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Da: "Trieste USB" <trieste @ usb.it>
Data: 21 novembre 2013 10.24.36 GMT+01.00
A: "Trieste USB" <trieste @ usb.it>
Oggetto: testo nostro intervento sulla situazione della Bibliotca nazionale slovena e degli studi all'assemblea "La precarietà della storia" del 7 ottobre

In allegato il testo del nostro intervento all’assemblea del 7 ottobre. Nel ritenere che opinione pubblica e rappresentanze politiche abbiano il diritto/dovere di esprimersi in merito a quanto sta accadendo rimaniamo a disposizione per approfondimenti e chiarimenti.
Cordiali saluti
USB Lavoro privato - FVG


IL CASO DELLA BIBLIOTECA NAZIONALE SLOVENA E DEGLI STUDI

USB LAVORO PRIVATO Trieste
Intervento all'incontro pubblico “LA PRECARIETÀ DELLA STORIA”, Trieste, 7 ottobre 2013


La Biblioteca nazionale slovena e degli studi (BNS) è nata subito dopo la seconda guerra mondiale per iniziativa dei massimi organismi di potere filo jugoslavi nell'ambito del processo di ricostruzione delle istituzioni slovene distrutte dal fascismo. A causa della legislazione essa è nata quale ente privato, anche se viveva esclusivamente grazie ai fondi forniti dagli enti ufficiali jugoslavi a ciò preposti. Viveva quindi di fondi pubblici, »jugoslavi« ma comunque pubblici, il cui utilizzo era sottoposto al controllo di organismi ufficiali jugoslavi. Del suo carattere pubblico testimonia anche il fatto che solo nel 1948 la BNS è divenuta proprietaria formale dei libri e degli arredi dei quali disponeva, che erano stati fino ad allora proprietà della massima organizzazione dell'associazionismo culturale sloveno (e croato) a Trieste, la Slovensko (hrvatska) prosvetna zveza (Unione culturale sloveno croata). Di fatto la BNS è nata allo scopo di essere a disposizione di tutta la minoranza slovena.
In un periodo in cui nessuna autorità locale – né il Governo militare alleato e tanto meno il Comune di Trieste – era disposta a dare vita a un tale ente, a farlo furono gli organismi (para) statali jugoslavi. Tali circostanze storiche hanno portato al fatto che l'ambito delle istituzioni slovene fosse una sorta di mondo a parte (certamente non l'unico) circondato da nemici pronti in ogni istante a distruggerlo. In questo mondo vigevano delle regole particolari e non scritte: le cose si risolvono internamente, in silenzio, personalmente. Se tale approccio aveva allora delle sue precise ragioni e un suo senso, esso era però esposto ad abusi, divenendo in seguito quasi solo un pretesto per coprire abusi e irregolarità.
La stessa denominazione della biblioteca segnalava che si trattava di qualcosa di più di una semplice biblioteca popolare: era nazionale in quanto raccoglieva sopratutto – ma non esclusivamente – pubblicazioni in lingua slovena, ma era anche di studio, un luogo in cui raccogliere in maniera sistematica testi e materiali necessari alle attività di studio di studenti e studiosi. Non si trattava solo di raccogliere e prestare libri, si trattava di portare l'attività bibliotecaria ad un livello più alto, professionale e scientifico. Dato il suo carrattere »di studio« fu del tutto naturale che qualche anno dopo venisse aggregato alla BNS anche la Sezione storia ed etnografia (SSE), nata con il compito di raccogliere sitematicamente, ordinare e valorizzare materiale storiografico e di altro tipo importante per la ricerca a livello scinetifico del passato e del presente degli sloveni in Italia. Come nel caso della biblioteca lo scopo era quello di sistematizzare e portare ad un livello professionale e scientifico questo tipo di attività.
Fino alla fine degli anni '80 del secolo passato l'attività della BNS e della SSE si espanse, assumendo una importanza sempre più ampia, tanto che nel 1976 la Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia le riconobbe lo status di ente di interesse regionale. Poprio alla fine di tale periodo, nel 1989, entrò a far parte della BNS anche la Biblioteca slovena “D. Feigel” di Gorizia. In parallelo era cresciuto anche il numero dei dipendenti, anche se era caratteristico l'ampio ricorso a »collaboratori esterni«, collaboratori a onorario e simili. Con il corollario che non si doveva nemmeno menzionare un qualche tipo di attività sindacale, tutto doveva passare attraverso contatti e accordi personali, il tutto nel nome »del bene del popolo«. Negli anni '90 le cose iniziarono a prendere un indirizzo diverso. I fondi dell'allora già ex Jugoslavia scomparvero, il numero dei dipendenti prese a scendere velocemente e l'ente fu in qualche modo lasciato a sé stesso: l'attrezzatura non veniva rinnovata (tranne quella indispensabile), non c'era alcuna prospettiva che andasse al di la della mera sopravvivenza. Quanto venne fatto in questo periodo – e non si trattò di poca cosa - venne fatto per iniziativa dei dipendenti, che non si limitarono solo ad adattarsi a condizioni di lavoro sempre peggiori cercando di tamponare per quanto possibile le falle. Solo alla loro dedizione va il merito se l'ente è riuscito a mantenere e addirittura accrescere il suo carattere professionale e scientifico. Va però anche sottolineato che proprio tale disponibilità ad adeguarsi e adattarsi senza contestazioni ha contribuito a fare si che si arrivasse alla situazione attuale.
A partire dagli anni '90 i fondi per l'attività della BNS arrivano dalla Slovenia, ma sopratutto dallo Stato italiano, fino al 2000 in base alla legge per le aeree di confine e dal 2001 in base alla legge di tutela della minoranza slovena. E' necessario spendere alcune parole circa le modalità con cui lo Stato italiano finanzia l'attività degli enti della minoranza. In base alla legge di tutela il governo italiano decide di anno in anno l'ammontare dei fondi da mettere a disposizione degli enti della minoranza sloveni a sua discrezione, non essendo vincolato da alcun criterio oggettivo. Della suddivisione degli stanziamenti tra i vari enti decide poi l'Assessore alla Cultura della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia sulla base delle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva regionale per la minoranza slovena, in cui la maggioranza dei componenti è designata dalle due organizzazioni maggiori della minoranza. Questa modalità di finanziamento significano che lo Stato italiano non considera le attività della minoranza come attività di una parte della comunità nazionale svolte nell'interesse di tutti i cittadini, ma ancora sempre come appartenente a un qualcosa di separato, a un corpo estraneo, al quale è disposto ad elargire un po di danaro di tanto in tanto. Si tratta di un approccio offensivo per tutta la minoranza, soprattutto per gli enti che sono al servizio di tutta la comunità, regionale e nazionale. Se infatti nella gran parte dei casi tali enti sono nati come descritto all'inizio nel caso della BNS, essi hanno assunto nel corso degli anni un'importanza e un ruolo più ampi, che travalicano la conservazione del patrimonio storico e culturale della minoranza, divenendo parte del patrimonio culturale di tutta la regione e di tutti i suoi abitanti. Perciò dovrebbero essere trattate come tali. L'unico senso che pare avere l'attuale sistema di finanziamento è quello di affidare alle due organizzazioni maggiori della minoranza – organismi privati - la gestione (o almeno la partecipazione alla gestione) di somme non indifferenti di denaro proveniente dalle casse dello Stato (cosa che vale in misura ancora maggiore per i fondi stanziati dalla Repubblica di Slovenia). Si poteva regolare la cosa in maniera diversa, con probabili risparmi, facendo in modo che gli organismi statali italiani finanziassero direttamente, a bilancio, gli enti della minoranza, almeno quelli a carattere scientifico e di interesse generale, in base ai loro bisogni concreti. Facendo diventare tali enti degli enti pubblici, alla pari delle biblioteche civiche e statali, degli archivi regionali e statali.... Ma si è scelto diversamente, di mettere i fondi pubblici a disposizione di organizzazioni private.
Ritornando alla BNS, nonostante nel corso degli anni '90 si sia affiliata ad entrambe le organizzazioni maggiori queste non le hanno dedicato gran che interesse, se non come problema. Il denaro per iniziative occasionali si trovava, non però per una attività programmata di sviluppo. La BNS era la benvenuta per le occasioni »di parata«, ma null'altro. Il numero dei dipendenti è così continuato a scendere. Oggi la biblioteca di Trieste, che conta più di 150.000 titoli, ha due sole bibliotecarie dipendenti a tempo indeterminato, mentre dovrebbe essercene una ogni 10.000 titoli, il che significa che la biblioteca di Trieste dovrebbe impiegare almeno 15 bibliotecari/e! Con il paradosso agiuntivo che mentre a Trieste ci sono 2 dipendenti per 150.000 titoli, la biblioteca di Gorizia, che di titoli ne ha circa 40.000, di dipendenti ne ha 3.
Mentre la BNS cresceva per qualità dei servizi, professionalità dei dipendenti, quantità del materiale custodito, numero di utilizzatori di servizi e materiali, riconoscinibilità e riconoscimenti scientifici, chi la amministrava non ha saputo, voluto o potuto valorizzare tale realtà. Bisogna anche sottolineare che tali sviluppi si sono avuti nonostante le condizioni organizzative interne: la BNS non ha mansionari, né regolamenti interni (ad eccezione di quello che regolamenta i servizi bibliotecari). Nonostante il Consiglio Direttivo abbia affidato al direttore (ora pensionato) il compito di redarre una bozza di regolamento interno/ mansionario, questi non l'ha mai fatto senza per questo subire conseguenze. Evidentemente la normalizzazione delle condizioni interne non è tra le priorità del direttivo. D'altra parte tale situazione consentiva di accollare a singoli dipendenti compiti che comportano pesanti responsabilità, per le quali non percepiscono alcun integrazione stipendiale, né beneficiano di una qualche forma di copertura assicurativa. In questo genere di cose la BNS è stata »all'avanguardia«, visto che non dispone di alcun regolamento sull'accesso e utilizzo del materiale, anche se a scopo di profitto. A decidere di tutto, sulla base delle sue valutazioni e simpatie, era esclusivamente il direttore. Sarebbe interessante verificare se tale situazione abbia causato all'ente dei mancati introiti ed il loro eventuale ammontare.
La BNS ha attualmente lo status di associazione privata non a scopo di lucro i cui proprietari formali sono i soci, che però non hanno mai speso un euro per la loro »proprietà«, dato che non è previsto il pagamento di alcuna quota sociale. D'altra parte ci sono invece gli utenti, che in base all'unico regolamento esistente, quello per l'accesso ai servizi bibliotecari, devono versare un contributo annuo per poter usufruire del prestito dei librI e degli altri servizi. Abbiamo così i soci, che non versano nulla ma sono i proprietari formali dell'ente e decidono della sua amministrazione, mentre gli utenti, che pure versano un contributo annuale, non hanno alcuna voce in capitolo circa la gestione dell'ente.
I soci hanno diritto a partecipare alle assemblee dei soci ed eleggere il Consiglio Direttivo (CD). Di fatto della compisizione del direttivo decidono le due organizzazioni maggiori della minoranza, che però affermano che in base allo statuto sono i soci - la cui stragrande maggioranza non partecipa alle assemblee, tranne un gruppo ristretto in gran parte legato alle due organizzazioni maggiori – a decidere in base alle loro libere determinazioni, cosa che, naturalmente, varrebbe anche per gli eletti nel CD. Un CD che negli ultimi anni pare essere caratterizzato dalle sistematiche violazioni dello statuto, divenute ormai quasi una abitudine. L'attuale CD è stato infatti eletto nel 2010 da una assemblea generale convocata in maniera irregolare. Parimenti irregolare è stata anche la convocazione dell'assemblea generale tenutasi nel giugno di quest'anno a Gorizia (e che dovrebbe continuare in dicembre con l'elezione del nuovo CD). Il CD attualmente in carica è stato eletto dopo il rifiuto da parte di quello precedente di dare il suo assenso al progetto, molto discutibile, di ristrutturazione dell'edificio in cui ha sede la biblioteca di Trieste. Va sottolineato che il progetto – ora cestinato (ma regolarmente pagato) – è stato presentato proprio nel periodo in cui la BNS ha dovuto rinunciare per mancanza di fondi all'assunzione in pianta stabile di una bibliotecaria e dopo che la Unione culturale economica slovena (Slovenska kulturno gospodarska zveza - SKGZ), l'organizzazione maggiore che il suo presidente ha definito »proprietaria indiretta« dei locali utilizzati a Trieste da biblioteca e SSE (ma lo stesso si può dire anche di quelli utilizzati a Gorizia), ha rifiutato di intercedere per ottenere dal »proprietario diretto« la cancellazione o almeno la riduzione temporanea dei canoni di locazione pagati dalla BNS a Trieste e Gorizia e liberare così risorse finanziaria per poter assumere la citata bibliotecaria.
Dopo che nel 2009 si erano diffuse voci circa l'intenzione di sopprimere la SSE, con l'elezione del nuovo CD divenne chiaro che la stessa era sotto attacco. Il nuovo CD fece sapere molto chiaramente che l'assemblea generale in cui era stato eletto aveva deciso che la priorità andava assegnata all'attività bibliotecaria, priorità che evidentemente il vertice del nuovo CD interpretò come il via libera per disfarsi della SSE e dei suoi dipendenti. L'occasione propizia si presentò nel corso del 2012, nel momento in cui lo Stato italiano decise di decurtare l'ammontare degli stanziamenti e ritardò in maniera inacettabile l'erogazione di quelli dovuti (la prima rata venne erogata a fine dicembre!). In novembre il CD deliberò la messa in cassa integrazione di tutti e 3 i dipendenti impiegati alla SSE, cosa che ebbe quale immediata conseguenze le dimissioni - anche in correlazione ad altri fatti poco edificanti – di uno dei tre. Tale deliberazione venne assunta senza alcuna consultazione con tutti i dipendenti per individuare possibili soluzioni alternative e in presenza di un crescendo di dichiarazioni allarmistiche sul probabile deficit di bilancio (dimostratosi in seguito inferiore rispetto a quanto inizialmente prospettato) diffuse sopratutto da presidente e vicepresidente del CD.
Durante il primo ed unico incontro avuto con il CD il nostro sindacato ha sottolineato la necessità di ritirare immediatamente la cassa integrazione al momento in cui fossero stati percepiti gli stanziamenti pubblici, ma la risposta è stata che la prima preoccupazione sarebbe stata invece quella di pagare i canoni di locazione arretrati. Durante tale incontro il nostro sindacato ha anche consegnato al CD una copia dei numerosissimi messaggi di solidarietà alla SSE pervenuti ai dipendenti della stessa da singoli ed enti dalla Slovenia, ma sopratutto da tutta Italia e anche dall'estero. Si trattava di un evidente attestato dell'importanza della SSE che veniva messo a disposizione del CD quale strumento volto a dare più forza alle sue eventuali richieste di ulteriori stanziamenti. Una possibilità della quale il CD non si è mai avvalso. Nel gennaio del 2013 il CD rinnovò fino a fine marzo la cassa integrazione per i due dipendenti della SSE rimasti. Poco prima del termine della cassa integrazione il CD ha però deciso in tutta fretta l'immediata chiusura, formalmente per motivi di sicurezza, dei locali della SSE. Una mossa drammatica con la quale si è voluto addossare a presunte circostanze oggettive la decisione di chiudere la SSE senza che fosse mai esplicitato quali fossero, in concreto, i gravi problemi di sicurezza per cui era stata assunta tale decisione. Una decisione che non ha garantito la sicurezza del materiale, rimasto in locali inadatti e per giunta del tutto incustodito, ma l'ha messo ulteriormente in pericolo. Poi è arrivata la distruzione definitiva della SSE con il pensionamento di una dei due dipendenti rimasti ed il licenziamento – senza preavviso – dell'altro, nostro iscritto (ed unico iscritto a un qualche sindacato tra tutti i dipendenti). Va evidenziato che tali decisioni sono state deliberate proprio nel momento in cui la BNS si era vista garantire il raddoppio dei contributi pubblici che avrebbe percepito dallo Stato italiano negli anni dal 2013 al 2015 (decisione che il 22 ottobre 2013 il governo ha confermato e prolungato fino al 2016).
È evidente quindi che le ragioni di queste misure non possono essere le difficoltà finanziarie. La fretta con cui hanno voluto liberarsi dei due ultimi dipendenti è in stridente contraddizione con la loro insostituibilità per la gestione del materiale della SSE, come attesta il fatto ad appena qualche settimana dal suo pensionamento è stato chiesto alla ex dipendente di dirigere il trasferimento di parte del materiale della SSE e altri tipi di aiuto. Ed i fumosi accenni a »future collaborazioni« con il dipendente appena licenziato senza preavviso. Proprio nella lettera di licenziamento di quest'ultimo troviamo la chiave per comprendere il comportamento tenuto ed il progetto – l'unico espresso chiaramente e nero su bianco – per la SSE: il CD intende riorganizzare il lavoro affidando la SSE in »outsourcing«. Ciò significa una sola cosa: il ricorso a personale precario, si tratti di contrattisti a progetto o in altra forma. Se a ciò aggiungiamo la proposta, più volte ripetuta, di dare alla BNS un amministratore professionale, cioé pagato, appare chiaro quale sia il modello che si vuole applicare e che è già stata applicato in passato ad altri enti sloveni, come l'ex Istituto regionale sloveno di istruzione professioale: personale precario che costi il meno possibile con un presunto professionista lautamente retribuito. In estrema sintesi: risparmiare sui dipendenti per poter destinare ad altri scopi i finanziamenti pubblici incamerati in un contesto di opacità gestionali, stravaganze, singolari coincidenze e potenziali conflitti di interesse.
Per comprendere a pieno quanto avvenuto è però necessario sapere chi sono i suoi attori principali. La presidente ed il vicepresidente della BNS sono entrambi membri influenti della SKGZ, vale a dire l'organizzazione che è »proprietaria indiretta« di tutti i locali utilizzati dalla BNS. La prima è componente dell'Esecutivo regionale della SKGZ, il secondo è invece presidente della SKGZ della provincia di Gorizia. Entrambi fanno poi parte del Consiglio di Sorveglianza della Società finanziaria per azioni »KB 1909«, »proprietaria diretta« dei locali in cui ha sede la biblioteca di Gorizia. Va aggiunto che per svolgere tale funzione i due vengono pagati, cosa non prevista per i componenti del CD della BNS. Il vicepresidente ha esplicitato il suo pensiero in merito nel corso di un incontro ufficiale del CD con uno dei dipendenti, quando ha affermato che l'incarico non remunerato presso la BNS è per lui un impegno marginale.
Vanno inoltre chiariti alcuni dettagli. La proprietaria dei locali utilizzati dalla biblioteca di Trieste è la Società finanziaria adriatica, il cui socio di maggioranza è, per tramite del Fondo Trinko e dell'Associazione benefica Tržaška matica, la SKGZ. La stessa è anche proprietaria, attraverso il Fondo Trinko, della quota di maggioranza delle azioni della KB 1909. Il terzo soggetto a cui la BNS ha corrisposto fino a poco tempo fa dei canoni di locazione è la Cooperativa a responsabilità limitata Slovenski Dom (nel 2010 ha percepito per un magazziono di circa 100 mq 4.523,59 € e nel 2011 4.561,29 €), che appartiene agli ambienti legati all'altra organizzazione maggiore della minoranza (lo Svet slovenskih organizaciji, Unione delle organizzazioni slovene). Va inoltre chiarito che la SSE era l'unica delle articolazioni della BNS che non pagava alcun affitto per i locali (inadatti) che occupava, mentre ora la BNS paga, per i locali in cui sono stati trasferiti parte del deposito della biblioteca triestina e parte del materiale della SSE dei canoni aggiuntivi alla ..... Società finanziaria adriatica.
Tali nuove spese vanno sommate a quelle pregresse, che non erano poca cosa. Nel 2010 la BNS avrebbero pagato 23.679,79 € per i locali occupati a Trieste e 20.009,36 € (ma, secondo altri calcoli 25.372,27 €) per quelli di Gorizia, per un totale presunto di 43.689,15 € (ovvero 49.052,06 €); nel 2011 ha speso 23.758,29 € per i locali a Trieste e 26.557,77 € per quelli a Gorizia, per un totale presunto di 50.316,06 €. La BNS avrebbe così speso nel 2010 per il solo utilizzo dei locali, il 14,13% dell'importo del contributo erogato dallo Stato italiano, percentuale salita nel 2011 fino al 15,63%. Quello che è più interessante è il fatto che nel 2010 di tali spese ben 9.579,9€ risulterebbero catalogate alla voce »accessori« a Trieste e 4.734,93€ a Gorizia (per un totale di 14.313,03€, il 32,76% della spesa totale per i locali). Nel 2011 la BNS avrebbe invece speso per »accessori« 6.733,11€ a Trieste e 6.312,22€ a Gorizia (13.045,33 € in totale, ovvero il 25,93% della spesa totale per i locali). E tale tipo di spesa è in costante aumento, a scapito delle spese per il personale.
La BNS – ma non è l'unico caso – finanziererebbe così con parte dei fondi pubblici ricevuti in funzione della sua attività, alcune imprese economiche: l'esatto contrario di quanto accadeva al momento della sua nascita. Appare evidente che i motivi e gli scopi di quanto accaduto non hanno nulla a che fare con la cura per l'esistenza e lo sviluppo della BNS e sono in palese contraddizione con l'affermazione che »la direzione della BNS deve cercare soluzioni tecniche e professionali, che non si riducano al solo licenziamento di personale« rilasciata dal presidente della SKGZ nell'aprile del 2010. Quello a cui assistiamo e la riproposizione di un modello già applicato in altri enti della minoranza: precarizzazione dei dipendenti gestiti da »manager« lautamente retribuiti di dubbia professionalità ma di certa affiliazione. Accanto a tutto questo esiste il fondato sospetto che si sia perseguito l'obbiettivo di liberarsi di quanti politicamente non allineati e impegnati sindacalmente.
Ma, giova ripeterlo ancora una volta, la BNS non è proprietà del direttivo, nemmeno dei suoi soci, perché vive esclusivamente grazie a finanziamenti pubblici. Inoltre l'accesso alla cultura e alla conoscenza non è un privilegio, un lusso, ma appartiene a quei beni e servizi che sono parte del salario indiretto, come l'assistenza sanitaria, i trasporti pubblici e così via.
L'accesso alla cultura e alla conoscenza è il presupposto indispensabile per uno sviluppo equilibrato di ogni singola persona e della società nel suo complesso. Che la BNS, come tutte le istituzioni culturali, appartenga e debba appartemere a tutti noi lo dimostrano anche le oltre duecento persone di varie nazionalità che su invito del nostro sindacato hanno presentato domanda di associazione alla BNS proprio per sostenere la sua esistenza e che sono ancora in attesa di una risposta alla loro richiesta. Invitiamo tutti a seguire il loro esempio.
Non è accettabile che nel momento in cui la BNS ha ottenuto il raddoppio dei finanziamenti pubblici, decida di licenziare il personale a tempo indeterminato, annunci la precarizzazione degli ipotetici nuovi assunti e proponga, al contempo, l'assunzione di un dirigente professionale, lautamente pagato.

Tutto ciò premesso, è possibile riassumere la proposta del sindacato USB per portare a soluzione la questione della BNS, del suo patrimonio culturale e del suo personale:

In considerazione del carattere pubblico dell'ente (al quale la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha già riconosciuto lo status di ente di interesse regionale); Valutata la triste prova di sé che alcuni dei preposti alla cura e allo sviluppo della presenza culturale slovena in Italia hanno dato in questa vicenda; Considerata la necessità di ripristinare la garanzia di partecipazione, trasparenza e controllo nella gestione delle risorse pubbliche;

Considerata l'importanza che la promozione, la tutela e la diffusione della memoria e della ricerca storica riveste per tutta la comunità regionale anche quale strumento di strutturazione della identità di un popolo e di ogni minoranza nazionale;

In considerazione che la cultura, nelle sue diverse declinazioni, è, per questo sindacato, un bene comune;

Il sindacato USB propone quale soluzione concretamente percorribile, anche nel breve termine

di far transitare la BNS sotto la tutela della regione autonoma Friuli Venezia Giulia, in forme e modi che dovranno essere il risultato di un accordo, considerato che già esistono esempi di percorsi e soluzioni simili (p.es. Il Teatro stabile sloveno).




N.D.H. (INDEPENDENT STATE OF CROATIA) QUALIFIES FOR F.I.F.A. WORLD CUP



Croatia Defender Joe Simunic Led Crowd In Apparent Pro-Nazi Chant To Celebrate World Cup Berth (VIDEO)

11/20/13

ZAGREB, Croatia (AP) — Croatia's World Cup qualification celebrations have been marred by apparent pro-Nazi chants by fans and defender Joe Simunic.
Croatia qualified for the World Cup with a 2-0 win over Iceland on Tuesday. Video footage shows Simunic taking a microphone to the field after the match and shouting to the fans: "For the homeland!" The fans respond: "Ready!"
That was the war call used by Ustashas, the Croatian pro-Nazi puppet regime that ruled the state during World War II when tens of thousands Jews, Serbs and others perished in concentration camps.
The Australian-born Simunic defended his action, saying "some people have to learn some history. I'm not afraid."
"I did nothing wrong. I'm supporting my Croatia, my homeland," the 35-year-old defender said. "If someone has something against it, that's their problem."
The same chant coupled with the Nazi salute has often been used by Croatian fans in the past. FIFA and UEFA have often fined the Croatian soccer association because of their behavior.
There was no immediate reaction from FIFA to the latest incident.
At the 2006 World Cup, Simunic was the player who received three yellow cards in one match before being sent off.


(lo slogan ustascia "Pronti per la Patria" è stato urlato in campo da calciatori della nazionale croata nel corso della Coppa del Mondo di Calcio)




[Sulla figura di Gavrilo Princip e sulla controversia in merito a Sarajevo 1914-2014 si veda anche tutta la documentazione raccolta alla nostra pagina: 

Gavrilo Princip, Obljaj, Bosansko Grahovo April 25th 1894 – Austrian prison in Terezín April 28th 1918, was a high school student, a minor, member of the Yugoslav nationalist movement “Young Bosnia” (“Mlada Bosna”), when on June 28th 1914 he assassinated Austro-Hungarian Archduke in Sarajevo, the capital of Bosnia and Herzegovina occupied by Austro-Hungarian Empire and annexed to it in 1908. He was declaring himself  as a “Yugoslav nationalist of Serbo-Croat origin, an activist for the unification of all Yugoslavs in any kind of state, as long as it is not under Austria”, that he spoke “Croato-Serbian”. The attack was taken as a pretext for the declaration of war against Serbia and for the outbreak of the I World War. Dr Rudolf Cistler, public defender of 24 arrested members of  “Mlada Bosna” in court, on great surprise of all, stated that those could not be tried for “high treason”, since the Austrian act of annexation of Bosnia-Erzegovina was an act of illegitimate occupation, being never ratified by the Parliament of Austro-Hungarian Empire! (by DK for CNJ website)

For more infos on Gavrilo Princip and Sarajevo 1914-2014 please see: https://www.cnj.it/documentazione/gavrilo.htm

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Gavrilo Princip, a hero?




It is less than a year before the celebration of the hundredth anniversary of the outbreak of World War I, the bloodiest war in human history thereto. As 28th June 2014 approaches, it is more certain that the German government will take part in the organization of the celebration of the centennial in Sarajevo, where Gavrilo Princip assassinated the Austro-Hungarian Crown Prince and his wife. The greatest nightmare of our grandmothers and grandfathers begins to worry us as this date approaches. The question that bothers us is ‘What will the world say?’

When analysing the role of Gavrilo Princip in world history, it is necessary first of all to point out the epistemological error in the dominant but, unfortunately, revisionist interpretation of the assassination in Sarajevo. Almost all the literature dealing with the causes of the First World War on the very first page stresses the murder of Franz Ferdinand and his wife Sophie as a cause of the war. Despite the fact that, in the subsequent analysis, this conflict, which had an impact on the world, is connected with the clashes between the imperial pretensions of the Great Powers of the late nineteenth and early twentieth century, there somehow is still a bitter taste when the name of Gavrilo Princip is mentioned.

That the act of murdering a colonial subject by the persecutor is a sign of true self-liberation, we learned from Jean Paul Sartre. Since colonisation during the nineteenth and twentieth centuries was followed by the promotion of so-called ‘scientific racism’, according to which colonisation is justified, because it is carried out against those who are unable to manage themselves, colonised people in these areas were placed in the position of an inferior race.

Although Aristotle is often considered the father of ‘scientific racism’, there are a fairly large number of modern, primarily liberal thinkers, who used this concept to justify colonial conquest led by their countries. Thus JS Mill thought it was justified to embark on imperial campaigns, if that would mean that the ‘uncivilized’ would become ‘civilized’. Tocqueville himself, writing about Algeria, articulated the characteristics of the French ideal of ‘civilizing missions’. Only Bentham was against British imperialism, and only because he thought it was not feasible, because he thought that such campaigns are a waste of precious resources. Besides Great Britain and France, there were of course the united Germany, Austria-Hungary and Czarist Russia. Each of these countries favoured imperialist campaigns. Of course, the conflicts of the Great Powers over territory occurred throughout the history of the modern state, and in addition to the countries listed, from 16th century onwards, there were also Spain and the Netherlands. So the world in a historic moment became narrow because the West progressed precisely because the race for world wealth included only a limited number of countries. The West, according to many, progressed only because highly developed countries like China and India were ravaged by exploitation. Suddenly, the exploitative campaigns included too many countries, and it was a matter of time before the conflicts of the Great Powers would escalate. And then, right out of nowhere, appeared a Gavrilo Princip, assassinated an occupation symbol, experienced ‘Sartrian’ self-liberation and started World War I?

It is said that Gavrilo Princip was a nationalist. In the region people do not like him because he was a member of an organization that aimed to unify the Serbs under Austro-Hungarian rule (and other South Slavs). World-wide he is called a terrorist because, in any case and under whatever circumstances, murder is considered a barbaric act – especially the assassination of an heir to the throne. Let’s start with the first charge.

All (successful) anti-colonial movements in the twentieth century, around the world, were movements of ‘national liberation’. As Alan Ryan writes, nationalism is a dangerous gift that colonisers inadvertently gave to the colonised. Even Marx thought that colonial conquests are progressive, in the sense that they may lead to the expansion of the capitalist mode of socio-economic organisation, which would result in the formation of national liberation movements, which would, as those European, firstly free themselves from colonial rule, and then take part in the world socialist revolution. These movements would firstly be national. Liberation from ‘imperialism as the highest stage of capitalism’ (as Lenin’s famous work on this phenomenon was called) starts with the grouping of the nation, the group that, modelled on the Western nation-state, wants to be freed from occupiers, and to then form an independent state. Hence the definition of ‘non-aggressive nationalism’ under the doctrine ‘to each people its own polity’ and a clear distinction in relation to the ‘aggressive nationalism’ which undermines conquests. This classification is reserved for the period of the early twentieth century, and especially for the period of anti-colonial struggle, and is not relevant to the present analysis of nationalism as a primarily retrograde social tendency. This struggle, in all parts of the world, from the beginning of the twentieth century, was often very radical, and, because it was such, it does not mean that it should be classified as ‘aggressive’ – if you use the aforementioned categorisation. In this sense, Gavrilo Princip was a nationalist as, for example, was Simon Bolivar, the symbol of anti-colonial struggle in South America. The same can be said for the other allegation, that Gavrilo Princip was as much a terrorist as, for example, Ernesto Guevara (without any intention to compare their historical or ideological roles). Here we come to what I consider the main epistemological error in the analysis of the historical role of Gavrilo Princip.

From the perspective of the historical role, it is completely irrelevant whether Young Bosnia, of which Princip was a member, wanted to liberate the Serbs and then the others, or just the Serbs, or all the South Slavs (although the first would be the most likely). Also, it is less important whether this organisation was working in conjunction with the Serbian ‘Freedom or Death’ (although it was), and that the main ideologist of the Young Bosnia, Vladimir Gaćinović, was a follower of Russian anarchism (Kropotkin and Bakunin), and was a friend of Trotsky, whom he met in Switzerland. It is less important whether Gavrilo Princip, if he had by chance survived and lived in free Bosnia, would perhaps at some point have changed his mind regarding his beliefs (which we cannot precisely define anyway), as did the Egyptian anti-colonial fighter named Sayyid Qutb, who at first was considered a hero, and then was killed by Nasser Regime because he did not support military dictatorship but advocated the Sharia (he wrote a book called ‘Social Justice in Islam’ in 1949). So, for the analysis of the historical significance of the assassination in Sarajevo and its perpetrator, variables such as the character of Young Bosnia, its connection with the ‘Freedom or Death’, or the beliefs of Princip, are totally irrelevant. The only thing that matters is- the historical context in which this event took place, because the assassination was an expression of the anti-imperial struggle of people who had lived under foreign rule for centuries. The people who were treated by the Great Powers in a ‘scientific racist’ manner, through Gavrilo Princip, experienced self-liberation. The people who still speak the same language, and are of different religions and ethnicities, has waited for a hundred years for another Princip in this modern empire that, as Hardt and Negri say in their Empire, is not formed on the basis of power itself, but on the ability to present power as being in the service of peace.




COSA STIAMO A FARE IN AFGHANISTAN


L’économie afghane se re-convertit à l’opium
RÉSEAU VOLTAIRE | 14 NOVEMBRE 2013 - Selon l’Office des Nations unies contre la drogue et le crime (ONUDC), la production d’opium en Afghanistan a augmentée de 49 % en 2012 et devrait encore augmenter de 36 % en 2013. En 2014, le pays devrait fournir 90 % de l’opium mondial.
L’économie afghane se tourne à nouveau presque exclusivement vers les drogues alors que les forces internationales s’apprêtent à se retirer et qu’un nouveau président doit être élu en avril. (Source: http://www.voltairenet.org/article181010.html )



IL FATTO QUOTIDIANO


Droga, in Afghanistan soldati-trafficanti. La storia dimenticata della parà italiana


Secondo l'Onu per l'oppio è stato un anno di produzione record, anche nella zona di Kabul, sotto il controllo delle truppe Nato. In Italia è finita in nulla l'inchiesta militare partita dal caso di Alessandra Gabrieli, militare della Folgore diventata tossicodipendente e spacciatrice dopo la missione. Indagini simili sono state insabbiate in Canada e Regno Unito


Ci sono storie che qualcuno preferisce dimenticare. Come quella dell’ex caporalmaggiore Alessandra Gabrieli: prima donna parà d’Italia, eroina nazionale divenuta eroinomane in caserma, finita in carcere due anni fa per spaccio dopo aver denunciato il giro di droga tra i soldati reduci dell’Afghanistan che se la riportano in Italia di ritorno dalla missione. Una denuncia clamorosa cui le autorità militari italiane non hanno dato seguito, com’è accaduto per analoghe inchieste estere sul coinvolgimento di militari Nato nel traffico di eroina dall’Afghanistan. Un paese che in dodici anni di occupazione occidentale ha visto regolarmente aumentare le produzione di oppio. Quest’anno si è raggiunto il record storico, secondo l’ultimo rapporto dall’agenzia antidroga dell’Onu: tutti evidenziano l’aumento della coltivazione di oppio nelle regioni sotto controllo della guerriglia talebana (+34% in Helmand, +16% a Kandahar), ma nessuno nota che nella provincia di Kabul, sotto diretto controllo del governo centrale, la produzione è aumentata del 148%. E l’Afghanistan è tornato a essere il maggior produttore di eroina del mondo.

LA STORIA DI ALESSANDRA, LA PRIMA PARA’ DONNA IN ITALIA. Alessandra portava i capelli castani aggrovigliati in una criniera di dreadlock e il piercing al naso. Suo padre, ufficiale dell’esercito, non approvava. Ma lei era una ragazzina ribelle. Sognava di fare l’artista e coltivava la sua passione nelle aule del liceo artistico Paul Klee di Genova, la sua città. Con il passare del tempo, però, il suo spirito alternativo l’ha allontanata anche da questo ribellismo convenzionale, spingendola alla ricerca di qualcosa che fosse veramente fuori dagli schemi. “Volevo fare qualcosa di diverso e di più utile rispetto alle mie coetanee”, racconterà in seguito. Così a 19 anni, dopo l’esame di maturità, si è rasata i capelli, si è tolta l’orecchino dal naso e, per la gioia di suo padre, si è arruolata nell’esercito. Non in un corpo qualsiasi, ma nella brigata Folgore, diventando la prima donna paracadutista d’Italia. Non è stata facile, ma lei ce l’ha messa tutta e ha fatto rapidamente carriera: ha preso i gradi di caporalmaggiore ed è stata inviata in missione all’estero: prima in Kosovo, poi in Libano, e perfino in Iraq, a Nassiriya. I giornali la intervistavano spesso: era diventa una specie di leggenda, un’eroina nazionale. Ma la vita in missione era dura, soprattutto per una donna, e lei pian piano iniziava a sentire il peso della sua scelta.

Nel 2007, nella caserma Vannucci di Livorno, Alessandra si trovava insieme ai suoi compagni, reduci dall’Afghanistan. Le hanno offerto di fumare con loro: eroina, purissima, afgana. Per il caporalmaggiore Gabrieli è stato l’inizio della fine. Di lì a due anni, la tossicodipendenza l’ha costretta ad abbandonare la divisa e a tornare a Genova da sua madre, dove ha iniziato a vivere di espedienti per tirare avanti, finendo presto a spacciare per procurarsi i soldi per la roba. Il 12 agosto del 2011 Alessandra, ormai segnata dall’abuso di droga, viene fermata dai Carabinieri nel corso di un’operazione antidroga volta a sgominare una rete di spaccio tra Milano e Genova. I militari le trovano in macchina 9 grammi di eroina e molta di più ne rinvengono a casa sua. In tutto 35 grammi di roba purissima che, secondo i periti dell’Arma, avrebbero fruttato fino a quattrocento dosi, a seconda del taglio. Alessandra viene arrestata con l’accusa di detenzione e spaccio di stupefacenti.

“INIZIATA ALL’EROINA DAI MILITARI DELL’ISAF”. Agli inquirenti della squadra investigativa del nucleo operativo dei Carabinieri di Sampierdarena, guidata dal tenente Simone Carlini, l’ex paracadutista racconta com’è entrata nel tunnel della tossicodipendenza. “Mi hanno iniziato all’eroina alcuni militari della missione Isaf di ritorno dall’Afghanistan. È successo nel 2007 ed eravamo nella caserma della Folgore a Livorno. Ritengo che quello stupefacente, molto probabilmente, venisse portato direttamente dall’Asia”. Il 20 settembre 2011 Alessandra viene condannata a tre anni e mezzo di reclusione. Ma le sue scottanti dichiarazioni costringono il titolare delle indagini, il pm genovese Giovanni Arena, a trasmettere il fascicolo alla Procura militare di Roma, che apre un’inchiesta. Le accuse dell’ex caporalmaggiore Alessandra Gabrieli non solo rivelano l’uso di droghe tra i militari italiani di ritorno dal fronte, ma adombrano addirittura il loro coinvolgimento nel traffico di eroina dall’Afghanistan. L’imbarazzo della Difesa è forte, e l’allora ministro Ignazio La Russa preferisce “non rilasciare commenti, in attesa dello sviluppo delle indagini”.

Ma di sviluppi non ce ne saranno perché l’inchiesta militare viene subito archiviata. “Non siamo competenti su questo tipo di reati”, dichiara Marco De Paolis, procuratore militare di Roma. “Spetta alla magistratura ordinaria occuparsi di stupefacenti”. Con l’emissione della sentenza di condanna da parte del giudice Carla Pastorini, il caso viene definitivamente chiuso e sulla vicenda cala il silenzio. Alessandra viene rinchiusa nel carcere genovese di Pontedecimo e del giro di eroina afgana tra i soldati italiani di ritorno da Kabul non parlerà più nessuno. Per il difensore legale di Alessandra, l’avvocato Antonella Cascione, la conclusione di questa vicenda assomiglia tanto a un insabbiamento nel quale la sua assistita ha svolto il classico ruolo di capro espiatorio. “Parlo come privata cittadina: le dichiarazioni di Alessandra rischiavano di scoperchiare un vaso di Pandora, e hanno pensato bene di sigillare subito il tappo, con lei dentro. Pensavo sarebbe scoppiato il pandemonio, invece hanno messo tutto sotto silenzio, semplicemente ignorando la sua denuncia, che si è infranta contro un vero e proprio muro di gomma”.

MILITARI-TRAFFICANTI, MURO DI GOMMA ANCHE IN CANADA E UK. Un muro di gomma che non riguarda solo l’Italia. Nel settembre 2010 il ministero della Difesa del Regno Unito avvia un’indagine sul coinvolgimento di soldati britannici e canadesi nel traffico di eroina afgana attraverso la base della Royal Air Force di Brize Norton, nell’Oxfordshire: il principale aeroporto di sbarco delle truppe di ritorno dal fronte, dove ogni settimana atterrano circa 700 soldati provenienti dalle basi Nato nel sud dell’Afghanistan. Il quotidiano che dà notizia dell’inchiesta, il Sunday Times, cita anche la testimonianza di un narcotrafficante afgano: “La maggior parte dei nostri clienti, esclusi i trafficanti all’estero, sono i militari stranieri: a fine missione ce la ordinano, noi gliela vendiamo e loro se la portano a casa sugli aerei militari dove tanto nessuno li controlla. Ne comprano tanta”. L’inchiesta militare britannica, accompagnata da un irrigidimento dei controlli alla base Raf di Birze Norton, genera molto scalpore mediatico, ma sulla vicenda cala presto il silenzio più completo.

La Difesa canadese, da parte sua, archivia velocemente la questione come infondata. Un anno dopo, però, il consigliere del Capo di stato maggiore delle forze armate canadesi, Sean Maloney, dichiara alla stampa: “Non sono affatto sorpreso che soldati occidentali smercino eroina dalle basi aeree della Nato in Afghanistan, usate dai signori della droga locali per trafficare la droga direttamente in Occidente, tagliando fuori gli intermediari pachistani e realizzando così profitti molto più elevati”. Numerose altre fonti confermano questi traffici, che vedono coinvolti non solo i militari occidentali ma anche, e soprattutto, le compagnie private di contractors, i cui velivoli operanti dagli aeroporti Nato sono esenti da controlli al pari dei voli militari. “I contractors impiegati in Afghanistan dal Pentagono, dalla Cia e dalla Nato sono una straordinaria banda di profittatori che speculano sulle guerre”, sostiene l’ex direttore dell’agenzia antidroga dell’Onu, Antonio Maria Costa. “Negli anni ho ricevuto dalle agenzie governative diversi rapporti riservati che contenevano accuse pesanti nei confronti di alcune di queste società riguardo al loro coinvolgimento nel contrabbando di droga: ritengo che non si tratti di accuse infondate”.

IL DIRIGENTE ONU: “NE RIPARLIAMO QUANDO SARO’ IN PENSIONE”. Il successore di Maria Costa alla guida dell’Unodc, Yuri Fedotov, interpellato sullo stesso argomento replica in modo eloquente: “Data la carica che ricopro, rispondo che non ho informazioni in merito, ma se ne riparliamo quando sarò in pensione la mia posizione potrebbe essere diversa”. Oltre mezzo secolo di storia di interventi armati – dallo sbarco alleato in Sicilia alla guerra in Vietnam, dal sostegno americano ai contras nicaraguensi a quello ai mujahedin afgani contro i sovietici – dimostra che il coinvolgimento dei militari nel narcotraffico è una costante, conseguenza di una realpolitik che porta a sacrificare ciò che è giusto (contrastare il narcotraffico) in nome di ciò che è necessario (sconfiggere il nemico). Anche per sconfiggere i talebani e mantenere il controllo dell’Afghanistan l’Occidente ha scelto di sostenere personaggi notoriamente coinvolti nel narcobusiness – dal clan Karzai in giù – chiudendo un occhio su questi traffici, anche quando coinvolgono strutture e personale militare Nato. Se poi qualcuno li tira fuori, come ha fatto Alessandra, basta far finta di niente e dimenticarsene.