul-fronte-russo-088434

IT: L’allarme Ue: da Trump alla Libia «le sfide più pericolose di sempre». Tensione Usa-Ue su «euro debole» (Redazione CdS, 31 gennaio 2017)

IT: Ucraina fiaccolata neonazisti: bruciano bandiera rossa (Senza Tregua 31.1.2017)
In Ucraina le forze filo-governative bruciano la bandiera rossa dell'Ucraina sovietica durante una fiaccolata a Kharkov, due giorni fa. Fra gli slogan spicca “impiccare i comunisti”

IT: Precipita la situazione nel Donbass (PandoraTV news 30 Gennaio 2017)
VIDEO: https://youtu.be/JOP8qFk2Z9U?t=9m23s

IT: Continuano i bombardamenti ucraini sulle repubbliche popolari (di Fabrizio Poggi, 30 gennaio 2017)

EN: In the Name of Europe (Germany appeals for the EU to close ranks against the U.S. – GFP 2017/01/30)
DE: Im Namen Europas (Berlin dringt auf Geschlossenheit der EU gegen Trump – GFP 30.01.2017)

IT: Il governo ucraino ha paura della risoluzione dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa. Dichiarazione di Petro Simonenko, leader del Partito Comunista di Ucraina, 30.1.2017
N.B. Il Consiglio d'Europa è una istituzione pan-europea e non va confuso con il Consiglio Europeo presieduto da Tusk, che invece rappresenta solamente i paesi dell'Unione a guida tedesca

IT: Il mancato “Nobel per la pace” a Petro Porošenko (di Fabrizio Poggi, 29.1.2017)
... Attacchi a ripetizione delle forze ucraine sui quartieri nordoccidentali di Donetsk: impiegato ogni tipo di arma pesante a eccezione, per ora, dell'aviazione. Abitazioni cannoneggiate e distrutte a Makeevka; intensi martellamenti su Avteevka e Jasinovataja; attacchi di reparti neonazisti di Pravyj Sektor sui punti di controllo per l'accesso a Donetsk. L'offensiva iniziata la notte appena trascorsa è tuttora in corso... 
http://contropiano.org/news/internazionale-news/2017/01/29/mancato-nobel-la-pace-petro-porosenko-088365


EN: Leader and Followers (Germany posing as the "leader of the free world" – GFP 2017/01/26)
DE: Führer und Gefolgschaft (Deutsches Dominanzgehabe in der EU – GFP 26.01.2017)

DE: Europas Fahnenträger (Traditionen der deutschen Europapolitik: gegen die USA – GFP 30.11.2016)





I “PREMIATI” DEL GIORNO DEL RICORDO

1) PROSSIME INIZIATIVE SEGNALATE a Trieste, Monfalcone, Parma
2) TRUFFE, FUFFE E FASCISTI... I “PREMIATI” DEL GIORNO DEL RICORDO. UN BILANCIO PROVVISORIO, di Sandi Volk
3) Petizione per l'intitolazione di una via alle “VITTIME DEL CAMPO DI CONCENTRAMENTO DI ARBE”


=== 1 ===

Trieste, martedì 31 gennaio 2017
alle ore 17.30 presso Libreria Antico Caffè San Marco - via Battisti, 18

presentazione del libro di Nerina Fontanot, Anna Digianantonio e Marco Puppini

CONTRO IL FASCISMO OLTRE OGNI FRONTIERA. 
I Fontanot nella guerra antifascista europea

Kappa Vu Storia (2016)
[scheda del libro: https://www.cnj.it/PARTIGIANI/fontanot.htm ]

Dialogherà con gli autori Franco Cecotti dell'I.R.S.M.L. FVG
Incontro promosso dal Circolo di Studi politico-sociali "Che Guevara" e da A.N.P.I. - V.Z.P.I. di Trieste

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Monfalcone (GO), giovedì 2 febbraio 2017
alle ore 18.00 presso Sede ANPI - via Valentinis, 84

presentazione del libro di Nerina Fontanot, Anna Digianantonio e Marco Puppini

CONTRO IL FASCISMO OLTRE OGNI FRONTIERA. 
I Fontanot nella guerra antifascista europea

Kappa Vu Storia (2016)

Introdurrà l'editrice Alessandra Kersevan
Incontro promosso dall'A.N.P.I. provincia di Gorizia

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Parma, giovedì 9 febbraio 2017
presso il Cinema Astra

FOIBE E FASCISMO
manifestazione antifascista alternativa al "giorno del ricordo" del 10 febbraio
dodicesima edizione – 2017

ore 21:00 conferenza
Crimini e criminali fascisti nei Balcani e in Jugoslavia
DAVIDE CONTI
storico, consulente Archivio Storico Senato della Repubblica

ore 22:00 filmato
sequenze dal documentario della BBC
FASCIST LEGACY
sui crimini dell'Italia fascista in Jugoslavia

ingresso gratuito
promuovono: ANPI, ANPPIA, Comitato Antifascista Antimperialista e per la Memoria Storica



=== 2 ===

TRUFFE, FUFFE E FASCISTI… 
I “PREMIATI” DEL GIORNO DEL RICORDO. UN BILANCIO PROVVISORIO 

di Sandi Volk

http://www.diecifebbraio.info/2017/01/truffe-fuffe-e-fascisti-i-premiati-del-giorno-del-ricordo-un-bilancio-provvisorio/

Il 30 marzo del 2004 il Parlamento istituiva il Giorno del Ricordo (Legge 30 marzo 2004, n. 92) quale solennità civile da tenersi ogni 10 febbraio al fine della conservazione della memoria “...della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra...” (nonché “delle più complesse vicende del confine orientale”)... In occasione di ogni 10 febbraio la legge prevede iniziative “per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado”, nonché “la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti” e stabilisce che nella data della ricorrenza vengano assegnati dei riconoscimenti (una medaglia di metallo con la scritta “L'Italia ricorda” e una pergamena) ai parenti (fino al 6° grado) di persone “soppresse e infoibate” e di quelle soppresse “mediante annegamento, fucilazione, massacro, attentato, in qualsiasi modo perpetrati...” “in Istria, in Dalmazia o nelle province dell'attuale confine orientale” nel periodo tra l'8 settembre 1943 ed il 10 febbraio del 1947 (data di entrata in vigore del Trattato di Pace degli Alleati con l'Italia che ha sancito il passaggio di una serie di territori appartenuti allo Stato italiano a Jugoslavia, Francia e Grecia, nonché più tardi a Somalia, Etiopia, Eritrea e Libia), ovvero di coloro che persero la vita tra il 10 febbraio del '47 ed il 21 dicembre del 1950 per le conseguenze di deportazioni, torture o maltrattamenti. Il termine entro cui si poteva presentare le domande per i riconoscimenti è stato fissato in 10 anni ed è scaduto nel 2015, ma nel 2016 il parlamento lo ha prorogato al 2025. ...
Il numero totale delle persone alla cui memoria sono stati attribuiti i riconoscimenti è di 323. Un numero estremamente deludente, inferiore persino alla cifra di 471 “martiri delle foibe” (per di più riferentesi agli uccisi nel solo periodo immediatamente seguente l'8 settembre) riportata dalla stampa fascista in occasione di quello che è stato in realtà il primo Giorno del Ricordo, cioè il 30 gennaio 1944, quando per decreto di Mussolini in tutto il territorio della RSI si tennero celebrazioni ufficiali di questi “martiri” della “barbarie slavobolscevica”... civili sono 63, ovvero poco più del 19% del totale. Va tenuto presente che tale definizione va presa con cautela perché nei pochi casi in cui ho avuto a disposizione fonti diverse è risultato che le persone in questione non erano affatto dei semplici ed innocui civili... in concreto sono due possibili antifascisti su 323 premiati (lo 0,62% del totale!), e per giunta si tratta di indipendentisti fiumani, quindi evidentemente non catalogabili come persone uccise perché difendevano l'appartenenza della città all'Italia. Ci sono poi 9 persone (il 2,79% del totale) di cui non ho potuto trovare dati di una qualche affidabilità su data e circostanze della scomparsa, né sulle loro appartenenze e qualificazioni. In tre casi la scomparsa è invece avvenuta per mano nazista, e una delle tre vittime è addirittura caduta da partigiano. ...
Coloro i cui corpi sono stati gettati in una foiba sono 33 (10,22%) ... 
per un totale di 61 persone (18,89%) la [] scomparsa non è attribuibile alle formazioni della Resistenza e/o jugoslave... 
per ben 18 (5,54%) persone non abbiamo alcun dato sul luogo della scomparsa... 
... 3 persone ... vengono definite fasciste, mentre negli elenchi e nelle motivazioni del riconoscimento due vengono presentate come semplici civili... Ci sono poi le 6 persone ritenute responsabili di crimini di guerra da parte della Commissione statale jugoslava per l'accertamento dei crimini di guerra. Il caso più noto è quello di Vincenzo Serrentino... responsabile, in qualità di componente del Tribunale straordinario per la Dalmazia, della morte di almeno 18 persone a Sebenico e dintorni... A Serrentino gli jugoslavi imputarono anche la responsabilità, proprio nella sua qualità di “ultimo Prefetto di Zara italiana”, degli arresti, delle uccisioni, delle torture e di quant'altro subito dalla popolazione civile della zona... ci sono anche diversi appartenenti alle più famigerate formazioni fasciste: 9 Camicie Nere, 2 Brigatisti Neri e 1 squadrista “della prima ora”...
... Fortunato Matiassi (di Pisino): la stessa motivazione dice che fu fucilato a Pisino il 4 ottobre dalle truppe tedesche... Antonio Ruffini [fu] “impiccato, quale partigiano, dalle truppe naziste, il 31 marzo 1944 a Gragarske Ravne (Slovenia)...”.



=== 3 ===

LETTERA APERTA AL COMUNE DI TORINO

Petizione per l'intitolazione di una via: “Vittime del campo di concentramento di Arbe”

Probabilmente ben pochi sanno che a Torino esiste una via dedicata all'isola di Arbe. Quasi certamente anche chi la conosce, ci passa regolarmente o addirittura ci abita, non deve aver mai percepito niente di strano in quella intitolazione. D'altra parte alla maggior parte dei torinesi - e degli italiani in genere – il nome di Arbe non dice nulla, semplicemente non richiama alcun significato metaforico o simbolico. Eppure nel corso della seconda guerra mondiale proprio sull'isola di Rab (Arbe in italiano) era stato creato il peggior campo di concentramento italiano. Una pagina nera della nostra storia, una pagina che non ha mai trovato spazio nei manuali scolastici e nelle celebrazioni ufficiali. 
Nel 1941 l'Italia, alleata con la Germania hitleriana, partecipa all'attacco e allo smembramento della Jugoslavia, finendo per annetterne o occuparne almeno un terzo del territorio. In seguito alla rivolta partigiana gli italiani reagiscono con estrema durezza, commettendo crimini di guerra di varia natura (tra cui la cattura di ostaggi, le fucilazioni per rappresaglia, la distruzione di interi villaggi...) e creando un vero e proprio sistema di campi di concentramento. Qui finiscono circa centomila cittadini jugoslavi, soprattutto civili, donne e bambini. In questi lager - che pur non sono campi di sterminio, non hanno camere a gas o forni crematori - muoiono migliaia di civili innocenti, perlopiù a causa delle insostenibili condizioni igieniche e alimentari. Il più terribile di questi campi si trova proprio ad Arbe, una piccola isola della Dalmazia, tra Fiume e Zara, una specie di paradiso terrestre che si rivela un inferno per le trentamila persone che vi sono rinchiuse. Circa mille e cinquecento persone muoiono di fame e di stenti, nei quattordici mesi in cui il campo è attivo, tra il giugno del 1942 e il settembre del 1943. 
C'è un'anomalia storica nel nostro paese, che riguarda la memoria della seconda guerra mondiale. Per una serie di ragioni - storiche, politiche, psicologiche - abbiamo rimosso gran parte dell'esperienza di conflitto precedente all'Armistizio dell'8 settembre 1943. Nell'immaginario pubblico gli italiani appaiono come vittime della guerra e del regime, e tutto il Ventennio precedente viene riscattato dall'esperienza partigiana che ricrea dalle ceneri del Fascismo un'Italia nuova e democratica. Solo così si può comprendere il clamoroso oblio che circonda i crimini commessi dagli italiani negli anni del fascismo, non solo in Jugoslavia, ma anche in Grecia, in Libia, in Etiopia. 
A settant'anni dalla fine del conflitto e nel contesto di riconciliazione proprio dell'Unione Europea, sarebbe forse ora di ripensare con più consapevolezza anche le responsabilità storiche del nostro nazionalismo. Il campo di concentramento di Arbe, in particolare, dovrebbe avere un posto di primo piano nella memoria collettiva italiana, dovrebbe rappresentare il luogo della colpa, il luogo della responsabilità di un regime e di un esercito che ha commesso crimini, come il nazismo, in nome di un espansionismo aggressivo e di una pretesa superiorità razziale. 
In prossimità delle date memoriali scelte dalla Repubblica per ricordare i drammi della seconda guerra mondiale (Giorno della Memoria e Giorno del Ricordo), e nello spirito di rinnovamento proprio di questa nuova amministrazione, chiediamo al Comune di Torino un gesto simbolico di presa di coscienza di questo dramma storico rimosso. A partire dalla toponomastica.
Come studiosi di storia e figure professionali impiegate nella conservazione attiva della memoria della seconda guerra mondiale, domandiamo dunque all'amministrazione comunale di avviare le procedure per rinominare “via Arbe”: 
“Via vittime del campo di concentramento di Arbe”. 

FIRME

Eric Gobetti 
Angelo del Boca 
Giovanni De Luna 
Marco Buttino
Giorgio Rochat 
Gianni Oliva
Lucio Monaco 
Gianni Perona
Aldo Agosti
Bruno Maida
Claudio Della Valle
Luciano Boccalatte
Barbara Berruti
Riccardo Marchis
Andrea D’Arrigo
Enrico Manera
Flavio Febbraro
Carlo Greppi
Valentina Colombi
Cristian Pecchenino
Victoria Musiolek 
Chiara Colombini
Fiammetta Balestracci






http://fulviogrimaldi.blogspot.it/2017/01/lenti-bifocali-su-washington-amatrice.html

LUNEDÌ 23 GENNAIO 2017

LENTI BIFOCALI su Washington, Amatrice, Belgrado



E tu onor di pianti Ettore avrai
ove fia sacro e lacrimato il sangue per la patria versato
e finchè il sole risplenderà sulle sciagure umane

(Ugo Foscolo, I Sepolcri)

“Finchè l’inganno scorreva silenzioso e monotono, tutti ci siamo lasciati ingannare, avallandolo per incoscienza, o forse per codardia”.
 (William Faulkner)

Dedicato a Milosevic, Karadzic, Mladic. E al Corpo Forestale dello Stato.


E’ capitato ultimamente che qualcuno abbia profferito rampogne sul blog e su FB, sia a me, direttamente, sia alla senatrice 5Stelle Ornella Bertorotta che, con un’apprezzabile mozione contraria, aveva bloccato la mozione di una camarilla di ratti a stelle e strisce, guidata da Casini e da miserandi fuorusciti o giustamente espulsi dei 5 Stelle, che pretendeva di far votare al Senato un documento di contumelie e calunnie al Venezuela. Iniziativa sulla falsariga del colpo di coda del rettile Obama che, implicando le solite misure delinquenziali della sua amministrazione, aveva dichiarato il Venezuela “Grave e straordinario pericolo imminente alla sicurezza degli Stati Uniti”. L’oggetto della rampogna era che sia la senatrice, occupandosi della diffamazione di un degnissimo paese sovrano e fornendo ragioni inconfutabili in contrario, che il sottoscritto, pur nelle drammatiche temperie del momento nazionale, deviavamo dalle cose vicine per occuparci di cose lontane, secondarie rispetto ai problemi di casa.
A me pare una visione un tantino provinciale, non infrequente nel nostro paesello affollato da chi ritiene il cosmopolitismo costume dei merluzzi in viaggio tra Golfo del Messico e Artico, o da chi a scuola non va oltre Massimo d’Azeglio e quando sente parlare di Bismarck pensa a uova al tegamino. A ma pare anche lo strabismo di chi si affanna a riparare il rubinetto di cucina che perde, mentre trascura la falla apertasi nell’acquedotto fuori casa. 

Sappiamo che è una degenerazione del visus vedere male da vicino, miopia, o da lontano, presbiopia, o addirittura da entrambe le distanze. Ci inducono a ciò l’avanzare del decadimento fisico e, nella metafora, l’educazione a vedere soltanto fino alla punta del naso, o soltanto oltre. Per rimediare a questi difetti esiste un rimedio meraviglioso: le lenti bifocali. Alzi lo sguardo verso il settore superiore della lente e vedi nettissimi i cipressi sul crinale; lo abbassi e i caratteri dello stampato che leggi ti balzano nitidi agli occhi. E così, un po’ guardi lontano e vedi che succede dietro “questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude”, e ti “sovvien l'eterno”. Ma poi accorci lo sguardo e attorno a te ritrovi “le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei”. 

Intendendo, l’amico Giacomo, che in questo modo connetti l’eterno al passato e al presente, il lontano al vicino, la luna al pastore errante e, se il poeta mi consente, il modello politico-economico, autocratico-predatore-mafioso, imposto dalla più grande potenza del mondo, alla sciagurata situazione del nostro territorio e di chi ci formicola sopra cercando di scansare gli effetti locali di quel modello. In poche parole, cari soloni, per capire qualcosa, tocca conoscere il contesto e constatare che “tout se tien”.

Quando il diavolo e l’acqua santa fanno festa insieme

Azzardiamo un accostamento ardito. Le megamanifestazioni contro l’insediato presidente, preannunciate da roboanti proclami di guerra al duo satanico Trump-Putin, hanno visto affiancati i “dimostranti del Bene”, donne in testa, e quanti fino a ieri erano definiti i massimi esponenti del Male (Cia, i Clinton, i neocon, i padrini di tutti i terrorismi, gli armaioli). Tout se tien. E’ l’ unità ritrovata, anche se la disparità era già più esibita che giustificata, corrisponde a livello globale a quell’”unità nazionale”, ieri “larghe intese”, che oggi s’invoca da noi a copertura della sciagurata incompetenza, inefficienza, indifferenza, delinquenza, che stanno marchiando d’infamia l’intervento, non intervento, delle autorità a difesa e salvezza degli esseri viventi aggrediti dalla natura manomessa e offesa. Considerazioni che non ci impediranno di certo, una volta sistemati i suoi predecessori nella discarica della Storia, di manifestare e lottare contro l’ ennesimo burattino imperiale e le sue aberrazioni ambientali, geopolitiche, filo talmudiste, scioviniste, razziste.

A Washington, Berlino, Tokio, ovunque il pifferaio talmudista ungherese, CdA della camarilla dei necrofori imperiali, abbia fatto risuonare il suo richiamo, amplificato da esemplari femministi come la novella Santa Giovanna d’Arco, Madonna Ciccone, donne si sono mosse credendo di opporsi a chissà quali future nefandezze di Trump e non facendo altro che obbedire, l’ennesima volta dagli anni del ’68, a nemici di classe, imperialisti, guerrafondai, ladri e genocidi, che depistano dai propri crimini verso la guerra tra poveri, tra subalterni, tra generi. La guida è affidata a machofemministe maternaliste che, insieme a Madeleine Albright, avevano votato per Hillary, il plauso arriva dagli amici del giaguaro. Difatti coloro che ti ci hanno mandato, in piazza, sono i giaguari (chiedo scusa all’animale a cui rubo la metafora) con tra le zanne ancora i resti dei milioni di donne (e altri) sbranate in giro per il mondo. Particolare bello che accantonato.

Faccio contenti i miopi, quelli del rubinetto di cucina, e ricordo che un po’ più di vent’anni fa, allertati da uno di quei comitati di cittadini che sono l’estremo presidio del paese, perforando con la Guardia Forestale dello Stato le colline del Golfo dei Poeti a Pitelli (La Spezia), sprofondammo in un oceano di veleni, lì sepolti da una consorteria di farabutti (politici PCI, poi PD, ammiragli ‘ndranghetisti, imprenditori, banchieri, servizi segreti), che avevano intossicato e ucciso esseri umani e non da Pitelli alla Somalia, compresi la mia collega al TG3 Ilaria Alpi, Miran Hrovatin e il capitano Natale De Grazia che, anche lui, aveva messo il naso nel business. Noi, le Guardie Forestali sotto lo straordinario maresciallo Gianni Podestà, alcuni PM di La Spezia e soprattutto il PM Luciano Tarditi di Asti, che inchiodò i delinquenti uno per uno, tirammo fuori quelle porcherie assassine e le sventolammo sotto il naso ai responsabili. Noialtri ce la siamo cavata. Ma la magistratura, nei tempi della nostra evoluzione politica, s’è evoluta pure lei: vent’anni dopo, tutti assolti e i veleni sono ancora là.


Un corpo di polizia che fa pulizia

Rai, Tg3, magistratura, tutti normalizzati. Anche in Abruzzo, dove l’Edison della centrale di Bussi ha avvelenato per vent’anni 400mila persone. Altro delitto, altri criminali scoperti dalla Guardia Forestale.Tutti assolti. E poi Seveso, la Centrale a carbone della Tirreno Power di Vado Ligure, assassina di almeno 400 persone, la Terra dei Fuochi, alluvioni, frane, incendi. Il Corpo di polizia sicuramente più preparato e prezioso in un paese che prolifera di polizie come nessun altro al mondo, ma, ahiloro, non militarizzato. Vicino a quella che suol dirsi società civile, al territorio. Fondato nel 1822 da chi non pensava a repressione dei subalterni, ma a salvaguardia e promozione di chi non ha voce, animali, terra, piante, acque, faceva la cosa più importante di tutte, quella che nessuno nel Belpaese fa: prevenzione. Ed era composto da gente preparata, onesta, appassionata. E che perciò dava fastidio e doveva morire.

Hanno iniziato a ucciderla a fine anni ’80. Ricordo un mio servizio sul Parco Nazionale dello Stelvio, il primo d’Italia, uno dei più antichi d’Europa. Ci arrivai che, con lacrime invisibili negli occhi, i Forestali svuotavano armadi, impacchettavano dossier, chiudevano gli uffici, partivano. Un decreto gli aveva tolto il compito di vegliare sul parco e l’aveva affidato ai palazzinari e bracconieri delle tre province che ambivano a saccheggiarlo: Lombardia, Trentino, Alto Adige. Oggi è rimasto integro solo questo’ultimo pezzo, sudtirolese. 

A decretarne la morte definitiva è stata la superesperta di ambiente e amministrazione pubblica Marianna Madìa. Il decreto Sblocca Italia aveva già tolto di mezzo le soprintendenze ai beni culturali, a che servivano nel paese del 40% del patrimonio artistico mondiale, essendoci una Madia? E, per la valorizzazione, un Briatore, un Ciancimino, un Fuksas? La messa a disposizione delle solite torme di ratti, tipo costruttori all’Aquila, viene completata dalla Madia che, all’insaputa di ogni principio di razionalità ed efficienza, ma alla saputa di speculatori e predatori, elimina il CFS incorporandolo nei più “affidabili” carabinieri. Con i Vigili del Fuoco sotto organico perenne e gravemente sottodotati, i due corpi a cui è affidata la salvaguardia del nostro territorio violato e sgretolato, sono ridotti alla ragione di Stato, di questo Stato. E così i geologi, scienziati di cui l’Italia avrebbe bisogno più dei perfettamente inutili suoi 322mila soldati. Sono troppi, costano troppo. Possiamo spendere 15 miliardi di euro per 90 scarcassoni chiamati F35, che tutti gli altri cancellano. Possiamo regalare 20 miliardi alle banche perché si salvino dalle proprie ruberie e regalie. Sarebbero 35 miliardi con i quali si riaggiusterebbe metà del nostro territorio dissestato e reso stragista. Se i nostri burattini scegliessero diversamente, chi li farebbe lavorare più appesi ai fili?

La meglio Protezione Civile

E così non solo prevenzione nulla e abusi a gogò, allarmi ignorati da prefetti, ritardi surreali nei soccorsi, turbine antineve rotte e non riparate, strade vitali per le emergenze sepolte e nè manotenute, né sgomberate (le province che se ne occupavano abolite pure quelle), gente in tenda sotto tonnellate di neve e tra macerie non rimosse a cinque mesi dal primo sisma, tramvate contro la realtà cialtronesca di regime di un capo dello Stato che biascica “non vi abbandoneremo”. Ma nulla ricorda degli 8000 km di ferrovia, della rete allora migliore d’Europa, tagliati come rami secchi per far posto alla gomma e ai carburanti dei compari. Treni che, aprendosi la strada con i rostri anche nella neve, collegavano tutti quei borghi che oggi si sono visti irraggiungibili. Ma anche tre elicotteri della Guardia Forestale che avrebbero potuto intervenire sull’albergo-tomba di Rigopiano, ma sono rimasti fermi perché la Madia non aveva ancora provveduto a emanare i decreti attuativi necessari l passaggio di consegne ai carabinieri. E tutti ad applaudire gli “eroici vigili del Fuoco e il Soccorso Alpino”, compresi quelli che non fanno che togliere di mezzo l’importuno intralcio alle magnifiche sorti e progressive di crescita e sviluppo.

Spasmi di rabbia e crampi di pena a vedere vagolare in una panorama tutto bianco che, solo al suo apparire sullo schermo cerchi una coperta, animali morituri. Mucche, pecore, maiali, conigli, che non sono solo l’economia della regione, senza i quali la regione si spopola e muore e poi viene giù. Sono creature senzienti, affettive, sofferenti, moriture, disperate, morte di freddo, di fame, di solitudine. Questa combutta di inetti e irresponsabili, cui le nevicate straordinarie erano state anticipate, non ha saputo predisporre, mica casette di legno o container attrezzati, ma semplicemente stalle, quattro assi e una tettoia, per salvare chi vive soffrendo l’indicibile e chi ne vive e annega nella disperazione. Siamo una landa desolata, un paese desertificato nella natura, nell’intelligenza, nell’onestà. A che servono i Forestali in un deserto?

Serbi da morire. Stavolta li ammazziamo di migranti

Se sollevo lo sguardo, passo attraverso la parte delle lenti bifocali che fa vedere lontano. Capita che si veda fino a Belgrado. Come, dopo tre lustri di pudica, prudente, cecità sul corpo di reato, sta succedendo in questi giorni a tutti. Vedono fino a Belgrado. Ma non vedono Belgrado. Vedono migranti al freddo. L’ho già ricordato altre volte, ma oggi c’è lo spunto per ripercorrere il ricordo: era la mattina del 24 marzo 1999, con il concorso di pacifinti alla Sofri e Langer, preti, dirittumanisti, giornalisti venduti o imbecilli, furbacchioni, mercenari Nato di Al Qaida, spie e delinquenti, avevano già sbranato la massima parte della Jugoslavia e si apprestavano all’esecuzione di quanto restava, nonostante tutto, orgogliosamente in piedi. La Serbia. Avevano già fatto pulizia etnica a migliaia di morti ammazzati e centinaia di migliaia di sradicati, in Kosovo, Bosnia, Krajine e si erano coperti inventando stragi serbe a Racak, Srebrenica, Vukovar.

Quella notte criminali di guerra, tra i quali il caporale di giornata D’Alema, avevano iniziato i bombardamenti su Belgrado la cui gente si ostinava a mettersi un ponte con un bersaglio sul petto a cantare canzoni. Quella mattina, in riunione di redazione, ci esaltarono l’opera di Giovanna Botteri portavoce simultaneamente di UCK e Nato e ci dissero che tutti dovremmo riferire così sull’ “intervento umanitario”. Come sempre, prima e dopo, nulla era vero, il dittatore Milosevic, gli stupri, la pulizia etnica in Kosovo, la repressione, le carceri piene di politici. Era vero il contrario. E la Serbia poteva dare esempi di democrazia e moderazione a tutta la sedicente “comunità internazionale”. Quel giorno fu il mio ultimo in Rai e il primo tutto solo e da indipendente.

A Belgrado la notte del nostro arrivo le macerie fumavano, nell’ospedale trovammo le incubatrici spente dalle bombe, così la TV di Stato, come in tutti i paesi che diffondono “fake news”, l’albergo accanto al nostro squartato da un missile, l’ambasciata cinese di fronte affettata da tre bombe, le strade ridotte in torrenti congelati di macerie. E la gente sul ponte con il Target, a cantare. Ne feci un documentario “Il popolo invisibile”. E poi un altro, “Serbi da morire”. E poi un altro, “Popoli di troppo”. Ma i miei reportage a Liberazione dopo un po’ vennero bloccati dal caporedattore Cannavò, ora a “Il Fatto Quotidiano”, e dalla vicedirettrice sotto Sandro Curzi , chihuahua di Bertinotti, Rina Gagliardi. Troppo squilibrato verso Milosevic. L’ultimo pezzo cestinato era sulle bombe a grappolo Usa su Nis e, peggio, un racconto di come bene i serbi accogliessero i rom. Rifiutarono perfino, grandi professionisti, la mia intervista con Slobo, l’ultima prima che lo arrestassero. Uscì poi sul Corriere.
Da allora, la Serbia sparì in un buco nero. Conveniva. La vergogna sotto sotto si faceva sentire. Un’Europa unita che ci dà 60 anni di pace e poi si amputa un arto. Ma la vergogna, il senso di colpa, in fondo al pozzo nero dell’anima di tutti coloro che hanno collaborato alla distruzione di Jugoslavia e Serbia, o l’hanno tollerata, riemerge adesso. E prova ad arrampicarsi dal buio della cattiva coscienza verso la luce di una maleodorante solidarietà. Quella per i profughi. Un uragano di compassione per chi agonizza al freddo, come Enrico IV, nel 1077 per tre giorni e tre notti nella neve, anche allora di gennaio, davanti al portone del castello di Gregorio VII e Matilde. Una bufera di indignazione verso “i serbi che sbarrano le porte”. Serbi come Orban, il “nazista ungherese” che, sia detto tra i denti, governa un paese che, in proporzione alla popolazione, ha il più alto numero di profughi d’Europa e il cui “muro” è un cancelletto rispetto a quello eretto in Palestina o a Calais. Lui però è cattivo, ha cacciato tutte le buone Ong di Soros, ama più Putin di Juncker. Cattivi anche i serbi una volta di più vittime di menzogne e calunnie. Come dal 1990. Come anche prima, quando Tito e Milosevic si ostinavano a tenere il paese fuori dalla camicia di forza delle superpotenze.


Una cattiva coscienza che si nasconde nella solidarietà

Sarete rimasti atterriti dall’uragano di immagini, lacrime, geremiadi, anatemi, che i media di mezzo mondo, hanno scaricato dagli schermi a proposito della tempestivamente re-innescata (ovviamente contro Trump e accoliti che schifano i migranti) rotta balcanica. Come Enrico IV, alle porte di Belgrado, o al confine serbo-ungherese, nel gelo, colonne di fuggiaschi in stracci, senza protezione, assistenza, conforto, attorno a focarelli che lottano contro bufera e nevischio, che si fanno la doccia all’aperto, con acqua di bidoni ghiacciati, bambini e donne (meticolosamente rintracciati tra un 90% di giovani maschi). Una roba, come suggerisce un acuto commentatore al mio blog, che dovrebbe evocare paragoni con l’olocausto, con le turbe di moribondi in marcia dal treno blindato alle presunte camere a gas. Ovviamente, su questa strada, Furio Colombo e la lobby sono sempre in testa.

Diversamente che da noi, anche a Roma, non c’è stato nessuno sgombero forzato, si è negoziato per trovare una soluzione che non ferisse nessuno, si sono messe a disposizione tre caserme (da noi stanno vuote), si è provveduto a fornire vestiario, cibo, calore. I cittadini di Belgrado, cui abbiamo lasciato gli occhi per piangere, si sono mossi in soccorso individuale e collettivo, come li avevo visti fare quando dal Kosovo, lacerato dalle bombe Nato e dai briganti dell’UCK, arrivavano in fuga serbi e rom. 

Non hanno parlato di integrazione, di assimilazione di meticciato, e altri trucchi neocolonialisti, coloro che facevano parte del migliore esperimento di integrazione tra etnie e confessioni di una famiglia geografica e storica dallo stesso destino e progetto politico. Ma hanno fatto quel che potevano, da gente stanca, disillusa, sfiancata, mal governata (come piace ai suoi giustizieri), impoverita, demoralizzata, per continuare ad avere il mondo contro. Il mondo che gli ha troncato le gambe e chiuso il futuro. E che oggi pretende di dare lezioni di umanità. Appunto, lo stesso mondo dell’intervento umanitario a forza di bombe e bugie.

Quanto a noi, a quelli che marciano contro Trump per la soddisfazione di Obama, Hillary, signori delle guerre, dei diritti umani, dei LGBTQ, delle donne (bombardate escluse), che magnifica occasione, quella dei poveri rifugiati davanti alle mura dei soliti serbi, per nascondere i carcinomi della nostra coscienza. Per lavarla, questa coscienza, con la candeggina dell’ipocrisia.