Informazione

da: Vladimir Dedijer, Tito (contributi per la biografia)
Capitolo sedicesimo


GIOIA E TRISTEZZA DELLA VITTORIA

L'anno 1943 fu l'anno decisivo della Seconda guerra mondiale.
All'Oriente l'Armata Rossa da Stalingrado procedeva speditamente
cacciando, nel corso di tutto l'anno, sempre più davanti a se le
divisioni naziste. Gli Alleati ripulivano l'Africa dalle truppe di
Rommel, l'Italia era messa fuori combattimento. Oramai era questione
di tempo quando Hitler avrebbe capitolato.

In Jugoslavia la gente desiderava con tutto il cuore la fine dei
patimenti, degli incendi dei villaggi, dei bombardamenti, del
sangue... Le grandi vittorie degli alleati destavano speranze che la
fine della guerra fosse vicina. Con quanta gioia erano celebrate
queste vittorie, e che cosa significava la notizia della fine di
Mussolini, e quanto si era gioito per la liberazione di Kiev il 6
novembre 1943! Lo Stato maggiore allora si trovava a Jajce. Milovan
Djilas quella sera sentì lo speaker Levitan mentre a radio Mosca
leggeva l'ordine del giorno di Stalin riguardante la liberazione
della capitale dell'Ucraina, e corse su per le mura della città antica
e da lì sparò tre pallottole con la rivoltella, secondo una vecchia
tradizione montenegrina che si usava per annunciare qualche notizia lieta.
Anche i partigiani nella città avevano saputo della liberazione di
Kiev, e quando Djilas diede l'annunzio dalla fortezza, iniziarono a
sparare prima con le rivoltelle, poi dai fucili automatici, e tutta la
città rimbombava per gli spari. La gente uscì nelle strade ed iniziò a
ballare, e gli spari non si placavano. Tito non sapeva di che si
trattasse: era uscito fuori dalla stanza, mentre la sparatoria
diventava sempre più forte. Dalla città essa aveva contagiato anche le
nostre posizioni sui monti, ed i partigiani cominciarono a
cannoneggiare dalle montagne vicine. La sparatoria durò un'ora
intera.Volavano gli ordini per telefono, si pronunziavano
dichiarazioni. Quella serata si spesero tante munizioni quanto in una
intera battaglia. E ogni pallottola continuava ad essere preziosa –
tutto bisognava strappare al nemico.

Questo era l'umore dell'esercito e della gente nell'autunno del 1943,
quando la Milizia di liberazione partigiana, dopo esser riuscita a
superare le due ultime, durissime offensive, potè contare il numero di
300.000 combattenti. Il territorio liberato corrispondeva già alla
metà del territorio jugoslavo.

Nelle cerchie partigiane si era aperta la discussione su come
consolidare i risultati raggiunti fino ad allora. Il Comitato Centrale
del PCJ (Partito Comunista di Jugoslavia) subito dopo la capitolazione
dell'Italia aveva concluso che necessitava convocare l'AVNOJ
(Consiglio Antifascista di Liberazione Popolare della Jugoslavia) per
poter prendere le decisioni relative alla creazione di un governo
temporaneo della nuova Jugoslavia.

Ancora nell'ottobre del 1943, quando si ebbe notizia che a Mosca ci
sarebbe stata una riunione tra il Ministro degli esteri britannico
Eden, il ministro degli esteri americano Korder Hal ed il commissario
per gli affari esteri Molotov, Tito mandò il seguente telegramma a Mosca:

"Per quanto riguarda la Conferenza dei rappresentanti di Unione
Sovietica, Inghilterra ed America si suppone che sarà posta in
discussione anche la questione jugoslava.
Il Consiglio Antifascista della Jugoslavia, di Croazia e Slovenia, e
lo Stato Maggiore della Lotta di Liberazione Jugoslava e del
Movimento di Liberazione Jugoslavo mi hanno incaricato come
plenipotenziario di rendervi noto quanto segue:

Primo: noi non riconosciamo ne' il governo jugoslavo ne' il re che si
trovano all'estero, visto che essi da due anni e mezzo ed anche
tutt'oggi aiutano i collaborazionisti dell'invasore nonché il
traditore Draza Mihajlovic, e per questo sono responsabili di
tradimento verso i popoli jugoslavi.

Secondo: noi non permetteremo che costoro tornino nella Jugoslavia,
visto che questo significherebbe la guerra civile.

Noi lo dichiariamo in nome della stragrande maggioranza del popolo,
che vuole una repubblica democratica, basata sui comitati popolari di
liberazione.

Quarto: L'unico potere legale è il potere del popolo - al giorno
d'oggi questo sono i comitati popolari di liberazione capeggiati dei
consigli antifascisti.

La stessa dichiarazione sarà consegnata anche alla missione inglese
che si trova presso il nostro Stato Maggiore.
Il generale inglese già ci ha fatto capire che il governo inglese non
insisterà troppo sul re e il governo in esilio."

A Jajce, la vecchia capitale dei re di Bosnia, nella valle del fiume
Vrbas, dove si trovava lo Stato Maggiore nell'ottobre del 1943, con
impazienza si aspettavano i risultati della Conferenza di Mosca. Essa
si era protratta dal 13 fino a 30 ottobre, ma il governo sovietico non
mise all'ordine di giorno la dichiarazione di Tito.

Però in Jugoslavia fu deciso che si convocasse l'AVNOJ. Come luogo di
raduno era stata scelta Jajce. Durante la Seconda guerra mondiale
questa città diverse volte aveva cambiato padrone. I partigiani
l'avevano liberata nel 1942, ma verso la fine dello stesso anno i
tedeschi la avevano di nuovo ripresa, poi nell'autunno del 1943 fu per
la seconda volta liberata dai partigiani. In questa città si era
stabilito Tito con il suo Stato Maggiore. Sotto la fortezza, su una
piana, erano state costruite due baracche con gli uffici. In una
cameretta accanto abitava Tito.

Jajce era spesso sotto il tiro del bombardamento nemico. Allora Tito
generalmente scendeva verso la fabbrica, che disponeva di un tunnel,
dove la gente si riparava. Proprio alla vigilia della Conferenza
dell'AVNOJ Jajce fu di nuovo bombardata. Tito si trovava nel tunnel –
si era rifugiato li con molta altra gente e con i combattenti
partigiani. Qui si trovava anche la stazione di primo soccorso. Una
bomba che era caduta proprio sull'entrata del tunnel aveva ferito
alcuni combattenti del battaglione di scorta dello Stato Maggiore. A
un partigiano la bomba aveva fracassato lo stomaco. Subito, qui nel
rifugio, il medico lo aveva operato, mentre Tito reggeva la testa del
ferito.

- Gli sorreggevo la testa, ricorda Tito, mente grosse gocce di sudore
gli bagnavano la fronte. L'operazione si faceva senza anestetico. Il
compagno ferito tenne un atteggiamento coraggioso. Tentavo di
consolarlo: "Non preoccuparti, l'operazione di sicuro andrà bene."
Dopo alcuni secondi la sua testa cadde priva di vita nelle mie mani.

I delegati alla seduta dell'AVNOJ arrivavano dalle regioni più remote
della Jugoslavia. Tutti viaggiavano armati, essendo costretti a
passare dai territori liberati attraverso le terre ancora sotto
occupazione tedesca. Alcune delegazioni erano costrette a farsi strada
anche combattendo. La strada più lunga toccò ai montenegrini che
dovevano fare un viaggio di 300 km superando le montagne e le gole,
tutto a piedi ed armati.

Il Politburo del Comitato Centrale del Partito Comunista Jugoslavo
discusse se fosse necessario avvertire il Komintern del fatto che
sarebbe stato creato un governo provvisorio, che sarebbe stato tolto
al governo del re il diritto di rappresentare il governo jugoslavo, e
che al re Pietro sarebbe stato vietato il ritorno nel paese. Viste le
esperienze avute con la Prima seduta dell'AVNOJ, quando il governo di
Mosca con il suo intervento aveva vietato la creazione di un nuovo
governo jugoslavo provvisorio, il che avrebbe potuto avere delle
conseguenze gravi per lo sviluppo ulteriore del movimento, il
Politburo del Comitato Centrale del PCJ decise questa volta di
limitarsi ad avvisare il Komintern che sarebbe stato creato il governo
provvisorio, ma non che l'AVNOJ avrebbe dovuto decidere di togliere la
legittimità al governo del re e proibire al re il ritorno nella
Jugoslavia.

Sicché Tito, il 26 novembre, mandò a Mosca il telegramma seguente:

"Il 28 novembre inizia la seduta plenaria del Consiglio Antifascista
di Liberazione Popolare della Jugoslavia. L'ordine del giorno:
Riorganizzazione del Consiglio in organo legislativo temporaneo dei
popoli jugoslavi. Secondo: creazione del Comitato Nazionale, in vece
del potere esecutivo provvisorio, responsabile al Consiglio.

Si sono svolte già le sedute dei Consigli nazionali in Slovenia,
Croazia, Bosnia-Erzegovina, in Montenegro e in Sangiaccato, e in
queste sedute sono stati eletti i delegati che prenderanno parte alla
Seduta Plenaria. Sono stati eletti anche i delegati in Macedonia – fra
loro Dmitar Vlahov e Vlada Pop Tomov. Anche la Serbia ha mandato i
suoi delegati.

Sono arrivati già più di 200 delegati da varie parti del paese.
Sarebbe opportuno inviare loro i saluti dal Comitato panslavo. Questo
avrebbe un effetto positivo per lo sviluppo ulteriore della lotta di
liberazione nella Jugoslavia e nei Balcani."

L'AVNOJ tenne la sua seduta plenaria nella sala della ex società
ginnica di Sokol ("Il falco"). L'edificio in cui si trovava quella
sala era stato incendiato durante il primo attacco partigiano alla
città, ma appena fu liberata Jajce l'edificio fu ristrutturato, e
diventò Casa della Cultura. In quella sala il Teatro della liberazione
popolare rappresentava "Il Revisore" di Gogol ed altre pièces teatrali
che dipingevano la vita partigiana. Adesso la sala era stata addobbata
per la seduta plenaria dell'AVNOJ. Il podio era avvolto nelle
bandiere: quella jugoslava con la stella rossa in mezzo, poi la
sovietica, quella americana e l'inglese. La seduta si svolse soltanto
nel corso di una notte.

Proprio il giorno dell'apertura della Seconda seduta plenaria
dell'AVNOJ perse la vita per una bomba tedesca Ivo Lola Ribar, membro
dello Stato Maggiore. Era stato designato, insieme a Vladimir Velebit
e Milivoje Milovanovic, per la prima missione dello Stato Maggiore
partigiano mandata allo Stato maggiore degli Alleati in Medio Oriente.
Doveva partire con un aereo per l'Italia, ma gli aerei britannici non
poterono atterrare. Proprio in questi giorni un ufficiale dei
domobrani (collaborazionisti) da Zagabria era fuggito su di un aereo
tedesco "Dornier 17". Fu presa la decisione di inviare in Italia, con
quell'aereo recuperato, la delegazione jugoslava insieme ai due
ufficiali britannici. Da un improvvisato aeroporto partigiano il
nostro aereo era già pronto per mettersi in volo, quando da dietro una
montagna spuntò un aereo di esplorazione tedesco. Si precipitò subito
sul gruppo di gente che saliva sull'aereo e sganciò due bombe da un
centinaio di metri di altezza. Così persero la vita Ivo Lola Ribar, il
capitano inglese Donald Night, il maggiore inglese Robin Wederlee e un
partigiano che si trovava li per caso. Il fratello più giovane di Ivo
Lola Ribar, Jurica, pittore di fama, era caduto un mese prima in uno
scontro con i cetnizi in Montenegro.

Il padre di Lola Ribar, dottore Ivan Ribar, proprio quel giorno era
giunto dalla Slovenia a Jajce per assistere alla Seduta plenaria
dell'AVNOJ. Lui non sapeva affatto ne' che il figlio minore Jurica era
caduto ne' della tragica morte del figlio maggiore Ivo, appena
avvenuta. Quando giunse presso Tito, questi gli disse che Lola era
caduto la mattina. Il vecchio padre non pianse, chiese soltanto:
- Ma Jurica, che si trova lontano, sa della morte del fratello?
Quando sentirà che il fratello è caduto, sarà molto colpito...
Soltanto il quel momento Tito capì che il vecchio non sapeva di aver
perso anche il figlio minore. Tito rimase in silenzio per alcuni
secondi, riflettendo su cosa dire, poi si avvicino al vecchio Ribar,
gli prese la mano e gli disse piano:
- Anche Jurica è caduto in un scontro con i cetnizi in Montenegro, un
mese fa...
Il vecchio Ribar tacque, poi abbracciò Tito:
- È molto dura questa nostra lotta - disse...

La stessa sera si svolse il funerale di Lola Ribar. Un battaglione
della I brigata proletaria era stato posto come guardia d'onore nel
centro di Jajce. Per ultimo, dal figlio si era accomiatato il vecchio
padre. Con una voce forte, che soltanto qualche volta gli tremò, si
rivolse ai combattenti della Prima brigata proletaria:
- "Nessuna forza potrà fermare il popolo di questo paese nella lotta
di liberazione"...
Poi, la bara con il corpo di Lola Ribar fu portata in un posto
segreto, visto che esisteva il pericolo che i tedeschi o cetnizi
scoprissero la tomba e distruggessero la salma.

La Seconda seduta plenaria dell'AVNOJ è stata per la Jugoslavia
l'evento più significativo nella Seconda guerra mondiale. Essa ha,
infatti, posto le fondamenta del nuovo Stato. In questa seduta,
innanzitutto è stato creato il Comitato Nazionale, organo esecutivo
dell'AVNOJ, con funzione di governo provvisorio. Nella Seconda seduta
plenaria dell'AVNOJ è stata votata la decisione che si togliesse il
diritto, al governo in esilio, di continuare a rappresentare il
governo della Jugoslavia. È stato deciso ugualmente di vietare al re
Pietro e agli altri membri della dinastia Karadjordjevic di tornare in
Jugoslavia. La forma definitiva del governo del futuro stato –
monarchia o repubblica – sarebbe stata decisa dopo la guerra. È stato
proclamato che la nuova Jugoslavia sarebbe stata costituita su base
federale.
È stato pure deciso di rivolgere un appello al governo americano
perchè bloccasse le riserve auree della Jugoslavia, che erano state
portate a Washington per sottrarle ad Hitler, e che al momento
venivano spese e sprecate senza il minimo scrupolo dal governo in esilio.
Su proposta di Josip Vidmar, nell'esercito di liberazione è stato
introdotto il titolo di maresciallo. Già quando era stato deciso da
parte dello Stato Maggiore che nell'esercito di liberazione fosse
introdotto il grado di generale, Kardelj aveva proposto che si
introducesse anche il titolo di maresciallo, ma Tito non aveva
accettato. Invece, nella Seconda seduta plenaria dell'AVNOJ la
delegazione slovena ha portato la stessa proposta e questa è stata
accettata, con applausi da tutti i presenti. Quando l'AVNOJ ha
attribuito a Tito questa carica egli è stato molto commosso.

Quando la Seconda seduta plenaria dell'AVNOJ fu conclusa il CC del PCJ
mandò a Mosca il seguente telegramma:

"Alla fine di novembre si è tenuta a Jajce la Seconda seduta
plenaria dell'AVNOJ, dopo che sono state tenute le sedute territoriali
dei Consigli della Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, del
Sangiaccato e del Montenegro. Di 208 delegati, eletti da tutti i
popoli jugoslavi, ne erano presenti 142 che portavano le deleghe per
altri 66 delegati assenti con diritto al voto. La composizione delle
delegazioni nazionali indica che il movimento di liberazione
nazionale raduna nella maniera più larga possibile componenti di tutti
i gruppi democratici, e i lavori della Seduta plenaria si sono
trasformati in una manifestazione della profonda unità e fratellanza
di tutti i popoli della Jugoslavia. La principale relazione sullo
sviluppo della lotta di liberazione dei popoli jugoslavi, nonché sugli
eventi internazionali, è stata pronunciata da Josip Broz Tito ed è
stata accettata con i più grandi applausi ed altrettanto entusiasmo. –
Il delegato bosniaco dottor Vojislav Kecmanovic, leader della SDS
(Partito Democratico Serbo), ha proposto tre decisioni di massima
importanza:
- Primo: l'AVNOJ si costituisce come massimo organo legislativo e
rappresentativo, la cui presidenza nominata il Comitato di Liberazione
Jugoslavo con il carattere di governo provvisorio.
- Secondo: Si pone il principio federale come principio costituente
della Jugoslavia.
- Terzo: Si tolgono tutti i diritti ai governi in esilio e si vieta il
ritorno nel paese al re Pietro fino alla liberazione dell'intero
paese, quando sarà risolta definitivamente la questione della
monarchia o della repubblica.
- Sono state prese altre decisioni importanti:
- Su proposta della delegazione slovena è stato introdotto il titolo
di Maresciallo della Jugoslavia nell'esercito di liberazione popolare.
- Su proposta della stessa delegazione slovena e con lunghi e
calorosi applausi dei delegati presenti al Consiglio, questo titolo è
stato assegnato al comandante supremo Tito.

La presidenza eletta nel Consiglio è composta da 63 delegati. Il
presidente è il dottor Ivan Ribar, i vicepresidenti sono Mosa Piade,
Antun Augustincic, Josip Rus, Marko Vujacic e Dmitar Vlahov, il
segretario Rodoljub Ciolakovic e Radonja Golubovic e ancora 56 mombri
della presidenza.
La Presidenza ha nominato il Comitato nazionale con la composizione
seguente: presidente e fiduciario della difesa popolare Josip Broz
Tito, vicepresidenti Edvard Kardelj e Vladislav Ribnikar come
fiduciario dell'informazione con Bozidar Magovac; fiduciario degli
affari esteri il dottor Josip Smodlaka, fiduciario degli interni Vlada
Zecevic, dell'istruzione Edvard Kocbek, dell'economia Ivan
Milutinovic, delle finanze Dusan Senec, del traffico Sreten
Zujovic-Crni, della sanità Milivoj Jambresak, della ripresa economica
Teodor Vujasinovic, delle politiche sociali dottor Ante Krzisnik,
della magistratura Frane Frol, delle risorse allimentari Mile
Perinicic, dell'edilizia dottor Rade Pribicevic, delle foreste e delle
miniere Sulejman Filipovic.

30.XI.1943"

La seduta dell'AVNOJ si è tenuta contemporaneamente con la Conferenza
di Teheran fra Churchill, Roosvelt e Stalin. In questa conferenza,
come è noto, accanto alle questioni di strategia generale della guerra
contro Hitler, accanto alla questione dell'apertura del Secondo fronte
ed alla precisazione della data dell'apertura, si è discusso anche del
contributo della Jugoslavia nella guerra contro le forze dell'Asse.
Roosvelt, Stalin e Churchill hanno costatato che la forza principale
che ha combattuto contro i tedeschi è l'Esercito di Liberazione
Popolare sotto il comando di Tito.
Finalmente, dopo due anni e mezzo di tentativi e lotte costanti, dopo
una congiura da parte quasi del mondo intero perchè la verità sulla
Jugoslavia non venisse fuori, questa ingiustizia è stata finalmente
rettificata.
Con la decisione di Teheran i partigiani nella Jugoslavia sono stati
di fatto accettati come esercito di liberazione. E questo fatto è
stato approvato con la decisione formulata dai tre capi della
coalizione anti-hitleriana. Nella dichiarazione sulle decisioni prese
a Teheran al primo posto è stato messo il punto del riconoscimento dei
partigiani jugoslavi, al secondo l'entrata della Turchia in guerra, al
terzo la questione bulgara, al quarto – che l'apertura del secondo
fronte, cioè l'operazione "Overlord", debba iniziare nel maggio del
1944, al quinto che gli Stati Maggiori degli Alleati anche in seguito
debbano consultarsi sulle operazioni militari future delle loro
armate. Il testo completo sugli aiuti ai partigiani jugoslavi è il
seguente:

"La Conferenza è d'accordo che i partigiani nella Jugoslavia debbano
essere aiutati con materiale bellico e provviste in massimo grado
nonché con le operazioni dei commandos."

Questa formulazione l'hanno firmata insieme Churchill, Stalin e
Roosvelt il 1. dicembre 1943.

Sulle decisioni concrete di Jajce Tito non aveva avvisato in anticipo
i rappresentati di nessuna delle grandi forze mondiali, anche se nei
tratti principali le aveva comunicate sia al governo dell'URSS, con il
telegramma sopra citato, sia al generale Fitzroe MacLean, capo della
Missione militare alleata presso lo Stato Maggiore. Queste decisioni
erano una questione jugoslava, e spettavano come diritto esclusivo ai
popoli jugoslavi; queste decisioni erano basate sui principi per i
quali combattevano le Nazioni Unite nella Seconda guerra mondiale.
Nella risoluzione dell'AVNOJ si dice testualmente:

"I popoli della Jugoslavia con gioia accettano e salutano le
risoluzioni della conferenza di Mosca dei rappresentanti dei governi
dell'URSS, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti d'America, le quali
garantiscono a tutti i popoli il diritto di esprimere liberamente la
propria volontà e di decidere da soli della propria organizzazione
statale. Questa decisione è di massima importanza anche per i popoli
jugoslavi che con la loro insistente ed ostinata lotta di liberazione
hanno dimostrato la propria volontà nonché la capacità di porre le
fondamenta della loro comune futura patria, di una vera democrazia e
della vera uguaglianza tra i popoli."


FONTE: Vladimir Dedijer: TITO,
Kultura, Beograd, 1953 (pp.377-384)
Traduzione di JT, revisione del testo italiano a cura di AM.
I nomi anglosassoni, riportati nella trascrizione fonetica tipica del
serbocroato, potrebbero essere stati riprodotti qui in maniera non
rigorosa.

DOPO LA MADDALENA VIA TUTTE LE BASI STRANIERE

1. Comunicato stampa: dopo La Maddalena via tutte le basi straniere
(Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq)

2. REPORT DELL’INCONTRO NAZIONALE “SMOBILITIAMO LE BASI MILITARI E GLI
ARSENALI NUCLEARI”
(Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq)

3. UNA BUONA GIORNATA PER LA SARDEGNA E PER IL MOVIMENTO CONTRO LA
PRESENZA DI BASI MILITARI USA E NATO IN ITALIA (Bruno Steri)

4. Ma in Italia rimangono 10 porti nucleari / Un ritiro all'ombra delle
urne / Il disastro nucleare nel 2003 alla Maddalena fu vicino alla costa
da Il Manifesto del 22 e 23/11/2005


=== 1 ===
 
COMUNICATO STAMPA

DOPO LA MADDALENA VIA TUTTE LE BASI STRANIERE

Le recenti dichiarazioni del ministro Martino sull’intenzione, da parte
dell’amministrazione statunitense, di rinunciare all’approdo per i
sommergibili nucleari della Maddalena e all’ampliamento di quella base,
rappresenta un segnale positivo, frutto essenzialmente della
mobilitazione delle popolazioni sarde che da sempre si oppongono alla
militarizzazione del proprio territorio.

Per ora l’annuncio del ministro italiano della Difesa rappresenta
soltanto un primo passo, seppur importante, ma occorre vigilare e
continuare a mobilitarsi in tutte le forme possibili affinché gli
apparati militari statunitensi e della Nato avvertano costantemente la
richiesta di smilitarizzazione dei territori che proviene da alcune
forze politiche e sindacali del nostro paese, ma in particolare dai
comitati e dalle comunità locali che da anni si sono organizzate per
chiedere la chiusura delle innumerevoli basi militari imposte al nostro
paese da una relazione di sudditanza nei confronti di Washington e che
trasformano la penisola in una enorme portaerei al servizio della
strategia di guerra statunitense.

Occorre continuare a mobilitarsi affinché la dichiarazione di Martino
abbia un seguito concreto e affinché allaauspicabile chiusura della
base della Maddalena segua anche lo smantellamento dei poligoni
militari italiani in Sardegna e delle basi USA e NATO in territorio
italiano.

Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq

viadaliraqora @ libero.it
348 - 7213312

=== 2 ===

REPORT DELL’INCONTRO NAZIONALE “SMOBILITIAMO LE BASI MILITARI E GLI
ARSENALI NUCLEARI”

Giovedì 17 novembre, presso la Sala delle Colonne della Camera dei
deputati, si è tenuto un importante e riuscito incontro nazionale teso
a rilanciare la mobilitazione democratica e popolare contro le basi
militari straniere e le armi nucleari in Italia. Partendo dal convegno
di Pisa del dicembre scorso (“Mediterraneo para bellum”), si è avviata
in Italia unainteressante fase di confronto e iniziativa che ha
l’obiettivo di portare la questione della smobilitazione delle basi
militari dentro l’agenda politica e di trasferirla dal piano della
denuncia a quella della vertenza concreta.

Due Progetti di Legge come strumento di iniziativa

Per l’occasione sono stati presentati due progetti di legge a firma del
deputato dei Verdi Mauro Bulgarelli. Il primo (PdL n. 5971) riguarda
l’indizione di un referendum consultivo sullo smantellamento degli
armamenti nucleari presenti sul territorio nazionale, teso a dare ai
cittadini la possibilità di esprimersi sull’opportunità di mantenere
negli insediamenti militari italiani e stranieri, nonché nei poligoni
di tiro, a costi elevatissimi per l’intera collettività, dispositivi
nucleari che comportano, per tipologia e caratteristiche intrinseche,
un elevato rischio per la popolazione, sia sotto il profilo ambientale
che sotto il profilo sanitario. Il secondo (PdL n.6100), propone la
desecretazione automatica di tutti i documenti coperti da segreto di
stato la cui stipula risalga ad oltre 25 anni fa. Nel nostro paese,
infatti, poco o nulla si è fatto per garantire che i cittadini
potessero avere accesso reale alle informazioni, in particolare a
quelle che riguardano i rapporti e i patti di collaborazione stipulati
negli anni dal Governo italiano con altre nazioni o organismi
sovranazionali e a quelle inerenti le attività dei servizi di
sicurezza. La nostra storia recente dimostra che, proprio riguardo a
questi ultimi due temi, l’apposizione sistematica del segreto di Stato
ha inciso negativamente sia sui rapporti tra l’opinione pubblica e
l’esecutivo – come dimostra la crescente ostilità di quelle popolazioni
costrette a convivere sul proprio territorio con basi militari
straniere insediate grazie a patti bilaterali segreti - sia
sull’accertamento della verità riguardo a una serie di tragici
avvenimenti che sconvolsero la vita del Paese negli anni settanta e
ottanta del secolo scorso, durante il periodo della cosiddetta «
strategia della tensione », e di cui ancora nulla si conosce per quanto
concerne le responsabilità e i ruoli ricoperti da apparati dello Stato
in seno alle trame eversive che segnarono quegli anni.

Una partecipazione ampia a qualificata alla discussione

La discussione dell’incontro del 17 novembre è stata introdotta da
Sergio Cararo a nome del Comitato per il ritiro dei militari italiani
dall’Iraq. Sono poi intervenuti i parlamentari Mauro Bulgarelli
(deputato dei Verdi, firmatario e presentatore dei due Progetti di
Legge), Luigi Malabarba (PRC), Luciano Pettinari (DS). Hanno portato il
loro contributo Giovanni Franzoni (Associazione l’Iraq agli iracheni),
Gavino Sale (IRS, Sardegna), Valter Lorenzi (Comitato per la
riconversione di Camp Darby), Lisa Clark (Beati Costruttori di pace),
Angelo Baracca e Mauro Cristalli (Scienziate/i contro la guerra),
Massimo Paolicelli (LOC), Alessandro Bombassei (CPA, Firenze), Bruno
Steri (L’Ernesto), Alfonso Navarra (pacifista storico), Fulvio
Grimaldi, Vincenzo Miliucci (Cobas), Orsola Mazzola (Comitato gettiamo
le basi di Bologna). Messaggi sono giunti dal consiglio comunale di
Colle Solvetti (Livorno) che ha approvato un ordine del giorno per lo
smantellamento della base di Camp Darby, da Raniero La Valle (autore
nel 1984 di una proposta di legge analoga a quella presentata
quest’anno), dai consiglieri del PRC della Sardegna, dal Comitato
contro l’allargamento della base diEderle (Vicenza), dallo Slai Cobas
di Taranto.

Proposte di lavoro per i prossimi mesi

1) Il Comitato nazionale per il ritiro dei militari dall’Iraq da tempo
è impegnato affinché lo smantellamento delle basi militari e delle armi
nucleari diventi un punto centrale nell’iniziativa del movimento contro
la guerra. Con questoobiettivo invita tutti i comitati locali e le
realtà del movimento contro la guerra a gestire questi due progetti di
legge sia a livello nazionale che nei territori con assemblee popolari,
inclusive ed aperte in cui la presentazione dei progetti di legge possa
essere una occasione di confronto e di proposte operative.

2) Interessante in tal senso è il questionario approntato dal Comitato
di Camp Darby con cui indagare il rapporto tra le comunità locali e la
presenza delle basi militari. Il questionario è disponibile per chi
fosse interessato a utilizzarlo nella propria situazione (adeguandolo
ovviamente alla propria realtà specifica).

3) Invita inoltra a fare della giornata del 3 febbraio (anniversario
della strage del Cermis) una data simbolica per iniziative in tutte le
città contro la presenza delle basi militari USA/NATO con presidi, sit
in, mostre sotto le sedi delle Regioni, avviando così una fase di
pressing stretto teso a farle pronunciare contro l’allargamento e/o la
presenza delle basi militari e delle armi nucleari.

Nei prossimi giorni invieremo una bozza di programma per dettagliare la
giornata del 3 febbraio.

In calendario anche la proposta diiniziative contro le armi nucleari
per l’8 luglio, data del pronunciamento della Corte Internazionale
secondo cui le armi nucleari sono illegali.

Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani dall’Iraq

viadaliraqora @ libero.it
348 - 7213312

=== 3 ===

UNA BUONA GIORNATA PER LA SARDEGNA E PER IL MOVIMENTO CONTRO LA
PRESENZA DI BASI MILITARI USA E NATO IN ITALIA

La lotta comincia a pagare. Beninteso: nessuna facile illusione, poiché
sappiamo che la strada è ancora lunga e per nulla agevole. Ma
l’annuncio di ieri del ministro della Difesa Antonio Martino circa il
ritiro dei sommergibili nucleari Usa da La Maddalena è in ogni caso da
considerarsi una vittoria del movimento sardo contro le basi e i
poligoni militari e, in generale, del movimento contro la guerra nel
nostro paese.

E’ veroinfatti che, benché preannunciato, non è stato ancora
esplicitato un calendario preciso in attuazione della suddetta
decisione; che, ritirati dalle nostre acque territoriali, i
sommergibili nucleari restano tuttavia quali strumenti essenziali nella
ridislocazione delle forze Usa in Europa; che la base della Maddalena
permane comunque attiva nel cuore di un parco naturalistico nazionale;
e, infine, che resta il peso intollerabile delle servitù militari, che
fanno della Sardegna la regione più militarizzata d’Italia.

Tuttavia, non può sfuggire - accanto all’effetto pratico di liberare le
coste sarde da veicoli di morte, pericoli potenziali per la popolazione
residente e l’ambiente - il significato politico, altamente
emblematico, di tale decisione. Le operazioni militari hanno bisogno di
complicità e silenzio dei mezzi diinformazione: precisamente il
contrario di quel che molti cittadini sardi sono ormai disposti a
concedere. Le lotte, nonché la pubblicità e l’informazione dettagliata
che si riesce a raccogliere attorno ad esse, sono un ingombro che può
risultare insopportabile. E quando le istituzioni locali mostrano -
come in questo caso - la necessaria determinazione, offrendo
un’adeguata sponda politica, ancor più sabbia può entrare a minare
l’ingranaggio bellico. Il ministro ha tra l’altro negato che fossero
operativi piani per un consistente ampliamento della stessa base de La
Maddalena. In realtà il progetto c’era (comprovato da relativa
documentazione riservata): e ora è tutt’altro che trascurabile il fatto
che vi sia una retromarcia formalmente impegnativa.

Occhi aperti, dunque; non è che l’inizio. Questo passaggio serve a dare
forza per perseguire con crescente determinazione l’obiettivo della
chiusura totale della base. Nonché per estendere tale richiesta,
innanzitutto, ai poligoni di Quirra e Capo Teulada, restituendo i
relativi territori (oggi devastati dalle attività militari) a chi vi
abita e reimpiantandovi lavoro, salute e tutela dell’ambiente. Siamo
assolutamente soddisfatti di apprendere che “la Sardegna è territorio
ostile” (ovviamente, per i signori della guerra). Siamo fiduciosi che
si dimostrino “ostili” tutti i territori in cui ad oggi permangono (e
si allargano) basi militari Usa e Nato. Un caloroso saluto alle
compagne e ai compagni sardi

Bruno Steri
(Area Prc – Essere Comunisti)

 Roma, 23 novembre 2005  

=== 4 ===

Il Manifesto, 23/11/2005

Ma in Italia rimangono 10 porti nucleari

Quello della Maddalena non sarà il primo porto nucleare a chiudere i
battenti. Da quando il manifesto, nel febbraio 2000, portò alla luce
l'esistenza di ben 12 porti nucleari in Italia, rigorosamente tenuti
segreti, in ognuna delle città coinvolte si avviarono mobilitazioni per
la chiusura. La prima, e fino a ieri l'unica, a ottenerla, era stata
quella di Genova, in virtù dell'impegno diretto del comune e del fatto
che si tratta di una città d'arte. Ma questa volta non si tratta solo
del ritiro di una concessione all'approdo per imbarcazioni a
propulsione atomica. Alla Maddalena c'è una nave-appoggio Usa con un
migliaio di marines a bordo, e lì vengono effettuate anche riparazioni.


MADDALENA
Un ritiro all'ombra delle urne

MANLIO DINUCCI

Dopo aver annunciato, all'unisono con il presidente del consiglio
Berlusconi, che le truppe italiane si ritireranno dall'Iraq alla fine
del 2006 «secondo tempi e modi che saranno delineati entro il prossimo
gennaio», il ministro della difesa Martino ha fatto un altro
sensazionale annuncio: i sottomarini Usa di Santo Stefano, La
Maddalena, saranno trasferiti fuori dal territorio nazionale della
base. L'operazione, che «si inserisce nel quadro di ridislocazione
delle forze Usa in Europa», sarà compiuta «secondo tempi e modi che
dovranno essere definiti più avanti», come stabilito con il collega Usa
Rumsfeld. La notizia è stata definita dal presidente Soru «fantastica».
Soru ha indubbiamente tutte le ragioni per gioire: comunque sia,
l'annuncio del governo Berlusconi che i sottomarini Usa saranno
trasferiti «fuori dal territorio nazionale della base» è certamente
frutto del crescente movimento popolare le cui richieste sono state
fatte proprie dal consiglio regionale sardo. A far crescere la
preoccupazione e quindi l'opposizione popolare alla presenza della base
sono stati in particolare gli incidenti dei sottomarini a propulsione
nucleare, dei quali la popolazione e anche le autorità sono state
tenute all'oscuro. Tra questi, l'incidente del sottomarino Hatford
incagliatosi nelle acque dell'arcipelago maddalenino nell'ottobre 2003,
rivelatosi molto più grave (v. il manifesto di ieri [VEDI SOTTO]) di
quanto dichiarò allora il contrammiraglio Stanley, che parlò di
«incidente di piccola entità». Detto questo, occorre però recepire
l'annuncio del ritiro dei sottomarini Usa, così come quello del ritiro
delle truppe italiane dall'Iraq, con estrema prudenza.

Anzitutto, stando ai comunicati delle agenzie, non si parla di chiusura
della base della Maddalena ma di trasferimento dei sottomarini «fuori
dal territorio nazionale della base». In secondo luogo non si prende
alcun impegno sui tempi del presunto trasferimento, che dovrebbe essere
attuato «secondo tempi e modi che dovranno essere definiti più avanti».
Può apparire invece credibile che, «nel quadro di ridislocazione delle
forze», il Pentagono stia studiando una diversa dislocazione dei
sottomarini. Sarebbe invece pericolosamente illusorio pensare che il
Pentagono intenda diminuire la presenza di forze militari Usa in Italia
e nel Mediterraneo. Basti ricordare che la marina Usa ha il suo centro
principale a Napoli, dove è stato trasferito il quartier generale delle
Forze navali Usa in Europa che prima era a Londra, e che, oltre a La
Maddalena, dispone della base aeronavale di Sigonella e si sta
preparando a utilizzare più efficamente il porto di Taranto. In tal
modo il Pentagono sta trasformando sempre più l'Italia in trampolino di
lancio della «proiezione di potenza» statunitense verso sud e verso
est. Il fatto che il «ritiro» dei sottomarini Usa sia stato annunciato
contemporaneamente a quello delle truppe italiane dall'Iraq non è
casuale. Il governo di centrodestra vende in realtà la pelle dell'orso,
ben sapendo che a decidere non è Roma ma Washington e che a promettere
qualcosa da attuare dopo le elezioni non rischia nulla. Intanto, però,
con tali promesse spiazza il centrosinistra, il cui impegno sul ritiro
delle truppe dall'Iraq è estremamente titubante e quello sulle basi Usa
in Italia assolutamente assente. La sinistra si èinfatti da tempo
ritirata dalla lotta contro le basi Usa in Italia: questo è il vero
ritiro, che continua a pesare sul quadro politico italiano.


http://italy.indymedia.org/news/2005/11/929436.php

Il disastro nucleare alla Maddalena fu vicino alla costa. Notizia non
ripresa da nessuno
[da Il Manifesto del 22/11/2005]

Disastro nucleare vicino alla costa

Un istituto statale di studi francese rivela: il sottomarino Usa
Hartford il 25 ottobre 2003 si incagliò su uno scoglio tra La Maddalena
e Caprera, a pochi metri dal centro abitato e non in mare aperto come
avevano sostenuto gli americani. E i danni furono ingenti, mentre i
comandi minimizzarono
COSTANTINO COSSU
OLBIA

Il 25 ottobre del 2003 l'Uss 768 Hartford, un sommergibile ad armamento
atomico della Us Navy, lascia la base appoggio della Maddalena per
raggiungere il mare aperto, ma dopo poche miglia s'incaglia. Lo scafo è
gravemente danneggiato. Viene sfiorato il disastro nucleare. Tutto,
però, resta segreto sino al 18 novembre, quando, in una nota ufficiale,
i comandi americani annunciano: «Alle 12,40 del 25 ottobre il
sottomarino Uss Hartford della Marina degli Stati Uniti ha lievemente
toccato il fondale mentre navigava a est dell'isola di Caprera. Nessun
pericolo. Solo lievi graffi alla vernice dello scafo». Ora si scopre
che i militari Usa mentivano due volte. Mentivano sulla posizione del
sommergibile al momento dell'impatto e mentivano sulla gravità
dell'incidente. Il quotidiano La Nuova Sardegna ha pubblicato ieri un
rapporto dell'Irsn (Institut de radioprotection et de sureté
nucléaire), ente francese di controllo che risponde ai ministeri della
difesa, della sanità e dell'ambiente, che svela come l'incidente
dell'Hartford avvenne non ad oriente ma ad occidente di Caprera, e più
esattamente nello stretto braccio di mare che separa l'isola dalla
Maddalena, a poche centinaia di metri dalla città e dalla base di Santo
Stefano. A rischio è dunque stato, direttamente, il centro abitato della
Maddalena e la stessa base americana. Ma non basta. Dando un'occhiata
al sito web della Us Navy si scopre che è la stessa marina statunitense
ad ammettere che l'entità dei danni all'Hartford è stata molto grave.
Nel luglio del 2004, in occasione della cerimonia del cambio di
consegne della Emory Land, la nave appoggio intervenuta a riparare i
danni dell'Hartford il giorno dell'incidente, viene diffuso un
opuscolo, leggibile on line, che racconta alcuni episodi in cui i
membri dell'equipaggio si sono segnalati per la loro professionalità.
Si legge tra l'altro nel documento: «Nell'ottobre del 2003 l'equipaggio
della Emory Land ha eseguito lavori d'emergenza sull'Uss 768 Hartford
che si era incagliato. I sommozzatori, al lavoro ventiquattrore su
ventiquattro in condizioni di mare pessime e in tempi ristretti, hanno
effettuato lavori di riparazione che hanno richiesto saldature e tagli
per portare l'Hartford a condizioni di sicurezza tali da consentire il
ritorno del sottomarino negli Stati Uniti. L'equipaggio ha dimostrato
una qualità di primo livello e ha realizzato una delle imprese più
grandi di lavori subacquei mai eseguiti da una nave appoggio».

Altro che qualche graffio alla vernice del sottomarino, come ha tentato
di far credere il comando della Sesta Flotta. D'altra parte, la
versione che puntava a minimizzare la portata dell'incidente era già
stata smentita il 22 dicembre del 2003 da un piccolo quotidiano di
provincia americano, il The Day, che si stampa a New London, nel
Connecticut. Robert Hamilton, un cronista del giornale, andò a vedere
l'Hartford quando il sommergibile arrivò nei cantieri di Norfolk, in
Virginia, per essere riparato, e scoprì che metà del timone era stata
strappata via e che lo scafo era stato squarciato, tanto che venne
presa in considerazione l'ipotesi di rottamare il sottomarino. L'anno
scorso, poi, il 16 febbraio, il portavoce della Us Navy Robert Mehal,
dichiarò ai giornalisti: «I nostri tecnici hanno stimato che per
riparare l'Hartford occorreranno 9,4 milioni di dollari. I costi sono
stati sensibilmente ridotti perché non sarà costruito un timone nuovo;
sarà infatti utilizzato il timone del sommergibile, della stessa classe
Uss, Baltimore, dismesso nel 1998».

Insomma, che il 25 ottobre del 2003 alla Maddalena sia stato sfiorato
il disastro nucleare ormai non ci sono più dubbi. Ed è agghiacciante
scoprire ora, grazie al rapporto dei tecnici francesi, che un incidente
che poteva avere effetti devastanti sia avvenuto a poche centinaia di
metri dal porto della Maddalena, vicinissimo al centro della città, in
un tratto di mare che anche d'inverno è intensamente trafficato. Alla
Maddalena, intanto, la tensione cresce. Pochi giorni fa il consiglio
comunale all'unanimità ha respinto come inaccettabile il piano di
evacuazione dell'arcipelago in caso d'incidente nucleare presentato
dalla prefettura di Sassari. Il piano è largamente al di sotto della
gravità della situazione, che continua ad essere sottovalutata. Per
fare un solo esempio, il monitoraggio di eventuali fughe radioattive è
affidato all'Asl di Olbia, che si serve di strumenti vecchi e del tutto
inadeguati.

Da: ICDSM Italia
Data: Sab 26 nov 2005 15:48:31 Europe/Rome
A: icdsm-italia @yahoogroups.com, aa-info @yahoogroups.com
Oggetto: [icdsm-italia] MILOSEVIC DEVE ESSERE LIBERATO!


[ The following is the traslation into italian language of the texts
distributed by ICDSM and SLOBODA on Nov. 18th - see:
http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/message/206 ]

MILOSEVIC DEVE ESSERE LIBERATO!

Di seguito i materiali prodotti nella recente riunione congiunta
dell'ICDSM e dell'Associazione SLOBODA, a Belgrado il 12 novembre u.s.;
essi riguardano in particolare la richiesta di una sospensione del
"processo" per almeno 6 settimane viste le preoccupanti condizioni di
stress cui è sottoposto Milosevic - vedi bollettino medico allegato; si
veda anche l'accluso elenco delle violazioni dei diritti elementari ai
danni di Milosevic e dei suoi familiari.

(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)


da  : "Vladimir Krsljanin"
Data      : venerdì, 18 novembre 2005, 19:46:33 +0100
Soggetto : ICDSM: Slobodan Milosevic deve essere liberato per cure
mediche!

**************************************************************
INTERNATIONAL COMMITTEE TO DEFEND SLOBODAN MILOSEVIC
ICDSM           Sofia-New York-Mosca            www.icdsm.org
**************************************************************
Velko Valkanov, Ramsey Clark, Alexander Zinoviev (Co-Presidenti),
Klaus Hartmann (Presidente del Comitato), Vladimir Krsljanin
(Segretario), Christopher Black (Presidente della Commissione Legale),
Tiphaine Dickson (Portavoce Legale)

**************************************************************
18 novembre 2005                             Circolare Speciale
**************************************************************

In questo documento:
1. Raccolta di firme di iniziativa popolare in Serbia
2. Comunicato stampa dell’Associazione Sloboda-Libertà
3. Lettera al Consiglio di Sicurezza dell’ONU
4. Conclusione urgente dell’ICDSM e dell’Associazione “Sloboda”
5. Conclusione del team internazionale di specialisti medici
6. Libertà per Slobodan Milosevic! – Dichiarazione dell’ICDSM adottata
a Belgrado nella sessione di novembre.

********************************************************
Belgrado, 18 novembre. L’Associazione SLOBODA - Libertà ha iniziato a
raccogliere le firme per una iniziativa popolare in modo da imporre
all’agenda del Parlamento Serbo la richiesta della liberazione
temporanea del Presidente Milosevic per il suo stato preoccupante di
salute e per garantirgli cure appropriate. Secondo la Costituzione
Serba, sono necessarie 15.000 firme per questa iniziativa.
**************************************************************
COMUNICATO STAMPA
           
Il comportamento del “tribunale” dell’Aja mette in gioco la vita del
Presidente Milosevic.
É necessaria una reazione immediata delle autorità in carica e di
tutta la società in Serbia, come pure del Consiglio di Sicurezza
dell’ONU, per far cambiare questo comportamento.
Un team internazionale di medici specialisti dalla Francia, dalla
Russia e dalla Serbia, che hanno visitato il Presidente Milosevic il 4
novembre, ha concluso che per lui sono necessarie almeno sei settimane
di riposo totale, senza alcuna attività fisica o mentale. Sia ben
chiaro che il peggioramento delle condizioni di salute del Presidente
Milosevic sono da imputarsi solamente a questo “tribunale”.
Ciononostante, in questi giorni il “tribunale” ha lanciato una
pericolosa ed insolente sfida ai diritti dell’uomo, all’Organizzazione
delle Nazioni Unite, alla professione medica e giuridica, respingendo
gli accertamenti e le conclusioni dei medici specialisti, e imponendo
al Presidente Milosevic, malato, di comparire nell’aula del tribunale,
un atto che ha messo in pericolo la vita stessa del Presidente.
Noi facciamo appello a tutti i medici, ai giuristi, alle istituzioni
per la tutela dei diritti dell’uomo e a tutta la gente onesta di questo
e degli altri paesi ad unirsi all’appello del Comitato Internazionale
per la Difesa di Slobodan Milosevic e dell’Associazione Libertà, perché
si agisca immediatamente per fermare il crimine nella sua fase finale.
Il procedimento all’Aja deve essere sospeso e al Presidente Milosevic
devono essere riservate cure mediche adeguate in libertà, in modo da
renderlo idoneo, dopo il suo recupero, a continuare a prendere parte al
processo.

ASSOCIAZIONE LIBERTÀ - COMITATO NAZIONALE PER LA LIBERAZIONE DEL
PRESIDENTE SLOBODAN MILOSEVIC

Belgrado, 18 novembre 2005

************************************************

AI MEMBRI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA
AL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU
ALL’ALTO COMMISSARIO DELL’ONU PER I DIRITTI UMANI

Belgrado, 15 novembre 2005

L’Associazione Libertà-Sloboda di Belgrado si pregia di portare alla
vostra cortese attenzione e con urgenza alla vostra considerazione i
tre seguenti documenti che riguardano i diritti umani del Presidente
pluriennale della Serbia e della Jugoslavia, il Sig. Slobodan Milosevic
– il Comunicato congiunto del Comitato Internazionale per la Difesa di
Slobodan Milosevic e dell’Associazione Libertà-Sloboda, la Relazione
Conclusiva di specialisti medici dalla Francia, dalla Russia e dalla
Serbia che hanno esaminato di recente il Presidente Milosevic, e la
Dichiarazione del Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan
MILOSEVIC.

Noi riteniamo che Loro dovrebbero agire senza indugio, secondo la
vostra competenza e i diritti umani universalmente riconosciuti, in
modo da proteggere la vita e lo stato di salute del Presidente
Milosevic e da impedire la possibilità di un suo processo in absentia.

Rispettosamente,

Il Presidente del Comitato dell’Associazione per la Libertà-Sloboda
Bogoljub Bjelica


*********************************************************

COMUNICATO CONGIUNTO DEL COMITATO INTERNAZIONALE PER LA DIFESA DI
SLOBODAN MILOSEVIC E DELL’ASSOCIAZIONE LIBERTÀ-SLOBODA DOPO L’ASSEMBLEA
TENUTA A BELGRADO IL 12 NOVEMBRE 2005

           Il Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan
Milosevic e il Comitato Nazionale-Associazione “Sloboda” per la
Liberazione di Slobodan Milosevic hanno ricevuto, in data 4 novembre
2005, un bollettino medico relativo alle condizioni di salute del
Presidente Slobodan Milosevic, che suscita profonde preoccupazioni
presso i membri del Comitato Internazionale e Nazionale. Il suo stato
di salute risulta seriamente compromesso: questo è dovuto ai suoi
sforzi sovrumani nella lotta per far emergere la verità e alle
condizioni di detenzione nelle quali sta vivendo. Egli sta investendo
ulteriori sforzi per vincere in modo definitivo la sua battaglia per la
verità, e sta facendo tutto questo a detrimento della sua salute alla
luce delle minacce che ha subito da parte del Tribunale Internazionale
per i Crimini nella ex-Jugoslavia - ICTY -, che egli non accetta, e che
il Collegio di Difesa respingerà.
La nostra opinione è che il prezzo della sua difesa non deve essere
pagato a scapito della sua salute e della sua vita.
Noi domandiamo la sospensione immediata del processo almeno per un
periodo di 6 settimane, come proposto dai medici in modo da
consentirgli il riposo indispensabile e le cure mediche. Qualsiasi
tentativo di processarlo in absentia, e quindi abusare delle sue
deteriorate condizioni di salute, distruggerà ogni illusione su questo
procedimento.
"Il Tribunale" deve osservare il consiglio fornito dai medici e
mostrare rispetto del fatto che la vita umana e la salute sono valori
sopra tutti gli altri.
Quando le condizioni di salute del Presidente Milosevic saranno
ristabilite, egli continuerà con tutte le sue forze la lotta per la
verità e la giustizia che egli sta conducendo all’Aja a vantaggio e per
il benessere del popolo Serbo e dell’intera umanità.

in Belgrado, 12 novembre 2005

COMITATO INTERNAZIONALE PER LA DIFESA DI SLOBODAN MILOSEVIC
firmato
Ramsey Clark       Sergei Baburin         Velko Valkanov

ASSOCIAZIONE "SLOBODA" – COMITATO NAZIONALE PER LA LIBERAZIONE DEL
PRESIDENTE SLOBODAN MILOSEVIC
firmato
Bogoljub Bjelica

**********************************************************

CONCLUSIONI COLLETTIVE DOPO IL CONSULTO MEDICO SULLO STATO DI SALUTE
DEL SIGNOR SLOBODAN MILOSEVIC, EFFETTUATO IL 04.11.2005

Tenuto conto dei risultati degli esami medici consultati nella cartella
clinica e realizzati per la visita del 4 novembre 2005, si può
concludere che le condizioni di salute del paziente non si sono
ristabilite e che sono possibili complicazioni. Questo stato necessita
di ulteriori accertamenti con l’obiettivo di precisare le origini degli
scompensi presentati.
Quindi è necessario proporre al paziente un periodo di riposo, che
comporta la cessazione di tutte le attività fisiche e psichiche per un
periodo minimo di 6 settimane, cosa che gli consentirà probabilmente di
diminuire i disturbi, o tutt’al più di stabilizzarli, e poi consentirà
le procedure diagnostiche supplementari per adattare al meglio la
terapia.
Verrà redatto e presentato un ulteriore rapporto definitivo e
dettagliato da ciascuno specialista.

IL COLLEGIO MEDICO

Margarita Shumilina, Ph.D, angiologa

Professor Florence Leclercq, Ph.D, cardiologa

Professor Vukasin Andric, Ph.D, otorinolaringoiatra

*******************************************************

Libertà per Slobodan Milosevic

Dichiarazione del Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan
Milosevic

Belgrado, 12 novembre 2005

I.

Noi, rappresentanti del Comitato Internazionale per la Difesa di
Slobodan Milosevic, nell’assemblea del 12 novembre 2005, a Belgrado,
sotto gli auspici dell’Associazione Libertà-Sloboda, esprimiamo la
nostra più profonda indignazione per il proseguimento del processo
contro il Presidente Slobodan Milosevic condotto davanti al cosiddetto
Tribunale Internazionale per la ex Jugoslavia (ICTY).

Durante le sue operazioni, che vanno avanti da dodici anni e mezzo,
l’ICTY ha dimostrato al mondo che, più che funzionare da istituzione di
giustizia, mette in campo la costrizione e il ricatto, ed è sottoposto
a flagranti pressioni delle potenze che effettivamente hanno
contribuito al massimo alla disgregazione della ex Jugoslavia e alle
guerre civili che hanno incoraggiato.
L’ICTY ha dimostrato di essere una istituzione di arbitrarietà e di
assenza di diritto, non di riconciliazione.
Le attività dell’ICTY, e in particolare il trattamento ed i
procedimenti contro Slobodan Milosevic, dimostrano come l’ICTY sia un
mezzo di ritorsione contro la Repubblica Federale di Jugoslavia (FRY),
ed in generale contro i suoi cittadini, e contro i Serbi in
particolare, data la loro resistenza alla frantumazione della ex
Jugoslavia e la loro difesa eroica contro l’aggressione della NATO nel
1999.
L’aver messo sotto accusa Slobodan Milosevic ha trasferito la
responsabilità per questa aggressione e per gli atti di terrorismo
commessi dall’UCK, l’Esercito di Liberazione del Kosovo KLA, sulle sue
vittime. [1]

Perciò, l’ICTY ha mostrato al mondo intero che il suo ruolo più
importante consiste nel legittimare e legalizzare le violazioni più
flagranti del diritto internazionale, così come i peggiori crimini
commessi durante lo smembramento della ex Jugoslavia e l’aggressione
della NATO contro la RF di Jugoslavia. Per tutto questo l’ICTY non è
una istituzione di giustizia. Invece, è un mezzo per la realizzazione
di particolari obiettivi specifici, un simbolo di discriminazione e di
violenza legalizzata.
La messa in stato di accusa dell’ex Presidente della Serbia e della RF
di Jugoslavia per presunti crimini nel Kosovo - Metohija veniva
intentata il 24 Maggio 1999 nel bel mezzo dell’aggressione NATO contro
la RF di Jugoslavia. Questa guerra illegale era in contrasto con la
Carta della NATO, con la Carta dell’ONU e con il diritto
internazionale. Questa aggressione rappresenta un crimine contro la
pace, il supremo crimine internazionale.

Durante il bombardamento criminale della RF di Jugoslavia, durato 78
giorni, gli aggressori hanno ammazzato e ferito migliaia di civili,
distrutto infrastrutture economiche e di trasporto, tentato di uccidere
il Presidente Milosevic bombardando la sua residenza, usato bombe a
frammentazione ed ad uranio depleto, e provocato distruzioni per un
ammontare di 100 miliardi di dollari. Per colmo di ironia, sono state
lanciate accuse contro Slobodan Milosevic per presunti crimini contro
la Croazia e la Bosnia-Erzegovina.

Per contro, l’ICTY non ha messo sotto accusa nessun leader dei paesi
membri della NATO o pilota per i crimini commessi durante l’aggressione.
Invece l’ICTY ha promosso la messa in stato di accusa, con il sostegno
dell’Amministrazione Clinton, contro Slobodan Milosevic, un capo di
stato democraticamente eletto che è rimasto alla guida del suo paese, a
difendersi dall’aggressione.
Il Presidente Milosevic, che è stato obbligato a combattere nel suo
paese il terrorismo avallato dall’esterno, è stato coinvolto nella
“Guerra al Terrorismo”, essendo stato messo sotto processo da quegli
stessi che hanno acceso i conflitti etnici e che hanno creato le
organizzazioni terroristiche nei territori della ex RFJ. Noi non
accettiamo che il Presidente Milosevic venga accusato da coloro che
hanno appoggiato il terrorismo, e si armonizzavano con questo, mentre
ancora oggi dichiarano di combatterlo.

Arrestando Slobodan Milosevic illegalmente e trasferendolo all’ICTY,
sono state stracciate sia la Costituzione della RF di Jugoslavia, che
la Costituzione della Serbia. Quindi, il rapimento e la consegna del
Presidente Milosevic all’ ICTY rappresentano una violenza alla
costituzione democratica ed un fatto senza precedenti nella storia
moderna. Coloro che hanno perpetrato questo atto vergognoso devono
assumersene la responsabilità davanti ai cittadini della Serbia e
davanti alla storia.

II

Allo stato attuale, dopo che solo una parte dei testimoni a difesa è
stata interpellata nell’interesse del Presidente Milosevic davanti
all’ICTY, si può sottolineare con certezza che il procedimento
accusatorio della cosiddetta Procura dell’Aja nei suoi confronti ha
subito una disfatta!
L’opinione pubblica mondiale e gli esperti hanno potuto verificare,
dopo aver sentito le testimonianze prodotte dall’Accusa, che il
procedimento contro Slobodan Milosevic per il crimine di genocidio è
completamente senza fondamento e non è confortato nemmeno da un singolo
straccio di prova oggettiva. Non solo non esiste alcuna prova per
l’accusa di genocidio, ma non esiste nemmeno alcuna prova per ognuno
dei punti della messa in stato di accusa.
Attraverso la forza delle argomentazioni della verità, il Presidente
Milosevic ha completamente distrutto tutte le menzogne addotte contro
di lui nel cosiddetto Atto Formale di Accusa.

Naturalmente non esistono prove contro Slobodan Milosevic. Purtuttavia,
è in atto un procedimento. L’organizzazione dell’ICTY ha tentato,
imponendo le sue regole per l’andamento processuale, conformandole e
adattandole alle proprie necessità politiche, di impedire a Slobodan
Milosevic le sue dimostrazioni della verità. Questa è la ragione per
cui il tribunale sta ora tentando di limitare il tempo necessario ai
testimoni che egli ha invitato a deporre.
Questo deve essere impedito!

La presunzione di colpevolezza, la illimitata durata della detenzione,
la responsabilità retroattiva, le accuse segrete e le testimonianze
segrete, così come l’uso dei servizi segreti per raccogliere prove,
queste sono solo alcune delle più evidenti attestazioni del fatto che
non esiste alcuna giustificazione per l’esistenza dell’ ICTY come
organismo legale, e ancor meno come istituzione che opera sotto il
patrocinio delle Nazioni Unite.
Noi consideriamo iniquo il procedimento contro il Presidente Milosevic.
Inoltre, ogni accelerazione dei tempi del processo rappresenta un
incoraggiamento per i nemici della verità e dell’affermazione dei fatti.
Tutti i fatti suddetti evidenziano che il procedimento giudiziario è
nullo. Quello che noi domandiamo è che questa farsa di processo venga
sospesa, e che il Presidente Milosevic venga rilasciato.

III

La lista seguente elenca dettagliatamente i più comuni tipi di abuso
inflitti al Presidente Milosevic.

A.

1.      Il 28 giugno 2001, il Presidente Milosevic viene prelevato a
forza, illegalmente, senza darne conoscenza alla sua famiglia e alle
specifiche istituzioni legali della RFJ, e tradotto al penitenziario
dell’Aja in violazione dei provvedimenti costituzionali e legali
esistenti nella RFJ e internazionalmente. L’appello per l’Habeas Corpus
presso le Corti Olandesi non è stato convalidato, malgrado i fatti
evidenti che dimostravano come questo fosse un caso di sequestro di
persona.

B.     I diritti e le prerogative del Presidente Milosevic nel
penitenziario dell’Aja sono stati totalmente cancellati.

1.      Molte volte i suoi inalienabili diritti a rappresentarsi e a
difendersi personalmente sono stati messi in discussione. Sono stati
dedicati lunghi periodi a discussioni formali, rendendo i preparativi
della difesa più tediosi e facendo perdere del tempo. La quantità di
materiale presentato dall’Accusa non solo è irrilevante ma anche
enorme, e questo ha influenzato negativamente l’andamento del
procedimento e lo stato di salute del Presidente Milosevic.

2.      Malgrado gli sforzi giganteschi, sostenuti dall’opinione
pubblica mondiale, non si sono avuti miglioramenti delle condizioni di
salute del Presidente Milosevic, e questo è dovuto ai ripetuti ostacoli
frapposti dall’ICTY. Non si vedono all’orizzonte soluzioni mediche
soddisfacenti, sebbene il procedimento contro il Presidente Milosevic
vada avanti da quattro anni. L’ICTY, in nome dell’efficienza, ha
imposto un calendario snervante per la presentazione della Difesa, che
ha prodotto allarmanti conseguenze sullo stato di salute del Presidente
Milosevic. Le argomentazioni dell’Accusa non sono state sottoposte a
tali restrizioni!

3.      Sono state imposte limitazioni al diritto di ricevere visite e
di avere contatti telefonici e questo è inumano e fondamentalmente ha
l’obiettivo di aumentare lo stress psicologico, fisico ed emozionale
del Presidente Milosevic. Queste e altre forme vessatorie sono state
applicate per diminuire le capacità di difesa del Presidente Milosevic,
e per ottenere un ulteriore deterioramento della sua salute.

4.      Le richieste numerose, e ampiamente supportate da specialisti
medici e legali e da una larga opinione pubblica, per il rilascio
temporaneo del Presidente Milosevic fino a questo momento sono state
ripetutamente respinte sotto le pressioni dell’Accusa.

C.     Vessazioni ed abusi contro la famiglia del Presidente Milosevic

1.      Oltre alle pressioni esercitate sul Presidente Milosevic
durante la sua detenzione nel penitenziario dell’Aja, è aumentata la
sua persecuzione attraverso le negazioni delle cure per la sua malattia
e gli abusi inflitti ai suoi parenti più prossimi.

2.      Noi vogliamo sottolineare l’indicibile vergogna per cui a sua
moglie da quasi tre anni è impedito fargli visita. I suoi figli non
hanno avuto mai la possibilità di incontrarlo.

3.     È cosa sbalorditiva ma vera che tutti i parenti prossimi adulti
della sua famiglia sono stati imputati con accuse assurde. Nessuna di
queste è stata comprovata, e quella contro suo figlio è stata fatta
cadere. Al presente, queste accuse ridicole, non accompagnate da
prove, e decisioni speciali per la limitazione degli ingressi
nell’ambito dell’Unione Europea che sono state invocate contro i
famigliari del Presidente Milosevic, rendono impossibile per la sua
famiglia di visitarlo. Queste limitazioni all’ingresso sono state
rafforzate dalle decisioni dell’Accusa.

4.      Sua moglie è stata accusata senza prove di aver influenzato
illegalmente una decisione di assegnare un appartamento ad un’altra
persona.

5.      L’accusa contro il figlio del Presidente Milosevic, che era in
forza da almeno quattro anni, e secondo la quale egli avrebbe
presumibilmente picchiato e intimidito un giovane membro di un gruppo
di opposizione politica, è stata ritirata solo un mese fa. Vecchie
accuse contro di lui sono state reiterate, e ne sono state prodotte di
nuove di recente.

6.     Sua figlia, per poter vivere indisturbata, ha dovuto trasferirsi
in Montenegro. Fin dal 2002 era stata tormentata da un mandato di
comparizione, con l’intenzione di condannarla per il suo comportamento
tenuto durante la notte del sequestro di persona del Presidente
Milosevic.

7.      Tutte queste accuse sono pretestuose e malignamente sbandierate
dai vari mezzi di informazione che cercano di aumentare le molteplici
pressioni esercitate sul Presidente Milosevic.

8.      A nostra conoscenza, questa è la prima volta che una persona
messa sotto processo vede i membri della sua famiglia accusati con lui,
e per una serie di reati inventati. Queste accuse esercitano sul
Presidente Milosevic una pressione collaterale. E questo è procurato
con l’intento di demolire le sue capacità di difesa.

IV.

In considerazione di tutto questo, noi, membri del Comitato
Internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic esigiamo dal
Consiglio di Sicurezza dell’ONU, allo scopo di consentire al
Presidente Milosevic di portare a completamento la sua difesa e alla
luce dei fatti che sono stati in modo tanto evidente comprovati:

1.      Che il processo contro Slobodan Milosevic venga interrotto,

2.      Che vengano tutelate la salute e la vita del Presidente
Milosevic,

3.      Che vengano sospese tutte le forme di pressione sul Presidente
Milosevic e sui membri della sua famiglia,

4.       Che il processo contro il Presidente Milosevic venga sospeso
fino a conseguire la normalizzazione delle sue condizioni di salute.

5.     Il comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic
sottolinea le disastrose conseguenze della disgregazione della
Repubblica Federale di Jugoslavia -RFJ-, e il fatto che l’arresto e il
processo politico contro il Presidente Milosevic hanno fornito un
ulteriore incoraggiamento alla messa in opera di atti di terrorismo -
compresi veri e propri pogrom - nel Kosovo-Metohija .

6.      Il Consiglio di Sicurezza deve far terminare le operazioni del
Tribunale ICTY, che non ha di certo contribuito al processo di
riconciliazione. Al contrario, esso ha solo peggiorato le relazioni
inter-etniche nel territorio dell’ex Repubblica Socialista Federativa
di Jugoslavia - RFSJ.

7.      Si deve prendere la decisione di garantire al Presidente
Milosevic del tempo addizionale, tale che i testimoni che egli ha
programmato di produrre abbiano l’opportunità di deporre.

8.      Il Presidente Milosevic ha ricercato l’unità della Federazione
Jugoslava, e perciò si è battuto sempre contro l’aggressione straniera
e il terrorismo. Sono quelli che hanno incitato e appoggiato il
terrorismo nel territorio dell’ex RFSJ, e in particolare nella RFJ -
nel Kosovo-Metohija – che dovrebbero essere portati davanti alla
giustizia, indifferentemente dalla loro nazionalità e dalla loro
posizione sociale!

9.      Immediatamente devono essere messe in atto tutte le misure
necessarie per consentire una diagnosi adeguata delle condizioni di
salute del Presidente Milosevic, e per permettere a vari team medici di
esaminarlo.

10.  Devono essere intrapresi tutti i passi necessari, inclusa la
liberazione temporanea del Presidente Milosevic, per consentire al suo
stato di salute di normalizzarsi.

11.  Siano immediatamente abolite, senza indugio, tutte le limitazioni
a che il Presidente Milosevic possa ricevere la visita dei membri della
sua famiglia.

12.  tutto questo si rende necessario per assicurare condizioni normali
alla ripresa e alla conclusione del processo condotto illegalmente
contro il Presidente Milosevic davanti al Tribunale Internazionale per
i Crimini nella ex Jugoslavia (ICTY).


[1]  "Terrorismo" è qui definito a designare atti di violenza che
prendono come obiettivo e vengono scatenati contro la popolazione
civile di uno stato sovrano, contro i quali questo stato ha il diritto
(e l’obbligo) di proteggere i suoi cittadini, e atti di violenza
perpetrati contro quegli agenti dello stato inviati a protezione delle
popolazioni civili e della costituzione. La definizione da noi proposta
non è quella che continua ad essere usata dalle stesse potenze che
hanno mosso una guerra di aggressione contro la Jugoslavia: le quali
indicano come terrorismo l’esercizio legittimo della resistenza dei
popoli contro l’aggressione e l’occupazione del loro paese.

******************************************************

URGENTE APPELLO DI RACCOLTA DI FONDI

******************************

Il Presidente Milosevic ha la verità e la legge dalla sua parte. Per
usare questo vantaggio in modo da riacquistare la sua libertà, noi
dobbiamo lottare contro questo tribunale completamente discreditato e i
suoi protettori attraverso atti condotti professionalmente che devono
chiamare in causa le Associazioni degli Avvocati, la Corte Europea, gli
organi in carica delle Nazioni Unite e i mezzi di informazione di massa.
La nostra esperienza ha dimostrato che il lavoro di volontariato ad hoc
non è sufficiente ad affrontare questi compiti. I fondi assicurati in
Serbia bastano solo a coprire le spese di soggiorno e operative degli
assistenti legali (uno per volta) del Presidente Milosevic all’Aja. I
fondi assicurati dalla sezione di Germania dell’ICDSM (ancora sempre la
sola con contribuzioni regolari) sono sufficienti solo a coprire il
lavoro minimo addizionale all’Aja connesso con i contatti e la
preparazione dei testimoni dall'estero. Tutto il resto è carente.

Recentemente, l’attività di raccolta di fondi della sezione Tedesca è
stata presa di mira da un attacco senza fondamento della Guardia di
Finanza in Germania. Questo rende necessario da parte vostra uno
sforzo straordinario, drammaticamente urgente! Anche le attività di
base della difesa all’Aja sono alla corda!

Per rendere più praticabile il modo di inviarci le vostre donazioni,
noi siamo in grado ora di darvi il conto di una organizzazione amica in
Austria (vedi sotto). Vi preghiamo di inviare le vostre donazioni a
questo conto, per colmare la lacuna prodotta dopo il congelamento del
conto in Germania. Tenete presente che tutti i trasferimenti bancari
all’interno dell’Unione Europea sono ora allo stesso prezzo che
all’interno di ogni paese.

***********************************************************

C’è immediato bisogno di 3000-5000 EURO al mese.
La nostra storia e il nostro popolo ci obbligano a procedere
necessariamente con questa azione. Ma, senza questi fondi, questo non
sarà possibile.
Vi preghiamo di organizzare con urgenza l’attività di raccolta di fondi
e di inviare le donazioni al seguente conto:

Jugoslawisch-Österreichische
Solidaritäts-Bewegung. (JÖSB)
Bank Austria
IBAN AT49 1200 0503 8030 5200
BIC BKAUATWW

************************************************************

Tutte le vostre donazioni saranno usate per le attività legali e le
altre necessarie che si accompagnano, sotto le indicazioni o con il
consenso del Presidente Milosevic. Per ottenere informazioni
addizionali sull’uso delle vostre donazioni o per ottenere ulteriori
indicazioni sul modo più efficiente di inviare donazioni o effettuare
trasferimenti bancari, vi preghiamo di non esitare a contattarci:

Peter Betscher (Tesoriere ICDSM) E-mail: peter_betscher @ freenet.de
Phone: +49 172 7566 014

Vladimir Krsljanin (Segretario ICDSM) E-mail: Slobodanvk @ yubc.net
Phone: +381 63 8862 301

***************************************************************

Per la verità e i diritti umani contro l’aggressione!
Libertà per Slobodan Milosevic!
Libertà e giustizia per i popoli!
Per conto di Slobodan e dell’ICDSM,

Vladimir Krsljanin,
Assistente per le Relazioni con l’Estero del Presidente Milosevic

*************************************************************

SLOBODA ha urgente necessità delle vostre donazioni.
Per trovare dettagliate istruzioni, vi preghiamo di andare a:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm

Per unirvi ed aiutare questa lotta, visitate:
http://www.sloboda.org.yu/ (Sloboda/Freedom association)
http://www.icdsm.org/ (Comitato Internazionale per la Difesa di
Slobodan Milosevic ICDSM)
http://www.free-slobo.de/ (sezione Tedesca dell’ICDSM)
http://www.free-slobo-uk.org/ (sezione Britannica dell’ICDSM)
http://www.icdsm-us.org/ (sezione USA dell’ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (sezione Irlandese dell’ICDSM)
http://www.pasti.org/milodif.htm (sezione Italiana dell’ICDSM)
http://www.wpc-in.org/ (Comitato per la Pace nel Mondo-World Peace
Council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (centro antiNATO dei Balcani)

--- Fine messaggio inoltrato ---


==========================

IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA
Il j'accuse di Slobodan Milosevic
di fronte al "Tribunale ad hoc" dell'Aia"
(Ed. Zambon 2005, 10 euro)

Tutte le informazioni sul libro, appena uscito,
alla pagina:
https://www.cnj.it/documentazione/autodifesa04.htm

==========================
ICDSM - Sezione Italiana
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27 -- 00043 Ciampino (Roma)
tel/fax +39-06-4828957 -- email: icdsm-italia @ libero.it
http://www.pasti.org/linkmilo.html
*** Conto Corrente Postale numero 86557006, intestato ad
Adolfo Amoroso, ROMA, causale: DIFESA MILOSEVIC ***
LE TRASCRIZIONI "UFFICIALI" DEL "PROCESSO" SI TROVANO AI SITI:
http://www.un.org/icty/transe54/transe54.htm (IN ENGLISH)
http://www.un.org/icty/transf54/transf54.htm (EN FRANCAIS)

(francais / italiano)

Intellettuali di servizio: Alain Finkielkraut

"Non sono cattivi... sono musulmani"

ALAIN FINKIELKRAUT, saggista e giornalista francese di origine ebraica,
è tristemente noto a chi si è occupato in questi anni della crisi
jugoslava come uno di quegli intellettuali europei che con più
accanimento si sono adoperati per la secessione croata prima e per
quella bosniaca poi, ed a favore della uccisione della Jugoslavia
multietnica (intenzionalmente e propagandisticamente confusa con la
"Grande Serbia").

Finkielkraut è solo uno degli esponenti della agguerrita squadra dei
vecchi "nuovi filosofi" francesi distintisi per le medesime posizioni
antijugoslave: tra costoro ricordiamo anche Bernard HENRI-LEVI, André
GLUCKSMANN (particolarmente vicino ai radicali italiani ed alle loro
posizioni guerrafondaie), ed il loro amico Daniel COHEN-BENDIT,
l'"ebreo francese" degli slogan del '68 parigino, oggi europarlamentare
dei "Verdi" tedeschi favorevole agli interventi out of area
dell'esercito della Grande Germania riunificata.

Alain Finkielkraut all'inizio degli anni Novanta chiedeva
provocatoriamente: "Come si può essere croati oggi?". Le sue posizioni
etno-differenzialiste (anti-jugoslave) e razziste (anti-serbe) sono
state raccolte in Dispatches from the Balkan War and other writings
(University of Nebraska Press, Lincoln, Nebraska, 1999 - una parte già
pubblicato in francese sotto il titolo: Comment peut-on être croate?,
Gallimard, Paris, 1992).

Più recentemente Finkielkraut ha pubblicato libri, articoli ed
interviste a ripetizione in cui articola la sua filosofia
"dell'appartenenza", basata sulla rivalutazione delle identità
etno-tribali e nazional-religiose, fino ad impegnarsi attivamente
all'interno della corrente revisionista che in Francia rivaluta la
Repubblica di Vichy, collaborazionista del nazismo, a partire dal suo
versante "culturale". Offendendo in questa maniera la sua stessa
origine ebraica nell'appoggio agli antisemiti di Petain dopo quelli di
Tudjman e di Izetbegovic.

Negli ultimi mesi Finkielkraut ha definitivamente gettato la maschera,
pubblicando prese di posizione esplicite contro i cittadini francesi di
religione islamica - proprio lui che ha tanto calorosamente, benché
strumentalmente, appoggiato i secessionisti di Izetbegovic... Posizioni
cariche di pregiudizi mutuati dalla propaganda dei neocons
statunitensi, delle oriane nostrane (Fallaci) e dei teorici sionisti
della guerra globale preventiva.

L'incitamento all'odio razziale-religioso di Finkielkraut raggiunge il
suo culmine oggi, con la pubblicazione sul supplemento settimanale del
18/11/2005 del quotidiano israeliano Haaretz di una lunga intervista
intitolata inequivocabilmente "Non sono cattivi, sono musulmani", nella
quale spiega il fenomeno della esplosione delle banlieues in Francia
sposando le tesi segregazioniste dello "scontro di civiltà".

(a cura di Italo Slavo)
-----

"Ils ne sont pas malheureux, ils sont musulmans"

Quand Finkelkraut, le philosophe de la république se lâche... dans la
presse israélienne

Extraits d'un reportage de 6 pages dans le supplément hebdomadaire de
Haaretz daté du 18 novembre - Pour contribution au débat : traduction
de l'hébreu - extraits - Michel Warschawski - Michèle Sibony

N.B. Tous les passages en italiques sont des traducteurs

 
Titre : Ils ne sont pas malheureux, ils sont musulmans

Chapeau : Le philosophe juif Alain Finkelkraut, l'un des plus célèbres
intellectuels francais et porte drapeau de la guerre contre le nouvel
antisémitisme ne peut pas entendre parler maintenant de racisme
français, de pauvreté et d'exclusion. Qu'on le laisse tranquille avec
ce discours mensonger. De son point de vue tout est clair, malgré tout
ce que la France a fait pour eux les fils d'immigrés islamiques la
haïssent. C'est comme çà dans leur culture. Et les belles âmes
bourgeoises et les écoles ramollies les encouragent. Et la France s'en
va au diable.

 
Les réponses de Finkelkraut ont visiblement étonné les journalistes qui
l'ont interrogé à Paris. Ils signalent que« pourtant elles n'émanent
pas du front national mais de la bouche d'un philosophe qu'on
considérait autrefois comme l'un des porte parole de la gauche
française, et l'un des philosophes qui ont mûri dans la révolte des
étudiants de mai 68 » Ils précisent d'entrée de jeu que AF lors de ses
réponses insiste et revient régulièrement sur le fait que « il ne peut
plus dire (cela ) en France », « on ne peut pas dire çà en France »
« il est peut être dangereux de dire çà en France ».


Episode 1 - sur les émeutes en France :

Question : Dans la presse française les émeutes dans les banlieues sont
perçues surtout comme un problème économique, une réaction violente à
une situation de pauvreté dure et de discrimination , alors qu'en
Israël on a plutôt tendance à penser que l'origine de cette violence
est religieuse ou du moins ethnique. C'est-à-dire à voir en elle un
élément du combat islamique. Comment vous situez vous par rapport à ces
différentes positions ?

Réponse : En France on voudrait bien réduire les émeutes à leur niveau
social. Voir en elles une révolte de jeunes de banlieues contre leur
situation, la discrimination dont ils souffrent et contre le chômage.
Le problème est que la plupart de ces jeunes sont noirs ou arabes et
s'identifient à l'Islam. Il y a en effet en France d'autres émigrants
en situation difficile, chinois, vietnamiens portugais, et ils ne
participent pas aux émeutes. Il est donc clair qu'il s'agit d'une
révolte à caractère ethnico-religieux.

Q. Et d'où vient-elle ? Est ce une réponse des Arabes et des Noirs au
racisme dont ils sont victimes ?

R. Je ne le pense pas, parce que cette violence a été précédée de
signes annonciateurs très préoccupants que l' on ne peut réduire à une
simple réaction au racisme français. Prenons par exemple les événements
qui ont accompagné il y a quelques années le match de football
France-Algérie, ce match s'est déroulé à paris au stade de France, on
nous dit que l'équipe de France est adorée par tous parce qu'elle est «
black blanc beur », en fait aujourd'hui elle est black black black ce
qui fait ricaner toute l 'Europe. Si on fait une telle remarque en
France on va en prison mais c'est quand même intéressant que l'équipe
de France de football soit composée presque uniquement de joueurs
noirs. Quoiqu'il en soit cette Equipe est perçue comme le symbole d'une
société multi ethnique, ouverte etc...Le public dans le stade, des
jeunes d'origine algérienne, ont hué pendant tout le match cette même
équipe. Ils ont même hué la Marseillaise et le match a du être
interrompu quand les jeunes ont envahi le terrain avec des drapeaux
algériens.

Et il y a aussi les paroles des chansons de rap, des paroles très
préoccupantes, de véritables appels à la révolte, je crois qu'il y en a
un qui s'appelle docteur R qui chante « je pisse sur la France je pisse
sur de Gaulle » etc... ce sont des déclarations très violentes de haine
de la France. Toute cette haine et cette violence s'expriment
maintenant dans les émeutes, y voir une réponse au racisme français
c'est être aveugle à une haine plus large : La haine de l'occident qui
est responsable de tous les crimes. La France découvre cela aujourd'hui.

Q. Cela signifie d'après vous que ces émeutes ne sont pas orientées
contre la France mais contre tout l'Occident ?

R. Non, elles sont orientées contre la France, comme ancienne puissance
coloniale, contre la France, pays européen. Contre la France avec sa
tradition chrétienne, ou judéo chrétienne.

(.../...)

Q. Est ce que vous pensez que la source de cette haine envers l
'Occident parmi les français qui participent à ces émeutes est dans la
religion , dans l'islam ?

R. sur ce sujet il faut être clair, c'est une question très difficile
et il faut essayer de garder un langage de vérité. On a tendance à
avoir peur du langage de vérité, pour des raisons « nobles ». On
préfère dire « les jeunes » que « noirs » ou « arabes ». Mais on ne
peut sacrifier la vérité quelques soient les nobles raisons. Il faut
bien entendu éviter les généralisations : Il ne s'agit pas de tous les
noirs et de tous les arabes, mais d'une partie des noirs et des arabes.
Et évidemment la religion, non pas comme religion, mais comme ancre
d'identité joue un rôle. La religion telle qu'elle apparaît sur
internet et les chaînes de télévision arabes, sert d'ancre
d'identification pour certains de ces jeunes. Contrairement à d'autres,
moi je n'ai pas parlé d'Intifada des banlieues, et je ne pense pas
qu'il faille utiliser ce terme. J'ai pourtant découvert qu'eux aussi
envoyaient en première ligne de la lutte les plus jeunes, et vous en
Israël vous connaissez çà, on envoie devant les plus jeunes parce qu'on
ne peut pas les mettre en prison lorsqu'ils sont arrêtés. Quoiqu'il en
soit ici il n'y a pas d'attentats et on se trouve à une autre étape :
je pense qu'il s'agit de l'étape du pogrom anti républicain. Il y a des
gens en France qui haïssent la France comme république.

Q. Mais alors pourquoi ? Pour quelle raison ?

R Pourquoi est ce que le monde arabo-musulman en partie du moins a
déclaré la guerre à l'occident ? La république est la version française
de l'Europe. Eux et ceux qui les justifient disent que cela provient de
la fracture coloniale. D'accord, mais il ne faut pas oublier que
l'intégration des travailleurs arabes en France à l'époque du pouvoir
colonial était beaucoup plus simple. C'est-à-dire que c'est une haine à
retardement, une haine a posteriori. Nous sommes témoins d'une
radicalisation islamique qu'il faut expliquer dans sa totalité avant
d'arriver au cas français, d'une culture qui au lieu de s'occuper de
ses propres problèmes recherche un coupable extérieur. Il est plus
simple de trouver un coupable extérieur. Il est séduisant de se dire
qu'en France tu es exclu et « donnez-moi ! donnez-moi ! »

Cà n'a jamais marché comme cela pour personne et çà ne peut pas marcher.


De l'école en France et des bienfaits du colonialisme

Aux Etats unis également nous sommes témoins de l'islamisation des
noirs. C'est Lewis Farkhan en Amérique qui le premier a dit que les
juifs ont joué un rôle central dans l'esclavagisme. Et le principal
porte parole de cette théologie en France aujourd'hui c'est Dieudonné,
c'est lui qui est aujourd'hui le vrai patron de l'antisémitisme en
France, et non le front national. Mais en France au lieu de combattre
son discours on fait précisément ce qu'il demande : on change
l'enseignement de l'histoire coloniale et de l'histoire de l'esclavage
dans les écoles. On y enseigne aujourd'hui l'histoire coloniale comme
une histoire uniquement négative. On n'enseigne plus que le projet
colonial voulait aussi éduquer, apporter la civilisation aux sauvages.
On ne parle que des tentatives d'exploitation, de domination, et de
pillage. Mais en fait qu'est ce que veut Dieudonné ? Il exige une
« shoah » et pour les arabes et pour les noirs, mais si l'on met la
shoah et l'esclavage sur le même plan alors on est obligé de mentir,
car ce n'était pas une shoah. Et ce n'était pas un crime contre
l'humanité parce que ce n'était pas seulement un crime. C'était quelque
chose d'ambivalent. Ainsi en est-il également de l'esclavage. Il a
commencé bien avant l'Occident. En fait, la spécificité de l'Occident
pour tout ce qui concerne l'esclavage c'est justement tout ce qui
concerne son abolition. L'abolition de l'esclavage est une question
européenne et américaine. Cette vérité là sur l'esclavage il est
maintenant interdit de l'enseigner dans les écoles.

C'est pourquoi tous ces événements là m'attristent beaucoup : non pas
parce qu'ils se sont produits, après tout il fallait être aveugle et
sourd pour ne pas voir qu'ils auraient lieu, mais à cause des
explications qui les accompagnent. Elles sont un coup mortel à la
France que j'ai aimée, et j'ai toujours dit que la vie deviendrait
impossible pour les juifs de France quand la francophobie vaincrait, et
c'est ce qui va se passer. Ce que j'ai dit maintenant les juifs le
comprennent. Tout d'un coup ils regardent autour d'eux et voient tous
les « bobos » qui chantent des louanges aux nouveaux « damnés de la
terre » et se disent : qu'est ce que c'est que ce pays, que lui est il
arrivé ?

Q. Puisqu'il s'agit selon vous d'une offensive islamique, comment
expliquez vous que lors des derniers événements les juifs n'ont pas été
attaqués ?

R. Premièrement on dit qu'une synagogue a été attaquée. Mais je pense
que ce qu'on a vécu c'est un pogrom anti républicain. On nous dit que
ces quartiers sont délaissés et que les gens sont dans la misère. Quel
lien y a-t-il entre la misère et le désespoir et brûler des écoles ? Je
pense qu'aucun juif ne ferait jamais çà. Ce qui unit les juifs -
laïques, religieux, de la Paix Maintenant ou partisans du grand Israël
- c'est un mot, le mot schlule(lieu d'étude)* c'est ce qui nous unit
tous comme juifs. Et j'ai été tout simplement scandalisé de ces actes
qui se sont répétés et encore plus scandalisé par la compréhension
qu'ils ont rencontré en France. On les a traités comme des révoltés
comme des révolutionnaires. C'est la pire des choses qui pouvait
arriver à mon pays et je suis très malheureux. Pourquoi ? Parce que le
seul moyen de surmonter c'est de les obliger à avoir honte. La honte
c'est le début de la morale. Mais au lieu de les pousser à avoir honte,
on leur a donné une légitimité : ils sont « intéressants ». Ils sont
« les damnés de la terre ». Imaginez un instant qu'ils soient blancs
comme à Rostock en Allemagne on dirait immédiatement : le fascisme ne
passera pas. Un arabe qui incendie une école c'est une révolte, un
blanc c'est du fascisme. Je suis daltonien : le mal est le mal, peu
importe sa couleur. Et ce mal là pour le juif que je suis est
totalement inacceptable.

Pire, il y a là une contradiction, car si effectivement ces banlieues
étaient dans une situation de délaissement total, il n'y aurait pas de
salles de sport à incendier, il n'y aurait pas d'écoles et d'autobus.
S'il y a des gymnases des écoles et des autobus, c'est que quelqu'un a
fait un effort. Peut-être insuffisant mais un effort quand même.

Q. Mais pourtant le taux de chômage dans les banlieues est
insupportable, près de 40% des jeunes entre 15 et 25 ans n'ont aucune
chance de trouver un travail ?

R. Revenons un moment à la schule. Lorsque les parents t'envoient à
l'école, est-ce que c'est pour trouver un travail ? Moi on m'a envoyé à
l'école pour apprendre. La culture et l'éducation ont une justification
en elles même. Tu vas à l'école pour apprendre, c'est çà le but de
l'école. Et ces gens qui détruisent des écoles, que disent-ils en
fait ? leur message n'est pas un appel à l'aide ou une exigence de plus
d'écoles ou de meilleures écoles, c'est la volonté de liquider les
intermédiaires entre eux et les objets de leurs désirs. Et quels sont
les objets de leurs désirs c'est simple : l'argent, les marques, et
parfois des filles. C'est pourquoi il est certain que notre société a
sa responsabilité, parce qu'ils veulent tout maintenant et ce qu'ils
veulent c'est l'idéal de la société de consommation. C'est ce qu'ils
voient à la télévision.

schule : mot yiddish qui signifie école , désigne plutôt chez les juifs
ashkénaze de France la synagogue (ndlt)


Non à l'antiracisme

..../... Mais justement le philosophe juif qui lutte contre
l'antisémitisme pour entrer en guerre contre « la guerre antiraciste ».
(fin des commentaires des journalistes)

« Je suis né à paris et suis le fils d'immigrants polonais, mon père a
été déporté de France, ses parents ont été déportés et assassinés à
Auschwitz, mon père est rentré d'Auschwitz en France. Ce pays mérite
notre haine. Ce qu'il a fait à mes parents était beaucoup plus brutal
que ce qu'il a fait aux Africains. Qu'a-t-il fait aux Africains ? Il
n'a fait que du bien. Mon père, il lui a fait vivre l'enfer pendant 5
ans. Et on ne m'a jamais enseigné la haine. Aujourd'hui la haine des
noirs est encore plus forte que celle des arabes.

Q. Mais justement vous qui combattez le racisme antijuif affirmez que
la discrimination et le racisme dont parlent ces jeunes n'existent pas
en réalité ?

R. Bien sûr qu'il y a une discrimination. Et il y a certainement des
Français racistes. Des Français qui n'aiment pas les arabes et les
noirs. Et ils les aimeront encore moins maintenant quand ils prendront
conscience de combien eux même les haïssent. C'est pourquoi cette
discrimination va s'approfondir pour tout ce qui concerne le logement
et aussi le travail.

Imaginez que vous gérez tous deux un restaurant et vous êtes
antiracistes, vous pensez que tous les hommes sont égaux et en plus
vous êtes juifs, c'est-à-dire que pour vous parler d'inégalité entre
les race pose problème, et imaginez qu'un jeune des banlieues vienne
demander un emploi de serveur, il a l'accent des banlieues, vous ne
l'engagerez pas, c'est très simple. Vous ne l'engagerez pas parce que
c'est impossible. Il doit vous représenter, et ceci exige de la
discipline de la politesse et une manière de parler. Et moi je peux
vous dire que même des Français blancs qui copient aujourd'hui les
codes de conduite des banlieues, et cela existe, se heurteront au même
problème exactement. La seule manière de lutter conte la discrimination
est de revenir aux exigences, une éducation sévère, c'est le seul
moyen. Mais cela aussi il est interdit de le dire. Je ne le peux pas.
Ce sont des choses du bon sens auxquelles on préfère le mythe du
« racisme français ». Ce n'est pas juste. Nous vivons aujourd'hui dans
un environnement de « guerre permanente contre le racisme », et il faut
étudier la nature de cet antiracisme. Tout à l'heure j'ai entendu à la
radio quelqu'un qui s'opposait à la décision du ministre de l'intérieur
Sarkozi d'expulser quiconque n'a pas la citoyenneté française a
participé aux émeutes et a été arrêté. Et qu'a-t-il dit ? Qu'il
s'agissait d'une « épuration ethnique ». J'ai combattu pendant la
guerre de Yougoslavie contre l'épuration ethnique des musulmans en
Bosnie. Aucune organisation musulmane française ne s'est jointe à nous,
ils ne se sont réveillés que pour soutenir les Palestiniens. Et
maintenant on parle d'épuration ethnique ? Il n'y a pas eu un seul mort
pendant ces émeutes, en fait si, il y en a eu deux mais c'était un
accident. On ne les poursuivait pas mais ils se sont enfuis et cachés
dans un transformateur électrique malgré les panneaux d'avertissement
qui étaient énormes.

Mais je pense que l'idée généreuse de guerre contre le racisme se
transforme petit à petit monstrueusement en une idéologie mensongère.
L'antiracisme sera au vingt et unième siècle ce qu'a été le communisme
au vingtième. Aujourd'hui les juifs sont attaqués au nom du discours
antiraciste : la barrière de séparation, « sionisme égal racisme », la
même chose en France. Il faut se garder de l'idéologie de
l'antiracisme. Bien sûr il y a un problème de discrimination, il y a un
réflexe xénophobe c'est vrai, mais présenter les événements comme une
réaction au racisme est tout à fait mensonger, tout à fait mensonger.

Q. Que pensez-vous des moyens qu'utilise le gouvernement français pour
mettre fin à la violence, l'état d'urgence, le couvre feu ?

R .Mais c'est tellement normal ! Ce que nous avons vécu est terrible.
Il faut comprendre que ceux qui ont le moins de pouvoir dans la société
sont les autorités, les gouvernants. C'est vrai ils sont responsables
du maintien de l'ordre, et c'est important parce que sans eux il y
aurait eu une autodéfense, et les gens auraient tiré. Alors ils
maintiennent l'ordre et font cela avec une prudence extraordinaire, il
faut les saluer pour cela. En mai 68, il y avait un mouvement tout à
fait innocent comparé à celui d'aujourd'hui et il y a eu une violence
policière. Ici on jette des cocktails Molotov et on tire à balles
réelles. Et il n'y a eu aucun cas de violence policière. (note des
journalistes : depuis l'interview plusieurs policiers ont été arrêtés
suspectés de violence) Il n'y a aucun précédent. Comment maintenir
l'ordre ? Par des moyens dictés par le bon sens,que soit dit en passant
73% des français soutiennent d'après une enquête du journal le
Parisien. Mais je pense qu'il est trop tard pour provoquer chez eux la
honte, parce que à la télévision, à la radio et dans les journaux, ou
du moins dans la plupart d'entre eux, on présente aux émeutiers un
miroir embellissant. Ce sont des gens « intéressants », on flatte leur
souffrance et on comprend leur désespoir. En plus il y a la grande
perversion du spectacle. On brûle des voitures pour qu'on puisse le
voir à la télévision, cela leur permet de se sentir « importants » de
sentir qu'ils vivent dans un quartier important, cette course après le
spectacle doit être analysée, elle produit des effets tout à fait
pervers. Et la perversion du spectacle est accompagnée de commentaires
tout à fait pervers.

..../....

Si cela ne leur plaît pas qu'ils rentrent chez eux :

AF. On dit que le modèle républicain s'est effondré dans ces émeutes.
Mais le modèle multiculturel ne va pas mieux. Ni en hollande ni en
Angleterre. A Bradford et à Birmingham aussi ont eu lieu des émeutes
sur fond racial. Deuxièmement l'école républicaine, le symbole du
modèle républicain n'existe plus depuis longtemps. Je connais l'école
républicaine j'y ai étudié. C'était une institution avec des exigences
sévères, austère, assez antipathique, qui avait construit de hautes
murailles pour se protéger du bruit de l'extérieur.

Trente années de réformes stupides ont changé ce paysage. L'école
républicaine a été remplacée par « la communauté éducative »,
horizontale et non verticale, on a révisé à la baisse les programmes
scolaires, le bruit de l'extérieur est entré, la société est rentrée
dans l'école. Ce qui signifie que ce que nous voyons aujourd'hui c'est
en fait l'échec du modèle post républicain « sympa ». Le problème avec
ce modèle c'est qu'il se nourrit de ses propres échecs : chaque fiasco
est une raison pour le rendre encore plus extrême. L'école sera encore
plus « sympa ». En fait, face à ce que nous voyons, le minimum de ce
que nous devons exiger c'est la sévérité et plus d'exigence. Sinon on
aura bientôt des « cours de délinquance ».

Ceci est une évolution caractéristique de la démocratie. La démocratie
comme processus ainsi que l'a bien montré Tocqueville,nesupporte pas
l'horizontalité. En démocratie il est difficile de supporter des
espaces non démocratiques. Tout doit être démocratique dans la
démocratie. Mais l'école ne peut pas être ainsi. Elle ne le peut pas.
L'asymétrie saute pourtant aux yeux : entre celui sait et celui qui ne
sait pas, entre celui qui apporte avec lui un monde, et celui qui est
nouveau dans ce monde. Le processus démocratique a provoqué une
délégitimité de cette asymétrie. C'est un phénomène général dans le
monde occidental, mais en France il prend une forme plus pathétique,
parce que l'une des caractéristiques de la France était son éducation
sévère. La France a été construite autour de son école.

Q. Beaucoup de jeunes disent que le problème est qu'ils ne se sentent
pas Français, que la France ne les traite pas comme des Français.

R. Le problème est qu'il faut qu'ils se considèrent eux même comme
Français. Si les immigrants disent : « les Français » quand ils partent
des blancs, alors on est perdu. Si leur identité se trouve ailleurs et
ils sont en France par intérêt alors on est perdu. Je dois reconnaître
que les juifs aussi commencent à utiliser cette expression, je les
entends dire « les Français » et je ne peux pas supporter çà. Je leur
dis « si pour vous la France n'est qu'une question d'intérêt et votre
identité est le judaïsme alors soyez cohérents avec vous-même vous avez
Israël ». C'est effectivement un grand problème : nous vivons dans une
société post nationale dans laquelle pour tout le monde l'Etat n'est
qu'une question d'intérêt , une grande compagnie d'assurance, il s'agit
là d'une évolution très grave.

Mais s'ils ont une carte d'identité française ils sont Français et s'il
n'en ont pas ils ont le droit de s'en aller. Ils disent « je ne suis
pas Français, je vis en France, et en plus ma situation économique est
difficile. » Personne ne les retient de force ici, et c'est précisément
là que se trouve le début du mensonge. Parce que s'ils étaient victimes
de l'exclusion et de la pauvreté ils iraient ailleurs. Mais ils savent
très bien que partout ailleurs, et en particulier dans les pays d'où
ils viennent, leur situation serait encore plus difficile pour tout ce
qui concerne leurs droits et leurs chances.

Q. Mais le problème aujourd'hui est l'intégration dans la société
française de jeunes gens et de jeunes filles de la troisième
génération, et non d'une vague de nouveaux immigrants. Ils sont nés en
France et ils n'ont nulle part ailleurs où aller.

R. Ce sentiment qu'ils ne sont pas Français ce n'est pas l'école qui le
leur donne ; Il y a ici des écoles partout. En France comme vous le
savez peut-être, on inscrit les enfants dans les écoles, même s'ils se
trouvent illégalement dans le pays. Il y a ici quelque chose de
surprenant de paradoxal. L'école pourrait très bien appeler la police
puisque l'enfant se trouve en France illégalement, et malgré tout
l'école ne prend pas en considération leur illégalité.

Il y a des écoles là-bas, et il y a des ordinateurs partout. C'est là
que vient le moment où il faut faire un effort, et ceux qui font les
émeutes ne sont pas prêts à faire cet effort. Jamais.

Prenez par exemple la langue, vous dites qu'ils sont d'une troisième
génération, alors pourquoi est-ce qu'ils parlent le français comme ils
le parlent. C'est un français égorgé, l'accent, les mots, la grammaire.
C'est à cause de l'école ? A cause des profs. ?

Q. Puisque les arabes et les noirs apparemment n'ont pas l'intention de
quitter la France, comment pensez-vous traiter le problème ?

R. Ce problème est le problème de tous les pays européens. En Hollande
on est confronté à ce problème depuis l'assassinat de Théo Van Gogh. La
question n'est pas quel est le meilleur modèle d'intégration, mais la
possibilité même d'une intégration pour des gens qui vous haïssent.

Q. Et que va-t-il se passer en France ?

R. je ne sais pas je suis désespéré. A cause des émeutes et à cause de
leur accompagnement médiatique. Ils vont se calmer, mais qu'est ce que
çà veut dire ? Ce ne sera pas un retour au calme. Ce sera un retour à
la violence habituelle. Alors ils vont arrêter parce qu'il y a tout de
même un couvre feu, et les étrangers ont peur, et les dealers veulent
reprendre les affaires. Mais ils jouiront du soutien et de
l'encouragement à leur violence antirépublicaine, par le biais du
discours repoussant de l'autocritique sur leur esclavage et le
colonialisme. C'est cela, ce n'est pas un retour au calme mais à la
violence de routine.

Q. Alors votre conception du monde n'a aucune chance ?

R. Non. J'ai perdu. Pour tout ce qui concerne la lutte sur l'école,
j'ai perdu. C'est intéressant, parce que quand je parle comme je parle
beaucoup de gens sont d'accord avec moi. Beaucoup. Mais il y a quelque
chose en France, une espèce de déni qui provient des « bobos » des
sociologues et des assistants sociaux, et personne n'a le courage de
dire autre chose. Ce combat est perdu, je suis resté en arrière.


Dror Mishani et Aurélia Samothraiz

 
Traduction de toutes les questions et réponses du philosophe. La
parties non traduites sont des passages de commentaires des
journalistes qui semblent plutôt surpris de ce qu'ils entendent.

Titre sur la couverture du supplément sous la photo de A.
Finkielkraut : « Vous les Israéliens, vous me comprenez. »

(ndlt)

[source: melusine @ nerim.net]

www.counterpunch.org

CounterPunch - October 12, 2005

Using War as an Excuse for More War

Srebrenica Revisited

By DIANA JOHNSTONE

Last summer, almost the entire political spectrum in the Western
world joined in a chorus of self-flagellation on the 10th
anniversary of the Srebrenica massacre. The dominant theme was
"nostra culpa": "we" let it happen, "we" didn't want to know
about it, and "we" mustn't let it happen again.

Dear reader, who are "we" in this case? How in the world could
"we" (you and I) have known or done anything about this at the time?
And in fact, how much do "we" really know about it now? We
know what we read in the newspapers or see on television. But how
precise and accurate is that information? How do we know now that
we are much better informed than we were before the event?

Such questions are virtually taboo. Srebrenica has become a
sacred symbol of collective guilt, and to raise the slightest
question is to be instantly condemned as an apologist for
frightful crimes , or as a "holocaust denier".

A left that retains any capacity for critical thinking should
regard the lavish public breast-beating over "Srebrenica" (the
quotation marks indicate the symbol rather than the actual event)
with a certain skepticism. If mainstream media commentators and
politicians are so extraordinarily moved by "Srebrenica", this is
because it has become an incantation to justify whatever future
foreign war the U.S. government and media decide to sell under
the label of "humanitarian intervention".


The Uses of a Massacre

Aside from the probable future use of "Srebrenica", there is the
way it has already been used. Indeed, it was perhaps being used
even before it happened.

From the the U.N. Secretary General's 1999 Report on Srebrenica,
it emerges that the idea of a "Srebrenica massacre" was already
in the air at a September 1993 meeting in Sarajevo between
Bosnian Muslim president Alija Izetbegovic and members of his
Muslim party from Srebrenica. On the agenda was a Serb proposal
to exchange Srebrenica and Zepa for some territories around
Sarajevo as part of a peace settlement.

"The delegation opposed the idea, and the subject was not
discussed further. Some surviving members of the Srebrenica
delegation have stated that President Izetbegovic also told them
he had learned that a NATO intervention in Bosnia and Herzegovina
was possible, but could only occur if the Serbs were to break
into Srebrenica, killing at least 5,000 of its people." (1)

Izetbegovic later denied this, but he is outnumbered by
witnesses. It is clear that Izetbegovic's constant strategy was
to portray his Muslim side in the bloody civil war as pure
helpless victims, in order to bring U.S. military power in on his
side. On his death bed, he readily admitted as much to his
ardent admirer Bernard Kouchner, in the presence of U.S. diplomat
Richard Holbrooke. Kouchner reminded Izetbegovic of a
conversation he had had with French President Mitterrand in which
he "spoke of the existence of 'extermination camps' in Bosnia."

You repeated that in front of the journalists. That provoked
considerable emotion throughout the world. [...] They were
horrible places, but people were not systematically exterminated.
Did you know that?

Yes. I thought that my revelations could precipitate bombings. I
saw the reaction of the French and the others-I was mistaken.
[...] Yes, I tried, but the assertion was false. There were no
extermination camps whatever the horror of those places. (2)

Like the Bosnian Serbs, the Muslims also herded their adversaries
into "horrible" camps at the start of the civil war, on the way
to expulsion. Unlike the Bosnian Serbs, the Bosnian Muslims
enjoyed the services of high-powered U.S. public relations
experts in the Washington-based Ruder Finn agency who knew how to
"spin" the Bosnian conflict in order to equate the Serbs with the
Nazis-the quickest and easiest way to win public opinion over to
the Muslim side. The news media and political figures were
showered with press releases and other materials exaggerating
Serb atrocities, whereas Muslim atrocities (such as the
decapitations of Serb prisoners, fully documented) remained
confidential. To the public, this was a one-sided conflict
between a Serbian "fascist aggressor" and innocent victims, all
unarmed civilians.

The general public did not know that Srebrenica, described as a
"safe area", was not in fact simply a haven for refugees, but
also a Muslim military base. The general public did not know what
Lord Owen knew and recounted in his important 1995 book, Balkan
Odyssey (p.143), namely that in April 1993, Serbian president
Slobodan Milosevic was extremely anxious to prevent Bosnian Serb
forces from overrunning Srebrenica. "On 16 April I spoke on the
telephone to President Milosevic about my anxiety that, despite
repeated assurances from Dr. Karadzic that he had no intention of
taking Srebrenica, the Bosnian Serb army was now proceeding to do
just that. The pocket was greatly reduced in size. I had rarely
heard Milosevic so exasperated, but also so worried: he feared
that if the Bosnian Serb troops entered Srebrenica there would be
a bloodbath because of the tremendous bad blood that existed
between the two armies. The Bosnian Serbs held the young Muslim
commander in Srebrenica, Naser Oric, responsible for a massacre
near Bratunac in December 1992 in which many Serb civilians had
been killed. Milosevic believed it would be a great mistake for
the Bosnian Serbs to take Srebrenica and promised to tell
Karadzic so."

Thus, many months before the July 1995 "Srebrenica massacre",
both Izetbegovic and Milosevic were aware of the possibility and
of its potential impact-favorable to the Muslim cause, and
disastrous for the Serbs.

A few other indisputable facts should not be overlooked:

Shortly before the Bosnian Serb attack on Srebrenica, the Muslim
troops stationed in that enclave carried out murderous attacks on
nearby Serb villages. These attacks were certain to incite Serb
commanders to retaliate against the Srebrenica garrison.

Meanwhile, the Muslim high command in Sarajevo ordered the
Srebrenica commanders, Oric and his lieutenants, to withdraw from
Srebrenica, leaving thousands of his soldiers without commanders,
without orders, and in total confusion when the foreseeable Serb
attack occurred. Surviving Srebrenica Muslim officials have
bitterly accused the Izetbegovic government of deliberately
sacrificing them to the interests of his State.

According to the most thorough study of Srebrenica events, by
Cees Wiebes for the Netherlands Institute for War Documentation
report, the Bosnian Serb forces set out in July 1995 to reduce
the area held by Bosnian Muslim forces on the outskirts of
Srebrenica, and only decided to capture the town itself when they
unexpectedly found it undefended.

"The VRS [Republika Srpska Army] advance went so well that the
evening of July 9 saw an important 'turning point' [...] The
Bosnian Serbs decided that they would no longer confine
themselves to the southern part of the enclave, but would extend
the operation and take the town of Srebrenica itself. Karadzic
was informed that the results achieved now put the Drina Corps in
a position to take the town; he had expressed his satisfaction
with this and had agreed to a continuation of the operation to
disarm the 'Muslim terrorist gangs' and to achieve a full
demilitarization of the enclave. In this order, issued by Major
General Zdravko Tolimir, it was also stated that Karadzic had
determined that the safety of UNPROFOR soldiers and of the
population should be ensured. Orders to this effect were to be
provided to all participating units. [...] The orders made no
mention of a forced relocation of the population. [...] A final
instruction, also of significance, was that the population and
prisoners of war should be treated in accordance with the Geneva
Convention. On July 11 all of Srebrenica fell into the hands of
the Bosnian Serbs."

In testimony to a French parliamentary commission inquiry into
Srebrenica, General Philippe Morillon, the UNPROFOR officer who
first called international attention to the Srebrenica enclave,
stated his belief that Bosnian Serb forces had fallen into a
"trap" when they decided to capture Srebrenica.

Subsequently, on February 12, 2004, testifying at the
International Criminal Tribunal in The Hague, General Morillon
stressed that the Muslim commander in Srebrenica, Naser Oric,
"engaged in attacks during Orthodox holidays and destroyed
villages, massacring all the inhabitants. This created a degree
of hatred that was quite extraordinary in the region, and this
prompted the region of Bratunac in particular---that is the
entire Serb population---to rebel against the very idea that
through humanitarian aid one might help the population that was
present there."

Asked by the ICTY prosecutor how Oric treated his Serb prisoners,
General Morillon, who knew him well, replied that "Naser Oric was
a warlord who reigned by terror in his area and over the
population itself. I think that he realized that these were the
rules of this horrific war, that he could not allow himself to
take prisoners. According to my recollection, he didn't even look
for an excuse. It was simply a statement: One can't be bothered
with prisoners."

Morillon recounted how "the Serbs took me to a village to show me
the evacuation of the bodies of the inhabitants that had been
thrown into a hole, a village close to Bratunac. And this made me
understand the degree to which this infernal situation of blood
and vengeance [...] led to a situation when I personally feared
that the worst would happen if the Serbs of Bosnia managed to
enter the enclaves and Srebrenica."

"I feared that the Serbs, the local Serbs, the Serbs of Bratunac,
these militiamen, they wanted to take their revenge for
everything that they attributed to Naser Oric. It wasn't just
Naser Oric that they wanted to revenge, take their revenge on,
they wanted to revenge their dead on Orthodox Christmas."

* * *

In short, Srebrenica, whose Serb population had been chased out
by Muslim troops at the start of the civil war in 1992, was both
a gathering point for civilian Muslim refugees and a Muslim army
base. The enclave lived from international humanitarian aid. The
Muslim military did not allow civilians to leave, since their
presence was what ensured the arrival of humanitarian aid
provisions which the military controlled.

When the Bosnian Serb forces captured the town on July 11, 2005,
civilians were clamoring to leave the enclave, understandably
enough, since there was virtually no normal economic life there.
Much has been made of the fact that Serb forces separated the
population, providing buses for women, children and the infirm to
take them to Tuzla, while detaining the men. In light of all
that preceded, the reason for this separation is obvious: the
Bosnian Serbs were looking for the perpetrators of raids on Serb
villages, in order to take revenge.

However, only a relatively small number of Muslim men were
detained at that point, and some of them are known to have
survived and eventually been released in exchange for Serb
prisoners. When the Serb forces entered the town from the south,
thousands of Muslim soldiers, in disarray because of the absence
of commanding officers, fled northwards, through wild wooded
hills toward Tuzla. It is clear enough that they fled because
they feared exactly what everyone aware of the situation dreaded:
that Serb soldiers would take vengeance on the men they
considered guilty of murdering Serb civilians and prisoners.

Thousands of those men did in fact reach Tuzla, and were quietly
redeployed. This was confirmed by international observers.
However, Muslim authorities never provided information about
these men, preferring to let them be counted among the missing,
that is, among the massacred. Another large, unspecified number
of these men were ambushed and killed as they fled in scenes of
terrible panic. This was, then, a "massacre", such as occurs in
war when fleeing troops are ambushed by superior forces.


Counting the victims

So we come to the question of numbers. The question is difficult,
both because of the uncertainty that surrounds it, and because
merely pointing to this uncertainty is instantly denounced as
"revisionism" and lack of respect for the victims. This reproach
is not logical. Victims are victims, whether few or many, and
respect is not in proportion to their numbers.

The question of numbers is complex and has been dealt with in detail by
others, recently by an independent international Srebrenica
research group which will soon publish its findings in book form.
(3)

Suffice it here to note the following:

1. The sacralization of the estimated number of victims. In many
if not most disasters, initial estimates of casualties tend to be
inflated, for various reasons, such as multiple reports of the
same missing person, and are subsequently corrected downwards.
This was the case for the World Trade Center disaster, where
initial estimates of up to 10,000 victims were finally brought
down to less than 3000, and there are many other examples. In the
case of Srebrenica, the figure of 8,000 originated with September
1995 announcements by the International Committee of the Red
Cross that it was seeking information about some 3,000 men
reportedly detained as well as about some 5,000 who had fled to
central Bosnia. Neither the Bosnian Serbs nor the Muslims were
ever forthcoming with whatever information they had, and the
"8,000" figure has tended ever since to be repeated as an
established total of "Muslim men and boys executed by Serb
forces". It can be noted that this was always an estimate, the
sum of two separate groups, the smaller one of prisoners (whose
execution would be a clear war crime) and the larger one of
retreating troops (whose "massacre" as they fled would be the
usual tragic consequence of bitter civil war). Anyone familiar
with the workings of journalism knows that there is a sort of
professional inertia which leads reporters to repeat whatever
figure they find in previous reports, without verification, and
with a marked preference for big numbers. This inertia is all the
greater when no truly authoritative figures ever emerge.

The number of bodies exhumed.

Despite unprecedented efforts over the past ten years to recover
bodies from the area around Srebrenica, less than 3,000 have been
exhumed, and these include soldiers and others-Serb as well as
Muslim-who died in the vicious combats that took place during
three years of war. Only a fraction have been identified.

2. The political desire for the largest possible number. Aside
from the journalistic inertia mentioned above, the retention of
the unproven high figure of massacre victims in the case of
Srebrenica is clearly the result of political will on the part of
two governments: the Bosnian Muslim government of Alija
Izetbegovic and, more importantly, the government of the United
States. From the moment that Madeleine Albright brandished
satellite photos of what she claimed was evidence of Serb
massacres committed at Srebrenica (evidence that was both secret,
as the photos were shown in closed session to the Security
Council, and circumstantial, as they showed changes in terrain
which might indicate massacres, not the alleged massacres
themselves), the U.S. used "Srebrenica" for two clear purposes:

to draw attention away from the U.S.-backed Croatian
offensive which drove the Serb population out of the Krajina
which, as much as Srebrenica, was supposed to be protected by
the United Nations;

to implicate Bosnian Serb leaders in "genocide" in order to
disqualify them from negotiating the future of
Bosnia-Herzegovina. (The U.S. preferred to replace them at
Dayton by Milosevic, whose eagerness to end the war could be
exploited to get concessions the Bosnian Serbs might refuse.)

Exploitation of "Srebrenica" then helped set the stage for the
Kosovo war of 1999:

by blaming the United Nations (whose failure to defend
Srebrenica was in reality the inevitable result of the
unwillingness of the United States to give full support to U.N.
ground forces), NATO emerged as the only agent capable of
effective "humanitarian intervention".

by falsely identifying Milosevic with the Bosnian Serb
leadership and by exploiting the notion that Srebrenica
killings were part of a vast Serb plan of "genocide" carried
out against non-Serbs for purely racist reasons, Madeleine
Albright was able to advocate the NATO war against Yugoslavia
as necessary to prevent "another Srebrenica" in Kosovo, where
the situation was altogether different.


To use "Srebrenica" as an effective instrument in the
restructuring of former Yugoslavia, notably by replacing
recalcitrant Serb leaders by more pliable politicians, the crime
needed to be as big as possible: not a mere war crime (such as
the United States itself commits on a serial basis, from Vietnam
to Panama to Iraq), but "genocide": "the worst atrocity in Europe
since the Holocaust". That arouses the Hitler image, which is
always good for the image of the United States as saviour from
across the seas, and implies a plan decided at the highest
levels, rather than the brutal behavior of enraged soldiers (or
paramilitaries, the probable culprits in this case) out of
control.

But what plan for genocide includes offering safe passage to
women and children? And if this was all part of a Serb plot to
eliminate Muslims, what about all the Muslims living peacefully
in Serbia itself, including thousands of refugees who fled there
from Bosnia? Or the Muslims in the neighboring enclave of Zepa,
who were unharmed when the Serbs captured that town a few days
after capturing Srebrenica? To get around these common sense
obstacles, the ICTY prosecution came up with a sociologist who
provided an "expert" opinion: the Srebrenica Muslims lived in a
patriarchal society, therefore killing the men was enough to
ensure that there would be no more Muslims in Srebrenica. This
amounts to shrinking the concept of "genocide" to fit the
circumstances.

It was on basis of this definition that in August 2001 the
Tribunal found Bosnian Serb General Radislav Krstic guilty of
"complicity in genocide". Although he neither ordered,
participated in or was even aware of any executions, the judges
ruled that he took part in what the ICTY calls a "joint criminal
enterprise" simply by capturing Srebrenica, since he must have
been aware that genocide was "a natural and foreseeable
consequence". This is the ruling that established "genocide" as
the official description of events at Srebrenica.

Why such relentless determination to establish Srebrenica as
"genocide"? A December 27, 2003, Associated Press dispatch
provided an explanation by U.S. jurist Michael Scharf, one of the
designers of the ICTY who has also coached the judges for the
trial of Saddam Hussein: On a practical level, if the court
determines Srebrenica does not fit the legal definition of
genocide, it would be very difficult to make the charge stick
against Milosevic, said Michael Scharf, a professor at Case
Western Reserve University School of Law.

"And it is crucial that he be convicted of genocide," Scharf
said. If Milosevic can't be convicted, "then who can you convict
of genocide in the modern age?" he asked.

The legal definition of genocide could also come into play in an
Iraqi war-crimes tribunal, which has vowed to follow
international legal precedent.

It is striking that from the very start, the effort of the United
States and of the Tribunal in The Hague-which it mainly finances,
staffs and controls-has been to establish what it calls "command
responsibility" for Serb crimes rather than individual guilt of
actual perpetrators. The aim is not to identify and punish men
who violated the Geneva conventions by executing prisoners, but
rather to pin the supreme crime on the top Serb leadership.

The office of the ICTY prosecutor has chosen to rely heavily on a
single confessed participant in the Srebrenica massacre. This
person is one Drazen Erdemovic, a petty criminal of Croatian
nationality who was hospitalized in Serbia in March 1996 after a
near-fatal brawl in a bar in Novi Sad. Quite possibly in order
to escape further threats from his personal enemies, Erdemovic
confessed to Western news media to having taken part in mass
murder in Bosnia. He was arrested by Serb authorites who then,
at his request, turned him over to the Hague Tribunal.

From then on, the prosecution has used Erdemovic repeatedly as
its star witness, using the U.S. procedure of "plea bargaining"
by which a confessed criminal gets off lightly by incriminating
somebody else the prosecution wants to convict. He has told his
story to the judges at his own brief trial, where he was exempted
from cross examination thanks to his guilty plea, as well as at a
hearing incriminating Karadzic and Mladic (in the absence of any
legal defense) and at various trials whenever "Srebrenica" comes
up.

His story goes like this: after briefly serving in the Bosnian
Muslim army, Erdemovic joined an international mercenary militia
unit that seems to have been employed by the Bosnian Serb command
for sabotage operations on enemy territory. On July 16, 1995, his
unit of eight men executed between 1,000 and 1,200 Muslim men
near the village of Pilice, some 40 kilometers north of
Srebrenica. From around 10:30 in the morning to 3 o'clock in the
afternoon, these eight mercenaries emptied bus load after bus
load of prisoners and lined them up to be shot by groups of ten.

Now in fact, it seems that a serious crime was indeed committed
in Pilice. Subsequent forensic investigators exhumed 153 bodies.
One hundred and fifty-three executions of prisoners of war is a
serious crime, and there is material evidence that this crime was
committed. But 1,200? According to the manner of execution
described by Erdemovic, it would have taken 20 hours to murder so
many victims. Yet the judges have never questioned this
elementary arithmetical discrepancy, and Erdemovic's word has
consistently been accepted as gospel truth by the International
Criminal Tribunal in The Hague. (4)

Why this insistence on an implausibly higher number than can be
supported by material evidence? Obviously, the Tribunal wants to
keep the figures as high as possible in order to sustain the
charge of "genocide". The charge of "genocide" is what sharply
distinguishes the indictment of Serbs from indictments of Croats
or Muslims for similar crimes committed during the Yugoslav
disintegration wars.

In August 2000 after not quite four and a half years in jail, the
self-confessed mass murderer Erdemovic was freed, given a new
identity, residence in an unspecified Western country and a
"job", so to speak, as occasional paid and "protected" witness
for the ICTY.

In contrast, General Krstic was sentenced to 35 years in prison
and will be eligible for parole in 20 years.

Clearly, the purpose of the "genocide" charge is not to punish
the perpetrators but to incriminate the Bosnian Serb, and the
Yugoslav Serb, chain of command right up to the top.


Srebrenica As Myth

The transformation of Srebrenica into myth was illustrated last
July by an article in the Italian leftist daily Liberazione
(close to the "Communist Refoundation" party) reporting on a
semi-documentary film entitled "Srebrenica, luci dall'oblio"
("Srebrenica, lights from oblivion"). The title suggests that the
film-makers have rescued from oblivion a tragically neglected
event, when in fact, rarely in the history of warfare has a
massacre been the focus of so much attention.

Here we have the usual self-flagellation: "...what happened in
Srebrenica: the massacre of 9,000 civilians, in the most total
silence/absence on the part of the world institutions
[responsible for] peace..." The author accepts without question
the term "genocide" and raises the figure of victims to new
heights. "Around 9,000 men between the ages of 14 and 70 were
transported by truck to nearby centers where they were massacred
and buried in mass graves..." This was "the greatest mass
genocide committed since the days of Nazism until today"... What
is the point of this exaggeration, this dramatization? Why is
Srebrenica so much more terrible than the war that ravaged
Vietnam, with countless massacres and devastation of the countryside
by deadly chemicals, or the cold-blooded massacre of surrendering
Iraqis at the end of the first Gulf War in 1991? But that is
a genuinely forgotten massacre-not only forgotten, but never even
recognized in the first place, and the "international community"
has not sent teams of forensic scientists to find and identify
the victims of U.S. weapons.

In all probability the film-makers, aspiring artists and
"genocide experts" who consider "Srebrenica" suitable material
for touching the emotions of the public believe that they are
serving the interests of peace and humanity. But I would suggest
quite the contrary. The misrepresentation of "Bosnia" as scene of
a deliberate "genocide" against Muslims, rather than a civil war
with atrocities on all sides, contributes to a spirit of "conflict
of civilizations". It has helped recruit volunteers for
Islamic terrorist groups.

The political exploitation of Srebrenica has turned the Bosnian
war into a morality pantomimew between pure good and pure evil, a
version of events which the Serbs can never really accept and the
Muslims have no desire to give up. This stands in the way of
unbiased investigation and serious historical analysis.
Reconciliation is in fact ruled out by the moralistic insistence
that a stark distinction must be made between "aggressor" and
"victim". This stark difference exists between NATO and
Yugoslavia, or between the U.S. and Iraq, where an overwhelmingly
superior military power deliberately launched an aggressive war
against a sovereign country that neither attacked nor threatened
it.

But the war in Bosnia-Herzegovina was not of that nature. The
war there was the result of an extraordinarily complex legal
situation (an unsettled small Federal Republic constitutionally
composed of three "nationalities": Serb, Muslim and Croat, itself
part of a disintegrating larger Federal Republic) exacerbated by
myriad local power plays and the incoherent intervention of Great
Powers. Moreover, this occurred in a region where memories of
extremely bloody civil war during World War II were still very
much alive. To a large extent, the fighting that broke loose in
1992 was a resumption of the vicious cycle of massacres and
vengeance that devastated Bosnia-Herzegovina in 1941-44, when the
Nazi occupation broke up Yugoslavia and attached
Bosnia-Herzegovina to Greater Croatia, which proceeded to
eliminate Serbs.

Today it is an unquestioned dogma that recalling atrocies is a
"duty of memory" to the victims, something that must be endlessly
repeated, lest we forget. But is this really so obvious? The
insistence on past atrocities may simply prepare the next wave,
which is what has already happened in the Balkans, and more than
once. Because in reality, the dead victims cannot profit from
such memories. But the memory of victimhood is a moral and
political capital of great value for the heirs of victimhood and
especially for their self-appointed champions. And in the case of
Bosnia, it promises to bring considerable financial gain. If
Milosevic, as former president of Serbia, can be convicted of
genocide, then the Bosnian Muslims hope to win billions of
dollars in reparations that will keep Serbia on its knees for the
foreseeable future.

* * *

The obsessive reference to "Srebrenica" has a negative effect far
beyond the Balkans.

The "Srebrenica massacre" is part of a dominant culture discourse
that goes like this: We people in the advanced democracies have
reached a new moral plateau, from which we are both able and have
a duty both to judge others and to impose our "values" when
necessary. The others, on a lower moral plateau, must be watched
carefully, because unlike us, they may commit "genocide". It
is remarkable how "genocide" has become fashionable, with more
and more "genocide experts" in universities, as if studying
genocide made sense as a separate academic discipline. What
would all these people do without genocide? I wonder what is
behind the contemporary fascination with genocide and serial
killers, and I doubt that it is a sign of a healthy social psychology.

In the world today, few people, including Bosnian Muslims, are
threatened by "genocide" in the sense of a deliberate
Hitler-style project to exterminate a population-which is how
most people understand the term. But millions of people are
threatened, not by genocidal maniacs, but by genocidal conditions
of life: poverty, disease, inadequate water, global climate
change. The Srebrenica mourning cult offers nothing positive in
regard to these genocidal conditions. Worse, it is
instrumentalized openly to justify what is perhaps the worst of
all the genocidal conditions: war.

The subliminal message in the official Srebrenica discourse is
that because "we" let that happen, "we" mustn't let "it" happen
again, ergo, the United States should preventively bomb potential
perpetrators of "genocide". Whatever happened in Srebrenica
could have best been prevented, not by U.S. or NATO bombing, but
by preventing civil war from breaking out in Bosnia Herzegovina
to begin with. This prevention was possible if the "international
community", meaning the NATO powers, Europe and the United
States, had firmly insisted that the Yugoslav crisis of 1990
should be settled by negotiations. But first of all, Germany
opposed this, by bullying the European Union into immediate recognition
of the secession of Slovenia and Croatia from Yugoslavia, without
negotiation. All informed persons knew that this threatened
the existence of Bosnia Herzegovina. The European Union proposed
a cantonization plan for Bosnia Herzegovina, not very different
from the present arrangement, which was accepted by leaders of
the Bosnian Muslim, Serb and Croat communities. But shortly
thereafter, Muslim president Alija Izetbegovic reneged, after the
U.S. ambassador encouraged him to hold out for more. Throughout
the subsequent fighting, the U.S. put obstacles in the way of
every European peace plan. [6] These years of obstruction enabled
the United States to take control of the eventual peace settlement
in Dayton, in November 1995.

This rejection of compromise, which plunged Bosnia-Herzegovina
into fratricidal war, was supported at the time by a chorus of
humanitarians- not least politicians safely ensconced in the
European Parliament who voted for "urgent resolutions" about
situations of which they were totally ignorant-claiming that
Bosnia must be a centralized State for the sake of
"multiculturalism". These were the same humanitarians who
applauded the breakup of multicultural Yugoslavia-which in fact
created the crisis in Bosnia.

Clearly, whoever executes unarmed prisoners commits a very
serious crime whether in Bosnia or anywhere else. But when all is
said and done, it is an illusion to think that condemning
perpetrators of a massacre in Bosnia will ensure that the next
civil war somewhere in the world will be carried out in a more
chivalrous manner. War is a life and death matter, and inevitably
leads people to commit acts they would never commit in peacetime.

The notion that war can be made "clean", played according to
rules, should not be the main focus of international law or of
peace movements. War first of all needs to be prevented, not
policed.

The false interpretation of "Srebrenica" as part of an ongoing
Serb project of "genocide" was used to incite the NATO war
against Yugoslavia, which devastated a country and left behind a
cauldron of hatred and ethnic cleansing in Kosovo. The United
States is currently engaged in a far more murderous and
destructive war in Iraq. In this context, the Western
lamentations that inflate the Srebrenic massacre into "the
greatest mass genocide since Nazi times" are a diversion from the
real existing genocide, which is not the work of some racist
maniac, but the ongoing imposition of a radically unjust
socio-economic world order euphemistically called "globalization".


Diana Johnstone is the author of Fools' Crusade: Yugoslavia, Nato, and
Western Delusions [
http://www.amazon.com/exec/obidos/ASIN/158367084X/counterpunchmaga ]
published by Monthly Review Press. She can be reached at:
dianajohnstone @ compuserve.com

NOTES

1. Report of the Secretary-General Pursuant to General Assembly
Resolution 53/35 (1998), Section IV, paragraph C.115.

2. Bernard Kouchner, "Les Guerriers de la Paix", Grasset, Paris, 2004,
pp. 372-375.

3. "Srebrenica: The Politics of War Crimes", by George Bogdanich,
Tim Fenton, Philip Hammond, Edward S. Herman, Michael Mandel,
Jonathan Rooper and George Szamuely. See
http://www.srebrenica-report.com/politics.htm.

4. Germinal Civikov, "Kalaschnikow und Einzelfeuer: Der Fall
Drazen Erdemovic", Freitag, 16 September 2005.

5. Davide Turrini "Il genocidio jugoslavo rivive sullo schermo",
Liberazione, 12 July 2005.

6. See David Owen, Balkan Odyssey, Victor Gollancz, London, 1995.
Lord Owen, who, as co-chairman of the steering committee of the
International Conference on the Former Yugoslavia, attempted from
August 1992 to June 1995 to negotiate a peace settlement in
Bosnia-Herzegovina, concludes (Indigo paperback, p.400): "From
the spring of 1993 to the summer of 1995, in my judgement, the
effect of US policy, despite its being called 'containment', was
to prolong the war of the Bosnian Serbs in Bosnia-Herzegovina."

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www.counterpunch.org

CounterPunch - November 5 / 6, 2005

A Response to Certain Criticisms of My Recent Essay
Srebrenica: Using War as an Excuse for More War

By DIANA JOHNSTONE

Anyone foolhardy enough to write a dissenting view about former
Yugoslavia in general and Srebrenica in particular has to know
what she's in for: misinterpretation, outrage, accusations of
being an apologist for genocide. All this is to be expected, but
unpleasant nevertheless, and illustrative of the fact that the
supposed efforts by the "International Community" to foster a
spirit of multicultural reconciliation have been a dismal
failure--and that is putting it mildly.

Thus, despite NATO's war to give Kosovo over to armed rebels
with notorious criminal connections, an Albanian-American writes
indignantly that the Serbs "still stain" Kosovo -- apparently by
their drastically reduced presence in terrorized ghettos. The
symbol of "the Srebrenica massacre" helps keep such hatred
burning, hatred which still has political uses in the Balkans.
At the global level, it is shorthand for the "humanitarian
intervention" imperative, Washington's favorite excuse for
neoimperialist interventions, when "terrorism" and "weapons
of mass destruction" lose credibility.

That symbol was the subject of my essay.

Some months ago, I was invited to join a group of writers
forming a "Srebrenica research group". I declined, explaining
that I had already said all I was capable of saying on the
subject in my book Fools' Crusade.

As I pointed out: There are two sides to writing about Srebrenica.

1-The plain facts: body counts, forensic evidence, etc.

2 -Analysis of the propaganda and political significance.

The analysis is the part that actually interests me the most,
and that I emphasized in my book. In contrast, evaluating the
evidence is beyond my capabilities, nothaving the resources or
the expertise to pursue body counts or seek out survivors.

I would have let it go at that, but an Italian publication,
Giano, recently invited me to write a response to an article in
the Rifondazione comunista newspaper Liberazione, which spoke of
"the massacre of 9,000 civilians", well above even the highest
possible estimates, and dwelt heavily on the charge of
"genocide". This was only one example of an extraordinary media
campaign on the tenth anniversary of the Serb capture of
Srebrenica. Isn't it rather strange that Western media pay more
attention to events in a small town in Bosnia ten years ago than
to the destruction of cities in Iraq which is happening now? It
is clear that "Srebrenica" as a symbol has a propaganda life of
its own, apart from whatever happened there in 1995. However,
that distinction is obviously one that many people find
impossible to make.

Most attacks on my piece center on three terms:

1."Humanitarian intervention."
Although used as an argument in favor of "humanitarian
intervention", the Bosnian war may better be seen as an
illustration of what is wrong with the notion. The idea of
"humanitarian intervention" suggests that Great Powers -- and
given today's relationship of forces, this means the United
States -- can be persuaded to act decisively in the interest
of others. Not only is this an illusion, but the type of
intervention employed by the United States, based on high
altitude bombing, is by its nature totally unsuited to
"humanitarian" missions. The prospect of calling in
"humanitarian intervention" risks exacerbating conflicts in
the hope of drawing in U.S. military power on the side of one
group or another. Had Alija Izetbegovic not been led to
believe that he could obtain U.S. intervention, he might have
worked for a compromise agreement. Without unnecessary
prolongation of the Bosnian conflict, the 1995 Serb capture of
Srebrenica would not have taken place.

2."Civil war."
Despite arguments to the contrary, the war in Bosnia-Herzegovina was
most certainly a civil war, fought mainly between local Muslims,
Serbs and Croats. The fact that all three sides received help
from outside Bosnia-Herzegovina, both from other parts of
former Yugoslavia (Croatia openly sent in its army to fight
for Bosnian Croats) and from farther afield (the Muslims
received arms and fighters from Muslim countries, with
clandestine U.S. help), does not make it any less a civil war.
Foreign intervention in civil wars is not unusual. And the
argument that it was not a civil war because one party (the
Serbs) was stronger than others makes no sense.

3."Genocide."
Some Bosnian Muslims seem to think that labeling Srebrenica "genocide"
is necessary to pay sufficient respect to victims of whatever
happened there. Perhaps some day they may realize that the
charge of "genocide" has nothing to do with extra respect
for victims, and everything to do with pinning the "supreme
crime" on Milosevic for political reasons: to justify NATO's
totally unjustifiable aggression against Yugoslavia in 1999.
The real nature of the Kosovo problem, and the possibilities
for peaceful compromise, were hidden behind the myth of "Srebrenica"
as proof that the Serbs in general, and Milosevic in
particular, were out to commit "genocide" against non-Serbs.
This total fiction enabled Madeleine Albright to get the war
she wanted: the war to initiate NATO into its new mission of
"humanitarian intervention" and thereby reassert U.S. military
dominance of Europe.


Diana Johnstone is the author of Fools' Crusade: Yugoslavia, Nato, and
Western Delusions [
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published by Monthly Review Press. She can be reached at:
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Verso la III Guerra Mondiale

1. Gli Stati Uniti contro la Cina. Strategie, pericoli e alleanze
nello scontro dei giganti del XXI secolo (R.D. Kaplan)

2. A. Burgio, M. Dinucci, V. Giacché:
ESCALATION - Anatomia della guerra infinita


=== 1 ===

Corriere della Sera, 19/11/2005

Storia della III guerra mondiale

di Robert D. Kaplan *

Gli Stati Uniti contro la Cina. Strategie, pericoli e alleanze nello
scontro dei giganti del XXI secolo

Geopolitica Bush in missione in Asia. Il Vietnam chiede intese
militari a Washington. Lo stato maggiore cinese studia la «guerra
senza limiti». La competizione economica tra Pechino e gli Usa è già
in corso. L'attrito militare è oggi pressione, domani possibile
conflitto nucleare


Fino a oggi non v'è stato esercito di mare o di terra che costituisse
una minaccia per gli Stati Uniti. La situazione è destinata a cambiare
rapidamente. Nei decenni a venire la Cina giocherà un'estenuante
partita con gli Usa nel Pacifico, favorita non solo dalle sue coste
sterminate ma anche da un sistema di basi che si estende fin dentro
l'Asia centrale.Come possono gli Stati Uniti prepararsi ad affrontare
la sfida?Il sistema di alleanze della seconda metà del XX secolo è
finito. La guerra del Kosovo del 1999 ha messo in luce drammatiche
spaccature all'interno della Nato. L'Alleanza è definitivamente
crollata con l'invasione americana dell'Afghanistan, in seguito alla
quale gli eserciti europei hanno fatto poco più che pattugliare zone
già pacificate da soldati e marines statunitensi. Oggi la Nato è uno
strumento per espandere le missioni di addestramento bilaterali tra
Stati Uniti ed ex repubbliche comuniste: con i marines in Bulgaria e
Romania, la marina in Albania, l'esercito in Polonia e Repubblica
Ceca, le Forze Speciali in Georgia. Un suo equivalente nell'Oceano
Pacifico esiste già: è il Comando Usa per il Pacifico, noto come Pacom.

I suoi capi si rendono conto di ciò che sfugge a molti politici e
professionisti dell'informazione: il centro di gravità delle
preoccupazioni strategiche americane è già il Pacifico, non il Medio
Oriente. Il raggio di influenza del Pacom include metà della
superficie e più di metà delle economie mondiali. I sei maggiori
eserciti del mondo, due dei quali (quello americano e quello cinese)
si stanno modernizzando più rapidamente di tutti gli altri, operano
all'interno della sua sfera di controllo. «Imbarcarsi in una guerra
con la Cina è semplice —dice Michael Vickers, del Center for Strategic
and Budgetari Assessments di Washington —.

Il dilemma è: come uscirne?». Un analista interno al Pentagono mi ha
risposto: «Per porre termine a un conflitto con i cinesi dovremo
ridurre in maniera radicale la loro capacità militare, minacciando le
loro fonti di energia e la presa sul potere del Partito Comunista.
Dopo, il mondo non sarà più lo stesso. È una strada molto pericolosa».
Nei prossimi decenni la Cina destinerà all'esercito risorse sempre
maggiori. L'unico realistico obiettivo degli Stati Uniti potrebbe
essere incoraggiarla a investire in misure difensive e non offensive.
Impegno che richiederà particolare cura perché, a differenza della
vecchia Unione Sovietica, la Cina detiene tanto il potere morbido
quanto quello duro. Il mix cinese di autoritarismo tradizionale ed
economia di mercato esercita un esteso fascino culturale in tutta
l'Asia e non solo. La democrazia risulta attraente laddove la tirannia
sia stata un'esperienza odiosa e fallimentare, come in Ucraina e
Zimbabwe. Il mondo, però, è pieno di aree grigie, come la Giordania e
la Malaysia, dove la tirannia ha garantito stabilità e crescita.
Prendiamo Singapore.

La mescolanza di democrazia e autoritarismo l'hanno resa invisa agli
idealisti di Washington ma nel Pacifico Singapore offre la sola base
non americana dove i mezzi nucleari Usa possano essere revisionati; il
suo contributo alla caccia ai terroristi islamici nell'arcipelago
indonesiano è stato pari se non superiore a quello offerto altrove dai
maggiori alleati occidentali dell'America. Anche la politica richiede
un riposizionamento in favore del Pacifico: le attuali tensioni tra
Stati Uniti ed Europa impediscono l'integrazione militare, mentre gli
alleati del Pacifico, notoriamente Giappone e Australia, auspicano un
maggiore coinvolgimento militare al fianco degli Usa, per contrastare
l'avanzata della marina cinese. Al momento le sfide poste
dall'emergere della Cina possono apparire esigue. Gli Stati Uniti
dispiegano 24 delle 34 portaerei di tutto il mondo; i cinesi non ne
hanno neanche una.

Eppure, all'inizio della guerra del Peloponneso, che durò ventisette
anni, Atene disponeva di un notevole vantaggio rispetto a Sparta, che
non aveva una flotta. Alla fine fu Sparta a vincere. La Cina si è
lanciata in ingenti spese militari ma ancora per qualche decennio la
sua marina e la sua aviazione non raggiungeranno i livelli
statunitensi. Ecco perché i cinesi non hanno intenzione di fare agli
americani il favore di impegnarsi in battaglie convenzionali, come
quelle combattute nell'Oceano Pacifico durante la Seconda Guerra
Mondiale. I cinesi useranno piuttosto un approccio asimmetrico, come
fanno oggi i terroristi. Con un avanzato sistema missilistico i cinesi
potrebbero lanciare centinaia di missili su Taiwan prima che gli
americani riescano a raggiungere l'isola per difenderla. Una tale
capacità, unita a una nuova flotta di sottomarini (destinata a
superare presto quella Usa, se non in qualità, almeno in dimensioni),
potrebbe bastare ai cinesi per costringere altri Paesi a negare alle
navi americane l'accesso ai propri porti. C'è poi la coercizione
ambigua: pensiamo a una serie di ciber-attacchi anonimi alla rete
elettrica di Taiwan finalizzati a ridurre gradualmente la popolazione
allo stremo. Non è fantascienza; i cinesi hanno investito molto
nell'addestramento e nelle tecnologie da guerra cibernetica. Il fatto
che la Cina non sia una democrazia non significa che i cinesi non
siano padroni nella manipolazione psicologica di elettorati
democratici.Quale dovrebbe essere la risposta militare degli Stati
Uniti a sviluppi di questo tipo?

La «non convenzionalità».La Base aerea Andersen, sulla punta
settentrionale di Guam, rappresenta il futuro della strategia Usa nel
Pacifico. È la piattaforma di lancio più potente del mondo. Guam, che
ospita anche una divisione sottomarina e una base navale in
espansione, è importante per la posizione che occupa. Dall'isola è
possibile coprire quasi tutta l'area di responsabilità del Pacom.
Volare in Corea del Nord dalla costa occidentale degli Stati Uniti
richiede tredici ore; da Guam ne occorrono quattro. «Non è come
Okinawa — spiega il Generale Tennis Larsen —. Questo è suolo americano
in mezzo al Pacifico. Guam è territorio Usa». Durante la Guerra Fredda
la marina aveva una specifica infrastruttura pensata per contrastare
una specifica minaccia: la guerra con l'Unione Sovietica. Oggi la
minaccia è multipla e incerta: dobbiamo essere in qualsiasi momento
pronti a combattere una guerra convenzionale contro la Corea del Nord
o una controguerriglia non convenzionale contro un'isola-Stato
canaglia spalleggiata dalla Cina.

Secondo l'esperto di Asia Mark Helprin, mentre gli Usa si impegnano a
democratizzare il Medio Oriente, sostenendo solo gli Stati i cui
sistemi interni siano simili al loro, la Cina si prepara a mietere i
frutti di una politica che bada, amoralmente, ai propri interessi —
come fecero gli Stati Uniti durante la Guerra Fredda. Dobbiamo anche
renderci conto che nei prossimi anni e decenni la distanza morale tra
Europa e Cina è destinata a ridursi in maniera considerevole,
soprattutto nel caso in cui l'autoritarismo cinese accetti delle
limitazioni e l'Unione Europea in continua espansione diventi un
superstato «imperfettamente democratico», governato dai funzionari di
Bruxelles. Anche la Russia sta procedendo in una direzione decisamente
non democratica: il presidente Vladimir Putin ha risposto al sostegno
Usa alla democrazia in Ucraina, con l'assenso a «massicce»
esercitazioni aeree e navali congiunte con i cinesi senza precedenti.
La situazione potrebbe portare a una Nato sostanzialmente nuova, con
un'«armada » globale schierata sui Sette Mari. A un'Europa che tenta
di evitare i conflitti e ridurre la geopolitica a una serie di
negoziati e appianamenti, ben si adatterebbe questa rivalutazione del
potere sul mare. Un potere costitutivamente meno minaccioso di quello
terrestre, da sempre strumento privilegiato della Realpolitik. Man
mano che l'influenza economica dell'Ue si espanderà nel globo,
l'Europa comprenderà, al pari degli Usa nel XIX secolo e della Cina
oggi, di dover andare per mare per proteggere i propri interessi.

La Nato è debole. Per riconquistare il suo significato politico, dovrà
trasformarsi in un'alleanza militare della cui capacità di attacco
immediato nessuno possa dubitare. Questa era la sua reputazione ai
tempi della Guerra Fredda, così rinomata che i sovietici non vollero
mai testarla. La sfida posta dall'esercito cinese è già una realtà per
ufficiali e marinai Usa. La guerra sui mari è cerebrale. La minaccia,
all'orizzonte; il nemico è invisibile e tutto si riduce a un calcolo
matematico. L'obiettivo diventa ingannare più che attaccare, lasciare
la prima mossa all'avversario. Il Pacifico nasconde minacce di ogni
tipo. Benvenuti nel futuro. Parlando del Golfo Persico e dell'Oceano
Pacifico, un alto ufficiale ha detto: «La marina dovrebbe dedicarsi
meno a quella piccola pozzanghera di fango salato e pensare di più al
mare».


=== 2 ===

http://www.deriveapprodi.org/estesa.php?id=145&stato=novita

A. Burgio, M. Dinucci, V. Giacché
Escalation
Anatomia della guerra infinita
pagg. 288
€ 13.5
ISBN 88-88738-65-7

Il libro

Dagli anni Novanta la guerra è ricomparsa nelle nostre vite. Gli anni
che avrebbero dovuto celebrare il trionfo della pace sotto le insegne
della democrazia e del libero mercato hanno visto i bombardieri in
azione anche in Europa. Oggi siamo a una tremenda accelerazione:
Afghanistan 2001, Iraq 2003. E domani? Iran, Siria, Corea del Nord?
Quali sono i motivi di questa escalation? E quali le conseguenze?
Questo libro cerca di dire come stanno realmente le cose, fornendo un
quadro dei presupposti geopolitici ed economici della «guerra
infinita» e mettendo in risalto le sue devastanti ricadute sui sistemi
democratici degli stessi paesi che la propagano, a cominciare dagli
Stati Uniti d'America. Ne viene fuori un quadro molto distante dalle
«verità» dell'informazione ufficiale. Come più volte accadde nel
secolo scorso, anche in questo la crisi del capitalismo riporta la
guerra all'ordine del giorno. Sempre, in tempo di guerra, i margini
della critica si assottigliano. Il dominio delle armi porta con sé
quello sulle menti e sui discorsi. In un clima in cui è difficile
discostarsi dal coro, questo libro vuole essere un atto di resistenza
contro le mistificazioni.

A. Burgio, M. Dinucci, V. Giacché

Alberto Burgio insegna Storia della filosofia a Bologna. Con
DeriveApprodi ha pubblicato Modernità del conflitto. Saggio sulla
critica marxiana del socialismo (1999) e Guerra. Scenari della nuova
«grande trasformazione» (2004).
Manlio Dinucci, giornalista e geografo, è autore de Il sistema globale
(2004), Geostoria dell'Africa (2000) e altri testi editi dalla
Zanichelli. Tra i suoi ultimi libri Il potere nucleare (Fazi, 2003). È
stato direttore esecutivo per l'Italia della International Physicians
for the Prevention of Nuclear War, che ha vinto nel 1985 il premio
Nobel per la pace.
Vladimiro Giacché si è laureato e perfezionato in Filosofia alla
Scuola Normale di Pisa. È autore di opere e saggi di argomento
filosofico ed economico. Fa parte della redazione de «la
Contraddizione» e del comitato editoriale e di programmazione
scientifica di «Proteo».

un assaggio...

«L'effetto collaterale peggiore, la guerra che uccide la
comunicazione, mi precipita addosso. A me che ho rischiato tutto,
sfidando il governo italiano che non voleva che i giornalisti
potessero raggiungere l'Iraq, e gli americani che non vogliono che il
nostro lavoro testimoni che cosa è diventato quel paese davvero con la
guerra e nonostante quelle che chiamano elezioni». Così ha scritto
l'inviata del «manifesto» Giuliana Sgrena dopo la sua drammatica
esperienza in Iraq. Questo è l'Iraq «restituito alla democrazia». Un
inferno: decine di migliaia di civili trucidati, bambini mutilati,
donne stuprate. Un paese distrutto. Stragi quotidiane, soldati
terrorizzati che esorcizzano la paura sparando all'impazzata tra la
folla nei mercati e per strada. Soldati incaricati di search and
destroy, che irrompono armati nelle scuole e negli ospedali a caccia
di «terroristi» e massacrano chi càpita, anziani, donne, bambini. È
l'«esportazione della democrazia», nel nome della quale Bush e i suoi
consiglieri neo-conservatori hanno messo a ferro e fuoco il Medio
Oriente e fatto strame del diritto internazionale. Rientrano in tale
quadro le «elezioni» irachene, attorno alle quali si è levato, anche
in Italia, un coro di elogi. Pochi hanno mostrato, non diciamo
l'onestà intellettuale, ma almeno la ragionevolezza di rimarcare che
queste «elezioni» si sono tenute in un paese sotto occupazione
militare e secondo le regole dettate da Washington. In Italia si sono
uniti al coro non soltanto (com'è naturale) gli esponenti della
destra, ma anche autorevoli esponenti della sinistra, dichiarandosi
addirittura «affascinati» dall'ideologia neoconservatrice. Di questa
guerra tutto il mondo parla, da quando Baghdad fu sommersa da una
pioggia di bombe, il 19 marzo del 2003. Parla, ma per dire che cosa?
Le persone di buona volontà chiedono pace. Altri giustificano, nel
nome della propria civiltà superiore. Altri ancora sospendono il
giudizio, distribuendo ragioni e torti con una equidistanza degna di
miglior causa. Questo libro non è equidistante. Parte da una premessa
ben chiara, che a noi pare fondamentale. Questa guerra l'ha voluta
l'amministrazione Bush, senza alcuna giustificazione. La menzogna
delle «armi di distruzione di massa» è stata una messinscena a
beneficio dei creduloni. La storia del «terrorismo internazionale» e
dello «scontro di civiltà» è una diceria che strumentalizza misteri
(chi volle l'11 settembre?) per legittimare nuove crociate. Questa è
una guerra statunitense, combattuta nell'epicentro della crisi
mondiale (il «grande Medio Oriente»), ma scatenata per la posta più
alta, la leadership nei confronti degli altri poli di potenza: l'oggi
«alleata» Unione europea, quindi i nemici di sempre, a cominciare da
Cina e Russia. Quando la si dice «infinita», non si impiegano
iperboli: si dà conto di un preciso programma.

---
Ancora una recensione del libro di Burgio, Dinucci, Giacchè.
NB. Una recensione è apparsa anche sull'ultimo numero de L'Ernesto.
---

Guantanamo e industria bellica. Escalation, un libro sulla politica di
potenza Usa


Dalla recessione all'intervento militare in Afghanistan e in Iraq c'è
un filo rosso che unisce politica economica interna e politica estera
degli Usa. La guerra diventa così lo strumento per uscire dalla crisi
economica e per affermare l'egemonia mondiale di Washington. E' questa
la tesi che attraversa i tre saggi che compongono il volume

ENZO MODUGNO

Il manifesto, 7/6/2005

Piers Brendon (Gli Anni Trenta, Carocci, euro 18,60), storico a
Cambridge e responsabile dei Churchill Archives, interpreta come
conseguenza diretta della crisi del `29 i principali avvenimenti del
decennio che si concluse con la seconda guerra mondiale, e mostra cosa
avvenne quando le difficoltà materiali della crisi capitalistica si
combinarono con il "fanatismo ideologico di leader disposti a tutto".
Se usassimo lo stesso criterio oggi, dovremmo considerare gli
avvenimenti recenti come la conseguenza diretta della crisi economica
Usa del 2000-01, la più grave dopo il `29, che torna a combinarsi con
nuovi fanatismi ideologici di leader - così sembra - disposti a tutto.
Quali siano queste leggi del capitalismo che spingono alla guerra, e
perché si combinino con questi leader, è appunto l'argomento del libro
di Piers Brendon. In un paio di capitoli si ricostruisce la trama
della micidiale politica economica che permise alla Germania nazista
di superare per prima la grande depressione seguita al `29. Nel 1934
il ministro delle Finanze Schacht diede impulso al rilancio
dell'economia finanziando il riarmo con le cambiali ?Mefo?, note di
credito accettate dalle banche e dai fornitori del governo, che
garantivano un interesse del 4% ed erano rimborsabili nel 1939. Ma nel
1938 Hitler diede il via alla seconda guerra mondiale evitando i
rimborsi che avrebbero fatto crollare l'economia tedesca. La guerra di
rapina avrebbe pareggiato i conti.

Dalla vicenda esposta da Brendon emergono due temi da riconsiderare.

Il nesso tra debito e guerra, perché la guerra ancora oggi costituisce
un mezzo per rimandare il pagamento del debito che gli Usa non hanno
intenzione di pagare. E, soprattutto, il nesso tra militarismo e
ripresa economica. L'economia della Germania nazista infatti si era
ripresa col riarmo, cioè prima che la guerra di rapina assicurasse le
risorse, i mercati e i campi di investimento.

Lo stimolo militare

Dopo sessant'anni questo uso della leva militare è ormai pratica
costante delle amministrazioni Usa. Non più semplicemente a sostegno
delle dinamiche economiche dell'espansione imperialistica, ma in
sostituzione di esse: è questo il tema rilevante del saggio
"L'economia della guerra infinita" di Vladimiro Giacché, nel volume
collettivo Escalation (DeriveApprodi, pp. 288, ?13,50), che contiene
anche i contributi di Manlio Dinucci e Alberto Burgio.

Il saggio di Giacché può essere accostato al libro di Brendon perché
anche in questo testo si interpreta la guerra come conseguenza diretta
di una grave crisi economica, quella manifestatasi negli Stati uniti
con lo scoppio della bolla speculativa del marzo 2000 e con la
recessione iniziata nel marzo 2001, dunque ben prima dell'11
settembre. La guerra - si sostiene - è stata usata consapevolmente
come la "continuazione dell'economia con altri mezzi". Clamoroso
a questo proposito il report caricato sul sito di Morgan Stanley alle
8 dell'11 settembre dall'ufficio delle Twin Towers: "Solo un atto di
guerra può salvare l'economia degli Stati uniti e il dollaro". Appena
un'ora prima che "l'atto di guerra" si verificasse realmente.

Giacché ritiene che si stia compiendo una "delicata transizione" verso
un sempre più esplicito uso economico del militarismo. Superando
dunque le diffuse interpretazioni della guerra o solo politica o solo
come "guerra di rapina", l'autore recupera la complessità dell'analisi
elaborata nei momenti alti dal movimento operaio. La "formula" della
sopravvivenza del capitalismo individuava due momenti: 1) il riarmo
continuo, giustificato da apocalittiche minacce di nemici esterni, per
attutire la tendenza permanente alla crisi economica col sostegno al
settore privato mediante la spesa pubblica militare e 2) con le armi
così prodotte, la guerra di rapina e il dominio su risorse, mercati,
campi d'investimento.

Ogni semplificazione di questa micidiale sinergia ha sempre prodotto
fraintendimenti. La guerra dunque non solo per aprire mercati, per il
controllo delle materie prime, per l'egemonia del dollaro, per imporre
il non pagamento del proprio deficit, ma anche e ormai soprattutto
come strumento per rimettere in moto l'economia: l'escalation militare
Usa ha questa impronta inconfondibile di "stimolo della congiuntura".
"La guerra fa bene al Pil", ha titolato "il Sole 24 Ore" (20 febbraio
2002).

Il saggio contiene un'accurata documentazione della stretta relazione
tra interventi militari e ripresa dell'economia Usa a partire dalla
seconda guerra mondiale. Ai dati forniti da Giuseppe Guarino (I soldi
della guerra) e da Mario Pianta su questo giornale, che ha annunciato
l'edizione italiana di War Inc di Seymour Melman, si aggiungono ora i
dati di questo volume: 750 miliardi di dollari calcolando tutte le
voci della spesa militare Usa. Più i recentissimi 82 miliardi votati
all'unanimità dal Congresso. Quindi col moltiplicatore al 2,5 la spesa
militare assicurerebbe un quinto del Pil degli Stati uniti. Livelli da
guerra fredda: ma l'Unione Sovietica non c'è più e gli Stati uniti
stanno ora cercando, provocando, costruendo nuovi nemici per
giustificare l'ininterrotto riarmo. E siccome anche Giacché ritiene,
con Augusto Graziani, che "i conflitti prolungati esercitano un
influsso sull'attività economica di tutti i paesi che, direttamente o
indirettamente, vi sono coinvolti", ritiene anche che il prolungamento
del conflitto in Iraq vada interpretato "non soltanto come un
infortunio, ma come una scelta strategica precisa" delle classi
dirigenti Usa. Anzi, hanno già deciso che la "guerra al terrorismo"
durerà trent'anni e questo è solo il suo inizio: sostituirà la guerra
fredda proprio per assicurare un altrettanto prolungato,
provvidenziale "influsso sull'attività economica" statunitense. Si
spiegherebbero così il "millenarismo" dei neoconservatori e le
dichiarazioni di Rumsfeld: "Non abbiamo un metro per stabilire se
stiamo vincendo o perdendo la guerra al terrorismo". E di Bush:
"Questa guerra non può essere vinta". Secondo Giacché la "verità" di
queste affermazioni sta nello slogan con cui il presidente Usa ha
vinto le elezioni: "Difenderò il nostro tenore di vita ad ogni costo".

Nel saggio di apertura dello stesso volume, intitolato "Geopolitica di
una `guerra globale'", Manlio Dinucci ripercorre l'escalation militare
Usa dopo il biennio 1989-91, rintracciando le strategie
espansionistiche degli Stati uniti tanto nei documenti di
pianificazione strategica resi pubblici, quanto nella ricostruzione
delle guerre Usa e nella crescita delle spese militari, con la
documentazione probabilmente più completa disponibile in Italia su
questo argomento. Così come è puntuale il resoconto di quanto avvenne
l'11 settembre, delle incongruenze nel comportamento del governo Usa e
nella ricostruzione ufficiale degli eventi.

Nel terzo saggio, "La guerra contro i diritti", Alberto Burgio
individua un altro aspetto dell'escalation nella sempre più sfuggente
distinzione tra "dentro" e "fuori": il ripudio del diritto
internazionale ha il suo inevitabile doppio nella soppressione dei
diritti civili all'interno.

Burgio ravvisa nell'uso della tortura, da Mazar i Sharif a Guantanamo
e ad Abu Ghraib, non soltanto lo smascheramento della retorica della
"guerra per la democrazia e per i diritti", ma una pratica che gli Usa
sperimentano da tempo anche nei propri istituti penitenziari.

Più in generale, in parallelo alla transizione - indicata da Giacché -
da "impero informale" attuato mediante il dominio economico, ad
"impero formale" fondato sul dominio militare, c'è nel saggio di
Burgio la descrizione dei principali mutamenti giuridici che hanno
determinato il passaggio da "stato sociale" a "stato penale".
Militarismo ed economia di guerra si riflettono quindi, sul piano
interno, in regressione costituzionale e accentramento patologico del
comando. Insomma un volume che, nelle sue tre parti, affronta la
complessità dell'"impero formale".

Ritorno agli albori

E' da segnalare quanto importante sia l'analisi della funzione
economica del militarismo, così spesso trascurata, per interpretare le
dinamiche profonde del capitalismo Usa e della politica estera al
servizio della sua sopravvivenza. Dopo oltre mezzo secolo di
sospensione dello scontro armato tra imperialismi ormai sappiamo che i
profitti esterni, indispensabili per superare le crisi economiche, non
vengono soltanto dalle guerre di rapina - non è rimasto molto - ma
sempre più spesso "artificialmente" dall'indebitamento dello stato
verso il settore privato con la spesa pubblica, che col neoliberismo è
diventata sempre più militare.

D'altra parte già agli albori del capitalismo le combattive
città-stato italiane del Rinascimento riuscirono a trasformare le
spese militari in entrate sperimentando la possibilità di
commercializzare la guerra. Se i cittadini si tassavano per pagare i
mercenari, questi spendendo le paghe incrementavano gli scambi di
mercato e quindi gli introiti fiscali che permettevano nuova spesa
militare in un sistema che, secondo Giovanni Arrighi, almeno in parte
si autoalimentava.

Il militarismo dunque è servito alla sopravvivenza del capitalismo fin
dagli inizi e lo accompagnerà "fino alla sua morte beata" in una
spirale di crisi economiche, debito - spese militari e guerra -
maggior debito. La storia continua a mostrarci le tragedie che si
producono in questi casi.

--- In icdsm-italia @yahoogroups.com, "icdsm-italia" ha scritto:

(francais / english)

[Di seguito i materiali prodotti nella recente riunione congiunta
dell'ICDSM e dell'Associazione SLOBODA, a Belgrado il 12 novembre
u.s.; essi riguardano in particolare la richiesta di una sospensione
del "processo" per almeno 6 settimane viste le preoccupanti condizioni
di stress cui è sottoposto Milosevic (bollettino medico allegato, in
lingua francese); si veda anche l'accluso elenco delle violazioni dei
diritti elementari ai danni di Milosevic e dei suoi famigliari.]


---------- Initial Header -----------

From : "Vladimir Krsljanin"
Date : Fri, 18 Nov 2005 19:46:33 +0100
Subject : ICDSM and Sloboda: Milosevic has to be freed for medical
treatment!


**************************************************************
INTERNATIONAL COMMITTEE TO DEFEND SLOBODAN MILOSEVIC
ICDSM Sofia-New York-Moscow www.icdsm.org
**************************************************************
Velko Valkanov, Ramsey Clark, Alexander Zinoviev (Co-Chairmen),
Klaus Hartmann (Chairman of the Board), Vladimir Krsljanin
(Secretary), Christopher Black (Chair, Legal Committee), Tiphaine
Dickson (Legal Spokesperson)
**************************************************************
18 November 2005 Special Circular
**************************************************************
In this issue:

1. Signatures for People's Initiative are being collected in Serbia
2. Press Release of Sloboda/Freedom Association
3. Letter to the UN Security Council
4. Urgent Conclusion of the ICDSM and Sloboda
5. Conclusion of the international team of medical experts
6. Freedom for Slobodan Milosevic! - Declaration of ICDSM adopted at
12 November session in Belgrade

********************************************************
Belgrade, 18 November. Sloboda/Freedom Association started collecting
signatures for Peoples Initiative in order to put on agenda of the
Serbian Parliament a demand for provisional release of President
Milosevic due to his ill health and appropriate state guarantees for
that. According to the Serbian Constitution, for such an initiative,
15 thousand signatures are needed.

**************************************************************
P R E S S R E L E A S E

Behavior of the Hague "tribunal" puts at stake the life of
President Milosevic. An immediate reaction of the authorities in
charge in Serbia and in the State Community, as well as of the UN
Security Council is needed in order to change this behavior.

An international team of medical experts from France,
Russia and Serbia, that examined President Milosevic on 4 November,
has concluded that he has to have at least six weeks of total rest,
with no physical or mental activities. It is clear that for such a
worsening of President Milosevic's health it is only the "tribunal" to
be blamed.

However, the "tribunal" has made these days a dangerous
and insolent challenge to human rights, UN Organization, medical and
legal profession, by neglecting the findings and the conclusions of
the medical experts and by bringing ill President Milosevic into the
court room - an act that endangered his life.

We call upon all medical doctors, lawyers, institutions
for protection of human rights and all honest people at home and
abroad to join the appeal of the International Committee to Defend
Slobodan Milosevic and of the Freedom Association and to act now to
stop the crime in its final phase.

The Hague proceedings must be suspended and President
Milosevic has to be provided with a medical treatment in freedom, so
that he would be able, after recuperation, to continue taking part in
the proceedings.

FREEDOM ASSOCIATION - NATIONAL COMMITTEE FOR LIBERATION OF PRESIDENT
SLOBODAN MILOSEVIC

Belgrade, 18 November 2005

************************************************

TO THE MEMBERS OF THE UN SECURITY COUNCIL
TO THE UN SECRETARY GENERAL
TO THE UN HIGH COMISSIONER FOR HUMAN RIGHTS

Belgrade, 15 November 2005

Sloboda/Freedom Association from Belgrade has honor to propose to your
kind attention and urgent consideration the three below documents
concerning the human rights of the long term President of Serbia and
Yugoslavia, Mr. Slobodan Milosevic - the urgent Joint Conclusion of
the International Committee to Defend Slobodan Milosevic and Sloboda
/Freedom Association, the Conclusion of the medical experts from
France, Russia and Serbia who recently examined President Milosevic
and the Declaration of the International Committee to Defend Slobodan
Milosevic.

We believe that you would act without delay in accordance with your
competence and universally recognized human rights in order to protect
the life and health of President Milosevic and to prevent the
possibility of his trial in absentia.

Respectfully,

Chairman of the Board of Sloboda/Freedom Association
Bogoljub Bjelica

*********************************************************

JOINT CONCLUSION OF THE INTERNATIONAL COMMITTEE FOR THE DEFENSE OF
SLOBODAN MILOSEVIC AND THE "SLOBODA" ASSOCIATION - NATIONAL COMMITTEE
FOR LIBERATION OF PRESIDENT SLOBODAN MILOSEVIC FROM THE MEETING HELD
IN BELGRADE ON 12 NOVEMBER 2005


The International Committee for the Defense of Slobodan
Milosevic and the "Sloboda" Association - National Committee for
Liberation of Slobodan Milosevic have received a medical report of the
health condition of President Slobodan Milosevic dated 4 November
2005, which raised a deep concern on the part of the International
Committee members. His health is seriously endangered, which is
largely due to his extraordinary human efforts in the struggle for
presenting truth, and the prison conditions in which he is living. He
is investing additional efforts so as to definitely win his struggle
for the truth, and he is doing that to the detriment of his own health
in the light of the threat that the Defense Counsel imposed by the
ICTY whom he does not accept will be activated.

Our view is that the price of his defense must not be his
health and his life.

We are demanding immediate suspension of the trial at
least for a 6-week period as proposed by medical doctors, in order to
allow him the indispensable rest and medical treatment. Any attempt to
try him in absentia, and thus abuse the fact of his deteriorated
health condition, would destroy any illusion of these proceedings.
"The Tribunal" has to observe the medical advice that was provided,
and show respect for the fact that human life and health are above all
other values.

Once the health condition of President Milosevic has
improved, he will continue with all his strength the struggle for
truth and justice he is carrying out in The Hague for the benefit and
welfare of the Serb people and the entire mankind.

In Belgrade, on 12 November 2005

INTERNATIONAL COMMITTEE FR THE DEFENSE F SLOBODAN MILOSEVIC

/signed/

Ramsey Clark Sergei Baburin Velko Vlkanov

"SLOBODA" ASSOCIATION - NATIONAL COMMITTEE FOR LIBERATION
OF PRESIDENT SLOBODAN MILOSEVIC

/signed/

Bogoljub Bjelica

**********************************************************

CONCLUSION COLLECTIVE DE L'EXAMINATION MEDICALE CONSILIAIRE
DE MONSIEUR SLOBODAN MILOSEVIC, EFFECTUEE LE 04.11.2005


Compte tenu des résultats des examens médicaux consultés
dans le dossier et réalisés lors de la visite du 4 novembre 05 on peut
conclure que l`état de santé du patient n'est pas stabilisé et que des
complications sont possibles. Cet état nécessite de poursuivre les
explorations avec pour objectifs de préciser la ou les origines des
troubles présentés.

Il est ainsi nécessaire de proposer au patient une période
de repos, c'est à dire la cessation de toutes les activités physiques
et psychiques au cours d'une période de 6 semaines au minimum, ce qui
permettra probablement de diminuer les troubles ou tout au moins de
les stabiliser, puis autorisera la réalisation des procédures
diagnostiques supplémentaires nécessaires pou adapter au mieux la
thérapeutique.

La rapport définitif et détaillé de chaque expert sera
rédigé et soumis ultérieurement.

CONSILIUM DES DOCTEURS

Margarita Shumilina, Ph.D, angiologue

Professeur Florence Leclercq, Ph.D, cardiologue

Professeur Vukasin Andric, Ph.D, otorinolaringologiste

*******************************************************

Freedom for Slobodan Milosevic

Declaration of the International Committee for the Defense of Slobodan
Milosevic

Belgrade, 12 November 2005


I.

We, the representatives of the International Committee for the Defense
of Slobodan Milosevic, having met on 12 November 2005 in Belgrade
under the auspices of the Sloboda (Freedom) Association, express our
deepest indignation with respect to the continued proceedings against
President Slobodan Milosevic conducted before the so-called
International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY).

During its twelve and a half years of operation, the ICTY has
demonstrated to the world that rather than functioning as an
institution of justice, it employs force and blackmail, and is
subjected to flagrant pressure by the very powers who contributed the
most to the disintegration of the former Yugoslavia and the civil wars
waged within it. The ICTY has demonstrated that it is an institution
of arbitrariness and absence of law, not of reconciliation.

The ICTY's activities, and in particular the treatment of and
proceedings against Slobodan Milosevic, demonstrate that the ICTY is a
means of retaliation against Federal Republic of Yugoslavia (FRY)
citizens in general, and the Serbs in particular, because of their
resistance to the breakup of the former Yugoslavia and their heroic
defense against the NATO aggression in 1999.

The indictment of Slobodan Milosevic shifted the responsibility for
the aggression and acts of terrorism committed by the Kosovo
Liberation Army (KLA) onto its victims[1].

The ICTY has thus shown to the whole world that its main role is to
legitimize and legalize the most flagrant violations of international
law, as well as the most serious crimes committed during the breakup
of the former Yugoslavia and the NATO aggression against the FR of
Yugoslavia. Therefore, the ICTY is not an institution of justice.
Instead, it is a means for the accomplishment of specific political
objectives, a symbol of discrimination and legal violence.

The indictment against the former President of Serbia and the FR of
Yugoslavia for alleged crimes in Kosovo and Metohija was brought on 24
May 1999 in the midst of NATO's aggression against the FR of
Yugoslavia. That illegal war was a direct breach of the NATO Charter,
the UN Charter, and international law. That aggression represents a
crime against peace, the supreme international crime.

During the 78-day long criminal bombing of the FR of Yugoslavia, the
aggressors killed and wounded thousands of civilians, destroyed the
economic and transport infrastructure, tried to kill president
Milosevic by bombing his residence, used cluster bombs and depleted
uranium, and caused destruction amounting to more than $100 billion.
In order for the irony to be complete, charges against Slobodan
Milosevic were also brought for alleged crimes in Croatia and Bosnia
and Herzegovina.

However, the ICTY has not indicted any leader of the NATO member
countries or any pilot for the crimes committed during the aggression.
Instead, the indictment was raised by the ICTY, and sponsored by
Clinton Administration, against Slobodan Milosevic, a democratically
elected head of state who was leading his country in the defense
against the aggression.

President Milosevic, who was obliged to combat foreign-backed
terrorism in his country, is in the wake of the "War on Terrorism",
being tried by those who were igniting ethnic conflicts and who
created terrorist organizations in the territory of the former FRY. We
do not accept that President Milosevic be tried by those who were
supporting terrorism while it suited them and who claim to be fighting
it today.

By arresting Slobodan Milosevic illegally and by surrendering him to
the ICTY both the Constitution of the FR of Yugoslavia and the
Constitution of Serbia were breached. Therefore, the kidnapping and
delivery of President Milosevic to the ICTY represent violence to the
democratic constitution and a precedent in modern history. The
perpetrators of that shameful act bear the responsibility before the
citizens of Serbia, and before history.

II

Currently, after only a portion of the defense witnesses have
testified on President Milosevic's behalf before the ICTY, one can
note with certainty that the indictment that the so-called Hague
Prosecution raised against him has suffered a debacle!

Worldwide public opinion and experts have established, after the
witnesses for the Prosecution were heard, that the indictment against
Slobodan Milosevic for the crime of genocide is fully without grounds
and is not corroborated by a single piece of objective evidence. It is
not only that there is no evidence for the charge for genocide. There
is no evidence for any of the counts of the indictment.

Through the strength of arguing the truth, President Milosevic has
completely destroyed all the lies alleged against him in the so-called
Indictment.

There is, naturally, no evidence against Slobodan Milosevic. However,
there is a procedure in place. The machinery of the ICTY has tried, by
enacting its own rules for the trial procedure, by shaping and
adapting them to own political needs, to stop him in his presentation
of the truth. This is the reason why the tribunal is now trying to
limit the time needed for the witnesses he has invited to testify.
This must be prevented!

Presumption of guilt, unlimited duration of detention, retroactive
responsibility, secret charges and secret witnesses, as well as the
use of secret services for gathering evidence - these are only some of
the more evident proofs that there is no justification for the
existence of the ICTY as a legal institution, and even less as an
institution operating under the auspices of the United Nations.

We do not believe that the proceedings against President Milosevic are
just. However, any acceleration of the tempo of the proceedings
represents a boost for the enemies of truth and the establishment of
facts.

All of the above facts point to clear indications of a mistrial. That
is why we demand that this mockery of a trial be suspended, and for
President Milosevic to be released.

III

The following list details the most common types of abuse inflicted on
President Milosevic.

A.

1. On 28 June 2001, President Milosevic was forcefully,
unlawfully, and without the knowledge of his family and relevant legal
institutions of the FRY, transported to The Hague penitentiary in
violation of existing constitutional and FRY and international legal
provisions. The appeal for Habeas Corpus to Dutch Courts was not
sustained despite the evident facts, which proved that this was a case
of abduction.

B. President Milosevic's rights and privileges in The Hague
penitentiary are thoroughly neglected.

1. Many times his inalienable rights to self-representation and
defense have been questioned. Long periods of time were allocated to
formal discussion, thus making the preparations for the defense more
tedious and time consuming. The amount of material submitted by the
Prosecution is not only irrelevant but enormous, and this has
negatively affected the process itself as well as the health of
President Milosevic.

2. Despite a gigantic struggle, supported by international public
opinion, the improvement of President Milosevic's health has not been
obtained, due to the ICTY's repeated obstructions. A satisfactory
medical solution is not apparent, although the proceedings against
President Milosevic have gone on four years. The ICTY, in the name of
efficiency, imposed a strenuous schedule for the presentation of the
defense, which has had harmful consequences on President Milosevic's
health. The Prosecution case was not subject to such constraints.

3. Restrictions put on visitation rights and phone contacts are
inhuman and are basically devised to augment the psychological,
physical and emotional stress of President Milosevic. These and other
forms of harassment are applied to diminish President Milosevic's
capacities for his defense, and to achieve the further deterioration
of his health.

4. Numerous and amply supported demands that president Milosevic
should be temporarily released for medical treatment, supported by
medical and legal experts and the public at large, have been until now
repeatedly rejected owing to pressure from the Prosecution.

C. Abuses against and harassment of President Milosevic's family

1. Matching the pressure placed on President Milosevic since his
detention in The Hague Penitentiary, this persecution is augmented by
the ill treatment and abuses inflicted on the members of his immediate
family.

2. We would like to reiterate the unspeakable shame that his wife
has for almost three years been forbidden to visit him. His son and
daughter have not been able to visit him at all.

3. It is astonishing but true that all of the adult members of
his immediate family have been charged with absurd accusations. None
of these has been proven, and those against his son have been dropped.
These ridiculous allegations and special decisions on restricted
entrance to the EU that have been invoked against President
Milosevic's family make it impossible for his family to visit at the
present time. These restrictions on entrance are enforced by the
decisions of the Prosecution.

4. His wife is being charged without proof of illegal influence
on a decision making body to allocate a flat to another person.

5. The charge against President Milosevic's son that was in
effect for almost four years, stating that he allegedly beat and
intimidated a young member of an opposition political group, was
revoked a month ago. Old untruthful accusations against him are
repeated, and fresh ones are newly produced.

6. His daughter had to move to Montenegro to live unmolested. She
has been persecuted by ongoing proceedings since 2002, with the aim of
convicting her for her behavior during the night of President
Milosevic's abduction.

7. All of these accusations are viciously and purposely aired in
different media trying to augment the manifold pressures put on
President Milosevic.

8. To our knowledge, this is the first time that an indicted
person has had members of his immediate family prosecuted as well, and
for a series of invented crimes. These accusations stand as collateral
pressure on President Milosevic. This is done with the intent of
shattering his defense abilities.

IV.

In view of all of the above, we, members of the International
Committee for the Defense of Slobodan Milosevic are demanding:

Of the UN Security Council:

That for the purpose of permitting President Milosevic to complete his
defense, and in light of the facts that have been unambiguously proven:

1. discontinue the proceedings against Slobodan Milosevic.

2. the health and life of President Milosevic be protected.

3. all forms of pressure on President Milosevic and his family
members be suspended.

4. the proceedings against President Milosevic be suspended so
as to allow the stabilization of his health condition.

5. The International Committee for the Defense of Slobodan
Milosevic notes the disastrous consequences of the breakup of the FRY,
and the fact that the arrest and political trial of President
Milosevic has provided further encouragement for the commission of
acts of terrorism - including full-blown pogroms-- in Kosovo and
Metohija .

6. The Security Council must terminate the operations of the
ICTY, as it has not contributed to the process of reconciliation.
Instead, it has only worsened inter-ethnic relations in the territory
of the former SFRY.

7. To immediately issue a decision granting additional time to
President Milosevic so that the witnesses he has planned will have the
opportunity to testify.

8. President Milosevic sought the unity of the Yugoslav
Federation, and did so against foreign aggression and terror. Those
who were spurring and supporting terrorism in the territory of the
former SFRY, and particularly in the FRY - in Kosovo and Metohija -
should be brought to justice regardless of their nationality and
social position.

9. To immediately undertake any measure necessary in order to
allow an adequate diagnosis of President Milosevic's health condition,
by allowing different medical teams to examine him.

10. To undertake any step necessary, including provisional release of
President Milosevic, in order for his health to stabilize.

11. To immediately, without any delay, abolish all limitations on
visits from President Milosevic's family members.

12. All of the above are necessary for ensuring normal conditions for
the resumption and finalization of the process being illegally
conducted against President Milosevic before the International
Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY).


[1] "Terrorism" is here defined as designating acts of violence
carried out against, and targeting, the civilian population of a
sovereign state against which that state has the right (and the
obligation) to protect its citizens, as well as acts of violence
perpetrated against those state agents mandated to protect the
civilian population (and constitution). The definition we propose is
not that which continues to be used by the same powers that waged a
war of aggression against Yugoslavia: that is, the exercise of lawful
resistance of peoples to aggression and occupation.

******************************************************

URGENT FUNDRAISING APPEAL

******************************

President Milosevic has the truth and law on his side. In order to use
that advantage to achieve his freedom, we must fight this totally
discredited tribunal and its patrons through professionally conducted
actions which would involve the Bar Associations, the European Court,
the UN organs in charge and the media.

Our practice has shown that ad hoc voluntary work is not enough to
deal properly with these tasks. The funds secured in Serbia are still
enough only to cover the expenses of the stay and work of President
Milosevic's legal associates at The Hague (one at the time). The funds
secured by the German section of the ICDSM (still the only one with
regular contributions) are enough only to cover minimal additional
work at The Hague connected with contacts and preparations of foreign
witnesses. Everything else is lacking.

Recently, the fundraising activity of the German section was a target
of a groundless attack of the customs police in Germany. This makes
the need for your extraordinary effort dramaticaly urgent! Even the
basic defence activities at The Hague are at stake!

As a most practical way to send your donations, we are able to offer
now the account of a friendly organization in Austria (see below).
Please send your donations to that account now, to fill the gap made
after the German account was frozen. Have in mind that all bank
transfers within the EU are now at the same price like within any of
its countries.

***********************************************************

3000-5000 EUR per month is our imminent need.

Our history and our people oblige us to go on with this necessary
action. But without these funds it will not be possible.

Please organize urgently the fundraising activity
and send the donations to the following account:

Jugoslawisch-Österreichische
Solidaritäts-Bewegung. (JÖSB)
Bank Austria
IBAN AT49 1200 0503 8030 5200
BIC BKAUATWW
************************************************************

All of your donations will be used for legal and other necessary
accompanying activities, on instruction or with the consent of
President Milosevic. To obtain additional information on the use of
your donations or to obtain additional advice on the most efficient
way to submit your donations or to make bank
transfers, please do not hesitate to contact us:

Peter Betscher (ICDSM Treasurer) E-mail: peter_betscher @...
Phone: +49 172 7566 014

Vladimir Krsljanin (ICDSM Secretary) E-mail: slobodavk @...
Phone: +381 63 8862 301


***************************************************************

For truth and human rights against aggression!
Freedom for Slobodan Milosevic!
Freedom and equality for people!

On behalf of Sloboda and ICDSM,

Vladimir Krsljanin,
Foreign Relations Assistant to President Milosevic

*************************************************************

SLOBODA urgently needs your donation.
Please find the detailed instructions at:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm

To join or help this struggle, visit:
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http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend Slobodan
Milosevic)
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http://www.free-slobo-uk.org/ (CDSM UK)
http://www.icdsm-us.org/ (US section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.pasti.org/milodif.htm (ICDSM Italy)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)

--- Fine messaggio inoltrato ---

[Gli/le aderenti al CNJ sono pregati di comunicare al più presto
l'eventuale disponibilità ad organizzare presentazioni del libro nei
rispettivi contesti locali]

È da poco uscito il libro di Jean Toschi Marazzani Visconti

IL CORRIDOIO
Viaggio nella Jugoslavia in guerra

introduzione di Alexander Zinov'ev
La Città del Sole, 2005 - 18 euro

Si tratta delle memorie dell'autrice - che è stata collaboratrice de
Il Manifesto, liMes, Avvenimenti, Maiz, ... - di ritorno dai suoi
viaggi attraverso la guerra e la disinformazione: nella Repubblica
Serba di Bosnia, nel Bihac, nelle Krajine, in Kosovo...

L'autrice non è una militante politica e le interpretazioni che il
libro propone - di solito dando la parola ai personaggi di volta in
volta intervistati - non chiedono di essere da tutti condivise.
Tuttavia IL CORRIDOIO è l'unico "grande" libro apparso sinora, in
lingua italiana, sulla tragedia della Jugoslavia dipanatasi dal 1991
in poi. "Grande" sia in senso fisico - il libro, pur in formato
tascabile, consta di circa 400 pagine zeppe di dati, informazioni,
fotografie,... - sia per la vastità degli argomenti trattati - vi si
affronta la crisi dal suo sorgere fino ad oggi, attraversandone tutti
i momenti cruciali e soffermandosi anche su aspetti e drammi che la
pubblicistica italiana non ha voluto affrontare.

Per illustrare la vastità dell'opera di J.T.M. Visconti si pensi che
questo è l'unico libro in lingua italiana finora uscito nel quale si
narra in dettaglio, ed accompagnandola con fotografie, la grave
vicenda dei musulmani anti-Izetbegovic del Bihac; è l'unico libro in
lingua italiana che riporta le parole di Karadzic, estratte da alcune
interviste in parte inedite; è probabilmente l'unico libro finora
uscito in Italia a riportare le testimonianze dirette di chi ha
vissuto la fine della aggressione NATO, nel giugno 1999, sul campo, e
vivendo dunque in presa diretta i primi crimini commessi contro la
popolazione non albanese in Kosovo-Metohija dopo la fine dei
bombardamenti. È, inoltre, uno dei pochissimi libri usciti finora in
Italia a documentare i danni causati, oltreché dalle bombe della NATO,
anche dalle operazioni di disinformazione strategica che hanno
accompagnato 15 anni (ormai) di squartamento della RFS di Jugoslavia:
l'autrice fa "nomi e cognomi" delle agenzie di "public relations"
implicate, riporta dati e circostanze esatte.

Nel numero di Novembre di Balkans Info, Louis Dalmas scrive:
<< La nostra amica italiana, la scrittrice e giornalista italiana
JTMV, ha appena pubblicato, presso le Edizioni La Città del Sole, un
libro notevole intitolato "Il Corridoio - Viaggio nella Jugoslavia in
guerra", con prefazione di Alexander Zinoviev. E' un racconto vissuto
in oltre una ventina di soggiorni nei Balcani in guerra fra il 1992 ed
il 2003, il cui titolo evoca, nel 1992, il corridoio di 800 metri che
separava il fronte croato-musulmano da quello dei Serbi. E' illustrato
con numerose foto di cui la maggior parte sono state scattate
dall'autrice stessa. Un'opera appassionante, sfortunatamante per i
nostri lettori ancora in italiano, ma che merita di trovare
rapidamente un'editore francese. >>
Una più ampia recensione del libro è stata scritta da Enrico Vigna e
si può leggere qui:
http://www.resistenze.org/sito/se/li/seli5l29.htm

***

È opportuno che le realta' che in Italia si occupano della Jugoslavia
operino per presentare e diffondere questo libro. L'autrice è a
disposizione per intervenire ad iniziative di presentazione, le quali
possono fornire l'occasione per sviluppare momenti di dibattito su
molti aspetti della tragedia jugoslava e della situazione balcanica
attuale - ed anche sugli aspetti internazionali più in generale.

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia sta approntando una
ipotesi di calendario delle iniziative di presentazione del libro: per
informazioni e proposte scrivete all'indirizzo jugocoord @ tiscali.it.

(Per il CNJ: A. Martocchia)

(italiano / srpskohrvatski)

[ Discorso pronunciato dal Ministro degli esteri di Cuba F.P. Roque
l'8 novembre u.s. all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite - il
testo italiano in fondo ]


GOVOR DRUGA FELIPEA PERESA ROKEA, MINISTRA SPOLJNIH POSLOVA REPUBLIKE
KUBE, PO TEMI 18 DNEVNOG REDA GENERALNE SKUPŠTINE POD
NASLOVOM "POTREBA OKONÈANJA EKONOMSKE, TRGOVINSKE I FINANSIJSKE
BLOKADE KOJU SU SJEDINJENE AMERIÈKE DRŽAVE NAMETNULE KUBI" 8 NOVEMBAR
2005 G. NJUJORK

Gospodine Predsednièe,
Gospodo delegati.

Danas je dan od posebne važnosti za Ujedinjene Nacije. Glasajuæi po
14. put o nacrtu rezolucije koju je podnela Kuba, pod
naslovom "Potreba okonèanja ekonomske, trgovinske i finansijske
blokade koju su Sjedinjene Amerièke Države nametnule Kubi", Generalna
skupština neæe odluèivati samo o jednom pitanju od interesa za Kubu.
Glasaæemo i za principe i norme Meðunarodnog prava, protiv
ekstrateritorijalne primene zakona i za odbranu ljudskih prava
Kubanaca, Amerikanaca i naroda 191 države zastupljene u ovoj
Skupštini.

Istina je da je vlada SAD ignorisale ponovljene, skoro jednodušne,
zahteve meðunarodne zajednice i sigurno je da æe predsednik Buš još
više pooštriti blokadu, koja je veæ najduža i najsurovija u istoriji.
Ali to neæe smanjiti politièke, moralne, etièke i pravne posledice
ovog glasanja.

Nikada ranije, kao u poslednjih 18 meseci, blokada nije primenjivana
sa toliko okrutnosti i brutalnosti. Nikada ranije nije vlada SAD
toliko surovo i nemilosrdno proganjala privredu i prava Kubanaca na
jedan dostojanstven i pristojan život.
Od kako je 6. maja 2004 g. Predsednik SAD potpisao svoj novi plan za
anektiranje Kube, došlo je do histeriène eskalacije, bez presedana, u
primeni novih agresivnih mera, ukljuèujuæi i pretnje upotrebom vojne
sile protiv Kube i proganjanje graðana i preduzeæa, ne samo
kubanskih, nego i onih iz SAD i ostatka sveta.

Tako je u maju 2004 g. Švajcarskoj banci UBS odreðena globa od 100
miliona dolara, najveæa globa ikad odreðena jednoj bankarskoj
ustanovi zbog tobožnjeg kršenja blokade protiv Kube.

30. septembra 2004 g., na vrhuncu delirijuma i komiñnosti, pooštreni
su takozvani „Propisi za kontrolu kubanske aktive“ i
odreðeno je da
„graðani ili stalni rezidenti u SAD ne mogu legalno da u nekoj
treæoj
zemlji kupuju proizvode kubanskog porekla, ukljuèujuæi duvan i
alkohol, èak ni za liènu upotrebu u inostranstvu“. Kaznene mere
za te
prekršaje mogu da dostignu milion dolara globa za korporacije i 250
hiljada dolara i do 10 godina zatvora za lica. Biæe to jedini put u
istoriji da æe pušenje jedne "havane" ili kupovine jedne flaše
neuporedivog ruma "Havana Club" biti zabranjeno jednom Amerikancu,
èak iako to uèini na nekom turistièkom putovanju u drugu zemlju. U
sferi ludosti, ta drakonska zabrana treba da se upiše u Ginisovu
knjigu rekorda.
9. oktobra 2004 g. Stejt Department je, u jednom napadu bez presedana
u istoriji meðunarodnih finansijskih odnosa, najavio formiranje
jedne "Grupe za praæenje kubanske aktive". Samo postojanje grupe sa
tim imenom treba da postidi Predsednika najmoænije nacije na svetu.

Januara 2005 g., Kancelarija za kontrolu strane aktive je tako
interpretirala propise za putovanja da se amerièkim graðanima više ne
dozvoljava da uèestvuju na skupovima na Kubi pod pokroviteljstvom i u
organizaciji agencija Ujedinjenih Nacija sa sedištem u SAD, osim ako
ne dobiju prethodnu dozvolu amerièke vlade.

24. februara 2005 g. u otvorenom i besramnom kršenju meðunarodnih
propisa o markama i patentima, izveden je jedan pravni manevar
orkestriran tako da Kubi ukrade prava na marku "Cohiba", najugledniju
meðu kubanskim cigarama.

13. aprila 2005 g. je izvršena presuda po krivici amerièkog graðanina
Stefana Brodija, bivšeg predsednika kompanije "PUROLITE", optuženog
da je Kubi prodao jonizovanu smolu za preèišæavanje vode u kubanskom
vodovodu.

29. aprila 2005 g., Predsednik Buš je naredio Ministarstvu finansija
da iz kubanskih fondova nezakonito zamrznutih u bankama SAD preda 198
hiljada dolara radi izvršenja jednog od neèasnih zahteva protiv Kube
nasilnih i ekstremnih grupa koje iz Majamija potpuno nekažnjeno
organizuju teroristièke planove protiv Kube.

Aprila 2005 g. odbijen je ulazak u SAD devetorici direktora kanadske
kompanije "Sherritt" i njihovim porodicama, primenjujuæi Helms-
Bartonov zakon.

Isto tako u aprilu 2005 g. Kancelarija za kontrolu strane aktive je u
tom cilju pooštrila proganjanje èak i religioznih organizacija koje
imaju dozvolu za putovanja na Kubu.

U 2004 g., vlada je novèano kaznila 316 graðana i rezidenata u SAD
zbog kršenja propisa o blokadi. Do12. oktobra 2005 g. veæ je bilo 537
novèanih kazni.

U 2004 g. je ukupno 77 amerièkih i kompanija, bankarskih institucija
i nevladinih organizacija drugih zemalja platilo kaznu zbog kršenja
blokade Kube; 11 od njih su strana preduzeæa ili filijale amerièkih
kompanija u Meksiku, Kanadi, Panami, Italiji, Velikoj Britaniji,
Urugvaju i na Bahamima. Drugih 7 kompanija, meðu kojima
i "Iberia", "AlItalia", "Air Jamaica" i "Daewoo", su bile kažnjene
jer su njihove filijale u SAD, prema amerièkoj vladi, prekršile
zakone o blokadi.

Putovanja amerièkih graðana na Kubu od januara do oktobra 2005 g. su
smanjena za 55% u poreðenju sa istim periodom 2003 g., pre novih
sankcija koje je odobrio Predsednik Buš. U sluèaju Kubanaca koji žive
u SAD, smanjenje broja onih koji direktno putuju je bilo za 49%.

Kulturna, sportska, akademska, studentska i nauèna razmena, kao i
veze izmeðu Kubanaca koji žive sa obe strane Floridskog tesnaca, bile
su specijalna meta antikubanskih napada ove administracije. Došlo se
èak dotle da se zabrane putovanja na Kubu, izmeðu ostalih, tetaka,
strièeva i ujaka i braæe i sestara od tetaka i ujaka, dokazujuæi da
oni nisu deo porodice.

Ekselencije:
Blokada je za ovih 47 godina narod Kube koštala više od 82 milijarde
dolara. Nema ekonomske ili društvene delatnosti na Kubi koja ne trpi
njene posledice. Nema nijednog ljudskog prava Kubanaca koje nije
napadnuto blokadom.
Zbog blokade Kuba ne može da izveze ni jedan proizvod u SAD. Zbog
blizine, Kuba bi mogla svake godine da izvozi u SAD više od 30
hiljada tona nikla ili milion tona šeæera po ceni tri puta veæoj od
one koju Kuba danas dobija. Isto tako bi prodavala "Ateromixol" za
180 miliona dolara godišnje, kada bi dostigla samo 1% prodaje u SAD
lekova za smanjenje holesterola. Prema izdavaèima èasopisa "Harvard
International Review", to je najbolji raspoloživi lek protiv
holesterola. Osim toga, Kuba bi prošle godine izvezla u SAD skoro 30
miliona dolara ruma "Havana Club" i više od 100 miliona dolara u
duvanu.

Kuba isto tako ne može da uveze iz SAD drugu robu osim
poljoprivrednih proizvoda, a i to uz proširene i obnovljene
restrikcije.

Kuba ne može da prima turiste iz SAD. Da je u 2004 g. primila samo
nekih 15% od 11 miliona amerièkih turista koji su posetili Karibe,
Kuba bi ostvarila prihod veæi od milijardu dolara.

Razlièite studije objavljene u SAD utvrðuju da bi Kuba primala izmeðu
2 i 4 miliona posetilaca poreklom iz ove zemlje, ako bi se ukinula
blokada.

Zbog blokade Kuba ne može da koristi dolar u svojim transakcijama sa
inostranstvom, nema pristup kreditima, niti može da obavlja poslove
sa amerièkim finansijskim institucijama, njihovim filijalama pa èak
ni sa regionalnim ili multiteritorijalnim institucijama. Kuba je
jedina zemlja Latinske Amerike i Kariba koja za 47 godina nikada nije
dobila neki kredit od Svetske banke, niti od Interamerièke banke za
razvoj.
Kada bi blokada bila samo bilateralno pitanje izmeðu Kube i SAD, to
bi veæ bilo teško za našu malu zemlju, ali je to mnogo više od toga.
Blokada je ekonomski rat primenjen sa revnošèu koja nema poreðenja na
svetskom nivou.

Blokada je, osim toga, ekstrateritorijalna primena zakona SAD protiv
zemalja koje vi, Ekselencije, ovde predstavljate i zbog toga teško
kršenje Meðunarodnog prava.
Sada Kuba mora da savlada 2 nove prepreke: nemoænu imperijalna
oholost predsednika Buša, koja ga je odvela dalje nego ikoga pre u
ovoj ludosti i rastuæu globalizaciju svetske ekonomije.

Zbog èega? Zato što SAD kontrolišu skoro polovinu multinacionalnih
kompanija planete, ukljuèujuæi 8 od deset vodeæih. SAD su takoðe
gospodari èetvrtine direktnih stranih investicija i uvoze 22% robe na
svetskoj skali.

SAD su gospodari 11 od 14 najveæih multinacionalnih preduzeæa u
oblasti informatike i komunikacija i obuhvataju oko 80% svetske
elektronske trgovine. Od 10 farmaceutskih kompanija koje ostvaruju
skoro polovinu svetske prodaje lekova, 5 su amerièke. Neki od tih
proizvoda su jedinstveni.

Zbog toga investitori, kako preduzeæa iz treæih zemalja u SAD, tako i
amerièke kompanije u inostranstvu, smanjuju spoljni ekonomski prostor
Kube. Svaka fuzija ili kupovina meðu preduzeæima predstavlja za našu
malu zemlju izazov, èesto nepremostiv, da se naðe novi isporuèilac
ili tržište za naše proizvode.
Podsetimo se Ekselencije, ekstrateritorijalnih odredbi blokade:
Zabranjuje se, u smislu Torièelijevog zakona, podružnicama amerièkih
preduzeæa u treæim zemljama da trguju sa Kubom.

Jedan deo opreme i potreba za kubanske biotehnološke istraživaèke
centre, koji proizvode èak i terapeutske vakcine protiv raka, bio je
isporuèivan od strane švedskog preduzeæa "Pharmacia". Njega je kupilo
britansko preduzeæe "Amersham", a njega amerièki "General Electric",
koji je dao rok od nedelju dana za prekid svih kontakata sa Kubom.

Kada je brazilsku firmu "Oro Rojo" kupilo jedno amerièko preduzeæe,
storniralo je prodaju Kubi mesa u konzervi namenjenog bolesnima od
SIDE, kao deo jednog projekta sa Svetskim fondom za borbu protiv
SIDE, malarije i tuberkuloze.
Nije se, Ekselencije, radilo o oružju za masovno uništenje; nije se
radilo o drogi, nije se radilo o zabranjenim proizvodima, radilo se o
mesu za snabdevanje bolesnih od SIDE, kao deo jednog programa
Ujedinjenih Nacija. Proganjaju se i zabranjuju takve prodaje,
proganjaju se preduzeæa koja pokušavaju da održavaju normalnu
trgovinu sa Kubom; krši se pravo naše zemlje i pravo preduzeæa i
preduzetnika državljana drugih zemalja.

Kompanija "Chiron Corporation" posle globe od 168.500 dolara prošle
godine zato što je jedna njena evropska filijala izvezla Kubi dve
deèije vakcine, nije ponovo prodavala Kubi. Ne nuklearno oružje, ne
strateške rakete. Dve deèije vakcine!

7. februara 2005 g. "Fisrt Carribean International Bank" sa Bahama
stornirala je svoje poslove na Kubi pod pretnjom vlade SAD. Britanska
banka "Barclays" je nedavno ukazala da æe to isto uraditi zbog
bojazni od amerièkih sankcija.
Kanadska firma "Veco", sa uèešæem amerièkog kapitala, morala je da
suspenduje svoje projektovano uèešæe na Kubi u razvoju kapaciteta za
skladištenje goriva.
Dansku kompaniju "Sabroe" je kupilo amerièko preduzeæe "York" i odmah
je storniran posao koji je bio u toku za prodaju Kubi kompresora za
hlaðenje potrebnih za kubanski program snabdevanja jogurtom od soje
sve dece od 7 do 13 godina.
Blokada takoðe zabranjuje preduzeæima iz treæih zemalja prodaju Kubi
dobara ili usluga u kojima se koristi amerièka tehnologija ili sadrže
više od 10% sastojaka tog porekla.

Zbog toga, amerièka vlada od 2004 g. drži zabranu holandskoj
kompaniji "Intervet" da prodaje Kubi ptièije vakcine, navodeæi da
sadrži jedan antigen proizveden u SAD.
Meksièka kompanija "Vafe S.A." morala je da prekine prodaju Kubi
jednog materijala potrebnog za proizvodnju ekspres lonaca za
domaæinstvo, jer sadrže jednu sirovinu iz SAD.

U septembru 2004 g., avio kompanija iz Švedske "Noviar" je stornirala
ugovor o iznajmljivanju jedne letilice "Airbus 330" "Cubani de
Aviacion", jer nije mogla da dobije usluge održavanja, jer iako je
avion evropske proizvodnje koristi razne amerièke tehnologije.

Oktobra 2004 g. japanska kompanija "Hitachi High Technologies
Corporation" nije mogla da proda jedan elektronski mikroskop jednoj
uglednoj kubanskoj bolnici, zbog istih veæ navedenih razloga.

Blokada zabranjuje preduzeæima iz treæih zemalja, koje vi, gospodo
delegati ovde predstavljate, da izvoze u SAD bilo koji proizvod ili
opremu ako sadrži neku kubansku sirovinu.

Nijedno preduzeæe na svetu, ni jedno, ne može da izveze slatkiše u
SAD, ako sadrže kubanski šeæer.

Nijedno preduzeæe na svetu, ni jedno, ne može da izveze u SAD
automobile ili drugu opremu ako prvo ne dokaže da metali upotrebljeni
za njihovu proizvodnju ne sadrže kubanski nikl.

Blokada zabranjuje ulazak u luke SAD brodovima koji su prevozili robu
do Kube ili sa Kube. Ne amerièki brodovi, gospodo delegati, brodovi
zemalja koje vi predstavljate ne mogu da idu u SAD, ako prvo uðu u
neku kubansku luku. To je Torièelijev zakon, koji je potpisao
predsednik Buš otac 1992 g.

Blokada u skladu sa Helms-Bartonovim zakonom zabranjuje investicije
preduzeæa treæih zemalja na Kubi, pod pretpostavkom da su povezane sa
vlasništvom koje je predmet potraživanja SAD. Zbog toga su, gospodo
delegati, i dalje pod sankcijama izvršni direktori kanadske
kompanije "Sherritt", a prošle godine se pod tom pretnjom povukla sa
Kube jamajkanska kompanija "Superclubs".

Blokada, Ekselencije, krši ustavna prava amerièkog naroda. Spreèava
ga da putuju na Kubu, da uživa u našoj kulturi i da slobodno vrše
razmenu sa kubanskim narodom.
Kada Kuba danas stoji ovde na ovoj tribuni, ne èini to braneæi samo
prava kubanskog naroda. Èini to takoðe u odbranu prava i amerièkog
naroda, prema kome gajimo oseæanja simpatije, prijateljstva i
poštovanja; amerièkog naroda koga ne krivimo za naše patnje i
nepravednu i genocidnu politiku koju njihova vlada održava protiv
naše Otadžbine.

I stojimo ovde takoðe i u odbranu prava èitave meðunarodne zajednice,
koje je prekršeno ovom jednostranom i nelegalnom politikom.

Blokada pogaða i ekonomske interese, a ne samo prava, SAD. Prema
jednoj studiji iz juna 2005 g. koju je objavio Centar za poslove i
istraživanja Univerziteta sa Juga Alabame, ukidanje blokade bi
amerièkoj privredi moglo da donese 100 hiljada novih radnih mesta i
dodatne prihode od 6 milijardi dolara.

Gospodo delegati:
Gospodine predsednièe:
Posle dugog niza godina kada je to èinila, primetili smo da je
delegacija SAD, danas ovde prisutna, odbila da uèestvuje na debati
koja je prethodila ovom glasanju. Mislim da je to zbog toga što nema
ideja, što nema ni jedan jedini argument. Zbog toga su odbili èak i
da brane svoje stavove na generalnoj debati. Ojaðeni su onim što je
dvadesetak delegata ovde objasnilo pre kubanske delegacije. Æute,
verovatno zato što se, kao što je rekao predsednik Abraham
Linkoln "ne može sve vreme varati èitav svet".
Treba da kažem da shvatamo tu odluku kao neku vrstu moralne predaje.
Potrebno je više od moæi, potrebna je etika, potreban je moralni
autoritet, a moralni autoritet se ne stièe silom, ne stièe se ratom,
ne stièe se oružjem; moralni autoritet se stièe primernim delima i
poštovanjem prava ostalih, makar bili mali i siromašni.

Znam da su se prijavili za kasnije uèešæe u objašnjenju glasova.
Govoriæe posle mene. Zbog toga ne mogu da komentarišem njihovo
mišljenje, ali garantujem da æe, kada doðe red za repliku, kubanska
delegacija odbaciti svaku laž i ponoviti svaku istinu koju bude bili
potrebno reæi u ovoj Sali.

Gospodo delegati:
Gospodine Predsednièe:
Na kraju želim da insistiram na tome da blokada Kube treba da bude
ukinuta. Vlada SAD treba da prestane sa svojim agresijom na Kubu;
treba da najzad prizna naše pravo na slobodno opredeljenje.
Vlada SAD stvara sebi lažne iluzije - i to potpuno jasno kažem - sa
idejom da može da obori kubansku Revoluciju. Maskira svoje planove;
naziva tranzicijom ono što bi bila gruba i krvava aneksija Kube.
Ali se vara. Ne poznaje hrabrost, duh nezavisnosti i nivo politièke
svesti koji je Revolucija posejala u kubanskom narodu.

Èvrstina i oseæanje dostojanstva koje su pokazala petorica mladih
Kubanaca, politièkih zatvorenika u amerièkim zatvorima, heroja borbe
protiv terorizma, èije porodice, èije supruge, èije majke, èija deca
tamo u Havani prate ovu debatu i veruju u oseæaj za pravdu prisutnih
delegacija, dokaz su nesalomivog duha sa kojim mi Kubanci danas
branimo i braniæemo uvek naše pravo da gradimo jedno pravednije,
solidarnije i humanije društvo.

U ima tih pet heroja, gospodo delegati; u ime kubanske dece i
omladine koja je morala da živi èitav svoj život pod blokadom; u ime
velikodušnog, veselog i odvažnog naroda koji tamo na Kubi veruje u
vas, jer zna da je svet video Kubance kako se bore, poduèavaju i leèe
gde god je bio potreban njihov doprinos; jer zna da je svet uvek
viðao Kubance ne samo da daju ono što im pretièe, nego da dele ono
što imaju; u ime prava Kube, gospodo delegati, koje je danas takoðe i
pravo svih, koje jed danas takoðe i vaše pravo i pravo naroda koje vi
predstavljate u ovoj Skupštini, s poštovanjem tražim od vas da
glasate za nacrt rezolucije "Potreba okonèanja ekonomske, trgovinske
i finansijske blokade koju su Sjedinjene Amerièke Države nametnule
Kubi".

---

Discorso pronunciato dal Ministro degli Esteri cubano Felipe Perez
Roque all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite
8 novembre 2005.

Signor Presidente, signori delegati,

oggi è un giorno di speciale importanza per le Nazioni Unite poiché
si vota per la quattordicesima volta il progetto di risoluzione
presentato da Cuba dal titolo "Necessità di porre fine al blocco
economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti
contro Cuba". L'Assemblea Generale non deciderà su un tema di
interesse solo per Cuba, voterà anche a favore dei principi e delle
norme del diritto internazionale, contro l'applicazione extra-
territoriale delle leggi e in difesa dei diritti umani dei cubani,
dei nordamericani e dei paesi dei 191 Stati rappresentati in questa
assemblea.

È verità che il Governo degli Stati Uniti ha ignorato la reiterata
esigenza, quasi unanime, della comunità internazionale ed è certo
che il Presidente Bush renderà ancora più duro il blocco, che è già
il più lungo e crudele della storia. Ma questo non diminuisce
l'importanza etica, morale e giuridica di questa votazione.

Mai prima, come negli ultimi 18 mesi, il blocco è stato applicato
con tanto accanimento e brutalità, mai prima è stata tanto crudele e
spietata la persecuzione di un Governo degli Stati Uniti contro
l'economia e il diritto dei cubani a una vita degna e decorosa.

Da quando il 6 maggio 2004 il Presidente degli Stati Uniti ha
firmato il suo nuovo piano per annettere Cuba, si è prodotta
un'isterica scalata senza precedenti nell'applicazione di nuove e
aggressive misure, compresa la minaccia dell'uso della forza
militare contro Cuba e la persecuzione di aziende e di persone non
solo cubane, ma anche degli Stati Uniti e del resto del mondo. Così
nel maggio del 2004 è stata imposta una multa di cento milioni di
dollari alla banca svizzera Unione delle Banche Svizzere, la
maggiore sanzione contro un ente bancario per avere violato in modo
presunto il blocco contro Cuba.

Il 30 settembre 2004 nel colmo del delirio e della ridicolaggine
sono state rese più dure le cosiddette regole di controllo sui fondi
cubani ed è stato stabilito che i cittadini o i residenti permanenti
negli Stati Uniti non possono comprare legalmente in un paese terzo
prodotti di origine cubana compreso tabacco e alcool, neanche per
proprio uso personale all'estero.

Le sanzioni penali per queste violazioni possono giungere a multe
fino a un milione di dollari per le aziende e a 250.000 dollari e
fino a 10 anni di carcere per le persone.

E' la unica volta nella storia in cui fumare un sigaro cubano o
comprare una bottiglia dell'incomparabile rum Havana Club è proibito
a un nordamericano, perfino se lo fa in un viaggio turistico in un
altro paese. In materia di pazzia questa proibizione draconiana
dovrebbe essere inserita nel libro del Guinness de primati.

Il 9 ottobre 2004 il Dipartimento di Stato ha annunciato, con
un'aggressione senza precedenti nella storia delle relazioni
finanziarie internazionali, la costituzione di un gruppo di
persecuzione dei fondi cubani. La sola esistenza di un gruppo con
tale nome dovrebbe far vergognare il Presidente della nazione più
potente della storia.

Nel gennaio 2005 l'ufficio di controllo dei fondi esteri ha
reinterpretato le regole sui viaggi in modo tale che oramai non è
più permesso a cittadini nordamericani di partecipare a riunioni a
Cuba che siano patrocinate e organizzate da agenzie delle Nazioni
Unite con sede negli Stati Uniti, salvo che ottengano una licenza
previa del Governo nordamericano.

Il 24 febbraio 2005 in netta e sfrontata violazione delle regole
internazionali sui marchi e sui brevetti è stata realizzata una
manovra legale orchestrata per sottrarre a Cuba i diritti sulla
marchio Cohíba, il più prestigioso tra i sigari cubani.

Il 13 aprile 2005 è stato emesso il verdetto di colpevolezza contro
il cittadino nordamericano Stefan Broil, ex-presidente dell'azienda
Piurolait (come si pronuncia) accusato di avere venduto a Cuba
resine ionizzate per la purificazione dell'acqua negli acquedotti
cubani.

Il 29 aprile 2005 il Presidente Bush ha ordinato al Dipartimento del
Tesoro di consegnare 198.000 dollari dei fondi cubani illegalmente
congelati nelle banche degli Stati Uniti, per adempiere a una delle
illegittime richieste contro Cuba dei gruppi violenti ed estremisti
che da Miami organizzano in totale impunità piani terroristici
contro Cuba.

Nell'aprile 2005 è stata negata l'entrata negli Stati Uniti ai nuovi
dirigenti della compagnia canadese Sherrit e ai loro familiari in
applicazione della legge Helms-Burton. Pure nell'aprile 2005
l'ufficio di controllo dei fondi esteri ha reso più dura la sua
persecuzione persino contro organizzazioni religiose che possiedono
permessi per viaggi a Cuba a tale scopo.

Nell'anno 2004 il Governo ha imposto multe a 316 cittadini residenti
negli Stati Uniti per avere violato disposizioni del blocco. Fino al
12 ottobre 2005 si era già arrivati a 537 multe.

Nell'anno 2004 un totale di 77 compagnie, istituti bancari e
organizzazioni non governative nordamericane e di vari paesi è stato
multato per avere violato il blocco a Cuba. Undici di esse sono
aziende estere o filiali di compagnie nordamericane in Messico,
Canada, Panama, Italia, Regno Uniti, Uruguay e Bahama. Altre sette
compagnie, tra esse Iberia, Air Italia, Air Giamaica, sono state
sanzionate perché le loro filiali negli Stati Uniti hanno violato,
secondo il Governo nordamericano, le leggi del blocco.

I viaggi dei cittadini nordamericani a Cuba sono diminuiti del 55 %
a paragone dello stesso periodo del 2003 prima delle nuove sanzioni
approvate dal Presidente Bush. Nel caso dei cubani residenti negli
Stati Uniti la diminuzione di coloro che viaggiano direttamente è
stata del 49 %.

Gli scambi culturali, sportivi, accademici, studenteschi e
scientifici, così come i vincoli dei cubani che vivono su entrambi i
lati dello stretto della Florida, sono stati bersaglio speciale
delle aggressioni anticubane di questa amministrazione. Si è
arrivati perfino a proibire i viaggi a Cuba di zii e cugini, tra gli
altri, adducendo il fatto che non fanno parte della famiglia.

Eccellenze, il blocco è costato al popolo di Cuba, in questi quasi
47 anni, più di 82.000 milioni di dollari. Non c'è attività
economica o sociale a Cuba che non patisca le sue conseguenze. Non
c'è diritto dei cubani che non sia aggredito dal blocco. In virtù
del blocco Cuba non può esportare alcun prodotto negli Stati Uniti.
Per la sua vicinanza, Cuba potrebbe esportare ogni anno negli Stati
Uniti oltre 30.000 tonnellate di nichel o un milione di tonnellate
di zucchero a un prezzo tre volte maggiore di quello che Cuba riceve
oggi. Venderebbe pure 180 milioni di dollari all'anno di ateromixol
se solo raggiungesse l'1 % delle vendite negli Stati Uniti di
medicine che riducono il colesterolo. Secondo gli editori della
rivista Harvard Internazionale Review questo è il miglior farmaco
anticolesterolo disponibile.

Inoltre Cuba avrebbe esportato lo scorso anno negli Stati Uniti
quasi 30 milioni di dollari di rum Havana Club e più di 100 milioni
di dollari in sigari. Cuba non può neppure importare dagli Stati
Uniti altre merci che non siano prodotti agricoli e questo con ampie
e sempre nuove restrizioni.

Cuba non può ricevere turismo dagli Stati Uniti. Nel 2004 se Cuba
avesse ricevuto solo un 15 % degli 11 milioni di turisti
nordamericani che hanno visitato i Caraibi, Cuba avrebbe incassato
oltre 1.000 milioni di dollari.

Diversi studi pubblicati negli Stati Uniti stabiliscono da 2 a 4
milioni i turisti provenienti da questo paese che Cuba riceverebbe
se il blocco fosse tolto.

A causa del blocco Cuba non può utilizzare neanche il dollaro nelle
sue transazioni con l'estero, né ha accesso a crediti, né può
realizzare operazioni con istituti finanziari nordamericani, con le
loro filiali e perfino con istituzioni regionali o multilaterali.
Cuba è l'unico paese dell'America Latina e dei Caraibi che non ha
mai ricevuto in 47 anni un credito dalla Banca Mondiale né della
Banca Interamericana di Sviluppo.

Se il blocco fosse solo un tema bilaterale tra Stati Uniti e Cuba,
sarebbe già una cosa molto grave per il nostro piccolo paese, ma è
molto di più di questo, il blocco è una guerra economica, applicata
con zelo incomparabile a livello mondiale.

Il blocco è inoltre l'applicazione extra-territoriale di leggi degli
Stati Uniti contro i paesi che voi qui rappresentate, eccellenze, ed
è pertanto una grave violazione del diritto internazionale.

Ora Cuba ha due nuovi ostacoli da affrontare. Da una parte
l'impotente superbia imperiale del Presidente Bush, che l'ha portato
più lontano di qualsiasi altro in questa pazzia e la crescente
globalizzazione dell'economia mondiale, perché gli Stati Uniti
controllano quasi la metà delle aziende multinazionali del pianeta,
comprese otto delle dieci più importanti. Gli Stati Uniti sono
padroni anche della quarta parte dell'investimento estero diretto e
importano il 22 % delle merci a livello mondiale. Gli Stati Uniti
sono padroni di 11 delle 14 maggiori aziende multinazionali nel
settore informatico e delle comunicazioni e assorbono circa l'80 %
del commercio elettronico mondiale.

Delle dieci compagnie farmaceutiche che realizzano quasi la metà
delle vendite mondiali di medicine, cinque sono nordamericane e
alcuni di questi paesi sono unici. È per questo motivo che sia gli
investimenti negli Stati Uniti di aziende di paesi terzi sia di
compagnie nordamericane all'estero riducono lo spazio economico
estero di Cuba. Ogni fusione o acquisizione tra aziende presuppone
per il nostro paese la sfida molte volte insuperabile di trovare un
nuovo fornitore o un nuovo mercato per i nostri prodotti.

Ricordiamo eccellenze le disposizioni extraterritoriali del blocco.

Si proibisce, in virtù della legge Torricelli, a filiali di aziende
nordamericane in paesi terzi, di commerciare con Cuba. Una parte
delle apparecchiature e degli articoli dei centri di ricerca della
biotecnologia cubana che già producono vaccini terapeutici contro il
cancro, era fornita dall'azienda svedese Famacma, che è stata
comprata dall'azienda britannica Amerchin e questa a sua volta dalla
nordamericana General Electric, che ha dato un termine di una
settimana per sospendere ogni contatto con Cuba.

Quando l'azienda brasiliana Oro Rojo è stata comprata da un'azienda
nordamericana, ha cancellato le sue vendite di carni in scatola a
Cuba che venivano destinate a malati di AIDS come parte di un
progetto con il Fondo Mondiale di Lotta Contro l'AIDS, la malaria e
la tubercolosi. Non erano, eccellenze, armi di distruzione di massa,
non erano droghe, non erano prodotti proibiti, era carne da fornire
ai malati di AIDS come parte di un programma delle Nazioni Unite. Si
perseguono, si proibiscono queste vendite, si perseguono le aziende
che cercano di avere commerci normali con Cuba. Si viola un diritto
del nostro paese e un diritto di aziende e di imprenditori cittadini
di altri paesi.

La compagnia Cairo Corporation non ha più venduto a Cuba dopo essere
stata multata lo scorso anno con 168.500 dollari perché una delle
sue filiali europee aveva esportato a Cuba due vaccini per bambini.
Non armi nucleari, non razzi strategici, due vaccini per bambini.

Il 7 febbraio 2005 la Caribean Internacional Bank di Bahama ha
cancellato le sue operazioni con Cuba sotto la minaccia del Governo
degli Stati Uniti.

La Banca Britannica Barkeis ha recentemente indicato che avrebbe
fatto la stessa cosa di fronte alla paura di sanzioni nordamericane.
L'azienda canadese Beko, a partecipazione di capitali nordamericani,
ha dovuto sospendere la sua progettata partecipazione allo sviluppo
a Cuba di capacità per l'immagazzinamento di combustibile.

La compagnia danese Sabrot è stata acquistata dall'azienda
nordamericana York e immediatamente sono state cancellate le
operazioni in atto per vendere a Cuba compressori di refrigerazione
necessari per il programma cubano di fornitura di yogurt di soia per
tutti i bambini dai sette ai tredici anni.

Il blocco proibisce pure ad aziende di paesi terzi la vendita a Cuba
di beni o di servizi in cui sia utilizzata tecnologia nordamericana
o che contengano oltre il 10 % di parti di questa provenienza. Per
questo, il Governo nordamericano mantiene dall'anno 2004 la sua
proibizione alla compagnia olandese Interbet per la vendita a Cuba
di vaccini aviari adducendo il fatto che contengono un antigene
prodotto negli Stati Uniti.

La compagnia messicana Bafe S.A. ha dovuto sospendere la vendita a
Cuba di un materiale necessario per la fabbricazione di pentole
domestiche a pressione perché conteneva una materia prima degli
Stati Uniti.

Nel settembre 2004 la compagnia aerea della Svezia ha cancellato il
contratto di affitto di un'aeronave Airbus 330 con Cubana de
Aviación perché non poteva ricevere i servizi di manutenzione
perché, anche se l'aereo era di fabbricazione europea, utilizzava
varie tecnologie nordamericane.

Nell'ottobre 2004 la compagnia giapponese Hitachi Higth Tecnologies
Corporation non ha potuto vendere un microscopio elettronico per un
prestigioso ospedale cubano per le stesse ragiona già elencate.

Il blocco proibisce ad aziende di paesi terzi, quelle che qui voi
rappresentate, signori delegati, di esportare negli Stati Uniti
qualunque prodotto o apparecchiatura se questi contiene materia
prima cubana. Nessuna azienda al mondo può esportare confetture
negli Stati Uniti se contengono zucchero cubano. Nessuna azienda al
mondo può esportare negli Stati Uniti automobili o altre
apparecchiature se prima non dimostra che i metalli usati per la
loro fabbricazione non contengono nichel cubano.

Il blocco proibisce l'entrata ai porti degli Stati Uniti a navi che
abbiano trasportato merci a o da Cuba, non navi nordamericane, navi
dei paesi che voi rappresentate non possono andare negli Stati Uniti
se prima hanno toccato un porto cubano. È la legge Torricelli
firmata dal Presidente Bush padre nel 1992. Il blocco proibisce in
virtù della legge Helms-Burton gli investimenti a Cuba di aziende di
paesi terzi, sotto l'ipotesi che siano in relazione con proprietà
soggette a reclamo da parte degli Stati Uniti.

Per questo motivo, signori delegati, restano sanzionati i dirigenti
della compagnia canadese Sherrit e l'anno scorso si è ritirata da
Cuba, sotto questa minaccia, la compagnia giamaicana di turismo
Superclub.

Il blocco, eccellenze, viola i diritti costituzionali del popolo
nordamericano, gli impedisce di recarsi a Cuba, di godere della
nostra cultura e di scambiare liberamente con il popolo cubano. Cuba
si trova oggi in questa tribuna non solo per difendere i diritti del
popolo cubano, lo fa anche per difendere i diritti del popolo
nordamericano, verso il quale proviamo sentimenti di simpatia, di
amicizia e di rispetto, il popolo nordamericano a cui non diamo la
colpa per la nostra sofferenza e per l'ingiusta e genocida politica
che ha contro la nostra patria. E siamo qui pure in difesa del
diritto di tutta la comunità internazionale, che è violato da questa
politica illegale unilaterale.

Il blocco colpisce anche gli interessi economici, non solo i diritti
degli Stati Uniti. Secondo uno studio del luglio 2005 pubblicato dal
centro di commercio e di ricerca dell'Università del Sud
dell'Alabama l'eliminazione del blocco potrebbe generare centomila
nuovi posti di lavoro ed entrate per 6.000 milioni di dollari
all'economia nordamericana.

Signori delegati, signor Presidente. Dopo molti anni, osserviamo che
la delegazione degli Stati Uniti qui presente ha rinunciato a
partecipare al dibattito previo a questa votazione. Penso che si
deve al fatto che non hanno idee, che non hanno neppure un solo
argomento, hanno rinunciato per tal motivo almeno a difendere le
loro posizioni nel dibattito generale. Sono angosciati perché una
ventina di delegazioni è intervenuta qui prima della delegazione
cubana.

Fanno probabilmente silenzio perché, come diceva il Presidente
Abraham Lincoln, non si può ingannare tutto il mondo per sempre.
Devo dire che intendiamo questa decisione come una specie di resa di
tipo morale. Si richiede più che potere, si richiede etica, si
richiede autorità morale, e l'autorità morale non si ottiene con la
forza, non si ottiene con la guerra, non si ottiene con le armi.
L'autorità morale si conquista con atti esemplari, con il rispetto
al diritto degli altri anche se sono piccoli e poveri.

So che sono iscritti per partecipare poi alla spiegazione del voto.
Parleranno dopo, e pertanto io non posso commentare le loro opinioni
ma garantisco che nel turno di replica la delegazione cubana
respingerà ogni menzogna e ripeterà ogni verità che sia necessario
dire in questa sala.

Signori delegati, signor Presidente, alla fine voglio insistere sul
fatto che il blocco contro Cuba deve essere tolto. Il Governo degli
Stati Uniti deve far finire le sue aggressioni contro Cuba, alla
fine deve riconoscere il nostro diritto alla libera determinazione.
Il Governo degli Stati Uniti si crea false illusioni, e lo dico con
tutta chiarezza, con l'idea che si può sconfiggere la Rivoluzione
cubana. Maschera i suoi piani, chiama transizione quello che sarebbe
una rozza e sanguinosa annessione di Cuba.

Ma si sbaglia, ignora il coraggio, lo spirito di indipendenza e il
livello di coscienza politica che la Rivoluzione ha seminato nel
popolo cubano. La fermezza ed il senso della dignità che hanno
dimostrato i cinque giovani cubani prigionieri politici nelle
carceri nordamericane, eroi della lotta contro il terrorismo, i cui
familiari, le cui mogli, le cui madri, i cui figli là a La Habana
seguono questo dibattito e confidano nel senso di giustizia delle
delegazioni presenti. La fermezza di questi cinque giovani è una
prova dello spirito indomabile con cui i cubani difendono oggi e
difenderanno sempre il nostro diritto a costruire una società più
giusta, solidale e umana.

Nel nome di questi cinque eroi, signori delegati, nel nome dei
bambini e dei giovani cubani che hanno dovuto vivere tutta la loro
vita sotto il blocco, nel nome del popolo generoso, allegro e
coraggioso che là a Cuba confida in voi perché sa che il mondo ha
visto i cubani combattere, insegnare e curare dovunque sia stato
necessario il loro concorso.

Perché sa che il mondo ha visto sempre i cubani non dare quello che
eccede, bensì condividere quello che hanno nel nome del diritto di
Cuba, signori delegati, che è oggi anche il diritto di tutti, che è
oggi anche il vostro e quello dei popoli che voi rappresentate in
questa Assemblea, vi chiedo rispettosamente di votare a favore del
progetto di risoluzione "Necessità di porre fine al blocco
economico, commerciale e finanziario imposto dagli Stati Uniti
contro Cuba.

Molte grazie.

--- In icdsm-italia @yahoogroups.com, "icdsm-italia" ha scritto:

IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA
IL J'ACCUSE DI SLOBODAN MILOSEVIC DI FRONTE AL "TRIBUNALE AD HOC" DELL'AIA

Zambon Editore (Frankfurt, 2005)
240 pagine, 10 euro, ISBN 88-87826-33-1

Il testo integrale, in lingua italiana, della dichiarazione di
Slobodan Milosevic in apertura del "processo di difesa" dinanzi al
"Tribunale ad hoc per i crimini commessi sul territorio della ex
Jugoslavia" dell'Aia (31 agosto - 2 settembre 2004), ed altri testi
inediti di Slobodan Milosevic.

A cura della Sezione Italiana del Comitato Internazionale per la
Difesa di Slobodan Milosevic (ICDSM Italia)

Da capro espiatorio ad accusatore: Milosevic punta il dito sulle
potenze che hanno voluto la distruzione della Jugoslavia – vera prima
tappa della "guerra permanente" per il Nuovo Ordine Mondiale.

Distribuzione:



- per l'Italia

# distribuzione militante: rivolgersi ad
ICDSM-Italia
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27
00043 Ciampino (Roma)
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+++ ICDSM-Italia è contattabile anche per organizzare
iniziative-dibattito e presentazioni del libro +++

# nelle librerie:
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# altri:
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Via Caroto 2/a – 37131 Verona
Tel.: 045 8489196 – Fax: 045 8403149
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- per l'estero

rivolgersi a Zambon Editore, Francoforte sul Meno (Germania)
zambon @ zambon.net - Tel. 069/779223 Fax 069/773054


"Tra le idiozie e le infamie messe in circolazione dall'ideologia che
ha accompagnato la guerra contro la Jugoslavia, una spicca in modo
particolare: il processo all'Aia contro Milo?sevi´c [...] A
pronunciare tale requisitoria è in primo luogo un paese che, ancora
nel secondo dopoguerra, non è indietreggiato dinanzi ad alcuna infamia
nel tentativo (fallito) di assogettare i popoli dell'Indocina: qui,
ancora ai giorni nostri, innumerevoli bambini, donne e uomini
continuano a portare nel loro corpo martoriato i segni
dell'indscriminata guerra chimica condotta dagli aspiranti padroni del
pianeta. D'altro canto, per ironia della storia, la farsa giudiziaria
contro Milo?sevi´c va avanti mentre, nonostante la censura, trapelano
particolari agghiaccianti su Guantanamo e Abu Ghraib..." (Domenico
Losurdo)

"...Determinanti per la istituzione del Tribunale Internazionale per i
Crimini in Jugoslavia (in sigla: ICTY) le pressioni esercitate da
Madeleine Albright quale ambasciatore USA alle Nazioni Unite. Quegli
stessi USA che si sono sempre opposti alla costituzione del Tribunale
Penale Internazionale (in sigla: TPI), non consentendo che i cittadini
degli Stati Uniti vengano sottoposti al giudizio di autorità
giudiziarie diverse dalle loro, in ossequio alle ambizioni
imperialistiche degli USA. In Italia ne abbiamo avuto (fra gli altri)
un doloroso esempio per l'eccidio del Cermis ad opera di piloti USA
sottratti al giudizio dell'autorità giudiziaria italiana e
sostanzialmente assolti negli USA.
Per quanto riguarda la costituzione dell'ICTY va osservato che la
Carta dell'ONU non consente la possibilità, per il Consiglio di
Sicurezza, di creare "tribunali ad hoc" da ritenere discriminatori ed
organizzati per colpire i nemici USA..." (Giuseppe Mattina)


INDICE:

Introduzione: Domenico
Losurdo........................................................3
Processo Milosevic: un "processo alle
intenzioni"..........................9
(a cura di ICDSM-Italia)
Lettera al Presidente
Milosevic.......................................................37
di Miriam Pellegrini Ferri e Spartaco Ferri
Sulle illegalità del processo contro Slobodan Milosevic:
Giuseppe
Mattina.................................................................................39
DICHIARAZIONE DI SLOBODAN MILOSEVIC......................45
in apertura del "processo di difesa" dinanzi
al "Tribunale ad hoc per i crimini commessi
sul territorio della ex-Jugoslavia" dell'Aia (Olanda)
31 agosto-2 settembre 2004
Legenda: nomenclatura ed acronimi:
............................................199
Allegato 1:
Discorso di Milosevic a Campo dei Merli, 28 giugno 1989........211
Allegato 2:
Slobodan Milosevic si rivolge alla nazione, 2 ottobre 2000........219
Allegato 3:
Lettera di Milosevic all'opinione pubblica, agosto 2003.............229
SCHEDA: ICDSM
..............................................................................239


Questo testo è stato realizzato interamente grazie al lavoro
volontario dei membri e dei simpatizzanti dell'ICDSM e grazie ai
proventi della sottoscrizione popolare per la difesa di Slobodan
Milosevic. Il ricavato della vendita di questo libro va a copertura
delle spese dell'ICDSM e della difesa legale di Milosevic.

Per il contributo prezioso, fornito per la realizzazione di questo
libro, ringraziamo tra gli altri: A. Amoroso, C. Bettio, O. Daric , C.
Ferretti, S. Ferri, D. Losurdo, M. Marianetti, A. Martocchia, G.
Mattina, I. Pavicevac, B. Stradcutter, F. Zuddas.

La traduzione è basata sulle trascrizioni "ufficiali" in lingua
inglese e francese, che si possono reperire al sito internet del
"Tribunale ad hoc":
31 agosto 2004: http://www.un.org/icty/transe54/040831ED.htm
1 settembre 2004: http://www.un.org/icty/transe54/040901IT.htm
2 settembre 2004: http://www.un.org/icty/transe54/040902IT.htm
In lingua francese: http://www.un.org/icty/transf54/transf54.htm

Uvodna rec Predsednika Milosevica u Hagu 31. avgusta i 1. septembra 2004.:
http://www.sloboda.org.yu/uvodnarecC.htm - cirilica;
http://www.sloboda.org.yu/uvodnarecL.htm - latinica.

Invitiamo il lettore a seguire le udienze del "Tribunale ad hoc" anche
via internet sui siti:
http://www.domovina.net/Icty/eng/room1.ram
http://hague.bard.edu/video.html
http://tribunal.freeserbia.com
LE TRASCRIZIONI "UFFICIALI" DEL "PROCESSO" SI TROVANO AI SITI:
http://www.un.org/icty/transe54/transe54.htm (IN ENGLISH)
http://www.un.org/icty/transf54/transf54.htm (EN FRANCAIS)

Ulteriori informazioni ed aggiornamenti ai siti internet:

http://www.sloboda.org.yu/ (Associazione Libertà/Sloboda)
http://www.icdsm.org/ (Comitato internazionale per la difesa di
Slobodan Milosevic)
http://www.pasti.org/milodif.html (sezione italiana dell'ICDSM)
http://www.free-slobo.de/ (sezione tedesca dell'ICDSM)
http://www.free-slobo-uk.org/ (sezione britannica dell'ICDSM)
http://www.icdsm-us.org/ (sezione statunitense dell'ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (sezione irlandese dell'ICDSM)
http://www.wpc-in.org/ (Consiglio mondiale per la pace/World Peace
Council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Centro antiNATO dei Balcani)
http://it.groups.yahoo.com/group/jugoinfo (Notiziario JUGOINFO del
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, Italia)

---

COMITATO INTERNAZIONALE PER LA DIFESA DI SLOBODAN MILOSEVIC
ICDSM Sofia - New York - Mosca www.icdsm.org

* * *
Velko Valkanov, Ramsey Clark, Alexander Zinoviev (Co-Presidente),
Klaus Hartmann (Presidente del Comitato), Vladimir Krsljanin
(Segretario), Christopher Black (Presidente, Comitato Giuridico),
Tiphaine Dickson (Portavoce Legale)
* * *

ICDSM - Sezione Italiana
presidente ad interim: Miriam Pellegrini Ferri

c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27
00043 Ciampino (Roma)
SITO INTERNET: http://www.pasti.org/linkmilo.html

--- Fine messaggio inoltrato ---


Da: "icdsm-italia"
Data: Ven 18 nov 2005 17:41:23 Europe/Rome
Oggetto: [icdsm-italia] Aggiornamenti dal processo politico contro
Milosevic


TPI: MILOSEVIC MALATO, RINVIATA UDIENZA

(ANSA) - L'AJA, 11 NOV - Nuovo rinvio per malattia dell'imputato del
processo contro l'ex presidente della Jugoslavia Slobodan Milosevic.
Il presidente della corte Patrick Robinson ha preso atto oggi
dell'assenza dell'accusato, ha chiesto che sia consegnato un rapporto
medico ed ha rinviato l'udienza a martedi' prossimo. Milosovic e'
processato dal Tribunale penale internazionale (Tpi) per la ex
Jugoslavia per genocidio, crimini di guerra e crimini contro
l'umanita' per il ruolo avuto nei conflitti che hanno insanguinato i
Balcani negli anni '90. Il processo e' cominciato il 12 febbraio del
2002 ed ha subito gia' diversi rinvii perche' l'accusato ha preteso di
difendersi da solo ed ha presentato diversi certificati medici dai
quali risulta che ha problemi di ipertensione. (ANSA). VS
11/11/2005 13:59

TPI: MILOSEVIC CHIEDE SEI SETTIMANE DI SOSPENSIONE PROCESSO

(ANSA) - L'AJA, 15 NOV - L'ex presidente della Jugoslavia, Slobodan
Milosevic, ha chiesto oggi sei settimane di sospensione del processo a
suo carico presso il Tribunale penale internazionale dell'Aja (Tpi),
adducendo motivi di salute. Milosevic ha prodotto certificati di
medici francesi, russi e serbi, che l'hanno visitato al centro di
detenzione delle Nazioni unite a Scheveningen, prescrivendogli
''almeno sei settimane di riposo fisico e mentale''. I giudici non
hanno ancora preso una decisione in merito, avendo Milosevic inoltrato
la documentazione medica solo all'inizio dell'udienza. Milosovic e'
processato dal Tpi per la ex Jugoslavia per genocidio, crimini di
guerra e crimini contro l'umanita', a causa del ruolo svolto nei
conflitti che hanno insanguinato i Balcani negli anni '90. Il processo
e' iniziato il 12 febbraio del 2002 e ha gia' subito molteplici
rinvii, poiche' l'accusato ha preteso di difendersi da solo e ha
presentato diversi certificati medici dai quali risulta che soffre di
ipertensione. (ANSA). FEN
15/11/2005 11:57

TPI: MILOSEVIC ACCUSA MALORE, SOSPESA UDIENZA PROCESSO

(ANSA) - BRUXELLES, 16 NOV - L'udienza del Tribunale penale
internazionale per i crimini nell'ex Jugoslavia (Tpi) in corso oggi
nell'ambito del processo all'ex leader serbo Slobodan Milosevic e'
stata sospesa dopo che Milosevic ha accusato un malore. ''Non mi sento
bene e non riesco a restare seduto'', ha detto Milosevic ai giudici
che hanno sospeso i lavori e chiamato un medico per verificare le sue
condizioni di salute. ''Mi fa davvero male ogni suono'', ha spiegato
Milosevic al giudice che presiede il Tribunale, Patrick Robinson, che
gli ha chiesto maggiori dettagli sul suo malore. ''Ho male agli occhi
e alle orecchie - ha aggiunto Milosevic - sento una pressione enorme e
la testa mi pesa moltissimo. Ogni suono mi fa male''. (ANSA). CM
16/11/2005 12:33

OLANDA: TPI, NUOVO PRESIDENTE GIUDICE ITALIANO POCAR ++RPT++

(ANSA) - L'AJA, 17 NOV - E' il giudice italiano Fausto Pocar il nuovo
presidente del Tribunale penale internazionale (Tpi) per l'ex
Jugoslavia, che ha sede all'Aja. Pocar, 66 anni, gia' membro del Tpi
dal 2000 e vicepresidente dal 2003, guidera' il Tpi per i prossimi due
anni, prendendo il posto dell'americano Theodor Meron. Vicepresidente
del Tpi e' stato nominato il giudice australiano Kevin Parker. Pocar
e' il secondo presidente italiano dalla creazione del Tpi. In
precedenza Antonio Cassese aveva guidato il Tribunale internazionale
dal 1993 al 1997. (ANSA). FEN
17/11/2005 18:27

---
A MOSCA COME IN ITALIA...
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MILOSEVIC: A MOSCA ESCE LIBRO IN SUA STRENUA DIFESA

(ANSA) - MOSCA, 27 SET - L'ex premier russo Ievgheni Primakov, tuttora
sulla breccia come capo della Camera di Commercio russa, e' sceso oggi
ancora una volta in campo a strenua difesa del ''patriota'' Slobodan
Milosevic: a suo giudizio il processo contro l'ex presidente jugoslavo
davanti al Tribunale Penale Internazionale (Tpi) dell'Aja e' un
pericoloso ''precedente per la persecuzione politica di leader invisi
ai circoli neoconservatori dell'Occidente''. Primakov - direttore dei
servizi segreti per l'estero dal 1991 al 1998 e poi premier tra il
1998 e 1999 - ha fatto questa sparata partecipando a Mosca alla
presentazione di un libro - ''Parlano i testimoni per la difesa'' -
che prende le parti di Milosevic e lo presenta come vittima di oscure
e brutali macchinazioni occidentali contro la Serbia. ''Gli errori e i
difetti di Milosevic - ha denunciato Primakov, uno dei capofila della
vecchia guardia in epoca Ieltsin - non erano sufficienti per
processarlo e di certo lui non ha commesso alcun crimine contro
l'umanita'''. Nel libro e' inclusa una testimonianza dello stesso
Primakov e di un ex-premier sovietico, Nikolai Ryzkhov, che dal canto
suo ha oggi ammonito: ''In futuro un leader russo potrebbe finire
sotto processo allo stesso modo di Milosevic''. Secondo Ryzhkov, a
capo del governo sovietico dal 1985 al 1990 sotto Gorbaciov, il Tpi e'
''illegale'', fa bene la Russia a non riconoscerlo e bisognerebbe
giudicare non Milosevic ''ma gli aggressori e cioe' gli Chirac,
Clinton e Solana''. (ANSA). LQ
27/09/2005 18:24

PARTECIPIAMO NUMEROSI!

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Tzaski Partizanski Pevski Zbor
Coro Partigiano Triestino
"PINKO TOMAZIC"

prireja/organizza

V nedeljo 20.novembra ob 17.00 uri
Domenica 20 novembre alle ore 17.00

V Sportno Kulturnem Centru v Zgoniku
Presso il Centro Sportivo Culturale di Sgonico


KONCERT 1945-2005 CONCERTO


nastopili bodo / parteciperanno:

Mesani Pevski zbor / coro misto Rdeca Zvezda - Devin
skupine/gruppi: Kraski Ovcarji, Dirty Fingers, The Authentics,
TPPZ-C.P.T. Pinko Tomazic


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CORTEO ULTRADESTRA SU CARSO DURANTE CONCERTO CORO PARTIGIANO

(ANSA) - TRIESTE, 10 NOV - Il Gruppo unione difesa, movimento dell'
ultradestra triestina, ha annunciato una manifestazione per domenica
prossima, 20 novembre, a Sgonico (Trieste), in concomitanza con l'
esibizione del coro partigiano 'P.Tomazic' in una sala del paese, per
protestare contro l' 'apologia comunista' a loro giudizio contenuta
nei manifesti pubblicitari del concerto affissi sui muri di Trieste e
della provincia. Il movimento ha affermato in un volantino di voler
svolgere la manifestazione nonostante la Questura di Trieste abbia
negato le relative autorizzazioni. I manifesti in questione avevano
suscitato nei giorni scorsi polemiche anche tra le fila di An, con una
nota del deputato Roberto Menia. (ANSA)

ALLO SBARAGLIO


KOSOVO: JACCHIA, INCREMENTO NOSTRA PRESENZA MILITARE?
(ANSA) - ROMA, 27 ott - ''La decisione delle Nazioni Unite di dare il
via a negoziati sul futuro politico del Kosovo ci interessa da vicino
soprattutto per quanto concerne la forza multinazionale di pace in
quel paese''. Lo sottolinea in una nota Enrico Jacchia, gia'
responsabile del controllo di sicurezza dell'UE. ''Il Kosovo, prosegue
Jacchia, e' da circa sei anni controllato, su mandato dell'Onu, da una
forza militare della Nato che ne garantisce la sicurezza. Il nostro
contingente, con circa tremila soldati, costituisce il maggior impegno
militare italiano all'estero, superiore al nostro contingente in Iraq
ed a quello (che pure e' di oltre duemila militari) attualmente in
Afghanistan. E' impossibile prevedere fin d'ora quale sara' il futuro
assetto del Kosovo. Mantenuto in condizioni di sicurezza interna
soddisfacenti dalle truppe multinazionali, versa in uno stato di
poverta' e stagnazione economica eccezionali. E questo, malgrado sia
un paese ricchissimo di risorse, soprattutto minerarie. L'incertezza
sul futuro frena gli investimenti e le imprese, in primo luogo
straniere''. ''La fase negoziale che si apre - dice Jacchia - prelude,
per il Kosovo, ad una soluzione che sara' lontana e che nel vicino
futuro potra' richiedere un maggior impegno militare per garantire
l'ordine. Il Kosovo e' per noi alla porta di casa e l'ordine in
quell'area ci concerne piu' che in altre piu' lontane, ad esempio
l'Afghanistan. I nostri soldati hanno saputo mantenervi la sicurezza e
sono ben visti dalla popolazione. Perche' non pensare - conclude
Jacchia - ad un incremento del nostro contingente di pace in quel
paese quando si assottigliera', come e' nelle previsioni della
maggioranza e dell'opposizione, il contingente in Iraq?'' (ANSA) BO
27/10/2005 15:17