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il manifesto, 28 Ottobre 2005

DUE ANNIVERSARI


Balcani, vuoto a perdere


Dieci anni fa Dayton, sei anni fa Kumanovo dopo i raid Nato. Ora
l'Occidente che obbliga la Bosnia alla multietnicità, vuole per il
Kosovo un'indipendenza monoetnica


MIODRAG LEKIC *


Mentre resta ancora in attesa della risposta degli storici il quesito
se la Jugoslavia sia morta di morte naturale, sia stata assasinata, si
sia suicidata o altri l'abbiano «suicidata», la sua lunga
disintegrazione ed agonia nel 2005 celebra i suoi anniversari. Nella
geopolitica degli anniversari si ricordano infatti questo anno gli
inizi di due «protettorati»: quello ormai decennale in Bosnia
Erzegovina e i sei anni del protettorato sul Kosovo. E' probabilmente
inutile, a questo punto, chiedersi se l'Europa non avrebbe fatto
meglio, nel proprio interesse, a cercare di salvare quell'elemento di
stabilizzazione e integrazione tra i popoli rappresentato dalla
Jugoslavia, invece di trovarsi di fronte una serie di nuovi Stati su
base etnica, a volte pseudo-Stati o protettorati, quale sanguinoso
frutto della «primavera dei popoli ex-jugoslavi».

Nel novembre di dieci anni fa gli accordi di Dayton ponevano fine ai
combattimenti in Bosnia , dopo anni di scontri sanguinosi, che, in una
fase, avevano assunto il carattere di bellum omnium contra omnes.
Caratteristica di un accordo diplomatico, con elementi di un trattato
internazionale e perciò del tutto atipico, fu la pretesa di imporre
anche un modello di sistema costituzionale. E' nata così una complessa
macchina politico-burocratica che conta quattro presidenti, tre primi
ministri, tre parlamenti, più di cento ministri, due eserciti e 14
livelli di governo. Anche se alcuni risultati positivi sono stati
raggiunti, soprattutto per quanto riguarda i profughi (circa il 50% ha
trovato una sistemazione), la macchina statale si presenta come
elefantiaca, costosissima e spesso inefficace. Inoltre, secondo quasi
tutti gli analisti politici, è innegabile che la Bosnia accoglie tre
popolazioni ancor oggi, in gran parte, etnicamente divise tra loro e
la pacificazione è ancor oggi garantita dalla presenza di un
contingente di truppe, attualmente della UE.

Un Alto protettore, non eletto

Nel quadro di sviluppo democratico del paese - institution building -
è stata prevista la figura dell'Alto rappresentante della comunità
internazionale (non eletto), che può licenziare politici locali
(eletti), sospendere o cassare leggi approvate dai Parlamenti (eletti)
e imporre decreti con valore di legge.

Il decennale potrebbe essere un'occasione per fare il punto della
situazione e vedere se non sarebbe forse il caso di proporre nuove
soluzioni equilibrate e che non danneggino nessuno dei gruppi etnici.
Sarebbe forse proficuo rileggere le proposte formulate dalla comunità
internazionale precedentemente a Dayton - piano Cutillero, piano Owen-
Stoltenberg, in entrambi i casi iniziative europee, rifiutate in
circostanze non ancora del tutto chiarite. Secondo Lord Owen, nel suo
libro Odissea balcanica, gli americani avrebbero sabotato il suo piano
per spostare la sede negoziale nella base militare di Dayton, per
attribuirsi - a scopi elettorali - il merito di aver concluso la guerra.

A differenza della Bosnia, che ha istituzioni sui generis che
convivono con forti elementi di protettorato, il Kosovo, a più di sei
anni dalla fine della guerra (giugno 1999) continua a vivere sotto un
classico protettorato internazionale (Unmik/Kfor).

Negli ultimi mesi sono state avanzate varie proposte per una soluzione
definitiva. Dopo anni in cui ci si è trincerati dietro la formula
«prima standard, poi status» che ha garantito un pessimo status quo
della regione, per il Kosovo, che vive in una sorta di «buio
mediatico», si profilano oggi i primi segni di un rinnovato interesse
internazionale. Il 24 ottobre le Nazioni Unite, dopo la discussione al
Consiglio di Sicurezza, hanno deciso di aprire formalmente il
negoziato per definire lo status della provincia.

Prima di entrare nel merito delle possibili soluzioni, a questo punto
vale forse la pena di ricapitolare brevemente come si è giunti
all'attuale situazione.

La guerra, che, alla fine di marzo del 1999, gli strateghi della Nato
avevano previsto di breve durata (3, 4 giorni) si è conclusa dopo 78
giorni di intensi bombardamenti e dopo la sigla a Kumanovo di un
accordo tra forze militari jugoslave e Alleanza atlantica. In Kosovo
il ritiro dell'esercito di Belgrado è stato accompagnato dall'entrata
contemporanea delle forze della Nato e delle milizie dell'Uck.

E' indubbio che, se di «pulizia etnica» degli albanesi non si poteva
parlare prima dell'inizio della guerra, la campagna aerea ha scatenato
rappresaglie dei serbi contro gli albanesi, che naturalmente non
possono essere giustificate con la brutalità dei bombardamenti stessi
(che hanno colpito infrastrutture civili- ospedali, scuole,
acquedotti, ponti, centrali elettriche, ecc., hanno causato la morte
di donne e bambini, facendo uso di armi vietate da molte Convenzioni
internazionali...).

Dopo la «liberazione» del Kosovo, è iniziata una «pulizia etnica» in
senso opposto: il 90% della popolazione non albanese è stata costretta
a lasciare il Kosovo e non ha ancora potuto farvi ritorno, ad onta di
tutte le promesse e le garanzie della «comunità internazionale»;
inoltre i luoghi santi della regione sono stati distrutti (finora 150
chiese e monasteri ortodossi). Si tratta delle testimonianze medievali
del Cristianesimo serbo, culla dell'identità nazionale, oltre che
patrimonio dell'Umanità secondo l'Unesco.

Molti osservatori concordano nel riconoscere che la situazione
economica e dei diritti umani in Kosovo è attualmente per molti versi
peggiore di quanto non fosse sei anni fa. (Su questo tema si veda
l'articolo del generale Fabio Mini, a lungo Comandante Nato in Kosovo,
F.Mini, «Kosovo Roadmap», Limes, 2004/2).

Un trucco gli accordi di Kumanovo?

La definizione dello status finale non potrà non tener conto del
documento che ha concluso la guerra del 1999: la risoluzione 1244 del
Consiglio di Sicurezza dell'Onu del 10 giugno, di cui fanno parte
integranti gli accordi tecnico-militari di Kumanovo. Nei documenti
vengono confermati esplicitamente «sovranità e integrità territoriale
della Repubblica Federale di Jugoslavia» e «una sostanziale autonomia
del Kosovo». Le conclusioni del G8 del 6 maggio 1999, così come
l'accordo stipulato grazie alla mediazione di Ahtisaari e
Chernomyrdin, e accettato dall'Assemblea nazionale serba il 3 giugno,
prevedevano ugualmente l'integrità territoriale della Jugoslavia. La
guerra non avrebbe potuto essere conclusa il 10 giugno senza questo
riconoscimento dell'integrità del paese. Riconoscere ora
l'indipendenza del Kosovo sarebbe come ammettere che si è arrivati
alla «vittoria» della più grande potenza militare della storia contro
un piccolo paese grazie ad un abile trucco diplomatico.

Ma come trovare una soluzione partendo da un documento che attribuisce
de jure la sovranità sul Kosovo alla Jugoslavia (e alla Serbia),
mentre de facto ha trasformato la regione in un protettorato militare
della Nato e sotto amministrazione dell'Unmik-Nato qualsiasi soluzione
credibile, dal punto di vista della legalità internazionale, deve
basarsi sulla risoluzione Onu e può scaturire solo dal dialogo diretto
tra Pristina e Belgrado, sia pur mediato da una presenza
internazionale super partes? Ora che al governo in Serbia sono
politici , considerati filo-occidentali, e che difendono in egual
misura i principi democratici e gli interessi nazionali, si può
sperare che si trovino di fronte leader kosovari che condividano gli
stessi valori. Belgrado ha al contempo la responsabilità di proporre
un modello di reale integrazione democratica per gli albanesi in
Serbia e di porsi come fattore i stabilità regionale. Siccome i
politici serbi si pronunciano per una soluzione che contempli «più
dell'autonomia e meno dell'indipendenza», forse varrebbe la pena di
riprendere gli studi sul modello Alto Adige, che Rugova ha nel
frattempo abbandonato, anche perché forse è sottoposto a forti
pressioni interne. E la «comunità internazionale» potrebbe spiegare
loro che quello con gli altoatesini non sarebbe un paragone offensivo.
Ma conditio sine qua non per la riuscita dei negoziati è il ritorno
dei più di 200.000 nuovi profughi e la ripresa della vita civile,
nelle sue forme più elementari, per tutti i non albanesi. Se la
«comunità internazionale» non è in grado, a dispetto della sua forte
presenza - civile e militare - di garantire una vita «normale» ai
serbi e alle altre etnie, come si può pensare che queste potranno
rientrare in Kosovo e godervi dei diritti umani, una volta che la Kfor
e l'Unmik avranno lasciato la regione? Dovrebbe essere chiaro che se
il Kosovo, per la prima volta nella storia, avrà raggiunto
l'indipendenza, altrettanto per la prima volta quella regione sarà
«etnicamente pulita».

In termini realistici il processo di definizione dello status dovrà
necessariamente tener conto di tre elementi della politica
internazionale: gli interessi nazionali delle parti coinvolte, i
rapporti di forza e le regole. Ma, concretamente, restano molte
incognite: chi, ad esempio, avrà l'iniziativa da un punto di vista
internazionale? Gli Stati Uniti, l'Unione europea o l'Onu? O, per una
volta, ci sarà un vera trattativa diretta tra le parti, senza
soluzioni imposte dall'esterno?

La lobby dell'indipendenza da pulizia etnica

Mentre, contemporaneamente all'avvio del processo, permangono le
ambiguità dei fattori internazionali, è ormai evidente, in questo
2005, un forte impegno di gruppi informali, con forti connotazioni
lobbystico-mediatiche, in favore dell'indipendenza del Kosovo

Il 25 gennaio di quest'anno l'International crisis group, di cui fanno
parte - tra gli altri - Zbigniew Brzezinski, Marti Ahtisaari, il
generale Wesley Clark, George Soros ed Emma Bonino, ha presentato un
documento che prevede l'indipendenza del Kosovo. Un altro gruppo,
l'International commission on the Balkans, presieduto dall'on.
Giuliano Amato, e finanziata da quattro Fondazioni private, è
arrivato, in aprile, ad un'analoga proposta di indipendenza, sia pur
da raggiungere in quattro fasi. Val la pena di sottolineare che, in
occasione della presentazione alla Farnesina del piano Amato (26
aprile 2005), i responsabili del Ministero e lo stesso ministro, l'on.
Gianfranco Fini, hanno mostrato un'estrema prudenza.

Va riconosciuto all'on. Amato il merito di aver fornito un quadro
realistico, ed impietoso, dell'attuale situazione dei Balcani, e
soprattutto in Bosnia e Kosovo. E' inoltre certo convincente la sua
proposta di integrazione dell'intera regione nella Ue in tempi
relativamente brevi. Ma in questo caso si tratta di passare dalla
proposta ai fatti, e per questo è necessario avere una chiara visione
dell'Europa del futuro.

E' certo molto bella l'immagine dell'on Amato, secondo cui il 2014, in
cui si commemorerà il centenario dell'attentato di Sarajevo e
dell'inizio della follia della prima guerra mondiale, dovrebbe vedere
l'entrata di tutti i paesi balcanici, finalmente in pace, nella Ue, ed
aprire una fase di concordia e prosperità, una sorta di belle époque
ritrovata.

Ma, nei Balcani, la storia a volte, nelle sue componenti interne ed
esterne, torna come l'eroe di Dostovjeski, Raskolnikov, sul luogo del
delitto. Tutti gli attori della tragedia sono ancora sul luogo,
speriamo che il delitto non si compia.



* Ex-ambasciatore jugoslavo in Italia, 1996-1999 e 2001-2003,
attualmente professore a contratto presso la LUISS e l' Università di
Roma "La Sapienza"

da Zagabria riceviamo e giriamo:
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NUOVO MILLENNIO : UN OTTOBRE DIVERSO

E' tornato ottobre, con preoccupazioni nuove: una situazione mondiale,
economica e politica, fra le più difficili non soltanto del millennio
appena iniziato, ma negli ultimi cinquant'anni. Il movimento comunista
in Russia e non soltanto in Russia ai suoi minimi storici. La salma di
Lenin che rischia di essere buttata fuori dal Mausoleo. L`imperialismo
all'attacco dovunque nel mondo. L'aggressione, inaudita per arroganza
e violenza, alla memoria storica del movimento operaio,
all'immaginario collettivo verso i comunisti, persino alla Resistenza
- e non solo nei suoi valori, ma anche alle fondamenta che essa ha
intessuto nelle Costituzioni in Europa e al vivere una vita in comune,
basata su principi di libertà. Ghettizzazione dei partiti comunisti
ed afasia della sinistra, che la paralizza e la frantuma,
impossibilitando ogni crescita del movimento radicata su scelte
profonde e irrevocabili piuttosto che su voglie effimere e reazioni di
ripicca alle politiche dei governanti. Nella sinistra il senso
dell'internazionalismo e del destino comune nel mondo globalizzato
non risulta accresciuto: lo stesso vale per il sentimento del comune
destino europeo, anche se l'Europa dei signori sarebbe un dato di
fatto. Eccetera, eccetera.

A ottantotto anni dalla Rivoluzione d'Ottobre è quasi vergognoso come
siamo messi – ma siamo messi così e dobbiamo rendercene conto. Inutile
ripetere che la Rivoluzione d'Ottobre fu uno dei massimi eventi nella
storia moderna o ricordarsi di quella notte d'assalto al Palazzo
d'Inverno, di Lenin e di Trotsky sfigurati dalla fatica e
dall'insonnia o di John Reed a cui il tassista nel centro di San
Pietroburgo, in una serata non diversa delle altre, rispose di non
volerlo condurre allo Smoglnij, visto che li c'era il diavolo...
Inutile elucubrare sulle grandi idee che quando falliscono provocano
delle tragedie smisurate. O sulla mediocrità del materiale umano che
il movimento operaio si era trovato via via a disposizione, dopo
diverse frantumazioni, collassi, purghe e tragedie immani dalle quali
è stato colpito nel corso del Novecento. Certo, l'Ottobre, come
qualche altra rivoluzione nella storia, è stato opera di uomini
eccezionali, che hanno subordinato tutto ai grandi principii in cui
credevano, pronti a sacrificare ogni interesse vitale a questo scopo,
nonchè la vita stessa: vere torce umane dell'entusiasmo rivoluzionario.

Ma tutto questo è già stato detto e ci siamo pianti addosso per troppo
tempo.
Il destino di coloro che lottano dalla parte della rivoluzione, dalla
parte dei comunisti era ed è di essere contro il proprio tempo,
contro la realtà, quale essa sia, e che sembra impossibile cambiare.
Questo lo disse già Isaak Deutscher e forse ci conviene ripeterlo,
nell'ottantottesimo anniversario dell'Ottobre, per renderlo qualcosa
di più di un momento di mera memoria storica. Per tentare di mutarlo
in un momento di presa di coscienza della situazione attuale.

<< ...Lui (Trotsky), come ricordiamo, aveva già paragonato il suo
destino e il destino dell'opposizione al destino dei comunardi di
Parigi i quali, anche se non sono riusciti a vincere come proletari
rivoluzionari nel 1971, avevano impedito la restaurazione della
monarchia. Questa era stata la loro vittoria nella sconfitta. La
grande trasformazione dell'Unione Sovietica negli anni Trenta fu la
vittoria di Trotsky nel fallimento. Ma i comunardi non si sono potuti
rappacificare con la Terza Repubblica, con la repubblica borghese, la
quale forse non avrebbe vinto mai senza loro appoggio. Però, essi
sono rimasti suoi nemici. In modo simile, Trotsky non si riconcilierà
mai con la seconda rivoluzione burocratica; lui continuerà ad
appellarsi al primato dei diritti della classe operaia nello stato
operaio ed alla libertà del pensiero politico nel socialismo. Per
questo fu automaticamente condannato alla solitudine e all'isolamento,
perchè un numero smisurato di suoi collaboratori (fino a ieri), sia
per delusione e fatica sia per convinzione, era rimasto incantato
dalla rivoluzione staliniana. L'opposizione in esilio era sulla
strada migliore per l'auto-liquidazione...
Era dunque Trotsky in conflitto con il suo tempo? Non conduceva dunque
egli una battaglia senza speranza, "contro la storia"? Nietzsche dice:
"...Se volete una biografia non cercate quella intitolata : "Il
Signor Tal dei Tali e il suo tempo", ma quella sulla cui copertina c'è
scritto: "Combattente contro il suo tempo"...
Qualora la storia non fosse nient'altro che "un sistema
onnicomprensivo di passioni e di errori" uno la dovrebbe leggere come
Goethe voleva che si leggesse il Werther – come se il suo messaggio
fosse appunto questo: "Sii uomo e rinuncia a seguirmi!" Ma per fortuna
la storia ci tiene in serbo un ricordo vivo dei grandi "combattenti
contro la storia", cioè contro la cieca forza del reale...
Essa ingrandisce la vera natura storica degli uomini che hanno dato
poca importanza al "Cosi è" per poter seguire un "Cosi Dovrebbe
Essere" con maggiore gioia e maggiore orgoglio. Non traghettare la
propria generazione sino alla tomba, ma in verità porre le basi del
nuovo – è questo il moto che spinge questi uomini sempre avanti...". >>

Qui termina la citazione da Deutscher e da Nietzsche. Non l'ho scelta
a caso. Tutti quelli (non molti) che ancora oggi sono di quell'idea –
che l'Ottobre rosso russo fu un momento grandioso della storia del
Novecento e che abbia dato moltissimi frutti – sono in qualche modo
"combattenti contro il loro tempo e contro la Storia", come dice
Nietzsche... che fu – nonostante tutto - un grandissimo filosofo
tedesco. E come dice lui, la storia la fanno proprio quelli che sono
in contrasto implacabile con quello che è - e che bruciano la
propria esistenza nella lotta per Come Dovrebbe Essere. E facendo
così, essi scrivono la storia. Ed arricchiscono il patrimonio
dell'umanità. Rimane d'importanza secondaria se i loro nomi e il loro
destino diventeranno famosi o meno. Loro hanno esaurito ed esaudito il
proprio compito rivoluzionario. Questo mi sembra necessario dire,
ottantotto anni dopo la Rivoluzione d'Ottobre.

Certo, il momento non è dei migliori. Certo, è triste e tragico vedere
buttata la salma di Lenin fuori dal mausoleo (ma forse non avrebbe
dovuto mai essere mummificata, come non si sarebbero dovuti mai
mummificare i risultati di quella rivoluzione). Certo, è duro vedere e
sentire i comunisti paragonati ed equiparati ai nazisti. E ancora più
arduo è vedere offesa e vilipesa la Resistenza e i valori della
Liberazione, ed annientata ogni memoria storica e ogni traguardo
progressista del Novecento.
Ma tutto questo è già successo nella storia dell'umanità. E il grande
senso a questa storia continua a darlo la gente che instancabilmente
lotta per Come Dovrebbe Essere. Ci sono momenti di grande luce, nella
vita di ogni persona, come ci sono i momenti bui, quando prevalgono lo
smarrimento e le tenebre. Anche nella storia umana, nella storia di
movimenti e rivoluzioni, ci sono momenti di grande luce, come fu la
Rivoluzione d'Ottobre o la Comune di Parigi, e ci sono tempi di
nebbia, ottenebrati, bui, quale è il momento che si sta vivendo.
Neanche questo è nuovo; eppoi dipende dall'angolo di visuale delle cose.

La nuova moda è di moda... adesso. Domani apparirà già brutta e
paradossale. La grande arte, l'arte nuova, la nuova pittura o
scultura, il nuovo pensiero, una nuova concezione della società,
spesso hanno suscitato e suscitano tuttora scandalo, indignazione,
incomprensione e rabbia nel pubblico. Ma coloro i quali fanno cose
nuove – nuova arte, nuova storia, nuovo pensiero - o lottano per una
nuova società, continuano ad andare avanti e non si curano delle
retroguardie che li raggiungeranno soltanto in seguito. Ha poca
importanza se queste retroguardie sono numerosissime o se al momento
pare che in retroguardia siano finiti proprio tutti... È soltanto
un'impressione. Il domani dirà altre cose.

Se il Novecento si è chiuso ed ha chiuso il suo ciclo di vittorie e di
sconfitte, nel nuovo millennio ai rivoluzionari tocca se non di aprire
una nuova stagione di lotte, almeno di continuare instancabilmente a
combattere per Come Dovrebbe Essere. Nulla sulla scena mondiale è
stato mai fermo nemmeno un attimo.

Certo, è un gran brutto momento. Certo, il compito con cui si è
confrontati è duro, anzi è immenso. Le forze che ostacolano un impegno
radicalmente progressista sono incommensurabili per potere e
portata... Ma non si sono spalancati sempre gli abissi davanti ai
combattenti contro la "cieca forza del Reale"? Non hanno rischiato
essi di vedersi aprire dinanzi le porte dell'Inferno in ogni momento?
Non sono rimasti anche in passato soli ed isolati? E non si sono
sempre sentiti dire, dai propri compagni nella lotta fino a ieri, che
stanno conducendo una lotta senza speranza, una lotta contro il loro
tempo? Eppure, quelli che sono ancora rimasti nella lotta -
avrebbero potuto fare altrimenti? Non si erano auto-arruolati in una
lotta per la libertà? La loro libertà imponeva loro il proseguimento
della battaglia ossia della strada che avevano intrapreso, anche
quando tutti gli altri avevano fatto i voltagabbana.
Oggi i voltagabbana spadroneggiano, ma il domani sarà opera di coloro
che sono rimasti coerenti con se stessi e con il pensiero che li
ispirava. Cosi fu con la Comune di Parigi, cosi fu con la Rivoluzione
d'Ottobre, cosi rimane anche oggi – a distanza di ottantotto anni.
Non possiamo consegnare a quelli che verranno dopo di noi un mondo
dove nei mari non ci sono più pesci, nell'aria non ci sono più uccelli
e non c'è neanche l'aria per respirare. Un mondo dove nella testa
degli uomini non ci sono più progetti, ne' idee, ne' pensieri e nel
cuore non ci sono più ne' speranze ne' passioni ne' felicità.
Un mondo dove tutti assomigliano ai cibi preconfezionati - fatto di
corpi palestrati ed insipidi con i pensieri inculcati dalla TV nella
testa. Un mondo fatto di gente che non sa pensare, ma accetta prona le
idee preconcette, fabbricate dai media, che fanno da riflesso al
potere... Un mondo concepito come mercato universale – dove la roba
che si vende non è altro che stoltezza. Patria dell'uomo privato della
capacità di ragionare. Un mondo ridotto ad istituzione per idioti. Un
mondo di gente con la testa in disuso, ottenebrata da piaceri
superficiali, assolutamente incapace di capire in che modo si è
trovata su quella galera chiamata mondo moderno o democrazia
occidentale, ed invischiata in questa libertà fatta di bombe. E'
esattamente questo che i padroni vogliono. Le rivoluzioni si fanno
non soltanto per inedia. Si fanno anche per questo. Anche se delle
volte falliscono. Ma altre vincono. E perchè vincano non bisogna
smettere di lottare. Mi pare che questo sia, oggi, il significato
dell'Ottobre.

Jasna Tkalec

--- In Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli., "Andrea" ha scritto:

L'INCHIESTA. Fabbricate a Roma in maniera goffa e artigianale le prove
su Saddam.

Storia del falso dossier uranio che il Sismi spedì alla Cia
Doppiogiochisti e dilettanti tutti gli italiani del Nigergate

L'ammissione di Martino alla stampa inglese: "Americani e italiani
hanno lavorato insieme. E' stata un'operazione di disinformazione"

da La Repubblica di CARLO BONINI e GIUSEPPE D'AVANZO


Silvio Berlusconi e George W. Bush. Dopo l'11 settembre la Casa
Bianca chiese a tutti gli alleati, e in particolare all'Italia,
notizie e prove che evidenziassero la pericolosità sociale di Saddam
Hussein

ROMA - L'intervento militare in Iraq è stato giustificato da due
rivelazioni: Saddam Hussein ha tentato di procurarsi uranio grezzo
(yellowcake) in Niger (1) per arricchirlo con centrifughe costruite
con tubi di alluminio importati dall'Europa (2). Alla costruzione
delle due "bufale" (non si troverà traccia in Iraq né di uranio
grezzo né di centrifughe), collaborano il governo italiano e la sua
intelligence militare. Repubblica ha cercato di ricostruire chi,
come, dove e quando ha lavorato e "disseminato" alle intelligence
inglese e americana il falso dossier che è valso una guerra.
Sono le stesse "bufale" che Judith Miller, la reporter che "ha
tradito il suo giornale", pubblica (con Michael Gordon) l'8 settembre
2002. In una lunga inchiesta sul New York Times, Miller racconta dei
tubi di alluminio con cui Saddam avrebbe potuto realizzare l'arma
atomica. E' l'argomento che i "falchi" dell'Amministrazione Bush
attendono.
La "danza di guerra", che segue allo scoop di Judith Miller, appare a
un attento media watcher come Roberto Reale ("Ultime notizie") "uno
spettacolo preparato con cura".
Condoleezza Rice, allora consigliere per la Sicurezza nazionale alla
Casa Bianca, dice: "Non vogliamo che la pistola fumante abbia
l'aspetto di una nube a forma di fungo" (Cnn). Un minaccioso Dick
Cheney rincara la dose a Meet the press: "Sappiamo, con assoluta
certezza, che Saddam sta usando le sue strutture tecniche e
commerciali per acquistare il materiale necessario ad arricchire
l'uranio per costruire l'arma nucleare". E' l'inizio di un'escalation
di paura.
26 settembre 2002. Colin Powell avverte il Senato: "Il tentativo
iracheno di ottenere l'uranio è la prova delle sue ambizioni
nucleari".
19 dicembre 2002. L'informazione sul Niger e l'uranio è inclusa nelle
tre pagine del President daily brief che ogni giorno Cia e
Dipartimento di Stato preparano per George W. Bush. L'ambasciatore
alle Nazioni Unite, John Negroponte, ci mette il sigillo: "Perché
l'Iraq nasconde l'acquisto di uranio nigerino?".
28 gennaio 2003. George W. Bush scandisce le 16 parole che sono una
dichiarazione di guerra: "Il governo inglese ha appreso che Saddam
Hussein ha recentemente cercato di acquisire significative quantità
di uranio dall'Africa".
La farina di questo sacco è romana.
Il coinvolgimento italiano negli eventi che precedono l'invasione
dell'Iraq ha, sin qui, trovato nella distrazione generale un
solitario e grottesco protagonista in un tale che si chiama Rocco
Martino, "di Raffaele e America Ventrici, nato a Tropea (Catanzaro)
il 20 settembre 1938".
Smascherato dalla stampa inglese (Financial Times, Sunday Times)
nell'estate del 2004, Rocco Martino vuota il sacco: "E' vero, c'è la
mia mano nella disseminazione di quei documenti (sull'uranio
nigerino), ma io sono stato ingannato. Dietro questa storia ci sono,
insieme, americani e italiani. Si è trattato di un'operazione di
disinformazione".
Confessione non lontana dalla verità, ma incompleta.
Nasconde gli architetti dell'"operazione". Rocco Martino è a occhio
nudo soltanto una pedina. Come i suoi compari. Chi tira i fili delle
loro mediocri avventure? Per saperlo bisogna, in ogni caso,
cominciare da quel buffo tipo venuto a Roma da Tropea.
Rocco Martino è un carabiniere fallito. Uno spione disonesto. Intorno
a lui si avverte l'aura del briccone anche se non si conosce la sua
pasticciata storia. Capitano nell'intelligence politico-militare tra
il '76 e il '77 "allontanato per difetti di comportamento". Nell'85
arrestato per estorsione in Italia. Nel '93 arrestato in Germania con
assegni rubati. E tuttavia, a sentire i funzionari del ministero
della Difesa, "fino al 1999" collabora ancora con il Sismi. E' un
doppiogiochista.
Prende dimora in Lussemburgo al 3 di Rue Hoehl, Sandweiler. Lavora a
stipendio fisso per l'intelligence francese protetto da un'agenzia di
consulenza, "Security development organization office". O, meglio
lavora anche per i francesi. Servo di due padroni, Rocco si
arrabatta. Vende ai francesi notizie sugli italiani e agli italiani
notizie raccolte dai i francesi. "Il mio mestiere è questo. Io vendo
informazioni".
Nel 1999, il gaudente Rocco è a corto di quattrini. Come gli capita
quando è "a secco", ne escogita una delle sue. La pensata gli sembra
brillante e priva di rischi. La scintilla che lo illumina è la
difficoltà dei francesi in Niger.
Per farla breve. I francesi, tra il 1999 e il 2000, si accorgono che
c'è chi si è rimesso al lavoro nelle miniere dismesse per avviare un
prospero commercio clandestino di uranio. A quali Paesi i
contrabbandieri lo stanno vendendo? I francesi cercano le risposte.
Rocco Martino annusa l'affare.
Chiede aiuto a un suo vecchio amico del Sismi. Antonio Nucera.
Carabiniere come Rocco, Antonio è il vicecapo del centro Sismi di
viale Pasteur, a Roma.
Fa capo alla 1^ e 8^ divisione (contrasto al traffico d'armi e
tecnologie; controspionaggio sulla proliferazione delle armi di
distruzione di massa "nel quadrante africano e mediorientale").
E' una sezione che si è data molto da fare alla fine degli anni '80
mettendo il sale sulla coda ai tanti spioni che Saddam ha
sguinzagliato per il mondo prima dell'invasione del Kuwait. "Con
qualche successo", a sentire un alto funzionario dell'intelligence
italiana che, all'epoca, lavorava per quella divisione. L'agente
ricorda: "Ci riuscì di mettere le mani sui cifrari nigerini e su un
telex dell'ambasciatore Adamou Chékou che annunciava al ministero
degli esteri di Niamey (è la capitale del Niger) la missione di
Wissam Al Zahawie, ambasciatore iracheno presso la Santa Sede, "in
qualità di rappresentante di Saddam Hussein".
Non fu l'unica operazione. Nel porto di Trieste riuscimmo, per dire,
a sequestrare dell'acciaio marangin (garantisce un'ottima resistenza
anche a temperature oltre i 1000 gradi). Secondo noi era destinato
alla costruzione della cascata di centrifughe necessaria a separare i
costituenti dell'uranio. Le informazioni sulla proliferazione
nucleare irachena venivano scambiate, già alla fine degli anni '80,
soprattutto con gli inglesi dell'MI6, i migliori. Lì lavorava, un
sincero amico dell'Italia come Hamilton Mac Millan, peraltro,
l'agente segreto che ha iniziato Francesco Cossiga ai misteri dello
spionaggio quando era il "residente" inglese a Roma".
Nucera decide di dare una mano al suo amico Rocco. Quello gliela
mette giù facile. Non c'è nulla che mi puoi dare, un'informazione, un
contatto buono con i nigerini? Basta qualsiasi cosa. I francesi sono
assetati come viandanti nel deserto. Vogliono sapere chi sta
comprando sotto banco il "loro" uranio. Sono disposti a pagare bene,
per saperlo.
Nell'archivio della divisione del Sismi, come abbiamo visto, ci sono
documenti utili a cucinare la frittata, guadagnando qualche soldo.
C'è il telex dell'ambasciatore e qualcos'altro si può sempre
rimediare nell'ambasciata nigerina a Roma di via Baiamonti 10.
Riconosce, con Repubblica, il direttore del Sismi, Nicolò
Pollari: "Nucera vuole aiutare l'amico. Invita così una Fonte del
Servizio - niente di che, capiamoci; al libro paga sì, ma ormai
improduttiva - a dare una mano a Martino". La Fonte del Servizio
lavora all'ambasciata del Niger a Roma. E' messa male. Vivacchia nel
retrobottega del controspionaggio. Non ha un fisso mensile
dall'intelligence italiana. E' a cottimo, per così dire.
Qui l'informazione, qui il denaro. Comunque poca cosa, pochi centoni.
Anche quelli, nel 2000, sono in pericolo. Da qualche tempo, che
comincia ad essere sciaguratamente lungo, non ha nulla da spiare e
dunque nulla da vendere.
Chiamiamo la fonte "la Signora".
Ora dovreste vederla, "la Signora". Sessant'anni, di più e non di
meno. Una faccia che deve essere stata bella e ora è un foglio
spiegazzato. La si può dire factotum dell'ambasciata nigerina.
Aspetto da vecchia zia paziente. Accento francese. Occhi ammiccanti e
complici. Parla sempre sottovoce. Anche se dice "buongiorno", lo
soffia come un piccolo fiato misterioso che sembra doverti rivelare
innominabili verità. Anche "la Signora" ha bisogno di denaro.
Nucera combina l'incontro. Rocco e "la Signora" non ci mettono molto
ad accordarsi. Qualcosa si può fare. Quel Nucera non è forse il
suo "contatto" ufficiale al Sismi? E allora perché "la Signora" non
deve pensare che sia il Servizio a volere che faccia questa cosa? Che
insomma questa cosa sia utile alla Ditta?
Rocco e "la Signora", astuti vendifumo, con la benedizione di Nucera,
trovano l'accordo. Qualche carta da prendere e vendere c'è. Occorre
però la collaborazione di un nigerino. La Signora indica l'uomo
giusto. E' il primo consigliere di ambasciata Zakaria Yaou Maiga.
Come rivela Pollari, "quel Maiga spende sei volte quel che guadagna".
La combriccola di garbuglioni gaudenti a corto di spiccioli è pronta
all'azione. Rocco Martino, la Signora, Zakaria Yaou Maiga. Nucera, lo
vediamo appena un passo indietro nell'ombra. Maiga si organizza così.
Attende che l'ambasciata chiuda i battenti per il Capodanno del 2001.
Finge un'intrusione con furto. Quando il 2 gennaio 2001, di buon
mattino, il secondo segretario per gli affari amministrativi Arfou
Mounkaila denuncia il furto ai carabinieri della stazione Trionfale,
ammette a labbra strette che quei ladri sono stati molto fiacchi.
Tanto rumore, e fatica, per nulla.
Mounkaila tace quel che non può dire. Mancano carte intestate, timbri
ufficiali, questa è la verità che è opportuno tacere. E' materiale
buono nelle mani della "squadretta" di vendifumo per confezionare uno
strampalato dossier.
Vi si raccolgono vecchi documenti sottratti all'archivio della
divisione del Sismi come i cifrari (Nucera vicecapocentro) più carta
intestata che viene trasformata in lettere, contratti e in
un "protocollo d'intesa" tra i governi del Niger e
dell'Iraq "relativo alla fornitura di uranio siglato il 5 e 6 luglio
2000 a Niamey". Il protocollo ha un allegato di due pagine dal
titolo "Accord". Rocco consegna il "pacco" ai francesi della
Direction Générale de la Sécurité Extérieure (Dgse). Ne ricava
qualche bigliettone che spende felice a Nizza. Rocco adora la Costa
Azzurra.
Fin qui siamo a una truffa degna di Totò, Peppino e la Malafemmina. A
suo modo innocua perché i francesi prendono quelle carte e le gettano
nel cestino. Dice un agente del Dgse: "Il Niger è un paese francofono
che conosciamo bene. Mai nessuno avrebbe preso la cantonata di
confondere un ministro con un altro, come accade in quelle cartacce".
Partita chiusa, dunque? No, l'imbroglio burlesco si rianima
diventando una faccenda terribilmente seria perché arriva l'11
settembre e Bush da subito comincia a pensare all'Iraq, a chiedere
prove dei coinvolgimento di Saddam.
Il Sismi richiama in campo la "squadretta" di via Baiamonti. A Forte
Braschi è arrivato un nuovo direttore, Nicolò Pollari. Come nuovo è
il responsabile delle "Armi di distruzione di massa", il colonnello
Alberto Manenti. "Un ufficiale preparato, ma assolutamente incapace
di dire "no" a un capo", dice un alto funzionario del Sismi che con
lui ha lavorato. Il colonnello Manenti conosce bene Nucera per averlo
avuto nel suo staff, per molto tempo. E' Manenti, con Nucera prossimo
alla pensione, che gli chiede di restare come "collaboratore".
Il Sismi ha voglia di fare. Ha mano libera come mai l'ha avuta
l'intelligence nel nostro Paese. Berlusconi chiede a Pollari un
protagonismo nella scena internazionale che consenta all'Italia di
sedere in prima fila accanto all'alleato americano. Le stesse
sollecitazioni arrivano dal capo della Cia a Roma, Jeff Castelli.
Occorono notizie, informazioni, utili brandelli di intelligence. Ora,
subito. Washington cerca prove contro Saddam.
La Casa Bianca (Cheney, soprattutto) stressa la Cia perché saltino
fuori. "L'assenza delle prove non è la prova dell'assenza"
filosofeggia Rumsfeld al Pentagono.
In questo clima, con il loro dossier fasullo, i vendifumo di via
Baiamonti (Rocco Martino e Antonio Nucera) possono tornare utili. Che
cosa fanno in quell'autunno del 2001? Rocco Martino la mette
così: "Alla fine del 2001, il Sismi trasmette il dossier yellowcake
agli inglesi del MI6.
Lo "passa" senza alcuna valutazione. Sostiene soltanto che è stato
ricevuto da "fonte attendibile"". Poi l'aggiusta ancora un po': "Il
Sismi voleva che disseminassi alle intelligence alleate i documenti
del dossier nigerino, ma, allo stesso tempo, non voleva che si
sapesse del suo coinvolgimento nell'operazione". Sono accuse che
Palazzo Chigi respinge con sdegno. Il governo ci mette la faccia.
Dopo che la guerra ha svelato l'imbroglio delle armi di distruzione
di massa, giura che "nessun dossier sull'uranio né direttamente né in
forma mediata, è stato consegnato o fatto consegnare ad alcuno".
La mossa è prevedibile. Governo e Sismi devono scavare un fossato tra
Forte Braschi e i passi della "squadretta" di via Baiamonti. Ma la
smentita non regge alla verifica. E' un fatto che nell'autunno del
2001 il Sismi controlla a Londra le mosse di Rocco Martino. Lo
conferma a Repubblica il direttore del Sismi Pollari: "Seguivamo
Martino e avevamo anche le foto dei suoi incontri a Londra. Volete
vederle?". E dunque perché Roma non sbugiarda subito quel suo ex-
agente vendifumo? Di più perché addirittura le notizie contenute in
quel dossier vengono accreditate da Pollari a Jeff Castelli, il capo
della Cia a Roma? E' un fatto che un report sul farlocco dossier made
in Rome finisce sul tavolo dello State Department's Bureau of
Intelligence, l'intelligence del Dipartimento di Stato. Lo riceve
l'Ufficio per gli affari strategici, militari e di proliferazione
delle armi di distruzione di massa.
Affari strategici non è un grande ufficio. Vi lavorano in quel
periodo 16 analisti diretti da Greg Thielmann. Che racconta a
Repubblica: "Ricevo il report nell'autunno del 2001. E' una sintesi
che Langley ha ricevuto dal suo field officer in Italia. L'"agente in
campo" informa di aver avuto visione dall'intelligence italiana di
alcune carte che documentano il tentativo dell 'Iraq di acquistare
oltre 500 tonnellate di uranio puro dal Niger". Dunque, il Sismi
affida quelle informazioni, che sa essere false, alla Cia. C'è una
seconda conferma. A Langley l'ambasciatore Joseph C. Wilson riceve
l'incarico di verificare la storia "italiana" delle 500 tonnellate di
uranio nigerino.
Racconta Wilson: "Il rapporto non è molto dettagliato. Non è chiaro
se l'agente che firma il rapporto ha materialmente visto i documenti
di vendita o ne ha avuto notizia da altra fonte".
Bisogna ora fermare la prima immagine di questa storia.
Autunno 2001. Il Sismi di Pollari ha in mano il farlocco dossier
costruito da Rocco Martino e Antonio Nucera. Lo mostra alla Cia
mentre Rocco Martino lo consegna a Londra al MI6 di sir Richard
Dearlove. E' solo l'inizio del Grande Inganno italiano.

http://www.articolo21.info/rassegna.php?id=2640

--- Fine messaggio inoltrato ---

PAKISTAN: L'OTAN N'AVAIT PAS ASSEZ D'HÉLICOPTÈRES ?!
[La NATO, nota "organizzazione di soccorso umanitario", non è riuscita
ad inviare nemmeno 40 elicotteri in Pakistan per soccorrere le vittime
(già almeno 50mila morti) del recente, terribile terremoto...]


Combien par contre d'helicoptères US et britanniques mobilisés pour
l'occupation de l'Irak et l'Afghanistan ? 3 ? 14 ?

Reuters, 25 octobre
http://www.alertnet.org/thenews/newsdesk/L25401566.htm

Les pays membres de l'OTAN ont envoyé beaucoup moins d'hélicoptères au
Pakistan pour l'aide d'urgence après le tremblement de terre que ce
que l'Alliance avait initialement affirmé, a déclaré ce mardi un porte
parole de l'OTAN.

Après des pourparlers avec les fonctionnaires des Nations Unies qui
coordonnes les efforts humanitaires, l'OTAN avait dit vendredi passé
que ses 26 membres (à titre individuel) avaient déjà 40 hélicoptères
au Pakistan, auxquels l'alliance ajouterait 4 autres en provenance
d'Allemagne.

Mais le porte-parole de l'OTAN James Appathurai a déclaré que ce
chiffre de 40 était incorrect, et que les membres de l'OTAN espéraient
en fait arriver à en avoir 32 à la fin de cette semaine.

"C'est un effort très compliqué, avec de l'aide venant d'une variété
de fronts, pas seulement des pays de l'OTAN, et ce n'était pas facile
de la quantifier sur une base quotidienne dans les premiers jours"
a-t-il dit en réponse aux questions. [2 semaines après le tremblement
de terre quand même]

"En se basant sur notre estimation actuelle, nous espérons avoir 32
hélicoptères sur place à la fin de cette semaine", a-t-il dit,
reconnaissant que le nombre actuel était plus petit que cela.

Le secrétaire général de l'OTAN Kofi Annan avait pressé les pays de
l'OTAN et les autres pour envoyer plus d'hélicoptères, vitaux pour
fournir l'aide aux milliers de survivant du tremblement de terre du 8
octobre, coincés dans des régions reculées, montagneuses, sans
nourriture, abris ou médicaments.

Mais les commandements de l'OTAN avaient dit la semaine passée que la
force de réaction rapide de l'OTAN n'avait pas assez d'hélicoptères,
et avaient averti que les pays membres avaient toujours été réticents
à mettre leurs propres hélicoptères à contribution.

Le plus important contributeur en hélicoptères pour l'effort
humanitaire sont les USA, avec 14 hélicoptères sur les lieux ce lundi,
selon les officiels US. De plus, 3 (trois) engins britanniques sont
arrivés il y a quelques jours.

Deux hélicoptères allemands de la mission de l'OTAN en Afghanistan
voisin étaient arrivés les jours qui ont suivi le tremblement de
terre, mais ils doivent bientôt retourner.

4 autres hélicoptères allemands devraient arriver à la fin de la
semaine, et un diplomate de l'OTAN qui a requit l'anonymat a dit que
19 hélico US devraient bientôt arriver (3 semaines après le
tremblement de terre...)


SOURCE: http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages
Liste gérée par des membres du Comité de Surveillance OTAN
VIA: Notiziario del Circolo PRC "25 Aprile" Parigi
info_prc_paris-[un]Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.

From: "Jugoistrijan"
Date: Wed, 26 Oct 2005 12:23:10
To: primapagina @ rai.it
Subject: Risposta al generale italiano

Risposta al generale...

Risposta alle dichiarazioni del Generale italiano, impegnato nella
"salvaguardia di pace" nel Kosovo e Metohija, alla trasmissione di
Radio 3, oggi, 26 ottobre, verso le ore 9 di mattina, dopo la
trasmissione "Prima pagina". Dichiarazioni che non corrispondono alla
verità, per es.: "La decisione del Consiglio di sicurezza sullo
status del Kosovo (e Metohija) dovrà tener presente che nel Kosovo
vivono 2.000.000 (due milioni) di albanesi kosovari e soltanto qualche
decine di migliaia di serbi". E le altre etnie dove stanno?

Nemmeno prima del fuggi-fuggi, durante i bombardamenti, ce ne erano
tanti. Invero alla fine degli anni ottanta TUTTA la popolazione del
Kosmet (Kosovo e Metohija) superava appena i 2 milioni, e gli albanesi
kosovari (già schipetari, così volevano esser denominati), non
superavano i 900.000. Le altre popolazioni (cioè le nazionalità!)
erano quella serba, montenegrina, jugoslava (3.500), rom, musulmana,
turca, macedone, ed altra "ignota".

La popolazione del Kosovo e Metohija alla metà del 1998 era sui
1.378.980, di cui 917.000 albanesi (Dunque tutti rimasti dal 1990 in
poi!). Allora, esimio generale, da dove sbucano questi 2.000.000 da
lei citati?!

La dichiarazione che "ci sono estremisti sia da una sia dall'altra
parte", la dice lunga su quello che lei "vuole vedere"!

La storia si ripete, quella del 1941! O per dirla, parafrasando la
nota frase, "Il fascismo torna..."


La creazione del protettorato fascista: la "Grande Albania"

Dopo l'occupazione dell'Albania da parte dell' Italia fascista
nell'aprile del 1939, la propaganda congiunta albanese-italiana
sull'imminente creazione di una "nuova" e "grande" Albania, stimolò la
nascita di un movimento ben organizzato. Così, la maggioranza degli
albanesi cominciò a credere che il fascismo finalmente provvederà a
cambiare i confini dell'Albania. Con un tale spirito e aperto
entusiasmo la maggiroanza degli albanesi hanno accolto la caduta
politica e militare del Regno di Jugoslavia (1941) e della Grecia come
"una realizzazione degli obiettivi nazionali" che risultarono
nell'annessione da parte dell'Albania fascista il Kosovo e Metohija,
Macedonia occidentale e Montenegro orientale. (!!!)

Estratto da "Kosovo e Metohija, i fatti", Ed. del Segretariato
Federale dell'Informazione, Belgrado 1998

----- Original Message -----
From: "Fulvio Grimaldi"
To: "Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia"
Sent: Wednesday, October 26, 2005 12:25 PM
Subject: Re: [JUGOINFO] Un'operazione di disinformazione (come tante
altre)

Cerchiamo sempre di fare i dietrologi e guardare dietro le quinte,
specie se si tratta di quinte erette da due tentacoli della
disinformazione legata ai servizi israelo-statunitensi come gli autori
di questa "inchiesta". Bonini e D'Avanzo sono su Repubblica
l'equivalente di Judith Miller sul NYT: due propagandisti della guerra
nazisionista. Se fanno delle "rivelazione" ai danni di Bush e del suo
ormai squalificaro e perdente entourage di gangster, rovesciando una
linea di anni, ci deve essere qualcosa sotto. Intanto, la storia del
Sismi che ha agevolato la bufola del Niger-gate e dell'uranio grezzo a
Saddam, è vecchia di almeno un anno. Era già uscita su molti giornali.
A mio avviso, ripomparla ha un solo scopo: colpire Nicolò Pollari,
capo del Sismi, sicuramente personaggio maleodorante come tutti quelli
dei servizi, ma anche profondamente inviso alla cosca di Washington e
alla destra mafioso-massonica-cattolica italiana, in particolare dopo
le ripetute imprese anti-USA di Calipari, da lui avvallate e che
avevano rivelato la matrice USA degli squadroni della morte rapitori e
decapitatori. E' un gioco interno agli equilibri politici italiani in
attuale grande subbuglio e, con una rivelazione scontata, una botta
sionista-neocon agli avversari di BBB.
Fulvio.

----- Original Message -----
From: "Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia"
Sent: Wednesday, October 26, 2005 10:57 AM
Subject: [JUGOINFO] Un'operazione di disinformazione (come tante altre)


--- In Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli., "Andrea" ha scritto:

L'INCHIESTA. Fabbricate a Roma in maniera goffa e artigianale le prove
su Saddam.

Storia del falso dossier uranio che il Sismi spedì alla Cia
Doppiogiochisti e dilettanti tutti gli italiani del Nigergate

L'ammissione di Martino alla stampa inglese: "Americani e italiani
hanno lavorato insieme. E' stata un'operazione di disinformazione"

da La Repubblica di CARLO BONINI e GIUSEPPE D'AVANZO

(...)

Da Zagabria, Jasna Tkalec ci scrive:
-------------------

Ho appena visto che il mio lavoro di quest'estate sulla Resistenza in
Bosnia e' "in rete" (si veda:
https://www.cnj.it/PARTIGIANI/resistbosnia.htm )
Sulla Bosnia non c'è nulla di nuovo da dire sulla linea del partito
comunista nell'autunno di 1941 e in tutti gli anni seguenti della
guerra e del dopoguerra fino al 1991. Però per il disastro in Bosnia
hanno grosse colpe i capi del governo occidentali che praticamente
forzarono quel vecchio illuso di Izetbegovic alla secessione dalla
Jugoslavia. Era la politica dell'Unione europea nel Capodanno
1991/1992 - me ne ricordo perche' ero fuggita a Belgrado con l'Armata
jugoslava. (Che poi questa non fu più l'Armata jugoslava è un' altro
discorso - loro hanno desistito, buttato le armi alle ortiche e nei
vertici dell'esercito tutto brulicava di scemi e di traditori). Però
l'atteggiamento di Izetbegovic, anche se d'un uomo profondamente
religioso e radicalmente estraneo a qualunque ideologia socialista o
progressista, non fu subito di distacco del paese. Lui sapeva che
grande pericolo questo rappresentasse soprattutto per la popolazione
musulmana, ma fu letteralmente aizzato e forzato dai "consiglieri"
europei a fare quello che fece - staccare la Bosnia ed Erzegovina.
Allo stesso modo, ma ancora più perverso, furono dopo aizzati gli
albanesi ad attaccare la Serbia (uccidendo i poliziotti serbi di
pattuglia e con altre provocazioni). Il risultato è sotto agli occhi
di tutti.
Non potrebbe questa Unione europea che tanto si sgola sulle colpe del
"comunismo" - che nessuno ha visto mai - ripensarci alle proprie
colpe, svolte, capitomboli negli ultimi quindici anni? Rivedere un po'
la disastrosa politica nei Balcani che ha portato ad alcune centinaia
di migliaia di morti, alla distruzione di un paese decente, ad oltre
un milione di profughi, a milioni di scombussolati, emigrati,
dispersi, divisi o disperati. Un po' di questa marea ha investito pure
l'Europa - ma questa li tratta come le pare; ciascuno sarebbe un caso
singolo e non sarebbero tutti la conseguenza collettiva di una
politica sbagliata, anzi sbagliatissima, (ri)nata nel cuore
dell'Europa e dell'Unione europea!?

L'altra domenica ho visto in TV il concerto di Djordje Balasevic a
Mostar e si poteva proprio non soltanto vedere ma toccare con la
mano come quel paese e quell'unione che fu (la Jugoslavia) manca ai
bosniaci. C'era gente di tutte le eta' e di tutte le generazioni,
profondamente commossa, che cantava (e piangeva) con il cantante della
nostalgia balcanica...
Le giovani generazioni (soprattutto quelle con un grado di istruzione
un po' più alto) mostrano in tante maniere il loro bisogno di avere
contatti reciproci, la curiosità verso gli altri, ed anche un sentire
comune nel disagio - il che non si può dire per i politici e
per l'odio che in un modo o nell'altro essi continuano a coltivare.

Tre settimane fa ho poi avuto la (triste) opportunità di visitare una
parte di Krajina. Era (ed è) una cosa vergognosa ed inaudita come sono
distrutti i villaggi (serbi) nell'entroterra croato, da Dubrovnik fino
a Karlovac. Soprattutto se ci si inoltra nei villaggi, si passa
accanto a centinaia (e forse migliaia) di case orrendamente
distrutte, di intere regioni spopolate, di tracce incancellabili dello
scontro idiota e scellerato... e nessuno nemmeno si prende la briga di
nascondere tutto questo. In un villaggio distrutto - dove avevano la
faccia tosta di tenere un convegno sullo scrittore Desnica - serbo di
nazionalità ma appartenente alla letteratura croata, dunque molto in
voga perchè in odore di dissidenza, uno che alla letteratura impegnata
preferiva i pensieri proustiani, eppoi era di una famiglia "di
signori"... - ho visto cani tanto spellacchiati che non si riconosceva
più se erano cani o gatti, e bambini ridotti ancora peggio giocare
nei campi minati. Bambini che quando gli rivolgi la parola ti fissano
con certi occhi e non rispondono, non si fidano; non si capisce di chi
sono, chi li ha messi al mondo e dove sono coloro che li hanno messi
al mondo... Una cosa che uno immagina si possa vedere soltanto in
Brasile o in Africa, invece è qui, dietro l'angolo, e la potrebbero
vedere anche i turisti che "scoprono" le splendide coste croate, se
si inoltrassero appeno qualche kilometro nell'entroterra...

Eppoi qui il 4 ottobre è venuto Ciampi a chiedere due, anzi tre cose:
La tutela delle minoranze (anche le altre, non soltanto quella
italiana, spero); poi il libero accesso degli italiani al mercato
immobiliare (sulla costa suppongo); e la restituzione dei beni degli
"optanti" (ma questa cosa non è stata gia' regolata con la Jugoslavia,
e non era stata calcolata nei danni di guerra?). Comunque, peccato che
il Ciampi che viaggia sia Ciampi ufficiale dell'esercito regio in
Albania (1941-1943) e non il Ciampi partigiano sui monti Albani
(1943-1945). Quest'altro Ciampi pare sia già deceduto... Peccato.

(...) Oggi sono stata all'Istituto italiano di cultura a sentire
Magris e sono tornata assai inorridita per l'enorme successo ed
importanza che si da in Croazia ai libri di Magris, non buona
letteratura ma falsificazione storica.
(Su Magris si veda anche la Lettera Aperta di Alessandra Kersevan:
https://www.cnj.it/documentazione/movadia.htm )
Pensate che in Croazia sono stati tradotti (a Fiume) cinque libri di
Magris e che l'ultimo parla naturalmente non di foibe, ma dell'Isola
calva... "Alla cieca" si chiama uno di questi, riferendosi
all'ammiraglio Nelson che bombardò Kopenhagen anche due ore dopo che
questa città aveva messo fuori la bandiera bianca. Alla domanda,
perche' lo facesse, Nelson aveva risposto che bombardava alla cieca,
perche' aveva appoggiato il canocchiale sull'occhio orbo!
Anche questo qui, di Magris, e' un "bombardamento alla cieca" di tutto
cio' che fu il Novecento e naturalmente il movimento rivoluzionario in
esso. Coloro che finirono sull'Isola calva erono - ha detto lo
scrittore - gente sbagliata al tempo sbagliato e nel posto
sbagliato (con le idee sbagliate)... Secondo me è sbagliato parlare
dell'Isola calva e tacere su Abu Graib e Guantanamo ed essere ciechi
sui crimini del mondo in cui viviamo e che lasceremo in eredità ai
nostri figli. Magris è diventato molto grosso e grasso, ha un enorme
successo, è tradotto in 17 lingue ed ha ricevuto un'infinità di premi
letterari. Mio figlio dice che Magris è piu stampato e tradotto in
termini di tiratura di Mao Ze Dong e che il successo di Magris viene
dal Congresso della Bolognina, la svolta della Bolognina e la sua
concezione di cultura, storia, politica e, appunto, della storia della
politica. Pensare che - a parte le pernacchie della cultura di
Zagabria presenti con gli italiani legati all'ambasciata che sentono
la nostalgia del loro paese e seguono il lavoro dell'Istituto anche
quando non sono in grado di capirlo o di valutarlo -, c'era
una ottantina di giovani, chili di carne umana senza troppo cervello,
che è tirata su a colpi di Magris e "Cuore nel pozzo" e in quella
maniera gli fanno avvicinare la letteratura e l'opera cinematografica
italiana!... Per fortuna ci sono anche cose migliori. A noi ci
tiravano su con Hemingway ed Andrè Malraux - ma erano altri tempi.
Questi come Magris - non quelli dell'Istituto che fanno il loro lavoro
come possono, rispettando le direttive da Roma - nonche' quelli del
film "Il cuore nel pozzo", sono questi i veri avvelenatori dei pozzi,
e io mi chiedo: che cosa penseranno i giovani d'oggi ai quali viene
servito un tale minestrone "salutista" del Novecento, dove tutto era
errato e i comunisti come nazisti equiparati per crimini efferati ed
offese all'italianità?...
Per non parlare dei premi letterari e delle altre onoreficenze di cui
Magris gode in patria e all'estero (soprattutto Spagna, Germania ed
Austria! e non sono cattiva) e dei viaggi e ricerche che fece, e di
cui ha parlato, in tutte le parti del mondo (le più belle ed
interessanti). Oggi si è parlato della ex-Jugoslavia dall'agolazione
dell'Isola Calva, e della guerra di Spagna come di un conflitto fra
comunisti ed anarchici. E tutto il resto - nulla, buio! Ma sull'Isola
Calva finirono in 2000 e noi eravamo per cinquant'anni piu' di venti
millioni. Ma pare che non siamo mai esistiti...

Ancora su Magris: ho letto tempo fa un suo romanzo sui cosacchi del
Don finiti nella Carnia e mi sono meravigliata per come sia riuscito a
dipingere le truppe dei peggiori quisling, qui chiamati "cercassi",
del generale Vlasov, macchiatisi di crimini odiosi e di violenza alle
donne, come fossero dei ragazzi simpatici, figli di contadini che
legano con le contadine della Carnia in modo simpatico,
sfortunatamente presi in giro dalla storia... e che finiscono per un
errore ed un' ingiustizia storica in modo tragico...
Gia li, anche se al momento non me ne ero accorta, con questa
falsificazione, era iniziato quel processo revisionista che adesso
vive il suo momento ruggente; ma lo scopo non era e non è falsare la
storia in se, quanto piuttosto estromettere la sinistra radicale, i
comunisti, coloro che pensano e lottano, farli diventare inaccettabili
non soltanto alla buona società ma alla società intera. Naturalmente
questo processo sarebbe impossibile senza un vasto lavoro culturale,
informativo, artistico anche, di lungo respiro di falsificazione bella
e buona di tutti gli eventi del Novecento, della storia del movimento
operaio e delle due guerre mondiali, e soprattutto del movimento
di Resistenza. Per questa opera nobile si sono spesi molti soldi e non
si disdegna neanche la sottoborghesia croata, ci si allea con i
crucchi e con i turchi - tanto tutto fa brodo, basta che passi la
nostra versione. E si inventano due o tre intellettuali o quasi, due
o tre scrittori e registi, e gli si fa strombazzare idiozie ad uso di
quelli con la memoria corta e delle nuove leve tirate su in una
Europa, come dice Castellina, macdonaldizzata. Bella roba...

Altre informazioni:

Nel numero di Limes che dovrebbe già essere in edicola (dal 15
ottobre) si trova un articolo di Luka Bogdanic sulla Croazia e l'Europa.

Bellissimo l'articolo di Bruno Steri sull'imperialismo (si veda:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4275 ),
andrebbe tradotto e pubblicato in serbocroato - ma dove, se questi qua
(in Croazia) non mi stamperebbero mai e quelli di Belgrado e dintorni
stanno in questo momento celebrando la loro luna di miele con il
capitalismo mondiale nonche' casereccio?

Nell'ultimo numero de l'Ernesto ho apprezzato molto gli articoli di
Castellina e di Catone sull'Europa (nonche il bellissimo discorso di
Chavez) ma ancora di più l'articolo di quel vecchio compagno
(Ricaldone) che difende la Resistenza. Ho infine capito perche'
l'Italia abbia capitolato proprio il 25 luglio del 1943: i gerarchi
avevano capito che dopo la battaglia di Kursk era soltanto questione
di tempo quando l'Armata Rossa sarebbe entrata in Berlino. Anche se
qualche "romano" non e' d'accordo e pensa piuttosto che successe
perche' le bombe degli alleati erano cadute su Roma il 16 luglio... la
burocrazia romana era impreparata a subire i bombardamenti a tappeto
che la Germania invece sopportava da lunghi mesi, e non era incline a
soffrire per alcunche', tantomeno per una guerra che riteneva gia'
persa e le destava pochi entusiasmi sin dal principio. Chi ha ragione?

[ Una traduzione della poesia che segue, ed un dettagliato articolo
sulla strage nazifascista di Kragujevac, si possono leggere al sito:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3921 ]

Krvava bajka

Desanka Maksimovic



Bilo je to u nekoj zemlji seljaka

na brdovitom balkanu,

umrla je mucenickom smrcu

ceta djaka

u jednom danu.



Iste su godine

svi bili rodjeni,

isti su im tekli skolski dani,

na iste svecanosti

zajedno su vodjeni,

od istih bolesti svi pelcovani,

i svi umrli u istom danu.



Bilo je to u nekoj zemlji seljaka

na brdovitom Balkanu,

umrla je mucenickom smrcu

ceta djaka

u jednom danu.



A pedeset i pet minuta

pre smrtnog trena

sedela je u djackoj klupi

ceta malena

i iste zadatke teske

resavala: koliko moze

putnik ako ide peske...

i tako redom.

Misli su im bile pune

istih brojki

i po sveskama u skolskoj torbi

besmislenih lezalo bezbroj

petica i dvojki.



Pregrst istih snova

i istih tajni

rodoljubivih i ljubavnih

stiskalo se u dnu dzepova.

I cinilo se svakom

da ce dugo,

da ce vrlo dugo

trcati ispod svoda plava

dok sve zadatke na svetu

ne posvrsava.



Bilo je to u nekoj zemlji seljaka

na brdovitom Balkanu,

umrla je mucenickom smrcu

ceta djaka

u istom danu.



Decaka redova celi

uzeli su se za ruke

i sa skolskog zadnjeg casa

na streljanje posli mirno

kao da smrt nije nista.

Drugova redovi celi

istog casa se uzneli

do vecnog boravista.

L'articolo che segue appare sull'ultimo numero (4/2005) de L'ERNESTO
(vedi l'indice al sito: http://www.lernesto.it/index.aspx?m=53&did=4 )

Si svolgerà ad Atene il 29-30 ottobre 2005

Verso il congresso del Partito della Sinistra Europea

L'esperienza del primo anno e mezzo di vita della SE conferma tutti i
problemi che erano già emersi alla sua fondazione.
Resta aperta l'esigenza di un Forum pan-europeo, capace non di
dividere, ma di unire i comunisti e le sinistre anticapitalistiche di
tutto il continente.

di Fausto Sorini


Il 29-30 ottobre 2005 si terrà ad Atene, ospite il Synaspismos, il
primo Congresso del Partito della Sinistra Europea (SE), a un anno e
mezzo di distanza dal Congresso costituente svoltosi l'8-9 maggio 2004
a Roma. Come è noto, noi ci esprimemmo criticamente su quella scelta.
E poiché riteniamo che, nella sostanza e sulla base dell'esperienza
compiuta, non sono venute meno le ragioni di quella critica, vogliamo
riprenderle e attualizzarle.

1) Avevamo condiviso – e seguitiamo a condividere - la Tesi 35 e il
documento politico conclusivo del 5° Congresso nazionale del Prc
(2001), dove si prospettava l'esigenza della "costruzione di un nuovo
soggetto politico europeo (non si parlava di un partito- ndr) per
unire…le forze della sinistra comunista, antagonista e alternativa su
scala continentale … nelle loro diversità politiche e organizzative" e
senza pensare "né ad una fusione organizzativa, né ad un compattamento
su base ideologica". Il punto è che il progetto concreto che è stato
messo in campo e perseguito, le sue modalità di attuazione, il suo
profilo politico e identitario, non hanno unito, ma diviso tali forze;
non hanno avuto un profilo continentale, ciò pan-europeo (inclusivo di
tutte le grandi aree del continente, dal Portogallo agli Urali), bensì
sostanzialmente rivolto ai soli Paesi dell'Unione europea; e nella
definizione del profilo identitario e dello Statuto fondante della SE
si sono deliberatamente introdotte formulazioni di natura ideologica
(in relazione alla storia del movimento comunista), ben sapendo che
quelle formulazioni, che si prestano a svariate interpretazioni,
sarebbero state inaccettabili per numerosi e importanti partiti
comunisti europei, dell'Est e dell'Ovest. Tale rigidità era quindi
volta coscientemente (non troviamo altra spiegazione plausibile) ad
escluderli o a provocarne artificiosamente divisioni interne. Tanto è
vero che si è respinto e si continua a respingere ogni tentativo di
dire la stessa cosa (e cioè la critica ai processi degenerativi
manifestatisi in alcune fasi e situazioni della storia del movimento
operaio) con formulazioni su cui sarebbe possibile avere un consenso
pressoché unanime, proprio perché non interpretabili come un giudizio
liquidatorio di tutta una fase dell'esperienza storica del movimento
comunista del `900. (1)

2) Si sono dunque prodotte divisioni tra i maggiori partiti comunisti
e di sinistra alternativa europei ed una incrinatura del rapporto di
fiducia reciproca, che non si sono certo ricomposte nel corso
dell'ultimo anno, ma che tendono anzi a cristallizzarsi, e a
riproporre – in un contesto storico-politico assai diverso - una
divaricazione in due poli del movimento comunista in Europa, come ai
tempi dell'"eurocomunismo" (solo che ieri quella divisione era
politica, oggi tende addirittura a strutturarsi in un partito
sovranazionale, e scusate se è poco…). Una situazione che rende più
difficile operare in un clima di autentica solidarietà e unità
d'azione e tende ad accentuare e polarizzare divergenze politiche,
programmatiche, identitarie.
Con differenti motivazioni, si sono pronunciati in modo critico sulle
modalità di formazione della SE (e oggi riconfermano le loro critiche)
il Pc portoghese, quello greco (Kke), l'Akel di Cipro, la quasi
totalità dei Pc dell'Europa orientale e delle regioni europee
dell'area ex sovietica, i partiti della cosiddetta `Sinistra verde
nordica', e altri. Constatiamo, dunque, che la parte di gran lunga più
consistente delle forze politiche a sinistra dell'Internazionale
Socialista resta fuori o è fortemente critica sulla SE : e stiamo
parlando non di gruppuscoli testimoniali, ma di partiti che hanno
reali dimensioni ed influenza di massa, alcuni dei quali riscuotono
nei loro rispettivi paesi percentuali di consenso elettorale a due
cifre. In questi casi, il numero fa sostanza ed è fedele specchio di
un metodo unitario. E se è vero che alla SE aderiscono partiti
comunisti e di sinistra alternativa che fanno parte di alcuni dei
Paesi chiave dell'Unione europea (Germania, Francia, Italia, Spagna),
è anche vero :
- che in almeno due di questi quattro paesi (Francia e Italia) la
sinistra comunista e alternativa è profondamente divisa rispetto alla SE;
- che tutta la sinistra comunista e alternativa della Gran Bretagna,
paese chiave al pari di Francia e Germania, è fuori dalla SE;
- che in ogni caso l'Ue non rappresenta tutta l'Europa.

3) Il processo di costruzione e di sviluppo della SE è stato dunque e
continua ad essere viziato da un approccio politicamente e
ideologicamente selettivo, come non mancano di rilevare tutte le forze
comuniste e di sinistra alternativa che non vi hanno aderito o che
sottolineano la loro criticità mantenendo uno status di osservatori.
Ed ha prodotto un processo inverso a quello, unitario e ricompositivo,
che si era prodotto in Europa, e segnatamente nei paesi dell'Ue, dopo
la grande crisi del 1989 e il crollo del campo socialista in Europa.
Basti pensare che nel 1989 la sinistra comunista presente nel
Parlamento europea era divisa in due gruppi parlamentari distinti, e
ciò in conseguenza della scelta compiuti alcuni anni prima dall'ultimo
Pci e da Izquierda Unida di rompere il gruppo comunista unitario, dove
essi si trovavano insieme ai comunisti francesi, portoghesi e greci,
per dare vita ad un gruppo distinto (la storia viene da lontano…).
Dopo il terremoto dell'89 si aprì un travagliato processo
ricompositivo che portò infine, nel 1994, alla formazione del GUE-NGL
(Sinistra Unitaria Europea-Sinistra Verde Nordica), cioè al gruppo
unitario al Parlamento europeo, che sussiste ancora oggi. E dovrebbe
indurre a qualche riflessione la semplice constatazione che dei 41
deputati europei che oggi compongono il GUE-NGL, sono solo 17 quelli
che fanno parte di partiti membri a pieno titolo della SE (e stiamo
parlando qui dei soli partiti dei Paesi dell'Ue). (2)

4) Si è voluto talvolta ironizzare sulla "contabilità" che abbiamo
evidenziato in rapporto a tali divisioni. Sta di fatto che su oltre 40
partiti comunisti e di sinistra alternativa attivi nei paesi dell'Ue,
che diventano una sessantina se si considera tutta l'Europa, solo 15
vi hanno aderito a pieno titolo. Tutti gli altri ne hanno preso più o
meno nettamente le distanze, o scegliendo di partecipare ai suoi
lavori con lo status di osservatori (9 partiti), o restandone fuori. (3)
Dei 15 partiti che oggi sono membri a pieno titolo della SE (di cui
tre sono articolazioni di Izquierda Unida spagnola), uno solo è un
nuovo ingresso dopo la fondazione del maggio 2004, e si tratta del
Blocco di Sinistra portoghese : una formazione politica che è un mix
di componenti trotzkiste, ex maoiste e di nuova sinistra e che si
caratterizza nel panorama politico portoghese per una forte
contrapposizione politica e ideologica al PCP (oltre ad essersi
opposta alla eventualità che al congresso di Atene fosse presente, tra
gli invitati extra-europei,anche una delegazione del PC cinese…).
E poiché, certamente, non solo il numero dei partiti conta, ma anche
la loro influenza, consistenza e identità, ci permettiamo di
rammentare ai nostri critici che questi 15 partiti organizzano oggi
complessivamente 300-350.000 iscritti, con un bacino elettorale di
circa 8 milioni di voti (di cui la metà dovuti al recente successo
elettorale della Die Linke-Pds tedesca, che Le Monde Diplomatique
definisce come "alleanza socialdemocratica di sinistra"). Gli altri
contano nella sola UE circa 400.000 iscritti e circa 6 milioni di
voti; e complessivamente, considerando l'insieme del continente, circa
1 milione di iscritti e oltre 20 milioni di voti.
Sono ovviamente dati approssimativi, con una qualche mobilità
elettorale, che servono solo per avere un'ordine di grandezza, non già
per fare i conti col bilancino del farmacista. Ma che consentono di
affermare che gli "inclusi" a pieno titolo nella SE contano oggi in
voti e iscritti circa il 25% dell'insieme della sinistra comunista e
alternativa del continente. E queste sono, grosso modo, le proporzioni
che esistevano all'atto della fondazione della SE, senza cioè che nel
corso degli sviluppi dell'ultimo anno e mezzo si siano determinate
dinamiche ricompositive. Alcuni tentativi fatti ad esempio dal KSCM
(PC ceko, osservatore nella SE) per avviare processi inclusivi, sono
stati stroncati sul nascere dai rappresentanti dei partiti "leader"
della SE, nonostante essi fossero visti con favore anche da altri
osservatori e membri effettivi. (4) Il che segnala un malessere
diffuso per una gestione poco collegiale della vita interna della SE.

5) E' sconcertante che, mentre i partiti europei socialdemocratici e
conservatori lavorano sull'insieme del continente, Russia compresa, e
così le borghesie e le élites più lungimiranti (si pensi all'asse
franco-tedesco-russo), siano proprio i gruppi dirigenti dei maggiori
partiti della SE (la più parte di essi) ad operare come se vi fosse
ancora il Muro di Berlino e a ignorare l'altra parte dell'Europa. Dove
si trovano alcuni dei maggiori partiti comunisti e di sinistra
anticapitalistica del continente, che vengono sistematicamente esclusi
dai processi di aggregazione della sinistra europea, sulla base di
veti e preclusioni di natura ideologica.
Nel Consiglio d'Europa (organismo dove sono presenti delegazioni dei
Parlamenti nazionali di tutti i paesi europei, non solo Ue) esiste un
gruppo parlamentare che si chiama anch'esso Gue, presieduto da uno
svedese, che comprende non solo esponenti di partiti che fanno parte
del Gue del Parlamento europeo, ma anche rappresentanti comunisti e di
sinistra di paesi esterni all'UE, come Norvegia, Russia, Ucraina,
Moldavia…Una sorta di GUE pan-europeo, di cui non si parla mai…(5).
Basterebbe far funzionare questo Gue-bis congiuntamente al GUE del
Parlamento europeo (entrambi hanno sede a Strasburgo) ed ecco che già
esisterebbe una sede politica e istituzionale in cui operare su un
piano pan-europeo, senza preclusioni nei confronti di alcuno. Solo che
manca la volontà politica, da parte di alcune forze della sinistra
dell'Europa occidentale, di operare in questo senso, superando
preclusioni che non sono geografiche, ma di natura politico-ideologica.

6) E' difficile negare che, al di là delle migliori intenzioni,
l'attività della SE nell'ultimo anno e mezzo abbia avuto scarsa
visibilità ed incidenza sugli eventi politici, su scala europea e
anche nella vita politica nazionale dei singoli Paesi, a partire da
quelli dei maggiori partiti promotori (praticamente non se ne è quasi
mai sentito parlare, neanche in Italia, che pure è il paese dove se ne
è parlato di più). Più che di una critica si tratta di una
constatazione, che non registriamo certamente con soddisfazione.
La SE non ha trovato alcuno spazio neppure nel congresso di Izquierda
Unida dell'anno scorso, anzi recentemente una nota del PCE in
relazione al congresso di Atene rileva proprio la "visibilità assai
modesta" di questo nuovo soggetto politico. E non è privo di
significato che il congresso del PCE del giugno 2005 abbia approvato,
col 76% di voti a favore, un emendamento che respinge l'idea di
associare il logo con la scritta "Sinistra europea" al simbolo del PCE.
Si è voluto da parte di alcuni attribuire alla SE un ruolo "trainante"
nella campagna per il NO alla Costituzione europea nei referendum di
Francia e Olanda (una scelta di per sé assolutamente positiva), le cui
dinamiche interne sono state determinate essenzialmente dalle forze
politiche nazionali, indipendentemente dalla loro appartenenza alla
SE. Il Olanda il Partito Socialista (che fa parte del GUE ed è stato
l'anima del NO di sinistra nel suo paese) non fa parte neppure come
osservatore della SE. E persino in Francia, non è privo di significato
che nel Comitato nazionale del PCF che ha discusso della vittoria del
NO, né la relazione, né gli interventi, né la risoluzione conclusiva
(tutti riportati dalla stampa di partito) abbiano fatto,
sorprendentemente, neppure un solo cenno al ruolo della SE.
Anche in Italia, che pure è il Paese dove più si è parlato della SE –
anche se essenzialmente su Liberazione – bisogna riconoscere che la
questione è sostanzialmente assente dal dibattito politico a sinistra
degli stessi addetti ai lavori, dalla campagna delle primarie e
persino dall'iniziativa sul territorio dei quadri dirigenti del PRC :
cosa di cui il gruppo dirigente nazionale vicino a Bertinotti (che è
anche Presidente della SE) ha avuto motivo più volte di lagnarsi coi
suoi stessi quadri. Tanto più che l'attuale maggioranza del PRC
ritiene che "sul fronte italiano, la SE riveste un ruolo centrale nel
nostro partito in vista della costruzione della Sinistra Alternativa",
per non "essere schiacciati da una parte dalla proposta Asor
Rosa-Diliberto, dall'altra per non essere inglobati come la parte più
radicale e di sinistra all'interno dell'Unione".
Più complesso il caso tedesco, ma pressochè tutti gli osservatori
tedeschi e internazionali tendono a presentare il successo importante
delle liste della Die Linke-Pds - cui hanno concorso forze diverse,
non tutte appartenenti alla SE (a partire dal capolista Lafontaine e
dal suo raggruppamento) - come determinato essenzialmente da dinamiche
interne alla sinistra tedesca.

7) Per quanto riguarda le Tesi politiche e programmatiche del
Congresso di Atene, proprio mentre siamo in chiusura di giornale, ci
viene fatto conoscere un testo non ancora ufficiale . Vi ritorneremo,
in modo più puntuale, nel dibattito che presumibilmente si aprirà
sulle pagine di Liberazione. Allo stato attuale ci limitiamo ad
evidenziare alcune questioni generali di impianto.

- Il documento esprime posizioni su molte delle quali è possibile e
auspicabile una convergenza di tutte le forze comuniste e progressiste
interne ed esterne alla SE. Positivo è certamente il sostegno alla
battaglia dei NO nei referendum sulla Costituzione europea, anche se
il progetto di "un'altra Europa" resta confinato nei limiti
dell'Unione europea, come se essa fosse tutta l'Europa. Scompare ogni
riferimento pan-europeo, all'Europa "dall'Atlantico agli Urali", che
pure era presente nei documenti varati l'anno scorso a Roma, dove si
affermava, diversamente da oggi, di respingere "una UE intesa come
alleanza militare". Si contesta giustamente un' ipotesi di "esercito
europeo sotto il controllo della Nato – che significa sotto il
controllo USA – come una minaccia all'indipendenza e all'autonomia
dell'UE" e si contrastano ipotesi di riarmo europeo; ma non si indica
su quali basi (non velleitarie) dovrebbe fondarsi "una politica estera
e di sicurezza comune a tutta l'UE" che ha implicazioni anche militari
(quali?) e che, per essere tale ed escludere ipotesi di riarmo, non
può riguardare solo l'UE, ma deve fondarsi su accordi interstatuali
che coinvolgono tutta l'Europa, Russia compresa.
Viceversa, si ignora la Russia, ma si sostiene "l'ingresso della
Turchia nella UE", ovvero l'ingresso di uno dei principali bastioni
dell'imperialismo USA e della NATO nella regione, destinato a far
pendere l'equilibrio nell'UE sempre più a favore dell'influenza USA
sul continente. Si chiede il ritiro dall'Iraq delle truppe occupanti,
ma non dall'Afghanistan, dove truppe di Paesi UE operano sotto comando
NATO. E manca ogni riferimento al grave coinvolgimento di tanti paesi
UE nella guerra della NATO contro la ex Jugoslavia, dove permangono
truppe di occupazione.

- Positiva è la "proposta di taglio delle spese militari, la chiusura
delle basi USA e la dissoluzione della NATO". E così pure la scelta di
"opporsi ad ogni genere di cooperazione militare con la NATO e
prevenire il dispiegamento di forze armate come quelle che supportano
gli USA dove essi intervengono"; e, su scala globale, "la distruzione
di tutte le armi di di massa" : su questi punti decisivi – che sono
forse i passaggi migliori del documento - il problema è che ben poco
si è fatto da parte della SE (non basta "proporre") e nulla si
prospetta nelle Tesi in termini di mobilitazione organizzata su base
continentale (mentre in Italia anche PRC e PdCI sottoscrivono con
Prodi un documento di intenti per un eventuale governo dell'Unione in
cui si conferma "il rispetto degli impegni derivanti dai Trattati e
dalle Convenzioni internazionali liberamente sottoscritti"
dall'Italia, tra cui appunto la NATO!).

- Il profilo politico-programmatico e identitario complessivo richiama
(nei contenuti, nel linguaggio, nella cultura politica) quello di una
socialdemocrazia di sinistra, che si distingue sia dalle prevalenti
impostazioni social-liberali e atlantiste della maggioranza della
socialdemocrazia europea, sia da posizioni comuniste o di sinistra
dichiaratamente anti-capitalistica e antimperialista. Esso richiama,
attualizzandoli, approcci che furono presenti nella sinistra laburista
(prima della svolta di Blair) o nella socialdemocrazia tedesca alla
Willy Brandt (comunque interni alla svolta di Bad Godesberg).
Nel linguaggio spicca un certo "genericismo di sinistra" (che sovente
copre ambiguità e nodi irrisolti). Si prospettano "alternative e
proposte per la necessaria trasformazione delle società capitalistiche
contemporanee" (che è cosa assai diversa da una prospettiva di
superamento); con l'obbiettivo di "una società più egualitaria…che
contribuisca alla promozione di solidarietà e di alternative
democratiche, sociali ed ecologiche".
Si prospetta "un nuovo contratto sociale del XXI secolo che faccia gli
interessi di tutti i popoli della terra, delle questioni ambientali,
dei valori democratici, della pace, della giustizia sociale, della
coesistenza tra i popoli". E' assente ogni orizzonte strategico
anti-capitalista, antimperialista, che prospetti l'obiettivo storico
del socialismo e della costruzione di una società alternativa al
capitalismo. Scompare anche ogni nozione "anti-imperiale", che pure
qualche fortuna aveva avuto nel lessico del movimento
alter-mondialista. Scompare il termine "comunista", comunque lo si
voglia declinare, e non è poco per un forza europea che è sorta
ponendosi come punto di riferimento per l'insieme della sinistra
alternativa europea, di cui i comunisti e i partiti comunisti sono
parte rilevante. E non si dice una parola sul sostegno alla lotta del
popolo irakeno contro l'occupazione militare.

- Il progetto strategico che si profila (sarebbe diverso se esso fosse
indicato come obbiettivo tattico di fase) appare quello di un
capitalismo regolato, riformato e temperato nelle sue pulsioni
liberiste e militariste, con il recupero di uno Stato sociale e di uno
"spazio pubblico" nell'economia e nei servizi, che consenta appunto di
contenere e bilanciare, nell'ottica tradizionale della
socialdemocrazia, le spinte più pericolose del capitalismo. Si dirà :
non è poco, coi tempi che corrono. E' vero. Ma può essere questo il
profilo strategico e politico-identitario di una forza che voglia
tenere aperto, in Europa e nel mondo, l'obiettivo storico del
socialismo come "nuovo mondo possibile"?

8) Che fare, dunque? Per non cristallizzare divisioni irrimediabili
tra le forze comuniste e di sinistra alternativa europee e tenere
aperto un processo unitario e ricompositivo, è necessario riprendere
l'iter della discussione per la costruzione di un soggetto europeo su
basi unitarie e paritarie, bandendo veti, pregiudiziali, esclusioni di
ogni tipo: aprendo a tutte le forze comuniste e di sinistra
alternativa del continente, per pervenire insieme a soluzioni
unitarie. "Proprio la consapevolezza dell'importanza del terreno
europeo e la necessità di coinvolgere tutte le forze che si collocano
a sinistra della socialdemocrazia, ci inducono a ribadire la necessità
di costruire un Forum o un Coordinamento permanente e strutturato (sul
tipo di quello realizzato a San Paolo del Brasile), in grado di
comprendere l'intera sinistra comunista, anticapitalista e
antimperialista dell'Europa, dall'Atlantico agli Urali". E' evidente
che, se la SE europea dovesse prendere iniziative in questa direzione
(come auspicano anche importanti partiti membri e osservatori di essa)
tutta la discussione potrebbe essere suscettibile di evoluzioni
positive.

(20 settembre 2005)

NOTE

(1) In una intervista rilasciata il 19 agosto 2005 ad Halò noviny,
quotidiano del Partito comunista di Boemia e Moravia (KSCM), il
responsabile esteri del partito ha dichiarato in proposito : "Nel
preambolo dello statuto della SE l'utilizzo della nozione di
"stalinismo" dà origine a una quantità di diverse possibili
interpretazioni e reminiscenze riguardanti il passato. La nozione di
"stalinismo" non è affatto comunemente e univocamente accettata. Si
tratta di una nozione di cui tra l'altro si è abusato per attaccare
tutta la storia del socialismo in Europa. Peraltro la nozione di
"stalinismo" non è neppure comprensiva di tutte le pratiche non
democratiche e di tutti i delitti, che lo stesso movimento comunista
ha già per parte sua condannato, distanziandosene, e che considera
anche per il futuro inaccettabili.
Oggi sono soprattutto gli avversari politici che definiscono alcuni
partiti come "stalinisti".
Abbiamo proposto di sostituire l'espressione : "pratiche e crimini
stalinisti", con termini più estensivi, come ad esempio "tutte le
pratiche e i crimini antidemocratici". Nell'incontro del luglio scorso
con i rappresentanti della Pds tedesca abbiamo proposto, come
possibile compromesso, un' eventuale aggiunta: "compresi quelli cui
prese parte Stalin", oppure la cancellazione del testo oggetto della
controversia". [vedi il testo integrale alla URL:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4546 ]
Tutte le proposte del KSCM sono state finora respinte.

(2) Sui 41 euro-parlamentari del GUE-NGL, sono solo 17 quelli che
fanno parte di partiti membri a pieno titolo del Partito della
Sinistra Europea-SE [ i MEP di PCF (2), PRC (5), Izquierda Unida (1,
membro del PCE), Synaspismos (1), PDS tedesca (7), Blocco di Sinistra
portoghese (BE) (1) ].
Dieci sono quelli di partiti "osservatori" della SE (i 6 MEP del KSCM
(PC di Boemia e Moravia), i 2 di AKEL, i 2 del PdCI).
Quattordici sono i MEP di partiti che non partecipano in alcun modo
alla SE [ (KKE (3), PCP (2), Socialisti olandesi (2), Sinn Fein (1),
Socialisti scozzesi (1), Sinistra Verde Nordica (4 = 1 danese, 2
svedesi, 1 finlandese), il PC di Reunion – territori francesi
d'Oltremare (1) ].

(3) Ecco l'elenco dei partiti membri della SE e degli osservatori (tra
parentesi, la prima percentuale si riferisce al risultato delle ultime
elezioni politiche, la seconda alle europee del 2004).

Membri effettivi:
-PC austriaco (0,6% - 0,8%);
-Partito del socialismo democratico ceko (0,1% - 0,1%);
-Sinistra di Estonia (= - 0,5%);
-PC francese (4,8% - 5,3%);
-PDS tedesca (4,0 % nelle politiche del 2002, 8,7% nelle recenti
politiche, dopo si presentava insieme al raggruppamento di Lafontaine
- 6,1% alle europee);
-Synaspismos greco (3,3% - 4,2%);
-Partito operaio ungherese-Munkaspart (2,2% - 1,6%);
-PRC (5,0% - 6,1%);
-Rifondazione comunista di San Marino (3,4% - = );
-Alleanza socialista di Romania (0,3% - =);
-Partito svizzero del lavoro (0,7% - =);
-Blocco di Sinistra portoghese (5,1% - 6,5%);
-Izquierda Unida spagnola , PC di Spagna, EUiA di Catalogna : iscritte
alla Sinistra Europea come tre formazioni distinte, ma che alle
elezioni nazionali ed europee fanno parte di un'unica entità
politico-elettorale (5,0% - 4,2%).

Osservatori:
-PC ceko – KSCM (18,5% - 20,3%);
-PC slovacco (6,3% - 4,6%);
-AKEL di Cipro (34,8% - 27,4%);
-Alleanza rosso-verde danese (3,4% - =);
-PdCI (1,7% - 2,4%);
-PC tedesco-DKP (= - 0,1%);
-Sinistra lussemburghese (1,7% - 1,7%);
-PC finlandese (0,9% - 0,6%);
-Partito della Libertà e Solidarietà (ODP) di Turchia (0,3% - =).

DKP e PC finlandese sono entrati da poco come osservatori, con una
scelta che – obbiettivamente - non nasce da affinità
politico-ideologiche con la SE (cui rivolgono le nostre stesse
critiche), ma per tentare in qualche modo di uscire da un isolamento
pesante in cui si trovavano nel circuito della sinistra europea,
dovuto ai veti subiti da parte dei "fratelli maggiori" dei rispettivi
Paesi (il DKP da parte della PDS tedesca, il PC finlandese da parte
della Sinistra Verde nordica). Discorso analogo vale per il Munkaspart
ungherese, membro effettivo della SE, che in più subisce nel suo paese
vere e proprie persecuzioni sulla base della vigente legislazione
anticomunista (per cui ad es. è reato esibire simboli con la falce e
il martello) e cerca quindi anche una sorta di "protezione"
nell'adesione a un partito europeo legittimato dalla UE. Nel suo
recente congresso (cfr. intervista del suo Presidente, in questo
stesso numero de l'Ernesto) il Munkaspart ha deciso di assumere il
nome di "comunista", chiede alla Presidenza della SE – con una
risoluzione - di "rafforzare i contenuti comunisti nell'elaborazione
della linea politica di questo nuovo soggetto" e dichiara di voler
"favorire lo sviluppo di relazioni con gli altri partiti comunisti,
inclusi quelli degli attuali paesi socialisti".

(4) In un articolo pubblicato su Halò noviny l'11.02.2005, e ripreso
dal n.3 de l'Ernesto, il responsabile esteri del KSCM dichiara : "Il
profilo della SE deve essere pan-europeo. Il Partito della sinistra
europea deve profondere ogni sforzo per il raggiungimento di questo
obbiettivo. Abbiamo chiesto che fossero invitati almeno 27 partiti
comunisti e di sinistra di tutta l'Europa (tra questi i Partiti
comunisti di Russia, Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Paesi baltici,
Scandinavia, ex Jugoslavia, Turchia, Gran Bretagna, Portogallo,
Grecia, ecc.) per un incontro finalizzato a dibattere con loro le
questioni riguardanti l'unità della sinistra europea. Ciò avrebbe
consentito a tutti di prendere conoscenza delle loro opinioni e
condizioni ed anche di ciò che impedisce loro di collaborare con il
Partito della sinistra europea…Niente di quanto contenuto nelle nostre
proposte è stato accolto…si è evidenziata l'arroganza dei partiti
leader della SE …Ci siamo convinti che non vi è alcuna volontà
politica di cambiare il profilo della SE in senso pan-europeo e che il
principio delle decisioni prese col consenso in pratica esiste". E
aggiunge, nella citata intervista del 19 agosto 2005 (cfr. nota 1) :
"Delle proposte presentate dal KSCM non ne è stata accolta nemmeno
una…La presidenza della SE, ci ha negato al congresso fondativo ogni
possibilità di modifica dello statuto; ha sostenuto che lo spazio
principale di azione politica della SE è nell'Unione europea e non
nell' Europa nel suo insieme. Alla richiesta di trasformare la SE in
partito di carattere pan-europeo, ha risposto in modo arrogante: la SE
esiste, chi vuole entrarci, entri; chi vuole uscirne, esca; chi vuole
restare come osservatore, resti come osservatore…Per quanto riguarda
il principio della ricerca del consenso, la prassi ci ha dimostrato
che esso è nei fatti assolutamente ignorato".

(5) Il GUE del Consiglio d'Europa si compone di 34 membri,
appartenenti a forze comuniste o di sinistra alternativa europee,
provenienti dai seguenti Paesi : uno svedese (che presiede il gruppo),
un cipriota (vice-presidente), un norvegese, 2 danesi, 2 olandesi, 2
francesi, un portoghese, 2 greci, 1 spagnolo, 2 ceki, 8 ucraini (tra
cui il segretario generale del PC ucraino, Simonenko), 6 moldavi, 5
russi (tra cui il segretario generale del PCFR, Ziuganov).

[ Sabato 22/10, sulla radio libertaria francese RL -
ascoltabile anche in streaming via internet al sito:
federation-anarchiste.org/rl/
dalle 13:30 due ore di discussione "fuori dal coro"
con DIANA JOHNSTONE, saggista, autrice del libro
"Fools' Crusade: Yugoslavia, Nato, and Western Delusions"
(La Crociata degli Inganni: Jugoslavia, Nato, ed
Allucinazioni Occidentali) pubblicato negli USA da Monthly Review
Press, in GB da Pluto Press, in Francia per i tipi "Les Temps des
Cerises", ed anche in Serbia (IGAM). ]


Diana Johnstone sur RL Samedi 22/10

DIANA JOHNSTONE
interviendra en javier au seminaire sera à radio libertaire
Samedi 22 octobre dans l'emission "chroniques rebelles"
13h30 à 15h30
"la croisade des fous. la yougoslavie, première guerre de la
mondialisation"

89.4 en RP
federation-anarchiste.org/rl/ pour le reste du monde...


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Knjiga "Fool's crusade" je prevedena na srpski
i objavljena u Bgd.2005. godine.
("Suludi krstasi" - IGAM, prevod Milosav Popadic, ISBN 86-83927-16-4.)

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Diana Johnstone

LA CROISADE DES FOUS

Yougoslavie, première guerre de la mondialisation

Préface de Jean Bricmont
traduite de l'anglais par l'auteur
Le Temps des Cerises, France, 2005
ISBN 2-84109-533-9

http://www.g-dil.com/EditTempsCerises1.htm

LA CROISADE DES FOUS
/ Diana Johnsone / Ed. Le Temps des Cerises
/ Document / 338 pages / / Format 14 x 19,5 cm / Broché
/ Prix : 18,00 Euros

La lecture de " La Croisade des Fous" est essentielle pour tous ceux
qui veulent comprendre les causes, les effets, le vrai et le faux dans
les guerres des Balkans depuis une bonne douzaine d'années. La
journaliste américaine Diana Johnsone analyse le rôle joué par l'OTAN
et les grandes puissances dans le morcellement de la Yougoslavie. Elle
montre les mécanismes de la manipulation médiatique qui a permis aux
dirigeants des pays occidentaux de tromper les opinions publiques et
de faire croire que l'intervention en Yougoslavie avait pour but la
défense des droits de l'homme. Elle démontre que cette guerre a été le
prototype des guerres dites "humanitaires" qui sont en fait les
guerres de la nouvelle mondialisation, et elle dénonce le rôle et le
fonctionnement scandaleux du Tribunal Pénal International.

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Diana Johnstone

Fools' Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions

http://www.amazon.com/exec/obidos/ASIN/158367084X/antiwarbookstore/
http://www.monthlyreview.org/foolscrusade.htm

intro:
http://swans.com/library/art9/dianaj01.html
reviews:
http://swans.com/library/art9/lproy04.html
http://swans.com/library/art9/herman10.html
http://swans.com/library/art9/ga156.html
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2529

Agli jugoslavi in particolare, che per averlo pagato sulla loro pelle
sanno bene che cosa significa il separatismo su base etnica e la
politica imperialista del "divide et impera", va in particolare il
nostro appello a partecipare, in solidarieta' internazionalista, a
questa manifestazione dei compagni dello Sri Lanka
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Il JVP Sri Lanka comitato in Italia indice una

MANIFESTAZIONE DI PROTESTA

Contro l'organizzazione terrorista delle Tigri Tamil dell'Elam resasi
responsabile

di un attentato alla sede del JVP del distretto di Trincomale

e dell'uccisione del ministro degli esteri srilankese Lakshman Kadirgamar.


Domenica 30 ottobre ore 15.00
Corteo da Piazza della Repubblica – ROMA


Ultimamente l'organizzazione separatista e terrorista delle Tigri
Tamil dell'Elam (LTTE) ha intensificato la propria attività. Dopo la
sciagura che si è venuta a determinare con l'abbattimento dello
Tsunami sulla nostra isola, la presidente,con il pretesto di far
fronte all'emergenza umanitaria, tentava incalzata dalle potenze
straniere e le organizzazioni non governative, di dare legittimità
amministrativa all'organizzazione delle Tamil Tigri. L'accordo
prevedeva l'istituzione di un fondo al quale avrebbero partecipato i
paesi e le organizzazioni donatori, il cui controllo sarebbe stato
assegnato ai separatisti e agli osservatori stranieri ma non al
governo dello Sri Lanka.

Da subito il nostro partito si è fortemente opposto a questo accordo
e, in conseguenza del mancato ritiro da noi perentoriamente richiesto,
siamo immediatamente usciti dal governo, facendo appello alla
mobilitazione popolare. Grazie alle proteste la Corte Suprema ha
bloccato il provvedimento.

Il 7 agosto le Tigri Tamil si sono rese responsabili di un attentato
alla sede del JVP situata nel distretto diTrincomale in Sri Lanka,
fortunatamente nessuno è stato ferito.

Il 13 agosto le Tigri Tamil hanno barbaramente assassinato in un
agguato sotto la sua abitazione il ministro degli esteri srilankese
Lakshman Kadirgamar, di etnia Tamil che da sempre si era battuto per
la salvaguardia dell'unità del paese in opposizione al razzismo e al
terrorismo.

Benché proveniente da esperienze molto diverse dal JVP egli si è
sempre contraddistinto per la sua sincerità e correttezza, a
differenza della maggior parte degli elementi di spicco del sistema
politico srilankese. Quando venne formato il governo di "Alleanza per
la liberta del popolo unito", al quale abbiamo partecipato, subito
auspicammo l'assegnazione di un incarico importante a Lakshman
Kadirgamar. Nel periodo in cui collaborammo con lui nelle attività di
governo la nostra stima crebbe, possiamo dire che il JVP ha perso un
amico e lo Sri Lanka un patriota.

In seguito all'uccisione del ministro l'ala internazionale del JVP ha
organizzato una campagna di protesta in tutto il mondo, per ricordare
anche tutte le numerose vittime e gli altri crimini di cui
l'organizzazione delle Tigri Tamil dell'Elam si è resa responsabile
nel corso degli anni.

Il comitato del JVP del Regno Unito, in cui l'organizzazione delle
Tigri Tamil ha forti basi, ha indetto una manifestazione per il 19
agosto e dato che la manifestazione avrebbe fortemente infastidito le
attività delle Tigri Tamil i rappresentanti del comitato del JVP sono
stati minacciati di morte.

Naturalmente le intimidazioni hanno avuto l'effetto di rafforzare la
nostra convinzione e determinazione nel portare avanti la nostra lotta
perciò la manifestazione si è svolta con un certo successo. Nello
stesso ambito si inserisce l'iniziativa odierna organizzata dal JVP
comitato in Italia.

Vogliamo ricordare a tutto il mondo che le Tigri Tamil dell'Elam sono
un'organizzazione separatista razzista e terrorista. Con l'uso
illegittimo delle armi detiene il potere in alcune aree del nord-est
dello Sri Lanka e il loro scopo è la creazione su basi etniche di uno
stato separato.

Nel corso degli anni si sono resi responsabili di numerosissimi
crimini, dell'uccisione di popolazione inerme, rappresentanti delle
istituzioni democratiche, di pulizia etnica, del rapimento di bambini
da utilizzare come soldati nel proprio esercito irregolare.

L'ultimo loro atto criminoso risale al 12 ottobre quando hanno
assassinato due presidi di scuola nel distretto diJaffna, essi si
opponevano fermamente al rapimento di tanti bambini e ragazzi da parte
dei terroristi delle Tigri Tamil; per questo hanno pagato con la loro
vita.

Le potenze straniere come Norvegia e Stati Uniti con la scusa
dell'autodeterminazione sovvenzionano i terroristi e vorrebbero
favorire la creazione dello stato separato dell'Elam, si tratterebbe
di uno stato amico che consentirebbe loro l'installazione delle tanto
agognate basi militari molto importanti strategicamente per il
controllo della regione sud-asiatica.

Perché il governo del Regno Unito sta facendo di tutto per espellere
quelli che secondo loro sono terroristi islamici e non fa niente
contro le Tigri Tamil che hanno i loro dirigenti in quel paese i quali
svolgono un'intensa attività terroristica contro la sovranità dello
Sri Lanka?

Altri forse si faranno indietro, spaventati dall'uccisione del
Ministro Lakshman Kadirgamar, ma non noi. Perché crediamo che sia
meglio morire per l'armonia e la convivenza civile nel nostro paese
che vivere da codardi. La nostra determinazione nel dire alla nostra
gente, che sia tamil, musulmana o Cingalese, di non sottostare ai
criminali terroristi cresce sempre più forte.

Noi chiediamo ai nostri compatrioti di essere come Lakshman
Kadirgamar, determinati, coraggiosi e dignitosi. Agli altri popoli
chiediamo la solidarietà e la comprensione della nostra situazione,
dove l'imperialismo ancora una volta cerca di utilizzare il metodo di
dividere il popolo di un paese per il proprio tornaconto.


Fronte di Liberazione del Popolo (JVP) Sri Lanka

Comitato in Italia

Via Giolitti 231,00185 – Roma.

Tel/Fax; 06 30609546 E-mail; jvpitalia @ tele2.it


----- Original Message -----
From: "Friends of Kadirgamar" <webmaster @...>
To: "mails" <webmaster @...>
Sent: Friday, October 14, 2005 4:51 AM
Subject: A New web site


Lakshman Kadirgamar goes to online www.kadirgamar.net
The website www.kadirgamar.net was launched at the event organized by
the , Friends of Lakshman Kadirgamar day before yesterday (12th)
marked 2nd month of his assassination by the LTTE .
Letters were emailed to leaders of the countries in the European
Union, the United States, Australia and others explaining them the
activities of the LTTE, simultaneously with the event.
The site www.kadirgamar.net opened by Mrs. Suganthi Kadirgamar.
Several Politicians, diplomats and those who respected Kadirgamar were
attended. Friends of Lakshman Kadirgamar launched an online petition
addressed to world leaders vowing to continue with the work carried
out by Kadirgamar against terrorism.
Please visit the following link and sign the petition addressed to
world leaders. http://www.kadirgamar.net/petitionbook/jax_petitionbook.php

Mrs. Suganthi Kadirgamar, Minister Mangala Samaraweera, JVP leader
Somawansa Amarasinghe, Foreign Secretary H.M.G.S Palihakkara, Wimal
Weerawansa JVP MP, Dr.Gunadasa Amaraseekara Co-Chairman of the
Petrotic National Movement, Buddhadasa Withanarachchi Co-Secretary of
the PNM, President Counsel H.L de Silva, Attorney at law Gomin
Dayasiri, Eminent lawyer S.L. Gunasekara, Dr.Pandula Handagama were
signed the Petition.

G.A.MA.DI. La VOCE
su TeleAmbiente (canale 68 a Roma e nel Lazio) e reti consociate

Sabato 22/10/2005 ore 21

Parliamo del Testo di GREGORY ELICH:

GUERRA SEGRETA
L' INTERVENTO DI USA E UNIONE EUROPEA IN JUGOSLAVIA

(vedi: https://www.cnj.it/documentazione/elich02.htm )

Con la partecipazione di

IVAN PAVICEVAC
del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia

In studio

Miriam Pellegrini Ferri

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Gruppo Atei Materialisti Dialettici (GAMADI):
SITO INTERNET http://www.gamadi.it
POSTA ELETTRONICA gamadilavoce @ aliceposta.it

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