Informazione

ALLEGATI SECONDA PARTE:
RASSEGNA STAMPA PARZIALE

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Sabato 24 Aprile 1999
Unica via bombardare senza pietà
Thomas Friedman

IN America si dice che il cammello è un cavallo ideato da un comitato.
Non è bello, ma fa quel che deve fare, soprattutto nel deserto. Allo
stesso modo, la guerra aerea della Nato contro la Jugoslavia è come una
strategia militare ideata da un'alleanza di 19 membri. Non è bella, ma
la sua debolezza può diventare forza.
Bombardare i serbi da un'altezza di 15 mila piedi è l'unica strategia
militare che tutti i 19 membri della Nato, il Congresso Usa ed i russi
possono tollerare oggi in Jugoslavia. La guerra aerea ha molti ovvi
difetti, ma anche una grande forza: la Nato può continuarla per molto,
molto tempo. E' bene che i serbi lo ricordino.
E' vero che la Nato non libererà il Kosovo dal cielo, ma è ancora
possibile, così, raggiungere i nostri obiettivi, costringere cioè
Milosevic a permettere, tacitamente o per via negoziale, il ritorno
degli albanesi in Kosovo, protetti da una forza di pace internazionale
che mantenga la tregua tra albanesi e serbi, e l'instaurazione
dell'autonomia della provincia.
Ma se l'unica forza della Nato sta nel poter continuare a bombardare
indefinitamente, allora bisogna trarre da questa capacità ogni
possibile vantaggio. Ci vuole una vera guerra aerea. L'idea che a
Belgrado la gente ascolti concerti rock, o che vada in gita la domenica
mentre i loro compatrioti "ripuliscono" il Kosovo, è insultante.
Bisognerebbe eleggere ad obiettivo ogni centrale elettrica, ogni
acquedotto, ponte, strada o fabbrica in qualche modo legata al
conflitto.
Piaccia o no, siamo in guerra con la nazione serba (i serbi certo già
ne sono convinti), e la posta in gioco deve essere molto chiara: per
ogni settimana in più di devastazioni nel Kosovo, getteremo il vostro
Paese dieci anni indietro polverizzandovi. Volete il 1950? Possiamo
darvi il 1950. Volete il 1389? Possiamo fare anche questo. Se
riusciremo a metterla così, Milosevic vacillerà.
Ma questa strategia fermerà la barbarie in Kosovo? No. La guerra per
evitare che gli albanesi venissero gettati fuori dal Kosovo è stata
persa nella prima settimana, quando la Nato ha bombardato i serbi senza
avere un'adeguata potenza aerea né terrestre per impedirlo, e senza
capire la capacità o le intenzioni di Milosevic. E' stato un errore
strategico che i kosovari hanno pagato caro.
Il problema ora è come rovesciare il risultato, senza che gli Usa e la
Nato si impelaghino tanto nei Balcani da vedere indebolita la propria
capacità di operare in qualsiasi altro posto, e da mettere a rischio la
loro coesione come mai prima. L'unica via è una guerra aerea senza
pietà.
E le truppe di terra? La Nato dovrebbe continuare a pianificare un
intervento di terra, come britannici e francesi chiedono a gran voce,
sia perché ciò potrebbe influenzare Milosevic e farlo vacillare prima
piuttosto che dopo, sia per introdurre un po' di realismo nel dibattito
in proposito. L'opinione pubblica e il Congresso Usa devono capire cosa
comporta una guerra di terra. Invadere il Kosovo significa tenerlo.
Guerra di terra probabilmente significa arrivare fino a Belgrado, e
fare di Albania e Macedonia dei protettorati americani.
Attenti, perché questi sono Stati deboli, quasi tribali, che possono
disfarsi nelle nostre mani. L'Albania è un non-Stato, in cui secondo la
polizia più della metà delle automobili circolanti sono state rubate
altrove in Europa. E' un Paese in cui tutti hanno un'arma a casa e dove
appena due anni fa l'intero sistema bancario era basato sul gioco delle
tre carte. Recentemente il Wall street journal ha citato un disoccupato
di Tirana, secondo cui "sarebbe meglio se Milosevic bombardasse qui,
così potremmo andare tutti in Italia e in Germania come rifugiati".
Questo è uno dei motivi per cui dovremmo mantenere una strategia che,
per ora, mantenga i nostri obiettivi senza finire per occupare tutti i
Balcani. Perché nulla affosserebbe il sostegno pubblico
all'internazionalismo americano quanto l'occupare il nido di vespe più
vecchio della storia.
Date una possibilità alla guerra. Vediamo quanti mesi di bombardamenti
occorrono prima di optare per qualche settimana di invasione che, se
vinceremo ci porteranno ad occupare i Balcani per anni. Facciamo del
Kosovo il Vietnam di Milosevic, non il nostro.

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Gelo tra D'Alema e Dini
Il premier critica le riserve del ministro

Augusto Minzolini
inviato a WASHINGTON

Di prima mattina, a poco più di un'ora dall'inizio della conferenza
della Nato, arriva l'ennesimo distinguo del ministro degli esteri
Lamberto Dini dall'operato dell'Alleanza. Questa volta si tratta del
bombardamento della tv serba. Mentre a qualche metro di distanza
Massimo D'Alema appena uscito dall'Hotel St.Regis di Washington si
infila nell'automobile per arrivare in tempo alla cerimonia di
apertura, Dini resta indietro e si concede alla stampa per sparare
contro l'azione degli aerei Nato: "Non me ne parlate. E'
terribile...Disapprovo... Non credo neppure che fosse nei piani la
faccenda della Tv. A mia conoscenza non era nei programmi alleati. Se
d'ora in avanti saranno colpiti anche obiettivi non militari? C'è
questo rischio ma non è automatico. Quindi la cosa va discussa
attentamente. Non scherziamo...".
Ci risiamo. Scoppia il solito caso italiano che movimenta ogni vertice
internazionale dall'inizio della guerra nel Kosovo. L'uscita di
Lambertow si trasforma in un fulmine nel cielo di Washington. Gli
americani non nascondono la propria irritazione. La Nato idem. "Era
tutto stranoto", dice secco il segretario generale della Nato, Solana.
"La Tv - fa presente il portavoce della Nato, Jaimie Shea - è più
pericolosa dell'esercito serbo. La stessa opposizione serba l'ha sempre
considerata il vero bastione del potere di Milosevic". Il ministro
degli esteri inglese Robin Cook è ancora più duro. "Ci sono antenne e
antenne. Ci sono antenne che fanno propaganda e antenne che danno
notizie". Dini, di rimando, fa sapere che i francesi la pensano come
lui, se non peggio. Gli uomini del ministro degli esteri lo giurano, ma
quelli di Chirac rimangono zitti, non parlano.
E la delegazione italiana? Il ministro della difesa, Carlo
Scognamiglio, non ci pensa due volte a schierarsi con la Nato.
"L'interpretazione data dai comandi dell'Alleanza - spiega - è che la
propaganda è un elemento importante nella conduzione dell'azione
militare e, quindi, deve essere inclusa negli obiettivi".
Rimane D'Alema. Le dichiarazioni del ministro degli Esteri
costituiscono un'altra gatta da pelare per il premier. E pensare che
una volta era Dini l'amerikano del governo. Adesso, invece, è il
premier post-comunista a dover calmare le ire di Washington e di
Bruxelles. E non è la prima volta: sarà, come dice qualcuno, che il
nostro ministro degli Esteri ha un debole per i consigli di Giulio
Andreotti; sarà, come dicono altri, che questo atteggiamento di
comprensione verso Belgrado potrebbe assicurargli i voti di Cossutta e
di Bertinotti nella corsa per il Quirinale. Sta di fatto che da qualche
tempo il ministro occidentale più tenero nei confronti di Milosevic è
proprio lui.
E D'Alema deve garantire per lui di fronte agli Alleati. Ai suoi
collaboratori il premier dà le istruzioni del caso per salvare capra e
cavoli: da una parte osserva "è un giudizio emotivo, può capitare",
dall'altra bisogna tenere conto degli interventi che sono necessari
"per disarticolare un potere autoritario come quello di Milosevic".
Insomma, il premier fa quel che può per circoscrivere il "problema". Ha
ben altro in testa: dalla tribuna deve sottolineare la necessità di uno
stretto rapporto tra la Nato e l'Onu, e di un maggior ruolo dell'Unione
Europea nell'Alleanza. Ma la vicenda rischia di lasciare strascichi.
Per cui nella conferenza stampa di fine seduta il premier decide di
tirare le orecchie al ministro degli Esteri in pubblico.
La scena è di quelle che lasciano il segno. D'Alema sulla tribunetta
del salone. Dini seduto in prima fila. Il premier parla ai giornalisti,
ma le parole non sono scelte a caso e sembrano avere come destinatario
proprio il ministro. "Quando ci si trova in una situazione di questo
tipo - scandisce D'Alema - il compito dei politici è quello di porre
dei vincoli di un'azione militare e non quello di discutere ogni
singolo obiettivo. E' del tutto improprio".
Il capo del governo va avanti, il ministro degli esteri ascolta
imbarazzato. "Certo noi - continua - abbiamo ancora oggi raccomandato
la necessità di ridurre al massimo le vittime civili. Anche una è
troppo. La Nato farà di tutto per evitarlo, ma dalla parte di Milosevic
non mi sembra che ci sia la stessa preoccupazione. Comunque, ripeto,
non si può commentare ogni giorno dove cade una bomba. Eppoi ricordo
che in quel paese un gionalista libero è stato assassinato nel portone
di casa sua e questo riduce di molto la mia indignazione per il
bombardamento della tv di Milosevic".
Le dichiarazioni del presidente del consiglio sono una vera e propria
presa di distanza dal ministro degli Esteri. Dini mastica amaro. Ce
l'ha con tutti quelli che lo hanno attaccato, soprattutto con gli
inglesi. Così quando il premier ricorda il contingente italiano
impegnato nella guera del Kosovo, il ministro degli Esteri si lascia
scappare un commento a mezza bocca: "Il nostro impegno è maggiore di
quello di Blair". Ed ancora, quando a D'Alema viene chiesto se
Milosevic deve essere processato dal tribunale dell'Aia, Dini si lascia
sfuggire un sonoro: "...E le prove?".
La conferenza stampa del premier finisce con il ministro degli Esteri
che trattiene a malapena il disappunto. "Due settimane fa - si sfoga
con qualche cronista - avevamo posto il nostro veto nel consiglio
atlantico sul bombardamento della tv serba. Per questo ho avuto quella
reazione istantanea. Non mi parlate degli inglesi... Sono gli apripista
degli americani. Avete visto la reazione dell'opione pubblica italiana?
Io sono nel giusto".
D'Alema non lo sente. Prima di lasciare la sala della conferenza, però,
si rivolge ad un cronista e scuotendo la testa sospira: "Che
faticaccia!":

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UN BRUTTO SEGNALE

Lietta Tornabuoni

E CCO, l'hanno trovato, il sistema contro la disinformazione: ammazzare
i giornalisti e i tecnici televisivi.
I morti e i feriti nel bombardamento della sede della Tv di Belgrado
non sono soltanto un'altra infamia di questa guerra (perché i morti
ammazzati sono morti chiunque li abbia eliminati, non esiste un morto
meno morto di un altro). Sono anche un segno. Finora la Nato, magari
ipocritamente, definiva le uccisioni di civili un errore, un equivoco,
una fatalità, un tragico sbaglio che si sarebbe badato a non ripetere e
per il quale ci si diceva addolorati, si chiedeva scusa. Stavolta, no.
Stavolta le uccisioni sono volontarie, mirate, non comportano alcun
rammarico ma la soddisfazione d'avere danneggiato un "nido di
menzogne": come se dire eventualmente bugie o fare propaganda potesse
essere considerato un crimine degno della pena capitale.
L'azione è più grave non certo perché la morte di gente della
televisione sia più importante e offensiva di quella, mettiamo, dei
settantacinque profughi uccisi dai bombardamenti sul mezzo di trasporto
usato per fuggire dalla guerra: ma per l'atto volontario, per
l'arroganza di chi si crede depositario del giusto e dell'ingiusto, del
bene e del male.

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L'altra faccia di questa guerra
FUORI DAL CORO

Paolo Guzzanti

NON m'intendo di faccende militari, ma mi ha colpito l'analisi di un
esperto inglese alla Bbc: "Al momento dello scontro di terra non
potremo contare sugli italiani: non sono preparati, meglio lasciarli
perdere. L'idea è di far avere per loro, e solo per loro, uno speciale
mandato umanitario dall'Onu in modo che possano fare quel che già
fanno: la Croce Rossa in uniforme militare. Ma la guerra vera, quella
ce la dovremo fare da soli senza gli italiani". Parole non
gratificanti, ma realistiche. Mi è capitato poi di ascoltare alcuni
esperti italiani di pianificazione militare, che mi hanno detto: "Ha
un'idea del numero dei soldati e miliziani serbi impegnati
nell'espulsione di un milione di persone, villaggio per villaggio,
casolare per casolare, selezionando chi deve vivere e chi deve morire?
Almeno cinquantamila. Dietro i quali funziona una pianificazione
perfetta, meticolosa e di lungo termine perché anche un massacro ha
bisogno di trasporti, rifornimenti, nascondigli sotterranei con
carburante, munizioni e ricambi di uomini e mezzi. Una operazione del
genere richiede almeno quattro mesi di preparazione e se si tiene conto
del fatto che la pulizia etnica era già in corso da circa un anno, è
facile dedurre che la fase finale della liquidazione albanese nel
Kosovo era già in fase operativa da dicembre". Azzardiamo allora uno
scenario che contenga questi elementi, più quelli che ci sono già noti,
e partendo dal momento in cui, un anno fa, i satelliti mostrarono ciò
che Milosevic aveva deciso di fare a partire dall'autunno del 1998,
convincendo Nato e americani che la guerra è inevitabile e anzi
necessaria. Ed ecco che, 9 ottobre 1998, si produce in Italia una crisi
di governo a freddo che espelle Rifondazione comunista, porta alla
guida del governo l'ultimo segretario del Pci-Pds e prepara le
condizioni per spedire nell'entusiasimo generale (europeo, prima ancora
che italiano) Romano Prodi a Bruxelles. Il regista di questa operazione
politica è uno stratega di nome Cossiga che sostituisce i voti
dell'estrema sinistra con un pacchetto strappato alla destra. Risultato
pratico: l'Italia, indispensabile base di lancio dell'attacco, diventa
un'oasi al riparo da turbolenze capaci di compromettere le operazioni
militari. D'Alema sale a Palazzo Chigi, entra nella parte e alza la
bandiera di guerra: nessun nemico a sinistra, salvo un contenibile
mugugno, ma con la porta del dialogo sempre aperta.
Nel frattempo Cossiga porta a termine missioni nei Paesi Baschi o nella
tenda di Gheddafi, in perfetta autonomia, ma di cui puntualmente
riferisce al governo. Ogni possibile risorsa diversiva utile a
Milosevic nell'area occidentale è sedata. E Gheddafi come un agnellino
consegna alle corti internazionali i due libici accusati della strage
di Lockerbie. Il suo nome viene definitivamente cancellato dall'albo
dei cattivi e quando Milosevic gli invia una disperata richiesta di
aiuto, il colonnello si gira dall'altra parte. L'Italia si comporta
realmente come se avesse avuto la garanzia che non dovrà prestare altro
contributo che le sue piste di decollo. I suoi aerei fanno solo da
scorta. Le sue truppe ricevono crescenti compiti umanitari: piantano
tende, cuociono pane, preparano soccorsi. Il cliché è rispettato:
italiani, brava gente. Il quadro politico interno frattanto è
stabilizzato: dopo molti anni, una legislatura rischia di morire di
morte naturale mentre l'opposizione di sinistra gode di un margine di
manovra che le consente di ottenere tutti i distinguo che vuole in
materia di partecipazione militare italiana. Quella che nessun alleato
si aspetta. Dite se non calza a pennello.

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 10

Napolitano critica la Ue, Cofferati: tocca all' Onu

TENSIONE A SINISTRA "C' È SPAZIO PER LA PACE" CRESCE IL GRUPPO DEI 170
FIRMATARI CONTRO L' INTERVENTO DI TERRA IN KOSOVO. PER DILIBERTO E
MUSSI CI SONO SPIRAGLI I VERDI CHIEDONO DI ANDARE A VEDERE L' OFFERTA
DI MILOSEVIC GUERRA NEI BALCANI

ROMA - Nel Transatlantico di Montecitorio, affollato nonostante il
venerdì per il voto di fiducia sulle quote latte, nei settori del
centrosinistra non si parla d' altro. Dopo i colloqui fra Milosevic e
Cernomyrdin, si intravvedono barlumi di tregua. "Se sarà confermata
questa disponibilità", commenta il ministro comunista della Giustizia,
Oliviero Diliberto, "si apre più di uno spiraglio sul quale lavorare
per ottenere immediatamente una tregua e poi la pace". Fabio Mussi è d'
accordo: "Forse si sta muovendo qualcosa che spero possa essere
raccolta, perfezionata e rilanciata dal vertice di Washington". Certo,
cossuttiani, Verdi e Prc hanno una gran voglia di accelerare: il
segnale che abbiamo tanto aspettato, eccolo qua. "Ora", scandisce Ramon
Mantovani, "ci sono tutte le condizioni per interrompere i
bombardamenti e avviare una nuova trattativa". "L' iniziativa della
Russia non va assolutamente lasciata cadere", gli fa eco Marco Rizzo. E
mentre il ministro verde Edo Ronchi torna a ripetere che in caso di
intervento di terra gli ambientalisti (che ieri hanno protestato anche
in aula, votando il decreto sulle quote latte innalzando palette con su
scritto "pace") aprirebbero una crisi di governo, Luigi Manconi non ha
dubbi: respingere l' offerta di Milosevic senza andare a vedere,
equivarrebbe a puntare dritti alla guerra totale. "Chiedo a D' Alema",
dice il portavoce dei Verdi, "di battersi con determinazione all'
interno dell' Alleanza perché non prevalga una posizione oltranzista".
Anche perché, aggiunge, non sono solo i Verdi a rivolgere questa
richiesta al premier, ma un gruppone di parlamentari trasversale al
centrosinistra che si va ingrossando di ora in ora. Ai 170 fra deputati
e senatori che l' altro giorno hanno sottoscritto un
documento-ultimatum contro l' intervento di terra nel Kosovo, ieri
hanno continuato ad aggiungersene altri: Mauro, Siniscalchi, De Simone,
Cesetti, Occhionero. Contro l' intervento militare in Jugoslavia fa
sentire la sua voce anche il responsabile organizzativo dei Ds, Franco
Passuello. "Non si poteva rimanere indifferenti dinanzi all' uso
barbarico della forza", spiega, intervistato da Aprile. "Ma l'
intervento, così com' è stato concretamente realizzato, rappresenta un
uso "grave" della forza. E chi ha a cuore la costruzione di atti che
costituiscano la pace, chiede subito di bloccare l' intervento dei
bombardieri, il dispiegarsi di una logica di guerra che non porterà a
nulla di positivo". Mentre Giorgio Napolitano punta il dito contro i
ritardi dell' Europa e della Nato, all' iniziativa di D' Alema, che ha
incoraggiato Kofi Annan a intraprendere una forte azione politica,
arriva il pieno appoggio di Sergio Cofferati. Il segretario generale
della Cgil mette però in guardia dai rischi di un intervento di terra,
"che radicalizzerebbe un conflitto destinato ad allargarsi".

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 10

Remondino: allora bisognerebbe bombardare tv in tutto il mondo
"GENTE CHE LAVORAVA ALTRO CHE MILITARI"

INTERVISTA/1

MILANO (a.dip) - Ennio Remondino, inviato Rai a Belgrado. Sandro Curzi
dice che lei è stato avvertito sei ore prima del bombardamento alla
sede della tv. "La realtà è molto diversa. Qui, con il passaparola tra
colleghi, è da qualche giorno che sappiamo che certi obiettivi stavano
entrando sotto tiro. Diciamo che da qualche giorno sapevamo che
dovevano trattenerci il meno possibile in quel palazzo, soprattutto di
sera e di notte". Come ha vissuto quelle ore? "Con angoscia fortissima,
ho visto morire in modo atroce persone con cui ho lavorato. Quella che
fossero una sorta di soldati di Milosevic è un' orribile sciocchezza.
In quel palazzo lavora un sacco di gente che lavora e basta, per
vivere, per mangiare, E tanti di loro sono invece morti, è terribile,
altro che storie. Ed è tutto sbagliato". Perché? "Perché in quel luogo
non c' erano potenti, al massimo c' erano dei loro servitori. E ai
servitori si tirano le uova marce, non i missili". Che è successo nelle
ore successive, tra di voi? "Ci siamo riuniti, tutti giornalisti e
operatori delle tv straniere, eravamo cento, centocinquanta, siamo
andati in un albergo dove abbiamo incontrato rappresentanti della tv di
Belgrado. Uno di noi, un tedesco, ha letto un messaggio di solidarietà.
Abbiamo osservato un minuto di silenzio per i morti, una cosa semplice,
commovente". Ma quella tv, si dice, non era libera, era uno strumento
di guerra. "Con questa logica bisognerebbe dichiarare guerra a mezzo
mondo e bombardare sedi televisive a ripetizione. Chi giudica? Chi è il
tribunale mondiale della verità? Esiste? No che non esiste. E alla tv
turca che esalta la condanna a morte di Ocalan che dobbiamo fare?".
Qual è il punto? "Il punto è che, non si può negarlo, questo regime
vive sulla propaganda. Se le forze del bene, chiamiamole così, danno
appigli all' avversario, tutto diventa più difficile, è successo con il
treno, è successo qui con la tv". Lei sta parlando liberamente in
questo momento? "Sì, me ne infischio se ascoltano. E poi di chi
parliamo? Quelli con cui ho lavorato a lungo, perfino quelli che mi
requisivano le cassette per controllarle, non li immagini come una
banda di scherani aggressivi. Sono, e alcuni purtroppo erano, anche
persone gentili, che aiutavano, con slanci generosi verso il nostro
lavoro. E noi, in teoria, eravamo e siamo quelli degli aggressori".

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 1
dal nostro inviato VITTORIO ZUCCONI

ANNIVERSARIO CON I MISSILI

WASHINGTON FIGLIA di un magnifico passato ma insieme madre di un futuro
ancora informe, quella Nato che per mezzo secolo ha garantito anche la
libertà di odiarla e la prosperità dell' Europa occidentale, si scopre
aggrappata a un tiranno di provincia per dare un senso al proprio
presente. Unità, determinazione di vincere, rifiuto di ogni "manovra
diversiva" di Milosevic, devozione a ideali di moralità e di democrazia
e forse qualche segno di flessibilità sono gli impegni sottoscritti
ieri in quella che doveva essere la celebrazione dei cinquant' anni
della grande signora in blu nata proprio a Washington ed è diventata
invece un sobrio, triste consiglio di guerra. CONTINUEREMO a
bombardare", hanno detto i capi di governo stappando l' amaro champagne
serbo, dobbiamo "vincere" e spazzare via l' "ultimo tiranno" europeo
del XX secolo, dice Clinton ed è ovvio, banale dire che la Nato non
possa permettere a uno Slobodan Milosevic di fare quello che Stalin,
Kruscev, Breznev non riuscirono a fare: sconfiggerla politicamente. Ma
proprio qui, in questo assoluto imperativo di vittoria sta la tremenda
scommessa che queste 19 nazioni hanno fatto con sé stesse e con i loro
50 anni di storia: la chiave del futuro dell' Alleanza è nelle mani di
Milosevic. Il senso e l' importanza di questo summit, che la guerra
sulla ex Jugoslavia ha avuto almeno il merito di strappare alle
americanate hollywoodiane che incombevano su di esso, sono racchiusi in
questa trappola di ferro che la Nato ha costruito per sé stessa e dalla
quale adesso deve a ogni costo uscire, unita, vittoriosa e soprattutto
coerente con la moralità che predica. Non ci sono dubbi che la signora
della Guerra Fredda si sia trovata a questo appuntamento in una
posizione difficile. Nessuno aveva previsto che la guerra avrebbe
allungato la sua ombra sulle bandiere della celebrazione (ma quante
guerre sono cominciate con l' illusione e la promessa che sarebbero
state "brevi" ?). I registi del compleanno non avevano calcolato che
discorsini e marcette si sarebbero accavallate sugli schermi del mondo
con le rovine della centrale TV di Belgrado, nelle quali la brutale
eloquenza della guerra contraddice la retorica della pace. E meno di
tutti il regista della crisi, Bill Clinton, avrebbe mai immaginato di
scoprirsi, lui eletto presidente "americano per l' America", trascinato
come il fondatore della Nato, Harry Truman, su un fronte di guerra che
sta ben oltre gli oceani e ben oltre la sua esperienza e preparazione.
Poiché i meriti acquisiti in passato non sono mai garanzia di successi
futuri, non più di quanto festeggiare un cinquantesimo compleanno ci
garantisca altri 50 anni di vita, né gli Stati Uniti, né la Nato hanno
la certezza di "vincere" questa guerra. E il profumo del dubbio
aleggiava evidentissimo ieri, nella eccessiva e preoccupante insistenza
sull' unità di tutti, nella promessa di vincere a ogni costo, nella
scelta di non dibattere apertamente, e dunque di non decidere, la
questione cruciale del possibile attacco di terra per liberare il
Kosovo. Soprattutto si notava l' imbarazzo storico, quasi genetico, di
un' organizzazione che non è stata costruita per fare la guerra, ma per
evitarla. E che ha sempre definito le sue "vittorie" in termini di
guerre non combattute. La Nato non sa "fare la guerra" e lo si è visto
in questo mese di bombardamenti spesso molto maldestri. Sa impedirla.
In mezzo secolo di esistenza, l' Alleanza non aveva mai dovuto sparare
un colpo, né concepire altro che strategie di difesa e di contenimento.
Mentre le armate sovietiche o i loro ausiliari locali dovevano
periodicamente sparare su tedeschi orientali, polacchi, ungheresi,
cechi per mantenerli in riga, la Nato incassava i dividendi degli
inevitabili errori sovietici. L' immenso vantaggio strategico del gioco
in difesa, il chiarissimo ruolo di scudo (soltanto gli agit prop del
Cominform poterono sostenere che la Nato sognasse una nuova Operazione
Barbarossa) sono assenti nell' attacco alla Serbia. Errori gravissimi
di guerra psicologica come l' attacco a una stazione TV o azioni vuote
come il bombardamento della villa presidenziale deserta cadono
stridenti come unghiate sopra una lavagna, nelle ore in cui si dovrebbe
celebrare la compiuta "missione di pace". Per questo i 19 governi
riuniti qui in una Washington ridotta a campo fortificato, hanno
cominciato a ridefinire al ribasso ieri che cosa costituisca
"vittoria". Non vorremmo leggere troppo nei comunicati e nelle
dichiarazioni e vedere "spiragli" di luce dove è soltanto buio. Ma ci
sono sfumature, nei documenti di questo consiglio di guerra che fanno
pensare. Dicono che i bombardamenti potrebbero cessare quando
"cominciasse il ritiro serbo dal Kosovo", dunque non a ritiro avvenuto.
La forza di controllo potrebbe entrare per gradi e comunque sotto le
bandiere dell' Onu, non della Nato. Il ritorno dei profughi, unica
condizione sacra e non negoziabile, dovrebbe anch' esso soltanto
"cominciare" e il negoziato per la sistemazione futura del Kosovo deve
"riprendere", non concludersi. I piani per l' attacco a terra restano
allo studio, ma non hanno ancora ricevuto il via libera del consiglio
Nato dove Clinton è il più deciso a evitarlo, sapendo bene che
sarebbero soprattutto i suoi soldati a morire per Pristina. Forse
leggiamo troppo, in queste sfumature. Forse non è vero che Milosevic
cominci a dare segni di cedimento, come i russi credevano di avere
capito, ingannando anche Cernomyrdin. Ma il fatto che Clinton abbia
evitato ieri di costruire un' altra scatola di ferro dentro la quale
chiudere la Nato - l' attacco terrestre - è un segno che lui e i
diciotto alleati degli Stati Uniti sanno che la "vittoria" può essere
definita in mille modi anche senza aspettare la capitolazione del
nemico. E la magnifica signora della Guerra Fredda che ha protetto la
nostra libera esistenza per 50 anni ha capito che non può suicidarsi
per un tiranno di provincia che si fece grande ordinando di sparare
sulle donne e i bambini nel mercato di Sarajevo. Milosevic non vale una
Nato.

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 2
dal nostro inviato GIANLUCA LUZI

Dini: "è terribile". D' Alema: "Non mi indigno"

L' ATTACCO ALLA TELEVISIONE DIVIDE IL GOVERNO ITALIANO IL MINISTRO
DEGLI ESTERI AVEVA CONTESTATO LA LEGITTIMITÀ DELL'AZIONE. IL PREMIER LO
HA CORRETTO, INVITANDOLO AL SILENZIO: "NON SI PUÒ DISCUTERE OGNI
SINGOLO OBIETTIVO" GUERRA NEI BALCANI

WASHINGTON - "Quando ci si trova in una situazione di questo tipo il
compito dei politici è di stabilire dei vincoli, dei limiti all' azione
militare, non può essere quello di discutere ogni singolo obiettivo
dell' azione". Massimo D' Alema risponde alle domande dei giornalisti,
innanzitutto a quelle sul bombardamento Nato della tv serba. In prima
fila, ad ascoltarlo c' è il ministro degli Esteri Lamberto Dini che
qualche ora prima aveva condannato senza mezzi termini il raid aereo.
Sembravano le dichiarazioni del ministro di un paese avversario della
Nato: "Terribile. Non me ne parlate. Disapprovo", una condanna senza
appello dell' attacco emessa di buona mattina. D' Alema invece non
condanna, né prende le distanze da quella azione militare decisa dai
comandi Nato. Anzi, la giustifica pienamente e difende il criterio con
cui l' alleanza sta conducendo i bombardamenti. E quindi smentisce la
reazione presa dal suo ministro degli Esteri. "Anche questa mattina
abbiamo raccomandato con molta fermezza che le azioni siano studiate
con l' obiettivo di ridurre al massimo la possibilità di colpire
vittime civili. Questo è il vincolo al quale i militari della Nato si
sono attenuti, perché bombardamenti di questa intensità certamente
hanno prodotto un numero di vittime civili...". Contenuto, vorrebbe
dire D' Alema che aggiunge per spiegare meglio il suo pensiero: "Anche
una vittima è troppo, ma considerando che si tratta di una guerra,
certamente il numero è piuttosto limitato rispetto alle dimensioni
dell' attacco aereo. Il che è testimonianza che da parte della Nato non
solo non c' è la volontà di colpire i civili, ma al contrario c' è una
grande e scrupolosa attenzione a non colpirli. E vorrei dire anche una
trasparenza: quando accadono degli incidenti, questi vengono ammessi,
dichiarati, documentati. Io credo che così debbano comportarsi le forze
armate dei paesi democratici". Non così invece si comporta il
presidente serbo. "Non ho ancora visto Milosevic dire: ci siamo
sbagliati ed effettivamente abbiamo ammazzato migliaia di persone e
adesso vi facciamo vedere le prove". Quindi il bombardamento degli
impianti tv non è da condannare: "Non credo che possiamo ogni giorno
commentare. I mezzi di informazione sono importanti, però non possiamo
dimenticare che quello è un paese dove un giornalista libero lo hanno
assassinato nel portone di casa sua". Dini invece di buon mattino aveva
messo profondamente in dubbio la legittimità dell' attacco alleato:
"Non credo che fosse neppure nei piani. Il bombardamento della
televisione, a mia conoscenza, non era nei programmi". Anche il
ministro della Difesa Scognamiglio, come D'Alema, ha usato parole e
toni diversi da quelli di Dini. Scognamiglio, infatti, ha citato il
giudizio dei militari dell' alleanza secondo cui gli impianti
televisivi sono un obiettivo legittimo perché usati da Milosevic come
strumento di propaganda di guerra. "Ho ascoltato le interpretazioni che
sono state date dai comandi Nato, i quali giudicano che la propaganda
costituisce un elemento importante nella conduzione dell' azione di
guerra e quindi possa essere incluso fra gli obiettivi della fase
attuale".

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 2
dal nostro inviato VANNA VANNUCCINI

Morti e feriti, negli studi lavoravano 70 persone

UN MISSILE SPEGNE LA TV SERBA COLPITA LA VOCE DEL REGIME, MA L'
EMITTENTE RIESCE A RIPRENDERE LE TRASMISSIONI. ATTACCO NOTTURNO SULLA
CITTÀ DI NIS UN RAID ANNUNCIATO: MARTEDÌ LA CNN AVEVA TRASLOCATO

BELGRADO - "Erano appena suonate le 2 quando ho sentito una tremenda
esplosione. Ho capito subito che avevano colpito la televisione. Abito
qui vicino e sono scesa di corsa a vedere". La signora bionda con gli
occhi celesti rossi di lacrime e di fumo che si aggira stranita per la
via Tarkovska lavora alla tivù serba come archivista da vent' anni.
Sono le 3 del mattino e l' edificio a quattro piani che era il cuore
della tivù serba, il cosiddetto "broadcast" o centro di controllo, non
esiste più. Un missile laser comandato l' ha schiacciato dall' alto,
preciso come un colpo di maglio. Di notte alla tivù serba lavorano due
studi, In tutto a quell'ora si trovavano nell' edificio una settantina
di persone. Giornalisti, tecnici con il cartellino della tivù serba
(Rts) al bavero della giacca sono venuti a cercare notizie dei
colleghi. C' è chi telefona sul portatile: "Jelena e Aca sono vivi. Ma
Darko non ce l' ha fatta. Stava al "master" e lì non è rimasto più
nulla". Nemmeno Branko ce l' ha fatta. Aveva 23 anni ed era diventato
amico dei tecnici di Canale5 che ogni sera consegnavano a lui la
cassetta da trasmettere in Italia. Mentre le ruspe continuano a
scavare, il bilancio dei morti rimarrà sconosciuto per tutta la
giornata. Dieci, secondo la stima del direttore generale della Rts
Dragoljuv Milanovic che riferisce anche di 17 dispersi. Vittime
innocenti, doppiamente vittime: della Nato che voleva dimostrare a
Milosevic che non ci sono "santuari" invalicabili; e di Milosevic che
non ha permesso l' evacuazione della televisione di Stato, nonostante
fosse un bersaglio annunciato. La Cnn che aveva un suo ufficio nel
palazzo, aveva fatto i bagagli già martedì. E la stessa sera, il
ministro Goran Matic, aveva portato (senza avvertirli) i giornalisti
stranieri a portare la loro solidarietà ai colleghi nel mirino della
Nato. Tra le macerie del palazzo della tivù, al buio, le squadre di
soccorso cercano di estrarre i corpi dalle macerie. Dicono che si
sentono dei lamenti e dei colpi, come se qualcuno bussasse. Si diffonde
un odore acre, il fumo da nero diventa blu e la polizia manda via
tutti: c' è pericolo di avvelenamento. è giorno ormai e per la strada
si è riunita una folla. Vicino alla sede della tivù c' è la chiesa di
San Marco. Tra la chiesa e la televisione un teatro per bambini e una
minuscola chiesina russa. Il teatro è semidistrutto, la chiesina
leggermente danneggiata. "A Clinton dovrebbero dare il Premio Nobel per
un' invenzione senza precedenti: le bombe umanitarie" dice lo scrittore
Dusan Kovacevic, autore del romanzo da cui Kusturica ha tratto il suo
film "Underground". "La follia che aveva sconvolto la Jugoslavia ha ora
raggiunto l' Occidente" dice Kovacevic. "Questa - prosegue - è la
continuazione della Seconda guerra mondiale dopo una breve pausa. E
speriamo che tra qualche anno non ci troveremo in cantine
antiatomiche". Esattamente sei ore dopo questo orrore, la televisione
serba riprendeva a trasmettere regolarmente. Evidentemente era pronto
un piano di emergenza. "Colpiremo il cervello della propaganda di
Milosevic" aveva annunciato un portavoce della Nato. I primi raid della
notte scorsa hanno invece colpito Nis, la seconda città della Serbia.
Almeno 15 missili Nato hanno raggiunto il centro a 220 chilometri a sud
di Belgrado. L' agenzia ufficiale Tanjug dice che un ragazzo di 17 anni
è morto.

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 2

SOLANA: "UN' AZIONE LEGITTIMA ERA IL MEGAFONO DEL REGIME" JAMIE SHEA:
"LA RTS È UNO STRUMENTO DI GUERRA, FA PARTE DELLA MACCHINA DI
PROPAGANDA JUGOSLAVA" LA NATO

WASHINGTON (m.r.) - "Abbiamo dimostrato che non c' è asilo, non c' è
riparo per gli strumenti che creano le condizioni attraverso cui il
regime di Milosevic attua la sua campagna di repressione". All'
indomani del bombardamento della sede della televisione jugoslava, la
Nato ha difeso con forza la decisione di attaccare un bersaglio che
molti considerano non militare, ma civile. Per il segretario generale
Javier Solana è un "obiettivo legittimo". Che rientra tra quelli "già
inseriti nella lista dei bersagli da prendere di mira per le sue
implicazioni militari". Non si tratta di una nuova fase della campagna
aerea, ha spiegato Solana, sottolineando che "gli attacchi stanno dando
dei risultati" e per questo "saranno intensificati fino alla vittoria".
L' obiettivo, dice il portavoce dell' alleanza, è "azzoppare gli
strumenti fondamentali del regime". "Nessun elemento del sistema di
potere di Milosevic può essere immune" rincara George Robertson, il
ministro della Difesa britannico. I dubbi sull' attacco alla torre nel
centro di Belgrado vengono respinti con determinazione. Nella campagna
aerea in corso, spiegano gli uomini dell' alleanza, la strategia corre
lungo due direttrici: martellare le truppe jugoslave impegnate nella
pulizia etnica del Kosovo, da una parte, colpire "i centri del sistema
nervoso della Jugoslavia" dall' altra. E la decisione di bombardare Rts
parte dalla convinzione che la tv pubblica faccia parte, a pieno
titolo, di questi centri. "Rts - spiega con foga Jamie Shea - è uno
strumento di guerra, fa parte della macchina bellica jugoslava". Non da
oggi: da quando, dice, nel 1991 chiamava i croati ustascia. Da questo
punto di vista, la tv serba "ha tanta responsabilità quanto l' esercito
regolare jugoslavo nel creare il clima politico che ha portato alla
violenza di massa nel Kosovo". Sua la responsabilità di una sistematica
campagna di "istigazione al nazionalismo", che ha creato le premesse
psicologiche per la sistematica ricerca della pulizia etnica, in Bosnia
prima, nel Kosovo poi. Nessuna sorpresa, dunque, secondo gli uomini
della Nato. Il bombardamento della tv viene presentato come la logica
conseguenza di una strategia di crescente pressione su Milosevic, in
una linea coerente con il bombardamento del quartier generale del suo
partito e, poi, di una delle sue abitazioni a Belgrado: ambedue,
secondo lo spionaggio occidentale, ospitavano, in realtà, bunker e
centri di comunicazione, cruciali nell' organizzazione della
repressione politica e militare. In realtà, gli uomini della Nato
sorvolano, oggi, sul fatto che, quando la decisione di inquadrare nel
mirino la televisione fu annunciata, si manifestarono subito, da parte
europea (francesi e italiani in testa) dubbi e perplessità. Tanto che
la decisione sembrava accantonata. Averla riproposta, giudicano alcuni
analisti, può essere il risultato della maggiore autonomia di decisione
che, negli ultimi giorni, soprattutto su pressione americana, è stata
concessa al generale Clark e al vertice militare, nella scelta degli
obiettivi.

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 1
dal nostro inviato GUIDO RAMPOLDI

Morti e feriti, Dini protesta ma D' Alema lo smentisce

BOMBE SULLA TV DI BELGRADO SCONTRO NEL GOVERNO AL VERTICE NATO. GIÀ
FALLITA LA MEDIAZIONE RUSSA. SOLANA: "INTENSIFICHIAMO GLI ATTACCHI"

BELGRADO ALLE due e venti dell' altra notte la guerra virtuale messa in
scena dalla tv del regime ha incrociato la guerra reale. E il prim'
attore della rappresentazione serba, Slobodan Milosevic, è stato
oscurato dal protagonista dell' attacco occidentale, il missile. Prima
che il razzo lo dissolvesse all' improvviso in un effetto-pioggia,
Milosevic aveva consegnato ai telespettatori alcuni giudizi contenuti
in un' intervista trasmessa tre volte dall' inizio del pomeriggio, in
sintesi o per intero. Sono in corso due conflitti, aveva detto il
presidente jugoslavo: l' uno militare e l' altro mediatico. L' ALTRA
notte le due guerre si sono sovrapposte, come forse era nel destino di
un conflitto specialissimo in cui la Nato non combatte per espugnare un
territorio, ma un regime. Ora l' Alleanza atlantica tenta di vincere la
guerra mediatica con mezzi militari. Distrugge tv e ripetitori nella
prospettiva di invadere l'etere del nemico, come in altri tempi un
esercito avrebbe cannoneggiato una fortezza per avere accesso a un'
area strategica. Ma una fortezza e una televisione non sono la stessa
cosa. La trasposizione della guerra classica nella guerra mediatica ha
un prezzo. E solleva questioni che non andrebbero affrontate solo in un
consesso di generali o nei consigli di guerra di qualche cancelleria.
Prima che il missile trasformasse il palazzo bianco in tomba e rovina,
avevamo parlato con operatori e giornalisti. Nervosi, insicuri. La
settimana scorsa un ammiraglio britannico aveva annunciato che la loro
televisione, la Rts, da quel momento figurava nella lista dei "bersagli
autorizzati". Per questa ragione: aveva calunniato l' Alleanza
atlantica attribuendole la strage di una famiglia jugoslava, i genitori
e tre bambini, uccisi da un missile a Pristina. Così motivato, il
bombardamento promesso suonava come una vendetta privata dell'
aviazione occidentale. Poche ore dopo la Nato aveva onestamente ammesso
l' errore di Pristina, sulle prime negato. Ma il destino della Rts era
rimasto nel vago. Fin quando, negli ultimi giorni e con vari segnali,
il Pentagono aveva di fatto preannunciato l' attacco. Questo doveva
essere chiaro anche al regime. La direzione della Rts non ha voluto
sospendere le trasmissioni notturne e ha obbligato giornalisti e
tecnici al rispetto dei turni. Chi per patriottismo, chi perché
comandato, tutti hanno atteso un attacco altamente probabile. Tutti
tranne la direzione politica: come sempre il regime immola altri, i
sottoposti, nella sua guerra suicida. Ma è innocente, la Nato?
Francamente non si capisce perché un' aviazione quasi onnipotente non
si prenda qualche rischio e preavverta il nemico, quando è il caso.
Poiché non ci vuole molto per intuire che nella lista dei "bersagli
autorizzati" dopo la Rts venga il palazzo di Politika, tv e giornali, a
Bruxelles prendano nota: per non uccidere basta telefonare al numero
0038111-3221836 con qualche minuto d' anticipo. Altrimenti si potrebbe
sospettare che il Comando occidentale ritenga utile spandere un po' di
terrore tra i civili. Se questo calcolo facesse parte dell'alta
strategia, allora dovremmo chiederci se la "guerra giusta" sia tale
anche quando viola la congruenza etica tra mezzi e fini. La Nato ha
spiegato l'attacco alla Rts con una verità incontrovertibile: la tv
statale aiuta Milosevic a mantenere la presa sulla Serbia. Neppure i
giornalisti della Rts negano che la loro televisione sia un cardine del
regime, ovvero del dispotismo sempre meno soffuso e mimetico praticato
da Milosevic. Lo è per mandato istituzionale. E per selezione del
personale. Le redazioni sono state formate, e deformate, attraverso
purghe successive. A cavallo tra gli Ottanta e i Novanta vennero
espulsi gli jugoslavisti che rifiutavano la linea gran-serba del primo
Milosevic, e in seguito chiunque negasse la propria adesione al regime.
Così a Belgrado la Rts è anche nota come "la Bastiglia", la prigione
della verità, la fortezza di Slobodan I, il sovrano che apre
regolarmente ogni telegiornale. Per senso di colpa o per stalinismo
mentale, chi governa la Bastiglia detesta, ricambiato, la stampa
libera. Uno dei capi-redattori plaudiva alla "normalizzazione" di B92,
l' ultima radio indipendente: "Sono pagati dagli americani", mentiva.
Questi capetti si sono calati l' elmetto in testa e ogni sera
allestiscono la guerra virtuale richiesta dal regime: la Nato
"genocida" che vuole sterminare i serbi, il nuovo Terzo Reich, Adolfo
Clinton, le mirabolanti imprese della contraerea serba che falcidia l'
aviazione nemica. Mai un dubbio su ciò che avviene in Kosovo. Mai un
accenno alla volontà occidentale di risolvere la guerra estromettendo
Milosevic. Eppure non è un capataz della menzogna oculata il
quarantenne Slobodan Stetanic, guardia notturna del palazzo del gruppo
editoriale Politika, ora obbligato dal regime a rischiare la morte per
non perdere il lavoro. Non lo è, ma è costretto a pensare come lo
fosse: "Siamo così nudi di fronte alla Nato che in queste ore mi sono
chiesto se non mi convenisse spezzarmi un braccio per saltare il turno
di domani". Secondo il regime, la Nato vuole infiltrare con
trasmissioni occidentali gli spazi di etere conquistati al nemico.
Ammesso che tecnicamente sia possibile, la Nato potrebbe instaurare un
"pluralismo di guerra" con i suoi notiziari, e raggiungere la
popolazione con il messaggio finora bloccato dalle tv serbe: abbattete
Milosevic e la guerra finirà. Ma se questa fosse l'intenzione, gli
occidentali avrebbero tanto più il dovere di raccontare la verità, a se
stessi e ai serbi. La menzogna è la specialità della Rts, ma non abita
solo quel palazzo. La popolazione serba diffida delle tv occidentali
anche con qualche motivo: troppo spesso hanno sentito il portavoce del
Pentagono riciclare le panzane della guerriglia albanese, sempre con
quel tono glaciale e onirico in cui non si avverte l' ombra di una
passione civile. La rassegnazione che leggevamo l' altra notte sulle
facce della gente, intorno al palazzo che bruciava con fiamme violette,
diceva che ormai i più hanno capito l' inevitabilità della sconfitta.
Ma questa guerra mediatico-militare è anche la battaglia per l' anima
della Serbia. E gli occidentali non la vinceranno se accorceranno la
distanza etica che li divide dal nemico.

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 1
di FURIO COLOMBO

QUANDO I RAID COLPISCONO LA PROPAGANDA
LA POLEMICA

BOMBE e missili della Nato hanno centrato e distrutto la televisione di
Belgrado. L' opinione del mondo si divide fra coloro che provano orrore
e scandalo per la distruzione di uno strumento di informazione, e
coloro che dicono: non fa differenza, l' importante è piegare
Milosevic. Condivido il dolore per le vittime, ma non lo scandalo. Chi
ha seguito la "serata Santoro" con la partecipazione straordinaria di
agenti, viceministri, ministri e nessuna (nessuna) voce fuori dal giro
stretto e intimo del presidente serbo, comprese le testimonianze
"spontanee", sa che non stiamo parlando di informazione ma di una
macchina di propaganda. LA STESSA che ha provveduto a punire Lucia
Annunziata per essersi mossa con dignità, la stessa che provvede ogni
giorno a tenere sotto sorveglianza i giornalisti stranieri rimasti in
Jugoslavia. Però sono sorpreso. Dal punto di vista di chi conduce una
guerra che ha preso l' impegno di essere rapida, implacabile,
chirurgica, rigorosamente militare, l' obiettivo centrato è inutile. L'
allarme, perciò, a parte il costo delle vite umane, che è sempre un
orrore, è un segnale strano. La alleanza più potente del mondo doveva
occuparsi dei palinsesti e delle telecamere della famiglia Milosevic?
Non sto domandando se non c' era niente di meglio da colpire. Sarebbe
una domanda da dottor Stranamore, e chi mi legge sa che non posso
provare alcun entusiasmo per una guerra, anche se vedo ragioni (salvare
i kosovari dallo sterminio) che condivido. Mi sto però domandando se
puntare le risorse immense di un raid ad alta tecnologia, ad altissimo
costo, con grande rischio umano, sugli studi e gli impianti di una
televisione non tradisca disorientamento e incertezza sul che fare.
Intendo dire: un grande colpo di forza contro niente che conta per fare
la pace o finire la guerra, e neppure per mitigare o piegare o ridurre
il rischio. Per spiegarmi propongo un esempio rovesciato. Un Milosevic
adeguatamente potente distrugge i centri di trasmissione della
televisione americana. Bel colpo. Una democrazia dipende intensamente
dal dialogo con la propria informazione. I cittadini di una dittatura,
come ricordano coloro che hanno vissuto sotto il fascismo hanno con le
fonti di informazioni un rapporto completamente diverso. I credenti
cementano la loro fede ciecamente e nel vuoto. Gli oppositori non
contano mai e in niente sulla rete ufficiale delle notizie. Sanno che
sono false e inutili. Ci dicono che i serbi sono un blocco cementato
dalla comune credenza di nazione, di razza, di storia. è evidente che
non è vero. Esseri umani, anche all' interno di legami comuni, hanno
umori, giudizi e pensieri diversi. Negarlo è una affermazione razzista.
Resta però il fatto che una guerra alta, lontana, incomunicabile,
blocca le infinite diversità degli esseri umani in una rete che tiene
tutti schiacciati su ciò che accade lì, sul posto, ogni giorno, ogni
notte. In queste condizioni è frivolo abbattere la centrale televisiva,
perché persino gli adoratori di Milosevic devono avere sempre saputo
che le loro notizie erano solo una voce convenzionale e ufficiale.
Quanto a coloro che non hanno mai avuto fiducia nel loro dittatore,
erano senza parola prima e sono senza parola adesso. L' osservazione
che sto facendo ha poco valore per coloro che antagonizzano comunque la
guerra, o perché respingono qualunque guerra o perché questa guerra
sembra loro troppo "americana", dimenticando che è stata europea l'
iniziativa di invocare la presenza americana per bloccare la mattanza
dei cittadini inermi del Kosovo. Ma è più importante per coloro che si
sono domandati seriamente se un progetto militare di questo tipo
potesse davvero portare - in fretta e con poche vittime - a uno stato
di coesistenza meno sanguinoso, meno persecutorio, scardinando l'
ossessivo richiamo alla razza che ha già abbastanza offeso la coscienza
di questo continente in questo secolo. è in quest' ambito che si sente
allarme e disagio. Bombardare la televisione? Ma allora che ne è stato
delle colonne di carri armati, dei quartieri generali delle armate
serbe, dei gangli del controllo militare del paese, della nervatura di
resistenza fisica (fisica, non propagandistica) del regime? Se tutto è
già finito in cenere sotto le bombe e i missili, allora non è il caso
di occuparsi degli studi televisivi. Sarebbe come puntare ai quadri e
soprammobili di casa Milosevic, dopo avergli scoperchiato la villa. Se
invece qualcuno ha pensato che era necessario colpire la televisione,
in base a quale consuntivo di azioni militari già compiute è giunto a
diramare quell' ordine? è difficile allontanarsi dal pensiero che l'
azione militare, promessa come "perfetta" anche per superare le
obiezioni dei tanti politicamente convinti ma non persuasi dello
strumento guerra, non sia stata, fino a questo punto affatto perfetta.
Ma "questo punto" sono trenta giorni di azioni senza sosta su uno
spazio molto piccolo, con un potere di urto e di danno molto grande.
Ecco che cosa mi sento di dire a chi ha progettato l' azione
distruttiva contro gli impianti della televisione serba. Provoca un'
impressione di decisione estrema, e questo fatto contrasta
drasticamente con tutte le argomentazioni che sostengono la strategia
militare che i più potenti paesi del mondo stanno seguendo. Dunque lo
stato d' ansia, dopo questo evento, non riguarda tanto l' oltraggio
alla libertà di informazione, che in questo caso non c' era. Riguarda
il senso di probabile inutilità di una simile iniziativa in un paese in
cui niente è libero. Ma, proprio per questo, si era detto, quello che
conta è smantellare la forza militare che stringe tutto in una morsa.
Se simili azioni non essenziali e non efficaci diventano simbolo dell'
intervento, sarà difficile far salire il consenso, anche fra coloro che
non hanno mai dimenticato il punto chiave: la salvezza degli abitanti
del Kosovo dallo sterminio.

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 10

Ferrara: spiace per le vittime, ma faceva solo propaganda
"MA QUELL' ANTENNA ERA COME UN' ARMA"

INTERVISTA/2

MILANO (a.dip) - Giuliano Ferrara, l' attacco alla tv serba come svolta
di questa guerra? "No, come il proseguimento naturale di quanto fatto
finora". Come aver bombardato un carro armato? "Beh no, come aver
bombardato un ponte, un mezzo di comunicazione, comunque". Senza alcun
dubbio? "Ma non scherziamo. Una tv senza libertà di informazione e d'
espressione è uno strumento di guerra, né più né meno". E le proteste
dei giornalisti? "Pura ipocrisia. Io sento un peso orribile da questa
guerra, vorrei con tutto il cuore che finisse qui, l' evento della
scorsa notte, in sé, è terribile ed epocale, non ci piove: è la
distruzione della tv centrale di una grande capitale europea. Ma qui ci
fermiamo, il signor Milosevic è l' unico responsabile". E così? "E così
arriva questa devastante cultura della mediazione infinita, una
mediazione da magliari che non porta a nulla. E dall' altra parte c' è
Milosevic che procede e aspetta che altri gli tolgano le castagne dal
fuoco, che si facciano prendere dai dubbi, che si dividano. Con un solo
risultato". Quale? "Ma è ovvio, che tutto si incrudelisce, che gli
attacchi si fanno più pesanti, che gli obiettivi da colpire si fanno
sempre più ambiziosi. E di fronte a qualunque vero progetto di
negoziato, Milosevic si tira indietro e dice: fate voi, bombardate. La
Nato non ha nessuna, dico nessun' altra alternativa, e tutto diventa
terribilmente ovvio e conseguente". Si parla di un attacco inutile, che
non favorisce certo la maggiore libertà di informazione. "Spiacente, è
stato tutto fuorché un attacco inutile". Chi lo spiega ai giornalisti
serbi? "Insomma, il primo atto bellico di Milosevic è stato quello di
cacciare le tv straniere. Vuol dire che la questione dell' informazione
televisiva sulla guerra non era una questione, era la questione. L'
informazione serba è uno strumento di guerra, uno dei principali". Non
è troppo calato in una dimensione di conflitto a tutti i costi? "Io? Io
sono sempre stato e sono tuttora un leale sostenitore di chi vuole un
negoziato vero. Il negoziato è fallito, la colpa è di Milosevic.
Insisto, vedere la tv colpita fa impressione, è ovvio. Ma questi sono i
primi conflitti ad altissimo contenuto tecnologico a cui assistiamo,
dobbiamo abituarci a riconsiderarne i modi, e gli obiettivi". Ma questi
missili hanno fatto male a Milosevic? "Gli hanno fatto malissimo".

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la Repubblica - Sabato, 24 aprile 1999 - pagina 10
di ANTONIO DIPOLLINA

Insorgono i giornalisti per l' attacco alla tv serba

I MISSILI DELLA DISCORDIA PROTESTA LA FNSI, MESSAGGIO DI SOLIDARIETÀ DI
SANTORO. POCHE LE VOCI A FAVORE DELLE BOMBE

MILANO - I missili sulla tv serba uccidono, polverizzano e rilanciano
al massimo grado le polemiche all' esterno. Cade un simbolo, quello dei
canali informativi attaccati senza pietà e dubbio alcuno, e la guerra
che divide, divide ancora più di prima. Si indignano in molti, con
furore, altri dicono che questa è la guerra. Quei colleghi morti del
palazzo di via Aberdareva, in piena Belgrado, sono "vittime civili e
incolpevoli" per Michele Santoro che insieme a tutta Moby Dick invia
subito un messaggio di solidarietà ai giornalisti della tv belgradese,
un ennesimo passaggio della devastante storia giornalistica che lo ha
coinvolto insieme a molti altri nell' ultimo periodo. Si infuria Sandro
Curzi, direttore di Liberazione, che parla di "crimine di guerra
premeditato contro i civili", sottolineando la distruzione della
storica agenzia di notizie Tanjug ("Da sempre libera") e chiedendo una
condanna severa. Preoccupata e indignata è la Federazione nazionale
della stampa, il sindacato dei giornalisti: "La strage ha coinvolto
anche vittime innocenti, la Nato ha voluto distruggere e uccidere senza
creare minimamente le condizioni per informare correttamente la
popolazione serba". Un comunicato che si conclude con la richiesta di
cessare immediatamente qualunque altro attacco alle sedi e
installazioni degli organi di informazione. L' attacco Nato è
"sconvolgente" per il sottosegretario alle comunicazioni Vincenzo Vita,
che ricordando le "obiettive responsabilità del governo serbo"
ribadisce che "l' informazione è un bene primario e non può essere
messo in discussione". "Un' azione stolta", l' attacco Nato, per il
responsabile Ds per l' informazione Giuseppe Giulietti: "L' effetto
paradossale è quello di ricompattare tutti i serbi intorno al regime di
Milosevic". E il rischio per chi sta di qua, dice Giulietti, aumenta:
il rischio di invelenire tutto e tutti: "Si sta creando un clima in cui
qualsiasi posizione critica rischia di essere assimilata a un non
meglio identificato partito serbo, o a una sorta di pacifismo da utili
idioti". Si dividono, intanto, anche i direttori dei telegiornali.
Sarcastico Enrico Mentana del Tg5: "Brava Nato, bel colpo. Adesso,
mentre la tv serba continuerà a trasmettere, per i nostri inviati a
Belgrado sarà sempre più difficile darci le notizie. Tra noi
giornalisti ci si può dividere sulla guerra in corso, ma un' azione di
questo genere danneggia l' informazione tutta". Qual è il risultato
finale? "Che l' informazione sul conflitto - spiega Mentana - ormai la
possono fare solo la Nato e Milosevic. Chi è in mezzo, rimane muto e
indifeso. Bel risultato". Non capisce il senso di tutto questo, è
sconvolto dalla notizia Emilio Fede, "l' informazione non dev' essere
mai colpita, è sempre garanzia di libertà - si lancia spericolato il
direttore del Tg4 - Spero ancora che sia stato un errore, altrimenti è
stata una stupida iniziativa". Si stupisce dello stupore altrui Paolo
Liguori, direttore di Studio Aperto: "Erano più accettabili le bombe
sulle fabbriche che hanno ucciso gli operai? - si chiede -la vita dei
giornalisti vale forse il doppio di quella degli altri?". Liguori apre
il fronte di coloro che non vedono nulla di strano o inatteso nel
bombardamento alla Rts. E il punto ruota intorno a una questione. L'
Usigrai, sindacato dei giornalisti Rai, sta da questa parte: "è
inaccettabile che si considerino i mezzi di informazione alla stregua
di basi militari, la libertà di informazione non si ripristina con le
bombe sulle sedi dell' informazione". E invece, secondo Vittorio
Feltri, direttore del Borghese, il punto è proprio lì: "La tv serba
produceva e produce cose utili militarmente: ho visto il vice di
Milosevic parlare alla sua tv e descrivere i profughi in fila come se
fossero gli iscritti a una marcia non competitiva. La tv serba è stata
usata come un mezzo di guerra e di propaganda bellica, come tale, è un
obiettivo militare. Indignarsi su questo bombardamento è fuori luogo:
il problema è non fare la guerra, non le vittime tra i giornalisti. Io
sono angosciato - prosegue Feltri - per tutti i morti di questa guerra,
sono morti operai, commercianti, geometri: ecco, se muore un geometra
mi spiace di più che se muore un giornalista, perché i geometri mi
stanno simpatici". Fermo restando che, secondo Feltri, il sindacato dei
giornalisti farebbe bene a occuparsi d' altro ("della libertà di stampa
in Italia, per esempio") e che questa, come conferma laconico Francesco
Storace, "purtroppo è la guerra". Ma "l' informazione è un valore da
non coinvolgere", dice il presidente della Rai Roberto Zaccaria. "La
guerra non crea mai zone franche - aggiunge però Roberto Morrione,
direttore di Rai News 24 - e oggi più che mai difficile valutare queste
zone franche. Dispiace che ci siano giornalisti vittime, ma nella
guerra ci sono morti innocenti da tutte le parti. Per Paolo Ruffini,
direttore del Giornale radio Rai, invece non sempre la stampa è libera,
ma non si recupera la libertà bombardando.

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la Repubblica - Domenica, 25 aprile 1999 - pagina 1
di GIORGIO BOCCA

LE LACRIME DEI PACIFISTI

IL senatore Cossutta, cresciuto nella propaganda pacifista al servizio
dell' Unione Sovietica, ha proposto agli intellettuali italiani di
prender su un ricambio di biancheria e partire per Belgrado, i ricchi
magari sull' Orient Express, per offrirsi come scudi umani contro l'
aggressione Nato. In pratica rischiare la vita per difendere Slobodan
Milosevic che sarà un combattente per la pace ma usa per le pulizie
etniche della Bosnia e ora del Kosovo le milizie di Arkan definite le
tigri per la loro capacità di non distinguere fra uomini, donne, vecchi
e bambini. PER principio di equità avrebbe potuto proporre un' altra
destinazione, qualche villaggio del Kosovo o la capitale Pristina
appena bruciata per fermare anche lì qualcosa di poco pacifico, la
deportazione di centinaia di migliaia di persone. Questo pacifismo
inteso come campagna propagandistica, spiega molti aspetti ambigui di
questa guerra: non solo quella che si combatte in Serbia ma anche
quella che divide la pubblica opinione italiana. Qualcuno ha osservato
che le guerre di questo tempo non sono più paragonabili all' ultima
mondiale che fu una guerra per la vita e per la morte, per la
sopravvivenza della umana civiltà, insomma una guerra che fu combattuta
fino all' ultimo uomo e all' ultimo fucile attorno al bunker di Hitler.
No questa guerra è un' altra cosa come quelle che ogni tanto si
accendono e poi spariscono nel tormentato pianeta: insieme militari e
politiche, fatte, come quella del Golfo, per abbattere il dittatore
Saddam Hussein, ma anche, a guerra vinta, per risparmiarlo come
cuscinetto rispetto alla minaccia dell' integralismo iraniano. Sempre
distinguendo i poveracci di cui fare carne da macello, dai nuovi
signori, quasi una riedizione delle guerre medievali in cui i poveracci
venivano messi ai remi o nelle galere mentre i cavalieri e i re erano
subitamente riscattati con moneta sonante. Nelle guerre totali mondiali
per la sopravvivenza ogni intelligenza con il nemico, ogni strappo alla
legge marziale veniva duramente punito a volte con la morte, adesso in
occasione di questa drole de guerre, il fatto che il Parlamento
italiano, il governo italiano facciano parte di un' alleanza i cui
membri hanno concordemente deciso la campagna contro la Serbia, non
impedisce ai nostri pacifisti, autentici od opportunisti che siano, di
andare a Belgrado alla corte del tiranno. Come se una buona parte della
nostra pubblica opinione non sapesse bene che cosa è una guerra e la
confondesse con una specie di gioco, spesso feroce, ma sempre attento
ai rispetti che si devono alle persone "importanti", alle professioni
importanti come l' informazione televisiva. In una guerra diciamo
normale si entra in campo all' unico scopo di vincerla, e di
conseguenza vengono considerati come obiettivi principali le armi e le
difese più forti del nemico. Qui no, per tutti coloro che si sono
sdegnati e hanno protestato contro l' attacco alla televisione di Stato
serba essa non è, come è evidente, una delle armi più forti di
Milosevic, non è lo strumento di propaganda e di menzogna che ha
sistematicamente ignorato la pulizia etnica, fatto dei carnefici delle
vittime, infiammato, ingigantito il sentimento nazional-etnico, il
complesso di Davide contro Golia che agli occhi dei serbi e della loro
passione nazionalista potranno anche sembrare ammirevoli ma che a chi
ha deciso di risolvere la partita con le armi sono inequivocabilmente
ostili. Si dice da molti conoscitori della Serbia e di Milosevic che l'
errore principale della Nato è stato di sottovalutare l' avversario, di
non sapere fin dove può spingersi il suo gioco. Una controprova è il
modo con cui l' informazione nostra e di altri paesi Nato ha accolto le
manifestazioni patriottiche dei giovani, dei cittadini che sventolando
bandiere nazionali si tenevano per mano sui ponti, esempio di quegli
scudi umani a cui il senatore Cossutta vorrebbe destinare i nostri
intellettuali. Ebbene c' erano due modi di reagire a quelle immagini,
quello del pacifismo che scambia questa guerra per un gioco: ma guarda
che coraggiosi, guarda che bravi. E quello di chi, avendo conosciuto
altre guerre e altre dittature, è inorridito vedendo che uso di un
sentimento sincero e generoso abbia potuto fare un autocrate, un uso
che neppure Hitler, neppure Stalin fecero né a Berlino né a
Stalingrado, forse perché sapevano molto bene che la guerra non è un
gioco e che mandare o lasciar andare dei cittadini inermi a difesa di
obiettivi militari è complicità in strage. L'episodio della televisione
bombardata e degli sdegni e delle proteste corporative è un' altra
prova di quanto le guerre totali per la sopravvivenza fossero diverse
da queste che possono sembrare e forse sono anche disfida politica o
gioco. La pretesa cioè dei nuovi mezzi informatici e telematici
dominanti di essere in qualche modo al di sopra delle parti quando è
evidente che ci stanno dentro fino al collo e che vengono usati dalle
opposte propagande. Il povero Remondino corrispondente forzato da
Belgrado, quella fotografia tessera che di lui appare sugli schermi
mentre spiega "vorrei dire ma non posso", fa il pari con i
corrispondenti americani a Bagdad. E sostenere che anche questa è
informazione equivale a scambiare un uomo libero con un ostaggio.

**********************

la Repubblica - Domenica, 25 aprile 1999 - pagina 8
di CARLO BRAMBILLA

"Non facciamo del pacifismo a senso unico. Milosevic? Non è Hitler ma
gli somiglia"
L' EX PARTIGIANA ANSELMI "QUESTA GUERRA È GIUSTA" L'INTERVISTA

MILANO - "L' azione del governo? Decisamente positiva. Abbiamo fatto
tanto rispetto ad altri paesi più ricchi di noi. E abbiamo fatto bene a
farlo perché questi sono i nostri vicini di casa. E poi la nostra
azione militare mi pare sia accompagnata da una ricerca continua e
sincera di vie che possano portare a una pacificazione". Appoggia D'
Alema senza mezze misure la staffetta partigiana Tina Anselmi, a 17
anni nella brigata Cesare Battisti, ai piedi del Monte Grappa, oggi a
Milano per celebrare questo 25 aprile di guerra. Non pochi la
vedrebbero con favore alla più alta carica dello Stato. E la salutano
simpaticamente "Tina for president". Lei lascia correre. E torna,
preoccupata, a parlare della ex Jugoslavia. Giusto anche bombardare la
televisione di Belgrado, provocando morti e feriti tra i civili,
giornalisti, tecnici televisivi? "Non ho elementi sufficienti per
entrare nell valutazioni delle strategie e delle tattiche militari.
Quello che mi se<br/><br/>(Message over 64 KB, truncated)

Bari 7 novembre 2003 - ore 17.30

Università di lingue - Aula B via Garruba 6 Bari

 
Comunicazione televisione e guerra

in collaborazione con la Sezione di Filosofia del linguaggio del
Dipartimento di pratiche linguistiche e analisi dei testi
dell’Università di Bari

 
Sedìci persone - le parole negate del bombardamento della TV di Belgrado


Alle due e sei minuti del 23 aprile del 1999 il palazzo della tv
nazionale di Belgrado Rts, la Radio Televizija Srbije, viene colpito
dai missili Cruise della NATO. 16 persone che stavano lavorando
all’interno dello stabile vengono uccise...

 
Sedìci persone, il documentario ideato e diretto da Corrado Veneziano,
con la consulenza giuridica di Domenico Gallo, ripropone, a quattro
anni di distanza dalla “guerra umanitaria” della NATO, la questione del
rapporto tra informazione e guerra.


Ne discutono con l’autore

Corrado Veneziano

Augusto Ponzio - Università di Bari

Enrica Simonetti - giornalista

Patrizia Calefato - Univ. di Bari

Susan Petrilli - Università di Bari


Coordina

Franco Schettini


associazione Most za Beograd -  INFO: 0805562663


--- ALLEGATI - TERZA ED ULTIMA PARTE ---


http://www.sedicipersone.it/Premessa.htm

LA PREMESSA

La notte del 23 aprile 1999, la Nato bombardò gli studi della
televisione nazionale di Belgrado, uccidendo sedici persone. Interno al
più generale progetto di azzeramento delle gerarchie - e del regime -
serbo, l'attacco fu preceduto e seguìto da altre incursioni: una guerra
che ha goduto della attiva collaborazione militare italiana, e
dell'utilizzo delle basi logistiche statunitensi presenti nel nostro
territorio.
Se durante lo svolgimento del conflitto (per esempio col bombardamento
di colonne di profughi o dell'ambasciata cinese), la Nato parlò di
"effetti collaterali", accennando a scuse più o meno formali o a errori
di valutazione, in questo caso la troupe televisiva fu interpretata
come "figura militare da contrastare nell'atto della sua funzione di
guerra".
Ciò che accadde in quella circostanza vale la pena di essere ripreso e
problematizzato. E' la prima volta che la stampa viene del tutto
proposta come braccio armato di un regime, ed è il primo caso in cui la
morte di una omogenea unità professionale (per l'appunto una troupe
televisiva) non abbia sollevato le proteste in altri Stati di analoghe
o contigue associazioni di categoria.
A nulla sono servite le cause intentate dai parenti delle vittime, né
il richiamo a precise disposizioni del diritto internazionale, che
parlano di liceità di un attacco militare solo nei confronti di
obiettivi e di forze militari o di persone al seguito delle forze
armate (è il caso dei piloti).
La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo alla quale inizialmente è stata
denunciata l'azione, ha risposto che essa non può accettare un ricorso
vòlto a far valere la responsabilità degli Stati membri per un fatto
extraterritoriale La Corte di Cassazione italiana, coinvolta anch'essa
nel giudizio, ha sentenziato che "la scelta di una modalità di
conduzione delle ostilità rientra tra gli atti del Governo" aggiungendo
che tali costituiscono espressione di una funzione politica che "per
sua natura è tale da non potersi configurare, in rapporto a essa, una
situazione di interesse protetto a che gli atti in cui si manifesta
assumano o non assumano un determinato contenuto".
Quindi la Corte ha dichiarato che i Trattati internazionali sui Diritti
dell'Uomo non attribuiscono diritti a nessuno, poiché le leggi che vi
hanno dato applicazione nel nostro ordinamento "non contengono norme
espresse che consentono alle persone offese di chiedere allo Stato
riparazione dei danni loro dovuti dalla violazione delle norme
internazionali". La Cassazione, da un lato dichiara astratte e non
determinanti le leggi internazionali, dall'altro rivendica il principio
della legittimità assoluta delle azioni belliche decise dal Governo
italiano.
La stampa è qui probabilmente intesa e proposta come accompagnamento
ideale di una forza militare, e come tale repressa e combattuta.
Il gioco degli automatismi - così innescato - potrebbe portare a derive
ancor più tragiche e deliranti. Gli slittamenti progressivi del terrore
permetterebbero la sovrapposizione di giornalisti televisivi (e
giornalisti radio, operatori e cameramen, truccatori, etc.) con quella
di insegnanti e docenti universitari, educatori e commentatori, e poi
artisti, pubblicitari, traduttori, doppiatori, financo antennisti.
L'intero universo della comunicazione potrebbe essere, in questa
prospettiva, annullato e falcidiato, giacché succube di un potere che -
pur se eletto democraticamente - viene valutato come dittatoriale e
totalitario.
Il lavoro che qui si propone vuole aprire una discussione partendo da
questo circoscritto avvenimento: valutando differenze e analogie
interne al lavoro della comunicazione e della stampa, problematizzando
il concetto di libertà di pensiero e di divulgazione, denunciando ogni
coinvolgimento dello Stato italiano in avventure belliche di ogni segno
e colore.
C'è un pensiero diffuso, in psicoanalisi, che vede, nelle operazioni di
chi commette atti di repressione, una irrisolta proiezione personale:
colui che censura un atto d'amore, secondo questa logica, ha forse
contraddizioni in ambito sessuale; se rimprovera troppo spesso i
bambini, ha probabilmente vissuto in modo infelice la sua infanzia. E
se uno Stato uccide una troupe giornalistica, forse i suoi
rappresentanti sono inconsciamente convinti che essa possa – debba -
essere assoldata e servire con coerenza le istanze che il potere di
quello Stato comunque le richiede.
C'è un luogo comune, in linguistica, che interpreta l'afasia come uno
dei segnali di anticipazione dell'atrofia, e poi della paralisi,
relazionale e argomentativa. Non vorremmo che la totale assenza di
analisi e discussione - nel corso di questi quattro anni - su quel
tragico avvenimento fosse una spia pericolosa di una profonda
regressione, ideale e politica, nella quale siamo avvolti.

---

BELGRADO, 23 APRILE 1999
di Riccardo Noury

Alle due e sei minuti del 23 aprile 1999 il palazzo della tv nazionale
di Belgrado Rts, la Radio Televizija Srbije, viene colpito dai missili
Cruise della Nato: 16 persone che stavano lavorando all’interno dello
stabile vengono uccise. Si tratta di una giornalista, tecnici
dell’audio e cameramen. Un errore fatale? No. Si sapeva, infatti, che
l’edificio situato sulla via Aberdareva era stato incluso fra gli
obiettivi di quelle operazioni di guerra in quanto la tv nazionale era
considerata il megafono della propaganda di Slobodan Milosevic e, come
conseguenza, i giornalisti e i dipendenti erano ritenuti "voci e
braccia armate" radiotelevisivi di quel governo.
Il documentario di Corrado Veneziano pone al centro della riflessione,
in occasione del quarto anniversario dell’accaduto, una domanda
centrale: i chiarimenti dati allora, come oggi, da alcune istituzioni e
organismi internazionali esauriscono per sempre l’argomento? Oggi, il
palazzo della tv nazionale serba è stato ricostruito attorno a quello
sventrato, le cui macerie sono ancora chiaramente visibili a
testimoniare la tragedia. Una lapide, in lingua serba, ricorda i sedici
nomi di quelle "Sedìcipersone".
Il filmato mostra sedici inviati, conduttori e operatori della Rai
mentre commentano quell’atto di guerra, e contiene interviste ad
altrettanti giornalisti serbi e ad alcuni parenti delle vittime. Le
immagini girate fra le macerie della tv serba, pochi minuti dopo
l’attacco, completano la visione. Sono le immagini di un massacro,
mentre la voce di Paola Ricci ci ricorda i princìpi della libertà di
stampa e dei diritti umani, tratti dalle convenzioni internazionali.

Sedìcipersone
Le parole negate del bombardamento della Tv di Belgrado
un documentario ideato e diretto da Corrado Veneziano
con la consulenza giuridica di Domenico Gallo
Per informazioni: www.sedicipersone.it

---

http://www.amnesty.it/notiziario/03_04/parole2.php3
Amnesty International: NOTIZIARIO MENSILE, Aprile 2003

23 Apr 03

cronaca di un massacro annunciato

Bisogna restare svegli la notte. È passato, all'alba (trascurato e
pigiato in una porzione dello schermo di rai sat) il documentario di
Veneziano, sedìcipersone: ricostruzione del bombardamento nato ai danni
della rts. ne ho già scritto con dovizia di particolari: “il 23 aprile
del ’99, al suo trentesimo giorno di guerra contro la federazione
jugoslava, l’alleanza atlantica bombarda la sede della televisione di
stato rts: il palazzo di ulica abardareva –come dire viale mazzini- è
colpito dal primo cruise alle due del mattino, mentre programmisti,
tecnici ed impiegati sono al lavoro. moriranno in sedici. è la cronaca
di un massacro annunciato, che lascia in eredità un precedente
spaventoso. già un’ansa dell’otto di aprile ‘99 riportava da Bruxelles
il sinistro annuncio rivolto a Milosevic dai vertici nato: se non verrà
interrotta la propaganda antiamericana in onda sulla rts, le
installazioni della televisione jugoslava verranno considerate
legittimo obiettivo militare. dalla censura al diritto di strage il
passo è più breve di quel che si creda*.
Il documentario di Veneziano è semplice, privo di orpelli: si apre con
un battito cardiaco e come un battito cardiaco è essenziale. le
immagini sono quelle, per chi avesse fegato possono essere più
esplicite le fotografie delle autopsie delle vittime, che si trovano
(solo per individui dallo stomaco forte) qui e qui. le parole scelte da
Veneziano sono indispensabili e niente affatto sottointese, quanto le
immagini:
“ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione
incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e
quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso
ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
(dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, articolo 19).
“la popolazione civile e le persone civili godranno di una protezione
generale contro i pericoli derivanti da operazioni militari. allo scopo
di rendere effettiva tale protezione, saranno osservate, in ogni
circostanza, le seguenti regole, le quali si aggiungono alle altre
regole del diritto internazionale applicabile. sia la popolazione
civile che le persone civili non dovranno essere oggetto di attacchi.
sono vietati gli atti o minacce di violenza, il cui scopo principale
sia di diffondere il terrore fra la popolazione civile. le persone
civili godranno della protezione concessa dalla presente sezione, salvo
che esse partecipino direttamente alle ostilità e per la durata di
detta partecipazione. sono vietati gli attacchi indiscriminati. con
l'espressione attacchi indiscriminati si intendono: a) quelli che non
sono diretti contro un obiettivo militare determinato; b) quelli che
impiegano metodi o mezzi di combattimento che non possono essere
diretti contro un obiettivo militare determinato; o c) quelli che
impiegano metodi o mezzi di combattimento i cui effetti non possono
essere limitati, come prescrive il presente protocollo, e che sono, di
conseguenza, in ciascuno di tali casi, atti a colpire indistintamente
obiettivi militari e persone civili o beni di carattere civile. saranno
considerati indiscriminati, fra gli altri, i seguenti tipi di attacchi:
a) gli attacchi mediante bombardamento, quali che siano i metodi e i
mezzi impiegati, che trattino come obiettivo militare unico un certo
numero di obiettivi militari chiaramente distanziati e distinti,
situati in una città, un paese, un villaggio o in qualsiasi altra zona
che contenga una concentrazione analoga di persone civili o di beni di
carattere civile; b) gli attacchi dai quali ci si può attendere che
provochino incidentalmente morti e feriti fra la popolazione civile,
danni ai beni di carattere civile, o una combinazione di perdite umane
e di danni, che risulterebbero eccessivi rispetto al vantaggio militare
concreto e diretto previsto. sono vietati gli attacchi diretti a titolo
di rappresaglia contro la popolazione civile o le persone civili. la
popolazione civile comprende tutte le persone civili”.
(convenzione di Ginevra, primo protocollo aggiuntivo).
Veneziano dà voce ai giornalisti, quelli italiani –a cominciare da
Remondino, osservatore coraggioso dei 78 giorni di aggressione alla
serbia nel ’99- e quelli serbi; le parole si sovrappongono fra il
desiderio di testimonianza e la richiesta di giustizia, fra l’angoscia
di chi ha perduto amici e colleghi allo smarrimento di chi comprende
che le ‘nuove guerre’ non contemplano più l’inviolabilità dei civili.
parole chiare, essenziali, dure. anche quelle del briefing nato che,
motivando il bombardamento della rts del 23 aprile ’99, spiegò: “in
nessuno dei casi è stata riscontrata l’intenzionalità di produrre
vittime, al di là della logica militare”.
più chiaro di così, credetemi, si muore. e a morire furono in sedici.
"hanno mantenuto la promessa più idiota: hanno centrato il palazzo
della tv di Belgrado. una sorta di contro-informazione militare: invece
che lanciare volantini, hanno lanciato un missile. una strage via
etere, nel nome del primato della propaganda di chi ha più armi e più
armate. la propaganda del nemico è un'offesa alla civiltà liberale, la
propaganda occidentale che è la verità che cammina. la censura e
l'autocensura che alitano sulla rai sono un tocco di "professionalità":
la censura imposta da Milosevic alle sue emittenti è un crimine contro
l'umanità. siamo all'apoteosi della "mitologia del nemico": che ha solo
torti e delitti, che va sfiancato e pure ammutolito, sconfitto
militarmente e spogliato delle proprie (giuste o sbagliate) ragioni.
noi siamo Abele e lui Caino, punto e basta: ma era poi Abele quello che
uccideva? anche la bibbia sarà riscritta alla luce della sapienza dei
generali". (nichi vendola, liberazione, il giorno dopo la strage)
*quando il nemico è il media, babsi jones per clorofilla, registrazione
free alla sezione ‘speciali’

PREZZEMOLO CONTRO ARAFAT

Il tuttologo "ex", Predrag Matvejevic, anche detto "professor
Prezzemolo", e' stato invitato su Radio Popolare (Milano) lo scorso 4
novembre, la mattina attorno alle 10, a sentenziare sulla situazione in
Palestina e segnatamente su di sondaggio in base al quale la
maggioranza degli europei considerano la politica del governo
israeliano una minaccia per la pace mondiale.
Ecco alcune delle dichiarazioni di Matvejevic:

<< Questo sondaggio è tendenzioso... D'altra parte criticare Sharon non
è gravissimo, tanti Ebrei lo criticano.

Sono stato 2 volte in Israele... per la presentazioni dei miei libri.
La prima volta ho visto nei giovani la decisione di non vivere in
ansia... La seconda volta ho visto la paura. >>

[parlando del "problemi dei coloni":]
<<Questo non può giustificare questo che fa l'armata israeliana. Mi
ricordo però anche quello che diceva Nasser 40 anni fa: "Questi cani di
israeliani bisogna buttarli in mare…"

Trovano pretesti per attaccare Israele anche lì dove si tratta di
legittima difesa.>>

<< Mi sembra che Arafat è solo una persona del passato, che vive la sua
leggenda che ogni giorno diventa più piccola. >>


[annotato da Ivana, che ringraziamo.
Sulla personalita' spiccatamente opportunistica di Prezzemolo si veda
anche, ad esempio:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2775
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2753
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2655
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2600 )

This text in english:
http://www.icdsm.org/milosevic/kosovo.htm
Questo testo in italiano:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2593
Cette texte en francais:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/files/milo1989fr.txt


Govor Slobodana Milosevica na Gazimestanu

Vidovdan 1989


Na ovom mestu u srcu Srbije, na Kosovu Polju, pre sest vekova, pre
punih 600-na godina dogodila se jedna od najvecih bitaka onoga doba.
Kao i sve velike dogadjaje i taj prate mnoga pitanja i tajne, on je
predmet neprekidnog naucnog istrazivanja i obicne narodne radoznalosti.
Sticajem drustvenih okolnosti ovaj veliki seststogodisnji
jubilej Kosovske bitke dogodio se u godini u kojoj je Srbija, posle
mnogo godina, posle mnogo decenija, povratila svoj drzavni, nacionalni
i duhovni integritet. Nije nam, prema tome danas, tesko da odgovorimo
na ono staro pitanje: - sa cim cemo pred Milosa. Igrom istorije i
zivota izgleda kao da je Srbija bas ove 1989. godine povratila svoju
drzavu i svoje dostojanstvo da bi tako proslavila istorijski dogadjaj
iz daleke proslosti koji je imao veliki istorijski i simbolicki znacaj
za njenu buducnost.
Danas je tesko reci sta je u Kosovskoj bitci istorijska
istina, a sta legenda. Danas to vise nije ni vazno. Narod je pamtio i
zaboravljao pritisnut bolom i ispunjen nadom. Kao uostalom i svaki
narod na svetu.
Stideo se izdajstva, velicao junastvo. Zato je danas tesko reci da li
je Kosovska bitka poraz ili pobeda Srpskog naroda, da li smo
zahvaljujuci njoj pali u ropstvo, ili smo zahvaljujuci njoj u tom
ropstvu preziveli.
Odgovore na ta pitanja trazice nauka i narod neprekidno. Ono
sto je izvesno, kroz sve ove vekove iza nas, je da nas je na Kosovu pre
600 godina zadesila nesloga. Ako smo izgubili butku, onda to nije bio
samo rezultat drustvene superiornosti i oruzane prednosti Osmanlijskog
carstva, vec i tragicne nesloge u vrhu sprske drzave. Tada, te daleke
1389.
Osmanlijsko carstvo nije samo bilo jace od Srpskog, ono je bilo i
srecnije od Srpskog carstva.
Nesloga i izdaja na Kosovu pratice dalje srpski narod kao zla
kob kroz citavu njegovu istoriju. I u poslednjem ratu ta nesloga i ta
izdaja uveli su srpski narod i Srbiju u agoniju cije su posledice u
istorijskom i moralnom smislu prevazilazile fastisticku agresiju.
Pa i kasnije kada je formirana Socijalisticka Jugoslavija,
srpski vrh je u toj novoj zemlji ostao podeljen, sklon kompromisima na
stetu sopstvenog naroda. Ustupke koje su mnogi srpski rukovodioci
pravili na racun svog naroda, ni istorijski, ni eticki, ne bi mogao da
prihvati ni jedan narod na svetu. Pogotovo sto Srbi kroz citavu svoju
istoriju nisu nikada
osvajali i eksploatisali druge. Njihovo nacionalno i istorijsko bice
kroz citavu istoriju i kroz dva svetska rata kao i danas je -
oslobodilacko.
Oslobadjali su vecito sebe i kad su bili u prilici, pomagali su drugima
da se oslobode. A to sto su u ovim prostorima veliki narod, nije
nikakav srpski greh, ni sramota. To je prednost, koju oni nisu
koristili protiv drugih. Ali moram da kazem ovde na ovom velikom,
legendarnom polju Kosovu, da Srbi tu prednost sto su veliki, nisu
nikada koristili ni za sebe.
Zaslugom svojih vodja i politicara i njihovog vazalnog
mentaliteta cak su se zbog toga osecali krivim pred drugima, pa i pred
sobom. Tako je bilo decenijama, godinama. Evo nas danas na Kosovu Polju
da kazemo - da vise nije tako.
Nesloga srpskih politicara unazadjivala je Srbiju, a njihova
inferiornost ponizavala je Srbiju. Nema zato u Srbiji pogodnijeg mesta
od Kosova Polja da se to kaze. I nema zato u Srbiji pogodnijeg mesta,
od Kosova Polja, da se kaze da ce sloga u Srbiji omoguciti prosperitet
i srpskom narodu i Srbiji i svakom njenom gradjaninu, bez obzira na
nacionalnu ili versku pripadnost.
Srbija je danas jedinstvena, ravnopravna sa drugim
republikama i spremna da ucini sve da poboljsa materijalni i drustveni
zivot svih svojih gradjana. Ako bude sloge, saradnje i ozbiljnosti, ona
ce u tome i uspeti.
Zato je optimizam koji je danas u prilicnoj meri prisutan u Srbiji u
pogledu buducih dana, realan utoliko, sto se zasniva na slobodi koja
omougcava svim ljudima da izraze svoje pozitivne, stvaralacke, humane
sposobnosti za unapredjenje drustvenog i sopstvenog zivota.
U Srbiji nikada nisu ziveli samo Srbi. Danas u njoj vise nego
pre, zive gradjani drugih naroda i narodnosti. To nije hendikep za
Srbiju. Iskreno sam uveren da je to njena prednost. U tom smislu se
menja nacionalni sastav gotovo svih, a narocito razvijenih zemalja
savremenog sveta. Sve vise i sve uspesnije zajedno zive gradjani raznih
nacionalnosti, raznih vera i rasa.
Socijalizam kao progresivno i pravedno demokratsko drustvo,
pogotovo ne bi smelo da dopusti da se ljudi dele nacionalno i verski.
Jedine razlike koje se u socijalizmu mogu da dopuste i treba da dopuste
su izmedju radnih i neradnih, izmedju postenih i nepostenih. Zato su
svi koji u Srbiji zive od svog rada, posteno, postujuci druge ljude i
druge narode, - u svojoj Republici.
Uostalom, na tim osnovama treba da bude uredjena citava nasa
zemlja. Jugoslavija je visenacionalna zajednica i ona moze da opstane
samo u uslovima potpune ravnopravnosti svih nacija koje u njoj zive.
Kriza koja je pogodila Jugoslaviju dovela je do nacionalnih,
ali i do socijalnih, kulturnih, verskih i mnogih drugih manje vaznih
podela. Medju svim tim podelama, kao najdramaticnije su se pokazale
nacionalne podele.
Njihovo otklanjanje olaksace otklanjanje drugih podela i ublaziti
posledice koje su te druge podele izazvale.
Otkad postoje visenacionalne zajednice, njihova slaba tacka
su odnosi koji se izmedju razlicitih nacija uspostavljaju. Kao mac nad
njihovim glavama, prisutna je neprekidna pretnja da se jednog dana
pokrene pitanje ugrozenosti jedne nacije od drugih i time pokrene talas
sumnji, optuzbi i netrpeljivosti koji po pravilu raste i tesko se
zaustavlja. To unutrasnji i spoljni neprijatelji takvih zajednica znaju
i zato svoju aktivnost protiv
visenacionalnih drustava uglavnom organizuju na podsticanje nacionalnih
sukoba. U ovom trenutku, mi u Jugoslaviji se ponasamo kao da nam to
iskustvo uopste nije poznato. I kao da u sopstvenoj, i daljoj i blizoj
proslosti nismo iskusili svu tragicnost nacionalnih sukoba, koje jedno
drustvo moze da
dozivi, a da ipak opstane.
Ravnopravni i slozeni odnosi medju jugoslovenskim narodima su
neophodan uslov za opstanak Jugoslavije, za njen izlazak iz krize, i
pogotovo neophodan uslov za njen ekonomski i drustveni prosperitet.
Time se Jugoslavija ne izdvaja iz socijalnog ambijenta savremenog, a
pogotovo
razvijenog sveta. Taj svet sve vise obelezava nacionalna trpeljivost,
nacionalna saradnja, pa cak i nacionalna ravnopravnost. Savremeni
ekonomski i tehnoloski, ali i politicki i kulturni razvoj upucuje razne
narode jedne na druge, cini ih medjusobno zavisnim i sve vise i
medjusobno ravnopravnim.
U civilizaciju ka kojoj se krece covecanstvo, mogu zakoraciti pre svega
ravnopravni i ujedinjeni ljudi. Ako ne mozemo da budemo na celu puta u
takvu civilizaciju, ne treba sigurno da budemo ni na njegovom zacelju.
U vreme kada se odigrala ova znamenita istorijska bitka na
Kosovu, ljudi su bili zagledani u zvezde cekajuci od njih pomoc. Danas,
sest vekova kasnije, ponovo su zagledani u zvezde, cekajuci da ih
osvoje. Prvi put su mogli da dopuste sebi razjedinjenost, mrznju,
izdaju, jer su ziveli u manjim, medjusobno slabo povezanim svetovima.
Danas kao stanovnici planete, razjedinjeni, ne mogu osvojiti ni svoju
planetu, a kamoli druge planete, ukoliko ne budu medjusobno slozni i
solidarni.
Zato mozda nigde na tlu nase domovine nemaju toliko smisla
reci posvecene slozi, solidarnosti i saradnji medju ljudima koliko
imaju ovde, na Kosovu Polju, koje je simbol nesloge i izdaje.
U pamcenju sprskog naroda ta nesloga je bila presudna za
gubitak bitke i za zlu sudbinu koju je Srbija podnela punih pet vekova.
Pa cak i ako sa istorijske tacke gledista ne bi bilo tako,
ostaje izvesnost da je narod svoju neslogu doziveo kao svoju najvecu
nesrecu. I obaveza naroda je zato da je sam otkloni da bi sebe ubuduce
zastitio od poraza, neuspeha i stagnacija.
Srpski narod je ove godine postao svestan nuznosti svoje
medjusobne sloge kao neophodnog uslova za svoj sadasnji zivot i dalji
razvoj.
Uveren sam da ce ta svest o slozi i jedinstvu omoguciti
Srbiji ne samo da funkcionise kao drzava, vec da funkcionise kao
uspesna drzava. Zato i mislim da to ima smisla reci bas ovde na Kosovu
gde je nesloga jednom tragicno i za vekove unazadila i ugrozila Srbiju
i gde obnovljena sloga moze da je unapredi i da joj vrati dostojanstvo.
A takva svest o medjusobnim odnosima predstavlja elementarnu nuznost i
za Jugoslaviju. - Jer se njena sudbina nalazi u zdruzenim rukama svih
njenih naroda.
Kosovska bitka sadrzi u sebi jos jedan veliki simbol. To je
simbol junastva. Njemu su posvecene pesme, igre, literatura i istorija.
Kosovsko junastvo vec sest vekova inspirise nase
stvaralastvo, hrani nas ponos, ne da nam da zaboravimo da smo jednom
bili vojska velika, hrabra i ponosita, jedna od retkih koja je u
gubitku ostala neporazena.
Sest vekova kasnije, danas, opet smo u bitkama, i pred
bitkama. One nisu oruzane, mada i takve jos nisu iskljucene. Ali bez
obzira kakve da su, ove bitke se ne mogu dobiti bez odlucnosti,
hrabrosti i pozrtvovanosti. Bez tih dobrih osobina koje su onda davno
bile prisutne na Kosovu Polju. Nasa glavna bitka danas odnosi se na
ostvarenje ekonomskog, politickog, kulturnog i uopste drustvenog
prosperiteta. Za brze i uspesnije priblizavanje civilizaciji u kojoj ce
ziveti ljudi u XXI veku. Za tu nam je bitku pogotovo potrebno
junastvo. Razume se nesto dlrugacije. Ali ona srcanost bez koje nista
na svetu, ozbiljno i veliko, ne moze da se postigne, ostaje
nepromenjena. Ostaje vecno potrebna.
Pre sest vekova Srbija je ovde, na Kosovu Polju, junacki
branila sebe. Ali je branila i Evropu. Ona se tada nalazila na njenom
bedemu koji je stitio evropsku kulturu, religiju, evropsko drustvo u
celini. Zato danas izgleda ne samo nepravedno vec i neistorijski i
sasvim apsurdno razgovarati o pripadnosti Srbije Evropi. Ona je u njoj
neprekidno, danas kao i pre. Razume se, na svoj nacin. Ali takav koji
je u istorijskom smislu nije nikad lisio dostojanstva. U tom duhu mi
danas nastojimo da gradimo drustvo - bogato i demokratsko. I da tako
doprinesemo prosperitetu svoje lepe, i u ovom trenutku nepravedno
napacene zemlje. Ali i da tako doprinesemo
naporima svih progresivnih ljudi naseg doba, koje oni cine za jedan
novi, lepsi svet.

Neka vecno zivi uspomena na kosovsko junastvo!
Neka zivi Srbija!
Neka zivi Jugoslavija!
Neka zivi mir i bratstvo medju narodima!


---

MEDJUNARODNE DEMONSTRACIJE

u Hagu, 8. novembra 2003.

14:00-15:00 Protestni miting u centru Haga («Plein»)

15:00-16:00 Mars do zatvora u Scheveningenu

16:00-17:00 Protestni miting ispred zatvora

Tokom demonstracija, nase delegacije ce uruciti protestna pisma
tribunalu, MIP-u Holandije i ambasadama stalnih clanica Saveta
bezbednosti UN: SAD, Velike Britanije, Francuske, Rusije i Kine. Bice
uruceno i pismo podrske Slobodanu Milosevicu.

RADI BUDUCNOSTI NASE DECE,

RADI OPSTANKA SRPSKOG NARODA,

RADI SLOBODE, ISTINE I PRAVDE!

Na demonstracijama za slobodu i dostojanstvo srpskog naroda, protiv
okupacije i kolonizacije Balkana, protiv agresije i porobljavanja
naroda sveta, protiv pokusaja agresora da sude borcima za slobodu i
svojimzrtvama, zasad su potvrdile ucesce grupe Srba, Jugoslovena, Grka
i drugih casnih ljudi iz Nemacke, Francuske,Svajcarske, Austrije,
Britanije, Holandije, Srbije i mnoge ugledne licnosti, medju kojima
Klaus Hartman (Nemacka), Fulvio Grimaldi (Italija), Luj Delma
(Francuska), Dzon Katalinoto (SAD), Misel Kolon (Belgija), Ian Dzonson
(Britanija), Dzon Dzefris (Irska), Prof. dr Aldo Bernardini (Italija),
Vil van der Klift (Holandija), Misa Gavrilovic (Britanija), dr Sima
Mraovic (Francuska), dr Ljiljana Verner (Nemacka), Vladimir Krsljanin
(Jugoslavija) i mnogi drugi.

SPASIMO ZIVOT PREDSEDNIKA MILOSEVICA!

Z A U S T A V I M O HASKU INKVIZICIJU!

   Demonstracijama i borbi za ove ciljeve potrebna je finansijska pomoc.

    Posaljite cek na nasu adresu: «SLOBODA», Rajiceva 16, 11000 Beograd

www.sloboda.org.yu                                                      
www.icdsm.org

Demonstration in Den Haag, 8.11.2003

1. "Aggressoren werden nicht die Geschichte schreiben!"

A u f z u r D e m o n a c h D e n H a a g -- 8.11.2003 --
und P E T I T I O N der Teilnehmer der Demo

2. PROZESS GEGEN MILOSEVIC: EIN NEUER FALL DIMITROFF? Interview Velko
Valkanov, Gründer und Vorsitzender des ICDSM
("junge Welt" vom 30.10.2003)

3. LYNCHJUSTIZ - DREI MONATE VORBEREITUNGSZEIT FÜR DIE VERTEIDIGUNG
(Von Tiphaine Dickson, "junge Welt" vom 14.10.2003)

4. MILOSEVIC-VERTEIDIGUNG OHNE GELD:GILT »PATRIOT ACT« AUCH IN DER
BRD? Interview mit Klaus Hartmann, Sprecher der Deutschen Sektion des
ICDSMs
("junge Welt" vom 17.10.2003)

5. Kuhhandel in Den Haag.
Anklage gegen serbische Generäle steht offenbar im Zusammenhang mit
Milosevic-Prozeß
(Cathrin Schütz, "junge Welt" vom 23. Oktober 2003)

6. Owen: Milosevic wollte bereits 1993 kein "Großserbien" mehr (AFP)


---

Diese Artikeln wurden uns am meisten von der Anti-Imperialistischen
Korrespondenz geschickt:
AIK, Redaktion: Klaus von Raussendorff
Postfach 210172, 53156 Bonn; Tel.&Fax: 0228 - 34.68.50;
Email: redaktion@...
AIK-Infos können auf der Seite der AIK http://www.aikor.de
unter "Info-Dienst der AIK" runtergeladen werden
Webmaster: Dieter Vogel, Email: webmaster@...

Mehr Informationen unten : http://www.free-slobo.de/


=== 1 ===


A u f z u r D e m o n a c h D e n H a a g :

Die Demonstration wird aus zwei Kundgebungen und einem Protestmarsch
von Den Haag nach Scheveningen bestehen. Bei der ersten Kundgebung in
Den Haag auf dem "Plein" (von 14:00 bis 14:30) sprechen MISHA
GAVRILOVICH (Großbritannien); WIL VAN DER KLIFT (Niederlande) und
KLAUS HARTMANN (Deutschland). Bei der zweiten Kundgebung in
Scheveningen vor dem Gefängnis (von 16:00 bis 17:00) sprechen FULVIO
GRIMALDI (Italien); DR LJILJANA
VERNER (Deutschland); JOHN CATALINOTTO (USA); MILUTIN MRKONJIC
(Serbien); LOUIS DALMAS (Frankreich); VLADIMIR KRSLJANIN (Serbien);
IAN JOHNSON (Großbritannien); DR SIMA MRAOVIC (Frankreich); JOHN
JEFFERIES (Irland) und MICHEL COLLON (Belgien);

---

PETITION VON SERBEN UND ANDEREN ANSTÄNDIGEN MENSCHEN AUS EUROPA UND
NORDAMERIKA, DEN TEILNEHMERN DER INTERNATIONALEN DEMONSTRATION IN DEN
HAAG
AM SAMSTAG, DEN 8. NOVEMBER, 2003.

An die Regierung des Königreichs der Niederlande;
An die Regierungen der Französischen Republik, der Volksrepublik China,
der Russischen Föderation, des Vereinigten Königreichs von
Großbritannien und
Nordirland, der Vereinigten Staaten von Amerika
(durch ihre Botschaften in Den Haag);
An das Internationale Straftribunal für das ehemalige Jugoslawien
(ICTY).

Die Bevölkerung von Serbien und Jugoslawien wurde das Opfer
unverantwortlichen, verbrecherischen Handelns von ausländischen
Mächten, vor allem der USA und anderer führender NATO-Regierungen.
Diese Mächte provozierten das Auseinanderbrechen Jugoslawiens und
führten im Bündnis mit
Terroristen und Neofaschisten gegen Jugoslawien den ersten
Angriffskrieg auf europäischem Boden seit 1945. Bis jetzt wurde nicht
einer der Verantwortlichen dieser Länder für diese Verbrechen zur
Verantwortung gezogen.
Stattdessen wurden der jugoslawische Präsident Slobodan Milosevic und
nahezu alle politischen und militärischen Führer des serbischen Volkes,
die sich der Zerstörung ihres Landes widersetzten, vor das
Internationale
Straftribunal für das ehemalige Jugoslawien gestellt, welches unter
Verletzung der Charta der Vereinten Nationen eingerichtet wurde. Nicht
als ein legitimes Gericht geschaffen, hat das ICTY außerdem bewiesen,
dass es kein Gerichtshof der ordentlichen Rechtsprechung ist. Das ICTY
ist direkt oder indirekt verantwortlich für den Verlust von sieben
Menschenleben. Sein Mangel an Fairness, seine Befangenheit und seine
Verstöße gegen universelle und europäische Konventionen zum Schutz der
Menschenrechte sowie gegen
allgemein anerkannte Rechtsgrundsätze verpflichten die höchst
verantwortlichen Mitglieder der Weltorganisation, diesen bösartigen und
verfehlten Versuch der Schaffung eines ad hoc-Tribunals auf rein
politischer Basis zu verwerfen. Das ICTY löst keine Probleme auf dem
Balkan, es verschärft sie.
Die Verfahrenregeln und das Vorgehen des ICTY begünstigen die Anklage
und gehen von der Schuld der Angeklagten aus. Die Verfahren werden so
geführt, das der Geschichtsfälschung Vorschub geleistet wird, indem der
ganzen serbischen Nation angebliche Verbrechen zur Last gelegt werden,
was eine Art von Rassismus darstellt, den man in Europa für immer
überwunden glaubte. Die Serben und alle anderen anständigen Menschen in
Europa werden den
Aggressoren nicht gestatten, Geschichte zu schreiben!
Ein erschreckendes Panorama verzerrter und abwegiger Ansichten über
die Geschichte des Balkan wird in den drei Anklageschriften gegen
Präsident Milosevic dargeboten, der unter Missachtung von drei Urteilen
des Jugoslawischen Verfassungsgerichts seit über zwei Jahren illegal in
Haft gehalten wird. Unterstützt von den freiheitsliebenden Menschen
seines Landes und des Auslandes, hat Präsident Milosevic mutig und
erfolgreich die Wahrheit verteidigt, und dies trotz seiner schlechten
Gesundheit, der Befangenheit der Richter und seiner Isolation von der
Familie, den Mitarbeitern und den Medien.
Man verweigert Präsident Milosevic die elementarsten Bedingungen der
Vorbereitung seiner Verteidigung, die nötige Zeit und die
erforderlichen Hilfsmittel. Um sich auf eine Auseinandersetzung mit all
dem vorzubereiten, was das Tribunal in zehn Jahren fabriziert oder
zusammen getragen hat, was allein den UN-Haushalt 700 Millionen Dollar
kostete, wozu die Anklage zwei Jahre und Millionen Seiten an
Prozessunterlagen brauchte, wurden Präsident Milosevic nur sechs Wochen
Zeit zugestanden. Und dabei muss er in seiner
Gefängniszelle verbleiben! Sollte dabei diese Art von Druck auf ihn
anhalten, können sein bedrohlicher Bluthochdruck und sein krankes Herz,
verschlimmert durch die Art der Verfahrensführung, die rüden
Haftbedingungen und das Fehlen einer durch Spezialisten zu
gewährleistenden medizinischen Betreuung, jeden Augenblick einen
Infarkt oder Herzschlag verursachen. Nur in Freiheit ist es möglich,
die bestehende Gefahr für sein Leben zu bannen und seine Gesundheit
einigermaßen wieder herzustellen.

WIR FORDERN DAHER

1. die unverzügliche Freilassung von Präsident Milosevic und die
Unterbrechung des Verfahrens gegen ihn für mindestens zwei Jahre;

2. die Abschaffung des ICTY, eines verbrecherischen Instruments gegen
Jugoslawien, das eine Verhöhnung des Rechts und der Rechtsprechung
darstellt.


=== 2 ===


junge Welt vom 30.10.2003
http://www.jungewelt.de/2003/10-30/017.php


PROZESS GEGEN MILOSEVIC: EIN NEUER FALL DIMITROFF?

jW sprach mit Velko Valkanov, Gründer und Vorsitzender des
Internationalen Komitees zur Verteidigung von Slobodan Milosevic (ICDSM)

Interview: Cathrin Schütz

* Der ehemalige Abgeordnete des bulgarischen Parlaments Velko Valkanov
ist Professor für Rechtswissenschaften und Präsident der
Antifaschistischen Union seines Heimatlandes Bulgarien.

F: Das von Ihnen geleitete Internationale Komitee zur Verteidigung von
Slobodan Milosevic ruft für den 8. November zu einer internationalen
Demonstration gegen das Den Haager Tribunal auf. Der Ankündigung ist zu
entnehmen, daß Sie eine Parallele zwischen dem Prozeß gegen Ihren
Landsmann
Georgi Dimitroff vor 70 Jahren und dem Prozeß gegen den ehemaligen
jugoslawischen Staatschef Milosevic ziehen.

In der Tat bestehen bedeutsame Parallelen zwischen dem Prozeß gegen
Dimitroff 1933 und dem Prozeß gegen Milosevic heute. Dimitroff war ein
Opfer des deutschen Faschismus. Milosevic ist ein Opfer des
USA-Globalismus, der eine neue Form des Faschismus darstellt. Dimitroff
verteidigte nicht nur
seine eigene Freiheit und Ehre, sondern die Freiheit und die Ehre aller
Menschen. Auch Milosevic verteidigt nicht nur seine eigene Freiheit und
Ehre. Er verteidigt die Freiheit, Ehre und Würde seines Volkes und
dadurch die Freiheit, Ehre und Würde aller Völker. Dimitroff hat dem
deutschen Faschismus einen vernichtenden Schlag versetzt. Auch
Milosevic wird, das
zeigt sich schon jetzt, in der Anklagezeit, dem US-amerikanischen
Globalismus einen vernichtenden Schlag versetzen.

F: Dimitroff genoß weltweit volle Unterstützung.

Ja, in dieser Richtung ist leider keine Parallele zu verzeichnen.
Dimitroff bekam große Unterstützung, vorwiegend aus der Sowjetunion.
Heute existiert die Sowjetunion nicht mehr; die Welt wird von den USA
und der NATO dominiert. Ihnen sind auch die Weltmedien untergeordnet.
Dadurch herrscht die Lüge. Milosevic hat die Unterstützung vieler
ehrlicher Menschen, aber ihre Verteidigungsmöglichkeiten sind sehr
begrenzt. Trotzdem haben sie ihre Chance, da sie die Wahrheit auf ihrer
Seite haben.

F: Der angesehene holländische Völkerrechtler Paul de Waart hat
kürzlich geäußert, daß die Verhandlungen allein aus formaljuristischen
Gründen, aus Mangel an Beweisen, bereits einen Monat nach Beginn hätten
eingestellt werden müssen.

Ich stimme mit Herrn de Waart vollkommen überein. Der Prozeß gegen
Milosevic besitzt keinerlei juristische Grundlage. Das Haager Tribunal
wurde durch einen Beschluß des UNO-Sicherheitsrates errichtet. Der
Sicherheitsrat hat jedoch keine Befugnis, rechtsprechende Organe zu
schaffen. Laut Artikel 29
der Charta der Vereinten Nationen kann der Sicherheitsrat nur
Hilfsorgane bilden, die seine eigenen Funktionen bedienen. Wie ein
Internationales Strafgericht etabliert werden kann, zeigt uns die
Gründung des neuen Internationalen Strafgerichthofes durch das Statut
von Rom von 1998. Nachdem das Statut von den Vertretern der Staaten
unterzeichnet wurde, mußte es in den entsprechenden Staaten ratifiziert
werden. Nur so wird es für den jeweiligen Staat rechtswirksam.

F: Die Richter des Tribunals haben Slobodan Milosevic nur drei Monate
zur Vorbereitung seiner Verteidigung genehmigt, während sich die
Anklageseite viele Jahre vorbereiten konnte.

Es ist keineswegs überraschend, daß die Richter Herrn Milosevic eine so
geringe Zeit zur Vorbereitung seiner Verteidigung gewährt haben. Sie
sind keine wirklichen Richter. Wenn das Tribunal kein legitimes Gericht
ist, wie können diese Leute wahre Richter sein? Sie haben eine
politische Aufgabe zu erfüllen. Sie sind die ausführenden Organe einer
politischen Rache – einer Rache an jenen, die den Mut hatten, den
Weltmachthabern zu widersprechen.
Die angeblichen Richter von den Haag sind eigentlich Helfershelfer der
Verbrecher der NATO. Die Art und Weise ihres Benehmens im Prozeß
beweist ihre anti-juristische Natur.

* Infos unter www.icdsm.org


=== 3 ===


junge Welt vom 14.10.2003
http://www.jungewelt.de/2003/10-14/004.php

LYNCHJUSTIZ - DREI MONATE VORBEREITUNGSZEIT FÜR DIE VERTEIDIGUNG IM
»PROZESS DES JAHRHUNDERTS«.
EIN VERSUCH, IM FALL MILOSEVIC DIE WAHRHEIT TOTZUSCHWEIGEN

Von Tiphaine Dickson

* Tiphaine Dickson ist Rechtsanwältin und Mitglied der kanadischen
Sektion des Internationalen Komitees für die Verteidigung von Slobodan
Milosevic (ICDSM). Der ehemalige Präsident Serbiens (1989 bis 1997) und
der Bundesrepublik Jugoslawien (1997 bis zum 6. Oktober 2000) wurde am
27. Mai
1999 – inmitten des NATO-Krieges gegen Jugoslawien – von Chefanklägerin
Carla del Ponte u.a. wegen Kriegsverbrechen und Völkermords vor dem
Internationalen Straftribunal für das ehemalige Jugoslawien angeklagt.
Die USA setzten im Juni 1999 ein Kopfgeld von fünf Millionen US-Dollar
auf seine
Ergreifung aus. Am 1. April 2001 wurde Milosevic verhaftet und am 28.
Juni 2001 von der serbischen Regierung nach Den Haag überstellt.

Es ist ein Skandal, daß das Internationale Straftribunal für das
ehemalige Jugoslawien (ICTY) entschieden hat, Präsident Slobodan
Milosevic nur drei Monate Zeit zu gewähren, um seine Verteidigung in
einem »Fall« vorzubereiten, der auf einer zynischen Fälschung der
turbulentesten zehn Jahre der Geschichte Jugoslawiens aufgebaut ist.

Die Entscheidung zeigt ein weiteres Mal, wie dieser »Internationale
Gerichtshof« die elementarsten internationalen Normen des Rechts und
die Rechte von Gefangenen mißachtet. Sie ist auch ein deutliches
Signal, daß diese Institution, die unter dem Druck der Regierung der
USA geschaffen wurde, kein geeignetes Instrument für die Durchführung
eines ordentlichen Verfahrens ist. Der Prozeß versucht lediglich, von
einem genaueren Nachforschen nach der Verantwortung des Westens für die
Zerstörung einer
Nation abzulenken. Konfrontiert mit der Weigerung von Präsident
Milosevic, die politischen Machenschaften von Den Haag hinzunehmen, mit
seiner prinzipienfesten Verteidigung seines Volkes und seiner
Geschichte und mit seinem erfolgreichen Auftreten im Gerichtssaal,
versucht der Gerichtshof nun, ihn daran zu hindern, seine Sicht des
Falles darzulegen. Dies ist Lynchjustiz, wie der bekannte kanadische
Strafrechtler Edward Greenspan sagte.

Recht auf Selbstverteidigung

Am 4. April 2003 erkannte das ICTY das Recht Slobodan Milosevics an,
sich selbst zu verteidigen, und verwarf einen Antrag der Anklage, für
ihn gegen seinen Willen einen Anwalt zu bestellen. Dieses Recht auf
Selbstverteidigung ist von grundlegender Bedeutung. Der Supreme Court
der USA befand, daß es für die Bestellung eines Anwalts für einen damit
nicht einverstandenen Angeklagten keinen Präzedenzfall gibt, abgesehen
von der für politische Prozesse geschaffenen Sternkammer. Die Anklage
versucht nun, diese Angelegenheit erneut aufzubringen und wird die
Bestellung eines Anwalts
gegen den Willen von Präsident Milosevic beantragen, ungeachtet der
Tatsache, daß schon ein solcher Antrag den politischen Charakter des
Prozesses verrät.

Das ICTY stellt in seiner Entscheidung, Slobodan Milosevic zu
gestatten, sich selbst zu vertreten, unter Bezugnahme auf Artikel 21
des Statuts des ICTY fest, daß es »in der Tat der Verpflichtung
nachkommen muß, daß ein Verfahren fair und zügig erfolgt; insofern die
Gesundheit des Angeklagten eine Rolle spielt, hat diese Verpflichtung
eine besondere Bedeutung«.
Artikel 21 bestimmt, daß die Kammer dieser Verpflichtung »in völliger
Achtung der Rechte des Angeklagten« nachkommen muß.

Die Entscheidung der Kammer, Herrn Milosevic drei Monate Zeit zu geben,
um seine Verteidigung vorzubereiten, steht in völligem Gegensatz zu der
von ihr bekundeten Sorge, ein faires Verfahren zu gewährleisten, sowie
zur Achtung der Rechte des Angeklagten. Es handelt sich um eine
gänzlich unrealistische Vorbereitungszeit für ein Verfahren dieser
Größenordnung, insbesondere weil Herr Milosevic sich in Haft verteidigt.

Ferner hat die Kammer Herrn Milosevic ein weiteres Erschwernis
auferlegt, indem sie ihn anwies, innerhalb von sechs Wochen nach
Abschluß der Anklage eine ausführliche Liste der von ihm benannten
Zeugen vorzulegen, einschließlich einer Zusammenfassung der
Sachverhalte, zu denen jeder Zeuge aussagen wird, und einem Hinweis, ob
der Zeuge persönlich aussagen wird oder durch schriftliche
Stellungnahme oder mittels eines Aussageprotokolls aus
anderen Verfahren vor dem Tribunal. Er muß ferner die Beweisstücke
auflisten, die er in das Verfahren einzubringen beabsichtigt, und der
Anklagevertretung davon Kopien zur Verfügung stellen. Die Kammer kann
nicht einmal garantieren, daß Herr Milosevic die »Erlaubnis« erhält,
jeden Zeugen seiner Wahl aufzurufen, da die Entscheidung besagt, daß
die Kammer eine »Verteidigungsvorverhandlung« (»Pre-Defence
Conference«) durchführen wird, um die Zeugenliste zwecks Genehmigung zu
überprüfen und die Zeit festzulegen, die ihm für die Darstellung seiner
Position gestattet wird.

Keine Waffengleichheit

Zahlreiche internationale Konventionen bekräftigen das Recht eines
jeden, der eines Verbrechens angeklagt ist, auf angemessene Zeit und
Mittel, seine Verteidigung vorzubereiten. Dieses Recht ist ein
wichtiger Aspekt des
fundamentalen Prinzips der »Gleichheit der Waffen«, demzufolge die
Verteidigung und die Anklage so zu behandeln sind, daß sichergestellt
ist, daß beide Parteien die gleiche Möglichkeit haben, ihre Position
vorzubereiten und im Laufe des Verfahrens darzustellen. Das Tribunal
hat die Anerkennung dieses Prinzips in seinem Statut bekundet, welches
bestimmt, daß der oder die Angeklagte das Recht hat, »die Zeugen gegen
ihn oder sie zu befragen und die Anwesenheit und Befragung von für ihn
oder sie auftretenden
Zeugen unter denselben Bedingungen zu erwirken wie die Zeugen gegen ihn
oder sie«.

Der vom Tribunal bekundete Respekt für die »Gleichheit der Waffen« wird
Lügen gestraft, denn für die Anklage fehlen jegliche Beschränkungen,
die für die Verteidigung von Herrn Milosevic errichtet wurden. Dieser
hatte es im Verlauf von über 250 Verhandlungstagen von seiten der
Anklage mit fast 300
Zeugen zu tun und erhielt über 500 000 Seiten Material zum Verfahren
zur Durchsicht zugestellt. Allein die Last der Vorbereitung der
Kreuzverhöre so vieler Zeugen in einer Gefängniszelle ist erschreckend.
Und jetzt hat er gerade mal drei Monate, um diese Masse an
Zeugenaussagen und Dokumenten durchzugehen und die Protokolle
durchzusehen. Er hat sechs Wochen, um Zeugen der Verteidigung zu
identifizieren, zu treffen und zu interviewen sowie
Schlüsseldokumente der Verteidigung auszuwählen und anzubieten. Beim
Durchsehen der 500000 Seiten an Mitteilungen würde nur das Lesen allein
347 Tage à vierundzwanzig Stunden in Anspruch nehmen. Das macht mehr
als zehn Monate, nicht drei. Im Gegensatz dazu hat das ICTY seine
»Kosovo-Anklage« vor viereinhalb Jahren erhoben und hatte eine
zweijährige Vorbereitungszeit für seine zusätzlichen Anklagen im Jahre
2001 mit Bezug auf die Konflikte in Kroatien und Bosnien-Herzegowina.
Die Anklage hatte acht Jahre Zeit, um Beweismaterial zu Srebrenica zu
sammeln.

Die Entscheidung, nur drei Monate Vorbereitungszeit und nur sechs
Wochen für die Vorlage der Zeugenliste nebst Zusammenfassung ihrer
Stellungnahmen zu gewähren, läßt den Gesundheitszustand von Präsident
Milosevic gänzlich
unberücksichtigt. Durch die wiederholten Unterbrechungen des Verfahrens
mußte das Gericht zur Kenntnis nehmen, daß die UN-Ärzte recht hatten,
als sie berichteten, daß das Leben von Präsident Milosevic wegen der
Intensität des Verfahrens in Gefahr ist. Die Gewährung von nur drei
Monaten Vorbereitungszeit verschärft die Streßsituation und kann zu
erhöhtem Blutdruck, Schlaganfall und Tod führen.

Im November letzten Jahres stellte das Internationale Komitee für die
Verteidigung von Slobodan Milosevic (ICDSM) Antrag auf Gehör vor der
Kammer, um zu begründen, daß der gesundheitliche Zustand von Slobodan
Milosevic eine sofortige spezialisierte medizinische Betreuung
erfordert, daß er aus der Haft entlassen, ihm ausreichend Zeit für
seine Rekonvaleszenz gegeben und ihm erlaubt werden muß, seine
Verteidigung unter Nichthaftbedingungen vorzubereiten. Das ICTY hat
diesem Antrag nicht stattgegeben, hat ihn aber auch nicht abgelehnt.
Das »Tribunal« hat ihn einfach ignoriert.

Eingeschränkte Kontakte

Zusätzlich zu dem Umstand, nur drei Monate zur Vorbereitung seine
Verteidigung zu haben, muß Herr Milosevic dies aus einer Gefängniszelle
heraus unter erschreckenden Bedingungen tun. Gegenwärtig kann Herr
Milosevic nicht mit seiner Frau und seiner Familie zusammentreffen.
Seine engsten Mitstreiter und Freunde sind für ihn unzugänglich, da der
Registrar *) des Tribunals den Kontakt mit seiner Partei, der
Sozialistischen Partei Serbiens (SPS), und »assoziierten Einheiten«
verboten hat. »Sloboda«, die federführende Vereinigung zur Verteidigung
von Präsident Milosevic, wurde
als verbotene Gruppe aufgelistet. Der Registrar verhängte diese
Maßnahme aufgrund des Verdachts, daß zwei SPS-Mitglieder mit der Presse
gesprochen haben sollen. Die Vorbereitung der Verteidigung von
Präsident Milosevic erfordert, daß er mit Zeugen und sachlich
kompetenten Personen zusammentrifft, was nun für viele von ihnen
verboten ist. »Assoziierte Einheiten«, das kann jeder sein; der
Registrar bestimmt darüber nach Gutdünken. »Sloboda« hat das Verbot aus
Rechtsgründen angefochten. Eine Antwort des ICTY läßt auf sich warten.

Der Registrar hat nicht nur die Kontakte von Präsident Milosevic mit
seinen engsten Beratern gravierend eingeschränkt, er hat ihm auch nur
unzureichende technische Möglichkeiten zur Vorbereitung seiner
Verteidigung zur Verfügung gestellt. Ihm wurde der kontrollierte Zugang
zu einigen rudimentären Möglichkeiten der elektronischen und gedruckten
Kommunikation erlaubt (Telefon, Fax, ein Computer in seiner Zelle, ein
VCR zur Ansicht von Prozeß-Filmmaterial), aber die Häufigkeit und Dauer
von Besuchen seiner rechtlichen Berater sind eng begrenzt, belaufen
sich, wenn überhaupt, auf wenige Stunden in der Woche und sind in
Wirklichkeit auf die Tage beschränkt, wenn die Verhandlung früh beendet
ist.

Ebenso bezeichnend ist es, diese Bedingungen und technischen
Möglichkeiten, die einem Mann erlaubt werden, der sich gegen die
weltweit denkbar schwersten Beschuldigungen allein verteidigt, mit den
gewaltigen Hilfsmitteln zu kontrastieren, die dem Büro der
Staatsanwaltschaft zur Verfügung stehen, sowie mit den unbeschränkten
Vorrechten der Staatsanwaltschaft, mit ihren Ermittlern, Assistenten
und Forschern und verschiedenen anderen Mitgliedern ihres weit größeren
Teams zu konferieren.
Die Sprecherin der Anklage ist bei gemeinsamen Pressekonferenzen mit
dem Sprecher des ICTY anwesend, während Slobodan Milosevic nicht mit
Mitgliedern
seiner Partei und undefinierten »assoziierten Einheiten«
zusammentreffen kann, weil zwei einzelne Personen verdächtigt werden,
mit Medienvertretern über ihre Begegnung mit ihm gesprochen zu haben.

Ein öffentliches Verfahren?

Artikel 11 der Allgemeinen Erklärung der Menschenrechte der Vereinten
Nationen bekräftigt die Unschuldsvermutung und das Recht des
Angeklagten auf Öffentlichkeit des Verfahrens. Aber das »Verfahren« von
Slobodan Milosevic ist oft nicht öffentlich und gegen den prüfenden
Blick der internationalen
Öffentlichkeit abgeschirmt. Sicherheitsbelange werden systematisch
angeführt, um die zahlreichen geschlossenen Sitzungen zu rechtfertigen,
die Anonymität der Zeugen sowie »Ex parte«-Anträge der Anklage,
Anträge, deren Inhalt Herr Milosevic nicht berechtigt ist zu
überprüfen. In den letzten sechs Monaten hat die Kammer sieben
Entscheidungen aufgrund von Ex parte-Anträgen gefällt. Ein weiteres
Grundrecht ist es, beim eigenen Prozeß anwesend zu sein. Wenn Herr
Milosevic die Vorlagen der Anklagevertretung an
die Richter nicht lesen, geschweige denn auf sie antworten kann, kann
dann behauptet werden, daß er bei seinem Verfahren tatsächlich anwesend
ist?

Diese Vorgänge zeugen von einem Prozeß, der mehr zügig als fair ist,
und veranlassen die Sektion Quebec und Kanada des ICDSM, noch einmal
die Forderung des ICDSM nach einer zweijährigen Unterbrechung des
Prozesses zu wiederholen, um Slobodan Milosevic zu ermöglichen, seine
Verteidigung
vorzubereiten, die Einschränkung seiner Besuchsrechte zu beenden und
sich durch einen Arzt seiner Wahl behandeln zu lassen. Er muß aus der
Untersuchungshaft entlassen werden. Anders zu verfahren hieße nur die
schändliche Verhöhnung der Rechtsprechung in Den Haag fortzusetzen.
Allerdings ist das gründlichste Heilmittel zur Beendigung dieses
Justizzirkus – ein Heilmittel, das wir unterstützen – die vollständige
Auflösung dieses unheilbar politisierten »Gerichts« und die Entlassung
aller seiner Gefangenen.

*) Verwaltungschef des Tribunals mit teilweise richterlicher Befugnis,
insbesondere was Haftangelegenheiten angeht

(Aus dem Englischen von Klaus von Raussendorff)


=== 4 ===


junge Welt vom 17.10.2003
http://www.jungewelt.de/2003/10-17/017.php

MILOSEVIC-VERTEIDIGUNG OHNE GELD:
GILT »PATRIOT ACT« AUCH IN DER BRD?

jW fragte Klaus Hartmann, Sprecher der Deutschen Sektion
des »Internationalen Komitees für die Verteidigung von Slobodan
Milosevic«

Interview: Rüdiger Göbel

F: Die Darmstädter Volksbank hat Ihr Spendenkonto zur Verteidigung von
Slobodan Milosevic gesperrt. Welche Begründung gab die Bank für diesen
außergewöhnlichen Schritt?

Zuerst erfuhr unser Finanzbeauftragter Peter Betscher durch den Einzug
der Bankkarten von der Aktion, auf Nachfrage teilte ein
Bankangestellter mit, daß gegen Betscher »wegen Spendensammlungen für
Slobodan Milosevic ermittelt« werde. Damit wurde suggeriert, daß die
Kontensperrung durch die
Staatsanwaltschaft gefordert worden war, aber das war eine Ausrede.
Bisher wurde keine Aktion der Staatsanwaltschaft ruchbar. Danach redete
sich die Bank heraus, die Angelegenheit werde von der Bundesbank
geprüft, und deren
Abteilung »Finanzsanktionen« müsse das Konto freigeben. Wieder gelogen:
Ein Anruf bei der Bundesbank ergab, daß Freigabe oder Sperrung völlig
in der Entscheidung der örtlichen Bank liegen. Und noch ein weiteres
Konto wurde
gesperrt: Die Sparkasse Wetterau sperrte das Privatkonto einer
Unterstützerin des Verteidigungskomitees und kündigte ihre Kreditkarten.

F: Aber welche Gründe für »Finanzsanktionen« soll es geben?

Angeblich eine Verordnung der EU-Kommission vom 19.Juni 2001: Danach
sind »alle Gelder (…), die Herrn Milosevic und Personen seines Umfelds
gehören, einzufrieren«. Aber diese politisch motivierte Verordnung der
antijugoslawischen Kriegspartei paßt nicht auf unseren Fall, außer für
juristische Analphabeten: Wir sammeln nicht für Milosevic persönlich,
sondern für die Verteidigungskosten vor dem Haager »Tribunal«. Sich
gegen Anklagen zu verteidigen ist ein elementares Grundrecht.

F: Sie sehen hinter den Aktionen der hessischen Banken die NATO am
Werk. Eine neue Verschwörungstheorie?

Exakt einen Tag nach der Kontensperrung heben plötzlich in Belgrader
Medien Spekulationen über »finanzielle Sorgen Milosevics« an. Der
Wiener Standard titelt scheinheilig »Geht Milosevic das Geld aus?«. In
Belgrad stellt sich bei Vladimir Krsljanin, Sekretär des dortigen
Verteidigungskomitees, ein
Mann vor: Er komme vom deutschen »Staatsradio« (!), und wolle wissen,
was an den Geldproblemen für die Milosevic-Verteidigung dran sei. Viele
Zufälle in eineinhalb Tagen. Entweder wurden deutsche Geheimdienstler
auf Veranlassung
ihrer US-Kollegen aktiv, oder aber die CIA trat direkt an die Banken
heran.
Man ist nicht aufs Spekulieren angewiesen, sondern kann in einem
US-Gesetz nachlesen, wie das funktioniert: Wenige Tage nach den
Anschlägen in New York, am 19. September 2001, hatte die
US-Administration ihren »Patriot Act« präsentiert, ein Gesetzespaket
zur Demontage demokratischer Rechte, und nicht nur der US-Bürger.
Danach müssen ausländische Banken mit US-Ermittlern kooperieren, wenn
die »verdächtige Konten« entdecken, bei Kooperationsverweigerung kann
der Schatzminister Sanktionen gegen die Banken verhängen. Das
Einfrieren »fragwürdiger« Konten ist eine ausdrücklich erwähnte
Maßnahme. Aber stellen Sie sich vor: Schon ein Anruf der
Schnüffler, vielleicht die Andeutung »geschäftsschädigender
Empfehlungen« an US-Bürger, dürfte genügen, um Vorstände einer
Provinzbank zum Erzittern zu bringen.

F: Wie können Spender fortan die Verteidigung von Slobodan Milosevic
mitfinanzieren?

Wir werden in Kürze ein neues Konto eröffnen, bei Bankern, die sich
nicht als Geheimdienst-Handlanger verstehen. Trotzdem sollten Linke aus
dem Vorfall lernen: Nicht nur auf technische Annehmlichkeiten wie
bargeldlosen Zahlungsverkehr setzen, das erleichtert auch den
Schnüfflern das Leben. Spenden kommen am besten in Form von Barschecks
in die bewährten Hände von
Peter Betscher, Holzhofallee 28, 64295 Darmstadt.


=== 5 ===


http://www.jungewelt.de/

junge Welt vom 23. Oktober 2003

Kuhhandel in Den Haag

Anklage gegen serbische Generäle steht offenbar im Zusammenhang mit
Milosevic-Prozeß

Die Belgrader Regierung reagiert mit Protest auf die in dieser Woche
durch das »Kriegsverbrechertribunal« in Den Haag (ICTY) öffentlich
gemachten Anklagen gegen vier serbische Armee- und Polizei-Generäle,
die während der NATO-Aggression 1999 eine Schlüsselrolle spielten. Die
Haager Anklage unter Carla del Ponte beschuldigt sie, gemeinsam mit dem
ehemaligen jugoslawischen Präsidenten Slobodan Milosevic eine
»systematische Kampagne der Gewalt gegen kosovo-albanische Zivilisten
angeordnet« zu haben.

Der serbische Premier Zoran Zivkovic beklagte mit Verweis auf die
anhaltende Krise der prowestlichen Regierung in Serbien vor allem den
Zeitpunkt der Bekanntmachung der Anklagen gegen die Generäle Vladimir
Lazarevic, Nebojsa Pavkovic, Sreten Lukic und Vlastimir Djordjevic.

Pavkovic, während des Krieges zuständig für Südserbien und Kosovo,
wurde später zum Oberkommandierenden der jugoslawischen Armee
befördert. Im Oktober 2000 entzog er dem gegen Vojislav Kostunica
kandidierenden Milosevic die Unterstützung und behielt im Gegenzug
unter dem neuen Regime seinen Posten. Offenbar aus Furcht vor einer
Anklage stellte er sich dann hinter den mit mehr Macht ausgestatteten
Premier Zoran Djindjic, worauf Kostunica ihn in den Ruhestand schickte.
In den ersten gescheiterten serbischen Präsidentschaftswahlen Ende 2002
kandidierte Pavkovic auf Drängen Djindjics, der hoffte, damit die
Stimmen für den von Milosevic unterstützen Kandidaten Vojislav Seselj
zu reduzieren. Pavkovic scheiterte kläglich und sah sich gezwungen,
sich den Fragen der Haager Ankläger zu stellen. Offenbar weil er nicht
die gewünschte Aussage machte, wurde er während des Ausnahmezustandes
im Frühjahr inhaftiert.

Schon im April hatten Regierungsvertreter ihre Schwierigkeiten bei der
befohlenen Kooperation mit dem Tribunal beklagt. Mit Blick auf Lukic,
der 1999 die Polizeieinheiten im Kosovo kommandierte, hatten sie den
Schutz der Schlüsselfiguren bei der Durchführung des nach Ermordung
Djindjics verhängten Ausnahmezustandes gesucht. Die Anklage des nach
dem Sturz Milosevics 2000 zum zweiten Mann hinter dem Innenminister
beförderten Polizeichefs sorgt daher für heftigen Protest.

Die Anklagen stehen offensichtlich im Zusammenhang mit dem Prozeß gegen
Milosevic. Der Anklage bleiben nur noch etwa 30 Tage, um Beweise
vorzubringen. Im Zuge seiner Selbstverteidigung konnte der Expräsident
die gegen ihn erhobenen Vorwürfe entkräften. Nachdem del Ponte kürzlich
ankündigte, am Ende der Anklagehalbzeit hochkarätige Offizielle der
Milosevic-Regierung zu laden, scheint auch im Falle der Generäle ein
Handel »Belastungsaussage gegen Milosevic für eigene Strafmilderung«
vorgesehen.

Sollte sich Belgrad auf einen von den USA angebotenen Deal einlassen
und statt der Generäle den bosnischen Serbenführer Ratko Mladic an das
Tribunal ausliefern, wird es in der Bevölkerung zu starkem Widerstand
kommen. Für Haag ist es einerlei, ob die serbischen Generäle oder
Mladic zur Konstruktion eines »Beweises« gegen Milosevic herhalten –
nur Eile ist geboten.

Cathrin Schütz


=== 6 ===


Owen: Milosevic wollte bereits 1993 kein "Großserbien" mehr

Den Haag (AFP) - Der jugoslawische Ex-Präsident Slobodan Milosevic hat
die Idee eines "Großserbien" nach Ansicht des damaligen
EU-Sondergesandten David Owen bereits zwei Jahre vor Ende des
Bosnienkriegs aufgegeben. Aus pragmatischen Erwägungen habe Milosevic
ab April 1993 nicht mehr darauf hingearbeitet, den serbischen Teil
Bosnien-Herzegowinas an Serbien und Montenegro angliedern wollen, sagte
Owen am Dienstag bei seiner Befragung durch den Angeklagten vor dem
UN-Kriegsverbrechertribunal für Ex-Jugoslawien in Den Haag. Allerdings
habe der ehemalige jugoslawische Staatschef es versäumt, militärischen
und wirtschaftlichen Druck auf die bosnischen Serben auszuüben, um den
Frieden herbeizuführen, den er schon ab Frühjahr 1993 gewollt habe.

Quelle:
http://www.echo-online.de/users/afp/ticker/031104131805.hmg4owla.html

Protests and political crisis in Serbia

(italiano / english / french / deutsch )


1. L'unica cosa disponibile in lingua italiana... Perche' della Serbia
oggi si vergognano (giustamente) di scrivere

2. Les métallos serbes en grève contre US Steel
(Le Marxiste-Léniniste Quotidien)

3. 100 mal betrogen
Straßenkampf in Belgrad. Die serbische Arbeiterbewegung fordert den
Rücktritt der Regierung (von J. Elsaesser)

4. Belgrade: Serbian workers clash with police

5. More agencies:
SPS: Law on discontinuation of cooperation with Hague should be passed
/ Government crisis reaches climax / British firm buys into fourth
Serbian dairy / Elections to be called when premier returns from China


-> Vedi anche / See also:

Interview with Branko V., a Union Activist (by Jared Israel)
http://emperors-clothes.com/news/workers.htm

I lavoratori in piazza a Smederevo e Belgrado (30/10/2003)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2907

Strike At (Now) US-Owned Serbian Steel Plants (16/10/2003)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2869

US Steel to buy Serbia's Sartid steel plant (31/7/2003)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2680


*** LE DONAZIONI PER GLI OPERAI DELLE ACCIAIERIE DI SMEDEREVO IN
SCIOPERO VANNO VERSATE SUL CONTO DEI SINDACATI DI AMBURGO:
Kragujevac/J. Bergmann,
Hamburger Sparkasse (BLZ 200 505 50)
Konto-Nummer 1230 499 335
CAUSALE: Smederevo ***


=== 1 ===


http://www.ansa.it/balcani/serbiamontenegro/serbiamontenegro.shtml

SERBIA: MANIFESTAZIONE SINDACATI, SCONTRI CON POLIZIA

(ANSA) - BELGRADO, 30 OTT - Un migliaio di manifestanti dell'Alleanza
dei sindacati serbi ha tentato stamane, durante un corteo, di entrare
nel palazzo del parlamento repubblicano, provocando l'intervento della
polizia. Gli agenti hanno usato scudi e manganelli, con un bilancio
di alcuni contusi medicati in un vicino ospedale. I deputati -
riuniti in sessione per un dibattito sulla fiducia al governo - hanno
promesso di incontrare i dimostranti al termine dei lavori della
mattinata. L'Alleanza dei sindacati - un tempo vicina al regime di
Slobodan Milosevic, e oggi su posizioni nostalgiche - manifesta da
ieri per elezioni politiche anticipate e il congelamento delle
privatizzazioni. In parlamento, e' in discussione per la seconda
settimana consecutiva una mozione di sfiducia nei confronti del
governo presentatata dalle opposizioni democratiche con il sostegno
dei partiti nostalgici. Gli osservatori serbi non si attendono
comunque un voto sulla fiducia al governo prima delle elezioni
presidenziali del 16 novembre: fra le richieste della mozione c'e'
anche il siluramento della presidente del parlamento e presidente ad
interim del paese Natasa Micic, che se approvato potrebbe lasciare la
presidenza ad interim della Serbia a un socialista del partito di
Milosevic, Ljubisa Maravic, in quanto deputato piu' anziano.
(ANSA). OT
30/10/2003 14:31


=== 2 ===


Les métallos serbes en grève contre US Steel


Neuf mille métallos d'un énorme complexe sidérurgique de Smederevo, en
Serbie, près de Belgrade, sont en grève contre les nouveaux
propriétaires américains. US Steel de Pittsburg, en Pennsylvanie, a
acquis les ateliers de sidérurgie yougoslaves en faillite le 12
septembre. La saisie de l'aciérie par le monopole américain fait partie
du partage du butin de la guerre, les impérialistes américains ayant
réussi, à la tête des troupes  de l'OTAN, à démembrer l'ex-Yougoslavie

Les métallos serbes veulent être payés 55 dinars l'heure (moins que
1$US), la réintégration de 450 camarades et le renvoi du directeur
américain Thomas Kelly, qu'ils accusent d'arrogance et d'inflexibilité.
Kelly s'est contenté de dire que la grève est "illégale" et a demandé
au ministère du Travail de Serbie d'imposer un retour au travail et de
lui permettre de congédier les 450 travailleurs et de maintenir les
salaires.

La saisie des ateliers de sidérurgie serbes est le deuxième coup de US
Steel dans l'ex-Yougoslavie. Il y a trois ans, après que les forces de
l'OTAN, incluant des soldats canadiens, aient capturé l'ex-république
yougoslave de Slovénie pour le compte des capitalistes monopolistes, US
Steel s'est vu remettre les aciéries nationales de la Slovénie et en a
depuis tiré des profits faramineux. Le vol d'avoirs nationaux comme les
aciéries et les gisements pétrolifères au terme d'une conquête
militaire outre-mer est la méthode préférée des monopoles américains,
européens et japonais pour maintenir leurs profits élevés et se faire
concurrence l'un l'autre sur le marché mondial.

US Steel espère répéter le même scénario en s'emparant de l'énorme
complexe sidérurgique de la Serbie. Il aurait obtenu le produit social
fixe des aciéries serbes et le droit d'exploiter les 9 000 métallos
pour la somme risible de 23 millions $. L'étroite collaboration entre
l'armée américaine et US Steel outre-mer est évidente dans la grande
considération accordée aux dirigeants de US Steel par l'ex-commandant
militaire et maintenant secrétaire d'État Colin Powell. Ce dernier a
récemment remis au président de US Steel, Thomas J. Usher, le Prix de
l'excellence en affaires du département d'État américain, citant "ses
pratiques exemplaires d'entreprise citoyenne" en épublique de Slovénie.
La saisie de propriété outre-mer

Les monopoles américains et canadiens de l'acier se plaignent des bas
prix de l'acier étranger et pourtant un des plus grands monopoles
américains est fortement impliqué dans l'exploitation et la production
d'acier à bon marché en Europe. L'acier bon marché produite en Slovénie
sous contrôle américain se retrouve- t-il sur les marchés canadiens et
américains? Cette campagne pour des tarifs sur l'acier que mènent les
monopoles américains est- elle une manoeuvre pour détourner les
métallos de la riposte à la défense de leurs intérêts vitaux face à la
restructuration et au chantage à propos de la faillite?

Les métallos américains et canadiens doivent bien réfléchir à la
signification de la saisie d'aciéries outre-mer par des monopoles
américains au terme de la conquête militaire. L'armée canadienne est
très impliquée dans des aventures outre-mer. Elle joue un rôle
significatif au sein de l'OTAN, elle a joué un rôle dans le
démembrement de la Yougoslavie et elle est maintenant participante à la
guerre internationale sans limite des États- Unis pour s'emparer de
territoires.

Les mêmes vautours capitalistes détruisent la production de l'acier au
Canada et aux États-Unis et restructurent tout en s'emparant de la
production de l'acier et en exploitant les travailleurs étrangers. Un
changement de direction et de pensée s'impose pour les travailleurs et
leurs syndicats. Les propriétaires du capital n'ont qu'un intérêt
étroit dans leurs propres monopoles et il tient uniquement au taux de
profit. Ils s'intéressent à l'existence d'une industrie nationale de
l'acier uniquement dans la mesure où cela sert leur monopole
particulier. Ils déménagent allègrement leurs capitaux ailleurs si le
taux de profit est plus élevé. Les métallos doivent saisir ce fait de
la vie économique: les détenteurs du capital n'ont qu'un intérêt
étroit, momentané, dans la propriété industrielle et encore plus étroit
et momentané dans l'existence d'une industrie nationale.

(....)  US Steel a été impitoyable envers ses travailleurs américains
dans sa campagne de restructuration antiouvrière. Une enquête devrait
être établie pour déterminer si l'acier bon marché provenant des
aciéries contrôlées par US Steel en Slovénie est en partie responsable
de l'effondrement des prix de l'acier au Canada et aux États-Unis. Les
monopoles américains ont réussi à saper la riposte des métallos à la
restructuration en utilisant une partie considérable des ressources et
des énergies des syndicats pour une campagne en faveur de tarifs pour
contrer l'importation de l'acier bon marché. Bon nombre d'observateurs
prétendent que la campagne pour les tarifs est une manoeuvre pour saper
la riposte des métallos à la défense de leurs intérêts vitaux et d'une
véritable industrie nationale de l'acier au service de l'économie
nationale.

Source : Le Marxiste-Léniniste Quotidien
http://www.anti-imperialism.net/lai/
article_lai.phtml?section=A1ABBBACBA&object_id=21653
or
http://www.cpcml.ca/francais/lmlq/Q33119.htm#4


=== 3 ===


http://www.artel.co.yu/de/izbor/jugoslavija/2003-11-04_1.html

Junge Welt - BU: 30. Oktober: Gewerkschafter durchbrechen den
Polizeikordon vor dem Parlamentsgebäude in Belgrad.

Jürgen Elsässer

100 mal betrogen

"Wir haben hundert mal mit der Regierung zu verhandeln versucht, und
wir wurden hundert mal betrogen. Deswegen sind die Arbeiter auf der
Straße." Mit diesen Worten begründete Milenko Smiljanic, Führer der
Unabhängigen Serbischen Gewerkschaften, warum es letzte Woche zu den
größten Protesten seit dem Sturz von Slobodan Milosevic im Herbst 2000
gekommen ist. Das Besondere an den Demonstrationen war der
Schulterschluß zwischen Smiljanics Syndikat, das ursprünglich dem heute
in Serbien regierenden DOS-Parteienbündnis nahestand, mit den alten
Links-Gewerkschaften. "Als wir die Herren an der Macht damals gewählt
und unterstützt haben, haben wir nicht geglaubt, daß die ihre
Gerechtigkeit und ihre Demokratie auf dem Rücken der Arbeiter errichten
würden", entrüsteten sich die Kohle-Kumpel der Kolubara-Mine in einer
Presseerklärung. Spätestens bei diesem Statement muß im Büro von
Premier Zoran Zivkovic die Alarmstufe rot ausgerufen worden sein: Der
Streik in Kolubara Ende September 2000 war das unmittelbare Vorspiel
zum Marsch auf Belgrad gewesen, der dem am 5. Oktober die
sozialistische Regierung hinweggefegt hatte.

Damit der DOS-Herrschaft nicht ähnliches widerfuhr, versetzte
Polizeiminister Dusan Mihajlovic seine Truppen in Alarmbereitschaft.
Als am vergangenen Mittwoch Gewerkschafter aus dem ganzen Land nach
Belgrad aufbrachen, war die Hauptstadt bereits weiträumig abgesperrt.
Viele wurden an den Checkpoints gestoppt und mußten umkehren. Trotzdem
versammelten sich schließlich 10 - 12.000 Kolleginnen und Kollegen vor
der Skupstina, dem serbischen Parlament. Die Fraktionen der
Sozialistischen und der Radikalen Partei sowie Abgeordnete der
Demokratischen Partei Serbiens (DSS) des letzten jugoslawischen
Präsidenten Vojislav Kostunica verließen den Plenarsaal und schlossen
sich den Arbeitern an.

Bei der Fortsetzung der Proteste am nächsten Tag forderten 3 - 5000
Menschen Zugang zum Parlament. Dabei kam es zum bisher schwersten
Polizeieinsatz seit der sogenannten Oktoberrevolution 2000. In
Tränengasausrüstung, mit Schilden und Knüppeln trieben die
Ordnungshüter die Menge auseinander. Mindestens sieben Gewerkschafter,
darunter drei Frauen, wurden verletzt. "Es gab keinen exzessiven
Einsatz von Gewalt, und es wird auch keinen geben, solange diese
Regierung im Amt ist, und das heißt für die nächsten Jahrzehnte",
rechtfertigte sich Zivkovic später. Die Kohlekumpel in Kolubara sahen
das ganz anders und verlangten eine persönliche Entschuldigung des
Regierungschefs. "Wir dachten, daß der Polizeiknüppel ein Instrument
der Vergangenheit sei", heißt es in ihrer Presseklärung.

Am Freitag gingen die Demonstrationen am dritten Tag in Folge weiter.
Zwar waren in Belgrad nur noch einige hundert auf der Straße, dafür
aber in Krusevac über 3000. Drei der am Vortag Verletzten waren aus
dieser mittelserbischen Stadt gekommen. Parallel wurde der Streik im
größten serbischen Stahlwerk in Smederevo fortgesetzt, wo die 10.000
Beschäftigten seit über zwei Wochen eine Lohnerhöhung von 33 auf 55
Dinar (knapp ein Euro) fordern (vgl. jW, 28. Oktober). Von der passiven
Arbeitsniederlegung gingen die Kollegen zu aktiven Kampfmaßnahmen über
und blockierten den Abtransport von Halbfertigprodukten.

Ziel der landesweiten Proteste ist nicht nur der Rücktritt der
Regierung, sondern auch der Stopp der Privatisierung. Der Hintergrund
der zweiten Forderung ist die Verschleuderung des Staats- und
Gesellschaftseigentums, was sich am Beispiel von Smederevo gut
illustrieren läßt: In den Aufbau und die Modernisierung des Stahlwerkes
hat Jugoslawien in den letzten Jahrzehnten umgerechnet über 20
Milliarden US-Dollar investiert. Die gesamte Anlage inclusive
Zweigwerken und einem angeschlossenen Donauhafen ging im Sommer für
ungefähr ein Prozent dieses Wertes, nämlich für 23 Millionen US-Dollar,
in den Besitz von U.S. Steel über.

Die Gewerkschaften haben für diese Woche eine Fortsetzung der
Kampfmaßnahmen angekündigt. Parallel sieht sich die Regierung mit einer
Vertrauensabstimmung im Parlament konfrontiert. Nach dem die
DOS-Koalition schon den Abfall der Kostunica-Partei DSS und der
neoliberalen, aber mafiakritischen G-17 verkraften mußte, besitzt sie
nur noch eine hauchdünne Mehrheit. Zum Zünglein an der Waage könnten
die Stimmen der bisher DOS-loyalen Sozialdemokraten werden, die eine
Unterstützung des Mißtrauensvotums angekündigt haben. Es wird wieder
spannend in Serbien.

* Spenden für die streikenden Stahlarbeiter in Serbien sind auf
folgendes Konto Hamburger Gewerkschafter zu überweisen:
Zahlungsempfänger: Kragujevac/J. Bergmann, Hamburger Sparkasse (BLZ 200
505 50), Konto-Nummer 1230 499 335, Kennwort Smederevo.


=== 4 ===


http://www.b92.net/english/news/index.php?nav_id=25277&style=headlines
Beta, October 29, 2003

Union protests to resume tomorrow

BELGRADE -- Wednesday – The Alliance of Independent
Serbian Unions will resume its street protests in
Belgrade tomorrow.
The Alliance is calling for early parliamentary
elections and a moratorium on the privatisation of
state companies.
Union representatives told media this evening that
they will assemble in central Belgrade tomorrow at
noon.
Union leader Milenko Smiljanic said that the
government’s deadline to meet union demands had passed
and that if no results were achieved from protests in
Belgrade, the unions will take more radical measures.


http://www.b92.net/english/news/
index.php?&nav_category=&nav_id=25286&order=priority&style=headlines
Beta, October 30, 2003

Workers breach police cordon around parliament

BELGRADE -- Thursday – Thousands of angry workers have
broken through a heavily armed police cordon
surrounding the Serbian parliament building in
Belgrade.
The cordon had been holding the crowds back some 50
metres from the building, where a no confidence debate
in the government is currently underway.
Studio B reports that the situation is calm, and that
the police have managed to clear the workers from in
front of the building.
The workers are members of the Alliance of Independent
Serbian Unions. 10,000 attended a rally yesterday in
downtown Belgrade, calling for the dismissal of the
government and a moratorium on the process of
privatisation.


http://www.tanjug.co.yu/
Tanjug, October 30, 2003

Union protest participants clashed with police

15:07 BELGRADE , Oct 30 (Tanjug) - Several hundred
members of the Alliance of Independent Trade Unions of
Serbia (SSSS) and the police guarding the Serbian
Assembly clashed on Thursday when union members tried
to come closer to the Assembly building, where debates
about confidence to the Government are underway.
Several protest participants were injured, according
to the first, unconfirmed information, but the
severity of their injuries is not yet known.


http://www.ptd.net/webnews/wed/bx/Qserbia-politics-demo.RtGb_DOU.html
Agence France-Presse, October 30, 2003

Protesters, police clash as Serbian government battles
in parliament - Katarina Subasic

BELGRADE, Oct 30 (AFP) - Three protesters were injured
Thursday in clashes with Serbian police on the second
day of demonstrations against the government, which is
battling to survive a no-confidence debate in
parliament.
Scuffles broke out as scores of armed riot police
marched on trade unionists who were threatening to
break into the parliament and interrupt the debate, an
AFP reporter at the scene said.
The incident was immediately seized upon by opposition
politicians inside the assembly, where the government
is struggling to avoid early elections amid confusion
about whether it has a majority or not.
Bojan Pajtic, a member of the ruling coalition,
confirmed that three protesters had been hospitalised
in a "minor" scuffle with police.
The workers are demanding early elections and the
resignation of the government in response to sweeping
economic reforms [sic] introduced after the ouster of
former Yugoslav leader Slobodan Milosevic three years
ago.
"Our request is for early elections and the fall of
the government. A government which is not creating an
environment in which you can work and live normally is
no good," union leader Milenko Smiljanic told AFP.
"That's why the workers are on the streets. We've
tried to negotiate with the government 100 times and
we've been tricked 100 times."
Several thousand workers earlier marched to the
parliament in downtown Belgrade to the strains of a
dulcet satirical song condemning the government's
failures.
By late afternoon their numbers had dwindled but their
threats to invade the building apparently prompted the
police action.
Inside the building MPs were debating a no-confidence
motion which could precipitate early elections in what
is seen as the worst political crisis in Serbia since
Milosevic's ouster.
Prime Minister Zoran Zivkovic said economic hardship
was "normal" in a country making the transition from
communism and autocracy, and accused his opponents of
creating the mess in the first place.
"If you thought that we were going to defend ourselves
today and in the days ahead then you were wrong,
because we are honoured to have been part of the
project called the normalisation of the Serbian
state," Zivkovic said.
"If we do not have majority in the parliament, we will
call for elections."
Disunity is rife within the group of 17 parties which
form the ruling DOS coalition and the popular
enthusiasm for change which swept the country as
Milosevic was toppled in October 2000 has all but
evaporated.
The government suffered a heavy blow in March this
year when former prime minister Zoran Djindjic, an
unpopular but highly motivated leader, was
assassinated by a mafia sniper.
It has been beset by corruption scandals as well as
increasingly effective attacks from opposition groups
ranging from radical nationalists to liberal
reformers.
Unemployment stands at around 30 percent and many
workers are concerned that they will lose their jobs
as the government sells off thousands of communist-era
businesses to private investors.


http://www.b92.net/english/news/
index.php?&nav_category=&nav_id=25292&order=priority&style=headlines
Beta, October 30, 2003

Police sweep demonstrators from Parliament forecourt

BELGRADE -- Thursday – Three demonstrators were taken
to hospital this afternoon after armed police troops
today drove back protesting workers from the front of
the Serbian Parliament building.
The protesters were injured as they were forced a
hundred metres away the building, where they were held
in place by a cordon of police in full riot gear.
Today’s protest began in nearby Nikola Pasic Square
where about two thousand members of the Alliance of
Independent Serbian Unions began a march on the
parliament.
In a scene reminiscent of protests against the
Milosevic regime, riot police used their shields to
force the marchers off their course.
The Otpor people’s movement told media after today’s
clash that their members had seen a protester being
beaten with a wooden baton by plainclothes police.
Union leader Vlada Andric said this afternoon that the
demonstrators, who had earlier broken through a police
cordon, only wanted to meet political leaders and were
not insisting on entering the parliament.
He added that the breach of the cordon had happened
spontaneously.
Alliance president Milenko Smiljanic told media that
he had asked the parliament to take a short recess in
order to allow marchers to pass the building without
violating a law which bans protests outside the
parliament when it is in session.


http://www.b92.net/english/news/index.php?nav_id=25299&style=headlines
Beta, October 31, 2003

Seven injured in protests

BELGRADE -- Thursday – Seven protesters were admitted
to the Belgrade Emergency Centre with injuries
suffered in today’s clash between union demonstrators
and special police squads.
One woman has been kept in hospital under observation
because of possible complications arriving from her
injuries.
Riot police intervened twice during today’s
demonstrations: first pushing workers back from the
parliament building at about 1.00 p.m. then three
hours later when protesters attempted to break through
a cordon in Kralj Milan Street.


http://www.tanjug.co.yu/
Tanjug - October 30, 2003

Another five injured protesters examined at Emergency Clinic

19:02 BELGRADE - Five people, who were injured in clashes with police
outside the Serbian parliament on Thursday afternoon, were examined at
the Emergency Clinic, head of the Emergency Clinic team on duty Dr
Djordje Bajec told Tanjug.
He said that seven citizens who had taken part in the Independent Trade
Union strike had been admitted in this institution - two of them were
admitted by 4 p.m. (1500 GMT) and the other five later.


http://www.b92.net/english/news/
index.php?&nav_category=&nav_id=25298&order=priority&style=headlines
Beta, October 30, 2003

Union lashes out at “undemocratic behaviour”

BELGRADE -- Thursday – The Alliance of Independent
Serbian Unions has accused the Serbian authorities of
displaying a lack of democracy in today’s violent
clash between union members and police in front of the
Serbian Parliament building.
Union leader Milenko Smiljanic told journalists that
all parliamentary caucuses had condemned the police
reaction and protested against the brutal break-up of
a peaceful demonstration.
He said that the protest would resume tomorrow, but
would not give details except to say that it would
“extended to the whole of Serbia”.
Smiljanic accused the head of the parliament’s
Security Committee, Dragan Sutanovac, of misleading
MPs about the number of injured protesters and denied
his claim that the workers were drunk and drugged.


http://www.tanjug.co.yu/
EEconomy.htm#Trade%20union%20protests%20would%20stop%20only%20if%20early
%20parliamentary%20elections%20were%20called
Tanjug, November 5, 2003

Trade union protests would stop only if early
parliamentary elections were called

20:12 BELGRADE , Nov 4 (Tanjug) - President of the
Association of Independent Trade Unions of Serbia
Milenko Smiljanic said on Tuesday that this trade
union would stop protesting if early parliamentary
elections were called.
This would fulfil the demands of the Association,
Smiljanic said and added that if the Serbian
parliament decided that the Serbian government remain
in office, the Association would continue protests
throughout Serbia, with the final rally in Belgrade,
probably with the participation of the trade union
members of the Kolubara coal mine and Electric Power
Industry of Serbia.


=== 5 ===


LAW ON DISCONTINUATION OF COOPERATION
WITH HAGUE TRIBUNAL SHOULD BE PASSED – BAJATOVIC

Tanjug - October 29, 2003 - NOVI SAD, Oct 29 (Tanjug) - Socialist Party
of Serbia (SPS) Main Board Vice-President Dusan Bajatovic on Wednesday
called on the authorities in Serbia to pass a law on a discontinuation
of cooperation with the Hague Tribunal.
After the statements made by top state officials on the latest
indictments issued by the Hague Tribunal, the authorities in Serbia
should, if they are really concerned with the country's dignity, draft
a law on a discontinuation of cooperation with the Tribunal, Bajatovic
told a news conference. "This is something we would all understand," he
said.
 

GOVERNMENT CRISIS REACHES CLIMAX

Beta - October 30, 2003 - BELGRADE - Thursday - Parliament begins
discussing an opposition motion of no confidence in the Serbian
government today.
The debate was scheduled to begin this morning, and could last several
days.
MPs yesterday completed a no confidence debate in Parliament Speaker
Natasa Micic. A vote on whether to dismiss Micic will be held after the
debate on the government.
Serbian Prime Minister Zoran Zivkovic is expected to attend today's
sitting, where he will submit a report the first 1,000 days of the
government.

 
http://www.b92.net/english/news/
index.php?&nav_category=&nav_id=25285&order=priority&style=headlines
B92, October 30, 2003

British firm buys into fourth Serbian dairy

NOVI SAD -- Thursday – British firm Salford is to buy
a controlling stake in Serbian dairy Novosadska
Mlekara for nine million euros, Novi Sad daily Dnevnik
reports.
The dairy’s financial manager, Vladimir Hromis, said
the purchase of a 50.5 per cent share in the company
would have to be approved by the Serbian Securities
Commission. Salford has already bought three larger
dairies in Serbia and has shown interest in Suboticka
Mlekara.
Dnevnik reports that the money from the sale will be
spent on new equipment and on boosting production.
Hromis said the move would help create a system of
local dairies in preparation for increased competition
when Serbia finally joins the European Union.
Salford has its headquarters in the Virgin Islands,
and offices in London, Moscow, Amsterdam and Belgrade.


Elections to be called when premier returns from China - Serbian deputy
premier

Tanjug - November 5, 2003 - 17:51 BELGRADE - The date for calling early
parliamentary elections has not been set yet, but they will certainly
be held, Serbian Deputy Premier Zarko Korac said Wednesday.
The elections will be called when Premier Zoran Zivkovic returns from
his visit to China, Korac said, adding that he cannot say whether they
will be scheduled by the end of this year or later.

Kosovo, with compliments

1. Kosovo: Training Ground For New 'CIA Hi-Tech Hitmen' Operation

2. Gay kosovars flirt with danger


=== 1 ===


http://www.theherald.co.uk/news/4003.html
The Herald (Scotland) - November 6, 2003

Spotlight on war in the shadows

IAN BRUCE, Defence Correspondent

News of the death of a corporal from the UK's Special
Boat Service north of Mosul was a rare snapshot of the
savage shadow war which has been raging unabated and
unreported inside Iraq for the past seven months.
The Ministry of Defence announcement on Tuesday brings
the British death toll since the war started to 52.
Hundreds of British, US, and Australian special
forces, plus the CIA's "special affairs division" of
hi-tech hitmen have been operating in small teams
throughout the country, hunting the last fugitives
from the ousted regime and the new leaders of the
growing insurrection.
The biggest prize of all, Saddam Hussein, is the
intended prey of Task Force 20, a composite group
composed of US Delta troopers, members of Devgru – the
unit formerly known as US Navy Seals – and picked
squads from Britain's SAS and SBS.
The force operates in small surveillance teams trained
to lie up for days at a time in "hides" near suspected
enemy sanctuaries, watching for the movement of "known
players" and logging those who come and go in the
villages dotted throughout the Sunni Triangle area
north and west of Baghdad.
It is lonely, dangerous work. Despite their
state-of-the-art communications equipment, the
watchers know they would be overrun and wiped out long
before help could arrive if their presence was
detected.
Corporal Ian Plank, the British soldier killed in a
firefight last Friday, belonged to the SBS, the Royal
Marines' equivalent of the Army's SAS. It is an
organisation which lives up to its motto – "Not by
strength, but by guile" – and shuns publicity to
preserve security.
Candidates wishing to serve in its ranks must have
been members of one of the three regular Royal Marine
commando battalion groups for a minimum of two years.
They must also pass a selection course veterans claim
is tougher than that for the better-known SAS.
In the opening days of the invasion of Iraq this year,
a 10-man SBS patrol was ambushed by Iraqi troops near
Mosul.
Forced to abandon its specially adapted Land Rovers in
the face of vastly superior numbers and enemy tanks,
the patrol fought its way clear and evaded pursuit
until its men could be extracted by helicopter.
Britain's special forces exert an influence far out of
proportion to their manpower. There are four, 72-man
sabre squadrons in the SAS – fewer than 300 fighting
troopers – based at Hereford. The SBS has only 232
officers and men in its headquarters at Poole in
Dorset.
Both groups, commanded by an officer known as
"director, special forces" who answers directly to the
government's Cobra emergency cabinet committee, have
been heavily involved in Afghanistan, Sierra Leone,
the Balkans and Iraq.
Perhaps the ultimate secret of the undercover war in
Iraq is an organisation known to insiders as "The
Activity" and to others by the codename "Grey Fox".
A US military intelligence group established during
the 1999 Kosovo campaign because the Pentagon felt it
was not being supplied with immediate tactical
information by either the CIA or the National Security
Agency, its operations were originally hidden from
even the scrutiny of the US Congress.
It has since evolved into the nerve-centre for covert
US action abroad, running its own human agents where
even the CIA hesitates to venture. Drawing on the
resources of the US special forces' community, it now
has its own "shooters" to act promptly on real-time
intelligence.


=== 2 ===


IWPR'S BALKAN CRISIS REPORT, No. 433, May 30, 2003

GAY KOSOVARS FLIRT WITH DANGER

Fierce homophobia forces members of Kosovo's gay community to lead
double lives.

By Tanja Matic in Pristina

Veton is at ease amongst the well-groomed, watchful young men who
frequent the more flamboyant bars of London's Soho district.
The 27-year-old left Kosovo ten years ago. Sitting in a Soho bar on a
Sunday afternoon, he says he has no intention of going back to a
violent, prejudiced society where he would be regarded as a criminal.
However, unlike most Albanians living in London, Veton is not a victim
of ethnic conflict.
Nor is he part of the minority involved in the vice trade - the
Albanian gangs which, London police say, now dominate the capital's
underworld.
The reason Veton prefers Soho to Kosovo is his sexuality - he is openly
gay.
"I cannot live there because my lifestyle with my partner would be seen
as shocking and abhorrent. No one's harassing us here," said Veton,
whose name has been changed at his request.
Homosexual relationships, though technically not illegal, have always
been a matter of shame and taboo in Kosovo. Gay men who do not want to
become the pariahs of this fiercely patriarchial society make sure they
keep their relationships secret.
Gay rights activists say the situation has not improved, despite the
post-war influx of western money and values. They receive regular
reports of men being beaten up or intimidated on suspicion of being
gay, while homophobic views are routinely published in Kosovo's
newspapers.
But they say the problem has failed to attract the attention of human
rights groups in the area because fear of being "outed" stops most gays
from reporting hate crime to the authorities.
Kosovo ombudsman, Marek Nowitzki, told IWPR he had not been informed of
any such attacks during the past two years, but added "there are cases
which are not usually reported to the police".
"We are dealing with a very traditional society here... there is no
tolerance for homosexuals at all," said Nowitzki.
Kosovo's gays are at a critical point in their struggle for acceptance
- encouraged, on the one hand, to be bolder by their exposure to
western media and values, while on the other hand, still bound by the
expectations of a fiercely conservative society.
Experts have tried to explain Kosovo's antipathy towards gays by
looking to the Code of Leka Dukagjini, the law that has guided Albanian
clans since the 15th century. Although the code makes no direct mention
of homosexuals, it heavily emphasises masculine honour. To this day,
men who deviate from their customary role as husbands and fathers are
accused of bringing shame and stigma upon the entire family, if not the
clan.
"Men are expected to act as real men - strong and macho," said Martin
Berisha, president of Kosovo's first gay and lesbian association,
Elysium and Sappho. "That is why the Kosovo Albanian community will not
accept someone who does not behave as a man in the way the patriarchial
society thinks he should," said Berisha.
While Kosovo's gays try to keep a low profile, their enemies have
become increasingly brazen.
The daily newspaper Zeri recently produced an article backed by
comments from various academics and religious leaders, putting forward
the view that homosexuality was unnatural.
Kosovo's top imam, Sabri Bajgora, caused particular offence in gay
circles by warning that Islamic law regarded homosexuality "as a
disease which needed to be healed and prevented".
The article also claimed that the leading human rights group in Kosovo,
the Council for the Defence of Human Rights and Freedoms, had no clear
stance on the matter. A spokesman for the council, Ibrahim Makolli,
confirmed to IWPR that they did not "have any defined attitude" towards
the subject.
Martin Berisha said the council's neglect was disappointing, adding,
"If they, as human rights activists, don't have a clear stance on this
issue, then what can we expect from religious extremists or even the
common folk?"
Observers say attitudes towards homosexuals within Kosovar society may
also have hardened because of the recent conflict with Serbia, during
which machismo was held up as a patriotic virtue.
Worryingly, some Albanian conservatives believe this virtue is once
again facing an external threat - not from the Serbs, but from the
westerners who now live and work in Kosovo.
In an article published last September, the daily newspaper Epoka E
Re spoke of the "dangerous ways and behaviour brought by the
foreigners", before naming a restaurant near the university in Pristina
as a popular meeting place for homosexuals.
According to the OSCE's media advisor in Kosovo, Willem Houwen, three
members of Kosovo's gay and lesbian association were beaten up
immediately after the article was published.
Houwen, who helped the association to become registered in Kosovo, told
IWPR that when one victim reported the assault to local police, he was
mocked and verbally abused. No action was taken against the
perpetrators.
As Kosovo has no hate crimes law that distinguishes between an attack
on a homosexual and an ordinary assault, gays are loathe to report
homophobic attacks to the police. But whether such legislation were
introduced or not, society would immediately seize upon any such
complaint as an admission of homosexuality - a disaster for the many
gays who lead dangerous double-lives as devoted husbands, fathers and
sons.
At a private party in Pristina, such men are happy to discuss and
discard their disguises.
A 25-year-old man from northern Kosovo speaks of how he lies to his
parents every time they ask him why he hasn't found himself a girl to
marry. His boyfriend, an American, adds that his partner is deeply
paranoid of being discovered.
A 40-year-old from Presevo in southern Serbia spends every weekend with
his lover in Pristina after telling his family he has left town on
business.
Another young man kisses his lover and says, "Doing this in our office
or anywhere outside would be suicide."

Tanja Matic is an IWPR associate in Pristina.

www.iwpr.net

ISSN: 1477-7932 Copyright (c) 2003 The Institute for War & Peace
Reporting

BALKAN CRISIS REPORT No. 433

Goran Cvetic:
KOSOVO I METOHIJA: SLOM RAVNOPRAVNOSTI I LJUDSKIH PRAVA

http://www.artel.co.yu/sr/reakcije_citalaca/2003-07-16_1.html

BEOGRADSKI FORUM ZA SVET RAVNOPRAVNIH
konferencija za stampu na temu "Kosovo i Metohija: Opasnosti i moguci
izlazi"
U Beogradu, 11.7.2003. godine
Medija centar - Beograd
Izlaganje Gorana Cvetica


Brojke su zastrašujuce i neumoljive: od dolaska UNMIKA-a i KFOR-a na
Kosovo pre cetiri godine 250.000 ljudi, Srba i drugog nealbanskog
stanovništva je proterano, etnicki ocišceno, 1.300 lica je nestalo,
30.000 srpskih kuca spaljeno, a 75.000 ustanova i kuca uzurpirano; 112
srpskih manastira - svetinja - uništeno, a sa njima i 4.000 ikona,
preko 200 srpskih grobalja je sravnjeno, tako da ni živica nije ostala,
a sa njima 5.000 nadgrobnih spomenika. Deca u škole, a srpski poslanici
u kosovsku Skupštinu idu u pranji blindiranih vozila. Takva kršenja
ljudskih prava, slobodno se može reci, teško da postoje bilo gde u
svetu u ovom trenutku. Hrišcanstvo u jednom kutku Evrope kao da se gasi
i to pred ocima celog civilizovanog sveta koje ljudskim pravima pridaje
veoma veliki znacaj. Uprkos tome, nedavna svirepa likvidacija porodice
Stolic u Obilicu je teška povreda svega što se naziva civilizovanim.

Ono što se ne sme ispustiti iz vida je da 62% teritorije Kosova i
Metohije, po katastru, pripada Srbima. Neki kažu da je taj procenat
sada nešto manji zbog prodaje imovine Albancima. Ali, neka je taj
procenat i 50% sada. Svaki pregovori o statusu Kosova tu cinjenicu
moraju imati na dnevnom redu. Situacija je slicna onoj koja je
postojala u Bosni i Hercegovini, pa je politicki svet celu BiH u jednom
trenutku "gurao" u ruke Izetbegovicu.

Nadam se da je ta lekcija sa naše strane dobro naucena i da stare
greške medjunarodna zajednica nece praviti. Pregovori, ali o cemu? O
Kosovu u okviru Srbije, pri cemu navedeni procenat u vlasništvu
nepokretnosti u tim pregovorima mora igrati važnu ulogu. Kosovo nije ni
bilo, niti je sada, kolonija, a iz ove cinjenice ce svako ko poznaje
medjunarodno pravo izvesti svoj zakljucak o buducem statusu.

Medjutim, ono što je utkano u tkivo Ujedinjenih nacija, što je utkano u
tkivo medjunarodnog prava jesu - ljudska prava. Analiza Evropske
konvencije za zaštitu ljudskih prava i osnovnih sloboda vrlo jasno
pokazuje totalan slom poštovanja tih prava na KiM. Ovom konvencijom
garantovano je pravo na život (cl.2), pravo na slobodu i sigurnost
(cl.5.), pravo na pošteno sudjenje (cl. 6.), pravo veroispovesti
(cl.9.), sloboda okupljanja i udruživanja (cl. 11.), odsustvo svake
diskriminacije (cl.14.), sloboda vlasništva (Protokol 1. cl. 1.),
sloboda kretanja (Protokol 4. cl. 2.), kao i zabrana proterivanja
vlastitih državljana (Protokol 4. cl. 3.).

Sva ova prava srpskog stanovništva na Kosovu su ugorožena, ako ne i
nepostojeca. Mihael Štajner, "dobro-otišavši" šef UNMIK-a, je nedavno
izjavio da je uglavnom zadovoljan svojim ucinkom. Ova izjava se u
svetlu iznetih cinjenica teško može komentarisati bez izvesne doze
cinizma, jer niti je Štajner obezbedio sprovodjenje Rezolucije SB UN
1244, niti je uspeo da nealbanskom stanovništvu obezbedi uživanje
minimuma ljudskih prava. Kršenja ljudskih prava na KiM su masovna, i
pravi izraz za to je na engleskom jeziku i glasi: gross and massive
violations of human rights.

Postavlja se pitanje: može li biti bilo kakvog dijaloga izmedju dve
strane pre nego što se obezbedi poštovanje ljudskih prava za sve na
Kosovu? Odgovor mora biti negativan. Ali ne u skladu sa nekakvom
srpskom nepopustljivošcu ili inatom, vec stoga što se trenutno stanje
ne može legalizovati. Pored toga, takav odgovor je u potpunosti u
skladu sa osnovnim medjunarodno-pravnim principima poštovanja ljudskih
prava.

Ipak, razgovore o povracaju u predašnje stanje i vladavini prava na
Kosovu i Metohiji ne treba odbacivati. Naprotiv!

Jugoslavija je bombardovana u intervenciji koja je nazvana
"humanitarnom", upravo sa pretekstom kršenja ljudskih prava Albanaca.
Da li je cilj te agresije bio stanje kakvo je ono danas na Kosovu? Ko
ce sada da bombarduje UNMIK i KFOR za najteža moguca kršenja ljudskih
prava nealbanskog življa na Kosovu?

Sve receno je bazirano na cinjenicama i bolnim faktima, na analizi
relevantnih clanova Evropske konvencije za zaštitu ljudskih prava.
Potrebno je otvoriti oci svetu. Jer, ako u našoj zemlji ima umornih,
onda u svetu ima onih koji to nisu ili koji su daleko manje umorni. Sve
organizacije za zaštitiu ljudski prava, kod nas, ali pre svega u svetu,
moraju dici svoj glas i zaštititi ljudska prava Srba i drugih na KiM.
Kažem, pre svega u svetu, jer je pasivnost naših organizacija koje bi
mogle štititi ljudska prava - notorna. Nedavno je organizacija Amnesty
International stidljivo digla svoj glas. Neka to bude samo pocetak.
Ljudska prava za sve, ali za Srbe na Kosovu pre svih u ovom trenutku.
Duplih standarda je bilo dosta. Ovaj narod nece doživeti katarzu
konstantnim samookrivljivanjem i stalnim osecanjem krivice. Srbi ce
doživeti procišcenje onda kada knedla nepravde ne bude više u njihovim
grudima. Zdrav samokriticki odnos - da, ali konstantno osecanje krivice
posle svega što se dogodilo i u svetlu onoga što se sada na Kosovu
dogadja, ne može doneti ništa dobro ovom narodu, ni na
kolektivno-psihološkom planu, ni na planu istine i pravde. Jer, Srbi
nisu teroristi, niti su organizovali teroristicke organizacije, niti su
ikada osvajali tudje. Tako je i sada.

Državna zajednica SCG je postala clanica Saveta Evrope i samim tim po
ratifikaciji potpisane Evropske konvencije za ljudska prava njeni
gradjani ce biti u mogucnosti da se obracaju Sudu za ljudska prava u
Strazburu. Jedno prakticno pitanje je kome ce to Srbi sa KiM moci da se
obracaju, odnosno koga ce moci da tuže za kršenje svojih ljudskih prava
na Kosovu? Da li da tuže Srbiju i Crnu Goru, koja se lako može
ekskulpirati pred tim Sudom navodeci da ona nema ingerencije na KiM? Da
li da tuže države koje imaju odredjene sektore na Kosovu, kao na primer
Britaniju, Nemacku ili Italiju? Odista, koga jedan Srbin sa Kosova da
tuži za, na primer, nemogucnost ostvarenja svoga prava na imovinu, tj.
spaljenu kucu, kada naš Zakon o parnicnom postupku u tim slucajevima
predvidja iskljucivu nadležnost suda na cijem podrucju se nepokretnost
nalazi? Da tuži na Kosovu on ne može. Ko ce pronaci krivca? Ocito -
niko. Zato je naš praktican savet onima koji žele da idu po pravdu u
Strazbur da tuže i SCG i zemlju koja ima odredjeni zaštini sektor na
KiM: na primer, da tuže i SCG i Britaniju i u tom slucaju eskulpacije
ne može biti. Pozdravljamo predlog poslanika Evropskog Parlamenta sa
Kipra da se pri Evropskom sudu za ljudska prava ustanovi tužilac koji
bi imao ulogu zaštitnika ljudskih prava upravo na kriznim podrucjima
kakvo je Kosovo.

Na kraju, upucujem apel vama novinarima da ono što je danas receno o
kršenju ljudskih prava na KiM prenesete što dalje, u svet, jer ovaj
apel nema veze sa politikom i dnevno politickim prepucavanjima koja
crpe dragocenu enrgiju ovoga naroda. Ovo je apel svim organizacijama za
ljudska prava da ustanu i ostvare svrhu svog postojanja, a to je
zaštita ljudskih prava na svakom kutku planete zemlje. Srbi sa Kosova
ne zaslužuju da budu prepušteni sami sebi u ostvarivanju svog osnovnog
ljudskog prava, da žive tamo gde su rodjeni.

Da: andrea
Data: Gio 6 Nov 2003 15:58:38 Europe/Rome
A: backtalk@...
Oggetto: [ita-jug] An Edifice of Lies -- Malic


Very shortly, just to tell you that I completely disagree with the sort
of comparison you still try to make between what you call "the Empire"
(i.e. imperialism) and Communism (N. Malic: "An Edifice of Lies", at
http://www.antiwar.com/malic/m110603.html).

Against all evidence, and in spite of all sense of ridicolous, you
continue criticizing Tito for a crisis and a war which exploded well
after his death.
Under Tito, Yugoslavia was a modern and prosperous country in which all
"peoples" and cultures lived together in peace. Moreover, Tito was the
leader of a victorious struggle for national liberation of all
Yugoslavs, first of all the Serbs, the ones who actually and rightfully
took most advantage from that by liberating themselves - as Tito's
partisans - from nazifascism, ustashe, Balli Kombetar... and from
western imperialism itself, for decades!!!

The resourgence of all those historical enemies (nazifascism, ustashe,
Balli Kombetar, western imperialism) has nothing to do with Tito, but
rather with Tito's death and with the treason by many, including some
serb quislings.

Your considering Tito as "anti-Serb" or even anti-Yugoslav is such a
blatant paradox that not seeing it only means to have been completely
blended by a very rough, indeed fully american anticommunism.

Andrea (Italy/France)

Haski "sud"

1. DEMONSTRACIJE u Hagu, 8. novembra 2003.

2. HAG: ZAVRŠENO SVEDOČENJE LORDA OVENA


=== 1 ===


Dragi prijatelji,
Dodjite 8. novembra u Hag.
Zlocin i nepravda se nece zaustaviti dok svi bez straha ne ustanemo i
progovorimo.
Obavestite sve prijatelje, sve casne ljude, sve progresivne partije i
organizacije, udruzenja i klubove. Objavite oglas u novinama, na
radiju, delite letke.

MEDJUNARODNE DEMONSTRACIJE

u Hagu, 8. novembra 2003.

14:00-15:00 Protestni miting u centru Haga («Plein»)

15:00-16:00 Mars do zatvora u Scheveningenu

16:00-17:00 Protestni miting ispred zatvora

Tokom demonstracija, nase delegacije ce uruciti protestna pisma
tribunalu, MIP-u Holandije i ambasadama stalnih clanica Saveta
bezbednosti UN: SAD, Velike Britanije, Francuske, Rusije i Kine. Bice
uruceno i pismo podrske Slobodanu Milosevicu.

RADI BUDUCNOSTI NASE DECE,

RADI OPSTANKA SRPSKOG NARODA,

RADI SLOBODE, ISTINE I PRAVDE!

Na demonstracijama za slobodu i dostojanstvo srpskog naroda, protiv
okupacije i kolonizacije Balkana, protiv agresije i porobljavanja
naroda sveta, protiv pokusaja agresora da sude borcima za slobodu i
svojimzrtvama, zasad su potvrdile ucesce grupe Srba, Jugoslovena, Grka
i drugih casnih ljudi iz Nemacke, Francuske,Svajcarske, Austrije,
Britanije, Holandije, Srbije i mnoge ugledne licnosti, medju kojima
Klaus Hartman (Nemacka), Fulvio Grimaldi (Italija), Luj Delma
(Francuska), Dzon Katalinoto (SAD), Misel Kolon (Belgija), Ian Dzonson
(Britanija), Dzon Dzefris (Irska), Prof. dr Aldo Bernardini (Italija),
Vil van der Klift (Holandija), Misa Gavrilovic (Britanija), dr Sima
Mraovic (Francuska), dr Ljiljana Verner (Nemacka), Vladimir Krsljanin
(Jugoslavija) i mnogi drugi.

SPASIMO ZIVOT PREDSEDNIKA MILOSEVICA!

Z A U S T A V I M O HASKU INKVIZICIJU!

   Demonstracijama i borbi za ove ciljeve potrebna je finansijska pomoc.

    Posaljite cek na nasu adresu: «SLOBODA», Rajiceva 16, 11000 Beograd

www.sloboda.org.yu                                                      
                     www.icdsm.org

 ---

NE DOZVOLIMO AGRESORU DA NAM PISE ISTORIJU!

Podignimo svoj glas za odbranu nacionalnog identiteta

"Terorom i tiranijom pokusavaju da sprece, ili bar umanje, ocigledan
fijasko laznog tribunala, koji sluzi kao sredstvo rata protiv nase
zemlje i naroda. Nista novo! Kako je jos 1742. rekao Monteskje - ''nema
svirepije tiranije od one koja se sprovodi pod stitom zakona i u ime
pravde''."

- "Tribunal" u Hagu nije pravosudna institucija vec instrument agresije
i rata;
- "Trubunal" u Hagu se bavi falsifikovanjem nase istorije, odmazdom nad
borcima za slobodu i zastitom nosilaca politike rata i kolonizacije,
koju osudjuje citav svet;
- "Tribunal" u Hagu pokusava da terorom nad srpskim narodom i
Predsednikom Milosevicem, kao i progonom njegove porodice i saradnika,
spreci da se cuje istina;
- Sud koji poput "tribunala" u Hagu masovno krsi ljudska prava ne bi
smeo da postoji ni u jednoj demokratskoj i civilizovanoj zemlji;
- Za postojanje ovakvog "tribunala" najodgovornije su vlade SAD i
Velike Britanije, ali i ostalih stalnih clanica Saveta bezbednosti UN;
- U jesen pre 70 godina, "Treci Rajh" je "sudio" Dimitrovu. Pre 65
godina, 8. novembra, izvrsen je jedan od najvecih nacistickih zlocina -
"kristalna noc" pogroma. Vise nikada se ne smeju ubijati narodi!

---

Pozivi na demonstracije na:

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/files/AIA/

HagNov8-2.doc
Drugi Poziv za Hag - 8.11.2003

HagNov8-2LAT.doc
Drugi Poziv za Hag - latinicom - 8.11.2003

HagueNov8-2.doc
New leaflet for The Hague - Nov. 8th, 2003


=== 2 ===


http://www.politika.co.yu/2003/1105/01_03.htm

HAG: ZAVRŠENO SVEDOČENJE LORDA OVENA

Dejtonske zasluge

Odgovornost i greške međunarodne zajednice i Miloševićev mirovni
angažman

(Od našeg specijalnog izveštača)
Hag, 4. novembra

Za Srebrenicu, najsramniju pojedinačnu epizodu u ratu u Bosni i
Hercegovini, krive su članice Saveta bezbednosti, koje su donele
odluku o zaštićenim zonama iako su i tada bile svesne da neće poslati
dovoljno trupa kako bi ove teritorije zaista bile sigurne.

Ovo je, između ostalog, rekao lord Oven danas, drugog dana u haškoj
sudnici, otvarajući zajedno sa optuženim Miloševićem temu o ulozi
međunarodne zajednice u ratovima u Jugoslaviji i o odgovornosti za
tragediju i krvoproliće, pa i za masakr u Srebrenici.

Preuranjena priznanja

To je tema koja je do sada tek ovlašno dodirnuta na mamutskom procesu
Slobodanu Miloševiću i koju je sudija Mej uporno ostavljao na stranu,
kad god bi je optuženi nametao u unakrsnom ispitivanju. Kao pregovarač
i dobar poznavalac prilika na Balkanu, o čemu je napisao i knjigu
"Balkanska odiseja", lord Oven je u sudnicu uveo ovu temu lako, sa
crvenim poljskim cvetom u reveru (što je britanski običaj u znak
sećanja na vojsku koja je oslobodila Flandriju), sa sebi svojstvenom
intelektualnom distancom i nepristrasnošću. Ukazujući neuobičajeno
poštovanje optuženom Miloševiću, kvalifikujući njegova pitanja kao
"inteligentna", Oven je rado "obradio" temu odgovornosti međunarodne
zajednice za ratove u Bosni i Hercegovini i u drugim delovima bivše
Jugoslavije.

Osim odgovornosti za Srebrenicu, koja je po odluci Saveta bezbednosti
neosnovano proglašena za zaštićenu zonu, svedok smatra da je
priznavanje Slovenije i Hrvatske bilo preuranjeno i da je međunarodna
zajednica takođe pogrešila u stavu da unutrašnje avnojske granice ne
smeju da se menjaju.

Posebno je bilo reči o Vens–Ovenovom planu kada se, na iznenađenje
sudija, i lord Oven složio sa Miloševićem da je, s jedne strane,
traženo da ovaj plan Beograd podrži, što je optuženi i učinio, a da su
isti plan minirale SAD, pa i Evropa posle njih.

Beogradski Don Kihot

"Mi u Beogradu izigravali smo Don Kihota, koji se bori za plan dok ga
podriva međunarodna zajednica", rekao je Milošević, dok je lord Oven
odmah odgovorio: "Ima u tome mnogo istine".

Ohrabren neuobičajenim saglasjem sa svedokom, Milošević je pokušao da
od nekih optužbi odbrani i Karadžića i Mladića (najtraženije
optuženike haškog tribunala), na šta je samo uzalud potrošio vreme,
jer je lord Oven tu bio izričit. "Vaša braća Srbi u Bosni nisu uopšte
doprineli reputaciji Srba", rekao je Oven podsećajući Miloševića na
Karadžića i Krajišnika, njihovu prevrtljivost i izigravanje svih
međunarodnih dogovora.

A kada je Milošević citirao generala Morijona, koji je u francuskom
parlamentu rekao da ne veruje da je Mladić naredio masakr u
Srebrenici, Oven se prvi i jedini put potpuno suprotstavio optuženom:
"Ne delim vaš stav o generalu Mladiću. On je rasista i imao je mnogo
iracionalnih pogleda na muslimansko stanovništvo. Ali jasno sam dao do
znanja da ste vi bili od velike pomoći jer ste 1993. sprečili Mladića
da zauzme Srebrenicu. Bili ste svesni negativne slike o Srbima kojoj
bi samo falilo još jedno krvoproliće".

"Oluj(i)no" etničko čišćenje

Izgleda da je pristup lorda Ovena optuženom Miloševiću neobično
prijao, pa je i sam ispričao kako je vodio bitku sa liderima bosanskih
Srba. Pre nego što je krenuo u Dejton, a poučen gorkim iskustvom koje
je sa njima imao u Atini i na Palama oko Vens – Ovenovog plana,
Milošević je, kako se ispovedio, napravio sporazum koji su potpisali
svi lideri Srba iz Bosne: "Tako sam se osigurao od onih opasnosti
kakvim smo prisustvovali na Palama".

Ali, u Dejtonu je napravljen sporazum koji je zaštitio interese sva
tri naroda, rekao je Milošević. On je dodao da je Srbija najzaslužnija
što je sporazum u Dejtonu potpisan, što je Dejvid Oven bez ikakvog
okolišenja potvrdio.

Da li se lord kao uticajni posrednik i pregovarač sada pred haškim
tribunalom izvinjava istoriji ili samo želi da javno još jednom ukaže
na neke nepravde, tek on je našao za shodno da u hašku sudnicu ubaci
ocenu da je akcijom "Oluja" napravljen "jedan od najvećih talasa
etničkog čišćenja na celom Balkanu".

Lord Oven je, međutim, bio oštar i prema liderima Srba u Hrvatskoj, za
koje je rekao da uprkos tome što je Milošević pokušao da za njih
obezbedi ravnopravnost "oni sami sebi nisu hteli da pomognu".

Posle ovog svedoka, vrhunskog međunarodnog diplomatskog autoriteta,
koji se, kako se čulo i danas, "bezbroj puta" od 1992. do 1995. sastao
sa Miloševićem u mirotvornim naporima, tužilaštvo bi moralo da pronađe
bar nekoliko jakih ličnosti iz sveta međunarodne politike koji bi
opovrgli lorda Ovena. Inače, kako dalje tvrditi da je Milošević kriv
za genocid u Bosni.

Zorana Šuvaković

THE HAGUE TRIBUNAL AND THE FUTURE OF SERBIA

Vladimir Krsljanin, Sloboda/Freedom Association, Belgrade

 
(writen: May 2003 / updated and translated from Serbian: October 2003)

 
George Soros, one of the main sponsors of The Hague Tribunal and of the
currently ruling clique in Serbia, received with the full honours paid
to him by this clique, demanded recently on theSerbian soil the
“independence for Kosovo”. An international conference on Bosnia &
Herzegovina is being prepared, supposedly to abolish RepublikaSrpska.
What would be the “legal basis” of such acts? “Organized expulsion of
the Albanians” from Kosovo & Metohija, as well as “genocide that
founded” Republika Srpska. Who creates this "legal basis"? The Hague
Tribunal.

- If you knew what you don’t know, would it be in favour or to the
detriment of the Accused?

- Certainly, it would be to his detriment.

Approximately thus ran the dialogue between the Prosecutor and a
certain de la Brosse who had accepted, although he doesn’t speak a word
of Serbian, to appear before the Tribunal as an expert witness, i.e. an
expert on the media in Serbia and in the SlobodanMilosevic trial, no
less. If an institution of that class is allowed to judge our modern
history without being resisted in an organized manner, we are to lose
our state, billions of dollars and any respect from others, as well as
the right to consider ourselves a civilized nation. 

Just on its inglorious tenth anniversary, the Tribunal took another
Serbian life – that of General Momir Talic.Earlier on, The Hague
detention had accelerated the endof Slavko Dokmanovic, Dr Milan
Kovacevic, General Djordje Djukic. Simo Drljaca and Dragan Gagovic were
killed while being arrested, and Vlajko Stojiljkovic committed suicide
in protest.

The reminder of the inglorious balance of the «first ten years» of the
Tribunal is the following: 45 indictments have been brought in against
the Serbs, 12 against the Croats, 5 against the Muslims, one against
the Albanians, andnone against the Americans and their NATO allies.
Among those sentenced were 13 Serbs, fourCroats and three Muslims.
Three Croats and two Muslims were acquitted. These statistics alone
speak of bias and the political character of the Tribunal.

 

1. THE HAGUE TRIBUNAL IS ILLEGAL

 

Experts from 87 countries, including Professor Smilja Avramov,
participated at a meeting organized by the UN on the eve of the
adoption of the Statute, or rather before the formal establishingof the
Tribunal. None of these experts have pronounced themselves in favour of
this new creation.Nevertheless, the Security Council Resolution No. 827
was adopted unanimously on 25 May 1993.The motion to adopt this
Resolution was tabled by France. Russia was also among the authors of
the Draft Resolution. The “original idea” to establish an international
criminal court based upon the Chapter VII of the UN Charter, rather
than upon a treaty, is believed to belong to the former UN
Secretary-General, Boutros Boutros-Ghali. Even the establishing of the
Nuremberg and Tokyo Tribunals had been based upon treaties. In this
case, the law was overridden by a political argument – that such a
procedure would take too much time. Article 24 of the UN Charter
assigns the Security Council “primary responsibility for the
maintenance of international peace and security”, while Articles 41 and
42 (of Chapter VII) enable it to impose sanctions against
countries. However, the only crime outside the Tribunal’s jurisdiction
is the very crime against peace, and the Tribunal itself doesn’t try
states at all, but only individuals. The establishing of the Tribunal
draws upon theArticle 29, which stipulates the right of the Security
Council to establish “subsidiary organs as it deems necessary for the
performance of its functions”. However, since the Security Council has
no judicial function (within the UN system only the International Court
of Justice does), it cannot be delegated to a subsidiary organ,
either.  

           The Tribunal conducts trials involving acts of grave
breaches of the Geneva Conventions. Most of them relate to
international conflicts. However, temporal jurisdiction of the Tribunal
was assumed on 1 January 1991, namely seven months prior to the
unilateral secession or rather the declaration of independence of
Slovenia and Croatia (and two and a half years prior to the
establishing of the Tribunal itself). Thus the retroactive application
of the principles of criminal lawis being introduced, a deviation from
the generally accepted.This is because the Tribunal in practice either
treats all conflicts as international without proving it, or imposes
the application of international norms on conflicts other than
international as well. However, this can relate only to the application
of these norms by national courts. (N.A. Zverev: Prestupleniya i
nakazaniya, Nezavisimaya gazeta, 26 maya 2003g).   

           The exemption of natural persons from a national
jurisdiction is possible only if a state has committed an international
crime (something which has not been determined by the International
Court of Justice, and which is beyond the competence of The Hague
Tribunal to determine), or if a state voluntarily agrees to it, by
entering into a treaty.Moreover, The Hague Tribunal has only recently
started to shyly accept the right of any state to put its citizens on
trial for war crimes or crimes against humanity.       

           When ad hoc tribunals are concerned, the absence of
universality or rather of equality as one of the basic legal principles
is contrary to the principle of sovereign equality of states as well.At
the last Security Council session discussing the work of The Hague
Tribunal, held in November last year, which was closed to the public,
the representative of Russia pointed out the illogical situation of the
simultaneous existence of both the International Criminal Court (whose
Statute has not been ratified by Russia either, by the way) and the ad
hoc tribunals for Yugoslavia and Rwanda (the lack of the permanent
International Criminal Court had been one of the key arguments for
their establishing). In his words, the way out of this situation might
be sought in the fact that all the states of the former Yugoslavia have
ratified the Statute of the International Criminal Court.Unfortunately,
this clear diplomatic signal found no response from the Belgrade
authorities.

           In the situation when nobody has yet initiated the procedure
for providing an advisory opinion from the International Court of
Justice on the legality of the decision to establish the Tribunal, the
unofficial judgement was passed by Professor Mohammed Bedjaoui, former
President of the International Court of Justice, in his book “The New
World Order and the Security Council: Testing the Legality of Its
Acts”, by including the Resolution No. 827 and the one that preceded
it, No. 808, among those legally most contentious and the first that
should be subject to test. 

           As a result, the Resolutions No. 808 and 827 do not create
legally binding obligations, particularly in view of the Article 25 of
the UN Charter, which explicitly states: “The Members of the UN agree
to accept and carry out the decisions of the Security Council in
accordance with the present Charter”. By its advisory opinion of 21
June 1971, the International Court of Justice also confirmed that the
Member States are not obligated to carry out the Security Council
decisions that are not in accordance with the Charter.

 

2. THE HAGUE TRIBUNAL IS A POLITICAL COURT

 

           The statements from the former Prosecutor Louise Arbour, US
Secretary of State Madeleine Albright (“mother of the Tribunal”), NATO
spokesman Jamie Shea and others, testify tothe direct dependence of the
Tribunal on the US Administration and the NATO Alliance. At the time of
the kidnapping of President Milosevic, the conspicuous link to the NATO
Alliance web sitedisappeared from the Tribunal’s homepage, and that was
the only other link there, in addition to the link to the UN website.  

           The Tribunal that should be independent from all governments
shows unacceptable bias also in its financing, to which the Government
of Saudi Arabia and George Soros contributed or still contribute, in
addition to large sums from the UN budget, as well as in recruiting its
personnel from the intelligence services of the countries that waged
the war against Yugoslavia.   

           The Indictment against President Milosevic and other highest
officials of Serbia and the FRY was initiated in the midst of NATO
aggression upon our country. There are many examples of a direct
connection between the work of the Tribunal and political
circumstances. Thefirst Indictment against Karadzic and Mladic was
initiated immediately after the attack on Srebrenica had begun, and the
second one after NATO bombardment of the Republika Srpska. The
Indictments against Slobodan Milosevic covering Croatia and B&H were
initiated only after the Tribunal had taken hold of him. The liability
of individuals for the crimes against the international law cannot be
separated from the liability of states for these crimes. However, The
Hague Tribunal conducts trials of individuals, while the liability of
states is not determined. 

           On the other hand, the Tribunal’s Prosecution dismissed the
motion to indict NATO leaders for war crimes committed during the
aggression upon Yugoslavia, by appointing as thepresenterthe former
legal adviser to the Ministry of Defence of Canada.Naturally,
thepresenterconcluded there was no probable cause to initiate
investigation.

           The position of the US Administration on the jurisdiction of
international courts over its own citizens can be instructive to us as
well, at least to such an extent that one of the methods of ourdefence
against biased Tribunal might be to initiate as many proceedings as
possible against the US citizens whose liability for the war crimes in
Yugoslavia is undeniable. 

 

3. THE HAGUE TRIBUNAL MASSIVELY VIOLATES HUMAN RIGHTS

 

           The International Covenant on Civil and Political Rights,
the European Convention for the Protection of Human Rights and
Fundamental Freedoms, as well as the practice of the European Court of
Human Rights lay down the standards in the area of the judiciary, from
which the rules and practice of The Hague Tribunalundoubtedly and
drastically deviate. Unfortunately, and unfortunately not by accident,
the situation with human rights in Serbia has been recently taking a
similar shape as well.

           As listed in their detailed and well-argued “Motion to
Appear Before the Trial Chambers as Amicus Curiae” (tabled as early as
September 2001), but naturally completely ignored by the Tribunal, a
group of 12 professors from the Faculty of Law in Belgrade, headed by
Professor Kosta Cavoski, DSc, the work of the Tribunal shows the
following drastic deviations from the aforesaid documents, as well as
from its own regulations: 

1. Combination of legislative and judicial functions;

2. Combination of prosecuting function and the function of the
judiciary;

3. Violation of the principle of a two-instance court procedure;

4. Violation of the right to liberty under the rules and practices for
detention;

5. Retroactive application of the principles of criminal law and the
illegality of sanctions;

6. Violation of the right to defence by treating the elements relevant
for defence as confidential;

7. Disproportion in working conditions between the Prosecution and the
Defence;

8. Violation of the procedural principle by accepting media accounts as
common facts;

9. Lack of expertise of the judges to conduct a trial due to their
unfamiliarity with the historical, political and civilizational
context; 

10. Disregard for the presumption of innocence, or rather the
establishment of the presumption of guilt;

11. Violation of human rights during the arrest and extradition,
failure to employ habeas corpus;

12. Additional violations of rights in the atypical circumstances of
the trial of Slobodan Milosevic (who does not recognize the Tribunal).

           The principle adopted by international judicial practice is
the prohibition on extradition of the citizens (even when there is a
formal legal basis for it) to a country or a legal system in which the
judiciary violates human rights. This is another strong point in
protecting the rights of our state and our citizens.

           It is also necessary to activate all the mechanisms for the
protection of human rights, both within the UN system (including the
personal responsibility of the Secretary-General and the High
Commissioner on Human Rights in relation to the Charter), within the
International Covenant on Civil and Political Rights and within the
European institutions.

           What kind of reputation could such an institution have is
well illustrated by the information that while electing, in February
2003, 18 judges for the International Criminal Court (out of 43
candidates), when 85 countries participated in voting, the former
President of the Tribunal French Judge Claude Jorda was the last one to
be elected, not until the 33rd round of voting!

 

4. THE SIGNIFICANCE OF THE DEFENCE OF SLOBODAN MILOSEVIC

             

           The Hague Tribunal apparatus, amounting to 1,300 employees,
is not only unsuccessfully attempting to justify and prolong its
existence with the trial of President Milosevic, but is also becoming a
controlling factor of the internal political circumstances in Serbia,
thanks to its huge intelligence potential (probably the highest
concentration of intelligence personnel and experts in the
world,dealing exclusively with one country), which has been provenby
the events related to the assassination of the Prime Minister Djindjic,
illegally imposed state of emergency in the country and the abuses
thereof.

           The fact that many of those arrested during the state of
emergency were previously making statements to the Prosecution in The
Hague, as well as the timing and the manner in which the Tribunal
presented to the public the video showing a ceremonial visit of
President Milosevic to theSpecial Operations Unit base in Kula, provide
the basis for suspicion of the Prosecution’s involvement in the latest
events. This has been further supported by the manner of distributing
to the public the insinuations as proved facts, allegedly resulting
from the police questioning of detainees, on the involvement of
President Milosevic and members of his family in crimes that had caused
political damage to nobody but him, by the way. The Prosecution, whose
presentation of evidence leaves a general impression that the Accused
is innocent, and the Government that lost the confidence of the
citizens, are doing the same job and in an obvious coordination. After
the unilateral withdrawal of the counterclaim against B&H and the
abandonment of the work on the counterclaim against Croatia before the
International Court of Justice, this Government is preparing to
formally renounce any legal action against NATO Member States, after
the unsuccessful amateurish attempt to compel the court to dismiss the
charges against NATO bythe futile arguing that we have no right to be a
party to a litigation since we were not a UN Member.  

           After the short-lived and limited media effects in Serbia,
this whole campaign resulted in preventing contacts of Slobodan
Milosevic with the members of his own family, which is a form of
psychological pressure on a prisoner, that we recollect only from the
times of the Otomans and the Nazis.

           When Slobodan Milosevic is concerned, the magnitude of the
violation of human rights isdirectly proportional to the significance
attributed to this trial by the Tribunal. We will list only the most
remarkable examples. The extradition without a valid court decision, in
addition to a gross violation of the Constitution, which was
adjudicated upon by the Federal Constitutional Court on tree different
occasions. The majority of witnesses have no direct knowledge of the
events they testify about. The violation of the presumption of
innocence by proving certain criminal acts through the existence of
other criminal acts, not determined in court proceedings as committed.
Experts basing their “expert analyses and opinions” on the allegations
from the Indictment itself, used as a starting point for their
analyses. Witnesses and experts employed by the Prosecution. Cross
examination limited in time and in subject. Unjust and increasingly
frequent barring of the public from the trial. Violation of the right
to defence and of the principle of “equality of arms” by the
Prosecution that has a huge team and vast material resources, by
producing huge quantities of material, impossible even to read in
several years’ time and finally practical abolishment of the rifght to
defense by granting the defendant only three months (in fact six weeks)
to prepare his case while in detention. Conditions in detention and the
pace of the trial that amounts to torture of the defendant, who suffers
from malignant hypertension and coronary insufficiency, which in
addition to the lack of the adequate medical care endangers even the
very right to life and health.

           Under all these conditions, even with the fact that he has
been deprived of his rights more than any other detainee both in regard
to the absence of help from his own state and to the material
conditions for the preparation of defence (due to his refusal to
recognize the Tribunal, his legal assistants are without fabulous fees
provided to all other counsels before the Tribunal), and recently
banned from the visits of his other co-workers and associates, Slobodan
Milosevic has generously decided to demand only a provisional release
to improve the state of his health and adequately prepare the case for
the Defendant. 

           The defence of President Milosevic is significant for a
number of reasons.   

           In the legal, historical and moral sense, it amounts to the
defence of the state and thepeople from the looming catastrophic
consequences of the violation of sovereignty and breach of security of
the country, as well as from the double loss as concerns war
reparations. One should beparticularly aware here that the Indictments
against Slobodan Milosevic include a distorted surveyof the entire
10-year history of our country and people. Estimating that period,
Slobodan Milosevic said in The Hague courtroom on 26 September 2002: 

           “Waged in this territory were not wars, but only one war,
the war against Yugoslavia. This war had been instigated and directed
by the greatest powers of the modern world, relying on their internal
allies, cadres of nationalism and separatism, with a dominant presence
of those forces defeated in the Second World War. This war was waged by
all possible means, by media, politically, economically, militarily.
This war was at first waged through a decade-long media campaign that
abused the monopoly over the global communications, then through a
foreign policy intervention, aimed at creating independent states out
of the Yugoslav republics, and then through the cruellest multi-year
economic campaign and sanctions against the FR of Yugoslavia, that
could only be qualified asgenocide, and finally – through military
aggression.  Namely, in 1995 against Republika Srpska and in the
Operation “Storm”, with NATO forces participating in the largest ethnic
cleansing ever recorded, and in 1999 – against the Federal Republic of
Yugoslavia.”  

           In the political sense, this defence is the factor of
preservation of national dignity, after allthe troubles that had
happened to our peoples and our region. Its content and scope reflect
the existence of support and of willingness to help the defence, coming
from all the structures of our society.

           As concerns resisting the mechanisms of aggression and
pressure that include the Tribunal itself, with the refusal to
recognize such a tribunal by the first head of state on trial before an
international body and with the major success in defending himself from
the indictments that are a fabrication of the joint intelligence
services of the US and certain NATO countries, opportunity arose only
for President Milosevic of all the people indicted in The Hague to
weaken and even to destroy this institution.  

           For all these reasons, the defence of Slobodan Milosevic
amounts to a project of national importance.

 

5. FUTURE WITHOUT THE HAGUE

 

           Without an organized resistance to The Hague Tribunal, our
country and our nation have no future.

           The only organization that vigorously and continually
develops such an activity within the country is FREEDOM Association.

           In a situation when not only the activity of the state in
that sense is lacking, but also with attempts within Serbia to
discredit and even to prevent through threats and blackmail a serious
organizing within the non-governmental sector, the Serbian Diaspora has
a great opportunity but also a responsibility to ensure both
institutionally and materially a required activity and to allow
vastpotentials existing within the country to be fully activatedin
defence of the truth andinputting an end to the unjust pressures on our
country. 

           This activity could take several directions:

           Organizing of expert teams consisting of domestic and
international jurists, who would help activate all the protective
mechanisms of the international law. 

           Creating an ambitious “truth foundation”, whose Council
would include the greatest names of our science and creativity, and
which would invest in projects of national significance related to the
affirmation of the truth, in defence at The Hague and against The Hague.

           Supporting the unification into a broad political front of
all democratic and creative forces within the country, all patriotic
civil initiatives, in order to create a strong alternative to the
cloning of The Hague within Serbia, which is carried out by the current
regime and to restore democracy, sovereignty and national dignity, so
that Serbia could take its deserved place within the European family.

           Life-treathening situation of President Milosevic and of the
truth should be defeated by serious mobilizations of creative forces
and by mass mobilizations of people. Only this way we can restore our
freedom, sovereignty, democracy and self- esteem.

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AGGRESSORS SHALL NOT WRITE OUR HISTORY!

FREEDOM FOR PRESIDENT MILOSEVIC!

INTERNATIONAL DEMOS OF SERBIAN DIASPORA AND ALL PROGRESSIVE PEOPLE

THE HAGUE, 8 NOVEMBER 2003

14:00 – 15:00 Protest Rally at The Plein (City Center)

15:00 – 16:00 Protest March from The Plein to the Scheveningen Prison

16:00 – 17:00 Protest Rally in front of the Scheveningen Prison

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SLOBODA urgently needs your donation.
Please find the detailed instructions at:
http://www.sloboda.org.yu/pomoc.htm
 
To join or help this struggle, visit:
http://www.sloboda.org.yu/ (Sloboda/Freedom association)
http://www.icdsm.org/ (the international committee to defend Slobodan
Milosevic)
http://www.free-slobo.de/ (German section of ICDSM)
http://www.icdsm-us.org/ (US section of ICDSM)
http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)