Informazione

Traduzione, a cura di Curzio Bettio, dell'articolo in inglese reperibile su
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4620 o
http://it.groups.yahoo.com/group/jugoinfo/message/207

Un articolo di Ghali Hassan, giornalista australiano, che collabora a

"Online Journal" ]
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)



GENOCIDIO NORMALIZZANTE
9 novembre 2005

Fino ad ora, più di 2000 militari Statunitensi sono stati uccisi dal marzo
2003, inizio della guerra illegale e non provocata contro l'Iraq. Se ne è
tenuto meticolosamente il conto e lo si è pubblicato in ogni enunciazione
dei media Occidentali. È stato fatto questo per le centinaia di migliaia di
uomini, donne, bambini Iracheni, che innocenti sono stati massacrati senza
necessità dalla combinazione di sanzioni e guerra degli USA e della Gran
Bretagna? Si tratta di un deliberato genocidio!


Fatta eccezione per la guerra contro la ex Repubblica di Yugoslavia
(Serbia), una nazione ortodossa, le guerre di aggressione Statunitensi in
buona sostanza sono state scatenate contro popoli di colore privi di difese.
Ramsey Clark, ex procuratore generale degli USA durante l'amministrazione
Carter, ha scritto: "Quelli sono i poveri del pianeta, e vengono resi ancora
più poveri, dominati e sfruttati dalla politica estera degli USA e dei suoi
ricchi alleati, che hanno progettato il dominio, lo sfruttamento e la
selezione etnica".


Le guerre degli USA-Gran Bretagna contro l'Iraq portano tutte le
caratteristiche del razzismo Occidentale. Gli Iracheni non sono solo
disumanizzati, vengono anche oltraggiati e torturati in modo che l'assassinio
di massa risulti ben accetto all'opinione pubblica Occidentale. Intanto le
compagnie mediatiche e i governi Occidentali vanno mascherando l'imperialismo
con le nere fisionomie di Condoleezza Rice e di Kofi Annan.

Uno studio lampante condotto nel dicembre 1991 dal Consorzio Britannico per
l'Educazione Medica ha stimato che sono morti più di 200.000 Iracheni
durante e immediatamente dopo il massacro della guerra USA del 1991, la
cosiddetta "Guerra del Golfo", come diretta o indiretta conseguenza degli
attacchi alle infrastrutture civili. Per di più, dall'agosto 1990, l'Iraq è
stato sottoposto ad aggressioni militari ed economiche che hanno contribuito
all'assassinio di massa di uomini, donne, e soprattutto bambini Iracheni.
Si è valutato che le sanzioni genocide, delle quali si è persa la memoria,
hanno ucciso più di un milione e mezzo di civili Iracheni, inclusi 500.000
bambini al di sotto dei cinque anni. Lo sterminio di massa di bambini
Iracheni è stato rivendicato da Madeleine Albright, l'ex Segretario di Stato
degli USA, come "un prezzo per cui valeva la pena". È forse possibile solo
immaginare che qualcuno si esprima in questi termini: la morte di 3.000
persone nell'attentato dell'11 settembre è "un prezzo per cui valeva la
pena"?


Gli USA e la Gran Bretagna hanno dapprima sistematicamente bombardato e
messo fuori uso per sempre le infrastrutture Irachene, come: impianti per la
purificazione dell'acqua, impianti per il trattamento dei liquami, reti di
distribuzione per l'energia elettrica, impianti per l'industria
farmaceutica, la rete per i trasporti e per le comunicazioni, le industrie
manifatturiere, impianti commerciali, strutture abitative. Industrie
alimentari, comprese quelle per il latte dei bambini, industrie di processo,
magazzini, centri di distribuzione, industrie per la produzione di
fertilizzanti ed insetticidi, tutto veniva considerato obiettivo di
distruzione.

A seguire, gli USA e la Gran Bretagna hanno continuato con le sanzioni, in
modo da assicurarsi che l'Iraq non fosse più in grado di riparare o di
sostituire la maggior parte di quello che era stato distrutto. Il senso di
questo assassinio di massa accuratamente programmato era quello di coartare
e minacciare con la prepotenza non solo l'Iraq, ma anche qualsiasi altra
nazione priva di difese che osi resistere come ha fatto l'Iraq. Inoltre, a
questo Iraq sanguinante a morte il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ordinava
di pagare più di 50 miliardi di dollari come riparazioni al Kuwait, alle
corporations USA, e a tutti coloro che reclamavano in modo equivoco e
fraudolento.



Malgrado la condiscendenza dell'Iraq ai termini del cessate il fuoco della
guerra del 1991, le sanzioni e i bombardamenti settimanali delle città e dei
villaggi Iracheni - "sempre vola qualcosa su qualcosa che si muove!"- sono
continuati, in modo da creare ulteriori danni al popolo dell'Iraq.

"Per me, quello che è tragico, oltre alla stessa tragedia Irachena, è il
fatto che gli stati membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite.stanno mantenendo deliberatamente un programma di sanzioni economiche,
ben consapevoli che stanno dando la morte ogni mese a migliaia di Iracheni.
E questa decisione prepara il genocidio," ha affermato Denis Halliday, l'ex
coordinatore umanitario ONU in Iraq.


Il Dizionario della Oxford definisce genocidio il deliberato sterminio di
una nazione o di una etnia umana. Nel 1948, nella Convenzione sul
Genocidio, il termine genocidio veniva definito come un qualsiasi atto
"commesso con l'intento di distruggere, per l'intero o solo in parte, un
gruppo nazionale, etnico o religioso, come tale." Di qui, gli atti di
genocidio includono tutte le azioni che provocano seri "danni mentali" o che
impongono "condizioni di vita" che mirano a tale distruzione.
Può esistere qualcosa di più evidente di quello che gli Stati Uniti e la
Gran Bretagna stanno commettendo contro il popolo Iracheno?

"É compito di esperti e del complesso mediatico delle informazioni rendere
normale quello che potrebbe risultare inammissibile per l'opinione
pubblica," ha scritto l'economista Americano Edward Herman. L'arte di
rendere accettabili, nella normalità, le atrocità di massa è sempre stato un
prerequisito per neutralizzare le disciplinate popolazioni dell'Occidente in
modo tale da rimuovere qualsiasi scrupolo di responsabilità morale.


Secondo John e Karl Mueller (Sanzioni per la Distruzione di Massa, "Foreign
Affairs" maggio/giugno 1999, p. 43.), le sanzioni da sole "hanno tolto in
Iraq la vita di tante persone, molte di più di quelle che sono state fatte
fuori nel corso di tutta la storia dalle cosiddette armi di distruzione di
massa."

Quindi per il genocidio Iracheno "forse si può affermare essere stato il più
grande genocidio dell'era post Seconda Guerra Mondiale," condotto e
perpetuato con il tacito appoggio degli Stati membri delle Nazioni Unite.
Oggi, l'ONU si rende complice nella continuazione di crimini di guerra
contro il popolo Iracheno e nella distruzione della società Irachena.
Coerentemente con il suo ruolo di "manutengola" dell'imperialismo
Occidentale, immediatamente dopo l'invasione illegale dell'Iraq l'Organizzazione
delle Nazioni Unite ha fornito legittimità all'occupazione da parte degli
USA di uno stato sovrano, e si è allertata per fornire il supporto a tutte
le violazioni degli Stati Uniti al diritto internazionale, compresa la
stessa Carta dell'ONU.


La corruzione e il proprio tornaconto sono caratteristiche endemiche degli
stati membri dell'ONU e dei loro gruppi dirigenti. Il governo di Saddam era
in grado di approfittare di questo e di ricavarne dei vantaggi, in modo da
conservare l'Iraq in grado di funzionare come stato, malgrado le ingiuste
sanzioni. Era il solo modo utile per il paese, quello di sottrarsi alle
sanzioni corrompendo il corruttibile.

Purtroppo, alla fine del 2002, gli effetti delle sanzioni genocide erano
visibili in Iraq dappertutto.


L'ONU promuoverà una risoluzione, come quella che ha preteso dalla Siria di
"cooperare pienamente" con la commissione di inchiesta dell'ONU sulla morte
dell'uomo di affari ed ex primo ministro Libanese Rafiq al-Hariri,
pretendendo dagli USA e dalla Gran Bretagna una cooperazione piena con una
commissione di inchiesta dell'ONU sulla morte di centinaia di migliaia di
innocenti Iracheni e sul furto di dieci miliardi di dollari perpetrato a
spese del Tesoro Iracheno? Il Consiglio di Sicurezza dell'ONU condannerà
Israele per la sua "pratica criminale e medievale dell'assassinio politico"
di leaders politici palestinesi? Non crediamo proprio!


L'invasione criminale USA e l'occupazione hanno solamente moltiplicato le
atrocità delle sanzioni. Una recente inchiesta UNICEF che permette una
immediata valutazione rivela che il numero di bambini Iracheni malnutriti in
modo acuto è raddoppiato rispetto a quello di prima della guerra, balzando
dal 4% a quasi l'8%. L'inchiesta aggiunge che "la malnutrizione acuta a
volte si trasforma in digiuno assoluto ed è un forte indicatore del
complessivo stato di salute dei bambini." Lo stato di salute generale dei
bambini Iracheni, degli anziani e delle donne incinte in particolare ha
subito un declino a causa delle deteriorate condizioni di vita, vista la
quasi impossibilità di accedere all'acqua potabile, a cibo, alle cure
ospedaliere, e la caduta a picco del potere di acquisto.
Infatti, le forze di occupazione USA stanno deliberatamente portando a
morire di fame gli Iracheni, tagliando le loro riserve di cibo ed acqua,
ricattando il popolo Iracheno per sottometterlo all'Occupazione.

"In Iraq sta avvenendo una tragedia nel silenzio totale, mentre le forze di
occupazione della coalizione stanno usando la fame e la deprivazione dell'acqua
come un'arma di guerra contro la popolazione civile," così ha dichiarato il
Professor Jean Ziegler, a capo dell'indagine ONU sui diritti umani, ad una
conferenza stampa a Genova il 15 ottobre 2005. "Il metodo della privazione
di cibo per i civili in uno scenario di guerra è una flagrante violazione
del diritto internazionale," ha aggiunto il sociologo di origine Svizzera.


L'aggressione USA contro l'Iraq che dura da 15 anni e le sanzioni genocide
hanno devastato le risorse umane Irachene per molte generazioni. La
ammirevole generazione di uomini e donne Irachene che aveva portato fuori
dalla povertà l'Iraq e aveva fatto di questo paese il punto di riferimento
del progresso in Medio Oriente è stata distrutta dalla combinazione di
sanzioni genocide e dalle guerre criminali di aggressione perpetuate da USA
e Gran Bretagna e normalizzate con la complicità della corporazione dei
media.
Nel sistema mediatico e fra il fior fiore delle personalità Occidentali è
diventato un tabù solo menzionare la morte di centinaia di migliaia di
Iracheni. Solo i soldati Usa uccisi sono contabilizzati come esseri umani
morti. I morti Iracheni non contano. Per quanto si sa, non sono state accese
candele per i più di 100.000 civili Iracheni (valutazione prudente!)
ammazzati dalle forze USA dal marzo 2003 all'ottobre 2004.

La valutazione prudente è stata pubblicata il 29 ottobre 2004 nel giornale
Britannico di informazioni mediche "The Lancet", autorevole e approfondito.

Se si includono le atrocità di Fallujah, Ramadi, al-Qaim, Tel Afar, Hillah,
Baghdad e i massacri giornalieri fomentati dalle forze USA e dai loro
collaboratori, il numero di Iracheni ammazzati dal marzo 2003 dovrebbe
essere segnato in 200.000 o forse più. La maggioranza delle vittime sono
donne e bambini innocenti, traditi dalla complicità dei media Occidentali
che nascondono i crimini di guerra che avvengono nel resto del mondo.


Il Dr. Les Roberts della John Hopkins University, autore principale dello
studio di "The Lancet", si aspettava una risposta dall'opinione pubblica di
"indignazione morale"; invece è rimasto sconvolto da una silente
accoglienza. L'esperto ricercatore, che aveva usato la stessa metodologia
per studiare la mortalità provocata dalle guerre nel mondo, è stato elogiato
dalla comunità scientifica per il suo studio sull'Iraq.

Le scoperte derivate dai suoi studi sul Congo erano state usate dall'ONU e
dalla Croce Rossa Internazionale. "Tony Blair e Colin Powell hanno
ripetutamente citato questi risultati, senza porsi alcuna domanda sulla loro
precisione o validità", egli ha dichiarato al "The Chronicle of Higher
Education".

Al contrario, la ricerca sull'Iraq è stata deliberatamente ignorata o
respinta dal sistema dei mezzi di comunicazione di massa Statunitensi e
Britannici.

Di fatto, lo studio è stato censurato, visto che metteva in evidenza il
genocidio.


Il termine "genocidio" è stato usato in modo selettivo dalle potenze, dai
media e dalle dirigenze Occidentali per descrivere presunti crimini, mai
comprovati, commessi dal regime di Saddam Hussein o di Slobodan Milosevic.
Spesso, Halabja in Iraq e Srebrenica in Bosnia sono state usate per
descrivere crimini, con carenza o addirittura in assenza di prove, supposti
commessi da Hussein e da Milosevic. I "simboli" di Halabja e Srebrenica sono
stati solo pretesti per giustificare le ambizioni imperialiste dell'Occidente.

Adesso si sa che Srebrenica è stata usata per giustificare l'aggressione
contro la Serbia, e che Halabja è servita per giustificare la guerra contro
l'Iraq. Entrambi gli eventi criminali sono stati camuffati da "interventi
umanitari".

Non è stato mai usato il termine "genocidio" per descrivere l'assassinio di
massa di civili Iracheni procurato dalle sanzioni genocide e dalle guerre
USA.

Saddam è stato demonizzato per giustificare la politica criminale dell'Occidente
nei confronti del popolo Iracheno.

Le motivazioni per questo deliberato genocidio sono la colonizzazione dell'Iraq
per accrescere la dominazione imperiale degli Stati Uniti, la distruzione
del nazionalismo Arabo, e il sostegno all'espansione sionista di Israele e
alle politiche criminali contro i Palestinesi.


L'Iraq è cosparso delle innumerevoli uccisioni di massa commesse dagli USA
mascherate da "operazioni USA contro i terroristi di al-Qaida."

I recenti attacchi indiscriminati, con il bombardamento di acquedotti, di
reti di distribuzione dell'energia elettrica e delle comunicazioni, con l'uso
pesante di "cluster bombs", bombe a frammentazione, su zone frequentate da
civili, su città e villaggi nell'Iraq occidentale sono un promemoria del
massacro di Fallujah.

Il quotidiano Italiano "La Repubblica" ha riportato: "Gli Americani sono
responsabili di un massacro con l'uso di armi non convenzionali, la medesima
accusa per cui Saddam Hussein si trova sotto accusa," citando una inchiesta
Italiana, che l'8 novembre 2005 sarà messa in diffusione sulla rete
televisiva RAI-3 TV. [1]

Le forze USA e i loro collaboratori stanno combattendo gli Iracheni che
lottano e sono Resistenti per difendere il loro paese contro una nuova forma
di fascismo a guida Statunitense.


Un nuovo massacro come a Fallujah è in preparazione.

Secondo recenti servizi giornalistici da al-Qaim dei media Iracheni ed
Arabi, il "ministro della difesa" del governo fantoccio (Saadoun al-Dulaimi)
sta incitando le forze USA a "eliminare intere famiglie e a distruggere le
case dei combattenti della Resistenza, con dentro le loro donne e i loro
bambini".

Le personalità importanti della società civile Irachena hanno condannato gli
attacchi come "operazioni di sterminio" e si sono appellati alla "Comunità
Internazionale" per un intervento a che si fermino le uccisioni di massa di
civili. "Noi ci appelliamo a tutti gli umanitari e a coloro che concorrono
alla pace nel mondo per fermare i ripetuti spargimenti di sangue nelle zone
Occidentali dell'Iraq," ha dichiarato lo Sceicco Osama Jadaan, un leader
della comunità di Husaybah, nelle vicinanze del confine Siriano. E
giustamente ha aggiunto: "noi affermiamo che gli occupanti Americani se ne
devono andare via e lasciare l'Iraq agli Iracheni."

Lo spargimento di sangue quotidiano e la distruzione del paese da parte
delle forze USA vengono messi in atto con la totale complicità dei media e
delle dirigenze Occidentali.
Le forze di occupazione e i mezzi di informazione giustificano la violenza
in termini culturali, del tipo "Iracheni contro Iracheni", uno stereotipo
coloniale per giustificare l'Occupazione. Il tentativo USA è di focalizzare
la pubblica opinione sulla violenza degli occupati e degli oppressi, che
sono gli Iracheni, e giustificare poi le azioni degli occupanti. Comunque,
questa "violenza settaria" è stata creata ed alimentata dagli USA e dalla
Gran Bretagna in modo da terrorizzare la popolazione Irachena e spingerla
fra le braccia degli occupanti per avere "protezione". Perciò questa è l'unica
maniera per giustificare una Occupazione che deve continuare! Gli Iracheni
sono ben coscienti di questo e sono tutti uniti a chiedere la fine della
violenza e dell'occupazione Americana.



Ora noi sappiamo che non c'erano armi di distruzione di massa (WMD) in
Iraq dal 1991, e che le sanzioni e le guerre erano gli strumenti per un
deliberato genocidio. Era tutto previsto, che l'invasione e l'occupazione
avrebbero portato solo disastri e miseria al popolo Iracheno!

Più dell'82% di Iracheni si "oppongono con forza" all'Occupazione USA del
loro paese. Secondo un recente sondaggio del Ministero Britannico della
Difesa, "meno del 2% di Iracheni [fatti rientrare in Iraq sui carri-armati
USA] ritengono che le forze della coalizione siano in grado di portare un
qualche miglioramento alla sicurezza". Ne consegue che coloro che si
oppongono al ritiro delle forse USA dall'Iraq agiscono come propagandisti
dell'Impero USA e sono complici nel rendere normale ed accettabile un
deliberato genocidio contro il popolo Iracheno.


Oggi, la gran parte degli Iracheni ritengono le forze USA costituite da
"maniaci omicidi". Dopo il truffaldino "trasferimento" di un simulacro di
sovranità, le elezioni fraudolente del gennaio 2005, e il più recente
imbroglio di massa per promuovere una costituzione illegale confezionata
dagli USA, l'Amministrazione Statunitense è rimasta con una carta disonesta
da giocare: le elezioni programmate per dicembre 2005.

Dopo tutto ciò, è giunto il tempo del ritiro immediato di tutte le forze USA
e straniere dall'Iraq e di mettere fine al genocidio. Per quanto presto
avverrà tutto ciò, gli Iracheni che rimarranno vivi saranno distrutti.

Allora la "Comunità Internazionale" avrà il dovere di perseguire legalmente
coloro i quali hanno commesso questi crimini di guerra e crimini contro l'umanità.



Note:
[1] Fallujah. La strage nascosta (Fallujah, The Concealed Massacre)
verrà mostrata su RAI News domani 8 novembre, alle ore 07:35 (via HOT
BIRDTM satellite, Sky Channel 506 e RAI-3), e riproposta su HOT
BIRDTM satellite e Sky Channel 506 alle 17:00 e in più nei prossimi due
giorni.



Ghali Hassan vive a Perth, Australia Occidentale.

Copyright © 1998-2005 Online Journal

Da "Essere Comunisti - Area politica del PRC" riceviamo e giriamo:
-----------------

Si e' svolta, dal 7 al 10 novembre 2005, a La Havana-CUBA la


Conferenza Internazionale sulle Basi Militari Straniere.


Il Movimento Cubano per la Pace e la Sovranità dei Popoli, con il
patrocinio delle Organizzazioni Non Governative di Cuba e dialtri
Paesi, ha tenuto la Conferenza Internazionale sulle Basi Militari
Straniere (7 - 10 novembre 2005).

Ricercatori, organizzazioni di professionisti, politologi, giuristi,
storici, economisti, scienziati e altre persone interessate, hanno
esposto le proprie riflessioni nel corso del dibattito relativo alla
prova che le Basi Militari Straniere costituiscono una minaccia
permanente alla pace.

Nell'ambito dell'evento, si e' riunito il Comitato Organizzatore
Internazionale della Conferenza Mondiale contro le Basi Militari che
si costituirà nel 2006, dove verrà decisa la sede e la data della stessa.

Alla Conferenza erano presenti delegati di: Austria, Belgio, Brasile,
Canada, Congo, Cuba, Equador, Spagna, USA, Filippine, Grecia, Italia,
Giappone, Messico, Olanda, Paraguay, Portogallo, Repubblica
Domenicana, Svezia, Svizzera, Venezuela, Viet Nam


PROGRAMMA DELLE RELAZIONI E DELLE INIZIATIVE


7 novembre '05


Situazione e prospettive delle basi militari straniere in America

Intervento speciale della D.ssa Olga Mirando, Presidente della
Associazione Cubana di diritto internazionale della Unione Nazionale
Giuristi Cubani

Sezione 1

Relazione tenuta dal dr. Luis M. Cuñarro, Vicepresidente del Centro di
Studi diInformazione della Difesa sul tema: "Le basi militari nello
schema del riordinamento militare dell'imperialismo contemporaneo"

Relazione tenuta da David Alvarez Dieppa (AUNA) sul tema: "Basi
militari e risorse naturali in America Latina"

Sessione plenaria sull'America

Sezione 2

Relazione tenuta dalla prof. Melanine Ziegler, Miami University (Ohio,
U.S.A.) sul tema: " La base navale di Guantanamo e la cooperazione
statunitense/cubana"

Relazione tenuta da Rebeca Pérez Ramos, dell'Istituto Superiore di
Relazioni Internazionali sul tema: "Violazioni del diritto
internazionaleumanitario verso i prigionieri internati nella base
navale di Guantanamo"


8 novembre '05


Problemi attuali delle basi militari straniere in Asia e Oceania

Intervento speciale di Hebert Dozena, Presidente del Comitato
organizzatore internazionale contro le basi militari

Sezione 3

Relazione tenuta da Tadaaki Kawata, Presidente del comitato per la
pace giapponese, membro del segretariato del Consiglio Mondiale per la
Pace sul tema: "Basi militari in Giappone"

Relazione tenuta da Bianca Rodríguez Suero (CEAO) e Ulman Carmona
Ramos (MOVPAZ) sul tema: "Okinawa: la politica di sicurezza
nippo-statunitense e la resistenza popolare

Relazione tenuta da Leyde E.Rodríguez Hernández, professore
dell'Istituto Superiore di Relazioni Internazionali "Raul Roa García"
sul tema: "Le armi nello spazio e l'unilateralismo della politica
estera di G.W. Bush"

Sessione plenaria sull'Europa - Problemi attuali delle basi militari
in Europa

Intervento speciale di Pol De Vos, Presidente della Lega
Antimperialista del Belgio

Sezione 4

Relazione tenuta da Alfio Nicotra (dip. Esteri PRC) sul tema: "Le basi
militari in Italia"

Relazione tenuta da Roland Marounek, Belgio sul tema: " le tre basi
militari della NATO in Belgio: Bruxelles (amministrativa), Shape
(militare) Oleine Brogel (armi nucleari)

Relazione tenuta da un rappresentante del Centro di Iniziativa
Proletaria di Sesto San Giovanni (MI - Italia) sul tema: "Le basi
militari straniere e il loro impatto negativo ambientale e sociale
nelle zone del paese dove sono dislocate"

Sezione 5

Relazione tenuta da Valter Lorenzi (circ. Agorà Pisa) del Comitato
Italiano per il Ritiro immediato delle truppe dall'Iraq sul tema:
"Contro il sistema delle basi USA - NATO in Italia - Chiudere le
retrovie della guerra infinita"

Intervento di Bruno Steri (Prc Essere Comunisti) del Comitato Italiano
per il Ritiro immediato delle truppe dall'Iraq, IL RIASSETTO DELLA
PRESENZA MILITARE NATO E USA NEL BACINO DEL MEDITERRANEO (allegato in
fondo)

Relazione tenuta da Michele Michelino del Centro di Iniziativa
Proletaria "G. Taganelli" (MI - Italia) sul tema: Necessità
dell'unione internazionale del proletariato e dei popoli oppressi
nella lotta contro il capitalismo e l'imperialismo"

Relazione tenuta da Mariella Cao di "Gettare le basi", Sardegna sul
tema: "Sardegna, un'isola in lotta contro le basi italiane, NATO e USA

Relazione tenuta da Christiane Drumel e Lena Vanderbruggen(Belgio) sul
tema: "Stop USA come movimento per la pace in Belgio ed in Europa".


9 novembre '05


Visita alla base militare USA di Guantanamo ed alle brigate di difesa
dell'esercito cubano


10 novembre '05


Situazione e prospettive delle basi militari straniere in Africa e
Medio Oriente e la lotta delle donne contro le basi militari

Intervento speciale del dr. Rodolfo Puente Ferro, presidente
dell'Associazione diamicizia Cuba- Africa

Sezione 6

Relazione tenuta dal Generale di brigata in pensione Juan B. Pujol
Sánchez sul tema: "Attualità delle basi militari e la presenza
militare straniera in Africa"

Relazione tenuta da Ana Milagros Martínez (Federazione Donne Cubane)
sul tema: "Donne, basi militari e conflitti armati"

Relazione di Lidia Parra e Aleida Legón (FDIM) sul tema: " La
Federazione Democratica Internazionale delle Donne nella sua lotta
contro le basi militari"


Approvazione del "piano di azione"

Approvazione della Relazione

Dichiarazione Finale


---


CONFERENZA INTERNAZIONALE CONTRO LE BASI MILITARI STRANIERE NEL MONDO
L'AVANA, 7/10 NOVEMBRE 2005


IL RIASSETTO DELLA PRESENZA MILITARE NATO E USA
NEL BACINO DEL MEDITERRANEO

Intervento di Bruno Steri - bruno.steri(a)libero.it

1- Voglio innanzitutto esprimere il mio convinto apprezzamento per
questo Forum internazionale contro la presenza di basi militari
straniere nel mondo, tempestivamente e accuratamente organizzato dal
Movimento Cubano per la Pace e la Sovranità dei Popoli. Si tratta di
un tema che torna oggi ad assumere un'importanza sempre maggiore e ad
occupare un posto di primo piano nell'agenda della mobilitazione
antimperialista.

Mi pare opportuno insistere sul ruolo strategico dell'area
mediterranea, nel contesto della guerra "preventiva e permanente" e in
relazione alla riorganizzazione delle strutture logistiche e delle
truppe Usa e Nato dislocate in Europa. L'establishment statunitense
sta operando cambiamenti significativi nella dislocazione planetaria
dei suoi contingenti militari. Gli Usa ritirano o riducono le truppe
da alcune zone dell'Europa Occidentale, per esempio dalla Germania.
Ma, al contrario, incrementano la loro presenza in altri punti
strategici, costruendo nuove basi militari nell'Est Europa (in
Ungheria, nei Paesi Baltici), mantenendo importanti insediamenti
militari nelle repubbliche asiatiche ex sovietiche, in Afghanistan. Né
dobbiamo dimenticare che, se oggi l'Iraq è un paese devastato dalle
bombe (senza ospedali, senza energia elettrica, senz'acqua), esso
tuttavia può già contare su un buon numero di basi statunitensi.

Alla luce delle nuove esigenze strategiche, l'asse di questa
riorganizzazione viene a interessare, innanzitutto, quella vasta area
che dai Balcani passa per le regioni caucasiche e arriva al Golfo:
un'area strategicamente preziosa, dal punto di vista della produzione
delle risorse energetiche e della loro distribuzione. Come sosteneva
già qualche anno fa l'ex segretario americano Brzezinski, nella
"grande scacchiera" del mondo il controllo di questaarea gioca un
ruolo decisivo per il controllo dell'intero pianeta, poiché essa si
trova in posizione centrale, a ridosso di Russia, Cina e della stessa
Europa. Chi controlla quest'area condiziona l'estrazione del petrolio
(e in questo modo, determinando il volume del petrolio estratto, può
determinarne la formazione del prezzo). Così, si esercita un grande
potere di condizionamento non solo su chi produce petrolio (Russia,
paesi dell'Opec), ma anche su chi si approvvigiona di petrolio (Cina,
Europa). L'asse geografico di cui parliamo si allarga ad includere il
continente africano, altro sconfinato territorio che si affaccia da
Sud sul Mediterraneo, ricco di materie prime e risorse energetiche:
anche in questa parte del mondo la crescente sete di energia ha acuito
la concorrenza tra i poli imperialisti (Usa e Europa, in particolare);
e i conflitti sempre più frequenti (spesso eterodiretti) che
coinvolgono i Paesi africani ne sono precisa testimonianza.

E' del tutto chiaro, in definitiva, che parlare dieserciti comporta
immediatamente parlare di fonti energetiche: non a caso i primi
seguono e proteggono invariabilmente le rotte di queste ultime.


2- In questo quadro generale, così rapidamente tratteggiato, la
penisola italiana continua a costituire una formidabile rampa di
lancio in direzione di quelli che oggi sono – e purtroppo domani
potrebbero essere – i principali teatri di guerra. Non è dunque un
caso se l'Italia è oggi oggetto di un generale rafforzamento della
presenza Usa e Nato. Va sottolineato che – rispetto alla
classificazione proposta in una delle relazioni introduttive di ieri
mattina – il potenziamento riguarda la presenza di basi militari
tradizionalmente intese, cioè siti permanenti e di consistenti
dimensioni. Non è un caso che il comando strategico della cosiddetta
"forza di reazione rapida" sia stato trasferito da Londra a Napoli, a
riprova del fatto che l'asse dell'impegno bellico in Europa si va
spostando verso Est e verso Sud. Come è noto, il suddetto nuovo nucleo
di intervento armato risponde ai nuovi canoni offensivi e non
meramente difensivi dell'ordinamento atlantico ed è chiamato ad
intervenire in ogni punto del globo in tempi rapidi e con l'apporto di
mezzi tecnologicamente avanzati.

Tutte le principali basi militari, situate in particolare nella parte
centro-meridionale della penisola italiana, sono oggetto di lavori di
ristrutturazione ed ampliamento: da Camp Darby (in Toscana) e La
Maddalena (da 35 anni parcheggio di sommergibili nucleari nell'isola
della Sardegna) a Taranto e Sigonella (nell'estremo Sud del territorio
italiano). Queste basi sono aree "off limits", del tutto sottratte
alla sovranità territoriale italiana. Ad esempio, la base sarda de La
Maddalena-S. Stefano è adibita a base appoggio per sottomarini
nucleari Usa sulla base di un accordo segreto siglato da Roma e
Washington nel 1972, un accordo mai ratificato dal Parlamento italiano
e tuttora sottoposto a segreto militare.


3- A maggio di quest'anno, su un'agenzia di stampa è comparsa una nota
- ovviamente del tutto trascurata dalla grande stampa nazionale - con
cui si è iniziato a squarciare il velo di silenzio attorno ad un
negoziato concernente la creazione di nuove basi militari in Italia e
il potenziamento di quelle già esistenti, nonché la loro destinazione
d'uso. A 60 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, anziché
recuperare la sovranità violata del nostro Paese contrattando la
chiusura o quanto meno il drastico ridimensionamento delle strutture
militari straniere attive sul territorio, il governo italiano ha
dunque continuato e continua a lavorare perché l'Italia resti la
portaerei degli Usa nel Mediterraneo.

L'oggetto della suddetta trattativa, svoltasi finora nel segreto più
totale, è la concessione del diritto d'uso degli insediamenti presenti
e in via di costruzione a forze speciali di pronto intervento
statunitensi che, nelle intenzioni del Pentagono, potrebbero lanciare
attacchi nei confronti di paesi terzi. I contatti tra Roma e
Washington su tale tema sono avvenuti nel corso di quest'anno ai più
alti livelli dei vertici militari della difesa italiana e del
Pentagono; ma di ciò avrebbero discusso a suo tempo anche i rispettivi
ministri della difesa.

In effetti, la delibera del Consiglio supremo di difesa italiano
datata 19 maggio 2003 – frutto di discussioni iniziate due mesi prima,
proprio a ridosso dell'inizio dell'intervento contro Saddam –
stabilisce esplicitamente che nessuna struttura italiana possa essere
impiegata per operazioni militari all'estero, a meno che l'intervento
non sia stato autorizzato dall'Onu. Tuttavia, come ha spiegato ad
esempio Gianandrea Galiani, direttore della rivista specializzata
`Analisidifesa', "fino a che gli Stati Uniti avranno un massiccio
impegno in Iraq, non potranno gestire operazioni militari diampio
respiro ma si concentreranno sulla capacità di colpire obiettivi
ridotti (siti di armi di distruzione di massa, cellule terroristiche)
con raid, impiegando forze speciali. Per fare questo hanno disposto
accordi con numerosi Paesi, anche in Africa Centrale, per potervi
schierare unità di forze speciali per missioni specifiche. Forze che,
per essere impiegabili, hanno necessità di avere `basi madre'più ampie
in territori alleati in Paesi come l'Italia, dalle quali potersi
muovere liberamente verso qualunque area operativa". Come detto, le
zone di crisi descrivono una curva ideale attorno al bacino del
Mediterraneo: Medio Oriente, Caucaso e regione del Golfo, continente
africano. Ben si comprende quindi come e perché Italia e Spagna (più
la Turchia) siano gli unici Paesi europei dove gli Usa intendono
potenziare, invece che ridurre, le loro infrastrutture militari. Come
lo stesso sottosegretario di stato statunitense, Nicholas Burns, ha
affermato: "Auspichiamo di poter continuare a lavorare con il governo
italiano, a cui siamo grati, e basare in Italia le nostre truppe
militari, dell'aeronautica, dell'esercito e della marina".


4- Così, la base di Taranto (che si affaccia sul mar Ionio, davanti
alla costa africana) ha visto ampliato il suo sito portuale ed è
destinata a diventare la principale sede navale di riferimento per la
VI° flotta americana. La base Italia/Usa di Sigonella (in Sicilia) -
che ufficialmente è adibita a funzioni di difesa terrestre, con
missili "a corto raggio" ed ospita munizioni (ma, secondo una
formulazione ufficiale, anche armamento nucleare "in transito") - è
destinata ad espandersi, in base al piano Mega III, con investimenti
per 675 milioni di dollari. Parimenti, a Camp Darby - la grande
struttura logistica tra Pisa e Livorno, anch'essa base di rifornimento
di forze navali ed aeree - si sta trattando per costruire una seconda
base, gestita da un contrattista privato del Pentagono, che dovrebbe
sorgere nei pressi di quella già esistente, da cui a suo tempo sono
partiti mezzi e armamenti per le guerre nell'ex Jugoslavia e in Iraq.
Da ultimo (non certo per importanza), anche la base per sommergibili
atomici de La Maddalena, situata a nord della Sardegna, è oggetto di
trattativa per un suo sostanziale potenziamento, così da renderla in
grado di aggiungere alla dotazione già operativa altri 6 sommergibili
nucleari e 10 mila militari Usa.

Il caso di quest'ultima struttura è emblematico, anche sotto il
profilo della mobilitazione popolare. Già in altre parti dell'isola,
disseminata di poligoni militari, i pescatori sardi hanno più volte
ostacolato coi loro pescherecci le manovre navali della Nato per
chiedere la fine della militarizzazione della loro terra e del loro
mare, la bonifica del territorio e delle acque antistanti gravemente
inquinate dal materiale bellico, il risarcimento dei danni arrecati al
loro lavoro. Oggi, è lo stesso presidente della regione sarda a
chiedere ufficialmente lo smantellamento della base de La Maddalena,
dietro la pressione di un problema che ancora una volta tocca punti
sensibili per la vita delle popolazioni locali: lavoro e ambiente. Il
movimento contro la guerra, i comitati che si battono per lo
smantellamento della base sarda, le associazioni pacifiste e
ambientaliste da tempo hanno denunciato una presenza 100 volte più
elevata di nuclei di uranio 238 in alghe marine prelevate nei pressi
della Maddalena. La questione è stata oggetto diinterpellanze nel
Parlamento italiano e in quello francese: la Maddalena fa parte
infatti di un piccolo arcipelago situato tra la Sardegna e la Corsica
e conseguentemente chiama in causa i governi di entrambi i paesi. Il
23 ottobre del 2003 un sommergibile nucleare ha urtato violentemente
contro gli scogli della costa sarda: si è rischiato la catastrofe. Ma
gli organi di stampa nazionali si sono ben guardati dal dare risalto
all'episodio. Nelle tabelle del Genio della Marina (Naval Facilities
Engineering Command) la base è classificata a "livello 1", ovvero tra
gli "impianti produttori di grandi quantità di rifiuti pericolosi": si
tratta di sostanze tossiche, che siinfiltrano nelle falde acquifere,
come solventi cancerogeni, idrocarburi, vernici, composti altamente
pericolosi quali le diossine e i composti di cloro. Non a caso, la
base madre di Groton, nel Connecticut, da dove partono i sottomarini
diretti in Sardegna, è stata chiusa perché altamente contaminata:
proprio in tale diversità di trattamento si sintetizza il rapporto tra
i padroni Usa e i loro docili servi.


5- Non va tra l'altro dimenticato che l'Italia ospita nelle basi
militari dislocate sul suo territorio nazionale, a insaputa della
cittadinanza, armamento nucleare. Neabbiamo avuto una conferma
ulteriore e diretta dalla stessa documentazione di fonte statunitense,
da cui si può concludere che 90 atomiche sono custodite nelle basi di
Ghedi (Brescia) e Aviano (Pordenone). In tali documenti - noti come
procedura WS3 per la manutenzione, lo stoccaggio e il trasporto diarmi
nucleari - viene specificato il tipo di bomba atomica presente nelle
due basi militari in questione: B61. Del resto, il sottosegretario
alla difesa Giuseppe Drago, in risposta all'interpellanza parlamentare
del 1 marzo 2005 promossa dalla deputata del Prc Elettra Deiana, ha
sottolineato che "(…) il nuovo concetto strategico dell'Alleanza
atlantica vede nella deterrenza nucleare lo scopo politico del
rafforzamento della pace, della stabilità e della sicurezza, cardine
della nostra politica internazionale (…). La deterrenza nucleare e il
dispiegamento di forze nucleari in Europa costituiscono il vincolo che
lega gli alleati tra di loro e gli Usa alla sicurezza del nostro
continente (…)". Va ricordato in proposito che la presenza diarmi
nucleari statunitensi in Italia, oltre a violare la legge del nostro
Paese, costituisce flagrante violazione delle leggi internazionali, in
particolare dell'art. 2 comma 4 della Carta dell'Onu, ove è sancita
l'illegalità della minaccia (principio di deterrenza) e dell'uso di
armi nucleari.


6- A quanto detto si deve, in ultimo, aggiungere che il bilancio
italiano (e dunque ciascun cittadino italiano contribuente) sopporta
il peso di una parte rilevante dei costi delle basi statunitensi:
senza tener conto di sgravi fiscali, sconti e forniture gratuite di
trasporti, tariffe e servizi, l'Italia è - con il 37% delle spese
complessive - il Paese Nato che ha versato agli Usa la quota maggiore
di contributi (al secondo posto la Germania con il 27%). Accanto al
tema più generale della lotta contro la guerra e il progetto
imperialista, c'è - come si vede – un duro confronto che concerne le
più elementari istanze di indipendenza e sovranità nazionale.

Il "Comitato per il ritiro dei militari italiani dall'Iraq" - che al
suo interno raccoglie diverse forze politiche, sociali e di movimento
ed è parte del movimento italiano contro la guerra - insieme
all'obiettivo della fine di tutte le missioni belliche che vedono
impegnato il nostro Paese (anche in palese contraddizione con la sua
carta costituzionale), intende coordinare e generalizzare la lotta
contro la presenza delle basi militari straniere sul territorio
italiano. Lavoriamo perché tutto ciò possa servire a rilanciare la più
generale mobilitazione contro la guerra e per il disarmo nucleare e
convenzionale, nel nostro paese e fuori di esso.

Voce jugoslava - Jugoslavenski glas


Svakog utorka, od 14,00 do 14,30 sati, na Radio Città Aperta, i valu FM 88.9
za regiju Lazio, emisija:
JUGOSLAVENSKI GLAS
Emisija je u direktnom prijenosu. Moze se pratiti i preko Interneta:
http://www.radiocittaperta.it
Kratke intervencije na telefon +39-06-4393512.
Pisite nam na jugocoord@..., ili fax +39-06-4828957.
Trazimo zainteresirane za usvajanje djece na daljinu, t.j. djacke stipendije
za djecu prognanika. Odazovite se.
Imamo na raspolaganju par kopija video kazeta: Fascist legacy, Dannati Kosovo,
Kosovo 2005.
Brosure. Knjige: "Dalla guerra all'assedio", "Menzogne di guerra", "Operazione
foibe", "Kosovaro", "Un campo di concentramento fascista", "Esuli a Trieste".


Ogni martedì dalle ore 14,00 alle 14,30:
VOCE JUGOSLAVA
su Radio Città Aperta, FM 88.9 per il Lazio. Si può seguire, come del resto
anche le altre trasmissioni della Radio, via Internet:
http://www.radiocittaperta.it/
La trasmissione è bilingue (a seconda del tempo disponibile e della necessità)
ed in diretta. Brevi interventi telefonici allo 06-4393512.
Sostenete questa voce libera e indipendente acquistando videocassette, libri,
bollettini a nostra disposizione.
Cerchiamo anche interessati ad adozioni a distanza (borse di studio).
Scriveteci all'indirizzo email: jugocoord@..., tel/fax 06-4828957.
Contattateci.
Abbiamo a disposizione video cassette: "Fascist legacy", "I dannati del Kosovo",
"Kosovo 2005".
Bollettini e pubblicazioni sulla Jugoslavia. Libri: "Dalla guerra all'assedio",
"Menzogne di guerra", "Operazione foibe", "Un campo di concentramento fascista",
"Kosovaro", "Resistenza accusa..."


Program - programma 15. XI. 2005


1. Jucer, danas, sutra, datumi ... da se ne zaboravi.

2. "Od Triglava do Vardara..."


1. Ieri, oggi, domani, date ... da non dimenticare;

2. "Dal monte Triglav al fiume Vardar, dal Danubio al Mare Adriatico..."

__________________________________________________________________
TISCALI ADSL
Solo con Tiscali Adsl navighi senza limiti e telefoni senza canone
Telecom a partire da 19,95 Euro/mese.
Attivala subito, I PRIMI DUE MESI SONO GRATIS! CLICCA QUI:
http://abbonati.tiscali.it/adsl/sa/1e25flat_tc/

[ Il testo che segue (Belgrado, 23 aprile 2005: relazione durante
l'Assemblea annuale del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali,
tenuta nella Facoltà di Giurisprudenza a Belgrado da V. Jovanovic, ex
Ministro degli Esteri della Repubblica Federale Jugoslava e attuale
Presidente del Beogradski Forum) è stato diffuso in lingua italiana il
12/11 u.s. su questa lista con il titolo:
"23 Tesi sulla questione del Kosovo Metohija" - si veda:

http://www.resistenze.org/sito/as/forbe/asfb5i27.htm ]

http://www.artel.co.yu/sr/reakcije_citalaca/2005-04-29.html

KOSOVO I METOHIJA PRED RESAVANJE STATUSA

Beograd, 23. april 2005. godine
Vladislav Jovanovic
(tematsko izlaganje na godisnjoj skupstini Beogradskog foruma odrzanoj
na Pravnom fakultetu u Beogradu)

I

1. Kosovo i Metohija se po cetvrti put za poslednjih dvadesetpet
godina nalazi na meti politike zapadnog dela medjunarodne zajednice da
ga odvoji od Srbije.

Prvi put je takav cilj bio deklarisan posle albanskih separatistickih
demonstracija 1981. godine, kada je Srbiji sugerisano da prihvati
Kosovo kao sedmu republiku u tadasnjoj federaciji.

Drugi put je taj cilj bio ponovljen uoci secesije Slovenije i
Hrvatske, kada je vrsen pritisak da se kosmetskim Albancima prizna
pravo na samoopredeljenje koje je priznavano ostalim narodima odnosno
republikama u SFRJ.

Treci put je, uoci i za vreme vojne agresije na SRJ, otvorena podrska
albanskom separatistickom terorizmu definisana kao glavni ratni cilj
SAD i drugih vodecih zemalja NATO-a prema Srbiji. Takav ratni cilj
nije napusten ni posle okoncanja agresije, vec se nastavio, samo u
drugom ruhu, pod privremenom administracijom OUN na Kosmetu.

Odnedavno se Kosmet ponovo nalazi u centru paznje istih politickih
snaga koje su se u dosadasnjem periodu oglasavale kao saveznici ili
sponzori separatizma kosmetskih Albanaca. Pod vidom nuznosti resavanja
konacnog statusa Kosmeta, Srbija i njena javnost su izlozeni
sinhronizovanoj politickoj i lobistickoj ofanzivi za davanje
nezavisnosti Kosmetu. Jerihonske trube iz raznih pravaca zapadnog dela
medjunarodne zajednice sve smelije i apokalipticnije opominju Srbiju
da bi joj protivljenje nezavisnosti donelo samo glavobolju i stetu. U
pritiscima na Srbiju deluju ujedinjeno SAD, EU i NATO, ali dirigentsku
palicu drze SAD, ciji strategijski interesi u odnosu na Srbiju i na
Balkanu se podudaraju sa obecanjem datom Albancima, uoci i za vreme
agresije, da ce im pomoci da se otcepe od Srbije.

2. Koliko je cilj otcepljenja Kosmeta kao albanizovane teritorije
bitan za albanske lidere i zapadne stratege pokazuje njihovo
beskompromisno suprotstavljanje svim idejama, predlozima i projektima
o podeli Pokrajine i teritorijalnoj autonomiji kosmetskih Srba. Dok se
kosmetski Albanci galantno privileguju pravom na spoljno
samooperedeljenje, Srbima u Hrvatskoj je osporeno i najminimalnije
pravo na unutrasnje samoopredeljenje, a Srbima i Hrvatima u Bosni i
Hercegovini i Albancima u Makedoniji se ne samo negira nego i
zabranjuje pravo na spoljno samoopredeljenje. Princip nepromenjivosti
tzv. avnojevskih granica, koje su same zapadne sile bile proglasile i
nametnule na pocetku jugoslovenske krize, kada je u pitanju Srbija,
relativizuje se, sto je u vapijucem raskoraku sa politikom
prijateljstva i saveznistva u koju hoce da je uvere.

3. Zbog takve sve otvorenije podrske trajnom odvajanju Kosmeta od
Srbije, vodeci zapadni politicari u izjavama i ponudama za integraciju
drzavne zajednice Srbije i Crne Gore u EU i Partnerstvo za mir
pazljivo i dosledno izbegavaju pominjanje teritorijalne celovitosti
Srbije, cime nedvosmisleno stavljaju do znanja da ocekuju da ona, kao
rezultat konacnog statusa Kosmeta, postane manja nego sto je sada.
Bliska perspektiva integrisanja sa EU se koristi za odvracanje paznje
javnosti i politicke elite Srbije od sve brzeg osamostaljivanja Kosova
i isticanja prednosti koje ce Srbija, oslobodjena tereta Kosmeta,
imati u svom daljem razvoju. Srbija je jedini kandidat za clanstvo u
EU od koje se kao uslov ocekuje i trazi da se dezintegrise da bi mogla
da se integrise u Evropsku uniju.

4. Pored Haskog tribunala i politike stapa i sargarepe, uslovljavanje
ulaska u EU pristajanjem na gubitak Kosmeta predstavlja jos jednu
potvrdu neravnopravnog tretmana Srbije u odnosu na balkanske i druge
zemlje bivse Istocne Evrope. Srbiji se zeli utisnuti zig najveceg
krivca za nastanak i razvoj jugoslovenske krize, ukljucujuci i za
"milosrdnu" agresiju NATO. Ona se smatra maltene porazenom zemljom
koja mora da ispunjava posebne uslove da bi usla u integrisanu Evropu.

5. Uz pomoc sponsorisanih nevladinih organizacija i drugih
glasnogovornika istog smera, cini se sve da nasa javnost i politicka
elita prihvate takav nizi tretman kao logicnu i neizbeznu posledicu
politike koja je prethodila petom oktobru. Sistematski se zatamnjuju i
guraju u stranu fundamentalna pitanja suvereniteta i teritorijalnog
integriteta Srbije koje takav nizi tretman, zajedno sa priblizavanjem
razgovora o statusu Kosmeta, ulaska u Partnerstvo za mir i dobijanja
studije o izvodljivosti, opasno aktuelizuje.

6. Himnologija Evropskoj uniji koja se forsira od vrhova zvanicne
vlasti treba da izmeni red prioriteta drzavnih ciljeva. Naglasava se
da je ulazak SCG odnosno Srbije u EU nas prvi drzavni interes, a
ocuvanje teritorijalne celine Srbije spusta se na nize mesto na listi
prioriteta.

Kao nekada kada nam je obecavan komunisticki raj samo ako se jos malo
strpimo, sadasnja vladajuca elita drzi javnost u hipnozi ocekivanja da
ce nas magicni ulazak u EU i evroatlantske integracije resiti svih briga.

7. U senci hiperbolisanja znacaja ulaska u EU, pustaju se mnogi probni
baloni u cilju stvaranja klime i pripremanja javnosti Srbije za
dvoetapni gubitak Kosmeta. Razni nama u kontinuitetu nenaklonjeni
zapadni analiticki centri, politicke licnosti, nevladine organizacije
i tematske tribine uporno promovisu ideju o nezavisnosti te istorijske
srpske pokrajine, bilo drsko i otvoreno, bilo pod smokvinim listom
"uslovne", "odlozene" ili "kontrolisane" nezavisnosti. Pritom se
osiguravaju od svakog moguceg bumerang efekta isticanjem da Srbi u BiH
i Albanci u Makedoniji ne bi mogli da se koriste tim izumom
pretvaranja jedne pokrajine u nezavisnu drzavu. Naporima za konacno
otudjenje Kosmeta od Srbije prikljucuje se i EU sa projektom o
njegovom stavljanju pod vlastiti protektorat. Ucestala su i
ambivalentna i dubiozna razmisljanja o evropskom resenju za Kosovo,
sto podrazumeva perspektivu njegovog samostalnog integrisanja u
Evropsku uniju. Sadasnji dvostruki ekonomski kolosek priznat Srbiji i
Crnoj Gori, koji utire put dobijanja i odvojenog politickog koloseka
za ulazak u EU, predstavlja provereni model i za odvojeno kretanje
Kosmeta u EU.

8. Medjutim, posto pomenuti probni baloni nisu dovoljni da javnost
Srbije okrenu protiv vlastitih interesa i Srbiju privole na
dobrovoljnu amputaciju svoje juzne pokrajine, u njeno pripremanje za
takav mazohisticki postupak angazuju se i domaci istomisljenici, kako
zvanicni tako i nezvanicni. Predlaze se medjunarodna konferencija o
Kosovu po ugledu na Dejton. Sugerise se da Evropska unija preuzme od
OUN protektorat nad Kosmetom. Dramaticno se najavljuje da ce Kosmet
dobiti nezavisnost 2005. godine ili se. u vezi s tim, javno trazi
podela Kosmeta. Protura se model ustupanja teritorije za razvoj.
Istice se da je samo nezavisnost neprihvatljiva, a ne i resenje
izmedju najsire autonomije i nezavisnosti.

9. Sve to se cini sa ciljem relativizovanja rezolucije SB 1244, njenog
de facto zamenjivanja politikom standarda pre statusa i preuzimanja
nadleznosti SB od strane drugih medjunarodnih instanci (EU ili
tematske medjunarodne konferencije o Kosovu). Istovremeno, pledira se
da se sukob izmedju principa nepromenljivosti medjunarodnih granica i
samoopredeljenja vecinskog stanovnistva Kosmeta resava na stetu
teritorijalne celovitosti Srbije.

Politika dvostrukog arsina, koja je prema Srbima i Srbiji bila
otvoreno primenjivana od pocetka jugoslovenske krize, otvoreno se
najavljuje i u vezi sa buducnoscu Kosova. Povelja OUN, rezolucija
1244, Pariska povelja KEBS-a i drugi obavezujuci medjunarodni
politicki dokumenti i pravni instrumenti osiono se ignorisu i na tlu
Nove Evrope planira se teritorijalno komadanje jedne od njenih
najstarijih drzava. Ono sto se dozvoljava nacionalnoj manjini Albanaca
da na tlu Srbije ostvaruju novu albansku drzavu, ne dopusta se Srbima
u Bosni, Kurdima u Turskoj, Iraku i Iranu, Albancima u Makedoniji,
Rusima u baltickim drzavama, Ukrajini i Prednjestrovlju u Moldaviji,
Jermenima u Nagorno Karabahu u Azerbejdzanu, Abhazima i Osetima u
Gruziji, Kasmiru u Indiji i Pakistanu, Madjarima u Rumuniji i
Slovackoj, Cecenima u Rusiji, Baskijcima i Kataloncima u Spaniji,
Korzikancima u Francuskoj, Skotlandjanima u Velikoj Britaniji, itd.
Veruje se da ce se izolovanjem takvog presedana samo na Srbiju i
njegovog hermetickog zatvaranja u odnosu na spoljni svet, izbeci
pogubne posledice domino efekta na druge multietnicke drzave.

10. Scenario nagradjivanja politickog terorizma eklatantno potvrdjuje
da agresija NATO na SRJ nije bila motivisana humanitarnim razlozima,
kao sto je providno tvrdjeno, vec otvorenom podrskom albanskom
separatizmu, zbog cega je Kosmet, na kraju agresije, nasilno otrgnut
od Srbije i sistematski i bezobzirno udaljavan od njenog
ustavnopravnog poretka.

Kao sto su bile glavni zagovornik i realizator agresije na SRJ, SAD su
ostale odlucujuci faktor na Kosmetu u celom periodu posle
uspostavljanja prelazne administracije OUN. Svi dosadasnji
administratori, od Kusnera do Petersena, samo su izvrsavali politicku
volju i strategijske ciljeve SAD u tom kljucnom delu Balkana. Zato je
pogresna praksa nasih vlasti i cist gubitak dragocenog vremena da o
sustinskim problemima na Kosmetu i njegovoj buducnosti razgovaraju sa
drugorazrednim partnerima, a ne direktno sa SAD.

11. Uprkos pojacanoj galami o nezavisnosti Kosova kao navodno jedinom
i najboljem resenju, pravi cilj SAD i njihovih zapadnih saveznika nije
nezavisnost te pokrajine, vec Republika Kosovo u statusu treceg clana
sadasnje drzavne zajednice SCG, koja je i skrojena da napravi mesto i
za Kosovo u skoroj buducnosti. Nezavisnost je samo licitirani
maksimalni cilj da bi se postigao cilj po meri i interesu zapada.
Takav idealni cilj otklonio bi opasnost stvaranja presedana na koji bi
se mogle pozivati kompaktno naseljene nacionalne manjine u drugim
drzavama, posebno u okruzenju. Posto je za ostvarenje takvog cilja
neophodan pristanak Srbije, celokupna strategija zapada u vezi sa
Kosmetom usredsredjena je na to da se od Srbije takav pristanak
ishodi. U pogon se stavljaju svi potencijali: marketinska propaganda,
mamac brzeg ulaska Srbije i Crne Gore odnosno samo Srbije u
evroatlantske integracije, finansijska kompenzacija, ukazivanje na
slozenosti za Srbiju u slucaju reintegracije Kosmeta u njen
ustavnopravni poredak, pojacano angazovanje istomisljenika u zvanicnim
institucijama i sponsorisanim nevladinim organizacijama, itd. U
rezervi se drze uobicajene mere pritiska ako Srbija, i pored svega,
bude "nekooperativna".

12. Glavna pretnja za eventualno nekooperativnu Srbiju se u ovom casu
ne najavljuje ali se u senci ozbiljno priprema. Sastoji se u
planiranom moralnom razoruzavanju Srbije, sto treba da se postigne
izricanjem presude Haskog Tribunala polovinom 2006. protiv bivseg
predsednika S. Milosevica i politike Srbije za navodni genocid i
agresiju tokom ratova u BiH i Hrvatskoj. Podudaranje donosenja takve
presude sa istekom roka trajanja drzavne zajednice SCG i finalizacijom
konacnog statusa Kosmeta lisavalo bi Srbiju daljeg polaganja moralnog
prava na Kosmet, a Albancima dalo superiorni argumenat da ne zele da
ostanu u zlocinackoj drzavi kao sto je Srbija. Da vremenska
koincidencija takvih dogadjaja nije samo spekulacija vec i sasvim
realna opasnost, potvrdjuje podatak da je jos Madlen Olbrajt u jeku
agresije NATO-a izjavljivala na TV da "masovno etnicko ciscenje
Albanaca" lisava Srbiju svakog prava na dalje zadrzavanje Kosmeta.
Nije svakako slucajno sto se gospodja Olbrajt ponovo ukljucuje u javne
diskusije u vezi sa resavanjem statusa Kosmeta.

II

13. Svim tim manevrima i zaverenickim potezima protiv prisustva Srbije
na Kosmetu moramo se suprotstaviti, odlucno i beskompromisno, najjacom
ali dovoljnom kartom koju imamo - nasom tapijom na Kosovo.

Ta tapija se zasniva na istorijskom i duhovnom znacenju Kosova za
srpski narod i drzavu i na neoborivim i neosporivim medjunarodnim
priznanjima da je ono integralni i neodvojivi deo Srbije (Londonski
ugovor iz 1913, Versajski ugovor o miru iz 1920, Pariski ugovor o miru
iz 1947, Finalni akt iz Helsinkija iz 1975, stavovi Badinterove
arbitrazne komisije i odluke EZ iz 1991. i 1992. godine, rezolucija SB
1244).

Sve dok nepokolebljivo branimo pravo iz te tapije, Kosmet niko ne moze
valjano istrgnuti iz Srbije. Nasilno izdvajanje i proglasavanje
Kosmeta samostalnom drzavom predstavljalo bi najobicniju otimacinu, na
sta ni najagresivniji i nama najnenaklonjniji deo medjunarodne
zajednice ne bi pristao zbog vodjenja racuna o sopstvenim interesima.

14. Zagovornicima dezintegracije Srbije ne odgovara rezolucija SB
1244, koja preko SRJ potvrdjuje njen suverenitet nad Kosovom, kao ni
SB, kao mesto na kome ce se odlucivati o buducem statusu Kosmeta.
Svesni da nas u SB stiti veto Rusije i Kine dokle god ne pristanemo na
gubitak te pokrajine, ti zagovornici nastoje da zaobidju SB,
predlazuci odrzavanje tematske medjunarodne konferencije o Kosmetu, po
ugledu na Dejton, ili da njegovu iskljucivu nadleznost izmeste u EU,
koja bi Kosmet dovoljno dugo drzala pod svojim protektoratom dok ono
samostalno ne "uklizi" u EU, paralelno sa Srbijom. Neposredni interes
Srbije je da se kategoricki suprotstavi takvim nastojanjima. Za
zaljenje i osudu je sto se tim nastojanjima aktivno pridruzuju i neke
nase istaknute zvanicne licnosti.

Osnovno u strategiji Srbije mora biti nepristajanje na odvajanje
Kosmeta od Srbije u bilo kom obliku. Nezavisnost Kosmeta je
podmetnuta, a ne prava meta na koju ne smemo da nasednemo.
Suprotstavljanje samo nezavisnosti podrazumeva otvorenost za sve sto
je manje od toga, a to je ne samo ostajanje Kosmeta u okviru Srbije,
vec i njegovo ostajanje u okviru drzavne zajednice, ali van Srbije.

16. Neprihvatanje nezavisnosti Kosmeta nije dovoljno iz dva razloga:
a) nezavisnost je samo prividni cilj da bi se lakse ostvario stvarni
cilj davanja Kosmetu statusa republike sa pristankom Srbije i b)
protivljenje nezavisnosti bez beskompromisnog insistiranja na
postovanju drzavne celine Srbije podrazumeva da je sve sto je manje od
nezavisnosti za nas prihvatljivo, ukljucujuci i Republiko Kosovo u
statusu treceg clana drzavne zajednice.

Isto vazi i za zvanicni stav i slogan :"manje od nezavisnosti, vise od
autonomije", jer ostavlja lebdecom mogucnost da bi nas status Kosova
kao republike u okviru drzavne zajednice mogao zadovoljiti. Zato bi
taj slogan morao biti preciziran dodatkom "...u okviru Srbije". Bez
toga bi Srbija bila izlozena novim pojacanim pritiscima da se odrekne
Kosmeta.

18. Prvi i najveci prioritet je ocuvanje teritorijalne celovitosti
Srbije. Svi drugi prioriteti su iza toga i, ako treba, moraju da
sacekaju. Ako bi ulazak u EU bio najvazniji drzavni interes bez
prethodnog dobijanja priznanja suvereniteta Srbije na njenoj celoj
drzavnoj teritoriji, to bi vodilo sigurnom gubitku Kosmeta, jer bi
integrisanje te pokrajine u EU bilo izvedeno na odvojeni nacin.

Svi dalji razgovori sa EU in NATO u vezi sa procesom ulaska u EU i
Partnerstvo za mir moraju se odmah usloviti napustanjem sadasnjeg
ambivalentnog stava tih organizacija u pogledu suvereniteta Srbije nad
Kosmetom. Prihvatljiv moze biti samo njihov cist i nedvosmislen stav
da je Kosmet integralni deo Srbije. O ulasku u te organizacije mozemo
razgovarati samo pod istim uslovima pod kojim su ulazile ostale zemlje
u EU: sa nasim teritorijalnim totalitetom. Manje ravnopravnosti od
njih ne smemo prihvatiti po cenu odlaganja sine die naseg integrisanja
u EU.

20. Teza o tome da je Srbiji znacajnija sudbina njenog naroda na
Kosmetu od formalnih prava drzave, koja se protura od strane
Medjunarodne krizne grupe i, nazalost, nekih visokih zvanicnih
licnosti, postvalja pitanje Kosmeta sa noge na glavu, jer se
nacionalni interesi cuvaju drzavom i njenom suverenom vlascu, a ne
njenim smanjivanjem i odricanjem od suverene vlasti. Tragedija srpskog
kosmetskog naroda pod stranom vlascu u poslednjih sest godina to
dramaticno i opominjuce potvrdjuje.

21. Umesto sto se vlada po casovniku raznih americkih i evropskih
sponsora albanskog separatizma, ciji javni nastupi su otvoreno
antisrpski, zvanicna Srbija treba da deluje na osnovu sopstvenog
razvijenog i argumentovanog programa:

Prvo, podsecajuci da su Albanci vecina u Pokrajini, ali da su
ubedljiva manjina u celoj Srbiji i da oni na Kosmetu ne mogu imati
veca prava na unutrasnje samoopredeljenje nego tamosnji Srbi,
postojeci predlog o decentralizaciji treba da se dopuni isticanjem
zahteva da najsiru autonomiju koju rezolucija 1244 predvidja za
kosmetske Albance u odnosu na Srbiju moraju dobiti i kosmetski Srbi u
odnosu na Albance u Pokrajini.

Drugo, umesto sto sledi novi opasan prilaz "standardi pre statusa",
zvanicna Srbija treba istrajnije da se poziva na rezoluciju 1244, koja
sire stiti kosmetske Srbe i garantuje suverenitet Srbije nad
Pokrajinom, kao i da natera KFOR na izjasnjavanje u pogledu povratka
predvidjenog broja nasih vojnika i policajaca na Kosmet.

S obzirom na to da bi rasporedjivanje nasih vojnika i policajaca na
medjunarodnoj granici prema Albaniji i Makedoniji imalo ne mali
simbolicki i psiholoski znacaj za tamosnje Srbe, treba se
suprotstaviti pocetku razgovora o buducem statusu Kosova dok se ne
ispune sve obaveze iz rezolucije 1244, ukljlucujuci i o povratku
ogranicenog kontigenta nase vojske i policije na Kosmet.

Trece, slogan "vise od autonomije, manje od nezavisnosti" treba sto
pre pretvoriti u razvijen i obrazlozen predlog Srbije o sadrzini
najvise autonomije. Ta sadrzina bi mogla biti kombinacija elemenata iz
slicnih avangardnih resenja za kompaktno naseljene manjine (Plan Z-4
za Srbe u Kninskoj Krajini, Juzni Tirol, Alanska ostvra, autonomne
republike u Rusiji), a mogla bi biti obogacena i novim elementima
kojim bi autonomna pokrajina Kosmet bila skoro drzava, ali bez
suverenih prava i punog medjunarodnopravnog personaliteta.

22. Skupstina Srbije treba sto pre da usvoji amandman na postojeci
Ustav kojim se zabranjuje otudjenje bilo kojeg dela drzavne teritorije
Srbije pod bilo kojim uslovima i da svako delovanje suprotno tome
predstavlja akt veleizdaje.

23. Takvim merama zvanicna Srbija bi izasla iz pasivnog polozaja i
izbegla da bude stavljena pred svrsen cin. Izbegla bi se pogibeljna
ponuda: uzmi ili ostavi.

Umesto sto bi morala da se izjasnjava o buducem resenju za Kosmet,
koje bi favorizovalo uzurpaciju i ignorisalo medjunarodno pravo,
stavila bi druge u situaciju da se izjasnjavaju o resenju, koje se
zasniva na medjunarodnom pravu i nasoj tapiji.

Formula: insistiranje na tapiji i nepristajanje na gubitak Kosmeta
plus suprotstavljanje svakoj novoj rezoluciji SB koja bi isla ispod
rezolucije 1244, kao i pokusajima prenosenja nadleznosti sa SB na EU
ili na neku novu Dejtonsku konferenciju plus razvijeni vlastiti
predlog resenja konacnog statusa Kosmeta u okviru Srbije - sprecava
gubitak Kosmeta.

Obrnuto, formula: nedoreceni vlastiti stav u pogledu buducnosti
Kosmeta plus navikavanje na ideju o nezavisnom Kosmetu ili Kosovu
republici plus cekanje na predloge resenja koje pripremaju sponsori
albanskog separatizma - vodi gubitku Kosmeta zauvek, bez prava na
revandikaciju u buducnosti.

Na zvanicnoj vlasti je da izvrsi pravilan izbor.

[ A parte il punto 7 - "Perchè punire la Serbia democratica?" - che
suona ingenuo se non proprio errato (che vuol dire "democratica?
"Democratica" nel senso della NATO??), le seguenti "Dieci ragioni per
cui il Kosovo non deve essere indipendente", elencate da A. Mitic,
meritano davvero di essere tenute a mente... (Italo Slavo)

Apart from Point no.7 - "Why punish the democratic Serbia?" - which
sounds like naif if not completely mistaken (what does "democratic"
mean? "Democratic" in the sense NATO uses the term??), the following
reasons, listed by A. Mitic, are really worth keeping in mind... (IS) ]


NEW EUROPE (European Weekly)
October 30 – November 5, 2005 Issue Number 649

Pros and cons of Kosovo dilemma

In a ten point critical and thorough commentary analyst Aleksandar
Mitic reasons why Kosovo should not be independent


1) Why should one side get it all, the other side lose it all?

The independence of Kosovo is a maximalist solution in which one side
– the Albanian community – gets it all, and the other side – the
Kosovo Serbs and Serbia – loses it all. The Kosovo Serbs and Serbia
will never accept this solution – it can only be imposed but can never
be a result of a compromise. Such a solution also plants on the long
run the seeds of injustice, frustration and instability in the region.

2) Why create a completely new state from the scratch?

An independent Kosovo would be a completely unprincipled solution for
the borders in the Balkans, after that same independence was refused
to some other nations during the 1990s. Let's take the example of
Bosnia and Herzegovina, which is, under the Dayton accords, composed
of two entities – the Federation of Bosnia and Herzegovina (Muslim and
Croat entity) and the Republika Srpska (Serb entity). Just as Kosovo,
Republika Srpska is a protectorate, with the troops from NATO
countries on its soil. Just as in Kosovo, some 90 percent of its
population is made of one ethnic community. Strategically, the Serbs
as the majority community in Republika Srpska have the same
aspirations as the Kosovo Albanians: to become independent. But in
Republika Srpska, the international community is tearing down all
existing symbols and structures of statehood, even those allowed by
the Dayton peace accords. Republika Srpska is in fact, in the process
of being absorbed in a centralized state of Bosnia and Herzegovina, in
the proclaimed name of stability, multiethnicity and European
integration – but against the will of the majority community. In
Kosovo, only 100km south, that same international community is doing a
completely opposite thing: it is building a new state from the scratch
and treating Kosovo as an "independent state in the making". Is there
any logic in that?

3) Why break up the most multiethnic country in the region?

Just as it rushed with the breakup of the former multiethnic
Yugoslavia in the early 1990s, with an independence of Kosovo, the
international community could be rushing to break up Serbia, the most
multiethnic country in the Balkans. If the majority Albanian community
in Kosovo gets independence, what kind of example would that represent
for the Muslim majority in the Sandzak region, the Albanian one in
southern Serbia, the Serbian one in eastern Montenegro, the Albanian
one in western Macedonia, the Serbian one in eastern Slavonia or the
Hungarian one in northern Vojvodina?

4) Why endanger international law?

It is clear that Kosovo could get independence only outside the UN
Security Council, where at least Russia and China would veto such an
option (due to Taiwan, Tibet, Chechenya). A solution without the UN
Security Council approval would be a new slap in the face of
international law. The framework for the resolution of the future
status of Kosovo can be found in the resolution 1244 of the UN
Security Council. Under that resolution, "the people of Kosovo can
enjoy substantial autonomy within the Federal Republic of Yugoslavia",
nowadays Serbia and Montenegro. In Resolution 1244 "self-governing" is
mentioned three times, "self-government" four times,
"self-administration" one time, "substantial autonomy" three times
whereas neither "self-determination" nor "independence" is mentioned
in the document. The "sovereignty" of Yugoslavia is mentioned three
times.

5) Why would Kosovo be an exception in the world?

Kosovo cannot be an exception in the world. It would be necessary to
carefully consider the future status of Kosovo since it would likely
have an effect on secessionist movements elsewhere in the region, in
Europe and in the world: Basque province, Corsica, Tibet, Taiwan,
Kurdistan, Scotland, Quebec, Tamil Eeam, Abkhazia, South Ossetia,
Northern Cyprus, Kashmir, Southern Thailand, etc. All the secessionist
movements in the world will follow with great attention the situation
in Kosovo as a possible precedent.

6) Why did NATO intervene in 1999?

Given the developments in Kosovo since 1999, the independence of
Kosovo would, sooner or later, most probably lead to a monoethnic
Albanian Kosovo. As such, it would completely undermine the arguments
of those who supported the NATO bombings in 1999 in the name of the
"multiethnicity" of Kosovo. The bombing of 1999 would historically be
seen as a campaign for the independence of Kosovo, which is light
years away from the proclaimed goals of a "humanitarian intervention".

7) Why punish the democratic Serbia?

The democratic authorities in Belgrade are firmly on the pro-European
road. They have opened negotiations on the Stabilisation and
Association Agreement (SAA) with the EU – a first step towards full
membership —, they are adopting European laws and reforms proposed by
the international financial institutions. They have established an
efficient cooperation with the International War Crimes Tribunal in
The Hague (all those indicted for the 1999 war crimes in Kosovo are in
The Hague).
Serbia has fulfilled all security demands required in the process of
reforms: it has respected from A to Z the articles of the 1999
Kumanovo accords with NATO on the retreat of security structures from
Kosovo; it has shown restraint and close cooperation with NATO in the
management of the Albanian uprising in 2000-01 in southern Serbia; it
has succeeded in preventing the spillover of violence from Kosovo to
the rest of Serbia during the March 2004 massive anti-Serb violence in
Kosovo; it has been praised by Western diplomats for its management of
ethnic tensions in southern Serbia and in the Vojvodina province; it
has reformed its military and police structures along the lines of the
standards of the OSCE and the Partnership for Peace. It is proposing a
compromising solution for the future status of Kosovo.
Why punish it with the loss of a part of its territory, a birthplace
of the Serbian state, which is still today home to some 1,300 Serbian
monasteries, churches and other Orthodox objects – many of them jewels
of medieval architecture. What kind of consequence would an
independence of Kosovo have on democracy in Serbia? If the Albanian
side gets a maximum of its demands just so that it does not provoke
new tensions and conflicts, who can guarantee that Serbs would
peacefully watch and accept the loss of Kosovo? Does that mean that
the threat of barbarism and violence is winning over interethnic
cooperation and tolerance?

8) Why create a second Albanian state?

The independence of Kosovo and its likely monoethnic character would
mean the creation of a second Albanian national state in the world:
the nation of "Kosovars" in fact does not exist in the European
meaning of the word. There are Albanians, Serbs and other communities
who live in Kosovo. On the other side, according to the UNDP, there
are some 5,000 different ethnic groups living in some 200 countries of
the world. Under the figures of the study "Minorities at Risk", some
509 ethnic groups in the world consider themselves as politically
discriminated. A huge number of them are dreaming of autonomy. Why
would one nation – the Albanian one – get two independent STATES?

9) Why impose independence as "The only solution for Kosovo"?

The key objective should be to give the Kosovo Albanians a maximum of
opportunities and real means to manage their future without feeling
threatened, but also without threatening the interests of other
groups, the security and the shaky stability of the region. Within the
principles of the international community (no return to the situation
from before 1999, no joining to neighbouring states, no partition),
there is a series of options that look much more like a compromise
that an imposed solution of independence.
A sustainable and just solution is one that lies between the standard
autonomy for Kosovo - unacceptable for the Albanian aspirations - and
the full, "conditional" or "immediate" independence - unacceptable for
the Serbs and the Serbian state. Between these two, there is a myriad
of thinkable options - for Kosovo in the region and internally inside
Kosovo: substantial autonomy, confederation, Kosovo as a Euro region,
the Hong Kong model (one state – two systems), South Tirol, Bavaria, etc.

10) Why create new states in a "Borderless Europe"?

If the entire southeastern Europe is going towards European
integration and membership in the European Union – where borders are
no longer "important", if this process is underway and will be
finished in the decade to come, why create a new state in the heart of
Europe? Why create new borders at such high cost if those same borders
will be brought down in the matter of several years? Where is the
logic of European integration in the independence of Kosovo?


(Aleksandar Mitic is Chief Analyst at the Institute of Serbia and
Montenegro in Brussels and Lecturer at the University of Belgrade)

"LA REPUBBLICA": SPERIAMO CHE IL MONTENEGRO SECEDE COSÌ LA COSTA
ADRIATICA SARÀ NOSTRA A PREZZI STRACCIATI


<< ... Le Bocche di Cattaro, sulla costa del Montenegro, area protetta
dall'Unesco, ai cui piedi sorge l'omonima cittadina, un centro storico
con pittoresco porticciolo e casette di pietra, simile alla famosa
Dubrovnik, ma più autentica e assai più a buon mercato. "Ho una
casetta in stile veneziano, affacciata all'unico fiordo dell'Europa
meridionale, davanti a un mare azzurro su cui si gettano verdi
montagne", dichiara entusiasta al "Financial Times" una designer
irlandese, dopo aver comprato un appartamento a Cattaro per appena
settantamila euro. Per il doppio, ci informa il quotidiano della City,
si acquista una villa, e per ventimila euro si prende una rudere da
restaurare. Insomma, un bell'affare. C'è un solo aspetto negativo, che
aiuta a capire perché il luogo non sia ancora affollato e costoso: il
Montenegro è l'ultimo stato della ex-Jugoslavia che continua a far
parte della Serbia [sic], e ciò comporta un certo rischio di
instabilità politica. Ma ha indetto un referendum per diventare
indipendente, e si prevede, se sarà approvato, la sua graduale
integrazione con l'Unione Europea... >>

Leggere per credere:
http://www.repubblica.it/2005/k/sezioni/esteri/pazfol/pazfol/pazfol.html

--- In icdsm-italia @ yahoogroups.com, "icdsm_italia" ha scritto:

Il procedimento dell'Aja contro Slobodan Milosevic:
Questioni Emergenti nel Diritto Internazionale
ICDSM : L'Aja 26/02/2005 Conferenza Internazionale

Prof. Aldo Bernardini

(Docente di diritto internazionale presso la facoltà di giurisprudenza
dell'Università di Urbino):

Il diritto internazionale capovolto: la crisi jugoslava e il caso del
Presidente Milosevic


Il contesto nel quale il Tribunale penale internazionale per i crimini
in ex Jugoslavia (ICTY) sta operando, è caratterizzato da un assoluto
e totale capovolgimento del diritto internazionale. Tra gli scopi
delle Nazioni Unite dice l'articolo 1 comma 1 della carta c'è il
"mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed è a questo fine:
prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le
minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre
violenze della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità
ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la
composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni
internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace."

La prassi ha stabilito che questo principio non concerne con le misure
ex capitolo 7 della Carta dell'Onu (che è quello che regola le azioni
a tutela della pace N.d.R.): ma il significato delle limitazioni date
dalla Carta alle misure previste nel capitolo 7 è che queste non
possono violare a loro volta il diritto internazionale, né essere
contrarie ai principi di giustizia; sono misure puramente esecutive,
misure di polizia, per fermare e rimuovere situazioni pericolose
contemplate dall'articolo 39 (il quale recita "Il Consiglio di
Sicurezza accerta l'esistenza di una minaccia alla pace, di una
violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa accomodazioni
o decide quali misure debbano essere prese in conformità degli
articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza
internazionale" N.d.R.). Alcuni scrittori affermano anche che il
riferimento al concetto stesso di giustizia (un concetto sostanziale
che dipende da interpretazioni soggettive) consenta un approccio meno
rigido alle leggi internazionali. In realtà, il riferimento alla
giustizia è interpretato solo in virtù degli scopi delle Nazioni Unite
di cambiare il diritto internazionale. Il pilastro del sistema delle
Nazioni Unite era l'azione del Consiglio di Sicurezza che agiva in
virtù del capitolo 6 (soluzione pacifica delle controversie) facendo
raccomandazioni seguite da accordi con gli Stati stessi, agendo in
conformità alla Carta che all'articolo 24.2 specifica che il Consiglio
non può oltrepassare gli specifici attributi dalla Carta indicategli.
Ma dal 1989 1991, questo pilastro è e continua ad essere
illegittimamente distrutto. Il Diritto Internazionale subisce
costantemente delle violazioni nelle sue istanze principali. Si è
passati dalla forza del diritto al diritto della forza. Il Consiglio
di Sicurezza e i suoi organi sussidiari agiscono contro il diritto
internazionale e contro la giustizia (nella sua accezione
sostanziale). Può sembrare strano, ma è la verità.


Nelle crisi Jugoslave ad essere a rischio sono prima di tutto la
corretta definizione e il corretto approccio agli aspetti che
riguardano la sovranità e l'autodeterminazione dei popoli.
Contrariamente alle teorie più diffuse, nel sistema dell'ONU e in
generale nel diritto internazionale, l'autodeterminazione dei popoli
non può violare la sovranità dei singoli Stati, nonché con la loro
integrità territoriale. Lo Stato sovrano, soggetto al diritto
internazionale, è libero di difendere se stesso da secessioni, e
interventi di Stati stranieri nei suoi affari sono proibiti. L'unica
eccezione accettabile, e dal diritto internazionale accettata, è
quella che riguarda le lotte e le guerre di liberazione dei popoli
colonizzati o dei popoli che si trovano in situazioni simili:
illegittima occupazione straniera o, persino in condizioni di
discriminazione (apartheid) anche se ciò si verifica entro i confini
nazionali. In altre parole, solo quando una popolazione o parte di
essa, identificabile con un territorio compatto, unita in una regione,
o che costituisce la maggioranza di uno Stato, è sotto oppressione
nazionale o discriminazione, la sovranità di quello Stato appare non
rappresentativo di quel settore di popolazione: non può essere
considerato lo stato di quel popolo. Questo è il prerequisito per il
diritto all'autodeterminazione. Una norma scritta, la quale definisce
i possibili casi di autodeterminazione, è l'articolo 1.4 del primo
Protocollo del 1977 alle Convenzioni di Ginevra: " Le situazioni
trattate nel precedente paragrafo includono i conflitti armati in cui
i popoli combattono contro il dominio coloniale e un regime razzista
nell'esercizio del loro diritto all'autodeterminazione". Penso che ciò
non abbia nulla a che vedere con le secessioni interne, poiché queste
riguardano la forma dello Stato o del Governo, le relazioni
governo-popolo e così via, quindi un affare interno. In caso di
"discriminazione delle nazionalità o d'oppressione" invece, fin dagli
anni '60, il così detto diritto all'autodeterminazione è affare di
diritto internazionale, così i popoli discriminati che lottano per
cambiare la loro situazione, persino tramite la secessione, possono
essere appoggiati in varie forme di azioni, anche aiuti militari, da
Stati terzi, senza così violare la proibizione

all'intervento. Irresoluta rimane la questione se lo Stato centrale è
legalmente libero o meno, in virtù delle leggi internazionali, di
reagire con mezzi militari alla guerra di liberazione, almeno questa
lotta abbia raggiunto un riconosciuto livello o un internazionale
riconoscimento (naturalmente, non abusivo ma seguendo i requisiti su
menzionati). La legittima repressione di un'illegittima secessione
non è mai requisito per un'autentica auto-determinazione. Ma tutto ciò
è vero solo nei casi di lotta contro uno stato costituito. In
situazioni dove l'entità Statale non esiste, o è estinta, o il potere
sovrano su un territorio e sulla sua popolazione è rimosso o fatto
oggetto di rinuncia, il diritto all'auto-determinazione di un'entità
territoriale compatta e unita è pieno e illimitato e non può essere
contrastato da interventi esterni. Le differenti parti territoriali di
una regione senza costituito potere sovrano hanno lo stesso diritto di
creare e costituire il loro Stato, o comunque di determinare in un
altro modo il loro status. Quando un potere sovrano non è venuto
ancora ad esistenza, ma è coinvolto in un iter costituente, le varie
entità territoriali hanno appunto lo stesso diritto a costituire un
loro stato. Il principio dell'uti possidetis juris non è una regola
generale di diritto internazionale: storicamente, è stato molto
limitato in America Latina e in Africa durante il processo di
decolonizzazione. Occorre far menzione di un significativo precedente:
il West Virginia nella guerra civile americana. Una cosa è negare
l'esistenza del diritto all'auto determinazione di una non
discriminata popolazione in uno Stato costituito, altra cosa è imporre
su una popolazione o parte di essa la forzata integrazione in uno
Stato, il cui processo di formazione è ancora in corso. In questo caso
si assiste ad un processo autonomo e non etero diretto. Un
auto-determinazione pilotata è una contraddizione. Nelle crisi
Jugoslave la secessione di alcune repubbliche era un problema di
insurrezione locale contro lo Stato sovrano. In questa sede esaminerò
la questione da un puro punto di vista giuridico. Di sicuro non
c'erano i prerequisiti per l'autodeterminazione, cioè non si era
verificata alcuna discriminazione contro la popolazione delle
Repubbliche secessioniste. In tale situazione ogni interferenza
esterna è assolutamente proibita. Nessun dubbio che la Federazione
Jugoslava era ancora esistente, quando il riconoscimento di Slovenia,
Croazia, Bosnia-Herzegovina arrivò dalle potenze occidentali. La
caratteristica principale della Federazione Jugoslava era data dal
fatto che era un unione di popoli costitutivi che attribuivano il nome
alle repubbliche federate, più altre nazionalità e minoranze: ma non
c'era mai la stretta coincidenza tra il popolo che assegnava il nome
ad una determinata repubblica e la repubblica stessa. In altre parole,
Croazia e Serbia furono costituite dai due popoli costitutivi, mentre
la Bosnia-Herzegovina ospita tre popolazioni (Musulmana, Croata e
Serba). Questo sistema era stato stabilito dalle Costituzioni degli
Stati Federali, conformemente a quella del 1974. Questa carta nel
preambolo riconosce il diritto di secessione, ma non alle repubbliche
federate bensì ai vari popoli costituenti la nazione jugoslava, senza
in ogni caso prevederne l'iter. Era possibile che l'eventuale
secessione avvenisse in maniera trasversale in relazione alle singole
repubbliche federate: così una singola popolazione dividendosi dal
resto della nazione poteva coinvolgere più di una repubblica. Mentre
per le stesse repubbliche federate la procedura era molto più
complicata, poiché per cambiare propri confini interni, c'era bisogno
del consenso di tutte le nazioni. E' fuori di dubbio che le secessioni
delle singole repubbliche siano avvenute violando la Costituzione,
come rilevato dalla Corte costituzionale Federale Jugoslava.
L'intervento dell'esercito federale jugoslavo dopo la dichiarazione di
indipendenza della Slovenia (25 giugno 1991) fu perciò legittimo.
L'interferenza della Comunità Europea, che nella conferenza di Brioni
optò per il ritiro dell'esercito federale dalla Slovenia, accompagnato
da pressioni di ogni genere, presenta senza dubbio una violazione
della legalità internazionale. In Croazia, di fronte ai graduali passi
verso la secessione, culminata nella dichiarazione di indipendenza
(anche in questo caso il 25 giugno 1991), la maggioranza serba in
Krajina proclamò la sua repubblica e perciò fu attaccata dalle forze
di polizia croate. Anche lì l'esercito federale agì legittimamente
(luglio 1991). Le repubbliche secessioniste provocarono la paralisi
delle istituzioni federali: dopo il blocco Serbo-Montenegrino,
affrontarono col rischio della disintegrazione, e assunsero il
controllo delle istituzioni (3 ottobre), provocando la protesta delle
potenze occidentali; l'8 ottobre la Slovenia e la Croazia dichiararono
definitivamente la loro indipendenza. Sebbene per un pò di tempo
difendessero la stabilità, la sopravvivenza della repubblica Federale
Jugoslava, gli stati europei cominciarono subito (già il 2 agosto
1991) a dare il via libera alla loro vera ma illegittima politica: in
assenza di un accordo tra le repubbliche Federate, i confini
internazionali, ma anche quelli interni in Jugoslavia, furono
rispettati. La linea fu confermata in un altro meeting internazionale
e persino dal Consiglio di Sicurezza nella risoluzione numero 713 del
1991 del 25 settembre, che definì la situazione Jugoslava come un
pericolo per la pace. In modo particolare sotto la pressione di
Germania, Austria e Vaticano, il 15 gennaio 1992, Slovenia e Croazia
furono riconosciute come stati indipendenti, e Bosnia-Herzegovina e
Macedonia seguirono la stessa strada, e ci fu poi l'ammissione nelle
Nazioni Unite (22 Maggio). Questo processo fu stimolato dai Ministri
degli affari esteri degli stati aderenti all'Unione Europea, che il 16
dicembre 1991 hanno pubblicato le linee guida " per il riconoscimento
dei nuovi stati dell'Europa dell'est e dell'Unione Sovietica":
un'incredibile iniziativa, che invita tali Stati ad agire per ottenere
il riconoscimento. Le potenze occidentali stabilirono che la
Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia dovesse finire, sebbene
ci fossero ancora delle istituzioni, come l'esercito e la Presidenza
Federale anche se tronca, che la stavano ancora difendendo. La
posizione della Jugoslavia e di Milosevic (Presidente della Serbia dal
1989) fu in un primo tempo quella di non accettare che il paese fosse
depennato, e poi che la Federazione dovesse sopravvivere per tutti i
popoli e le regioni che vi volevano ancora vivere (ciò fu in malafede
concepito come un piano per costruire la cosiddetta 'Grande Serbia').
In questo contesto le potenze riaffermarono il principio del rispetto
dei confini interni, specialmente in relazione alla Krajina e la
Bosnia Serba , dove i Serbi proclamarono la loro repubblica: loro non
parteciparono al referendum sull'indipendenza della Bosnia. Il punto
principale è che il processo di dissoluzione della Jugoslavia era
senza dubbio in corso, ma non era consolidato, stabilizzato,
condizione fondamentale per considerarlo effettivo. All'inizio della
cessazione dell'opposizione attiva con riguardo ai nuovi sviluppi
della situazione, dalle autorità legittime fu promulgata la
Costituzione del 1992 della parte residua della Jugoslavia e
successivamente fu deciso il ritiro dalla Bosnia e dalla Croazia. ciò
significa che le azioni delle potenze occidentali erano illecite:
furono un interferenza in affari interni dello stato, allo scopo di
aiutare gli insorti nelle loro mire separatistiche. la fattispecie di
crimine contro la pace fu escluso dallo statuto dell'ICTY non per
caso. D'altra parte la forma dei nuovi stati non era ancora stata
stabilita: il loro processo di formazione non era ancora concluso, non
avevano ancora il libero e pieno controllo su tutto il territorio che
reclamavano (fatta eccezione per Slovenia e forse Macedonia). Il
prematuro riconoscimento (e le conseguenti attività di supporto, di
condanna, sanzioni e limitazioni alle azioni costituzionali
dell'esercito Federale), furono gli elementi dell'azione illegale
condotta dagli Stati occidentali. Farò menzione del secondo protocollo
alla Convenzione di Ginevra . L'intervento in conflitti interni, il
prematuro riconoscimento di stati ancora non completamente giunti a
formazione: un giovane studioso italiano (Tancredi, Secessione p.464)
espresse molto chiaramente il capovolgimento dei criteri fondamentali
di effettività: un non esistente (a livello internazionale) diritto
alla secessione fu creato dalla volontà politica di un gruppo di Stati
stranieri mediante il riconoscimento, il quale ha dato alla questione
rilievo internazionale, attribuendo il diritto
all'auto-determinazione, sebbene non ci fossero le condizioni. " Il
riconoscimento degli stati secessionisti della Jugoslavia, costituisce
una nuova strategia, non più la passiva accettazione del fato, ma si
pilotano gli eventi". Il tutto con illegali conseguenze: la
proibizione per le autorità centrali di contrastare la secessione, la
proibizione per stati terzi dare assistenza al potere centrale, mentre
diventa legale per i secessionisti ricevere aiuto, anche militare,
dall'esterno. Bene quindi, non l'indipendenza di fatto dichiarata che
corrisponda alla reale situazione giuridica, ma una creazione
giuridica artificialmente posta in essere i cui aiuti sono decisivi
per ottenere l'indipendenza - non ancora ottenuta effettivamente.
Cosicché la Jugoslavia passò per l'aggressore (in un primo momento per
mantenere lo status quo, poi per aiutare i serbi di Croazia e di
Bosnia cui era stato negato il diritto all'autodeterminazione).
Chiaramente, se in un conflitto accadono episodi di crudeltà e financo
criminali ad opera di entrambe le parti, è naturale e piuttosto
automatico, attribuirli in toto all' "aggressore", ricorrendo alla
calunnia e amplificando i singoli casi col beneficio dei mass-media e
dei loro manipolatori. Dopo l'assoluto stravolgimento delle relazioni
tra sovranità e auto-determinazione rispettivamente di Jugoslavia e
repubbliche secessioniste, ecco che abbiamo anche la negazione
all'autodeterminazione all'interno delle stesse repubbliche
secessioniste, sebbene queste non fossero ancora definitivamente
formate. Abbiamo già ricordato che quando uno stato è coinvolto in un
processo di formazione, ogni componente etnica della popolazione (che
sia identificabile con un'entità territorialmente compatta) ha il
medesimo diritto di costituire il suo stato, o rimanere nel vecchio
stato. Ma anche a questo proposito ci sono stati dei capovolgimenti
del diritto: l'imposizione dell' uti possidetis elevò i confini
interni a confini riconosciuti a livello internazionale,
contrariamente a quanto sosteneva la Costituzione Jugoslava (che
contemplava, ripeto, la secessione ma in relazione ai popoli, mentre
la procedura per apportare modifiche ai confini delle Repubbliche era
stabilita, così come i confini stessi e le condizioni per la
convivenza tra differenti popolazioni nella stessa Repubblica, dalla
Costituzione Federale, e la loro validità finì col cessare della
Costituzione). Attraverso questo imbroglio, la repressione delle
negate auto-determinazioni dei serbi di Croazia e di Bosnia furono
considerate un affare interno delle Repubbliche (non ancora
costituite), l'aiuto a tale auto-determinazione (da parte della
Jugoslavia) invece illecito, di conseguenza persino l'intervento
armato di Stati terzi o di organizzazioni fu legittimato contro
l'assistenza Jugoslava. Assolutamente sbagliato, se non per meglio
dire vergognoso, anche dal punto di vista del diritto internazionale,
deve essere considerata la forzata formazione dall'esterno della
cosiddetta Federazione di Bosnia-Herzegovina, un' entità artificiale,
nemmeno realmente indipendente. Ma l'azione di moderazione del
Presidente Milosevic durante gli accordi di Dayton non può essere
dimenticata.


Un altro aspetto dello stravolgimento del diritto internazionale: la
negazione della continuità della Repubblica Federale del 1992 rispetto
alla Repubblica Socialista e l'affermazione che questo era ormai
un'altro Stato, visto il venir meno dei membri originali e perciò
delle caratteristiche originali dello stato membro, bisognava pertanto
rifare la procedura di adesione. E' sufficiente affermare che, al
contrario, si era di fronte semplicemente ad un caso di
rimpicciolimento , non di una radicale modifica o sostituzione del
vecchi sub strato sociale: non si trattava di smembramento, ma di una
serie di secessioni di alcune repubbliche: secessioni che avevano
visto l'opposizione attiva e legittima dello stato centrale, anche se
stava progressivamente perdendo il suo controllo di fatto sul suo
territorio, fino a quando sospese o rinunciò alla sovranità sui vari
territori, ma non, almeno all'inizio, per il beneficio delle
Repubbliche secessioniste. Inoltre non ci fu una contro-rivoluzione
socio-economica, come nelle altre Repubbliche. Ma la cosa più
sorprendente fu il diverso trattamento riservato alla Russia,
considerata come entità avente continuità con l'Unione Sovietica anche
per quanto riguarda il seggio presso permanente presso il Consiglio di
Sicurezza. Forse avrebbe dovuto svilupparsi un lavoro teorico maggiore
per quanto riguarda lo smembramento dell'URSS, dove nessuna attività
di opposizione contro le secessioni fu mossa nel '91, mentre la Russia
era attiva nel processo di estinzione della forma dello Stato
precedente. Un fatto importante che non deve essere dimenticato sulla
Jugoslavia "residuale": le Costituzioni di Serbia e di Jugoslavia
(1990 e 1992) grazie all'attivo impegno politico del Presidente
Slobodan Milosevic, non erano nazionalistiche, dando eguale diritto di
cittadinanza ad ogni abitante, a differenza di quella croata, che
sancisce la Croazia come stato dei croati, mentre gli altri gruppi
sono considerati minoranze.


Altri elementi sullo a proposito dello stravolgimento: l'aggressione
del 1999,la cosiddetta guerra del Kosovo. In questa non prenderò in
considerazione i fatti come il presunto genocidio e il restringimento
dell'autonomia regionale avvenuta nel 1989-90, che fu una decisione
della Federazione e non di Milosevic. E' sufficiente riportare
l'intervista al generale Heinz Loquai del contingente tedesco presso
l'Osce: "Circa il genocidio, non solo "pianificato" ma "perpetrato"
dal governo Jugoslavo, sia i parlamentari del Bundestag sia il Governo
tedesco hanno dato il via libera a delle esagerazioni enormi.Ciò che
le armi di distruzione di massa irachene rappresentano per Bush, la
cosiddetta catastrofe umanitaria in Kosovo fu per la Germania la
giustificazione per la guerra".Egli afferma pure che, il giorno prima
dell'aggressione, esperti del ministero della difesa tedesco
affermarono che "non era in corso nessuna pulizia etnica". E ancora:
in Kosovo "c'era una guerra civile. La NATO è intervenuta
unilateralmente contro una parte, la Jugoslavia: la guerra ha
provocato una reale catastrofe umanitaria: 70000 rifugiati dal Kosovo
nei vicini paesi all'inizio del conflitto, 800000 alla fine". In
questo severo resoconto dei fatti troviamo ancora il capovolgimento
del diritto internazionale. L'intervento umanitario - consentito dal
diritto internazionale- è un'invenzione frutto della nuova epoca
caratterizzata dal dominio imperialista. L'intervento in una guerra
civile, o in un conflitto interno, i quali sono tipici affari interni
di uno stato, è a livello di principio proibito (e mancava pure
l'autorizzazione del consiglio di sicurezza che comunque non avrebbe
lasciato la questione priva di dubbi). A tal proposito c'è una regola
internazionale che conferma questa tesi, si tratta dell'art 3 del
secondo Protocollo del 1977 alle convenzioni di Ginevra del 1949,
relativamente alla protezione delle vittime in conflitti non
internazionali: "Nessun articolo di questo Protocollo può essere
invocato per influire sulla sovranità degli Stati sulla responsabilità
dei governi, sia direttamente che indirettamente, per nessuna
ragione". Questo Protocollo è in vigore dal 7 dicembre 1978 ed è stato
ratificato dalla Jugoslavia e poi dagli USA, Italia, Germania, Gran
Bretagna. Si può stabilire un'importante analogia con la questione
cecena. Fu un'aggressione, per il piacere dei gruppi criminali e
terroristi: ora il Kosovo è illegalmente separato dalla Jugoslavia
(Serbia), sono in corso pulizie etniche contro i Serbi e le altre
minoranze etniche: nessuno pagherà delle "corti internazionali" per i
crimini di aggressione (da parte della NATO) e altri criminali di
guerra occidentali, e per i crimini perpetrati dai gruppi al potere
oggi in Kosovo.


Legalità, imperatività delle norme di legge è prima di tutto
l'affermazione della definizione dei crimini e delle sanzioni, delle
procedure giuridiche , dei modi e dei mezzi per creare nuove regole e
organi. Questo è particolarmente vero nel caso di norme internazionali
e decisioni riguardanti l'individuo e non le attività tra stati.Le
questioni sui diritti umani, stanno emergendo almeno nel sistema delle
Nazioni Unite, non passare inosservate. Per quanto riguarda il
cosiddetto delicta contra gentium , si deve assicurare che i diritti
individuali sanciti dalle leggi internazionali siano rispettati (anzi,
aggiungerei bisogna garantire anche il corretto adempimento da parte
dello stato).

Sottolineerei un punto che solitamente viene tralasciato: nella
legislazione delle Nazioni Unite l'accettazione di obblighi
internazionali da parte degli Stati è espressamente vincolato al
rispetto dei dettati costituzionali interni. E questo è un principio
fondamentale, come ha affermato un grande studioso austriaco di
diritto internazionale, Alfred Verdross: l'ONU non ha sovranità
direttamente sugli individui. In quest'ambito che bisogna rispettare
la sovranità degli Stati, cosicché la diretta azione dell'Onu sugli
individui, senza passare attraverso la struttura legislativa dello
Stato, è esclusa. Ciò è essenziale, ragione strutturale perché
un'iniziativa come l'ICTY è da respingere come totalmente illegale. Ma
siamo in una fase storica dove la legge della forza prevale sulla
forza del diritto. Il quale è, come vuole la vulgata, la base legale
per la creazione da parte del Consiglio di sicurezza di tal
straordinario, anzi meglio dire senza precedenti organo come l'ICTY
(nonché il tribunale del Rwanda). Prima di tutto, il suo potere
discrezionale sconfinato nel definire le minacce o i pericoli per la
pace (non si parla di pace internazionale come invece si legge nella
norma) ai sensi dell'articolo 39 della Carta, è il risultato di
un'accezione erronea sfortunatamente corroborata da prassi fuorvianti
e dalla acquiescenza degli stati. In secondo luogo, alla base della
determinazione di questo strumento c'è l'affermazione che il Consiglio
di Sicurezza abbia possibilità illimitate nell'adottare ogni sorta di
misura che ritiene utile e necessaria. Ciò è stato confermato anche in
anni recenti, dalla prassi illegale, ma ciò è profondamente falso. Gli
articoli 41 e 42della Carta prevedono due tipi di misure
(rispettivamente con e senza l'uso della forza), senza dubbio in
maniera esemplificativa, in modo da limitare le tipologie connesse con
funzione di auto tutela, in cui è proibita l'azione individuale degli
stati, e dove ci si debba affidare all'azione collettivamente decisa.
Attività del genere lo stato leso poteva mettere in opera,
conformemente al vecchio diritto internazionale, che includeva tra le
contromisure, rappresaglie,auto-tutela e così via. Ciò ora è
rimpiazzato dalle iniziative collettive sempre dello stesso tipo. Con
ciò si vorrebbe impedire l'auto tutela individuale per favorire quella
collettiva, rimuovendo situazioni (reali o imminenti) minacciose per
la pace, senza imporre soluzioni (previste dal capitolo 6 ma solo
sotto forma di raccomandazioni). In questo senso, è una pura funzione
esecutiva. Perciò nessun potere di modifica dell'esistente ordine
legale, o di creazione di regole e di organi o di leggi è attribuito
all'ONU e in particolare al Consiglio di Sicurezza in base al capitolo
7 (non è prevista nessuna funzione giuridica interstatale, tanto meno
sugli individui). L'istituzione dei cosiddetti tribunali con lo scopo
di giudicare i crimini perpetrati da individui è secondo me una
questione che desta qualche dubbio. Il minimo requisito per un organo
del genere dovrebbe essere che alla base ci sia un accordo tra gli
stati, un accordo direi, che rientri nel quadro delle regole delle
Nazioni Unite, che rispetti le istanze costituzionali dei paesi
coinvolti e i principi fondamentali dei diritti umani. La convenzione
sul genocidio del 1948, ovviamente accettata dagli Stati, prevede la
costituzione di un tribunale, che non è mai stato costituito, la cui
giurisdizione abbia l'esplicito consenso degli stati. Altri successive
corti internazionali sono state istituite a seguito di accordi
internazionali. La creazione dell'ICTY (e del tribunale del Rwanda) ad
opera del Consiglio di Sicurezza è inammissibile da un punto di vista
strettamente giuridico. L'opposta opinione, che corrisponde con quella
dell'ICTY stesso, si basa sull'interpretazione degli articoli 39, 41,
42 tendente a dare ampio potere discrezionale al Consiglio di
Sicurezza. Accettare questa dottrina equivale ad accettare una
dittatura mondiale del Consiglio di Sicurezza su individui e
Stati.Siamo consapevoli di essere già sulla buona strada: le
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza lo testimoniano; lo stesso si
dica della risoluzione 827 che da vita all'ICTY. Questo è un puro atto
di giustizia dei vincitori, espressione del diritto della forza contro
la forza del diritto. Sono i principi del Fuhrer espressi a livello
planetario.Come tale istituzione può essere inclusa nella carta
dell'ONU?La risoluzione 827 non è né una decisione collettiva che non
implica la forza né una misura che la prevede ex.articolo 42.Non è, in
generale, un mezzo collettivo di autotutela atto a impedire
l'autotutela individuale ad opera degli stati stessi: avete mai visto
un istituzione come un tribunale usata come contromisura o come
rappresaglia da uno stato leso?Secondo la corretta interpretazione,il
consiglio di sicurezza non ha tale potere:le istituzioni di un organo
di questo tipo non è una misura esecutiva, ma normativa che implica il
potere legislativo e potere giudiziario persino sugli individui,
poteri mai conferiti al consiglio di sicurezza.Un fondamentale saggio
di Gaetano Arangio-Ruiz, (''on the security counsil's law making'' ex
membro della commissione diritto internazionale presso le nazioni
unite nonché uno dei maggiori studiosi della dottrina sostiene: ''Si
ha l'impressione che i giuristi internazionali tendano ad essere
soddisfatti senza mostrare un minimo di senso critico, facendo solo
qualche proposta marginale circa la procedura volta a far si che le
azioni del Consiglio di Sicurezza siano meno problematiche, ma
politicamente più gradite... non si nota, in dottrina, nessuna
trattazione a proposito dei problemi che si pongono circa
l'interpretazione e l'applicazione della Carta . Questa per mezzo
secolo sono sempre state in balia di svariate letture... si percepiva,
in quel tempo, nell' approccio alla materia, un' atteggiamento
rinunciatario da parte dei giuristi in ossequio al potere politico e
al 'realismo' ". Le conclusioni di Arangio-Ruiz sull'ICTY sono
perentorie: "Chiaramente, l'istituzione di un tribunale con le
funzioni cui sono state date all'ICTY, rappresentano un duro impatto
ai diritti e agli obblighi degli Stati, la cui sovranità e
giurisdizione penale potrebbero risultare danneggiate
dall'espletamento di tali funzioni. Due possibilità -data
l'impraticabilità del trattato- erano così aperte circa la questione
del Consiglio. Una era quella di avviare un'azione militare nei
territori coinvolti, aprendo in questo modo la possibilità di formare
una corte penale nel contesto delle operazioni militari svolte
dall'Onu, operando nell'ambito degli articoli 42 e 51; la seconda
strada era quella di creare una corte penale come forma isolata
riguardante solo gli stati in gioco. Prerogativa questa che avrebbe
permesso di agire al di fuori di qualsiasi operazione militare
vincolata ai dettami della Carta e del diritto internazionale. Non
potendo, o non volendo seguire la prima opzione, e traviato da esperti
in legge, il consiglio scelse la seconda. Così facendo il Consigli non
intraprese una legittima azione di "peace-enforcement" prevista dal
capitolo 7, ma si attribuì un potere legislativo, che viola il
capitolo 7 dal momento che questo non prescrive una tale funzione. In
questo modo l'Onu ha ignorato la distinzione di importanza capitale
fatta dalla Carta tra peace-enforcement e il potere di creare,
modificare e rinforzare le leggi, quest'ultime non sono attribuite
agli organi delle Nazioni Unite da nessuna parte". Io aggiungerei
questo- nemo dat quod non habet- il Consiglio di Sicurezza non può
istituire un organo sussidiario ex art. 29 e attribuirgli poteri che
lui stesso non possiede. Così ICTY è un puro strumento di natura
politica. Ho lasciato da parte ogni sorta di commento circa il suo
Statuto, sulla suo specifico modo di procedere, sull'infame rifiuto di
giudicare i crimini della NATO (bombe, uranio impoverito ecc.), il
vergognoso rapimento di Slobodan Milosevic, la violazione dello Stato
e dell'immunità che spetta ai suoi organi (come previsto dalla
decisione della corte Internazionale di giustizia il 14 Febbraio 2002:
caso riguardante l'autorizzazione all'arresto del 11 aprile 2000 -
Repubblica Democratica del Congo contro Belgio) e così via, per non
parlare dei capi di accusa contro Slobodan Milosevic contrari ad ogni
principio di diritto penale. Quello contro Milosevic è un processo
politico: il crimine dell'ex Presidente è stato quello di non
accettare il diktat delle potenze occidentali. I processi, quasi tutti
contro personalità di nazionalità Serba (non si sono visti i leader
delle altre Repubbliche come Tudjman o Itzebegovic e nemmeno i leader
odierni albanesi), sono un avvertimento per tutti coloro che non si
sottomettono al nuovo ordine mondiale: hanno bisogno di abbellire
delle vere e proprie aggressioni, per poi condannare presunti crimini
commessi da presunti mostri. La risoluzione 36/103 del 9 Dicembre 1981
dell'Assemblea Generale (dichiarazione di ammissibilità
dell'intervento e di interferenza in affari interni agli stati)
afferma: " Il dovere di ogni Stato di astenersi dal promuovere
campagne diffamatorie o di propaganda ostile con lo scopo di
intervenire o interferire negli affari interni" nonché " il dovere per
ogni Stato di evitare ogni strumentalizzazione e distorsione di
questioni riguardanti i diritti umani come mezzo per interferire in
affari interni, per far pressione sugli altri stati, o per seminare
distruzione e disordine tra stati o gruppi di Stati". Notate una certa
somiglianza con l'atteggiamento delle potenze occidentali e dei media?
Mai prima d'ora la differenza di atteggiamento tra le due parti era
stata così evidente: uno Stato che rifiuta financo di accettare
l'adesione alla convenzione del 1998 di Roma che istituiva la Corte
Penale Internazionale con i suoi alleati che appoggiano un processo
farsa contro le vittime dell'aggressione, e i leader che tentano di
difendere la propria patria. Tale mancanza di legalità è equivalente
ad una violenza sconfinata. Non c'è da stupirsi se la violenza e il
terrorismo (vero o presunto) si stia spargendo su tutto il pianeta, se
i più elementari principi di legalità vengono violati dall'Onu stesso.


Traduz. di Pacifico Scamardella (Forum Belgrado Italia)
Fonte: http://www.resistenze.org/sito/os/ta/osta5i01.htm


--- In [icdsm-italia] "icdsm-italia" ha scritto:

[Tutti gli interventi della Conferenza Internazionale tenutasi all'Aia
lo scorso 26 febbraio sono in linea sul sito dell'ICDSM: di seguito i
link in dettaglio.]

---------- Initial Header -----------

From : "Vladimir Krsljanin"
Date : Thu, 23 Jun 2005 21:50:42 +0200
Subject : Hague vs. International Law (confrerence proceedings)


**************************************************************
INTERNATIONAL COMMITTEE TO DEFEND SLOBODAN MILOSEVIC
ICDSM Sofia-New York-Moscow www.icdsm.org
**************************************************************
Velko Valkanov, Ramsey Clark, Alexander Zinoviev (Co-Chairmen),
Klaus Hartmann (Chairman of the Board), Vladimir Krsljanin (Secretary),
Christopher Black (Chair, Legal Committee), Tiphaine Dickson (Legal
Spokesperson)
**************************************************************
23 June 2005 Special Circular
**************************************************************

THE HAGUE PROCEEDINGS AGAINST SLOBODAN MILOSEVIC: EMERGING ISSUES IN
INTERNATIONAL LAW

International Conference held at The Hague on 26 February 2005

http://www.icdsm.org/COH1.htm

All the papers and speeches now online:

Ramsey Clark: Keynote Address
http://www.icdsm.org/COH/Clark.htm

Professor Hans Koechler: Global Justice or Global revenge?
International Criminal Justice and the Role of the United Nations
Security Council
http://www.icdsm.org/COH/Koechler.htm

Tiphaine Dickson: Beyond the Star Chamber: Shutting Down the Milosevic
Defense at The Hague
http://www.icdsm.org/COH/Dickson.htm

Dr Alexander Mezhyaev: The ICTY Case Against Slobodan Milosevic: Some
Questions of the International Law
http://www.icdsm.org/COH/Mezyaev.htm

Professor Velko Valkanov: The Rotten Foundations of the Hague Tribunal
http://www.icdsm.org/COH/Valkanov.htm

Dr John Laughland: The Hague: Contravening the Principles of Nuremberg
http://www.icdsm.org/COH/Laughland.htm

Professor Aldo Bernardini: International Law Turned Upside Down:
Yugoslavia
Crisis and President Milosevic's Case
http://www.icdsm.org/COH/Bernardini.htm

Professor Bhim Singh: Milosevic Trial a Trash!
http://www.icdsm.org/COH/Singh.htm

Christopher Black: Lawyer's Experience with ad-hoc Tribunals
http://www.icdsm.org/COH/Black.htm

*************************************************************

(...)

SLOBODA urgently needs your donation.
Please find the detailed instructions at:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm

To join or help this struggle, visit:
http://www.sloboda.org.yu/ (Sloboda/Freedom association)
http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend Slobodan
Milosevic)
http://www.free-slobo.de/ (German section of ICDSM)
http://www.free-slobo-uk.org/ (CDSM UK)
http://www.icdsm-us.org/ (US section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.pasti.org/milodif.htm (ICDSM Italy)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)

--- Fine messaggio inoltrato ---

[ <<La parola genocidio è stata usata in maniera selettiva dai media
occidentali e dalle elites per descrivere i crimini presunti - mai
provati - che sarebbero stati commessi dai regimi di Saddam Hussen o
di Slobodan Milosevic. Halabja in Iraq e Srebrenica in Bosnia sono
spesso usate per riferirsi - con poche o nessuna prova - ai crimini di
Hussein e Milosevic. I "simboli" di Halabja e Srebrenica sono i
pretesti addotti per giustificare le ambizioni imperialiste
occidentali. Noi adesso sappiamo che Srebrenica è stata usata per
giustificare l'attacco contro la Serbia, ed Halabja per la guerra in
Iraq...>>
Un articolo di Ghali Hassan, giornalista australiano. ]

Normalising genocide

Ghali Hassan, Online Journal Contributing Writer

November 9, 2005

So far, 2,000 U.S. soldiers have been killed since the March 2003
illegal and unprovoked U.S. war on Iraq. The number has been
meticulously pronounced and printed in every Western media outlet.
What about the hundreds of thousands of innocent Iraqi men, women and
children who have been needlessly massacred by the combined
U.S.-British sanctions and war? It is a deliberate genocide.

With the exception of the war on the former Republic of Yugoslavia
(Serbia)--an Orthodox nation--U.S. wars of aggression have been
consistently against defenceless people of colour. "They are the poor
of the planet, being made poorer, dominated and exploited by the
foreign policy of the U.S. and its rich allies designed for
domination, exploitation and triage," wrote Ramsey Clark, former U.S.
attorney general in the Carter Administration.

The U.S.-Britain wars on Iraq bear all the hallmarks of Western
racism. Iraqis are not only dehumanised, they are abused and tortured
to make the mass murder palatable to Western public. Meanwhile the
corporate media and Western governments have masked imperialism in the
black faces of Condoleezza Rice and Kofi Annan.

A comprehensive study conducted in December 1991 by the British
Medical Education Trust in London estimated that more than 200,000
Iraqis had died during and immediately after the massacre of the 1991
U.S. war, the so-called the "Gulf War," as a direct or indirect
consequence of attacks on civilian infrastructure. In addition, since
August 1990, Iraq has been under economic and military attacks that
contributed to the mass murder of Iraqi men, women and children in
particular.

The forgotten genocidal sanctions is estimated to have killed more
than 1.5 million Iraqi civilians, including 500,000 children under the
age of five. The wholesale destruction of Iraqi children was defended
as "a price worth it," by Madeleine Albright, the former U.S.
Secretary of State. Can you imagine anyone saying; the killing of 3000
people in the 9/11 attack is "a price worth it."

The U.S. and Britain first systematically bombed Iraq's civilian
infrastructure, including; water purification plants, sewage treatment
plants, electrical power grids, pharmaceutical plants, transportation,
communication, manufacturing, commercial properties, housing, mosques
and churches out of existence. Food production, including baby milk,
processing, storage, distribution, fertiliser and insecticide
production, was targeted for destruction. Then the U.S. and Britain
continued the sanctions to ensure that Iraq would be unable to repair
or replace most of what had been destroyed. The point of this
carefully calculated mass murder was to bully and intimidate not only
Iraq, but also any other defenceless nation that dares resist as Iraq
did. In addition, to bleeding Iraq to death, the U.N. Security Council
ordered Iraq to pay more than $50 billion in reparations claims to
Kuwait, U.S. corporations, and to many fraudulent and dubious claimants.

Despite Iraq's compliance with the terms of the 1991 war's cease-fire,
the sanctions and the weekly bombings--"anything that flies on
anything that moves"--of Iraqi cities and towns continued in order to
harm the Iraqi people. "For me what is tragic, in addition to the
tragedy of Iraq itself, is the fact that the United Nations Security
Council member states . . . are maintaining a program of economic
sanctions deliberately, knowingly killing thousands of Iraqis each
month. And that definition fits genocide," said Denis Halliday, the
former U.N. humanitarian coordinator in Iraq.

The Oxford Dictionary defines genocide as the deliberate extermination
of a nation or race of people." In the 1948 Genocide Convention, the
word genocide was defined as any act "committed with the intent to
destroy, in whole or in part, a national, ethnic or religious group as
such." Hence, genocidal acts included causing serious "mental harm" or
inflicting "conditions of life" aimed at such destruction. Can
anything be clearer than what the U.S. and Britain are committing
against the Iraqi people?

"It is the function of the experts, and the mainstream media, to
normalise the unthinkable for the general public," wrote American
economist Edward Herman. The art of normalising mass atrocities has
always been a prerequisite to neutralise a disciplined Western
population in order to remove any conscience for moral responsibility.

According to John and Karl Mueller (Sanctions of Mass Destruction,
Foreign Affairs May/June 1999, p. 43.), the sanctions alone "have
taken the lives of more people in Iraq than have been killed by all
so-called weapons of mass destruction throughout history." Therefore
Iraq's genocide "arguably was the greatest genocide of the post World
War II era," conducted and perpetuated with the tacit support of the
U.N. member states.

Today, the U.N. is complicit in the continuing war crimes against the
Iraqi people, and the destruction of the Iraqi society. Consistent
with its role as the "handmaiden" of Western imperialism, immediately
after the illegal invasion of Iraq, the U.N. legitimised the U.S.
Occupation of a sovereign nation, and stands to support all U.S.
violations of international laws, including the U.N. Charter.

Corruption and self-interest are the endemic characteristics of the
U.N. member states and their staff. The Saddam government was able to
exploit this and extract some revenues to keep Iraq functioning as a
state despite the unjust sanctions. It was the only way available for
Iraq to break out of the sanctions by corrupting the corruptible. By
the end of 2002, the signs of genocidal sanctions were visible
everywhere in Iraq.

Will the U.N. pass a resolution--like the one demanding Syria to
"cooperate fully" with a U.N. investigation into the death of
businessman and former Lebanese prime minister Rafiq
al-Hariri--demanding the U.S. and Britain cooperate fully with a U.N.
investigation into the death of hundreds of thousands of innocent
Iraqis and the theft of tens of billion of dollars from Iraq's wealth?
Will the U.N. Security Council condemn Israeli for its criminal and
"medieval practice of political assassination" of Palestinian
political leaders? Not likely.

The U.S. criminal invasion and occupation have only doubled the
atrocity of sanctions. A recent UNICEF rapid assessment survey reveals
that acute malnutrition among Iraqi children had almost doubled since
before the war, jumping from 4 percent to almost 8 percent. The survey
adds that; "Acute malnutrition sets in very fast and is strong
indicator of the overall health of children." The general health of
Iraqi children, the elderly and pregnant women in particular has
declined because of deteriorating living conditions, including; lack
of access to potable water, food, hospital care, and sharp decline in
purchasing power.

In fact, U.S. occupying forces are deliberately starving Iraqis by
cutting food and water supplies, and blackmailing Iraqis to submit to
the Occupation. "A drama is taking place in total silence in Iraq,
where the coalition's occupying forces are using hunger and
deprivation of water as a weapon of war against the civilian
population," said Professor Jean Ziegler, the U.N. human rights
investigator at a press conference in Geneva on 15 October 2005.
"Starvation of civilians as a method of warfare is a flagrant
violation of international law," added the Swiss-born sociologist.

The 15-years long U.S. aggression and genocidal sanctions against Iraq
have devastated Iraq's human resources for many generations. The brave
generation of Iraqi men and women that lifted Iraq out of poverty and
made Iraq the beacon of progress in the Middle East have been
destroyed by the combined U.S.-British genocidal sanctions and
criminal wars of aggression perpetuated and normalised by complicit
corporate media.

It has been a taboo in Western corporate media and among Western
elites to mention the death of hundreds of thousands of Iraqis. Only
dead U.S. soldiers are counted as humans. Iraqis do not count. As far
as I know, no one has lit candles for the more than 100,000 Iraqi
civilians killed by the U.S. forces from March 2003 to October 2004.
The conservative estimate was published on 29 October 2004 in the
reputed and peer-reviewed British medical journal The Lancet. If one
includes the atrocities of Fallujah, Ramadi, al-Qaim, Tel Afar,
Hillah, Baghdad and the daily bloodshed instigated by U.S. forces and
their collaborators, the number of Iraqis killed since March 2003
would be in the 200,000 mark or even more. The majority of the victims
were innocent women and children, betrayed by Western media complicity
in hiding U.S. war crimes from the outside world.

Dr. Les Roberts of John Hopkins University and the lead author of The
Lancet study had expected a "moral outrage" response by the public;
instead he was shocked by the muted reception. The experienced
researcher, who used the same methodology to study mortality caused by
war around the world, was praised by the scientific community for his
Iraq's study. His study's findings in the Congo have been used by the
U.N. and the International Red Cross.

"Tony Blair and Colin Powell have quoted those results time and time
again without any question as to the precision or validity," he told
The Chronicle of Higher Education. However, the Iraq study was
deliberately ignored or dismissed by the British-American corporate
media. In fact the study is censored because it reported genocide.

The word genocide has been used selectively by Western powers, the
media and the elites to describe crimes allegedly--never
proven--committed by the regime of Saddam Hussein or Slobodan
Milosevic. Halabja in Iraq and Srebrenica in Bosnia are often used to
describe crimes--with little or no evidence--allegedly committed by
Hussein and Milosevic. The 'symbols' of Halabja and Srebrenica are the
pretexts to justify the West's imperialist ambitions. We know now that
Srebrenica was used to justify the attack on Serbia, and Halabja was
used to justify the war on Iraq. Both criminal acts were disguised as
'humanitarian interventions'.

Genocide is never used to describe the mass murder of Iraqi civilians
by U.S.-sponsored genocidal sanctions and U.S. wars. Saddam was
demonised to justify the criminal policy of the West against the Iraqi
people. The motives for this deliberate genocide are the colonisation
of Iraq to enhance U.S. imperial dominance, the destruction of Arab
nationalism, and support for Israel's Zionist expansion and criminal
policies against the Palestinians.

Iraq is littered with countless U.S.-committed mass murders masked as
"U.S. operations against al-Qaida fighters." The recent indiscriminate
attacks--bombing the city water supply, electricity grid and
communication networks and heavy use of cluster bombs in civilian
areas--on towns and villages in western Iraq is a reminder of the
Fallujah massacre. The Italian daily, La Republica reported, "The
Americans are responsible for a massacre using unconventional weapons,
the identical charge for which Saddam Hussein stands accused," quoting
an Italian investigative story, which will be broadcast on Italian
RAI-3 TV on 08 November 2005 [1]. U.S. forces and their collaborators
are fighting indigenous Iraqi Resistance fighters defending their
country against new a form of U.S.-led fascism.

A new Fallujah massacre is in the making. According to recent Iraqi
and Arab media reports in al-Qaim, the "defence minister" in the
puppet government (Saadoun al-Dulaimi) is calling on U.S. forces to
"wipe out entire families and destroy the houses of resistance
fighters with their women and children inside." Iraqi community
leaders have condemned the attacks as "killing operations" and are
calling on the "International Community" to intervene to stop the mass
murder of civilians. "We call all humanitarians and those who carry
peace to the world to intervene to stop the repeated bloodshed in the
western parts of Iraq," said Sheikh Osama Jadaan, a community leader
in Husaybah, close to the Syrian boarder. "He rightly added; "we say
to the American occupiers to get out and leave Iraq to the Iraqis."
The daily bloodshed and the destruction of the country by the U.S.
forces are committed with the full complicity of the corporate media
and Western elites.

The occupying forces and the media explain the violence in cultural
terms, as "Iraqis against Iraqis," a colonial cliché to justify the
Occupation. The U.S. aim is to make the public focus on the violence
of the occupied and oppressed--the Iraqis--and justify the action of
the occupiers. However, this "sectarian violence" is created and
nurtured by the U.S. and Britain in order to terrorise the Iraqi
population and push them into the arms of the occupiers for
"protection." It is also the only way to justify an ongoing
Occupation. Iraqis are well aware of that and have united to demand
the end to U.S. violence and occupation.

We know now that there were no weapons of mass destruction (WMD) in
Iraq since 1991, and the sanctions and wars were the tools for a
deliberate genocide. As it was predicted, the invasion and occupation
of Iraq have brought only disaster and misery to the Iraqi people.
More than 82 percent of Iraqis "strongly oppose" the U.S. Occupation
of their country. "Less than 2 percent of Iraqis [brought into Iraq on
the back of U.S. tanks] believe coalition forces are responsible for
any improvement in security," according to the British Ministry of
Defence's recent poll. It follows that those who oppose the withdrawal
of U.S. forces from Iraq, are acting as U.S. imperial propagandists
complicit in normalising a deliberate genocide against the Iraqi people.

Today, most Iraqis view U.S. forces as "murderous maniacs." After the
"handover" of fake sovereignty, the fraudulent January 2005 elections,
and the recent massive fraud to pass the illegal U.S.-crafted
constitution, the U.S. administration is left with one fraudulent card
to play; the scheduled December elections. After that, it is time to
put an end to the genocide and withdraw all U.S. and foreign forces
from Iraq. The sooner this will happen, the fewer Iraqi lives will be
lost. Then the "International Community" has a legal duty to prosecute
those who committed these war crimes and crimes against humanity.

Note:
[1] Fallujah. La strage nascosta (Fallujah, The Concealed Massacre)
will be shown on RAI News tomorrow November 8th at 07:35 (via HOT
BIRDTM satellite, Sky Channel 506 and RAI-3), and rebroadcast by HOT
BIRDTM satellite and Sky Channel 506 at 17:00 and over the next two days.

Ghali Hassan lives in Perth, Western Australia.

Copyright © 1998-2005 Online Journal

:: Article nr. 17635 sent on 10-nov-2005 02:50 ECT

:: The address of this page is : www.uruknet.info?p=17635

:: The incoming address of this article is :
onlinejournal.com/artman/publish/article_162.shtml

www.resistenze.org - associazione e dintorni - forum di belgrado -
italia - 27-09-05

23 Tesi sulla questione del Kosovo Metohija

di Vladislav Jovanović

1. La questione Kosovo e Metohija è nelle mira delle politiche della
comunità internazionale di parte occidentale, ormai per la quarta
volta negli ultimi venti cinque anni. Il loro obiettivo storico è
quello di separare questa zona dalla Serbia.

Questo obiettivo fu dichiarato per la prima volta dopo le
dimostrazioni separatiste albanesi nel 1981, quando alla Serbia era
"suggerito" di accettare il Kosovo come la settima repubblica nella
federazione.

Quest'obiettivo è stato ritentato per la seconda volta, durante il
processo di secessione di Slovenia e Croazia, mediante le pressioni
perchè agli Albanesi del Kosmet fosse riconosciuto il diritto
all'autodeterminazione che veniva concesso agli altri popoli, cioè
alle repubbliche della RFSY.

Per la terza volta, prima e nel corso dell'aggressione militare sulla
RFJ, con il supporto aperto al terrorismo albanese separatista, si era
svelato l'obiettivo militare principale degli USA e degli altri paesi
leader della NATO, nei confronti della Serbia. Tale obiettivo non è
stato abbandonato neanche dopo la cessazione dell'aggressione ed è
continuato, con un aspetto diverso, sotto l'amministrazione
provvisoria dell'ONU in Kosmet.

Ora il Kosmet si trova nuovamente al centro delle attenzioni di
quegli stessi poteri politici che finora si sono dichiarati alleati o
sponsor del separatismo degli Albanesi del Kosmet. Sotto la veste di
una soluzione immediata dello status definitivo del Kosmet, la Serbia
e la sua opinione pubblica sono esposti all'offensiva sincronizzata
della politica e delle lobby per la concessione dell'indipendenza al
Kosmet. Le trombe di Gerico da varie direzioni della parte occidentale
della comunità internazionale, sempre con più zelo e con tono
apocalittico avvertono la Serbia che il suo rifiuto all'indipendenza
della regione le porterebbe problemi e danni. Nelle pressioni sulla
Serbia, USA, UE e NATO, sono unite, mentre gli USA tengono la
bacchetta di comando, perché i suoi interessi strategici rispetto alla
Serbia e ai Balcani sono in sintonia con la promessa data agli
Albanesi, prima e durante l'aggressione, che sarebbero stati aiutati
nella loro lotta per la secessione dalla Serbia.

2. Il rifiuto senza nessun confronto, per le idee, proposte e progetti
sulle soluzioni nella Regione, contro l'autonomia territoriale dei
Serbi in Kosmet, dimostra l'importanza della secessione come obiettivo
unico dei leaders albanesi e degli strateghi occidentali. Mentre gli
Albanesi di Kosmet vengono sostenuti per il diritto
dell'autodeterminazione e indipendenza, ai Serbi in Croazia è negato
il più minimale diritto dell'autodeterminazione anche solo come
autonomia regionale. Ai Serbi e Croati in Bosnia ed Erzegovina, agli
Albanesi in Macedonia, il diritto all'autodeterminazione è proibito e
impedito. Il principio d'immutabilità delle cosiddette frontiere dai
tempi di "AVNOJ", proclamato e imposto dalle forze occidentali
nell'inizio della crisi jugoslava nei primi anni novanta, è
relativizzato per quanto concerne la Serbia; questo rappresenta una
enorme ed evidente contraddizione con le promesse di amicizia e
alleanza con le quali stanno provando a convincerci.

3. Per via del loro sempre più aperto sostegno alla secessione
permanente del Kosmet dalla Serbia, i leaders politici occidentali,
nelle loro dichiarazioni ed inviti per l'integrazione dell'unione
statale di Serbia e Montenegro nella UE e Partnertariato per la Pace,
evitano scrupolosamente e chiaramente di dichiararsi sull'integrità
territoriale della Serbia, rendendo così chiare loro attese che la
Serbia, come risultato dello stato finale di un Kosovo indipendente,
diventerebbe ancora più piccola. La vicinanza della prospettiva
d'integrazione con la UE è utilizzata come distrazione dell'attenzione
dell'opinione pubblica e dell'élite politica, dal tema del sempre più
veloce processo d'indipendenza del Kosovo, lasciando intravedere
presunti vantaggi che la Serbia, una volta liberatasi dal peso del
Kosmet, ne trarrebbe per il suo sviluppo futuro. La Serbia è l'unico
stato candidato per l'UE, da cui è atteso e richiesto di disintegrarsi
per potersi integrare nell'Unione europea.

4. Oltre al Tribunale dell'Aia e della politica del bastone e della
carota, il condizionamento per l'entrata nell'UE attraverso
l'accettazione della perdita del Kosmet, rappresenta un'ulteriore
conferma del trattamento disuguale verso la Serbia rispetto agli altri
stati balcanici e dell'ex Europa dell'Est. Alla Serbia si vuole
imprimere l'impronta del più gran colpevole per la creazione e lo
sviluppo della crisi jugoslava, ed in questo è compresa la colpa per
la "misericordiosa" aggressione della NATO. Viene considerata uno
stato sconfitto che dovrebbe adempiere a delle condizioni particolari
per poter entrare nell'Europa integrata.

5. Con l'aiuto di organizzazioni non-governative sponsorizzate ed
altri esponenti "umanitari", si effettuano giganteschi sforzi affinché
la nostra opinione pubblica e dirigenza politica accettino questo
trattamento da subordinati ed inferiori; come una conseguenza logica
ed inevitabile della politica che aveva già anticipato il 5 Ottobre (
ndt: data del colpo di stato di Belgrado e assalto al Parlamento
federale). Questo trattamento da inferiori e subordinati,
sistematicamente oscura ed evita le questioni fondamentali della
sovranità nazionale e dell'integrità territoriale della Serbia, dal
centro dell'attenzione; ed insieme con l'avvicinamento dei negoziati
sullo status del Kosmet, l'entrata nel Partnertariato per la Pace e
l'ottenimento degli standard richiesti, innesca altri problemi
pericolosamente.

6. Gli inni continui all'Unione europea, che è imposto con forza da
parte del nuovo potere politico, hanno il compito di modificare le
priorità degli obiettivi dello stato. Si ribadisce continuamente che
l'entrata della SM ( SerbiaMontenegro ) nell'UE, sia il nostro
interesse statale principale, mentre la conservazione dell'integrità
territoriale della Serbia è messa nei gradini più bassi delle priorità.
A patto che rimaniamo pazienti, l'élite governativa odierna tiene il
pubblico nell'ipnosi delle attese con le quali la magica entrata
nell'UE ci toglierebbe da tutti i nostri guai.

7. Nell'ombra dell'iperbole sull'importanza dell'entrata nell UE, sono
rilasciate molte altre bollicine nell' aria con lo scopo della
preparazione dell'opinione pubblica in Serbia per una perdita del
Kosovo in due tappe. Vari centri analitici occidentali tendenzialmente
non favorevoli alla nostra causa, leaders politici, ONG e forum
tematici premono e insistono con la promozione dell'idea
sull'indipendenza di questa regione storicamente serba, in maniera
insolente ed aperta, o sotto il foglio di fico dell'indipendenza
"condizionata", "posticipata" o "controllata". Nel contempo si
assicurano da un qualche effetto boomerang, sottolineando che i Serbi
in BeH e gli Albanesi in Macedonia non saranno "abilitati" ad
utilizzare il brevetto delle trasformazioni di una regione nella forma
di uno stato indipendente. L'UE con il suo progetto del protettorato,
si aggiunge agli sforzi per l'allontanamento definitivo del Kosmet
dalla Serbia. Sono frequenti le considerazioni ambigue e
contraddittorie sulla soluzione europea per il Kosovo, dove questo
comprende la prospettiva di una sua integrazione autonoma nell'UE.
L'odierno doppio binario, concesso alla Serbia e al Montenegro, che
porta lungo la strada dell'ottenimento del binario separato per
l'entrata nell'UE, rappresenta un modello già sperimentato per un
avviamento separato del Kosmet verso l'UE.

8. Non sempre però le bollicine nell'aria sono sufficienti per volgere
l'opinione pubblica della Serbia contro i propri interessi,
costringendola all'amputazione volontaria della sua regione del sud;
per questo nel percorso di questa processo sono stati ingaggiati i
simpatizzanti locali, ufficiali e non.
Prendendo Dayton come modello, si propone una conferenza
internazionale su tema del Kosovo;
si propone sottovoce che all'Unione europea venga affidato l'attuale
protettorato dell'ONU su Kosmet;
si preannuncia drammaticamente che Kosmet potrebbe avere già
l'indipendenza nel 2005, e per questo
si sollecita apertamente la divisione di Kosmet, per evitare altri drammi;
si ipotizza un modello di concessione di un territorio allo scopo
dello sviluppo dello stesso;
si sottolinea che soltanto l'indipendenza sia inaccettabile, ma non
una soluzione che sta in mezzo tra autonomia e indipendenza.

9. Tutto ciò è stato realizzato al fine di rendere inutilizzabile la
risoluzione ONU del CS Nr. 1244, con una sua sostituzione de facto,
con la politica degli standards prima dello status, e l'appropriazione
dell'autorità del CS ( Consiglio di Sicurezza) ONU da parte delle
altre istanze internazionali (UE oppure, le conferenze tematiche su
Kosovo, o altro). Nel contempo si perora che il conflitto tra
l'immutabilità dei confini internazionali e l'autodeterminazione della
popolazione maggioritaria in Kosmet, sia risolto a scapito
dell'integrità della Serbia. La politica dei doppi criteri, che è
stata apertamente applicata nei confronti della Serbia e dei Serbi,
sin dall'inizio della crisi jugoslava, è apertamente preannunciata
anche in riguardo del futuro del Kosovo. La Dichiarazione ONU,
risoluzione 1244, la Dichiarazione di Parigi dell'OCSE ed altri
documenti vincolanti politici internazionali e relativi strumenti
giuridici, sono ignorati con arroganza e sul suolo della nuova Europa
è pianificato lo squartamento di uno dei suoi stati più antichi.
Quello che è permesso alla minoranza albanese, di realizzare cioè un
nuovo stato albanese sul suolo della Serbia, non è concesso ai Serbi
in Bosnia, ai Kurdi in Turchia,Iraq ed Iran, agli Albanesi in
Macedonia, ai Russi nei paesi baltici e in Ucraina, nella Transnistria
in Moldavia, agli Armeni in Nagorno Karabah, in Azerbaijan, agli
Abkhasi ed Osseti in Georgia, Kashmir in India e Pakistan, agli
Ungheresi in Romania e Slovacchia, ai Baschi e Catalani in Spagna,
Corsi in Francia, Scozzesi in Gran Bretagna, ecc. Si crede che creando
un tale precedente storico in Serbia, ma isolandolo ermeticamente nei
confronti del resto del mondo, sarà possibile evitare le conseguenze
fatali dell'effetto domino sugli altri stati multietnici.

10. Lo scenario del riconoscimento ufficiale del terrorismo politico,
conferma in modo eclatante che l'aggressione NATO sulla RFJ non era
causata dai motivi umanitari, com'era affermato blandamente, ma dal
sostegno aperto al separatismo albanese, per questo il Kosmet, alla
fine dell'aggressione è stato strappato con forza alla Serbia e
sistematicamente allontanato senza riguardo, dal suo ordine
costituzionale. Come sono stati il primo partecipante e realizzatore
dell'aggressione sulla RFJ, gli USA sono rimasti il fattore decisivo
nel Kosmet per tutto il periodo, dall'instaurazione
dell'amministrazione transitoria dell'ONU. Tutti gli amministratori
finora, da Kouchner fino a Petersen, realizzano soltanto la volontà
politica e gli obiettivi strategici degli USA in questa parte cruciale
dei Balcani. Questo spiega come la prassi del nostro attuale governo
sia sbagliata e rappresenta una mera perdita di tempo prezioso, nei
negoziati sui problemi fondamentali del Kosmet con partners di secondo
grado, rispetto ad un dialogo diretto con i Stati Uniti.

11. Nonostante il fracasso crescente sull'indipendenza del Kosovo come
la soluzione migliore, il vero obiettivo degli USA e dei loro alleati
occidentali non è l'indipendenza di questa regione, ma un suo ruolo
come terzo membro nell'attuale unione statale di SeM, che è stata
creata per cedere un posto anche al Kosovo nel vicino futuro.
L'indipendenza è soltanto l'obiettivo negoziato pubblicamente per
ottenere un obiettivo sintonizzato agli interessi dell'occidente.
Quest'obiettivo ideale eliminerebbe il pericolo della creazione di un
precedente, a cui le minoranze nazionali compattamente popolate in
altri stati si sarebbero potuto rifare, particolarmente nei paesi
vicini. Siccome per la realizzazione di tale obiettivo è necessaria
l'accettazione da parte della Serbia, l'intera strategia
dell'occidente relativa al Kosmet, è concentrata a costringere tale
accettazione da parte della Serbia. Sono state messe in moto tutte le
forze: la propaganda sugli effetti del libero mercato, l'esca di
un'entrata più veloce di Serbia e Montenegro, o della sola Serbia,
nelle integrazioni euroatlantiche; compensi finanziari;
l'evidenziamento delle problematiche per la Serbia, nel caso di una
situazione con un eventuale reintegrazione del Kosmet nel suo ordine
costitutivo; il sostegno a tutti i livelli dei sostenitori e fautori
di questo obiettivo, sia nelle istituzioni pubbliche, che per le ONG
schierate su questa ipotesi, ecc. Nel caso la Serbia non fosse
cooperativa, in riserva sono sempre pronte le "solite" misure di
pressione.

12. La minaccia per una eventuale Serbia non-collaborativa non è
prevista in questo momento, ma è preparata seriamente dietro le
quinte. Consiste nel programmato disarmo morale della Serbia, che si
conseguirà nell'occasione della pronuncia di condanna del Tribunale
d'Aia, prevista verso metà del 2006, nei confronti dell'ex-Presidente
Slobodan Milošević e contro la Serbia, per presunto genocidio nel
corso delle guerre in Bosnia Erzegovina e Croazia. La coincidenza di
questa condanna con la scadenza di durata dell'unione statale SeM e la
risoluzione dello status definitivo del Kosmet, priverebbero
ulteriormente la Serbia di un diritto morale sul Kosmet, e darebbe
agli Albanesi un argomento ulteriore per non rimanere in uno stato
criminale come la Serbia. La conferma che la coincidenza temporale di
questi eventi non siaun ipotesi, ma un dato effettivo, si trova nel
fatto che Madelyn Allbright nel corso dell'aggressione NATO dichiarò
in TV che "la pulizia etnica massiccia degli Albanesi" priva la Serbia
del diritto di tenere ulteriormente il Kosmet sotto la propria
giurisdizione. Non è un caso che la signora Allbright si stia
affacciando nuovamente nelle discussioni pubbliche relative alla
soluzione dello status del Kosmet.

13. Occorre confrontare tutte queste manovre e mosse cospirative
contro la presenza della Serbia in Kosmet, in maniera decisa e senza
compromessi, con la nostra carta più forte di tutte, ma sufficiente:
con il nostro certificato storico sul Kosovo. Questo certificato di
sovranità si basa sul significato storico e spirituale del Kosovo per
il popolo serbo e il suo stato, e sugli inconfutabili ed
incontestabili riconoscimenti internazionali che esso è parte
integrale ed inseparabile della Serbia (Accordo di Londra del 1913,
Accordo di pace di Versailles del 1920, Accordo di Parigi sulla pace
del 1947, Atto finale a Helsinki del 1975, le considerazione della
commissione arbitrale di Badinter e le decisioni UE del 1991 e 1992,
risoluzione CS ONU 1244). Finché difenderemo senza riluttanza il
diritto mediante questo certificato di sovranità, nessuno potrà con
alcun argomento strappare il Kosmet dalla Serbia. La separazione
violenta e la proclamazione di uno stato indipendente del Kosovo
rappresenterebbe una mera rapina, della quale nessuno della comunità
internazionale accetterebbe nei suoi confronti, dato che conducono le
politiche di difesa dei propri interessi.

14. Ai fautori della disintegrazione della Serbia non sta bene la
risoluzione CS 1244, nella quale, si riconosce alla RFJ la sua
sovranità sul Kosovo, nonché il CS ONU come luogo dove si deciderà sul
futuro status del Kosmet. Consapevoli che la Serbia nel CS ONU è
protetta, per via del diritto di veto della Russia e Cina, se non c'è
un nostro accordo di perdere la regione, i fautori della
disintegrazione cercano di scavalcare il CS ONU, proponendo una
conferenza tematica internazionale sul Kosmet, proponendo Dayton come
modello, oppure di spostare l'autorità decisionale alla UE, che
terrebbe il Kosmet sotto un proprio protettorato finché questo non
"scivolasse" nella UE, parallelamente con la Serbia. L'interesse
prioritario della Serbia è di opporsi categoricamente a questi
tentativi. L'atteggiamento di alcune nostre personalità pubbliche che
si sono unite a questi tentativi, merita disprezzo e condanna. Il filo
conduttore nella strategia della Serbia deve essere il rifiuto della
secessione del Kosmet dalla Serbia in qualsiasi forma. L'indipendenza
del Kosovo è una montatura, non è il vero obiettivo e non dobbiamo
caderci sopra. L'opposizione soltanto all'indipendenza, comprende
l'apertura per tutto ciò sia meno di questa richiesta, e non consiste
soltanto nella rimanenza del Kosmet nella Serbia, ma anche la sua
rimanenza nell'ambito dell'unione statale, ma fuori della Serbia.

16. L'opposizione all'indipendenza del Kosmet non basta per due
ragioni: a) l'indipendenza è solo un'obiettivo virtuale per facilitare
la realizzazione dell'obiettivo primario: concessione dello status di
repubblica con avallo di Serbia; b) opporsi all'indipendenza senza il
nostro esigere, senza compromessi, il rispetto dell'entità statale di
Serbia, preclude che tutto che sia meno di indipendenza diventa
accettabile per noi, Repubblica del Kosovo come status di terzo membro
dell'unione statale, inclusa.

17. Lo stesso vale per l'affermazione e lo slogan: "meno di un
indipendenza, più di un autonomia", dato che lascia in mezzo la
possibilità che noi potremo essere anche contenti con un Kosovo come
repubblica nell'ambito dell'unione statale. Questo slogan, perciò,
dovrebbe essere aggiunto con le parole "…nella Serbia". Senza di tutto
questo la Serbia si espone alle nuove sempre più intense pressioni per
rinunciare al Kosmet.

18. La priorità prima e più grande è il mantenimento dell'integrità
territoriale della Serbia. Tutte le altre priorità sono secondarie, e
se necessario, dovrebbero essere messe sull'elenco delle attività da
fare più tardi. Nel caso l'interesse statale più importante fosse
l'entrata nell'UE, prima del riconoscimento della sovranità della
Serbia su tutto il suo territorio statale, questo porterebbe alla
sicura perdita del Kosmet, dato che l'integrazione di questa regione
nell'UE sarebbe effettuata in maniera separata.

19. Tutti gli altri negoziati con UE e NATO riguardo ai processi di
entrata nell'UE e Partnertariato per la Pace, debbono essere
immediatamente subordinati all'abbandono delle piattaforme ambigue di
queste organizzazioni nei confronti della sovranità della Serbia sul
Kosmet. Potrà essere accettabile soltanto una loro presa di posizione
che Kosmet sia parte integrale di Serbia. Riguardo alla nostra entrata
in queste organizzazioni possiamo discutere soltanto con le medesime
condizioni di tutti gli altri paesi che sono entrati nella UE: con la
nostra integrità territoriale totale. Non possiamo accettare una
disuguaglianza da loro, anche a prezzo di un rinvio "sine die" di una
nostra integrazione nell'UE.

20. La tesi che per la Serbia fosse più importante del destino del suo
popolo in Kosmet, i diritti formali dello stato, tesi propagandata da
parte dell'International Crisis Group ( ndt: ICG di G. Soros) e,
purtroppo, da parte di alcuni alti funzionari governativi, ribalta la
questione del Kosmet con la testa in giù: perché gli interessi
nazionali sono curati mediante l'agire dello stato ed il suo potere, e
non con la riduzione e rinuncia del potere sovrano. La tragedia del
popolo serbo in Kosmet sotto governo straniero negli ultimi sei anni,
è una drammatica conferma e un ammonimento.

21. Invece di sintonizzarsi con gli orologi dei vari sponsor americani
ed europei del separatismo albanese, le cui caratteristiche pubbliche
sono apertamente antiserbe, la Serbia deve agire sulla base di un
proprio sviluppato e argomentato programma:

Primo, ricordando che gli Albanesi rappresentano la maggioranza nella
Regione, mentre sono la minoranza nel totale della Serbia; essi non
possono avere più diritti all'autodeterminazione interna dei Serbi
locali, la proposta attuale di decentralizzazione deve essere unita
con l'approfondimento delle richieste di autonomia vasta, che la
risoluzione 1244 prevede per gli Albanesi del Kosmet, ma anche per i
Serbi del Kosmet nei confronti degli Albanesi nella Regione.

Secondo, invece di seguire il nuovo pericoloso approccio "gli standard
prima dello status", il governo della Serbia deve appellarsi alla
risoluzione 1244 con più forza, siccome questa protegge i Serbi nel
Kosmet e garantisce la sovranità della Serbia sopra la Regione, nonché
di convincere la KFOR a dichiararsi riguardo il ritorno del numero
previsto, dei nostri soldati e poliziotti nel Kosmet.

Siccome lo spiegamento di nostri soldati e poliziotti lungo la
frontiera internazionale verso Albania e Macedonia avrebbe un
significato simbolico e psicologico non irrilevante per i Serbi
locali, bisogna opporsi agli inizi dei negoziati sul futuro status del
Kosovo prima dell'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalla
risoluzione 1244, incluso il ritorno di un contingente limitato del
nostro esercito e polizia in Kosmet.

Terzo, riguardo lo slogan "più di un autonomia, meno di un
indipendenza", bisogna al più presto trasformarlo in una proposta
estesa e ben argomentata sui contenuti dei livelli massimi di
autonomia ammissibili. Il contenuto potrebbe essere costituito degli
elementi dalle varie soluzioni d'avanguardia per le minoranze popolate
compattamente (Piano Z-4 per i Serbi nella Krajina di Knin, Sud Tirol,
Isole di Alano, repubbliche autonome in Russia), mentre si potrebbe
arricchire con i nuovi elementi, mediante i quali la regione autonoma
del Kosmet sarebbe quasi uno stato, però priva dei diritti di
sovranità e senza personalità giuridica internazionale.

22. Il Parlamento della Serbia deve al più presto adottare un
emendamento della Costituzione con il quale è proibita l'alienazione
di una qualsiasi parte del territorio statale della Serbia, in nessuna
condizione e che ogni azione opposta rappresenta un atto di tradimento
dello Stato.

23. Con le suddette misure la Serbia uscirebbe da una posizione
passiva ed eviterebbe di trovarsi nella situazione dell'atto compiuto.
Evitando così la drammatica offerta: prendere o lasciare. Invece di
dover dichiararsi sulla futura soluzione per Kosmet, che favorirebbe
l'usurpazione ed ignorerebbe il diritto internazionale, metterebbe gli
altri nella situazione di dichiararsi su una Risoluzione basata sul
Diritto Internazionale ed il nostro certificato di sovranità storico.



La proposta:
insistere sul certificato della sovranità e rifiuto di perdere il
Kosmet;
opposizione a qualsiasi nuova risoluzione del CS ONU, che andrebbe a
peggiorare la 1244, nonché ai tentativi di trasferimento di autorità
dal CS ONU all'UE o a una nuova conferenza di Dayton,
più una propria proposta articolata sulla soluzione dello status
finale del Kosmet dentro Serbia.
Tutto questo può impedire la perdita del Kosovo Metohija.

Scenario opposto: una presa di posizione incompleta riguardo il futuro
del Kosmet, più l'assuefazione con l'idea di un Kosmet indipendente o
Repubblica del Kosovo, più l'attesa delle proposte di soluzioni
preparate dagli sponsor del separatismo albanese - porterà alla
perdita del Kosovo Metohija per sempre, senza diritto di
rivendicazione nel futuro.

Tocca all'attuale governo scegliere la strada giusta.

Belgrado, 23. aprile 2005.

(Esposizione tematica durante l'Assemblea annuale del Forum di
Belgrado per un Mondo di Eguali, tenuta nella Facoltà di
Giurisprudenza a Belgrado)

V. Jovanovic, ex Ministro degli Esteri della Repubblica Federale
Jugoslava e attuale Presidente del Beogradski Forum.

Traduzione di D. Kovacevic per il Forum di Belgrado Italia

http://www.resistenze.org/sito/as/forbe/asfb5i27.htm

LA POLITICA DI GUERRA DEI DS


Costruire un "nuovo ordine mondiale"; "promuovere la diffusione della
democrazia"; "stabilire le regole entro le quali l'uso della forza può
essere legittimo"; comporre "una forza di sicurezza e di mantenimento
della pace che accompagni la stabilizzazione per un periodo,
parliamoci chiaramente, anche non breve" in Iraq; completare il
"progetto di difesa europea" per essere "alleato serio ed affidabile
degli Stati Uniti"; "a corollario" (sic) creare "una forza europea di
gendarmeria (...) che avrà status militare e sarà utilizzabile in
scenari operativi di intervento rapido a maggior rischio al fine di
garantire servizi di sicurezza e di ordine pubblico"; e poi:
"l'esercito professionale ha già dato buona prova di se".

Questo, e molto altro, nell'intervento di Marco Minniti al convegno
dei DS su "Le nuove sfide della Difesa italiana", tenutosi a Roma il
7/11 u.s.: per dire che sulla "difesa" si deve spendere molto di più
di quanto non si spende adesso!

Il documento di Minniti contiene anche dei riferimenti ambigui alla
aggressione del 1999 contro la Jugoslavia, dai quali trapela sia una
rivendicazione di "legittimità", sia un presunto "travaglio" per
quelle scelte. I genitori di Sanja Milenkovic, certamente, del
travaglio interiorie di un Marco Minniti non sanno che cosa farsene.

[ a cura di Italo Slavo; sulla base di materiali trasmessi attraverso
la lista scienzaepace -
http://liste.comodino.org/wws/info/scienzaepace - www.scienzaepace.it ]


http://www.vita.it/articolo/index.php3?NEWSID=61273

FINANZIARIA: MINNITI, FONDI A DIFESA AL MINIMO STORICO

(ANSA) - ROMA, 7 NOV - ''Mai nella storia repubblicana il rapporto
tra funzione difesa e Pil era sceso sotto l'1%. Il valore critico
raggiunto quest'anno dalle risorse assegnate al settore (0,84% del
Pil) e' il punto piu' basso di una sequenza decrescente che ha segnato
il corso dell'intera legislatura''.
Lo ha detto Marco Minniti (DS) nel corso del convegno ''Le nuove sfide
della difesa italiana''.
''L'obiettivo annunciato dal governo del Dpef del 2002 - ha
ricordato Minniti - e cioe' tendere progressivamente al valore
dell'1,5% del Pil si e' dimostrato non raggiunto ed oggi appare
compromesso anche come obiettivo a medio termine''. Quindi, ha
sottolineato, ''al forte impegno chiesto alle forze armate e'
corrisposta una progressiva e costante diminuzione delle risorse
finanziarie, che ha portato la situazione ad un punto insostenibile''.


DS e industria bellica: la relazione di Marco Minniti


di Giulio Leben (g.leben@...)
08/11/2005


Da: VITA non profit On-line:
http://www.vita.it/articolo/index.php3?NEWSID=61273


La relazione del responsabile settore difesa per i Ds, in occasione
del Convegno organizzato dalla Quercia ieri dal titolo: "Le nuove
sfide della difesa italiana". Presenti i big dell'industria

Appoggio all'industria bellica italiana che, secondo i Ds, soffre di
una grave disattenzione da parte del governo in carica. Finanziamenti
aggiuntivi e un capitolo specifico nel bilancio, nel qual caso
l'Unione andasse al governo l'anno venturo. E' questo il senso
complessivo del convegno che si è tenuto ieri, 7 novembre a Roma,
organizzato dai Ds. A cui hanno partecipato gli stati generali
dell'industria e della Quercia. Fra i protagonisti: il Ministro della
Difesa Antonio Martino, il capo di Stato maggiore della Difesa
Gianpaolo Di Paola, il Segretario Generale delegato Nato Alessandro
Minuto Rizzo, il Presidente Comando militare dell'Unione Europea
Rolando Mosca Meschini, l'amministratore delegato Fincantieri Giuseppe
Bono, il rappresentante permanente italiano presso la Nato Maurizio
Moreno, il presidente dell'A.I.A.D. Giorgio Zappa e il rappresentante
italiano nel Comitato politico e di sicurezza dell'Unione Europea
Maurizio Melani.

I punti salienti dell'introduzione


Marco Minniti, Capogruppo DS in Commissione Difesa e componente della
delegazione N.A.T.O. del Parlamento italiano, ha illustrato nella sua
introduzione le preoccupazioni e le prospettive dell'impegno diessino
nel comparto, rilanciando la necessità del rafforzamento per una
"difesa europea".
• la formazione di Gruppi da Combattimento EU (EU Battlegroups) quali
parti delle Forze di Intervento Rapido. Dal 2007 in poi, l'Unione
europea avrà la capacità di effettuare anche contemporaneamente due
distinte operazioni di risposta rapida, sempre a livello di singolo
battlegroup, sotto il comando diretto di appositi organismi operativi
di teatro. La struttura di comando e controllo interforze italiana, il
COI – Comando Operativo di vertice Interforze, è candidata ad
assolvere questa funzione.
• l'istituzione dell'Agenzia Europea per la Difesa, sta sviluppando,
congiuntamente al Comitato Militare EU un sistematico processo di
sviluppo delle capacità militari EU sulla base di valutazioni di
costo/efficacia e promuovendo l'armonizzazione sull'acquisizione dei
materiali ed equipaggiamenti per la Difesa, concependo per lo scopo
programmi di studio nel campo tecnologico, di ricerca e sviluppo,
marketing e produzioni industriali. Dare impulso ai lavori
dell'Agenzia deve diventare una priorità di governo.
• la Cellula Civile-Militare, struttura EU che amplierà le capacità
di gestioni delle crisi in un quadro multi-operativo, realizzando una
maggiore interconnessione fra strutture e strumenti civili e militari.
• un piano per il coordinamento del trasporto strategico
aeromarittimo, "L'approccio Globale di Dispiegamento" strumento chiave
in funzione strategica per il dispiegamento rapido delle forze EU.
• il coordinamento tra EU e NATO, nel rispetto della reciproca
autonomia decisionale, per un impegno di una generale complementarità
tra EU Battlegroups e Forza di Reazione NATO, con particolare riguardo
agli standards ed alle procedure operativi.

I primi commenti: Aon e politici


"I Democratici di Sinistra devono dire al paese dove vogliono trovare
le risorse che oggi hanno promesso ai vertici delle Forze Armate
italiane". E' quanto ha dichiarato Massimo Paolicelli, Presidente
dell'Associazione Obiettori Nonviolenti.

"E' grave – prosegue Paolicelli – che i DS non mettano minimamente in
discussione questo modello di difesa al quale hanno dato un forte
contributo quando sono stati al governo nella passata legislatura. La
professionalizzazione delle Forze Armate con una forza di 190.000
uomini, alcuni costosissimi sistemi d'arma, l'elevazione a quarta
Forza Armata dei carabinieri sono scelte fatte dal precedente Governo
e che, come avevamo apertamente denunciato, stanno facendo lievitare a
dismisura i costi di questo modello di difesa. Le spese per il
personale volano in alto, si continua ad investire in inutili sistemi
d'arma, visti i nuovi scenari strategici che abbiamo davanti e poi si
taglia sull'esercizio e sulla manutenzione, mettendo a repentaglio la
vita degli stessi lavoratori con le stellette".

Ma non solo dalle fila della società civile sono giunte le critiche.
"All'interno del partito ci sono posizioni diverse", a dirlo è Silvana
Pisa, prima firmataria della mozione parlamentare sulle armi leggere a
favore della campagna Controlarms, che, raggiunta da Vita.it, non cela
un certo imbarazzo per la posizione assunta dal proprio partito in
occasione del convegno, e precisa "in questo caso parliamo di sistemi
d'arma bellica, mentre la mozione da me firmata mira a controllare il
commercio delle armi leggere. Ciò detto, non vi è ombra di dubbio che
la cose non possono andare disgiunte. Spero che il mio partito voglia
quindi valutare la situazione nel suo insieme".


DS e industria bellica a convegno


di Giulio Leben (g.leben@...)
04/11/2005

Le nuove sfide della difesa italiana". Convegno con Fassino, Minniti,
Antonio Martino e Minuto Rizzo. Roma, 7 novembre alle ore 10 presso
Grand Hotel Esedra, Piazza della Repubblica 47

COMUNICATO - Il profondo mutamento del quadro geopolitico
internazionale, venutosi a determinare negli ultimi tempi, pone
l'Italia di fronte a sfide inedite di altissimo profilo.

Uno dei settori della vita del Paese maggiormente coinvolto nel nuovo
scenario venutosi a creare è senza dubbio quello della Difesa, delle
Forze Armate e di tutto ciò che ruota intorno ad esse.

I Democratici di Sinistra vogliono discutere di questo tema con i
principali protagonisti del mondo politico, militare, diplomatico ed
accademico, per un confronto ampio ed aperto sulle linee fondamentali
di politica della Difesa del prossimo futuro.

Per far questo lunedì 7 novembre, presso la sala Diocleziano del Grand
Hotel Esedra di piazza della Repubblica 47 in Roma, avrà luogo
l'incontro dal nome "Le nuove sfide della Difesa italiana",
organizzato dalla Direzione Nazionale dei Democratici di Sinistra.

Alle ore 10.00, dopo l'introduzione di Marco Minniti, interverranno il
Ministro della Difesa Antonio Martino, il capo di Stato maggiore della
Difesa Gianpaolo Di Paola, il Segretario Generale delegato Nato
Alessandro Minuto Rizzo, il Presidente Comando militare dell'Unione
Europea Rolando Mosca Meschini, l'amministratore delegato Fincantieri
Giuseppe Bono, il rappresentante permanente italiano presso la Nato
Maurizio Moreno, il presidente dell'A.I.A.D. Giorgio Zappa e il
rappresentante italiano nel Comitato politico e di sicurezza
dell'Unione Europea Maurizio Melani.

Alle ore 13.30 è previsto l'intervento conclusivo del Segretario
Nazionale dei Ds Piero Fassino.

MOUVEMENT BALKANIQUE POUR L'APPLICATION DES RECETTES EUROPEENNES EN EUROPE


http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2005-11-10%2007:57:01&log=invites

Mouvement balkanique - Nous offrons nos bons services à Chirac
BALKANS SANS FRONTIERES

PROTESTATION AUPRES DE M. JACQUES CHIRAC, PRESIDENT DE LA REPUBLIQUE
FRANCAISE, CONCERNANT L'USAGE EXCESSIF DE LA FORCE CONTRE LES
MANIFESTANTS A PARIS ET AUTRES VILLES

8 novembre 2005
M. JACQUES CHIRAC
PRESIDENT OF THE FRENCH REPUBLIC
PARIS
FRANCE

Exprimant notre plus profonde préoccupation au sujet des troubles qui
ont lieu actuellement à Paris et dans d'autres villes et villages de
France, déclenchés le 27 octobre 2005, nous nous voyons obligés de
condamner dans les termes les plus forts la violation systématique des
droits de l'homme des manifestants par la police française et
l'appareil d'état, de même que le discours de haine prononcé à
l'encontre des manifestants au sein du Parlement français, qui sont
non seulement totalement inacceptables d'un point de vue
civilisationnel mais aussi en infraction de la Convention Européenne
des Droits de l'Homme ainsi que de nombreuses autres normatives
internationales.
Nous estimons que les Balkans ne peuvent plus fermer leurs yeux devant
la tragique situation en France et rester silencieux face au
piétinement des valeurs fondamentales de l'Europe et de la
civilisation auquel ont été soumises durant de nombreuses années les
minorités de France en raison de la couleur de leur peau, de leur
religion ou de leur origine. Et, si l'on peut déplorer certaines
méthodes utilisées par certains extrémistes, elles ne peuvent et ne
doivent pas être lues en-dehors du contexte général résultant d'une
politique coloniale, vieille de plusieurs siècles, basée sur la
discrimination, l'intolérance et la mythologie nationaliste française,
dans lequel les frustrations concernant le statut en suspens des
minorités opprimées essayant d'échapper à un destin sans espoir dans
les anciennes colonies françaises devaient culminer par les scènes
dérangeantes auxquelles nous assistons maintenant, et qui choquent
l'opinion publique démocratique du monde entier.
Nous appelons les deux parties à montrer la plus grande retenue et à
résoudre leurs différends d'une manière pacifique à la table de
négociations, avec la médiation active de la communauté internationale
et d'experts indépendants. Les problèmes de la France ne sont plus
désormais une question interne, dans la mesure où ils affectent la
sécurité de toute la région et nécessitent une approche plus globale
et plus constructive, fondée sur le respect du droit des peuples à
l'auto-détermination, assortie d'une protection optimale de la
minorité française qui resterait dans les actuelles zones de conflit
et de la protection de ses monuments culturels, à l'exemple de
l'approche utilisée par la communauté internationale pour la question
du Kossovo, basée sur le principe de l'inacceptabilité du retour au
statu quo qui existait avant les troubles pro-démocratiques actuels,
et des modifications de frontière acceptables par toutes les parties.
Nous appelons la France, en tant que l'un des pays les plus actifs
engagés dans la politique, largement couronnée de succès, de
résolution de conflit en ex-Yougoslavie, à commencer sans délai à
appliquer ses propres propositions sur son propre territoire, sous la
direction des nombreuses personnalités politiques, diplomatiques et
intellectuelles expérimentées et reconnues dont la France dispose, et
dont le travail et les idées ont imprimé une marque indélébile sur la
péninsule des Balkans – comme Bernard Kouchner, Bernard Henry-Lévy et
autres.
Les Balkans eux-mêmes sont prêts à offrir leurs bons offices dans le
processus qui doit amener les parties en conflit à la table de
négociations où elles pourront résoudre leur dispute par un dialogue
démocratique, et à aider par leur médiation à trouver une solution
acceptable par les deux parties, qui puisse garantir un futur européen
à tous les peuples qui vivent sur le territoire français.

MOUVEMENT BALKANIQUE POUR L'APPLICATION DES RECETTES EUROPEENNES EN EUROPE

Belgrade
Serbie et Monténégro

BALKANS SANS FRONTIERES

AIDER A FAIRE DU MONDE CE QUE LE MONDE FAIT DES BALKANS
ПОДРШКА НАПОРИМА ДА СЕ ОД СВЕТА НАПРАВИ ОНО ШТО СВЕТ ПРАВИ ОД БАЛКАНА

http://balkanswithoutborders.blogspot.com/

IL VIDEO:
http://www.rainews24.it/ran24/clips/Video\fallujah_Rainews24.wmv
---

Inchiesta shock di "Rai News 24": l'agente chimico usato
come arma. Un veterano: "I corpi si scioglievano"

"Fosforo bianco contro i civili"
Così gli Usa hanno preso Falluja

Un documento svela anche un test su un nuovo tipo di Napalm

ARTICOLO:
http://www.repubblica.it/2005/k/sezioni/esteri/iraq71/rainews/rainews.html

ALTRE INFORMAZIONI:
http://www.rainews24.it/Notizia.asp?NewsID=57784

IL VIDEO:
http://www.rainews24.it/ran24/clips/Video\fallujah_Rainews24.wmv

---
L'EDITORIALE DI PEACELINK:

http://italy.peacelink.org/editoriale/articles/art_13408.html

L'editoriale contiene immagini non adatte ad un pubblico sensibile e a
minori

Dalle ceneri del Vietnam risorge la tremenda realtà

Siamo andati laggiù per "liberarli" dalle armi chimiche di Saddam.
Quelle non sono mai esistite, ora lo sappiamo. Ci hanno pensato i
"nostri liberatori",a quanto pare, non solo a importarle, ma a
scagliarle contro la popolazione civile...
Della guerra in Vietnam molti registi, ci hanno fatto vedere i loro
film. In ritardo, troppo in ritardo. Dai campi di sterminio nazisti
abbiamo ereditato documentari e processi per crimini di guerra. In
ritardo, sempre troppo in ritardo. L'alibi del "non lo sapevo" ora non
vale più...

Nadia Redoglia

Fonte: Documenti, filmati, foto, dichiarazioni in conferenza stampa
7.11.05 Roma. Servizio Rainews 24 "Fallujah-la strage nascosta".

7 novembre 2005

"Ho sentito io l'ordine di fare attenzione perché veniva usato il
fosforo bianco su Fallujah. Nel gergo militare viene chiamato Willy
Pete. Il fosforo brucia i corpi, addirittura li scioglie". E' questa
la tremenda testimonianza che Jeff Englehart, veterano della guerra in
Iraq, ha reso a Rai News 24. "Ho visto i corpi bruciati di donne e
bambini - ha aggiunto l'ex militare statunitense - il fosforo esplode
e forma una nuvola. Chi si trova nel raggio di 150 metri è spacciato".
.............

L'inchiesta di Rai News 24, "Fallujah: la strage nascosta"dimostra con
dati alla mano,ovvero con testimonianze di militari statunitensi che
hanno combattuto in Iraq, di abitanti di Fallujah, di documenti
filmati e fotografici raccolti nella città irachena durante e dopo i
bombardamenti del novembre 2004, che l'Esercito statunitense ha
utilizzato agenti chimici: il cosiddetto "Fosforo Bianco", una
versione del Napalm, chiamata con il nome MK77. Le immagini dimostrano
il suo impiego contro la popolazione civile, in spregio al divieto
sancito dalle convenzioni O.N.U. del 1980 (non sottoscritte dagli USA)
che proibisce l'uso di queste sostanze incendiarie sui civili. Gli
USA, dal canto loro, nel '97 firmarono invece una convenzione che
vietava l'uso di armi chimiche. Le testimonianze che riportiamo
sollevano atroci dubbi sulla veridicità della convenzione. Salvo che
incendiare corpi con "agenti" chimici piuttosto che "armi"
chimiche...faccia differenza.
Un'altra umiliazione per l'umanità intera, protagonista della fiction
"missione di pace", è venuta a galla. Tutti i cadaveri, prima o dopo
riaffiorano, più o meno decomposti...
Nell'inchiesta di Rai News 24, realizzata da Sigfrido Ranucci e curata
da Maurizio Torrealta, vengono mostrati documenti filmati del
bombardamento al fosforo sui quartieri della città, e quelli molto
drammatici che riprendono gli effetti su militari, su intere famiglie
civili, sui tanti bambini di Fallujah, alcuni dei quali sorpresi nel
sonno (le foto sono veramente terribili.Ma più terribile è che, se
esistono, una foto dimostra solo la tragedia di ciò che già è stato...)

"Avevo raccolto testimonianze sull'uso del fosforo e del Napalm da
alcuni profughi di Fallujah che avrei dovuto incontrare prima di
essere rapita" - ha raccontato la giornalista del Manifesto, Giuliana
Sgrena, a Rai News 24 - "avrei voluto raccontare tutto questo, ma i
miei rapitori non me l'hanno permesso!".
.............

1972. Una manciata di anni fa. Storia che i nostri liceali ora
studiano sui libri, ma molti di noi la ricordano perché vissuta,
altri, molto più drammaticamente, la ricordano perché patita.
Marchiata a fuoco sulla propria pelle. Un'immagine fa il giro del
mondo: Kim Fuk, 9 anni, il corpicino nudo, straziato dal Napalm,
corre, le braccia allargate nel tentativo disperato di fuggire alla
morte. Una morte da napalm, un'infame risposta al perché di una guerra
che nessuno ha vinto. Il napalm fu una "specialità" di quella guerra.
Gli archivi americani hanno vomitato l'effetto di quei micidiali
ordigni. I cameramen militari hanno ripreso tutto, con particolare
attenzione all'effetto slow-motion per meglio documentare
l'operatività delle bombe. Quelle bombe erano lucide, al momento dello
sgancio l'attrito le avvolgeva circondandole di un'aurea blu, subdola,
perché, raggiunto l'obiettivo, scatenavano a terra una tempesta di
fuoco. I piloti sorvolavano a bassa quota boschi, villaggi, guardando
avanti,mentre alle loro spalle tutto bruciava: dai piccoli Kim Fuk
all'ultima delle capanne... Anche la colonna sonora era studiata ad
hoc. Ricordava ai valorosi marines le loro terre californiane. Per
loro, evidentemente, le uniche degne di continuare a esistere: il
Vietnam e il suo popolo che andassero all'inferno: inferno, appunto.

Questi filmati uscirono dagli archivi dopo decenni e, temendo le
reazioni dei pacifisti, ne vennero proiettati solo il 3%. Furono però
sufficienti a scatenare la sensibilità di moltissimi americani. Grazie
anche a loro, le Nazioni Unite nel 1980 sancirono il divieto dell'uso
del gas napalm contro i civili.
Nell'agosto 2003 qualche testata estera cominciò a pubblicare notizie
preoccupanti. The Indipendent - Andrei Buncombe: "...gli USA ammettono
di aver usato il napalm in Iraq..." L'inchiesta era basata su
dichiarazioni di piloti graduati della marina americana. Il Col.
J.Alles, comandante dell'11° Marine Air Group, dichiarò, sempre a
Buncombe "...abbiamo bombardato con il napalm i ponti sul canale
Saddam e sul fiume Tigri, nel sud di Bagdad...purtroppo c'erano delle
persone, li abbiamo visti nei video , erano dei soldati iracheni . Non
è un bel modo di morire. Ma i generali amano il napalm. Ha un effetto
psicologico molto forte..." Il Pentagono negò. Alcuni suoi esponenti
si limitarono a dichiarare che erano operazioni chirurgiche, "a basso
impatto ambientale", eseguite non con il napalm direttamente, ma con
bombe derivate, le cosiddette bombe incendiarie Mark 77. Anche il
"Sidney Morning Herald", il "San Diego Union Tribune" riportano
pesanti testimonianze. John Pike del Global Security Group commenta
"...puoi chiamarlo in un altro modo, ma è sempre napalm. E' stato
riformulato, nel senso che ora utilizzano un differente distillato di
petrolio come base, ma al fondo è sempre quello. Gli USA sono uno dei
pochi paesi che abbiano fatto largo uso di napalm, non ho notizie di
altri che lo facciano..."
Alice Mahon, ex parlamentare laburista, presentò in quell'anno
numerose interpellanze al Ministero della Difesa inglese chiedendo se
fosse vero che gli USA avessero utilizzato armi chimiche. Il Ministero
negò fino al giugno 2005 quando rispose di essere sinceramente
dispiaciuto, che non corrispondeva a verità. Che gli Usa avevano
distrutto nel 2001 il loro arsenale di napalm usato in Vietnam, ma che
dai rapporti dei marines in servizio in Iraq nel 2003, si leggeva che
era stato usato l'MK77. Questa bomba incendiaria, pur non avendo la
stessa composizione del napalm, ha lo stesso effetto distruttivo. Il
Pentagono ha affermato che questi ordigni non vengono generalmente
usati in aree dove sono presenti civili.
La Mahon ha deciso di non ricandidarsi perché si rifiuta di appoggiare
chi si è reso protagonista di crimini di guerra. Quando le viene
chiesto se l'MK77 sia diverso dal napalm, dà una risposta
agghiacciante: "No. Non è per niente diverso. Ha esattamente lo stesso
effetto del napalm, ha solo cambiato nome. Brucia ugualmente i corpi
delle vittime. Addirittura li scioglie. E' una vergogna che gli Stati
Uniti lo usino. E' una vergogna che il nostro Governo li copra"

Riportiamo dunque alcune testimonianze.

Jeff Eglehart (ex marine)

«Ero in Missione a Fallujah. All'interno della ranger zone.Ero a 150
metri da dove si svolgeva l'attacco. Abbiamo ricevuto l'ordine diretto
che qualsiasi individuo che camminava o si muoveva era un obiettivo"
D. "E' vero che avevate ordine di sparare anche a ragazi di dieci anni?"
R. "quando siamo arrivati in Iraq c'era uno standard di combattenti :
dai 18 ai 65 anni , ma quando siamo giunti a Fallujah il target e'
sparito perché effettivamente in città c'erano ragazzi di 10 anni che
usavano il mitra"
D." A suo figlio cosa racconterebbe della battaglia di Fallujah?"
R. ".Che è stato un genocidio, è stato bombardato tutto il
bombardabile. Non è stata una guerra, ma un omicidio di massa" e
ancora "...il fosforo bianco..., quando esplode si disperde come una
nuvola, se colpisce un essere umano lo consuma fino all'osso, ma non
necessariamente brucia i vestiti, perché agisce sulle molecole
acquose. Brucia l'ossigeno e inalandolo, si muore..."
D. "Lei ha visto l'effetto di queste armi?"
R. " Si,ho visto dei corpi bruciati. La differenza tra le altre armi e
il fosforo bianco si vede. Brucia sciogliendo la carne e deformando il
corpo, lo scioglie. Durante i bombardamenti sono stati colpiti sia i
civili che combattenti. Sono stati uccisi donne e bambini. Anche gli
animali. L'effetto di questa nuvola colpisce fino a 150 metri di
diametro e chi è in quel raggio è spacciato"
D. "Alcuni filmati testimoniano violazioni all'interno delle moschee,
di croci dipinte sui muri e sul Corano. Lei sa qualcosa in merito?"
R. "Ho sentito di molti vandalismi da parte di soldati...
D. "E' vero che avete aspettato il risultato delle elezioni , la
conferma della vittoria di Bush, per bombardare Fallujah?
R. "..E' andata esattamente così. Abbiamo avuto direttamente l'ordine
dal Pentagono di non attaccare fino al risultato delle elezioni.
Questo ha fatto innervosire molto i militari
D. "Lei ha partecipato all'attacco nel novembre 2004, quello più
terribile. Sono state usate armi chimiche a Falluja?"
R. "Da parte degli Stati Uniti? Assolutamente si. Sicuramente il
fosforo bianco,probabilmente il napalm, chiamato MK77.
D. "Ne è sicuro?"
R. "Si"
D. "Come fa ad esserne certo?"
R. " Ho sentito per radio l'ordine di fare attenzione perché veniva
usato il fosforo bianco. Nel linguaggio militare viene chiamato Willy
Pete "

Fallujah è ormai una città spettrale, una macchia nera . Un rapporto,
a lungo tenuto segreto, redatto dall'UNAMI,ufficio ONU iracheno, usa
l'aggettivo "scioccante". Le case colpite sono circa 37mila. Gli
americani marchiano con una X rossa le case "ripulite" o
"disinfestate", come scrivono sui loro rapporti. Sui morti non ci sono
ancora cifre ufficiali. il generale dei Marines, J.Sattler il 18
novembre disse " ...posso onestamente dire che non sono a conoscenza
di alcun civile ucciso... "Le immagini girate i giorni seguenti
all'attacco pare lo smentiscano: le vittime furono centinaia. Si
sparava a tutto ciò che si muoveva, compresi i drappi bianchi, simbolo
di resa. Negli ospedali si raccolgono drammatiche testimonianze. Il
dott. M. Hadded accompagnato da una sua equipe è riuscito a entrare in
Fallujah, autorizzato dagli americani. Il suo compito fu quello di
riconoscere e seppellire i morti. Corpi di civili uccisi, massacrati,
consumati fino alle ossa, lembi di pelle staccati dalla carne...Non si
vedevano segni di proiettili. Alcuni volti erano letteralmente fusi,
così come alcune parti del corpo. Solo i vestiti si presentavano
incredibilmente intatti. Fu così che furono riconosciuti i morti
civili. I combattenti indossavano giubbotti da combattimento...
Anche gli animali morti non presentavano apparenti ferite da arma da
fuoco.
Mohamad Tareq Al-Derajl, laureato in biologia, è direttore del centro
studi per i diritti umani, un'organizzazione nata a Fallujah nel 2004.
Mohamad è stato invitato al Parlamento Europeo da alcuni deputati
della sinistra, per raccontare ciò che accadde nella sua città:
"...In un quartiere ci sono stati corpi di persone uccise sicuramente
da armi particolari. Non c'erano proiettili, si sono bruciati solo i
corpi... non i vestiti...è strano! Le ferite erano particolari. Quali
tipi di armi abbiano usato non lo sappiamo esattamente." Alla domanda
"in quale stato avete trovato i morti?" Mohamad ha risposto :"...in
differenti modi, molti sono stati uccisi nel sonno, altri mentre
cucinavano,altri ancora mentre pregavano...Quando siamo entrati a
Fallujah ci hanno detto che i soldati americani avevano dato fuoco a
corpi di iracheni morti per coprire le prove..."
Contrariamente a quanto detto dal dipartimento di Stato americano, il
fosforo non è stato usato in campo aperto per illuminare le truppe
nemiche: per quello sono stati usati i traccianti. La pioggia di fuoco
scaraventata dagli elicotteri americani sulla città di Fallujah
dimostra che l'agente chimico in questione è stato usato in maniera
massiccia e indiscriminata.

Ciò che viene definito omicidio di massa dal marine Jeff Eglehart non
l'abbiamo potuto vedere. Le informazioni che escono da Fallujah,
quelle autentiche, possono costare care a chi le diffonde. I signori
della guerra hanno concesso l'ingresso nella città solo ai giornalisti
embedded. Se questi si attentano a scattare foto "compromettenti"
vengono immediatamente espulsi, come è successo al giornalista
dell'NBC che ha ripreso un marine mentre sparava a un combattente
ferito e disarmato nella moschea.. Oppure, come racconta Paola
Gasparoli (Un ponte per..), il giornalista americano M. Manning che,
dopo aver girato alcune riprese a Fallujah, uscì dall'Iraq, andò in
Giordania, e da qui negli Stati Uniti. Depositò il materiale in una
camera d'albergo. Rientrando si trovò la porta forzata e scoprì che
gli era stato trafugato tutto il filmato su Fallujah. Due giornalisti
di Al Arabya sono stati arrestati dalla polizia irachena lo scorso
marzo. Il loro materiale è stato sequestrato. Il collaboratore di
"Diario" Enzo Baldoni ha perso la vita, proprio a Fallujah. Cominciamo
a intravedere il probabile perché. Giuliana Sgrena del Manifesto stava
realizzando un'inchiesta sui profughi della città e conosciamo tutti
la sua storia. Riportiamo alcune sue frasi
"...avevo ascoltato racconti da parte degli abitanti sull'utilizzo di
armi particolari,tipo napalm,a Baghdad durante la battaglia
dell'aeroporto, nell'aprile del 2003, e poi avevo raccolto, poco prima
di andare a intervistare i profughi della città, testimonianze da
altri abitanti di Fallujah sull'uso di armi al fosforo bianco. In
particolare dalle donne che avevano cercato di rientrare nelle loro
case e avevano trovato delle polveri particolari disperse su tutta la
casa. Gli stessi americani avevano detto loro di pulire la casa con
detergenti,perché quelle polveri erano molto pericolose. Infatti loro
avevano avuto degli effetti sul loro corpo, sanguinamenti, cose molto
strane.Io avrei voluto intervistare queste persone, ma purtroppo i
miei rapitori, che si dicevano appartenere alla resistenza di
Fallujah, mi hanno impedito di raccontare quello che avevo saputo..."

E' estremamente difficile in questi casi, per chi scrive, astenersi da
commenti personali. Noi abbiamo il dovere di informare nel rispetto,
sacro, di chi ha il diritto di conoscere la verità. Siano questi a
valutarla e dunque assumere posizione secondo la propria coscienza.
Proprio per questo ci siamo limitati a riportare, senza commenti,
alcuni brani e alcune foto dell'inchiesta eccezionale realizzata
dall'inviato Sigfrido Ranucci. Grazie al direttore Morrione di
Rainews24 e ai suoi collaboratori riusciamo almeno a seguire la guerra
in diretta, quella vera. Quella che ci nascosero decenni fa e che ci
viene a quanto pare, ancora nascosta. La guerra sanguinaria e
misteriosa, la guerra spacciata per missione di pace, la guerra contro
i terroristi che Bush definisce "qualcuno che uccide gente innocente"
( lo ricorda anche Cindy Sheehan in un' intervista resa a T.
Engelhardt, riportata su "la domenica della non violenza" n.43), la
guerra che gli americani hanno condotto a Fallujah, rimettendo a nuovo
le loro maledette bombe al napalm! Quella guerra che fino ad ora,
millantata per "reality show", si sta invece rivelando la peggior
pagina della storia tra la fine del XX e l'inizio del XXI secolo.

Nadia Redoglia

Note:
vedi il filmato
http://www.rainews24.rai.it/ran24/inchiesta/default_02112005.asp