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International Communist Press (ICP) | sol.org.tr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
Speciale intervista della International Communist Press con Aleksandar Banjanac, Segretario Generale del Nuovo Partito Comunista della Jugoslavia (NKPJ)
13/02/2017
ICP: Di recente assistiamo alla riproduzione di forme di nazionalismo serbo. Il Partito Radicale Serbo del criminale di guerra Vojislav Seselj ha ottenuto 22 seggi alle ultime elezioni parlamentari. Dall'altra parte, il governo della Serbia ha cercato di ripristinare l'onorabilità di collaboratori nazisti quali Milan Nedic. Il Nuovo Partito Comunista della Jugoslavia (NKPJ) ha avviato una serie di proteste per resistere a questi tentativi e per contrastare l'esistenza di organizzazioni fasciste nelle università. In che modo il vostro Partito intende continuare l'azione anti-nazionalista?
Aleksandar Banjanac: Dalla creazione del nostro Partito in poi, ci siamo sempre opposti a ogni forma di sciovinismo, fascismo e discriminazione.
In Serbia, così come nelle repubbliche post-jugoslave, il nazionalismo è stata l'ideologia che ha legittimato le classi dirigenti e gli obiettivi imperialisti. Questa idea ha diviso la classe operaia su base etnica, portandola a un crollo sociale e materiale. Inoltre, ha aperto la strada alla restaurazione dell'onorabilità di collaborazionisti nazisti e del revisionismo.
Noi cerchiamo sempre di disvelare e mostrare il terreno su cui attecchisce il nazionalismo. Abbiamo sostenuto la nostra posizione nelle proteste contro la restaurazione dell'onorabilità di nemici pubblici vissuti ai tempi della seconda guerra mondiale. Presentiamo questa posizione nel nostro programma di Partito, nei nostri comunicati, nelle discussioni pubbliche e nelle riunioni di partito.
ICP: Durante quest'anno si svolgeranno probabilmente in Serbia le elezioni presidenziali e forse quelle parlamentari. Quale sarà la posizione di NKPJ?
Aleksandar Banjanac: Il Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia mostrerà una posizione organizzata, presentando il presidente del sindacato "Sloga", compagno Željka Veselinović, come candidato. Sloga è l'unico sindacato affiliato alla Federazione sindacale mondiale, FSM-WFTU, in Serbia. Prima delle elezioni verrà presentato un programma elettorale articolato in dieci punti. Tra i nostri bersagli presi di mira nei dieci punti: le collaborazioni con il FMI, la Banca Mondiale, la UE e la NATO, così come le politiche di privatizzazione e le politiche nazionaliste. E' ancora prematuro parlare di elezioni parlamentari.
Il sistema elettorale della Serbia non consente parità di condizioni per i partecipanti. Senza una copertura finanziaria sufficiente, si incontrano problemi; grazie alla collaborazione con Sloga ci auguriamo di superare l'ostacolo.
Ci aspettiamo un salto di qualità in nome della classe operaia nelle elezioni e anche il creare delle forme organizzative più forti tra i nostri membri e alleati.
ICP: Pochi giorni fa, un treno che viaggiava sulla linea ferroviaria da poco ristabilita tra Belgrado e Mitrovica nel Kosovo, è stato fermato dai funzionari kosovari a causa dello slogan scritto sui convogli in 21 lingue: "Kosovo è Serbia", cosa che ha causato una nuova crisi politica. Quali sono le vostre previsioni sull'evoluzione del clima politico sul Kosovo?
AB: La "Repubblica del Kosovo" è una base NATO proprio nel centro dei Balcani. I discorsi sul "Kosovo indipendente" sono il risultato della guerra espansionista, di occupazione e di intervento contro la Repubblica Socialista della Jugoslavia da parte delle forze NATO nel 1999.
Allo stesso tempo, questo intervento significa l'occupazione del Kosovo e Metohija, che è una regione di importanza strategica. D'altra parte, i Balcani sono sotto il controllo delle forze Usa da così tanto tempo. Una delle più grandi basi americane in questa regione è "Bondstil", situata in Uroševca, Kosovo. Di recente sono emerse sulla stampa prove dell'esistenza di una prigione di guerra all'interno della base. In altre parole, possiamo parlare della Guantanamo europea. Inoltre, è previsto un nuovo aiuto militare da parte del governo di Trump in Kosovo.
Entrambi i governi di Kosovo e Belgrado sono asserviti alla NATO in egual misura. Il fatto del treno, orchestrato dal governo serbo, era pura propaganda pre-elettorale. Allo stesso tempo, vale come graduale riconoscimento del Kosovo da parte del governo, che è diretto dall'imperialismo occidentale. La situazione attuale può solo surriscaldare il nazionalismo serbo e quello albanese a discapito dei serbi in Kosovo. Queste attività non sono utili a nessuno, tranne che a loro. Si dimostrano le incapacità dei rispettivi governi.
L'occupazione imperialista deve volgere al termine. Sostenere la pace e la realizzazione della solidarietà tra i popoli albanesi e serbi non è utile alla NATO. Entrambe le parti sono vittime della NATO. I popoli dei Balcani saranno in grado di determinare il proprio futuro solo se i Balcani gli apparterranno.
ICP: La posizione della Russia in Ucraina ha portato la UE a levare delle sanzioni contro la Russia. Allo stesso tempo la Russia ha annunciato la realizzazione di un gasdotto turco, un progetto che include la Serbia nel suo percorso. Poco dopo, il presidente russo Vladimir Putin ha visitato Belgrado, con la rivista della parata militare congiunta degli eserciti russo e serbo. Il governo della Serbia è stato criticato di mostrare un eccesso di senso pratico nel processo di negoziazione in corso sul lato opposto, con l'UE. Qual è il vostro commento sulla posizione del governo serbo riguardo a queste relazioni?
AB: Sì, il governo della Serbia ha mostrato un atteggiamento "pragmatico", sostenendo le bande fasciste e l'illegittimo Presidente Poroshenko, mentre negoziava con la Russia. Anche l'Unione europea è stata criticata per non premere abbastanza sulla Serbia. Questa è chiaramente una prova del predominio della UE sul governo.
Subito dopo la visita di Putin a Belgrado e la parata militare, il governo è stato costretto a rendere una dichiarazione alla NATO, rendendo noti accordi coperti. Questi accordi forniscono una serie di priorità alla NATO in entrambi i campi militari e civili. In uno stato di guerra, dovremo dare il controllo delle nostre basi, ospedali e aeroporti alla NATO.
Non abbiamo bisogno di un tale pragmatismo. Uno dei nostri modi di dire, recita: "se non nutri il tuo esercito, nutri un altro esercito".
ICP: Qualche tempo fa, il NKPJ ha tenuto il suo congresso. Una delle decisioni più importanti prese nel congresso è stata l'obiettivo del ringiovanimento, scommettendo sulla vostra organizzazione giovanile, SKOJ. Qual è l'obiettivo atteso in NKPJ per questa transizione?
AB: L'obiettivo di svecchiamento era un progetto pianificato da molti anni. Si è concretizzato nel nostro V Congresso straordinario. Sono stato eletto come nuovo Segretario generale del nostro Partito nello stesso Congresso e la mia età non supera ancora i 34 anni. Abbiamo anche compagni più giovani nella Segreteria, nell'Ufficio politico e nel Comitato centrale. Siamo uno dei rari partiti nella regione con una così giovane dirigenza.
Nonostante tutte le difficoltà e le limitazioni, puntiamo a realizzare un potente partito dei lavoratori. Abbiamo bisogno di un NKPJ che sia in grado di rispondere alle esigenze dei lavoratori. Abbiamo bisogno di organizzare i giovani e indurli a staccarsi dal sistema di sfruttamento e a considerare il socialismo non come un periodo nostalgico ma come unica alternativa contro il capitalismo. Finché il NKPJ si basa sui giovani, i giovani si baseranno sul partito.
ICP: Perché considerate la Jugoslavia, oggi divisa in molti stati diversi, come scala politica, invece che la Serbia?
AB: Prima di tutto, anche se la Jugoslavia è divisa in più parti, anche se manipolata e le sue risorse sono sottratte, noi non pensiamo che abbia perso il suo significato storico.
Siamo l'unico partito che affronta la questione nazionale con l'identità jugoslava. Abbiamo la volontà di risolvere questo problema attraverso la ridefinizione di tutti i popoli nella regione nel suo complesso. Un altro problema passato, era l'esistenza di confini interni dentro la Jugoslavia. E' stato uno dei motivi principali della guerra che si è verificato subito dopo la dissoluzione.
Inoltre, è evidente che dal '90 la pace non è stata stabilita nella regione. Frizioni tra i popoli e i governi dei paesi della ex Jugoslavia, spesso si surriscaldano.
L'intervento dell'imperialismo occidentale divide il nostro Paese in termini economici, militari, nazionali, sociali ed educativi. Dopo lo scioglimento, hanno anche esportato le loro politiche per i nuovi governi.
Usando il termine di Jugoslavia, noi presentiamo la sua effettiva legittimità. Oltre ad utilizzare questo termine, denunciamo l'occupazione della NATO. Insistiamo sul fatto che tutte le forze progressiste devono mostrare una posizione congiunta contro questa occupazione.
Persone che ancora oggi si definiscono con l'identità jugoslava, esistono. Esse condannano il clima politico attuale e danno il loro sostegno al nostro Partito.
ICP: Il vostro Partito ha una posizione diversa dalla Lega dei comunisti della Jugoslavia rispetto l'URSS e l'ideale del socialismo. Qual è l'eredità per il NKPJ?
AB: Giusto, abbiamo una posizione molto diversa dalla Lega dei comunisti della Jugoslavia. Questa presa di posizione poggia principalmente su principi riguardanti la costruzione del socialismo.
Poiché abbiamo fatto nostra la posizione del Partito Comunista di Jugoslavia, diciamo che la Lega dei Comunisti, istituita dopo il 1948, cambiando il nome del Partito, è stata una mutazione opportunista e revisionista, che ha voltato le spalle al movimento comunista internazionale.
Dopo il XX Congresso, anche in URSS si è avviato un periodo revisionista. Tuttavia, allo stesso tempo, hanno mostrato un'opposizione realistica contro l'imperialismo durante la Guerra Fredda. La Jugoslavia ha scelto di rimanere neutrale in questa guerra di classe. Come dice Lenin, ogni terza via respinge la seconda. Così la terza via jugoslava ha rifiutato di opporsi alla principale questione: quindi, la Jugoslavia di Tito ha diretto il movimento dei Non Allineati. Da questa posizione, la Jugoslavia si è allineata all'imperialismo e ha istituito la "piccola NATO", collaborando con la Turchia e la Grecia negli anni '50.
Tito e i quadri di Partito avevano organizzato la guerra di sovranità nazionale, eroicamente e trionfando con una rivoluzione. Il ruolo di Tito in questo periodo storico non può essere svalutato. Ma, purtroppo, non sostennero la rivoluzione che avevano stabilito. Al contrario, hanno giocato il ruolo di "cavallo di Troia" all'interno del movimento comunista internazionale e si sono diretti verso la restaurazione del capitalismo.
La nostra tradizione si basa sul Partito socialdemocratico e successori: il Partito Comunista di Jugoslavia, che ha sostenuto le rivendicazioni dell'internazionalismo proletario, la III Internazionale, il Cominform e il socialismo scientifico fino al 1948.
Manlio Dinucci
Revisione, in senso «migliorativo», di quello attuato nelle guerre cui l’Italia ha partecipato dal 1991, violando la propria Costituzione. Dopo essere passato per 25 anni da un governo all’altro, con la complicità di un parlamento quasi del tutto acconsenziente o inerte che non lo mai discusso in quanto tale, ora sta per diventare legge dello Stato. Un golpe bianco, che sta passando sotto silenzio.
Alle Forze armate vengono assegnate quattro missioni, che stravolgono completamente la Costituzione. La difesa della Patria stabilita dall’Art. 52 viene riformulata, nella prima missione, quale difesa degli «interessi vitali del Paese». Da qui la seconda missione: «contributo alla difesa collettiva dell’Alleanza Atlantica e al mantenimento della stabilità nelle aree incidenti sul Mare Mediterraneo, al fine della tutela degli interessi vitali o strategici del Paese».
Il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, stabilito dall’Art. 11, viene sostituito nella terza missione dalla «gestione delle crisi al di fuori delle aree di prioritario intervento, al fine di garantire la pace e la legalità internazionale».
Il Libro Bianco demolisce in tal modo i pilastri costituzionali della Repubblica italiana, che viene riconfigurata quale potenza che si arroga il diritto di intervenire militarmente nelle aree prospicienti il Mediterraneo – Nordafrica, Medioriente, Balcani – a sostegno dei propri interessi economici e strategici, e , al di fuori di tali aree, ovunque nel mondo siano in gioco gli interessi dell’Occidente rappresentati dalla Nato sotto comando degli Stati uniti.
Funzionale a tutto questo è la Legge quadro entrata in vigore nel 2016, che istituzionalizza le missioni militari all’estero, costituendo per il loro finanziamento un fondo specifico presso il Ministero dell’economia e delle finanze.
Infine, come quarta missione, si affida alle Forze armate sul piano interno la «salvaguardia delle libere istituzioni», con «compiti specifici in casi di straordinaria necessità ed urgenza», formula vaga che si presta a misure autoritarie e a strategie eversive.
Il nuovo modello accresce fortemente i poteri del Capo di stato maggiore della difesa anche sotto il profilo tecnico-amministrativo e, allo stesso tempo, apre le porte delle Forze armate a «dirigenti provenienti dal settore privato» che potranno ricoprire gli incarichi di Segretario generale, responsabile dell’area tecnico-amministrativa della Difesa, e di Direttore nazionale degli armamenti. Incarichi chiave che permetteranno ai potenti gruppi dell’industria militare di entrare con funzioni dirigenti nelle Forze armate e di pilotarle secondo i loro interessi legati alla guerra.
L’industria militare viene definita nel Libro Bianco «pilastro del Sistema Paese» poiché «contribuisce, attraverso le esportazioni, al riequilibrio della bilancia commerciale e alla promozione di prodotti dell’industria nazionale in settori ad alta remunerazione», creando «posti di lavoro qualificati».
Non resta che riscrivere l’Art. 1 della Costituzione, precisando che la nostra è una repubblica, un tempo democratica, fondata sul lavoro dell’industria bellica.
(il manifesto, 14 febbraio 2017)
Il giorno 02 feb 2017, alle ore 18:50, 'Coord. Naz. per la Jugoslavia' ha scritto:Il velo “umanitario” sulle missioni militari all’estero va strappato
Il vice presidente della Commissione Difesa, on. Massimo Artini (ex M5S), ha replicato con un lungo e articolato commento al nostro articolo di venerdi – ovviamente e fortemente critico – verso la legge approvata a luglio 2016 ed entrata in vigore il 31 dicembre 2016. Ci contesta una lettura negativa di un impianto legislativo a suo dire positivo. A noi così non sembra affatto, e non sembra esserlo stato neanche per 41 senatori che si sono astenuti o votato direttamente contro (al Senato l'astensione vale come voto contrario, ndr).
La legge quadro sulle missioni militari all'estero, infatti è stata approvata al Senato con 194 sì, un no e 40 astenuti, tra questi ultimi i senatori del M5S e alcuni del gruppo misto. Il voto contrario alla legge e' stato della senatrice Paola De Pin (anche lei ex M5S).
La legge disciplina (art. 1) «la partecipazione delle forze armate, delle forze di polizia … e dei corpi civili di pace a missioni internazionali istituite nell'ambito dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) o di altre organizzazioni internazionali cui l'Italia appartiene» (in particolare, come ben si comprende, la NATO e la Ue), toglie (art. 2) al Parlamento, che può intervenire solo con generici “atti d'indirizzo”, la facoltà di approvare o respingere, in modo vincolante, le missioni militari, e dà, viceversa, al Governo (art. 2 e art. 3), pieni poteri nella realizzazione e nella conduzione delle missioni di guerra del nostro Paese.
All'apparenza la Legge prevede che la decisione di spedire militari in teatri di guerra adottata dal governo, vada inviata al Parlamento, il quale con appropriati atti di indirizzo, può dare luce verde o meno alla missione. Tale autorizzazione può essere sottoposta a condizioni. Dal momento che si è in presenza del totale coinvolgimento dei due rami del Parlamento, se non venisse dato l’assenso dai deputati e senatori, la missione internazionale non si potrebbe realizzare. Probabilmente, su questo impianto, a luglio 2016, quando la legge è stata approvata, il governo già riteneva che il Senato non ci sarebbe più stato in base alla controriforma costituzionale che il paese ha respinto a maggioranza il 4 dicembre con il referendum. Avevano insomma fatto i conti senza l'oste e venduto la pelle dell'orso prima di averlo ucciso.
Un risultato è stato comunque raggiunto dal governo. Le missioni militari all'estero non dovranno essere rinnovate (anche economicamente) ogni sei mesi ma saranno una decisione strategica che può essere revocata solo con un atto politico del governo. Nè ci sembra che la gravità della Legge sulle missioni militari possa essere attenuata da una delle operazioni più insidiose che abbiamo denunciato negli anni scorsi: i cosiddetti Corpi civili di pace che potranno affiancare le missioni militari vere e proprie. Su questo vedi un articolo pubblicato tempo addietro.
E' una lettura catastrofista e pregiudiziale della legge? Per dimostrare che su questo pesano e fanno la differenza i presupposti di partenza, è interessante vedere come invece i “laboratori” legati agli apparati di potere hanno dato la loro lettura delle legge stessa.
Ad esempio secondo la fondazione Astrid:“La legge quadro in questo senso costituisce un vero e proprio salto di qualità nella governance della nostra politica estera e di difesa”. Prendiamo ancora a prestito le valutazioni positive espresse dall'Astrid che, come noi coglie il dato secondo cui questa legge cerca di sanare le molteplici contraddizioni manifestatesi nella politica militare italiana dalla prima guerra del Golfo nel 1991. “L’importanza della cooperazione internazionale nelle missioni di peace-keeping, peace-making e peace-enforcement si è andata affermando soprattutto negli ultimi venti anni. Lo spartiacque può essere considerato la prima guerra del Golfo chevide operare, sotto l’egida di una risoluzione Onu, una coalizione di 34 nazioni, tra cui l’Italia, guidata dagli Stati Uniti”. Non solo. Lo stesso think thank ammette che quelle contraddizioni andavano sanate con un apparato legislativo che adeguasse la proiezione militare dell'Italia al nuovo scenario nelle relazioni internazionali: “Da allora, a causa di contesti internazionali sempre più complessi e di vincoli costituzionali molto stringenti, tale paradigma cooperativo si è rapidamente imposto come la principale modalità di intervento delle nostre Forze armate all’estero. Di fronte al moltiplicarsi degli eventi che hanno richiesto una partecipazione dell’Italia a missioni internazionali si è dunque reso necessario il rinnovamento di un quadro normativo che rimaneva troppo legato alle logiche rigide e bipolari della guerra fredda”.
L'on. Artini, di cui apprezziamo l'attenzione per il nostro articolo, ragiona su un presupposto diverso e distante dal nostro. In questa legge vede una razionalizzazione dell'impianto legislativo sulle missioni militari all'estero, noi ci siamo battuti sistematicamente contro l'idea e le decisioni di partecipare alle missioni militari italiane nei teatri di guerra. Perchè di questo si è trattato. Adesso ci sono 300 militari in Libia “per proteggere la costruzione di un ospedale a Misurata” e 1300 militari in Iraq “per proteggere la ristrutturazione della diga a Mosul”. Tremiamo all'idea che una azienda italiana vinca l'appalto per la costruzione di una autostrada in Siria o in qualche altro paese in guerra.
Negli anni scorsi, la cortina fumogena “umanitaria” in Jugoslavia, Libia, ha nascosto orrori e decisioni politicamente vergognose dei nostri governi. Quella poi dell'intervento militare in Afghanistan e Iraq è quanto ha somigliato di più ad una partecipazione vera e propria ad una guerra di aggressione ad altri Stati. E su questo non c'è alcuna mediazione possibile, né in parlamento né fuori. Su questo presupposto, e proprio per questo, abbiamo fatto a sportellate e poi rotto con i senatori e i deputati della sinistra al tempo del secondo governo Prodi. Purtroppo e per fortuna abbiamo buona memoria e senso della coerenza.
18 gennaio 2017
Il giorno 13 gen 2017, alle ore 18:00, 'Coord. Naz. per la Jugoslavia' ha scritto:http://contropiano.org/news/politica-news/2017/01/13/litalia-si-dota-della-legge-la-guerra-087877
L’Italia si dota della Legge per la guerra
Piuttosto in sordina, il 31 dicembre scorso è entrata in vigore la Legge quadro sulle missioni militari all'estero. La legge era già stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale fin dal 1̊ agosto; ma ne era stata rimandata l'attuazione a fine anno, tranne che per la disposizione all'integrazione del Copasir, cioè dell'organismo di controllo sulle attività dei servizi segreti (venuto fuori come problema in occasione delle “missioni coperte” in Libia), anche se valido solo per la legislatura in corso.
L'Italia si è così dotata di una legge organica dello Stato per l'invio di contingenti militari all'estero che dovrebbe azzerare le contraddizioni di incostituzionalità sul ricorso alle azioni militari contro, verso o in altri paesi vincolate al rispetto dell'art.11. Infatti il nostro ordinamento fino ad oggi prevedeva solo la disciplina della "guerra". Ma lo stato di guerra deve essere deliberato dalle Camere, che conferiscono al Governo i poteri necessari (art. 78 Cost.), mentre la dichiarazione di guerra è prerogativa del Presidente della Repubblica (art. 87, 9° comma). ll tutto nei limiti sanciti dall'art. 11 Cost., che vieta la guerra di aggressione e consente l'uso della violenza bellica solo in ipotesi ben determinate (la difesa).
La storia di questi ultimi venticinque anni, con numerose operazioni militari all'estero e il coinvolgimento dell'Italia in teatri di guerra (Iraq, Afghanistan, Jugoslavia ma anche Somalia, Libano etc.), ha reso inevitabile una legge organica che legittimasse sul piano legale la partecipazione dei militari italiani a guerre e operazioni militari in altri paesi.
La Legge individua la tipologia di missioni, i principi generali da osservare e detta disposizioni circa il procedimento da seguire. La newsletter Affari Internazionali ne offre una sintesi molto utile:
a) Le missioni militari all'estero, sia di peace-keeping che di peace-emforcement, sono in primo luogo quelle con il mandato delle Nazioni Unite, ma aadesso lo sono anche quelle istituite nell'ambito delle organizzazioni internazionali di cui l'Italia è membro, comprese quelle dell'Unione Europea;
2) La Nato non è menzionata espressamente, ma è automaticamente inclusa. La Legge poi si riferisce anche alle missioni istituite nelle coalition of willing, cioè coalizione create su una crisi specifica sulla base di decisioni unilaterali dei paesi che vi aderiscono, infine si riferisce alle missioni "finalizzate ad eccezionali interventi umanitari".
3) La Legge specifica che l'invio di militari fuori dal territorio nazionale può avvenire in ottemperanza di obblighi di alleanze, o in base ad accordi internazionali o intergovernativi, o per eccezionali interventi umanitari, purché l'impiego avvenga nel rispetto della legalità internazionale e delle disposizioni e finalità costituzionali (che a questo punto vengono aggirate dalla legge stessa)
“Resterebbe da chiarire il significato di accordi intergovernativi e come questi si differenzino dagli accordi internazionali. Si tratta di accordi sottoscritti dall'esecutivo o addirittura di accordi segreti?” si interroga Affari Internazionali. “In parte tali dubbi dovrebbero essere fugati dai paletti volti a scongiurare una deriva interventista. Le missioni devono avvenire nel quadro del rispetto: a) dei principi stabiliti dall'art. 11 Cost., b) del diritto internazionale generale, c) del diritto internazionale umanitario, d) del diritto penale internazionale”.
Quanto al procedimento per la partecipazione alle missioni internazionali, viene reso centrale il ruolo del Parlamento, razionalizzando una prassi, qualche volta in verità disattesa, che faceva precedere l'invio del contingente militare all'estero da una discussione parlamentare. Ma spesso la ratifica parlamentare avveniva a posteriori, in occasione della conversione in legge del decreto-legge (DL) di finanziamento della missione.
L'iter disegnato dalla L. 145/2016 è il seguente: la partecipazione alle missioni militari è deliberata dal Consiglio dei ministri, Cdm, previa comunicazione al Presidente della Repubblica ed eventuale convocazione del Consiglio supremo di difesa.
La Legge quadro mette mano anche ad un'altra spinosa questione, ossia se ai militari impegnati nelle missioni debba essere applicato il codice penale militare di pace o il codice penale militare di guerra. Anche la soluzione indicata lascia aperta tutte le strade. La nuova legge dispone che sia applicabile il codice penale militare di pace, ma il governo potrebbe deliberare l'applicabilità di quello di guerra per una specifica missione. In tal caso è però necessario un provvedimento legislativo e il governo deve presentare al Parlamento un apposito disegno di legge.E' dalla partecipazione alla prima Guerra del Golfo (1991) che si pone il problema di conformare la legislazione italiana al ripetuto ricorso alla guerra "nella risoluzione delle controversie internazionali" che di volta in volta è stata mascherata con acronimi sempre più improbabili: operazione di polizia internazionale, guerra umanitaria, protezione di civili, difesa preventiva etc. etc. Operazioni militari che hanno visto negli anni migliaia e migliaia di soldati italiani prendere parte a guerre in altri paesi e miliardi di euro spesi per parteciparvi. Quando le furberie sulla guerra diventano una Legge organica dello Stato, vuole dire che il punto di non ritorno si è avvicinato ancora di un altra spanna.
13 gennaio 2017
7) ALTRI LINK
Arcore (MB), domenica 12 febbraio 2017
NUOVA LOGISTICA: alle ore 10.30 c/o ARCI BLOB, Via Casati 31, 20862 Arcore (MB)
(a pochissimi passi dalla stazione ferroviaria di Arcore)
OPERAZIONE FOIBE TRA STORIA E MITO
intervento di Claudia Cernigoi
Dopo le pressioni della destra più o meno estrema, il Comune di Arcore ha deciso di levare il patrocinio all’iniziativa che l’Anpi di Arcore aveva inizialmente organizzato con Claudia Cernigoi. Questo ha comportato la rinuncia di Anpi ad organizzare l’iniziativa…
nuovo evento FB // vecchio evento FB
Modena, domenica 19 febbraio 2017
alle ore 15.30 nella Sala Ulivi dell’Archivio Storico della Resistenza
FOIBE E CONFINI ORIENTALI: LE AMNESIE DELLA REPUBBLICA
intervento di Alessandra Kersevan
organizza: Rete Antifascista Modenese
10 Febbraio 2017
COMUNICATO STAMPA
Chi è Filippo Polito?
Ai famigliari di Filippo Polito è stata conferita una medaglia d'onore alla memoria dal Presidente della Repubblica il giorno 10 febbraio nella sala del Consiglio Comunale di Torino.
Il suo nome compare in parecchi elenchi:
1) Caduti e dispersi della Repubblica Sociale Italiana, a cura di L'Altra Verità
2) Albo caduti e dispersi della Repubblica Sociale Italiana, della Fondazione RSI, Istituto Storico
3) Elenco “Livio Valentini” caduti Repubblica Sociale Italiana
4) Concittadini Caduti infoibati o diversamente massacrati in tempo di guerra e da guerra terminata, comunicato di “Destra Per Reggio”, 10-2-2016
Negli elenchi compare la data di nascita, 18-8-1923 ad Ardore (RC), il ruolo di Guardia di Polizia Repubblicana, residente a Trieste, la data di morte in Trieste (2-5-1945), la qualità di disperso o deportato; in un solo caso risulta deceduto il 31-12-1945 come prigioniero Borovnica, Lubiana (Albo della Fondazione RSI).
L'articolo 3 comma 3 della Legge 30 marzo 2004 n. 92 recita: “Sono esclusi dal riconoscimento coloro che sono stati soppressi nei modi e nelle zone di cui ai commi 1 e 2 mentre facevano volontariamente parte di formazioni non a servizio dell'Italia”.
Poiché il territorio dell'attuale Friuli-Venezia Giulia, l'Istria e la cosiddetta Provincia di Lubiana facevano parte all'epoca della Zona d'Operazioni Litorale Adriatico (ZOLA), costituita dai nazisti dopo l'8 settembre ‘43 e amministrata direttamente da un Supremo Commissario nazista nominato da Hitler, in cui la stessa RSI non aveva alcun potere e in cui le sue formazioni armate potevano entrare e operare solo ed esclusivamente con il permesso e sotto la direzione dei tedeschi, l'adesione alla RSI, in quanto agli ordini dei nazisti non può considerarsi “a servizio dell'Italia”.
La partecipazione volontaria alla RSI risulta dal fatto che il 12 novembre del '43 il Supremo Commissario nazista dispose che l'arruolamento nelle formazioni della RSI poteva avvenire solo “sulla base di presentazione volontaria” (“Il Piccolo”, 12 novembre '43, pagina 1).
Risultano pertanto due condizioni (il carattere volontarie e l'attività collaborazionista) che sulla base della legge ostano alla concessione della “insegna metallica con relativo diploma”.
Poiché la legge richiama una vicenda tragica, che comprende le foibe, e riguarda l'insieme dell'esodo e della complessa vicenda dei confini orientali, riteniamo che l'attribuzione della medaglia a Filippo Polito combattente volontario, a fianco dei nazisti, in terre da loro occupate, vada rivista.
La giornata del ricordo non può prestarsi ad utilizzi politici, in particolare da parte di risorgenti nostalgie fasciste, né può costituire riconoscimento di quanti hanno operato contro le libertà e a fianco delle barbarie naziste.
La Costituzione Italiana, nata dalla Resistenza, esclude dal panorama della democrazia ogni fascismo e il Giorno del Ricordo è una solennità civile della nostra democrazia.
Torino 10 febbraio 2017
La Presidenza dell'A.N.P.I. Provinciale
Maria Grazia Sestero
Palmiro Gonzato (Partigiano)
Cesare Alvazzi Dal Frate (Partigiano)
Renato Appiano
In Sala rossa il riconoscimento agli eredi, ma gli ex partigiani attaccano: "Ha combattuto con i nazisti". E l'erede si presenta in camicia nera
http://torino.repubblica.it/cronaca/2017/02/10/news/foibe_polemiche_sulla_medaglia_a_filippo_polito-158012734/
<< L'aggressione fascista alla Jugoslavia non poté giustificare né la perdita dei territori né l'esodo degli istriani. >>
(Fassino in conferenza stampa a Trieste, 5 febbraio 2004)
<< L'espansionismo slavo ... nel vivo della lotta antifascista si era manifestato in comportamenti e linguaggi propri delle contese territoriali e nazionalistiche, presenti da decenni in quelle aree. Lo schema della lotta fra fascismo e antifascismo si mostrò inadeguato... >>
(Fassino: «Il Pci con gli esuli istriani sbagliò», su L'Unita', 06.02.2004 – https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/3167 )
<< Il segretario dei Ds Piero Fassino si è detto d'accordo sull'istituzione della giornata della memoria per gli esuli istriani, fiumani e dalmati, per superare "ogni forma di reticenza e rimozione... >>
(La Repubblica, 9 febbraio 2004 – https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/3170 )
<< Quello che avrei voluto dire il 6 febbraio di due anni fa a Fassino e Violante quando vennero a Trieste per aderire alla proposta di Roberto Menia (An) di istituire il 10 febbraio la giornata del ricordo dell'esodo e per attribuire al Pci di allora colpe ed errori di valutazione... >>
(Galliano Fogar su Il Manifesto del 10 febbraio 2006 – https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/4765 )
<< Ci stupisce che politici della statura di Fassino e di Violante abbiano aderito all'iniziativa di Alleanza Nazionale quando essi sanno benissimo che il presidente del consiglio Berlusconi considera questa ricorrenza come il giorno della «pulizia etnica comunista», dimenticando che le foibe e l'esodo dei giuliano-dalmati costituiscono una diretta eredità del ventennio fascista e dell'occupazione italiana dei Balcani durante la Seconda guerra mondiale. >>
(Angelo Del Boca su Il Manifesto del 14 febbraio 2006 – https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/4765 )
<< Riguardo alla data, Fassino ha spiegato che loro avevano pensato al 20 marzo (data dell’ultimo viaggio del Tuscania, la nave che trasportò gli esuli dall’Istria in Italia), mentre le federazioni degli esuli avevano proposto il 10 febbraio (data della firma del trattato di pace del 1947); loro accolgono questa proposta di “giorno della memoria dell’esodo” perché l’enormità delle sofferenza patite dagli italiani non permette una disputa tra le date, la storia del paese deve essere patrimonio comune, in quanto “siamo tutti figli della storia”. >>
(Claudia Cernigoi: "Ricordiamo la genesi del Giorno del Ricordo", febbraio 2009 – http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-ricordando_la_genesi_del_%93giorno_del_ricordo%94..php )
<< Nel lontano 1997, quando ancora erano pochi coloro che si occupavano di foibe, ebbi modo di consegnare personalmente all'allora non so che ruolo ricopriva Piero Fassino, una mia analisi sulle falsità a proposito di foibe diffuse all'epoca dal mancato golpista (con Borghese) Marco Pirina, che in collaborazione con l'avvocato piduista Augusto Sinagra ed al magistrato che si faceva intervistare dal Secolo d'Italia Giuseppe Pititto, stava organizzando il processo contro gli "infoibatori" (poi conclusosi in una bolla di sapone, com'era prevedibile, ma che ci fece tribolare per diversi anni). Quindi Fassino non può dire di non sapere, ciò che fa lo fa perché ha consapevolmente scelto di farlo. >>
Claudia Cernigoi, 12.2.2016
<< Non ha lasciato spazio il sindaco Fassino agli attacchi che puntuali, anche quest’anno hanno cercato di inquinare il «Giorno del ricordo». Fassino si è accodato con queste parole all’allarme lanciato da Antonio Vatta, presidente della Consulta regionale dell’Anvgd... Fassino ha sottolineato che «siamo qui per riaffermare l’inaccettabilità di ogni forma di negazionismo e di riscrittura della storia. E per riaffermare che al ricordo si deve accompagnare l’impegno di evitare che tragedie simili si ripetano, cosa non scontata come dimostra la storia recente». Il sindaco di Torino ha ribadito che dopo anni di silenzio «si è presa coscienza che una nazione ha il dovere di assumere sulle proprie spalle ogni pagina della sua storia e non c’è pagina che possa esser cancellata e negata. Chi fu ucciso nelle foibe e chi fu cacciato dalla sua terra lo fu solo perché italiano in quella che fu un’operazione di pulizia etnica» >>
(La Stampa, 10/02/2016 – http://www.lastampa.it/2016/02/10/cronaca/fassino-vergognoso-lattacco-dellanpi-alla-giornata-del-ricordo-EWPD3Zkk3RCvTFpI7pF76O/pagina.html )
Ino, martire delle foibe. Una via avrà il suo nome
La vicenda del martire è stata tolta dal dimenticatoio grazie a una ricerca appena conclusa da Maria Rosa Bonamini, insegnante alla scuola media Altichiero, ora in pensione. La professoressa ha attinto il più possibile da fonti dirette. Da Giuseppe Bazzoni, da Filippo Avesani, nel frattempo scomparso, e dai discendenti di Mercanti.
Da Boscochiesanuova dove vivevano, papà Michele e mamma Eleonora Campedelli, con i loro quattro figli - Ines, Amerigo, Zeffira e, appunto, Ino - si trasferirono a Zevio nel 1911. Dopo un po’ Ino andò a vivere con la sorella Ines, sposatasi con Giuseppe Malgarise, titolare fino alla fine degli anni ’50 di un’osteria in piazza Santa Toscana, che all’epoca si chiamava piazza Vittorio Emanuele.
Grazie al suo carattere vivace, gioviale e un po’ mattacchione, Ino andò a gestire l’osteria all’Omo, dal nome della pianta ritenuta emblema della libertà, che i soldati di Napoleone piantavano nei crocicchi stradali, compreso il trivio per Volon tra le vie Stefano da Zevio e corso Cavour. Nel suo locale, Ino organizzava lunghi tornei di bocce e programmava feste in onore della patrona del paese, Santa Toscana. La professoressa Bonamini spiega che nel 1936, con Raffaello Conti, Angelo Dall’Oca Bianca, Giuseppe Sinibaldi, Zelio Grella e altri, Ino partì per la guerra civile in Spagna, in aiuto al «generalissimo» Francisco Franco, che si rifaceva all’ideologia fascista. Ritornò a Zevio nel 1940, e ripartì poi per lavoro per la Slovenia, a Villa del Nevoso (ora Iliska Bistrica), località all'epoca compresa nei confini italiani.
«Su come sia andata successivamente, i parenti hanno scarsissime notizia, essendo fra l’altro passati 70 anni e tre generazioni», annota la professoressa. Che aggiunge: «Comunque dagli elementi emersi, sembra certo che Ino fu barbaramente ucciso dai soldati titini», dal nome di Tito, il capo dei partigiani comunisti jugoslavi che successivamente diventerà governatore dello Stato. Bonamini rivela particolari terribili sulla fine di Mercanti: «Probabilmente morì dopo un'agonia di due giorni, per essere stato crocefisso a testa in giù ed evirato in un bosco a una decina di chilometri a nord di Pola. Il suo cadavere fu infine fatto sparire nelle foibe». A guerra ultimata i famigliari fecero l'impossibile per ottenere dettagli sulla spaventosa fine del congiunto. E produssero tutte le pratiche necessarie alla restituzione dei resti.
La sorella Zaira approfondì le ricerche recandosi in Jugoslavia. Qualcuno le indicò il luogo in cui trovare il cadavere del fratello, con l'avvertenza di non fermarsi e farsi riconoscere, visto che era ancora presente il regime comunista. Tanta ostinata ricerca della verità sfociò, nel 1962, nel recupero delle spoglie del martire, ora sepolte nel cimitero del capoluogo.
Enzo Sonato, apprezzato poeta, scrittore e politico zeviano scomparso qualche decennio fa, ha lasciato un amaro componimento che riassume l'oblio che ha avvolto tante vite spezzate dalla volontà di predominio dell'uomo sull'uomo: «Chi legge il tuo nome/ Chi legge il tuo nome/ il trentunesimo di ottanta/ nella lunga fila/ dei nomi neri/ sulla lapide bianca/ del monumento ai morti in guerra?/ C'è forse chi arriva al quinto/ un giorno che non abbia fretta».
Piero Taddei
Da: Fabio Muzzolon <fabio.muzzolon @ alice.it>
Oggetto: a Zevio una via a un fascista infoibato
Data: 9 febbraio 2017 16:17:57 CET
A: corriere <lettere@corriere>, corrierediverona@..., jugocoord
Con richiesta di pubblicazione. Per il Corriere, all'attenzione di Alessandro Fulloni
A Zevio, centro di 15.000 abitanti a Sud-Est di Verona, si vuole dedicare una via a un fascista che aveva anche combattuto in Spagna a fianco del Generalissimo Franco e finì poi dentro una foiba a Dignano d'Istria. Una via dunque tutta per il "martire", oltre alla già esistente via Martiri delle Foibe...
Ringrazio il giornalista di Zevio de “L’Arena” e la professoressa ricercatrice per aver messo in luce l’episodio di un infoibato zeviano, che non conoscevo. Se mi è permesso provo a sottolineare alcuni punti.
1. “Il cadavere finì in una voragine di Dignano”. Dignano, in croato Vodnjan, è in effetti uno dei centri dell’Istria dove la comunità italiana (o istro-veneta) è tuttora più presente e culturalmente vivace, come del resto lo fu durante il comunismo.
2. “Era il 13 settembre 1943 quando il cadavere finì” in una foiba. Si era cioè al vertice di una guerra atroce, mossa nel ‘41 dall’esercito italiano contro la Jugoslavia, al termine della quale lo Stato vicino contò oltre un milione di morti.
3. “Fra il ‘43 e il ’47 furono gettati circa 10.000 italiani”. Il maggior studioso italiano Raoul Pupo, moderato, prof.all’Università di Trieste parla di 4 o 5.000. La loro identificazione è avvenuta finora per alcune centinaia. Mi rendo conto che non è facile capire la verità, ed è anche difficile stabilire se fossero italiani o slavi: in Istria c’è una varietà estrema di mistilingue; inoltre nel precedente periodo di annessione italiana dopo la prima guerra, tutti i nomi slavi, tedeschi e perfino veneti e friulani vennero italianizzati con la forza.
4. “Scattò l’esodo verso l’Italia di 350.000 persone”, anche se sembra cifra eccessiva, giustamente Taddei non dice “italiani”, perché tra loro ci furono anche genti di lingue e cognomi slavi, uniti dal desiderio di cercare fortuna all’estero, come anche dalle Venezie partirono in massa. A differenza di altri Stati socialisti la Jugoslavia permetteva l’emigrazione.
5. “Nel ’36... Ino partì per la guerra civile in Spagna, in aiuto al generalissimo Franco, che si rifaceva all’ideologia fascista”. Quindi come riconosce onestamente il cronista, il nostro martire non era propriamente un italiano estraneo all’agone politico del tempo, ma un fascista combattente.
6. “La pulizia etnica di Tito punta a eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti”.
Si deduce che essendo volta a epurazioni di carattere politico non si può chiamare pulizia etnica.
Fabio Muzzolon, S.G. Lupatoto
sul Piccolo di ieri, l'articolo in pagina cultura sul Giorno del ricordo è stato scritto da Gianni Oliva, che è considerato uno storico "serio" e non un "negazionista" cui deve essere impedito di parlare.
La serietà di Oliva si manifesta, ad esempio, nel suo "Foibe" del 2002, quando parla di Giuseppe Cernecca, segretario generale del comune di Gimino, che nel settembre del 1943 fu arrestato dai partigiani e di lui non si seppe più nulla. Scrive che Cernecca sarebbe stato lapidato e poi decapitato e che le prove della “lapidazione di Cernecca” risulterebbero “dall’autopsia effettuata”. Ora, stando che la stessa figlia ha più volte ribadito che il corpo del padre non fu mai ritrovato, sarebbe davvero interessante sapere di quale autopsia parli lo storico Oliva.
Quando poi parla della foiba di Basovizza riporta un passo del romanzo “La foiba grande” di Carlo Sgorlon, che essendo romanzo è appunto opera di fantasia, fatto che Oliva non specifica quando cita: “Nella foiba di Basovizza, vicina a Trieste, era stato buttato un feudatario odioso, un uomo carico di delitti, al tempo del patriarca di Aquileia, Marquardo, cui allora l’Istria apparteneva”.
Peccato che il patriarca Marquardo rimase in carica dal 1365 al 1381 (anno in cui morì) e che la “foiba” di Basovizza non è una cavità naturale ma un pozzo di ispezione di miniera, scavato dalla ditta Skoda tra il 1901 ed il 1908. Se non si può pretendere da Sgorlon, che ha scritto un romanzo, coerenza dal punto di vista storico, invece uno storico dovrebbe, prima di dare alle stampe un’opera (sia pure di divulgazione) scientifica, verificare che ciò che scrive abbia attinenza col vero e non limitarsi a citare brani tratti di qua e di là senza un minimo di controllo.
Peccato che tutta la descrizione che fa è falsa dalla prima all'ultima parola.
Non solo per il fatto che in quel luogo non sono state gettate "centinaia di persone" nel maggio 1945, ma perché il suo illazionare che i prigionieri sarebbero stati legati uno ad uno col filo di ferro e poi, sparando al primo della fila, sarebbero precipitati a decine nel pozzo, è una cosa fisicamente impossibile considerando le dimensioni dell'apertura del pozzo, come vedete nella foto (tratta dagli archivi comunali).
Così come è una mera menzogna il fatto che fosse stato gettato sopra i cadaveri un cane nero, mitologia che è nata perché UNA volta in UNA foiba fu trovato anche un cane nero (che probabilmente vi era caduto per sbaglio) e da questo i propagandisti hanno creato la leggenda che si tratta di un'usanza balcanica di spregio per i morti (ovviamente anche questo non ha alcun fondamento di verità).
Ma Polidori non è contento di inventare cose di sana pianta (o, forse, scopiazzando nel web di qua e di là scegliendo le bufale più accattivanti per lui ed il suo pubblico), alla fine di questa serie di bugie ha il coraggio di attaccare, con parole che dovrebbero far vergognare chiunque abbia il senso della decenza, una studiosa come Alessandra Kersevan che ha passato anni ad analizzare documenti e fare ricerca storica, e che se parla lo fa con cogn
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