Informazione

> Iniziative: 21, 22, 23 MARZO
> 24 MARZO: MANIFESTAZIONE NAZIONALE A CESENA
> "Giochiamo per la pace"


---

21/3 ROMA

ore 18:00
"Guerre, uranio, inquinamento, e distruzione Ambientale"
Interventi di padre Benjamin, Enrico Giardino e Franco Marenco
CSA "Ricomincio dal Faro", Via del Trullo 330, Roma

---

22/3 VARESE

ore 21:00
"Per un futuro senza guerre"
Interventi di Zucchetti e Marenco (Comitato Scienziate/i contro la
guerra)
proiezione di filmati
Cooperativa Novecento, Via de Cristoforis, Varese

---

23/3 BOLOGNA

Invito - Iniziativa:
http://contropiani2000.org/calendario/guerre_strategia_mediatica.htm

Comitato Cittadino contro la Guerra a due anni dalla "Guerra Umanitaria"
L'INFORMAZIONE IMPOVERITA: LE NUOVE GUERRE E LA STRATEGIA MEDIATICA

Bologna - Venerdì 23 Marzo 2001
dalle ore 18 alle ore 24
Sala Zonarelli - v. Sacco 14 - Quartiere S. Donato

* ore 18,00 proiezione del video, in edizione integrale, "Paying the
price:
killing the children of iraq" un film di John Pilger, edizione italiana
a
cura di "Un ponte per ...". introduce Sergio Coronica - Un ponte per ...

* ore 20,00 intervallo gastronomico

* ore 21,00 presentazione del volume "Contro le nuove guerre" a cura
delle
Scienziate e Scienziati contro la Guerra (Odradek, Roma, 2000) e dei
numeri
34 e 35 della rivista "Giano" contenenti il "Dossier NATO"

interventi di:
* Giulia Barone
Storica - Università di Roma 1
* Luigi Cortesi
Storia contemporanea - Università di Napoli
* Tommaso Di Francesco
Giornalista - il Manifesto
* Isidoro D. Mortellaro
Storia delle Istituzioni Politiche - Università di Bari
* Alberto Negri
Giornalista - il Sole 24 Ore
* Francesco Strazzari
Istituto Europeo di Fiesole

Organizza
Comitato Cittadino contro la Guerra
Un ponte per ...
Associazione El Ouali

Con l'adesione di:
ALJ - Associazione Diversiva - Ass. per il Rinnovamento della Sinistra -
PRC Bologna - Rete Contropiani

Per informazioni, adesioni e contatti con i giornalisti:
- controguerra@...
- http://www.contropiani2000.org

Volantino "on line" - Scarica, stampa e diffondi:
PDF -
http://contropiani2000.org/calendario/guerre_strategia_mediatica.pdf
RTF -
http://contropiani2000.org/calendario/guerre_strategia_mediatica.rtf

LINKS:
- Odradek Edizioni
http://www.odradek.it
- Rivista Giano
http://www.odradek.it/giano/
- Contro le nuove Guerre
http://www.odradek.it/edizioni/collane/fuori_linea/nuove%20guerre.htm
- Scienziate e Scienziati contro la Guerra
http://www.scienzaepace.it
- Un ponte per
http://www.unponteper.it
- Paying the price: killing the children of iraq
http://www.unponteper.it/it/baghdad/scheda_film_pilger.htm

---

IL 24 MARZO A CESENA

24 marzo 1999 - 24 marzo 2001
Guerra, Nucleare, NATO

MAI PIU'

Il 24 marzo 1999 la NATO, l¹Europa, il governo D¹Alema-Ulivo (con
l¹appoggio del
Polo), scatenarono una guerra criminale violando la costituzione, le
leggi e i trattati
internazionali, colpendo i popoli della Jugoslavia con bombe
³umanitarie², causando
distruzioni, lutti, disastri ambientali; trasformando l¹Adriatico in una
discarica chimica e
radioattiva, contaminando i Balcani per millenni.
L¹indifferenza uccide come la guerra
Non possiamo e non dobbiamo dimenticare

Sabato 24 marzo, Ore 11,00
Cesena, Piazzale Carlo Marx (zona stazione)
manifestazione nazionale e corteo

per dire
no a nuove guerre ³umanitarie²
no agli F-16 e alle atomiche in Romagna nella base di Pisignano di cui
vogliamo la
chiusura!
no alla NATO!

Il pomeriggio alle ore 14,30, presso la Sala Cinema S. Biagio (Via
Aldini)
ASSEMBLEA NAZIONALE ANTIMPERIALISTA

Comitato Promotore per l'Assemblea Antimperialista:
- Coordinamento Romagnolo contro la guerra e la Nato - Assijug (Perugia)
- Campo Antimperialista - Coll. Antinebbia
(Valdarno) - Comitato contro la guerra Sesto S. Giovanni - Comitato
contro la guerra (Milano Sud) - Comitato per la Pace
e la Solidarietà fra i Popoli - Coorinamento. cittadino antimperialista
(Torino) - Coordinamento romano per la Jugoslavia -
Red Ghost (Ravenna) - Gruppo Zastava! (Trieste) -Soccorso Popolare
(Padova) - Voce Operaia

Aggiornamento delle adesioni al 13 marzo:

Aiutiamo La Jugoslavia (Bologna) - Ass. Cult. Gente Adriatica (Trieste)
- Ass. Cult. Punto Rosso di Vicenza - Ass. Progetto
Drim (Foligno) - Avamposto degli Incompatibili (Lecce) - Azione Popolare
- Centro di Docum. Krupskaja - - Centro di
Docum. politica Albano Corneli di Camerano (AN) - C.S.A. Dordoni
(Cremona) - Centro Studi Ingegneria
Biosociale Acireale (Ct) - Centro Iniziativa Popol. (Foligno) - Circolo
Agorà (Pisa) - Circ. Culturale Iqbal Mash (Bologna) -
Circ. ARCI l¹Osservatorio di Pozzuoli (NA) - Cobas Scuola (Ravenna) -
Circ. P.R.C. Centrocitta¹ (Trieste) - Circ.
Pablo Neruda di Camerino (MC) - Coll. Squasso (Rimini) - Coll.
Autorganizzati (Rimini) - Coll. Spartakus
di Vicenza - Coll. classe contro classe (Roma) - Comit. cittadino contro
la guerra (Bologna) - Comit. contro la guerra
(Treviso) - Comit. contro le guerre di Conegliano (TV) - Comit. Sardo di
solid. internazionalista (Tula) - Comit. Umbro
Antimperialista - Comit. contro la Guerra (Novara) - Comunità degli
Jugoslavi in Umbria - Confederazione COBAS
- Convoglio internaz. Giorgiana Masi (Roma) - Coord. nazionale "Su la
testa" - C.S.O. Stella Rossa (Bassano) - C.U.B.
Scuola (Rimini) - Cunfederatzione de sos Comunistas Sardos - Democrazia
Popolare - Feder. Giovani Comunisti (Imola) -
Feder. P.R.C. (Rimini) - Feder. Giovani Comunisti (Forlì e Cesena) - -
Fondazione Luigi Cipriani (Cremona) - Gruppo
musicale "Alla Macchia" - La giustizia degli erranti (Treviso) -
Laboratorio Marxista (Versilia) - Lista Reno
(Bologna) - Movim. per la confederazione dei comunisti (Toscana) -
Movim. di Solidarietà Austria-Jugoslavia - Pellerossa di
Cesena - Punto Rosso (Jesi) - Radio Citta' Aperta (Roma) - Radio base
(Venezia) - Redazione Proletari Nati (Bologna) -
Rete OperaiaRivista - Frigidaire - Senza Censura - Tribunale Ramsey
Clark - Unione Popolare (Roma) - Un Ponte per... -
Cesare Mangianti (segretario regionale P.R.C. dell¹ Emilia-Romagna) -
Roberto Sconciaforni (segretario federaz. P.R.C.di
Bologna) - Paolo Gambuti (segretario federaz. P.R.C. di Rimini) -
Martino Albonetti (segretario federaz. P.R.C. di Ravenna)
- Kiwan Kiwan (segretario federaz. P.R.C. di Ferrara) - Lodovico Cutaia
(segretario federaz. P.R.C. di Parma)

=> Sono inoltre giunte decine di adesioni individuali da varie regioni
d¹Italia

per adesioni e informazioni vai al sito:
http://www.tuttinlotta.org
oppure scrivi a
posta@...

---

Da "Il Manifesto" del 2 Marzo 2001

Un pallone di idee per Sarajevo

A dieci anni di distanza dall'inizio della guerra nella ex
Jugoslavia, Tommasi e i calciatori di Verona lanciano una
campagna per i Balcani
MATTEO PATRONO

Che un progetto di solidarietà sportiva verso i popoli
dell'ex Jugoslavia possa partire di questi tempi da una
città come Verona, può sembrare sorprendente. Il caso
Marsiglia, i naziskin, gli exploit di Forza Nuova e il
razzismo da stadio degli ultimi mesi farebbero pensare
tutto il contrario. E invece, proprio da un clan di
veronesi con la passione per il calcio, è partita ieri una
campagna che a dieci anni di distanza dalla prima guerra
dell'ex Jugoslavia, scoppiata nel giugno del 1991 in
Slovenia, vuole dare un contributo di denaro, idee e
interventi concreti ad un territorio dove, nonostante la
pace, si continua a convivere in mezzo all'odio e alla
tensione.
L'iniziativa si chiama "Giochiamo per la pace" e ha come
obiettivo quello di realizzare in tutte le zone ferite
dalla guerra (in Bosnia Erzegovina, in Croazia, in Serbia
e in Kosovo) degli impianti sportivi di piccola-media
dimensione che possano contribuire al riallacciamento dei
legami fra le comunità interrotti dal conflitto bellico.
Fra i promotori della campagna c'è, manco a dirlo, Damiano
Tommasi, calciatore della Roma da anni impegnato nel campo
della solidarietà e del sociale. La novità è che accanto
al centrocampista di Negrar e al suo compagno di squadra
Eusebio Di Francesco, già protagonisti l'anno scorso di
un'iniziativa simile in Kosovo, ci sono questa volta anche
i giocatori del Chievo Verona (serie B) e un gruppo di
calciatori dilettanti della città scaligera: come a dire,
ecco a voi signori l'altra faccia di Verona. C'è
ovviamente anche la mano del mondo associativo (le Acli,
la Banca Etica, l'Unione sportiva Vitus Dal Colle) e
quella di un giornalista della Gazzetta dello Sport,
Valerio Piccioni, che da anni racconta sulla rosea gli
intrecci fra sport e solidarietà. Ma tutti ieri, alla
presentazione della campagna a Roma, hanno tenuto a
sottolineare che si tratta dell'iniziativa di un gruppo di
persone che, al di là di sigle, enti e cappelli più o meno
istituzionali, hanno provato a mettere insieme idee,
progetti ed esperienze per ricordare che in questi dieci
anni di sofferenza lo sport nei Balcani è sempre stato una
fonte di speranza e che, a maggior ragione oggi, deve
continuare ad essere un mezzo di crescita e di coesione.
Perché, come ha detto ad un certo punto Tommasi, "fare
sport significa conoscersi, confrontarsi e migliorare
insieme".
La campagna di "Giochiamo per la pace" vuole arrivare in
tutta l'ex e attuale Jugoslavia, senza alcuna distinzione
politica, etnica o religiosa. I referenti non saranno
uomini politici, ma organizzazioni che rappresentano la
popolazione di chi fa sport e di chi lo vorrà fare. Su
questa base sono state individuate già alcune zone dove
verrà riproposto il modello del campo sportivo di Stublla,
il centro polivalente costruito l'anno scorso dall'Ipsia
(l'organizzazione di cooperazione internazionale delle
Acli) nella piccola scuola della cittadina kosovara con i
fondi raccolti dai giocatori della Roma. Proprio nel corso
del viaggio che Tommasi e Di Francesco fecero in novembre
per andare ad inaugurare il campo, nacque l'idea di
proseguire su quella strada e andare oltre, coinvolgendo
altre persone ed allargando gli obiettivi. Così, tra poco,
il campo da gioco di Stubbla nascerà anche a Kljuc, in
Bosnia Erzegovina, a Vukovar, in Croazia, a Belgrado e
nella zona di Nis in Serbia e in alcuni villaggi delle
zone di Prizren e Viti, in Kosovo. A Sarajevo, dove lo
stadio Olimpico è oramai circondato soltanto da un
cimitero infinito e i campi di calcio sono pieni di mine,
si cercherà di attrezzare le palestre e di acquistare i
pulmini per il trasporto dei giovani sportivi portatori di
handicap, sopravvissuti alla guerra.
L'obiettivo, come si intuisce, è non solo ricostruire le
infrastrutture ma anche lavorare al fianco delle comunità
locali per avviare rapporti che durino nel tempo; dare un
segnale, a tutte le associazioni che lavorano in Italia e
nei Balcani, per individuare altri progetti realizzabili
in tempi brevi; aumentare la sensibilità della gente nei
confronti di questi popoli, anche ora che la guerra è
finita. Che tutto questo nasca per iniziativa di un gruppo
di giocatori, non tutti miliardari e disposti anche a
spendere le proprie ferie per andare a dare una mano, è un
bel segnale per il nostro calcio. "Sono piccole iniziative
che contribuiscono a far crescere un certo tipo di cultura
- ha detto alla fine Tommasi - se la gente impara ad
aiutarsi, difficilmente poi andrà allo stadio per
picchiare o insultare gli altri". Il campo da gioco è
aperto per tutti: i contributi possono essere versati sul
C.C. bancario numero 511000 presso Banca Etica - Abi 5018
Cab 12100 intestato a "Giochiamo per la pace". A Sarajevo,
per giugno, è prevista una partita di pallone per
festeggiare.

---

Questa lista e' provvisoriamente curata da componenti
dell'ex Coordinamento Nazionale "La Jugoslavia Vivra'",
oggi "Comitato Promotore dell'Assemblea Antimperialista".

I documenti distribuiti non rispecchiano necessariamente le
opinioni delle realta' che compongono questa struttura, ma
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Dear friends,
Please find here a report made by Paddy Colligan (International Action
center) about the Brussels DU Conference "Victims speak) (1st of March).
-- Michel Collon

michel.collon@...

Campaign to ban weapons
Soldiers, doctors testify on effects of DU
By Paddy Colligan
Brussels, Belgium
People from a dozen countries attending a March 1-2 conference here
grappled
with how to organize cooperatively to stop the Pentagon and NATO from
using
depleted-uranium weapons.
The Belgium-based Coalition for the Abolition of Depleted Uranium
brought
together victims of depleted uranium, anti-war activists and
researchers for
two days of working meetings and a public presentation to 500 people
at the
Free University of Brussels.
Participants agreed to continue working together to stop DU use.
Western Europe's corporate media have publicized the possibility of
danger
from DU over the last few months as alarming numbers of young,
previously
healthy NATO soldiers from European countries occupying Kosovo have
come
home from Kosovo with leukemia and other fatal health problems.
So far, there has been no publicity indicating that a similar epidemic
might
exist among U.S. Balkans veterans. European participants at the
conference
noted, however, that U.S. troops have been assigned to areas with
little DU
contamination.
Recently, demonstrators in Greece, Portugal, Italy and other European
countries have demanded that soldiers be brought back from Kosovo and
not
replaced. Greek anti-DU activists, backed by a broad working-class
movement
that almost unanimously opposed the nearby NATO war in 1999, have
brought
home about a quarter of the Greek soldiers stationed in Kosovo.
The basic effects of depleted uranium--a radioactive and toxic
substance--are known. Much still needs to be learned about how DU
works when
combined with other factors, including the age of those exposed and
the
presence of other toxins.
Instead of investigating these potential threats, the U.S./NATO
military
authorities refuse to acknowledge DU's role in the illnesses of Gulf
and
Balkans veterans. They have done everything possible to keep a lid on
the
outrage about the use of DU weapons.
They have consistently stonewalled, administering the wrong tests,
losing
records, and using all kinds of bureaucratic methods to be sure no
connection is made between these illnesses and DU.
Soldiers, doctors testify
The conference focused mainly on hearing from military victims of DU.
They
came from England, Yugoslavia, France, Belgium, Spain and other
countries.
Despite physical and psychological pain, they came to help others
understand
the horrors of DU.
Patricia Rodriguez, a young woman from Seville, Spain, recently lost
her
boyfriend, who had served in Kosovo, when he died from a rapidly
progressing
form of leukemia. She said: "I do this to let the other Spanish
soldiers
know what they are getting into. They can make their own choice--it's
their
life, but they should know."
She was astounded to learn that the U.S. military knew the effects of
DU
before using it.
Gena Mertens, a young German doctor with International Physicians
against
Nuclear War, is working on a standard operating procedure for
diagnosing
depleted-uranium exposure. Fifty ailing Balkans veterans have already
contacted her, volunteering to be part of a database of DU victims
that she
is assembling.
Developing an accurate physical examination to detect the presence and
effects of DU exposure will be a way to call the bluff of the
U.S./NATO
medical and military authorities.
Aws Albaiti, an Iraqi physician who worked in Baghdad from 1990 to
1999, has
seen many medical problems caused by DU exposure. He pointed out,
"Your
victims are adults; ours are adults and children."
Iraqi children, he said, have experienced a 12-fold increase in
leukemia and
lymphomas. The increase among adults has been five- to six-fold.
The U.S./United Nations sanctions against Iraq have prevented that
country
from importing medicine and food that could have saved lives and
alleviated
pain.
Albaiti questioned the timing of the interest in DU. "Iraqis have been
suffering since 1991," he said. "We said it was used in the war. Now
you
hear about DU. ... All Iraqi people are asking if this is a form of
discrimination."
A doctor and a victim of DU who were invited from Iraq were denied
visas by
the Belgian government. Dr. Albaiti was already in Europe receiving
training.
Dr. Dragutin Ilic reported on cancer statistics in the hospital in
Sarajevo,
Bosnia, where he works. In 1995-2000, the the number of cancer cases,
particularly leukemia and lymphoma, treated in this hospital increased
many
times over.
U.S./NATO planes that attacked Bosnia in 1995 used DU shells.
A Serbian researcher said there is a public health disaster in Kosovo
waiting to happen. DU was first used there two years ago. The people
in the
NATO-occupied territory have been told nothing about the contamination
of
the water and ground.
In contaminated areas of Serbia outside of Kosovo, the Yugoslav
government
educated the population about DU's hazards and is taking precautions.
A representative from the U.S.-based International Action Center said
there
is no contradiction between defending the rights of the civilian
victims of
DU and defending the rights of the rank-and-file soldiers who are also
victims. These soldiers are the sons and daughters of the working
class and
should not become cannon fodder in imperialist wars.
Other speakers pointed out that the United States used DU weapons
during
wars in Bosnia, Kosovo and Serbia, and in test bombings of Vieques in
Puerto
Rico, south Korea and Okinawa.
DU weapons are now produced in several countries and are used by many
armies. Their manufacture and export is very profitable to U.S.
corporations.
The organizations present agreed that there should be a total ban on
depleted uranium weapons. They also demanded that NATO and the United
States
pay for the cleanup of DU and for the medical needs of the military
victims
and the people still living in the countries left with this
environmental
and medical time bomb.
Participants agreed to use the Internet to share the latest medical
and
scientific findings, research on the arms industry, and leaflets and
pamphlets to explain DU in lay terms for more effective organizing
around
this issue. They also decided to organize missions of investigation
and
solidarity with soldiers, celebrities, doctors and professionals next
September, and to meet again in Brussels in December.
The writer represented the
International Action Center
at the Brussels DU conference.
- END -
(Copyright Workers World Service: Everyone is permitted to copy and
distribute verbatim copies of this document, but changing it is not
allowed.
For more information contact Workers World, 55 W. 17 St., NY, NY
10011; via
e-mail: ww@w... For subscription info send message to:
info@w... Web: http://www.workers.org)

---

URANIO IMPOVERITO: DICHIARAZIONE DI EMMA BONINO

Roma, 7 marzo 2001. "Ora che anche gli scienziati cui si è appellata
l' Unione europea sono giunti alla conclusione (come già molti americani
ed alcuni autorevoli ma isolati colleghi italiani) che l'uranio
impoverito "non ha effetti rilevabili sulla salute umana" a livelli
limitati di esposizione (quali quelli registrati durante le operazioni
della Nato in Kossovo) dove sono finiti tutti coloro - politici,
giornalisti e presunti esperti di varia natura - che intorno alla
questione uranio impoverito misero in scena una irresponsabile
sceneggiata che confuse l'opinione pubblica e rischiò persino di
inquinare i rapporti fra l'Italia e la Nato e quelli fra l'Unione
europea e le nuove autorità di Belgrado?
Altrettanto interessante sarebbe sapere se, e a quali conclusioni sono
giunti gli scienziati italiani della cosiddetta "Commissione Mandelli",
cui
il governo ha affidato il compito di chiarire i termini della
questione".

---

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Di seguito le prese di posizione di M. Zucchetti (Comitato Scienziate/i
contro la guerra) e Giorgio Cortellessa (Tribunale Clark)


---

Torino 14.3.2001

Sono stati resi pubblici recentemente due rapporti di organismi
internazionali, riguardanti il problema della pericolosità dell’Uranio
depleto (DU) usato per scopi militari nei Balcani.
Il primo è un rapporto dell’Unione Europea (Opinion of the group of
experts established according to Article 31 of the EURATOM Treaty -
Depleted Uranium), reperibile al sito:
http://europa.eu.int/comm/environment/radprot/opinion.pdf.
Il secondo è il Rapporto dell’Unep (Depleted Uranium in Kosovo -
Post-Conflict Environmental Assessment), reperibile al sito:
http://balkans.unep.ch/du/reports/report.html.
Ad una prima lettura dei documenti, emergono i seguenti punti critici,
che spiegano
ampiamente le conclusioni rassicuranti alle quali i due documenti
giungono.

RAPPORTO UNIONE EUROPEA
In esso, che non considera tra l’altro la questione della pericolosità
chimica, si arriva ad
escludere qualunque pericolosità radiologica del DU. Si afferma che,
considerando tutte le
possibili realistiche vie di esposizione, il DU non può arrivare a
causare detrimento sanitario
(cioè malattie o morte).
Cercando la ragione di queste conclusioni, davvero peculiari per un
materiale radioattivo, si
evince che:
- Il rapporto considera che il DU nelle munizioni non prenda
praticamente fuoco, se non
in piccolissima parte e quindi non vada praticamente in aerosol.
Escludendo o minimizzando
così la via di esposizione preponderante (inalazione), è facile giungere
a queste conclusioni. In
realtà, questa assunzione non è per nulla giustificata e realistica.
- Il rapporto afferma che dosi fino a 100 mSv (circa 50 volte il
fondo naturale) non
provocherebbero rilevante aumento nella popolazione degli effetti
sanitari dovuti alle
radiazioni ionizzanti. Questa affermazione si commenta da sola:
ricordiamo come i limiti di
legge in Italia parlino di 1 mSv come dose massima per la popolazione
(cento volte di meno
del valore che il rapporto afferma essere irrilevante). Se l’intera
popolazione italiana fosse
esposta a questa dose “irrilevante”, ne risulterebbero 300.000 nuovi
casi di tumore all’anno,
una cifra evidentemente ritenuta trascurabile dagli esperti
dell’Euratom.

RAPPORTO UNEP
Il rapporto dei tecnici dell’Unep contiene molti dati e rilevazioni
interessanti e pregevoli.
Tuttavia:
- Le misurazioni sono state fatte a distanza di anni dai
bombardamenti. Il sottoscritto ha
già ampiamente spiegato in altre sedi [1] come sia improbabile, a
distanza di anni, rilevare
l’inquinamento da DU con le usuali misure di contaminazione ambientale.
Occorre ricorrere a
bioindicatori/bioaccumulatori, nei quali si può ancora rilevare il DU
anche dopo parecchio
tempo dai bombardamenti.
- Il rapporto afferma infatti di non aver trovato concentrazioni
ambientali rilevanti di DU
e questo appunto non stupisce. Tuttavia, contraddice le sue stesse
conclusioni (il DU in seguito
ad un bombardamento non si sparge nell’atmosfera se non entro un piccolo
raggio
dall’esplosione, ergo l’esposizione della popolazione nel suo insieme
risulta trascurabile),
leggendo quanto scritto nell’Appendice VI del Rapporto stesso.
- In essa vengono riportati i dati sui rilevamenti di DU in certi
bioindicatori (licheni e
muschi). Si legge [2] che in tutti i casi in cui si è ricorso a questa
misura si è trovato rilevante
traccia di DU, segno che esso si era polverizzato e sparso
nell’atmosfera. Questo, anche in
concomitanza con rilevazioni nulle di contaminazione del suolo. Si
raccomanda nel Rapporto
l’uso di questi bioindicatori in future rilevazioni.
- Questa appare perciò una implicita affermazione di non aver
utilizzato le tecniche più
adeguate per la rilevazione del DU. Risultano perciò opinabili ed
inficiate tutte le affermazioni
del rapporto sulla pericolosità del DU.
- Inoltre, solo in 11 siti sugli oltre 200 indicati sono state
effettuate misurazioni. Date le
caratteristiche “a spot” dell’inquinamento da DU, questo compromette la
completezza ed
esaustività dell’indagine.
- Ci si chiede infine perchè non siano state prese in
considerazione le misure degli
scienziati jugoslavi fatte al tempo giusto (subito dopo i
bombardamenti), e che avevano
rilevato concentrazioni di DU anche ordini di grandezza oltre il normale
[1]

I pochi esempi qui citati, frutto di una prima lettura dei rapporti,
permettono di
concludere come siano del tutto azzardate ed ingiustificate le sentenze
assolutorie
sulla pericolosità dell’uranio impoverito.
Per quanto riguarda l’imminente probabile ulteriore sentenza assolutoria
che verrà emessa
dalla Commissione Governativa (presieduta dal prof. Mandelli), il
sottoscritto si riserva di
commentarla quando sarà disponibile il rapporto, e non le indiscrezioni
pubblicate in questi
giorni. Tuttavia, concorda pienamente con le dichiarazioni del dott.
Giorgio Cortellessa
(ANSA, 13.3.2001, h.18:21) della Contro-Commissione del Tribunale Clark.

(Prof.Ing. Massimo Zucchetti)
Comitato “Scienziate e Scienziati contro la guerra”
Email: zucchetti@...

[1] M.Cristaldi, A.Di Fazio, C.Pona, A.Tarozzi, M.Zucchetti “Uranio
impoverito (DU). Il suo
uso nei Balcani, le sue conseguenze sul territorio e la popolazione”,
Giano, n.36 (sett-dic.
2000), pp. 11-31.
[2] "The presence of DU in these samples (Lichens, nota di M.Zucchetti)
indicates the earlier
presence of DU in the air, which means that at least some of the
penetrators have hit hard
targets and shattered into dust and dispersed in air. In fact, in some
locations such as Vranovac
Hill, Bandera/Podzhar and Belebrod there was no measurable widespread
ground
contamination. This underlines the possibility of using in the future
lichens and barks as
sensitive bio-indicators in areas in which DU ammunition has been used."

***************************

TRIBUNALE RAMSEY CLARK
sezione italiana del tribunale indipendente
contro i crimini della NATO.
tel.0338/7963539 - fax 068174010
e-mail: tribunaleclark@...

Dichiarazione del portavoce della Commissione scientifica del Tribunale
Clark, riportata
dall'ansa oggi pomeriggio.
Riportiamo il lancio dell'ANSA sulla dichiarazione del Prof.
Cortellessa, nei prossimi giorni
vi informeremo sulla documentazione completa elaborata dalla nostra
Commissione.
Stefano de Angelis
Tribunale Clark in Italia

URANIO: CONTRO-COMMISSIONE, E' STATO CAUSA DI MOLTE LEUCEMIE

(ANSA) - ROMA, 13 MAR - ''Dagli elementi a nostra disposizione emerge un
evidentissimo
eccesso di leucemie: e' un dato enormemente al di fuori di qualsiasi
possibile situazione
statistica. E la causa e' l'uranio''. Lo ha affermato il fisco nucleare
Giorgio Cortellessa, che fa
parte della cosiddetta ''contro-commissione'' sugli effetti dell'uranio
impoverito nei reduci dai
Balcani.
Cortellessa e' uno degli esperti incaricati dalla sezione italiana del
Tribunale Clark - il
movimento per i diritti civili che prende il nome
dall'ex ministro Usa della Giustizia, Ramsey Clark - e dal comitato
''Scienzati e scienziate
contro la guerra'', di condurre un'indagine sulla
''sindrome dei Balcani'' alternativa a quella della commissione
istituita dal ministro della
Difesa e presieduta dal prof. Mandelli.
Quest'ultimo organismo - secondo indiscrezioni di questi giorni -
avrebbe escluso un nesso di
causalita' tra le patologie che hanno interessato alcune decine di
militari italiani impegnati in
Bosnia e in Kosovo e l'uranio impoverito contenuto nei proiettili;
avrebbe inoltre accertato che
le malattie tumorali sono perfino al di sotto della media nazionale
attesa, tranne che per un
linfoma.
Per la contro-commissione non governativa, invece - che ha esaminato
diversi casi, in base a
segnalazioni autonome rispetto a quelle giunte alla commissione Mandelli
- il nesso tra uranio
e le patologie tumorali sarebbe ''scontato''. ''E' fuori discussione -
afferma Cortellessa - che
l'uranio sia la causa, ma non e' detto che non si sommino altre cause.
Di sicuro, comunque,
l'uranio e' il principlae responsabile di quanto avvenuto, non solo ai
danni dei militari, ma
anche della popolazione civile''.
Il professor Cortellessa, poi, sottolinea che anche il recente rapporto
degli esperti dell'Unione
Europea, ''lungi dall'escludere un collegamento
tra uranio e malattie, come si e' voluto far credere, fornisce invece
dei dati estremamente
importanti, ad esempio sulla sua permanenza a lungo termine nel corpo
umano e sui possibili
effetti nocivi''.
Riguardo, infine, ai risultati del lavoro della Commissione Mandelli -
che dovrebbero essere
ufficializzati nei prossimi giorni - Cortellessa afferma che ''ci sara'
da da ridere se qualcuno,
di fronte ad un picco di una certa malattia, affermasse che non e'
l'uranio la causa, senza pero'
dire quale sia questa causa. Si tratta di un'affermazione ridicola,
buona forse per dei politici,
ma non adatta ad un ragionamento scientifico. Infatti, se non ho
elementi per dire che cosa
provoca una certa patologia, a rigore non posso escludere nulla.
Comunque - conclude il
fisico - questa non e' una vicenda che si concludera' in tempi brevi:
sono convinto che con gli
esperti della Commissione Mandelli ci scontreremo nei dettagli per un
lungo periodo''.
(ANSA). SV 13-MAR-01 18:21 NNNN
13/03/2001 19:16

---

Peccato che la Bonino si sia dimenticata di citare i "molti scienziati
americani e molti autorevoli e non isolati colleghi italiani" che non
pensano che l'uranio 238 (completo di plutonio, uranio 236 e altre
schifezze che gli americani non sapevano dove buttare) "non ha effetti
rilevabili sulla salute umana" e che hanno dimostrato il contrario.
Quanto ai "livelli limitati di esposizione" se può essere vero per i
militari non lo è di certo per i civili (a meno che si voglia
considerare 4,5 mld di anni un tempo limitato). Ciò dimostra l'ipocrisia
con la quale i radicali hanno difeso il popolo kosovaro (cioè i
terroristi dell'UCK): adesso che il Kosovo è una colonia NATO
monoetnica, covo di prostitute e scalo privilegiato del traffico di
droga, di uomini e del contrabbando non gliene frega più un cazzo se la
gente muore di cancro.
La cara Emma si è anche dimenticata di citare gli altri paesi
beneficiati dalle armi all'uranio: Bosnia, Somalia, Iraq nonché tutti i
paesi sedi di basi militari oggetto di esercitazioni (tra cui l'Italia).
Quanto all'inquinamento dei rapporti con la NATO mi viene da ridere
pensando al finto tentativo dell'Italia di chiedere la moratoria delle
armi
all'uranio e all'ennesimo calcio in culo preso, che dimostra il ruolo
subalterno del nostro paese se ce ne fosse bisogno.
E che la mitica "Commissione Mandelli" ci illumini...

Pino

---

URANIO IMPOVERITO: DICHIARAZIONE DI EMMA BONINO

Roma, 7 marzo 2001. "Ora che anche gli scienziati cui si è appellata
l' Unione europea sono giunti alla conclusione (come già molti americani
ed alcuni autorevoli ma isolati colleghi italiani) che l'uranio
impoverito "non ha effetti rilevabili sulla salute umana" a livelli
limitati di esposizione (quali quelli registrati durante le operazioni
della Nato in Kossovo) dove sono finiti tutti coloro - politici,
giornalisti e presunti esperti di varia natura - che intorno alla
questione uranio impoverito misero in scena una irresponsabile
sceneggiata che confuse l'opinione pubblica e rischiò persino di
inquinare i rapporti fra l'Italia e la Nato e quelli fra l'Unione
europea e le nuove autorità di Belgrado?
Altrettanto interessante sarebbe sapere se, e a quali conclusioni sono
giunti gli scienziati italiani della cosiddetta "Commissione
Mandelli", cui il governo ha affidato il compito di chiarire i termini
della
questione".

---

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CON LA DEMOCRAZIA, FINALMENTE LA MONARCHIA
E' ALL'ORDINE DEL GIORNO IN SERBIA


"Bisogna prima rafforzare la democrazia, dopodiche' la questione della
monarchia puo' essere affrontata, in quanto e' anche essa una questione
democratica"
(Zoran Zivkovic, Ministro dell'Interno del nuovo governo federale
jugoslavo, instaurato in seguito all'assalto contro il Parlamento con il
sostegno esterno delle portaerei americane e di certa "sinistra"
italiana)


KARADJORDJEVIC ROYAL FAMILY RECEIVES YUGOSLAV CITIZENSHIP PAPERS
LONDON, March 12 (Tanjug) Yugoslav Interior Minister Zoran
Zivkovic presented citizenship papers to Prince Alexander Karadjordjevic

and his family in London on Monday.
The Karadjordjevic royal family was stripped of its Yugoslav
citizenship in 1945 by the communist government of the then Yugoslavia,
whose president was Josip Broz Tito.
The ceremony of presenting the papers was performed at London's

Claridges Hotel, in apartment 212 where Prince Alexander was born on
July
17, 1945.
The apartment, the home of the prince's father King Peter II,
the
last Yugoslav king, was on that day declared by the British government
as
temporary Yugoslav territory.
Yugoslav citizenship was restored to Prince Alexander, his wife

Princess Catherine and three sons Peter, 21, and twins Philip and
Alexander, 19.
The children were born in a previous marriage with Brazilian
Princess Maria da Gloria of Orlean.
Asked by journalists whether a monarchy would be revived in
Belgrade, Zivkovic, said that Yugoslavia has many problems which should
be
gradually resolved. He said that it is first necessary to
strengthen
democracy, after which the issue of the monarchy would be dealt with
since
it is also
a democratic issue.

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SE LO DICONO LORO


<<...La guerra delle informazioni, e' l'ultima e piu' sottile evoluzione
degli scontri umani e la figura dello stratega mediatico e' il nuovo
combattente (...) La guerra "televisiva" ha segnato la fine della
frattura tra "civile" e "militare", per cui il pubblico partecipa alla
guerra (...) La televisione e' la vera creatrice dello stratega
mediatico. Non puo' esistere stratega mediatico, infatti, senza
televisione e senza le tecnologie visive connesse con l'informatica
(...) Lo stratega mediatico deve diventare un costruttore di realta', e
al tempo stesso un grande manipolatore della medesima (...) Si tratta di
un elaboratore di piani comunicativi destinati a ridurre o attenuare
l'impatto delle "storie" meno favorevoli messe in evidenza dai mezzi di
comunicazione di massa (...) E' su questo sfondo che nasce la figura
dello stratega mediatico, cioe' quell'ufficiale (...) al quale e'
affidato il compito, operando a stretto contatto con i vertici
politico-militari di uno Stato, di dare una veste comunicativa credibile
e soprattutto accettabile dal grande pubblico a quanto il potere statale
realizza in campo militare...>>

Tratto dall'articolo a firma M.S.F. intitolato "L'arma mediatica",
apparso su "Rivista Italiana Difesa" (mensile vicino alle FFAA) n.11,
novembre 1999; citato su:
http://www.intermarx.com/piccin/piccin.html

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Siete pronti a regalare un'adozione di un animale in via
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-------- Original Message --------
Oggetto: URGENT: JOIN THE APPEAL TO STOP THE WITCH HUNT AGAINST SLOBODAN
MILOSEVIC AND FORMER YUGOSLAV LEADERS!
Data: Mon, 12 Mar 2001 00:17:12 -0500
Da: "Jim Yarker" <jyarker@...>

Dear friends in the anti-war movement,

We hope that the appeal below can serve as a gathering place for the
names of all those who oppose the ICTY’s campaign to impose its phony
kangaroo “justice” on Mr. Milosevic and on other former Yugoslav/Serbian
leaders and officials, and to register their protest at the collusion of
elements in the DOS régime with NATO and the Hague Tribunal. Supporters
of the appeal can have their names added to it by replying to this email
address: action@... and providing their name as well as
town, state and country of residence.

The appeal can be found on the web, with regularly updated lists of
signatories, at: http://www.srpska-mreza.com/action/appeal.htm

We are asking you to add your names and any affiliations you’d care to
list. Please feel free to circulate the appeal or its web link on any
lists you think appropriate, and to link to it from your own website if
you operate one.

In solidarity,

Barry Lituchy, New York City, USA

Jim Yarker, Toronto, Canada

URGENT ACTION: PLEASE ADD YOUR NAME TO THIS INTERNATIONAL APPEAL TO STOP
THE WITCH HUNT AGAINST SLOBODAN MILOSEVIC

MARCH 10, 2001

We, the undersigned, wish to register our disgust with and opposition to
the planned trial of former Yugoslav President Slobodan Milosevic by the
current Serbian authorities at the request of the United States and its
NATO partners.

While NATO's criminal aggression against the people of Yugoslavia goes
unpunished, and reparations go unpaid, we are witnessing the repulsive
spectacle of DOS ministers and officials (the new regime in Belgrade)
serving as judicial handmaidens to NATO's criminal leaders and their
illegal puppet court, the International Criminal Tribunal for the Former
Yugoslavia (ICTY) at The Hague.

We charge the ICTY and the American government with falsifying war
crimes charges against President Milosevic solely for the purpose of
manipulating public opinion against "the Serbs," justifying NATO's
barbaric 78-day campaign of terror against Yugoslavia in 1999, and to
deflect attention from the bombing's horrific consequences. Meanwhile,
the ICTY has exonerated its NATO sponsors of responsibility for a host
of well-documented war crimes and crimes against humanity, including the
deliberate bombardment of vital civilian infrastructure, conspiracy to
initiate a war of aggression, the lethal targeting of journalists, the
use of anti-personnel weapons such as cluster bombs in areas of high
civilian concentration, and bombing with the intent and effect of
unleashing environmental catastrophe.

Having cleared her NATO paymasters of criminal responsibility for their
deliberate bombing of Radio Television Serbia (RTS) in Belgrade, which
killed 16 journalists and support staff, ICTY Chief Prosecutor Carla Del
Ponte now asserts that Mr. Milosevic and the RTS director, Dragoljub
Milanovic, were culpable in these victims' deaths because they had been
"notified in advance" that the facility would be bombed! Despite Del
Ponte's promises, no evidence to support these charges has been made
public. Mr. Milanovic has been ordered detained by a Belgrade judge, a
clear effort by the DOS forces to dignify Del Ponte's outrageous claim.

While some DOS spokesmen refer openly to the need to cooperate fully
with the ICTY, others affect a different-sounding stance, calling for
prosecuting Mr. Milosevic in a "Serbian trial," on charges of
"corruption," and "war crimes." But their call for a domestic trial of
Milosevic is nothing but "patriotic" fakery: a pathetic trick aimed at
concealing their own craven duplicity in carrying out the orders of
their foreign masters. As the experience in Russia and the rest of
Eastern Europe has shown, bowing to Western pressure will never improve
living standards; and imposing political repression will only leave deep
and long lasting scars on the national psyche.

Let it be known that we categorically reject the case against President
Milosevic:

* Milosevic the so-called "ethnic cleanser" preached multinational
unity, not nationalist intolerance. His famous 1989 speech that
supposedly called for Serbs to shed Albanian blood actually said:
"Yugoslavia is a multinational community and it can survive only under
conditions of full equality for all nations that live in it." The effort
to prosecute Milosevic is an attack on all who support multinational
unity.

* Milosevic conducted no persecution of Albanian civilians: he did not
drive Albanians from Kosovo, except to clear civilians out of a zone of
combat and bombing. Albanians who fled Kosovo fled NATO bombs and ground
combat between KLA rebels and Yugoslav federal troops. Some 100,000
Yugoslav Albanians lived peacefully in the Serbian capital of Belgrade
throughout the war, suffering no ethnic persecution.

* The most notorious "atrocities" for which Milosevic is accused never
happened: the 40 Albanians found dead in Racak were never "executed" but
in fact were KLA troops killed in action in a variety of encounters,
then laid out together in a ditch for the cameras. The 1500 bodies
supposedly buried in the Trepca mines were never found. NATO specialists
sent in to find proof of mass extermination of 100,000 Albanians in fact
found only 2,800 bodies. And most of those were neither Albanian
civilians nor even Albanians, but rather Serbs, Romas, Egyptians,
Goranis and other victims of KLA atrocities.

* There is no evidence whatsoever for the most preposterous and recent
charges: that Milosevic knew in advance of the bombing of the RTS
television station in Belgrade but let 16 people die to create outrage
against NATO, or that thousands of Albanians were stuffed into meat
grinders and disposed of in mineral mine-shafts in Mitrovica, etc.

A trial of Milosevic on these false and outrageous charges would be
nothing but a travesty of justice, a contemporary "show-trial." Those
Western leaders who pursue it put the lie to the claims that the United
Nations is a defender of the sovereignty of nations, or that NATO is a
defender of freedom. This witch hunt also exposes the leaders of the
present government in Yugoslavia as traitors to their own people who
dishonor the Serbian nation and its great history of resisting foreign
invaders, including most notably the Nazis in World War II when the
Serbs stood alone against the Nazi onslaught.

Crimes were committed in Yugoslavia - but not by Milosevic. They were
committed by American and NATO leaders who authorized a low-grade
nuclear war that specifically targeted civilians and left huge portions
of the country contaminated for the next 4.5 billion years with
radioactivity from depleted uranium armaments.

Crimes were committed by the American leaders who casually ignored their
own constitution's requirement that wars be formally declared by
Congress and then violated the UN Charter and numerous international
conventions.

A crime will be committed if the twice-elected President of Serbia is
kidnapped from his own country and made to stand "trial" in an
artificially created, American-made "court" that goes under the
fancy-sounding name of an international tribunal.

And a crime will be committed if the obedient, made in the USA
government in Yugoslavia endangers the safety of President Milosevic in
any way that might allow gangsters or bounty-hunters to cash in on the
$5 million bounty posted by the US for delivering him into captivity.

Slobodan Milosevic's real offense was that he tried to keep the 26
nationalities that comprise Yugoslavia free from US and NATO
colonization and occupation; his nation's resources, industries, and
media from being stolen by multinational corporations; his nation's
institutions from being controlled by US consultants and advisers. His
real offense was to defend his nation's freedom and sovereignty from a
political "opposition" bought and paid for by the United States and
installed into power by US specialists in psychological operations. He
and all those now under attack resisted Western colonization to the very
end, even as American naval ships waited off the coast of Yugoslavia to
ensure the "correct" results in Yugoslavia's contested elections.

Shame on those DOS leaders who consort and conspire with NATO
politicians while seeking to assign the blame for NATO's crimes on the
very patriotic and progressive figures who did the most to fight NATO's
neo-colonial aggression! In doing so, the DOS dishonors itself and
desecrates the memory of those who lost their lives to NATO war crimes.

DROP ALL CHARGES AGAINST DRAGOLJUB MILANOVIC!
STOP THE POLITICAL WITCH-HUNT AGAINST PRESIDENT MILOSEVIC
AND ALL FORMER YUGOSLAV LEADERS NOW!
BRING THE NATO-KFOR WAR CRIMINALS TO JUSTICE!

Barry Lituchy, New York City, USA
Jim Yarker, Toronto, Canada
Ritta L Ronkko, NYC, USA
Dusan D Chukurov, NJ, USA
TIKA JANKOVIC, San Jose, California, USA
Milo Yelesiyevich, New York, NY, USA
Edward W. Miller, MD, San Rafael, CA , USA
Bob Mc Cafferty, Andover, NJ, USA
Margaret Watson, Toronto, Canada
Rade Savija, South Milwaukee, Wisconsin, USA
Barbara Gruber, Brighton, MA, USA
Mary Paich, Pittsburgh, PA, USA
MIROSLAV ANTIC, PETERBOROUGH, ONTARIO, CANADA

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* Iniziativa a Torino
* Un libro utile sulla disinformazione
* L'ERNESTO

---

TORINO 14 MARZO

Mercoledi' 14 marzo, ore 21:00
Libreria dei Ciompi, Via Cenischia 38, Torino
Presentazione del libro:
"Contro le nuove guerre", edizioni Odradek.

La presentazione sara' preceduta dalla proiezione del video:
"SOS Zastava. Dalla solidarietà umana alla solidarietà di classe"

Interverranno alcuni membri del Comitato Scienziate e Scienziati contro
la
guerra, fra cui:
- Rino Lamonaca (autore del video)
- Massimo Zucchetti (curatore del libro), che presentera' anche un
documento di alcuni membri del Comitato sul tema dell'uranio impoverito,

recentemente pubblicato dalla rivista "Giano".

Per informazioni:
Massimo (0339.4477521)

Intervenite numerosi, fate girare l'informazione, grazie!
Massimo Zucchetti

----- Original Message -----
From: Michel Collon
Sent: Monday, March 12, 2001 10:18 AMSubject: Un livre utile sur la
désinformation
Chers amis,
Je vous prie de trouver ci-dessous la préface que je viens d'écrire pour
l'édition espagnole de l'excellent livre d'Anne Morelli: "Principes de
la propagande de guerre", publié en Belgique chez Labor. Je me permets
de vous recommander la lecture de ce livre, particulièrement instructive
en ces temps de désinformation renouvelée sur la Macédoine et sur
l'affaire de l'uranium.
-- Michel Collon
michel.collon@...


L'historienne insolente

VARIANTE: Qui a peur d'Anne Morelli?
MICHEL COLLON
Comment? Nous tombons dans les mêmes pièges propagandesques que nos
arrières grand-pères à propos de la guerre 14-18? Nous nous faisons
avoir par des récits et des images d'atrocités grossièrement manipulés?
Et nous fonçons, nous aussi, tête baissée, dans le panneau de nobles
guerres humanitaires sans voir leurs dessous sordides? En oubliant cet
avertissement de l'écrivain Anatole France, au début du XXème siècle:
"On croit mourir pour la patrie, on meurt pour des industriels." (N.B.
Remplacer "la patrie" par "la démocratie", "la paix" ou "les droits de
l'homme" selon les circonstances)
Anne Morelli est une historienne belge de grand renom, très admirée
par beaucoup et crainte par d'autres. Une femme "dangereuse".
Pensez-vous! Cette historienne refuse de rester enfermée dans les
bibliothèques poussiéreuses et les cercles académiques naphtalinés! Elle
prétend aussi nous en apprendre sur notre vie d'aujourd'hui!
Par exemple, elle débarque entre nous et notre incontournable journal
télévisé, venant nous dire nos quatre vérités avec insolence: "Vous
là-bas, oui vous, mes contemporains, qui vous croyez supérieurs aux
générations précédentes, et qui vous estimez vaccinés contre cette
propagande de guerre simpliste et grossière qui a piégé nos parents,
grand-parents, arrière-parents, en êtes-vous bien sûrs? Vous feriez
mieux d'examiner de plus près ce que viennent de vous dire vos médias et
que vous avez peut-être avalé tout cru. Non, pas il y a cinquante ou
cent ans! Hier encore, pendant la guerre contre l'Irak et celle contre
la Yougoslavie." Des parallèles décapants.
Qui doit avoir peur d'Anne Morelli? Pas le public, en tout cas. Ce
livre savoureux lui offre un cadeau royal: les moyens de repérer les
médiamensonges.
Qui doit avoir peur d'Anne Morelli? Les médias, bien sûr, du moins ceux
qui s'alignent complaisamment sur les pouvoirs. L'historienne insolente
et dérangeante en épingle quelques uns, belges ou français. Mais en ces
temps de pensée unique mondialisée, il vous sera aisé de remplacer
quelques noms et de reconnaître les vôtres.

Voilà bien une démarche fondamentale: appliquer aux médias d'aujourd'hui
les exigences scientifiques des historiens. Il y a bien des années, un
cours de "critique historique" m'avait émerveillé, lors de mes études
dans une faculté de lettres bruxelloise par ailleurs fort
traditionnelle…
L'air de rien, un petit prof ne payant pas de mine nous expliquait à
quelles conditions on pouvait faire confiance à un document ou un
témoignage historique et comment repérer les faux ou les douteux. Ainsi,
ce n'est pas parce que cent sources répètent la même “information” que
celle-ci peut être tenue pour vraie. Si, par exemple, toutes sont des
sources “indirectes”, s'appuyant en réalité sur une source unique, et si
en outre, celle-ci s'avère peu fiable parce qu'elle a déjà été prise en
délit de non-vérité ou parce qu'elle a un intérêt dans l'affaire en
question, alors ces cent sources n'en valent pas plus qu'une. Ou zéro.
Des années plus tard, ce cours m'est revenu en mémoire et m'a bien aidé
pour tester l'information sur la guerre du Golfe dans mon livre
Attention, médias!
Bien sûr qu'il faut appliquer ce principe scientifique de la critique
historique aux médias! De quel droit l'info d'aujourd'hui ne serait-elle
pas soumise aux mêmes exigences que les documents historiques d'hier? Et
puisqu'on vérifie bien la qualité sanitaire des produits alimentaires,
par exemple, pourquoi ne pas tester aussi l'info? Il serait d'utilité
publique que les gens s'organisent pour tester leurs médias sur pièces
concrètes.
Anne Morelli nous y aide beaucoup. Elle fait partie de ces véritable
historiens, utiles, qui se servent du passé pour éclairer le présent. Et
l'avenir aussi. Car c'est bien la question la plus importante: demain,
nous ferons-nous piéger à nouveau? Ou bien résisterons-nous, organisant
la contre-information active et appliquant le principe “Nous sommes tous
des journalistes”? N'avons-nous pas le devoir de traquer ces
médiamensonges qui tuent, car ils font accepter à l'opinion des guerres
injustes et nullement “propres”?

Et puis, dans ce livre, il n'y a pas qu'une femme, il y a également un
homme. Un certain lord Ponsonby, pour qui Anne éprouve une faiblesse
compréhensible et à qui elle a bien raison de dire merci.
Un étonnant aristocrate anglais qui démasque sa propre classe
dirigeante, un diplomate qui crache dans la soupe, nous livrant les
secrets de la tromperie. Pas étonnant qu'on ne vous ait pas parlé de lui
à l'école. Il aurait fallu réécrire une bonne partie des manuels
d'histoire contemporaine. Bref, un homme dangereux, lui aussi.
Malheureusement, si vous aviez cru que cette préface allait, comme bien
d'autres, résumer le livre et vous en épargner la lecture, c'est raté.
Pour découvrir l'étonnante histoire de l'aristocrate traître et de
l'historienne insolente, il vous faudra lire le bouquin lui-même. Et je
ne vous plains pas, car il est jouissif à souhait.

Michel Collon

---

L'ERNESTO

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La vigilia della guerra

Come gli Usa hanno operato, attraverso la Cia, per trascinare l'Italia
nell'agressione contro la Jugoslavia

di Domenico Gallo

La sera del 24 marzo 1999, quando si sono levati in volo i
bombardieri della Nato e sono partiti i primi missili Cruise dalle navi

militari americane schierate nell’Adriatico, si è consumato un evento
che ha segnato una drammatica rottura dell’ordine internazionale, come
delineato dalla Carta delle Nazioni Unite. Un gruppo di potenze, unite
sotto la “leadership” degli Stati Uniti, attraverso una avventura
bellica,
ha aperto una nuova avventura nelle relazioni internazionali,
rivendicando, manu militari, il “diritto” della cosiddetta ingerenza
umanitaria. In realtà il diritto di regolare unilateralmente le
situazioni
di crisi internazionale attraverso la coercizione fondata sulla
geometrica potenza delle armi occidentali.
Quando il pomeriggio del 24 marzo il Parlamento italiano è stato
informato dal Governo che l’azione della Nato era iniziata, i
bombardieri erano già in volo, la macchina da guerra si era messa in
moto secondo un progetto predisposto e reso operativo da tempo, e la
politica non avrebbe potuto fare niente per arrestarla: ormai si era
consumato un evento (anche politicamente) irreversibile.
In quel frangente, nessuna forza di maggioranza o di opposizione
contraria alla guerra, nessun sindacato, nessuna mobilitazione
popolare, nessuno sciopero generale (che non c’è stato), avrebbe
potuto fermare i bombardieri in volo ed impedire che oltrepassassero
quella soglia, destinata a produrre quegli eventi disastrosi per il
Kosovo e la Serbia che si sono sviluppati come vicende ineluttabili.
Se il 24 marzo la macchina bellica della Nato non poteva più essere
arrestata dalla politica, allora v’è da chiedersi quando è maturata
questa irreparabilità, quando e da chi sono stati fatti i passi, sono
state
compiute le scelte politiche che hanno reso, prima, il ricorso alla
guerra possibile e, poi, ineluttabile?
Sebbene, a quella data, ormai irreversibile, l’evento della guerra è
stato frutto di un processo politico il cui esito, per niente scontato,
è
stato costruito tenacemente, dai soggetti interessati, giorno per
giorno,
manovrando diversi tasselli sullo scacchiere internazionale, compreso
quello della crisi di governo in Italia e del rimpasto del governo in
Germania con l’allontanamento di La Fontaine.
Se tutti noi conosciamo la data di inizio della guerra e possiamo
collocarla in uno spazio temporale e in una dimensione politica,
altrettanto non può dirsi per la vigilia della guerra.
Crista Wolf in Cassandra ricostruisce il passaggio della società di
Troia da uno stato di pace ad uno stato di guerra ed il conseguente
degrado delle istituzioni, della politica, del linguaggio di fronte
all’avanzata dell’immagine del nemico e si pone appassionatamente
questa domanda: quando è iniziata la vigilia della guerra?
Parafrasando Crista Wolf vogliamo chiederci anche noi: quando è
iniziata la vigilia della guerra del Kosovo? Dove, e quando, e da chi,
sono state fatte le scelte politiche che hanno spianato la strada alle
armi e che hanno fatto fallire ogni tentativo di soluzione politica del

conflitto, a cui tanto la Jugoslavia, quanto la leadership albanese non

UCK, erano seriamente interessate?
Orbene, per quanto si tratti di un processo politico, nel quale gli
avvenimenti sono concatenati fra di loro, un punto di svolta c’è ed è
possibile risalire ad esso.
È la decisione assunta dal Consiglio dei Ministri del Governo Prodi,
dopo la sfiducia, (votata dalla Camera il 9 ottobre), qualche ora prima

di fare le valigie e di sloggiare da Palazzo Chigi, relativa adesione
dell’Italia all’activation order.
Un comunicato di Palazzo Chigi del 12 ottobre 1998 informa che il
Consiglio dei Ministri ha deciso di autorizzare il rappresentante
permanente dell’Italia presso il Consiglio Atlantico ad aderire al c.d.

Activation order. “ Di conseguenza – recita il comunicato – l’Italia
metterà a disposizione le proprie basi qualora risulterà necessario
l’intervento militare da parte dell’Alleanza atlantica per fronteggiare

la crisi del Kosovo…Nell’attuale situazione costituzionale – conclude
il comunicato - il contributo delle forze armate italiane sarà limitato

alle attività di difesa integrata del territorio nazionale. Ogni
eventuale
ulteriore impiego delle Forze armate italiane dovrà essere autorizzato
dal Parlamento.”
Il giorno successivo, il 13 ottobre, il Segretario Generale della Nato,

Solana, emana l’activation order e conferisce al Comandante militare
(SACEUR), generale Clark, il potere di ordinare attacchi armati contro
la Repubblica federale Jugoslava. È il 13 ottobre del 1998 che la
macchina da guerra della Nato accende (non solo in senso simbolico) i
suoi motori. Non li spegnerà più, malgrado l’accordo fra Milosevic ed
Hoolbroke del 14 ottobre, ed il conseguente dispiegamento dell’OSCE
nel Kosovo e malgrado i negoziati intavolati a Rambouillet. Inizia così

la vigilia della guerra.
Come e attraverso quali percorsi politici si è arrivati a questa
svolta?
Il retroterra è costituito dal conflitto nato dalla dissoluzione della
ex
Jugoslavia, ed in particolare dalla guerra nella Bosnia e dal nuovo
ruolo strategico militare che gli Stati Uniti hanno concepito per la
Nato
dopo la fine della guerra fredda e che è stato ufficialmente proclamato

a Washington il 24 aprile, proprio mentre veniva sperimentato in vivo.
Pochi ricordano che nell’estate del 1993, durante una delle fasi più
oscure del conflitto in Bosnia si verificò un durissimo braccio di
ferro
fra la Nato (che minacciava di intervenire in Bosnia con
bombardamenti contro le forze serbo-bosniache) e l’Unprofor (i caschi
blu dell’Onu) che si opponeva con tutte le sue forze.
Il braccio di ferro si concluse con la stipula di un memorandum
d’intesa, siglato nell’agosto dall’ammiraglio americano Jeremy Borda
(Comandante delle operazioni Nato) e dal generale francese Jean Cot
(Comandante delle forze Unprofor) con quale fu stabilito il principio
che la Nato non poteva bombardare senza il consenso della missione
dell’Onu, sebbene astrattamente autorizzata all’intervento dalle
Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che avevano stabilito alcune
misure interdittive della guerra e coercitive per i belligeranti. E
quando la Nato finalmente intervenne nella fase finale della guerra in
Bosnia, nella notte fra il 29 ed il 30 agosto del 1995, ciò accadde
soltanto per effetto di una legittima (ma inopportuna) richiesta di
intervento dell’Onu, che faceva seguito allo sconcerto ed
all’indignazione provocata dalla strage del mercato di Sarajevo
occorsa il giorno precedente (28 agosto).
Furono proprio le vicende della guerra di Bosnia e la possibilità – e
per un limitato verso anche l’esigenza – che la Nato giocasse un ruolo
nel contesto delle garanzie della sicurezza internazionale a far si che

venisse messa a punto nell’ambito della Nato una strategia operativa
di intervento per la gestione delle crisi, includendovi dentro tanto le

tradizionali (per l’Onu) missioni di peacekeeping (mantenimento della
pace), quanto le missioni di peacebuilding (ricostruzione della pace),
di cui la missione militare dispiegata in Bosnia, a seguito degli
accordi di Dayton costituisce un esempio classico, che le missioni di
peaceenforcing (per esempio, sorveglianza degli embarghi delle armi)
e le missioni di peacemaking (costruire la pace attraverso un vero e
proprio intervento bellico). In questo contesto, per la decisa
posizione
assunta dall’Italia, durante il Governo Dini, fu stabilito che la Nato
non aveva legittimità a ricorrere a misure comportanti l’uso della
forza
senza la preventiva autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, come
del resto prevede la Carta delle Nazioni Unite. Addirittura in questo
periodo il ministro degli esteri del Governo Dini, Susanna Agnelli,
diede platealmente uno schiaffo agli Stati Uniti, vietando – per
qualche
tempo – che fossero dislocati ad Aviano i cacciabombardieri invisibili
Stealth, (che saranno i principali protagonisti della guerra del 99),
fino
a quando l’Italia non fu inclusa nel Gruppo di contatto, da cui
l’amministrazione americana voleva tenerla fuori. Questa posizione
assunta dal Governo Dini fu ereditata dal Governo Prodi e lo stesso
Dini, come ministro degli esteri la mantenne in piedi, come posizione
ufficiale della Farnesina, in dichiarazioni pubbliche e comunicati
stampa, fino al settembre del 1998.
Nel frattempo la crisi della convivenza interetnica fra serbi ed
albanesi nel Kosovo si aggravò in quanto qualcuno decise di soffiare
sul fuoco del conflitto armato, appoggiando una banda armata (l’Uck)
che aveva avuto oscure origini e che fino a quel momento non aveva
giocato un ruolo effettivo.
È il 1° marzo 1998 la data che segnò l’inizio della guerriglia
dell’Uck,
con l’uccisione di due poliziotti serbi a Drenica, a cui fece seguito
una
reazione inconsulta che provocò la morte di venti albanesi. Nella
primavera del 1998 si accesero i fuochi di sporadiche azioni di
guerriglia a cui fecero seguito drastiche azioni di repressione.
A questo punto la Nato, sotto la spinta dell’amministrazione
americana, decise di intervenire “politicamente” nel conflitto
lanciando, con un comunicato del Consiglio atlantico del 28 maggio,
un duro monito a Belgrado, in cui lasciava intravedere la possibilità
di
un intervento militare. Questa posizione, in realtà, più che favorire
un
self restraint da parte dell’apparato militare jugoslavo, non poteva
che
incoraggiare l’Uck sulla strada della guerriglia che, seppure perdente
sul terreno, in prospettiva diventava vincente, potendo giocare un
ruolo di detonatore per l’intervento militare occidentale. I furiosi
combattimenti che ne sono seguiti durante l’estate del 98 e la
durissima
repressione scatenata dalle forze di sicurezza serbe (peraltro
ingigantita dalla stampa internazionale con la fabbricazione di notizie

false) hanno sollecitato lo sdegno dell’opinione pubblica
internazionale, creando l’humus politico favorevole per l’intervento
della Nato. C’era, però, un problema da risolvere.
La carta delle Nazioni Unite non consente che gruppi di Stati possano
ricorrere all’uso della forza per regolare le crisi internazionali e,
conseguentemente, la Nato non aveva alcuna legittimità per effettuare
un intervento militare per regolare la crisi del Kosovo, aggredendo una

delle parti in conflitto ed alleandosi con l’altra.
Nel corso della primavera, dell’estate e del mese di settembre del
1998 si sviluppò un dibattito sulla possibilità che la Nato
intervenisse
militarmente nel Kosovo, anche in assenza di una formale
autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza. Tale dibattito
nascondeva un conflitto politico durissimo fra Stati Uniti e Gran
Bretagna (che sostenevano la tesi della legittimità del ricorso alla
forza) e l’Italia che continuava ad opporsi. Tale posizione, peraltro,
non era affatto scontata all’interno del Governo italiano, in quanto il

Ministro della difesa Beniamino Andreatta, propugnava l’allineamento
totale dell’Italia alle esigenze degli Stati Uniti, secondo la
tradizionale
politica di “fedeltà atlantica”, tuttavia gli equilibri politici di
maggioranza escludevano che il Governo Prodi potesse assumere una
posizione differente senza rischiare una crisi.
È sorta a questo punto per l’Alleato americano l’esigenza di provocare
un mutamento di Governo in Italia per ottenere una maggioranza più
omogenea alle esigenze belliche della Nato. Poiché non si poteva
correre il rischio di nuove elezioni, il cui esito non sarebbe stato
prevedibile, è sorta l’esigenza di trovare una maggioranza di ricambio
che potesse fare accrescere il tasso di “fedeltà atlantica”
dell’Italia,
sostituendo Rifondazione comunista con forze più omogenee alla Nato.
A questo punto è stato attivato il più autorevole dei terminali della
Cia
nel sistema politico italiano, l’ex Presidente della Repubblica
Francesco Cossiga, l’uomo di Gladio. Cossiga, fino all’inizio del
1998, aveva svolto un ruolo di tutore del centro destra e sembrava che
volesse contendere a Berlusconi la leadership della destra. Nella
primavera del 1998 Cossiga ha fatto un revirement e, utilizzando la sua

influenza politica occulta ma reale sul sistema politico italiano, è
riuscito a staccare una frazione di deputati e senatori dal centro
destra,
fondando l’Udeur, con il dichiarato scopo di far nascere una nuova
maggioranza politica che sostituisse quella basata sull’alleanza
dell’Ulivo più Rifondazione e guidata da Prodi.
Quasi tutti hanno commentato l’operazione Udeur guidata da Cossiga
come una manifestazione del peggiore costume trasformistico italiano.
Ed invece tale operazione, che si avvaleva si della tendenza al
trasformismo esistente nel sistema politico italiano, aveva uno
specifico significato ed un preciso obiettivo di natura internazionale:

quello di provocare un mutamento della posizione internazionale
dell’Italia e di ottenere la legittimazione della Nato al ricorso alla
guerra, come strumento della politica di potenza americana.
Operazione perfettamente riuscita.
Perso il condizionamento di Rifondazione comunista, indeboliti i
Verdi, indebolita la posizione autonomistica di Dini, il 12 ottobre
1998 il Governo Prodi, sebbene sfiduciato, ha compiuto l’atto
politicamente più rilevante dalla sua nascita, e più gravido di
conseguenze per il futuro, accettando l’adesione dell’Italia
all’activation order.
In sede politica la svolta dell’Italia sulla liceità del ricorso
all’uso
della forza da parte della Nato era stata propugnata dall’allora
segretario del partito dei DS - l’on. D’Alema - e dal sottosegretario
alla Difesa, Brutti, i quali si erano affrettati a dichiarare che la
concessione dell’uso delle basi italiane (nella imminente guerra contro

la Jugoslavia) costituiva un “atto dovuto” ed un effetto “automatico”
della partecipazione italiana alla Nato.
Era ormai alle porte un Governo D’Alema, con la benedizione di
Cossiga e con l’uomo giusto, Carlo Scognamillo, al posto giusto, il
Ministero della Difesa.
Sul Foglio del 4 ottobre 2000 proprio Carlo Scognamillo,
polemizzando con James Rubin, l’ex portavoce di Madeleine Albright,
si lascia sfuggire: A Rubin sfugge che in Italia avevamo dovuto
cambiare governo proprio per fronteggiare gli impegni politici-militari

che si delineavano in Kosovo…Prodi ad ottobre aveva espresso una
disponibilità di massima all’uso delle basi italiane, ma per la
presenza
di Rifondazione nella sua maggioranza non avrebbe mai potuto
impegnarsi in azioni militari. Per questo il senatore Cossiga ed io
ritenemmo che occorreva un accordo chiaro con l’on. D’Alema In che
cosa consisteva questo accordo? Due parti. La prima era il rispetto
dell’impegno per l’euro... la seconda era il vincolo di lealtà alla
Nato:
l’Italia avrebbe dovuto fare esattamente ciò che la Nato avrebbe
deciso di fare. Questo è esattamente ciò che l’Italia ha fatto. Adesso
che la missione è compiuta Cossiga può rientrare nel centro destra.
D’Alema è già tornato a casa.

(Tratto da: L'ERNESTO, ottobre 2000)

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Après le Kosovo, la Macédoine

Que reste-t-il des explications de l'Otan ?
(par Michel Collon)

Sinistre répétition? Après que les séparatistes albanais de l'UCK
aient
attaqué les villages de Presevo en Serbie, après qu'ils aient tué sept
civils serbes du Kosovo en jetant une bombe dans un autobus, voici
qu'ils
portent la guerre dans la Macédoine voisine. Et, à nouveau, des
réfugiés
sont précipités sur les routes. Va-t-on vers une nouvelle escalade
dans les
Balkans?
En fait, ces événements permettent de mieux comprendre ce qui s'est
passé en
1999. Dans cette situation complexe (parce que tout est fait pour
désorienter l'opinion publique), Michel Collon répond avec clarté aux
principales interrogations:

MICHEL COLLON
1. La Macédoine est-elle une région stratégique?
Oui, expliquions-nous dans Solidaire et dans notre livre Monopoly en
citant
le général Jackson, commandant des troupes de l'Otan: "Nous resterons
certainement ici longtemps afin de garantir la sécurité des corridors
énergétiques qui traversent la Macédoine." .
"Corridors énergétiques"? Nous avions présenté les cartes
géographiques
démontrant les projets de l'Europe (un réseau complet de pipe-lines et
gazoducs la reliant, via les Balkans, aux énormes ressources
pétrolières et
gazières du Caucase ex-soviétique) et ceux des Etats-Unis (un
pipe-line
Bulgarie - Macédoine - Albanie - Adriatique qui assurerait aux
multinationales pétrolières US le contrôle de cette même route du
pétrole et
du gaz). Projets rivaux en fait. Voilà pourquoi toutes les grandes
puissances cherchent depuis dix ans à contrôler la Yougoslavie. La
route du
pétrole et du gaz passe par là. Nous soulignions aussi que, dès 1992,
c'est
en Macédoine - pourtant très éloignée des zones de conflits - et nulle
part
ailleurs que Washington avait envoyé un bataillon.
Soyons francs: même à gauche, certains trouvaient exagéré de
suspecter
Washington de desseins aussi noirs… que le pétrole. Mais tout
récemment, le
très respectable quotidien britannique Guardian a confirmé: "Un projet
appelé `Trans-Balkan Pipeline' n'a guère été signalé dans la presse
européenne ou américaine. Cette ligne partira du port de Burgas (Mer
Noire)
pour joindre l'Adriatique à Vlore, en passant par la Bulgarie, la
Macédoine
et l'Albanie. Pour l'Occident, ce sera probablement la principale
route vers
le pétrole et le gaz actuellement extraits d'Asie centrale. 750.000
barils
par jour. Un projet nécessaire, selon l'Agence US du Commerce et du
Développement, car "il fournira une source consistante de brut aux
raffineries américaines, attribuera un rôle-clé aux compagnies US pour
développer ce corridor vital est-ouest et fera progresser dans la
région les
volontés de privatisation du gouvernement US." Clair, non?
En outre, le secrétaire US à l'Energie, Bill Richardson, a déclaré en
1998,
donc avant la guerre: "Il s'agit de la sécurité énergétique de
l'Amérique."
Quand les Etats-Unis parlent de "sécurité énergétique", il faut savoir
que
cela veut dire: préserver la domination mondiale et les superprofits
de
leurs multinationales pétrolières. Et Richardson poursuit: "Nous
voudrions
voir ces pays nouvellement indépendants s'appuyer sur les intérêts
commerciaux et politiques de l'Ouest plutôt que de regarder dans une
autre
direction. Nous avons effectué un important investissement politique
dans la
région de la Caspienne et il est très important pour nous qu'aussi
bien le
tracé du pipeline que la politique soient corrects."
Et le Guardian ajoute ceci, essentiel: "Le 9 décembre 98 (avant la
guerre -
ndlr), le président de l'Albanie a assisté à une réunion à ce sujet à
Sofia:
"A mon avis personnel, aucune solution demeurant au sein des
frontières
serbes n'apportera une paix durable." Le message pouvait difficilement
être
plus clair: si vous voulez l'accord des Albanais pour le pipeline
Trans-Balkan, vous devez enlever le Kosovo aux Serbes."

2. L'offensive de l'UCK est-elle une surprise?
Les Etats-Unis se sont donc acoquinés avec le diable. Car de nombreux
rapports diplomatiques US en attestaient: l'UCK séparatiste
assassinait non
seulement des policiers et des civils serbes, mais aussi des Albanais
mariés
avec des Serbes ou simplement acceptant de vivre dans l'Etat
yougoslave. Et
l'envoyé spécial de Washington dans les Balkans, Robert Gelbard, avait
lui-même affirmé à trois reprises devant la presse internationale, au
début
98: "Je vous dis que ces gens de l'UCK sont des terroristes". Mais
trois
mois plus tard, ces terroristes étaient miraculeusement transformés en
"combattants de la liberté" et l'Otan allait bientôt devenir leur
force
aérienne.
Aujourd'hui, les Etats-Unis feignent la surprise face à "la violence
extrémiste" qui attaque la Macédoine. Belle hypocrisie! Dès juin 98,
l'UCK
diffusait parmi ses sympathisants européens une carte de la "Grande
Albanie". Dans notre livre Monopoly (p. 69), nous reproduisions cette
carte
et la commentions: "Outre le Kosovo qui fait partie de la Serbie,
cette
Grande Albanie enlèverait de larges territoires à la Macédoine, au
Monténégro et à la Grèce. Des guerres sont donc inévitables si l'UCK
peut
réaliser ses plans."
Cette Grande Albanie implique non seulement l'expansionnisme, mais
aussi le
nettoyage ethnique. Aujourd'hui, sous les yeux et avec l'accord tacite
de
l'Otan, 350.000 non-Albanais ont déjà été expulsés du Kosovo: Serbes,
mais
aussi Roms (tziganes), Gorani, Turcs, etc… Le Kosovo est presque
"pur". Une
surprise? Pas vraiment, puisque, le 12 juillet 1982 déjà, le New York
Times
interviewait un responsable yougoslave du Kosovo, d'origine albanaise:
"Les
nationalistes albanais ont un programme en deux points: d'abord
établir une
république albanaise ethniquement pure, et ensuite la fusion avec
l'Albanie
pour former une Grande Albanie." D'ailleurs, lors de l'insurrection
anti-yougoslave de 1981, les nationalistes albanais avaient déjà
établi une
collaboration étroite entre leurs unités de Macédoine, de Serbie et du
Monténégro.
Tout ceci n'a pas empêché l'influent sénateur US Joseph Lieberman de
déclarer en avril 99: "Les Etats-Unis et l'Armée de Libération du
Kosovo
défendent les mêmes valeurs humaines, les mêmes principes. Se battre
pour
l'UCK, c'est se battre pour les droits de l'homme et les valeurs
américaines." Bref, USA-UCK, même combat. D'ailleurs, quiconque
voyage au
Kosovo peut voir un peu partout, par exemple au-dessus des stations
d'essence, les drapeaux albanais et US étroitement associés.

3. La version de l'Otan tient-elle encore debout?
Que nous disait l'Otan pour justifier ses bombardements meurtriers? 1.
Que
sa guerre était humanitaire. Faux: c'était pour le pétrole et pour
briser
une économie résistant aux multinationales occidentales et au FMI. 2.
Qu'elle avait tout tenté pour chercher une solution négociée. Faux
également: on sait maintenant qu'il n'y a jamais eu de négociation à
Rambouillet, seulement une comédie pour justifier une guerre déjà
décidée.
3. Que c'était une guerre propre. Faux encore: 2000 civils yougoslaves
tués,
d'innombrables usines et infrastructures détruites, plus l'usage
d'armes
interdites et criminelles: bombes à fragmentation, munitions à
uranium…
A présent, le reste de la version officielle s'effondre aussi. On
nous
avait dit: "Les problèmes du Kosovo proviennent de Milosevic." Cela ne
va
guère mieux avec Kostunica et un gouvernement soumis à l'Ouest!
On nous disait qu'il fallait intervenir pour arrêter un génocide
serbe et
établir un Kosovo multiethnique. Mais le général allemand Heinz Loquai
a
démontré que le prétendu document "Plan Fer-à-cheval" présenté par le
ministre allemand Scharping était un faux, que le génocide était un
médiamensonge et il vient de qualifier la guerre d' "injustifiée",
accusant
l'Otan d'avoir provoqué deux catastrophes humanitaires: un exode
massif des
Albanais, puis un autre des Serbes. Et le général Michaël Rose, qui
commandait les forces ONU en Bosnie, reproche à l'Otan "d'avoir
introduit
une culture de violence".
Enfin, pour tenter d'excuser l'actuel nettoyage ethnique au Kosovo,
les
supporters de l'Otan et de l'UCK ont prétendu qu'il s'agissait de
"vengeances pour ce que les Serbes avaient fait". Et maintenant, en
Macédoine, où il ne s'est rien passé, sous quel prétexte justifier
l'agression de l'UCK? Il est temps de reconnaître la seule explication
possible: l'UCK vise à établir un Etat ethniquement pur et ne peut
réaliser
ce programme que par l'escalade de la haine et par le terrorisme.

4. Washington joue-t-elle double jeu?
Les Etats-Unis feignent de s'indigner des violences actuelles de
l'UCK. Mais
on doit faire remarquer plusieurs choses… 1. Ils n'ont pas levé le
petit
doigt lorsque l'UCK est sortie du Kosovo pour attaquer la région de
Presevo
en Serbie centrale. Pire: l'infiltration s'est produite à partir de la
zone…
US d'occupation du Kosovo. 2. Washington et l'Otan prétendent
aujourd'hui
"essayer d'arrêter le flux des armes et des combattants vers la Serbie
du
Sud et vers la Macédoine" .
Mais quiconque se rend au Kosovo peut observer des barrages et
contrôles de
la KFOR tous les cinq kilomètres. Seulement, cette même KFOR travaille
avec
des interprètes et autres personnels issus de… l'UCK. Qu'elle a
d'ailleurs
transformée en très officiel "Corps de Protection du Kosovo". Bref,
qui ne
cherche pas les armes de l'UCK, ne les trouvera pas.
D'ailleurs, le major Jim Marshall, porte-parole de la KFOR US, a
déclaré le
6 mars: "Nous avons identifié entre 75 et 150 rebelles à Tanusevci
(Macédoine), nous les avons entrer et sortir du Kosovo, et se
débarrasser de
leurs équipements et de leurs armes avant de passer la frontière."
Petite
question stupide: qu'est-ce qui vous empêchait de les arrêter? 45.000
soldats Otan occupent le Kosovo et ne peuvent arrêter 150 terroristes?

5. L'UCK déclenchera-t-elle une nouvelle guerre?
Que va-t-il arriver? Ayant joué sur plusieurs tableaux, les Etats-Unis
peuvent se retrouver coincés. D'un côté, ils continuent d'utiliser
l'UCK
pour obtenir davantage de concessions en Serbie: la privatisation
totale et
l'élimination du principal parti d'opposition, le SPS (en envoyant son
président à leur tribunal de La Haye). Mais, de l'autre côté, s'ils
laissent
l'UCK aller trop loin, ils se mettront à dos des alliés précieux: le
gouvernement macédonien et la Grèce, également menacée par les
revendications de l'UCK. Et aussi Kostunica qui ne peut présenter à
son
opinion aucun bilan positif sur le Kosovo, au contraire.
Mais si Washington lâchait l'UCK et renversait ses alliances, il se
pourrait que son allié (en réalité: rival) allemand se mettrait de
nouveau à
soutenir clandestinement l'UCK. Laquelle a donc intérêt à pousser plus
loin
ses provocations.
Renverser ses alliances? On a déjà tout vu, dans ce style, de la part
des
Etats-Unis, par exemple entre Iran, Irak et Syrie. Mais leur but est
de
s'assurer dans les Balkans un Etat "porte-avions" comme Israël au
Moyen-Orient. Pour ce faire, le choix n° 1 reste un Etat fantoche
albanais
qui devrait tout à Washington. Seulement, les puissances européennes
refusent une modification des frontières dans les Balkans. Celle-ci
provoquerait de nouvelles guerres et déstabiliserait les projets de
"corridors" décrits plus haut.
Une chose est sûre: l'intervention de l'Otan, pour des intérêts
cachés, n'a
pas amené et n'amènera pas la paix.


La version complète de cet article (comportant aussi les points
suivants:
6. Que fera l'Otan face aux combats? 7. Kostunica pris au piège?) est
consultable sur le site http://www.lai-aib.org/balkans

PHOTO 1:
La route du pétrole et du gaz de l'ex-URSS passe par la Macédoine et
la
Yougoslavie. C'est pourquoi les grandes puissances ont fait la guerre
afin
de contrôler Belgrade. (carte publiée dans le livre Monopoly, de
Michel
Collon, page 120).

PHOTO 2:
Le programme de l'UCK, c'est la "Grande Albanie" sur base ethnique
(carte
publiée dans le livre Monopoly, de Michel Collon, page 69).

---

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IN CECENIA ESULTANO

Per la devastazione dei monumenti della cultura buddhista in Afghanistan
<<esultano anche i ribelli della Cecenia. Yusuf Ibrahim, esponente del
movimento secessionista ceceno e direttore dell'agenzia di stampa
Kavkaz-Tsentr, ha pubblicato un articolo intitolato "Il mondo pagano è
contrariato". Nel testo si legge che la "cosiddetta comunità
internazionale, identificata con l'alleanza infedele dei
giudei-cristiani,
ha alzato un gran polverone riguardo alla decisione di distruggere gli
idoli pagani adottata dalla leadership dell'Emirato islamico
dell'Afghanistan". Secondo Ibrahim, se "l'alleanza infedele accusa di
vandalismo gli afghani, che invece non fanno altro che mettere in
pratica un principio elementare della Sharia (legge islamica, ndr), ciò

significa che agli occhi degli occidentali anche il Profeta Maometto,
la
cui prima iniziativa fu quella di distruggere gli idoli e l'idolatria,
va
considerato un 'vandalo' e un 'nemico'". "Invece di lamentarsi in
maniera
ipocrita e senza vergogna della distruzione degli idoli", sostiene il
leader ceceno, "la comunità degli infedeli farebbe bene a non benedire
la crociata della gang russa contro i musulmani della repubblica cecena

di Ichkeria". I ribelli ceceni sostengono il regime di Kabul perché è
l'unico ad aver riconosciuto la loro repubblica che ha ambasciate e
consolati a Kandahar e a Kabul, e anche perché rafforza le loro fila
con
il regolare invio di mujaheddin.>>

(Sergio Trippodo su "Il Manifesto" del 4/3/2001)

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CONTINUA LO STUPRO MULTI-ETNICO IN BOSNIA

"Il Manifesto" 04 Marzo 2001:
BOSNIA: Liberate 177 schiave prostitute

Con un'operazione congiunta di polizia bosniaca, autorità per
l'immigrazione, poliziotti delle Nazioni unite e forze di pace della
Nato
(Sfor) sono state liberate ieri notte 177 donne costrette a
prostituirsi in
locali di tutta la Bosnia e trattenute contro la loro volontà in
condizioni
di semischiavitù. Ne ha dato notizia un comunicato della missione Onu.
Le ragazze provenivano, oltre che dalla ex Jugoslavia, dalla Romania,
dalla Moldova, dall'Ucraina e dalla Russia. Le straniere sono state
affidate alla missione di polizia dell'Onu, presumibilmente per essere
rimpatriate. Negli ultimi due anni, sono 400 le donne tolte dal giro
della
prostituzione in Bosnia.

MOLDOVA
Leader Pc candidato presidente

Dopo la vittoria schiacciante ottenuta nelle elezioni parlamentari
della
settimana scorsa, il Partito comunista di Moldova ha proclamato ieri la

candidatura alla presidenza del proprio leader, Vladimir Voronin: il
quale, data la composizione del parlamento che dovrà eleggere il
presidente in sessione plenaria, ha la quasi certezza di essere eletto.

La decisione, come riferisce l'agenzia di informazione russa Interfax,
è
stata adottata dalla sessione plenaria del Comitato centrale del
partito.
Nel commentare la propria candidatura, Voronin (che è etnicamente
russo, come una parte non piccola della popolazione moldava, anche se
non ha ruolo nella secessione in atto da anni nei territori della
Transdnestria) ha escluso qualsiasi intenzione di "stabilire il
monopolio
del partito unico", ed ha assicurato che "la formazione del nuovo
governo sarà basata sulla professionialità, e non sulla affiliazione
politica".

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"Il Manifesto" 01 Marzo 2001

Dini accusa "i manovali della Cia"

"Manovali della Cia". E' un atto di accusa senza precedenti quello del
ministro degli esteri Lamberto Dini. Un atto di accusa che non solo
colpisce i giornalisti di Repubblica Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo,
che hanno realizzato l'inchiesta sull'affare Telecom-Serbia. Al di là
delle
pesanti insinuazioni sul lavoro giornalistico, le parole di Dini sono
infatti
una denuncia dell'ingerenza della Cia nella politica italiana e della
prepotenza degli Stati uniti nell'ambito dell'Alleanza atlantica.
"L'inchiesta non è il lavoro di immaginazione di due giornalisti che
hanno ricevuto i pezzi di carta da qualche parte", dice Dini alla
commissione esteri del senato. Pronta la replica del quotidiano, che ha

dato mandato ai suoi legali di intraprendere un'azione nei confronti
del
ministro.
Tuttavia l'intervento di Dini ha come obiettivo gli Stati uniti, prima
ancora di Repubblica. Secondo il titolare della Farnesina c'è infatti
un
legame tra i veleni sull'affare Telecom-Serbia e la politica italiana
nei
Balcani che, dice, "non è mai stata apprezzata dai manovali della Cia,
che operavano a Roma facendo propaganda contro il mio ministero. Ebbi
a lamentarmene con Madaleine Albright che negò, ma sappiamo che era
così".
Precedentemente, rispondendo alle interrogazioni alla camera, Dini
aveva smentito l'intenzione di aiutare economicamente il regime di
Milosevic e il coinvolgimento della Farnesina della transazione. Dalle
insinuazioni di Dini sulla Cia affiora però un retroscena di scontro
tra
interessi economici e geo-politici nella ricostruzione dell'area dei
Balcani.

"Il Manifesto" 01 Marzo 2001

L'ira di Lambertow
Il ministro degli esteri accusa: l'inchiesta su Telecom-Serbia è
manovrata dalla Cia
COSIMO ROSSI

" Manovali della Cia" che operano contro l'azione diplomatica del
governo itliano. Giornalisti di Repubblica che in sostanza si prestano
a
far loro da megafoni. Più che una risposta è una requisitoria quella
pronunciata dal ministro degli esteri Lamberto Dini nel corso
dell'audizione in commissione esteri del senato sull'affare
Telecom-Serbia e sui rapporti con gli Stati uniti. Una requisitoria che

chiama in causa tre ordini di questioni: le insinuazioni sull'inchiesta

pilotata, i rapporti con gli Usa, l'affare Telecom nel quadro degli
interessi nei Balcani.
Il ministro accusa esplicitamente l'inchiesta di Carlo Bonini e
Giuseppe
D'Avanzo: "Le ragioni non le conosciamo - dice - Certo non è il lavoro
di
immaginazione di due giornalisti che hanno ricevuto i pezzi di carta da

qualche parte, perché nessun giornalista può pensare di ricostruire una

vicenda così complessa". Pronta la replica del quotidiano diretto da
Ezio
Mauro e dei due cronisti, che hanno "dato incarico ai legali di avviare
nei
confronti del ministro le opportune azioni legali".
Ma il quadro in cui Dini colloca le presunte rivelazioni a Repubblica è
più
complicato. "Probabilmente - riflette il ministro - questa inchiesta è
nata in opposizione alla nostra politica nei Balcani, che non era
apprezzata dai manovali della Cia che operano a Roma e di cui abbiamo
i nomi". Un avvertimento, dunque: per dire che la Farnesina ha ancora
frecce al suo arco. E suffragato da un precedente, dato che Dini
ricorda:
"Ebbi a lamentarmene con il segretario di stato americano (Madaleine
Albright, ndr.) che negò, ma noi sappiamo che era così".
Questo per rivendicare che "non si può difendere l'interesse nazionale
accogliendo sempre le posizioni di un altro paese, anche se è il più
grande: siamo amici e con gli amici discutiamo". Parole che piacciono
al
presidente della commissione esteri Giangiacomo Migone (Ds), secondo
cui "il rapporto di lealtà in un'alleanza non comporta che si debba
essere sempre d'accordo, comporta invece delle rivendicazioni, ad
esempio sul metodo della collegialità delle decisioni politiche o della

scelta degli obiettivi".
Venendo così all'affare Telecom-Serbia e alle rivelazioni connesse, le
sfaccettature della vicenda si moltiplicano. E con esse gli
interrogativi.
Che riguardano in sostanza due aspetti: quello economico e quello
politico.
Le parole pronunciate da Dini al senato sono infatti un salto di
qualità
rispetto a quanto affermato dallo stesso ministro in mattinata alla
camera. Rispondendo alle interrogazioni, Dini aveva in primo luogo
smentito che dietro l'affare ci fosse l'intenzione di fornire "una
boccata
di ossigeno al regime di Milosevic". Il ministro aveva però fatto
capire
che la Farnesina non era all'oscuro, benché non seguisse "direttamente"

la transazione. Nei corridoi parlamentari c'è intanto chi osserva come
alla Farnesina non ci fosse solo il ministro in persona che può aver
avuto una parte in commedia nella transazione. Comunque, concludeva
Dini alla camera, "ben venga l'inchiesta della magistratura".
E così sarà, dato che sia la procura di Torino che quella di Belgrado
hanno aperto un fascicolo. Ma se le eventuali illegalità riguardano
comunque la magistratura, le allusioni di Dini sulla Cia aiutano invece
a
rivelare il possibile scenario politico in cui si collocano l'affare
Telecom-Serbia e i veleni che esala.
La premessa accertata è che gli Stati uniti vedevano come il fumo negli

occhi la politica italiana nei Balcani. E con questo, nota un esperto
di
casa ds, "si sfata anche un'idea caricaturale del ruolo dell'Italia nel

conflitto. C'erano due poli, quello della partecipazione e quello del
rientro al più presto nella legalità attraverso il G8 e il
coinvolgimento
della Russia". Tradotto: c'erano l'ansia di accreditamento presso la
Nato
di D'Alema e la diplomazia ostinata di Dini.
Tutti, comunque, si sentono di escludere l'ipotesi che gli eventuali
veleni sparsi sul caso Telecom-Serbia siano una vendetta postuma degli
Stati uniti nei confronti di Dini o dell'Italia. Chi ha praticato le
sedi
diplomatiche indica piuttosto gli "interessi commerciali".
L'affare Telecom, riflette chi ha ascoltato Dini ieri, "rientrava anche
in
una politica di condizionamento democratico di Milosevic". Del resto,
ricordava lo stesso Dini alla camera, anche la francese Alcatel e la
tedesca Siemens erano in lizza. L'Italia però è entrata nei Balcani con

tutti e due i piedi: Telecom, come Fiat e tanti altri.
Ma adesso la grande torta da affettare nei Balcani è quella della
ricostruzione: un affare da migliaia di miliardi. Una partita dove da
un
lato c'è l'Europa che lavora per l'allargamento dell'Unione e la
penetrazione commerciale, dall'altro ci sono le mire statunitensi sul
classico business della ricostruzione. Un partita in cui gli aerei Nato

hanno già fatto la loro parte, dato che - come ricorda Ramon Mantovani
del Prc - "avevano come obiettivo prioritario il sistema di
telecomunicazioni" (e chissà che anche per questo l'Italia non gradisse

il metodo tutto statunitense di selezione degli obiettivi). Che dunque
in
questo quadro ci sia un'ostilità nei confronti dell'Italia al limite
del
tentativo di delegittimazione non è da escludere. Tanto più che, come
osserva un fonte informata sulle prassi di oltreoceano, "non è che un
agente della Cia avverte Collin Powell prima di passare informazioni,
gli
agenti rispondono a tanti poteri".

"Il Manifesto" 01 Marzo 2001

Telekom serba, terra di conquista
C'è una drammatica vicenda industriale dietro l'investimento italiano e
greco nella
telefonia di Belgrado
GUGLIELMO RAGOZZINO


La controversia sulla Telekom di Serbia e sull'acquisto di una
importante
partecipazione da parte della Telecom Italia è precipitata in una
contesa politica, come spesso avviene in Italia, dai tempi gloriosi di
Antelope Cobbler. I protagonisti sono i soliti: ministri, servizi
segreti,
tangentisti, malavita. La discussione alla camera dei deputati non è
servita a offrire altri elementi di qualche valore. Le ricostruzioni di

Repubblica negli articoli di Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo, a metà
febbraio, hanno fatto testo e sono stati ripresi e citati nel corso
della
discussione alla Camera dai deputati dell'opposizione, che però hanno
rimandato ogni tentativo di conoscenza dei fatti a una futura
Commissione d'inchiesta. Commissione che dovrebbere vertere su di un
punto unico: chi ha preso tangenti e tangentine che hanno
accompagnato il pagamento principale alla Telekom serba?
Invece di prendere atto di una tale scarsa capacità di analisi, e
provare
a correggerla, il ministro degli esteri Lamberto Dini se l'è presa
molto,
al punto di attribuire alla Cia l'insieme delle rivelazioni
dell'inchiesta,
ottenendo l'insolito risultato di regalare all'inchiesta giornalistica
la
patente di verosimiglianza e all'opposizione l'opportunità di qualche
fastidioso autocompiacimento.
In questo ingorgo politico spionistico diplomatico finirà probabilmente

travolta la questione vera: l'investimento di Telecom Italia e di Ote
greca in Serbia. E si tratta di una questione quasi irrilevante per i
livelli
di attenzione italiani, di una questione mediocre per quelli
dell'economia greca, ma di una questione centrale per Belgrado. Nel
corso degli ultimi cinque anni Telecom Italia ha cambiato di nome, da
Stet che era, si è fusa con se stessa, si è divisa dai telefonini, ha
venduto le pagine gialle per poi ricomprarle, ha cambiato quattro volte

gruppo dirigente, (Tommasi-Rossignolo-Bernabè-Colaninno) ha
quadruplicato di valore, è stata privatizzata, ha dato forma a un
nucleo
duro di cariatidi bancarie e finanziarie e infine è stata giustamente
scalata da uno ben deciso. Mentre cadeva il monopolio di fatto e anche
quello naturale, Telecom Italia cercava entrate laterali in settori
contigui e scorrerie all'estero; esattamente come gli altri operatori
in
tutta Europa. Accordi, fusioni, impegni in ogni paese dove è possibile
arrivare e corsa coloniale verso i paesi meno dotati di attrezzature
telefoniche, come l'America latina o l'Africa o l'Europa dell'est. E
così in
Argentina Telecom Italia e Telefonica spagnola si sono spartite il
paese
in due (e la città di Buenos Aires) assicurandosi metà rete.
In piccolo il caso della Ote compagnia pubblica greca dei telefoni è
assai simile e tenta di sfuggire all'assedio da parte delle Telecom
maggiori allargando l'attività in Romania o appunto in Serbia.
La Serbia nella prima metà degli anni novanta ha deciso a sua volta di
privatizzare; ma se vi erano in Italia e probabilmente in Grecia molti
strati sociali e politici che contrastavano e contrastano, per quanto è

possibile, questa deriva, in Serbia le difficoltà per i privatizzatori,

capeggiati da Slobo Milosevich, devono essere state assai più forti,
anche per la tradizione autogestionaria del paese. Un intero partito,
lo
Jul, a volte indicato sommariamente come il partito personale di Mira
Markovich, moglie di Milosevich, capo del Partito socialista serbo, ha
in
sostanza avuto il compito di rappresentare gli interessi dei dirigenti
delle imprese e delle attività pubbliche in via di privatizzazione. Al
momento di stabilire chi ha comprato e chi ha venduto, chi avesse la
possibilità di mettere il veto e chi sia stato pagato per non farlo,
occorrerà riflettere su tutto questo. E tenere conto di una stranezza
nel
mondo variegato delle tangenti. Quelle che nella ricostruzione fornita
da
Repubblica appaiono come tangenti e subtangenti, sono
percentualmente identiche sul lato greco e su quello italiano dei
pagamenti; e questo farebbe pensare a compensi richiesti da chi vende
e non a quattrini per un intermediario dei compratori pagato due volte.

Ma si può anche pensare che approfittando di un intervallo tra due
periodi di sanzioni e embarghi, presumibilmente breve - e questo
Miloseviuh lo sapeva più di chiunque altro - i serbi incercassero di
tenere quattrini all'estero per avere fondi per gli usi pubblici o
privati,
militari o finanziari; chiunque avesse l'autorità di farlo. Certo c'è
quel
mattacchione di Milosevich che indica "quei mafiosi degli italiani"
come i
destinatari finali delle tangenti, ma non è necessario dargli retta.
Poi ci sono i serbi. Gli operai guadagnavano quando la Telekom era
loro,
sui 200 marchi al mese. Pochissimo certo, ma molto di più - più del
doppio - di quanto prendano ora, dopo che la Telekom è stata
modernizzata, venduta agli italiani (29%) e ai greci (20%) e poi
bombardata dagli stessi che l'avevano comprata due anni prima. Sì,
perché anche questa è una bella storia che potrebbe essere presa a
esempio da chi volesse spiegare la periodica autodistruzione che il
capitale realizza per aumentare il proprio tasso di profitto. E inoltre
da
quattro mesi gli stipendi non sono pagati e così i lavoratori
scioperano,
con manifestazioni. Italiani e Greci non sono popolari alla Telekom
serba.

"Il Manifesto" 03 Marzo 2001

Telekom Serbia, ancora sciopero?
I lavoratori chiedono aumenti salariali. E temono un "terzo
concorrente"
TOMMASO DI FRANCESCO

Ultimissime dalla vicenda Telekom-Serbia. I lavoratori dell'azienda
multinazionale che il 24 febbraio scorso avevano deciso di "congelare"
il
loro sciopero per dieci giorni, potrebbero tornare la prossima
settimana
in lotta, già a partire da mercoledì prossimo. Se, come promesso dal
nuovo governo serbo, i problemi in questo periodo non saranno risolti.
I belgradesi dunque, forse, li vedranno ancora una volta sfilare e
distribuire volantini. Nella loro piattaforma ufficiale chiedono con
forza
un aumento salariale del 100% e la costituzione del nuovo consiglio
d'amministrazione. Il loro salario medio è di circa 5.000 dinari (più
2.000 dinari per il pranzo) - dunque circa 7.000 dinari al mese, 230
marchi tedeschi (il tasso di cambio è da novembre fisso: 1 Dm=30
Dinari).
Gli impiegati laureati nell'azienda hanno il salario di circa 10.000
dinari
(più 2.000 per il pranzo) - in totale circa 400 Dm. I pagamenti - ci
dicono i lavoratori che abbiamo ascoltato - sono abbastanza regolari:
metà dello stipendio il 1 del mese, la seconda metà il 15, ed il pranzo
il
7 di ogni mese.
Naturalmente non ci sono solo questioni salariali (questi salari sono
bassissimi, ma quelli degli altri lavoratori sono da fame). Dietro la
voce
salariale non nascondono infatti le preoccupazioni per la stabilità del

posto di lavoro, sia per la gestione italiana e greca di questa
privatizzazione, ma soprattutto dopo le rivelazioni sull'"affare"
politico
internazionale che starebbe dietro la privatizzazione della telefonia
serba (del resto lo stesso sistema "segreto" utilizzato per tutte le
privatizzazioni a Est). Così, a mezza bocca, quelli che siamo riusciti
a
sentire direttamente parlano anche del timore che il governo,
attraverso
una proposta di legge del ministro delle telecomunicazioni Boris Tadic,

possa chiedere la costituzione di un nuovo polo di telefonia, il famoso

"terzo concorrente". In buona sostanza il governo, per prendere le
distanze dalla gestione della telefonia nel tempo di Milosevic, vuole
agevolare la presenza di un nuovo interlocutore. Si parla di interessi
tedeschi (che non sia servita anche a questo la vicenda delle
"rivelazioni"?).
Del resto le loro preoccupazioni sulla stabilità del posto di lavoro
sono
confermate da troppe voci. A Roma, quando abbiamo incontrato il nuovo
presidente del Parlamento, Dragoliub Micunovic, si è detto preoccupato
che tanto rumore alla fine non spingesse la Telekom a non mantenere i
propri impegni. Il presidente Colaninno non a caso decide di correre a
Belgrado. E che un terzo concorrente potrebbe insidiare le posizioni
della Telekom-Serbia è dato anche dai voraci appetiti che la telefonia
sollecita nei Balcani - dove, fatto surreale, proprio il livello
violento di
non-comunicazione tra individui e popoli ha contribuito alla
devastazione della guerra. Ma gli affari stanno tutti lì: così è andato
per
gli interessi tedeschi, della Siemens e della Telekom internazionale
nella telefonia dell'alleata Croazia, così è stato per i
favoreggiamenti
espliciti dell'ex Amministratore Onu del Kosovo, il francese Bernard
Kouchner, che ha facilitato, a dir poco, l'ingresso nella regione
martoriata dell'Alcatel, leader francese della telefonia mobile.
Surreale come la considerazione (del nostro Guglielmo Ragozzino su il
manifesto di venerdì 1 marzo) che - come da manuale, nell'intento del
capitale di avviare la propria periodica autodistruzione - è accaduto
che
i paesi che avevano investito nella telefonia di Belgrado siano stati
gli
stessi che hanno approvato, solo due anni dopo, i bombardamenti
"umanitari" sugli stabilimenti privatizzati (e sulle case dei
lavoratori).

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