Informazione


IL COMITATO PER LA VITA DEL FRIULI RURALE

E GLI ANTIFASCISTI DELLA BASSA

 

TI INVITANO A

GRIS

DI

BICINICCO

ALLE ORE 14.30 DEL PRIMO NOVEMBRE

PER RICORDARE


UN CAMPO DI

CONCENTRAMENTO

FASCISTA RUBATO ALLA MEMORIA


avevamo visto costruire un campo enorme che sembrava fatto apposta per le belve feroci. Un giorno ci dissero che erano arrivati i Russi e allora andammo a curiosare con non poca paura, ma con nostra sorpresa scoprimmo che non erano diversi da noi. Più tardi arrivarono gli Sloveni e quando se ne andarono la gente si rubò ogni cosa ed ora una cava si è portata via anche la terra… a me è rimasto uno sgabello che ti affido…                         Marino Lestani di Cuccana

        

davanti alla cava Stefanel intervengono

 

L’A.N.P.I. PROVINCIALE, ALDEVIS TIBALDI, EDI MAURIGH

 

prolusione di

ALESSANDRA KERSEVAN

 

la posa di un cippo commemorativo sarà preceduta da un momento conviviale


Per dirla con le parole di Luis Sepulveda “un popolo senza memoria è un popolo senza futuro” e il caso del campo di concentramento di Gris di Bicinicco è la più eclatante dimostrazione che siamo alla deriva.

La memoria dei fatti che hanno macchiato la dignità del nostro popolo e, di converso, l’eroica guerra di liberazione sono state messe all’angolo e una società in cui si agitano false lusinghe, la partecipazione popolare viene sistematicamente disarmata e i luoghi della memoria negletti. I valori della Costituzione repubblicana nati dalla Resistenza vengono continuamente messi in dubbio e la stessa ricostruzione dei fatti storici, spesso abbandonata all’arbitrio di una informazione dozzinale, quando non ispirata dai rigurgiti di una nostalgia che si rifà al fascismo.

La memoria aggrega, può essere il collante che unisce generazioni; la memoria è la base per un umanesimo che costituisce il cemento di una convivenza civile ispirata al confronto e al dialogo costruttivo. Forse proprio per questo è trascurata. Ricordare la vergogna dei campi di concentramento sorti nella nostra regione è dunque un dovere imprescindibile e il ricordo deve trovare una costante ed appassionata diffusione nelle scuole di ogni ordine e grado. Eppure quelle tremende vicende sono rimaste sepolte per anni, troppi. Troppe sono state le omertà, troppe le complicità e troppe le autoassoluzioni tese ad accreditare la facile convinzione degli “Italiani brava gente”.

 

Quelle che si sono avute nei due campi di Gonars e Gris sono vicende tremende. Erano sorti con l’idea di internare le migliaia di militari russi che la paranoia mussoliniana si era illusa di catturare in una guerra di invasione che, anziché vittoriosa, si è rivelata una tremenda disfatta. Diventarono ben presto, il luogo di detenzione e di morte per migliaia di donne, bambini e uomini sloveni e croati strappati dai luoghi natii per spopolare e terrorizzare le terre di conquista. Migliaia di esseri umani scaricati dai treni bestiame e poi avviati a piedi, talvolta sotto le ingiurie e gli sputi dei residenti storditi da una propaganda becera, sino a raggiungere i miseri alloggi di fortuna dei campi. La fame ed una denutrizione dovuta spesso alla avidità dei carcerieri ha reso la prigionia un inferno e in cinquecento morirono fra sofferenze inenarrabili.

 

Il campo di Gris (alias Campo A) fu inizialmente destinato alla prigionia di militari ed ex militari dell’esercito jugoslavo, poi, dopo averli trasferiti in altri luoghi di detenzione, nell’autunno del 1942 anch’esso si trasformò in un reclusorio per la popolazione civile, massimamente per i sopravissuti dell’altro infame campo insediato nell’isola di Arbe. Anch’esso fu, dunque,  un luogo di sofferenze e di morte, almeno sino al fatidico otto settembre, quando, con la fuga dei militari di guardia, i più si diedero alla macchia.

 
Ambedue i campi -e con essi il quartiere comando- furono ben presto saccheggiati e demoliti dalla popolazione residente, ma se quello di Gonars rimase pur sempre nella memoria dei più e facilmente identificabile, quello di Gris finì preda della avidità dei cavatori e di una Amministrazione che si prestò, e tuttora si presta, a far scomparire ogni traccia e riconoscibilità del luogo. Dopo decenni di oblio, il Comitato per la Vita del Friuli Rurale ha deciso di affidare la celebrazione del Campo di Gris ad Alessandra Kersevan, la massima  e coraggiosa autorità storica cui va il merito di aver dissepolto la verità dei lagher italiani e tenere alta la fiaccola dei valori della Resistenza.


 

LA DISINFORMAZIONE E' STRATEGICA

[Cette article en langue francaise: La communication est stratégique

par Manlio Dinucci - Le ministre italien de la Défense vient de lancer une vaste offensive de communication pour convaincre ses concitoyens du bien-fondé de sa politique. Derrière la rhétorique pseudo-militaire se cache une simple campagne de propagande...

http://www.voltairenet.org/article180729.html ]

http://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/23016-la-comunicazione-e-strategica.html
La comunicazione è strategica

di Manlio Dinucci | da il Manifesto
29 Ottobre 2013
Chi l’avrebbe detto che il prof. Mario Mauro, laureato in lettere e filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e con l’esperienza militare di caporalmaggiore di leva, sarebbe divenuto un esperto di strategia? Nominato ministro della difesa, ha emanato una «Direttiva sulla comunicazione strategica».

Il presidente Napolitano – si spiega nella premessa – ha dichiarato che occorre reagire a disinformazioni e polemiche che colpiscono lo strumento militare, posto nello spirito della Costituzione a presidio della partecipazione italiana alle missioni di stabilizzazione e di pace. Informare su cosa la Difesa sta facendo per assolvere i compiti istituzionali, non è quindi solo un dovere, ma una necessità per contrastare la diffusione di informazioni scorrette. Come quella – precisiamo – che noi del Manifesto diffondemmo nel 2011, denunciando la guerra di Libia e le sue vere ragioni, mentre il presidente Napolitano garantiva che «non siamo entrati in guerra, siamo impegnati in un’azione autorizzata dal Consiglio di sicurezza».

L’opinione pubblica e i mass media, sottolinea la Direttiva, devono essere messi in condizione di comprendere e apprezzare la necessità di avere uno strumento militare capace, flessibile e proiettabile. Le nuove minacce alla sicurezza impongono di estendere l’impegno della Difesa lontano dai confini nazionali, per anticiparle e prevenirle. Una mancata risposta alla Comunità Internazionale (leggi la Nato sotto comando Usa) non danneggerebbe soltanto l’immagine del Paese, ma metterebbe a rischio anche i suoi interessi strategici ed economici.

Occorre di conseguenza aumentare nel pubblico la consapevolezza che le operazioni militari contribuiscono alla crescita del Paese e che l’Italia vi deve assumere ruoli di sempre maggiore responsabilità. Come quello, confermato da Mauro alla recente riunione Nato dei ministri della difesa, di partecipare al contingente di oltre 20mila uomini che resterà in Afghanistan dopo il 2014 e alla spesa di 4 miliardi di dollari annui da elargire al governo afghano (uno dei più corrotti al mondo). Nelle operazioni militari, spiega la Direttiva, la comunicazione strategica deve essere considerata alla stregua delle altre funzioni operative. In altre parole, mentre si impegnano forze militari nelle guerre, occorre convincere i cittadini sulla necessità di farlo.

La stessa opera di convinzione, specifica la Direttiva, va fatta nei confronti delle comunità che vivono presso installazioni militari (convincendo ad esempio la popolazione di Niscemi a accettare il Muos) e dei cittadini restii ad accettare i programmi militari di investimento (convincendoli che è bene spendere 15 miliardi di euro per i caccia F-35). La comunicazione strategica è diretta in generale ai media, al mondo della scuola, alle università, alle associazioni culturali.

Deve allo stesso tempo puntare sugli «attori culturali» (giornalisti, conduttori di programmi televisivi, blogger e altri, perché convincano l’opinione pubblica a sostenere le forze armate e le loro operazioni) e sui «decisori politici» (ossia sui parlamentari perché votino leggi che rafforzino il settore militare). Non si tratta solo di informare i destinatari delle scelte della Difesa, chiarisce la Direttiva, ma anche che questi siano coinvolti nel buon esito delle decisioni assunte. In altre parole: quella pianificata dal ministero della difesa non è solo una colossale campagna di disinformazione, condotta da personale scelto e appositamente formato, ma un vero e proprio piano di militarizzazione delle menti.
 
  ===  Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS https://www.cnj.it/ http://www.facebook.com/cnj.onlus/  === * ===


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(srpskohrvatski / italiano)

Kosovo conteso tra Turchia, Serbia e Albania

1) Erdogan fa il sultano: “Il Kosovo è Turchia” (M. Santopadre)
2) Dugi prsti od Bosfora do Kosova / Mani lunghe dal Bosforo al Kosovo (Glassrbije.org)
3) NKPJ: BOJKOT IZBORA NA KOSOVU I METOHIJI


Sulle responsabilità turche nella guerra fratricida in Jugoslavia si veda:
IL RUOLO DELLA TURCHIA NELLA CRISI JUGOSLAVA
a cura del Comitato unitario contro la guerra alla Jugoslavia (1999)

Sulla problematica kosovara e l'irredentismo pan-albanese si veda tutta la documentazione raccolta alla nostra pagina dedicata:


=== 1 ===


Erdogan fa il sultano: “Il Kosovo è Turchia”

Martedì, 29 Ottobre 2013 10:44
Marco Santopadre

E' crisi diplomatica e politica tra Serbia e Turchia dopo le affermazioni del premier turco Recep Tayyip Erdogan durante un recente viaggio nella provincia serba a maggioranza albanese che nel 2008 ha dichiarato la propria indipendenza, conquistata grazie all’intervento militare della Nato. 
Parlando a migliaia di persone nella città di Prizren – nel sud del paese - il premier turco ha esaltato gli stretti legami storici e culturali con il Kosovo (eredità della dominazione ottomana dei Balcani) da lui definito sua 'seconda patria'. Nel suo bagno di folla a Prizren, Erdogan - affiancato dai premier kosovaro Hashim Thaci e da quello albanese Edi Rama - aveva detto fra l'altro che ''il Kosovo è Turchia e la Turchia è Kosovo'' e che i popoli turco e kosovaro hanno la stessa storia e la stessa civilizzazione. ''Quando vengo in Kosovo mi sento a casa mia'' ha detto il leader dell’Akp che poi ha ricordato che “Noi siamo così vicini che Mehmet Akif Ersoy, il poeta autore dell'inno nazionale turco, era originario di Pec, in Kosovo".

Le dichiarazioni di Erdogan sono suonate a Belgrado come un’inaccettabile provocazione. Dopo le dure critiche a Erdogan giunte dal ministero degli esteri serbo, a condannare l'atteggiamento invadente del premier turco sono stati anche il capo del governo di Belgrado, Ivica Dacic, e il suo vice, Aleksandar Vucic. Per Dacic, che ha annunciato una protesta ufficiale del suo governo, le affermazioni di Erdogan ''non sono diplomatiche'' e non contribuiscono alla stabilità politica in Kosovo. Il vicepremier Vucic ha parlato di ''enorme scandalo'' e ha chiesto le ''immediate scuse'' da parte di Erdogan. Il premier turco, ha osservato Vucic, sa molto bene che ''il Kosovo non è turco sin dalle guerre balcaniche'' di più di un secolo fa. Di affermazioni scandalose da parte del premier turco ha parlato anche il presidente del parlamento serbo Nebojsa Stefanovic.
Mentre la Serbia e altre decine di paesi del mondo continuano a non riconoscere l’indipendenza di quello che ormai in molti considerano un narco-stato, la Turchia è stato cinque anni fa il primo paese a riconoscere il distacco di Pristina da Belgrado.

A parte le aspirazioni da sultano di Erdogan – che cerca anche di far dimenticare alla sua opinione pubblica una crisi economica crescente e le proteste popolari schiacciate dalla repressione – ad interessare il premier di Ankara sono gli affari che molte imprese turche stanno da tempo realizzando in un paese dove vive una consistente minoranza turcofona e dove la popolazione albanese di fede islamica guarda alla Turchia con sempre maggiore simpatia. Non a caso l’ex comandante dell’UCK (più volte accusato ma senza esito di corruzione e vari crimini di guerra) Thaci ha ringraziato Erdogan per il costante appoggio e la stretta cooperazione che Ankara mantiene con il Kosovo. Prima del bagno di folla a Prizren i tre capi di governo avevano partecipato all'inaugurazione del nuovo terminal dell'aeroporto internazionale di Pristina "Adem Jashari". Realizzato su 42 mila metri quadrati e con una capacità di 4 milioni di persone all’anno, il nuovo terminale é costato 130 milioni di euro, una parte dei quali di provenienza turca. In cambio un consorzio francese a partecipazione turca ha ottenuto, fin dal 2010, la gestione dell’aeroporto per i prossimi 20 anni. 

Erdogan era tra l’altro accompagnato da una folta delegazione di ben 600 persone: alcuni ministri ma soprattutto imprenditori ed esponenti di varie istituzioni culturali ed economiche del suo paese. 


=== 2 ===


Dugi prsti od Bosfora do Kosova


Sub, 26/10/2013 - 
Turski premijer, usred Prizrena, izjavljuje da je Kosovo Turska. Tužilaštvo u južnoj Mitrovici otvorilo istragu protiv srpskog ministra bez portfelja Aleksandra Vulina zbog navodnog ilegalnog ulaska na Kosovo i zatražilo izdavanje poternice za njim. Prema podacima Centralne Izborne Komisije, na Kosmetu broj glasača je čak za 40 hiljada veći od ukupnog broja stanovnika prema popisu obavljenom pre dve godine. U ovakvoj atmosferi, građani Kosmeta treba da donesu odluku kome će ukazati poverenje na lokalnim izborima koji se održavaju 3. novembra.

Dok se funkcionerima Srbije zabranjuje ulazak na Kosovo i Metohiju, turski premijer Redžep Tajip Erdogan je u društvu Hašima Tačija, usred Prizrena, poručio da je Kosovo Turska, što je izazvalo oštre reakcije državnog vrha Srbije. Premijer Ivica Dačić je izjavu turskog premijera ocenio kao direktnu provokaciju Srbije i najavio da će Ministarstvo inostranih poslova preduzeti odgovarajuće mere. Vicepremijer Aleksandar Vučić smatra da je ta izjava veliki skandal i traži hitno javno izvinjenje Turske i njenog premijera. “To je nedopustivo ponašanje u međunarodnim odnosima i treba videti kakve će biti reakcije drugih zemalja", rekao je Vučić i naglasio da Erdogan vrlo dobro zna “da Kosovo nije tursko još od balkanskih ratova”.

Potpuno neprimerena izjava Erdogana verovatno se može objasniti, ali ne i opravdati. Političari u predizbornim kampanjama često namerno prelaze liniju korektnosti, pravila igre, ponekad čak i dobrog ukusa. Erdoganova izjava je bila upućena turskom življu koga je najviše baš u Prizrenu i okolini, u smislu motivacije da izađu na izbore i daju svoj glas Tačijevoj stranci. Ona ima i pravac usmeren za “domaću upotrebu”, za hranjenje desnice sa “otomanskim ambicijama”, ali je sa aspekta prostora gde je izgovorena, dakle, u stranoj državi, i vremena, u jeku predizborne kampanje, i nediplomatska, i sa aspekta međunarodnog prava neprihvatljiva. I u smislu otvaranja žarišta, više nego opasna.

Lokalni izbori na Kosovu, iako su suštinski jako bitni, ako ne i presudni za opstanak srpskog življa, od starta su u velikoj meri “internacionalizovani” i poligon su za eksponiranje interesa i mnogih drugih, a ne samo Beograda i Prištine. Po sebi trusno područje, nepromišljenim izjavama i postupcima može se dovesti u stanje eskalacije sukoba, a to je možda u nečijem interesu, ali nikako ne i u interesu Srba koji na Kosovu žive.

Prema rečima premijera Dačića, i pored svih problema, Vlada se trudi da Srbi izađu na izbore 3. novembra, jer je to u interesu srpskog naroda. Jedan od problema koji zvanični Beograd treba da reši je manipulacija Prištine biračkim spiskovima. U poslednje tri godine, između parlamentarnih i predstojećih lokalnih izbora na Kosovu, birački spisak je uvećan za 200.000 birača. Na Kosovu sada ima više birača nego stanovnika. Manipulacija glasovima birača na Kosovu nije novina. Već više puta se dešavalo, tokom posleratnih izbora, da u pojedinim opštinama na Kosmetu izlaznost bude veća i od 100 odsto upisanih birača.

Ostaje nada da će se glave ohladiti i poslednju predizbornu nedelju ostaviti na promišljanje onima o čijim se sudbinama odlučuje.

Autor Slađana Pavić


Mani lunghe dal Bosforo al Kosovo

26. 10. 2013. - Il primo ministro turco ha dichiarato nel bel mezzo di Prizren che il Kosovo fa parte della Turchia. La procura nella Mitrovica meridionale ha aperto un’inchiesta contro il ministro serbo senza portafoglio Aleksandar Vulin perchè sarebbe entrato illegalmente in Kosovo, e chiede un mandato di cattura per lui. Secondo i dati della Commissione elettorale centrale kosovara, in Kosovo e Metochia il numero degli elettori sarebbe di addirittura 40mila superiore all’intero numero dei cittadini secondo il censimento di due anni fa. In un’atmosfera del genere i cittadini del Kosovo devono decidere a chi dare la fiducia alle elezioni amministrative che si terranno il 3 novembre. Servizio di Sladjana Pavic.

E mentre ai funzionari della Serbia viene vietata l’entrata in Kosovo e Metochia, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan fa compagnia a Hasim Taci, e nel bel mezzo di Prizren dichiara che il Kosovo è la Turchia, e questo a causato una reazione severa del vertice statale serbo. Il premier Ivica Dacic ha valutato la dichiarazione del primo ministro turco come una provocazione diretta contro la Serbia, ed ha annunciato che il Ministero degli esteri prenderà misure adeguate. Il vicepremier Aleksandar Vucic ritiene che la dichiarazione sia scandalosa e chiede subito dalla Turchia e dal suo premier delle scuse pubbliche. “È un comportamento inammissibile nei rapporti internazionali e bisogna vedere quali saranno le reazioni degli altri paesi”, ha dichiarato Vucic, ed ha sottolineato che Erdoğan sa benissimo che “il Kosovo non è turco dalle Guerre balcaniche”.

L’assolutamente inappropriata dichiarazione di Erdoğan si può probabilmente spiegare, ma non anche giustificare. I politici nella campagna elettorale spesso trasgrediscono la linea della correttezza, le regole del gioco, e avvolte anche del buon gusto. La dichiarazione di Erdoğan era indirizzata verso i cittadini turchi maggiormente presenti proprio a Prizren e nei dintorni, nel senso della motivazione a uscire alle urne e a dare il proprio voto al partito di Taci. Essa ha pure “un uso domestico” e dovrebbe alimentare la desta con “Ambizioni ottomane”, ma dal punto di vista del territorio nel quale è stata espressa, dunque in un paese straniero, e del tempo, nel mezzo della campagna elettorale, è pericolosa, non è diplomatica ed è inaccettabile dall’aspetto del diritto internazionale.

Le elezioni amministrative in Kosovo, anche se sostanzialmente molto importanti, se non determinanti per la sopravvivenza della popolazione serba, da subito sono state in gran misura “internazionalizzate”, e sono il poligono per l’esposizione degli interessi anche di tanti altri, e non soltanto di Belgrado e di Pristina. Nel territorio già caldo, dichiarazioni e comportamenti sconsiderati possono portare all’esplosione degli scontri, che è forse nell’interesse di qualcuno ma non sicuramente dei serbi che vivono in Kosovo e Metochia.

Secondo il premier Dacic, nonostante tutti i problemi, il governo incoraggia i serbi a votare alle elezioni del 3 novembre perchè è nell’interesse del popolo serbo. Uno dei problemi che la Belgrado ufficiale dovrebbe risolvere sono le manipolazioni di Pristina con gli elenchi degli elettori. Negli ultimi tre anni, tra le elezioni parlamentari e le imminenti amministrative in Kosovo, l’elenco ha ricevuto 200mila nuovi elettori. In Kosovo adesso ci sono più elettori che cittadini. Le manipolazioni con i voti non sono una novità in Kosovo. È accaduto più volte alle ultime elezioni che in alcuni comuni l’uscita alle urne sia superiore al 100% degli elettori iscritti.

Resta solo la speranza che le teste si raffredderanno, e che lasceranno l’ultima settimana della campagna elettorale a quelli che devono decidere del proprio destino.


=== 3 ===

(NKPJ invita al boicottaggio delle elezioni in KiM)


BOJKOT IZBORA NA KOSOVU I METOHIJI


Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ) poziva građane južne srpske pokrajine Kosova i Metohije da bojkotuju lokalne izbore zakazane za 03. novembar koje organizuje marionetski pro-iimperijalistički režim u Prištini. Bojkotom izbora građani treba da iskažu svoje protivljenje prema svim organima imperijalističke kvazi države u srcu Balkana, kao i otpor okupaciji i rasparčavanju naše domovine.


Institucije tzv. Republike Kosovo su samo posredni organi u izvršavanju vlasti zapadnih imperijalista uz pomoć njihovih marioneta, te otud bojkot lokalnih izbora predstavlja progresivan patriotski, slobodarski i antiimperijalistički čin svih građana koji žive na tlu Kosova i Metohije.

Ono što je posebno zgražavajuće u vezi tih izbora jeste stav buržoaske proimperijalističke vlasti u Beogradu koja se zalaže za njihovo uspešno organizovanje, poziva srpsko življe da se odazove na njih i učestvuje na njima sa sopstvenom listom. Takvim stavom buržoaski režim u Beogradu demonstrira potpunu poslušnost imperijalističkim centrima moći u Briselu i Vašingtonu i faktički priznaje "nezavisnost" Kosova, teritorije naše domovine koja je od 1999. godine pod okupacijom NATO soldateske. Otud je važno spomenuti da se bojkotom jasno iskazuje i protivljenje pro-imperijalističkoj politici buržoaske vlade koja slepo izvršava naredbe svojih gazda iz Vašingtona i Brisela. Vlada Srbije obmanjuje građane srpske nacionalnosti sa Kosova i Metohije time da će ako glasaju za njenu listu "Srpska", Beograd „biti više prisutan“ na toj teritoriji. NKPJ poziva Srbe i sve ostale građane Kosova i Metohije da ne nasedaju propagandi zvaničnog Beograda jer odavno je jasno da srpska buržoaska vlada nema nikakve interese koji mogu biti na bilo koji način oprečni interesima imperijalističke tamnice naroda Evropske unije, koja se jasno zbog svojih hegemonističkih interesa opredelila za nezavisnost Kosova.

Lista "Srpska" niti je srpska niti je patriotska, ona svojim učešćem na izborima doprinosi samo legalizovanju imperijalističkih ciljeva na tlu bivše Jugoslavije i Balkana. Zato na pozive zvaničnika Vlade Srbije na „jedinstvo u ovakvoj situaciji“ što podrazumeva jedinstvenu podršku listi "Srpska", treba odgovoriti jedinstvom u neizlaženju na lokalne izbore.

Ni druge srpske liste koje će se pojaviti na kosovskim izborima ne zastupaju ni za jotu drugačiji pristup kosovskoj problematici od vlade u Beogradu, i redom doprinose legalizovanju političkih institucija lažne države Kosovo, što samo i jedino predstavlja korist za imperijaliste.

NKPJ poručuje da je 03. novembar dan kada će institucije lažne države Kosovo zadobiti žestok udarac i nepoverenje građana slabom izlaznošću na lokalne izbore. To je zalog za dalju borbu i otpor naroda protiv imperijalističke okupacije i ciljeva oličenih u stvaranju lažne države Kosovo. Naše jedinstvo biće grobar imperijalizma na Balkanu i drugde u svetu.

Zato poručujemo - jedinstveno u bojkot lokalnih izbora na Kosovu i Metohiji.

Sekretarijat Nove komunističke partije Jugoslavije

Beograd,

23.10.2013




(francais / deutsch / italiano)

Campagna internazionale razzista contro i Rom

0) LINKS
1) Il caso di Leonarda: espulsa dalla Francia, per essere aggredita in Kosovo
2) Per Maria una campagna internazionale razzista contro i Rom (G. Carotenuto)


=== 0: LINKS ===

Sulla leggenda razzista dei "rom che rapiscono i bambini" e sui pogrom razziali scatenati in Italia negli ultimi anni si veda la documentazione linkata alla nostra pagina:

Gli eterni indesiderati
Di questi giorni la vicenda di Leonarda, ragazza rom espulsa dalla Francia, è finita sui principali media internazionali. Ma verso dove "ritornano" i rom espulsi dal fortino Europa? Riceviamo e volentieri pubblichiamo 
Anna Calori 22 ottobre 2013

Comment vivent les Rroms du Kosovo ?
Ils étaient au moins 100.000 avant 1999. Aujourd’hui, tout ou plus 30.000 Rroms, Ashkalis et Egyptiens vivent encore au Kosovo, tant dans les enclaves serbes que dans le sud, majoritairement albanais. Collectivement accusés de « collaboration » avec le régime serbe par les extrémistes albanais, ils ont été victimes d’un redoutable nettoyage ethnique, et restent toujours exclus et marginalisés au sein du nouvel État. Retrouvez notre dossier.

Grèce : Les Roms, les « anges blonds » et le racisme de tous les jours
Le Courrier des Balkans - De notre correspondant

Serbie : « l’ange blond » de Novi Sad était bien rom
Un groupe de skinheads de Novi Sad, en Voïvodine, a essayé d’enlever samedi dernier un enfant de deux ans à son père de nationalité rrom, au prétexte que celui-ci avait le teint plus clair que son père... Les agresseurs ont pris la fuite quand le père a menacé d’appeler la police. - 23 octobre 2013

Bambini rapiti dai Rom, i dati della Polizia di Stato
maggio 21, 2008 di Sergio Bontempelli

Newsletter vom 11.10.2013 - Grenzen dicht! (II)
BERLIN/BELGRAD/SKOPJE (Eigener Bericht) - Nach dem gestrigen Beschluss über den Aufbau eines neuen Abwehrsystems gegen Flüchtlinge von außerhalb Europas ("Eurosur") fordert die Bundesregierung neue Möglichkeiten zur Abschottung gegen unerwünschte Einwanderer aus Südosteuropa. Dabei geht es vor allem um Wege, Bürger Bulgariens und Rumäniens nach dem Schengen-Beitritt beider Länder bei Bedarf von Deutschland fernhalten zu können. Im Kern richtet sich das Berliner Begehren gegen die Minderheit der Roma. Berlin und Brüssel üben bereits seit 2010 massiv Druck auf die fünf Nicht-EU-Staaten Südosteuropas aus, Roma an der Einreise in die EU und nach Deutschland zu hindern, obwohl diese ihnen nach Einführung der Visafreiheit formal offensteht. Unter heftigem Druck aus Westeuropa haben insbesondere Mazedonien und Serbien Gesetze eingeführt, die es ihnen ermöglichen, Roma willkürlich an der Ausreise zu hindern; der Menschenrechtskommissar des Europarats läuft ebenso wie sein Amtsvorgänger und diverse Menschenrechtsorganisationen dagegen Sturm. Mit den Willkürgesetzen hat etwa Mazedonien innerhalb von nur 18 Monaten ungefähr 6.500 seiner Bürger an der Ausreise gehindert und damit - maßgeblich auf deutschen Druck - die Allgemeine Erklärung der Menschenrechte gebrochen...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58707


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IL MINISTRO DEGLI INTERNI VALLS NELLE MIRE DEI COMPAGNI DI PARTITO

Francia, ragazzina kosovara prelevata dallo scuolabus ed espulsa. La «gauche» insorge

Leonarda, 15 anni, Oltralpe da cinque, rispedita in Kosovo con la famiglia. Il ministro Valls: «Nessuno dubiti dei miei servizi»



L’ESPULSIONE - Leonarda, 15 anni, ragazzina rom, è stata fermata dalla polizia ed espulsa dalla Francia con tutta la sua famiglia mentre era in gita scolastica. La polizia avrebbe ordinato ai professori di fermare il pullman con gli studenti per portar via l’adolescente, davanti agli occhi dei suoi compagni. La vicenda è stata riportata dal Reseau Education sans Frontieres sul giornale on line Mediapart. I fatti risalgono al 9 ottobre scorso e si sono svolti nell’est della Francia. Il giorno stesso la giovane è stata messa su un aereo per il Kosovo insieme ai genitori e ai cinque fratelli.
Leonarda, che parla francese e frequenta regolarmente la scuola da tre anni, risiedeva con la famiglia in un centro di accoglienza per richiedenti asilo nel comune di Levier. Secondo diverse fonti, la famiglia Dibrani viveva ormai in Francia da cinque anni e la sua situazione era sul punto di essere regolarizzata.

«SOTTO CHOC» - La vicenda ha scosso i socialisti che si sono detti «sotto choc» per le condizioni in cui la ragazzina è stata fermata e consegnata alla polizia. Valls, nel mirino delle critiche, ha ordinato un’inchiesta e si è così difeso: «Tutti mantengano il sangue freddo e nessuno dubiti neppure per un attimo che le regole del diritto vengono applicate dai miei servizi con intelligenza, discernimento e umanità» (fonte: Ansa).

16 ottobre 2013
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da http://www.blitzquotidiano.it/ 

MITROVICA  - Leonarda Dibrani, la giovane kosovara espulsa il 9 ottobre scorso dalla Francia, è stata aggredita domenica 20 ottobre a Mitrovica insieme alla sua famiglia da un gruppo di sconosciuti.

Secondo la polizia, i Dibrani al momento dell’aggressione “erano a passeggio”. Leonarda nella giornata di sabato aveva respinto al mittente l’offerta del presidente francese Francois Hollande.

“Può tornare ma soltanto lei” aveva detto il presidente. Leonarda, che ha solo 15 anni, ha declinato l’offerta.


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25 ott 2013

Per Maria una campagna internazionale razzista contro i Rom

Dunque anche Maria, la bimba bionda la foto della quale ha fatto il giro d’Europa, non era stata rapita. Semplicemente le persone che si occupavano di lei non erano degne di essere credute, in quanto Rom.

I suoi genitori biologici, Sasha e Atanas Roussev, Rom bulgari, erano troppo poveri per mantenerla e l’avevano affidata alla coppia residente in Grecia alla quale Maria era stata sottratta. Questi l’avevano detto fin dall’inizio ma non erano stati creduti. Troppo poveri i genitori di Maria, così poveri da non poter tenere neanche i figli. Ovvero sottoproletari il babbo e la mamma di quella bimba bionda che per i media razzisti -in quanto bionda- doveva essere una principessina sottratta a chissà quale castello di fate. Fosse stata bruna non se ne sarebbero mai curati, anche se le persone che la tenevano fossero state vichinghe.

Dunque una volta di più (ricordo sempre il libro della Caritas “la zingara rapitrice”) non c’è stato né sequestro né compravendita di bambini, solo troppo disagio, forme di vita troppo arcaiche e inaccettabili per noi che ci sentiamo così civili. Ma basta guardarsi indietro e solo due o tre generazioni fa l’Italia e l’Europa erano pieni di figli di genitori troppo poveri per tenerli, affidati a terzi quando andava bene, abbandonati negli altri casi. Ne abbiamo cancellato perfino la memoria e con questa l’umanità, la capacità di capire l’universo povertà.

Oggi non ci piace come vivono i poveri, non ci piacciono i proletari, ci fanno schifo i lumpen, non ci piacciono i Rom. Ma di questo si tratta perché questa è solo una storia di troppa povertà per loro e troppo razzismo e classismo.  Per noi.

Gennaro Carotenuto