Alors que les néo-conservateurs évoquaient la « révolution mondiale » et la « démocratie » pour justifier l’impérialisme états-unien, les faucons libéraux préfèrent dénoncer le « risque de génocide » et promouvoir la « responsabilité de protéger ». Au demeurant ces nouveaux concepts ne sont jamais que la réactualisation du vieux discours colonial en faveur de la « civilisation ». En définitive, ces belles paroles servent exclusivement à masquer la loi du plus fort.
Informazione
Da: "Comitato antifascista e per la memoria storica-Parma" <comitatoantifasc_pr@...>
Data: 23 novembre 2013 15.55.26 GMT+01.00
Oggetto: i partigiani italiani del "Battaglione Gramsci" in Albania in mostra a Palazzo Sanvitale da oggi 23 novembre
I soldati italiani del "Battaglione Gramsci" partigiani contro i nazifascisti in Albania
in mostra fotografica a Palazzo Sanvitale (Parco Ducale di Parma) dal 23 novembre
Come sul fronte jugoslavo l'indomani dell'8 settembre '43 migliaia e migliaia (quarantamila) soldati italiani non si arresero ai tedeschi e scelsero di combattere contro i nazifascisti al fianco dei partigiani della Resistenza jugoslava, così in Albania l'indomani dell'8 settembre militari italiani della 41a Divisione fanteria "Firenze" e della 53a Divisione fanteria "Arezzo" costituirono il "Battaglione Antonio Gramsci" che combattè contro i nazifascisti insieme con l'Esercito Albanese di Liberazione Nazionale fino alla completa liberazione dell'Albania.
La mostra fotografica “Da oppressori a combattenti per la libertà" ripercorre la storia del glorioso “Battaglione Antonio Gramsci”. La mostra viene inaugurata a Palazzo Sanvitale di Parma (all'interno del Parco Ducale) sabato 23 novembre alle 15. In serata ex-combattenti del “Battaglione Antonio Gramsci” racconteranno della loro esperienza in Albania. Inoltre verranno consegnate ai militari italiani del Gramsci delle onorificenze firmate dal Presidente della Repubblica albanese.
L'iniziativa è organizzata dall’"Associazione Scanderbeg", associazione albanese a Parma e Provincia, col patrocinio del Comune e della Provincia di Parma, nell'ambito della "Settimana della cultura albanese” a Parma dal 23 al 30 novembre.
Per quanto ci riguarda, con il passaggio della Divisione di fanteria da montagna «Venezia» nel II Korpus dell'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, il 9 ottobre 1943, NASCEVA IL NUOVO ESERCITO dell'Italia DEMOCRATICA. A sostenerci nella nostra opinione è nientemeno che SANDRO PERTINI:
<< La nascita del nuovo esercito italiano "inteso come esercito democratico antifascista e parte integrante della coalizione antihitleriana nella seconda guerra mondiale" deve essere anticipata ... al 9 ottobre 1943, quando il Generale Oxilia, Comandante della Divisione di Fanteria da montagna "Venezia", forte di dodicimila uomini, dette ordini alle sue truppe di attaccare i nazisti, coordinando le azioni militari con l'esercito popolare di liberazione della Jugoslavia. >>
Grazie agli autori per averci fatto rivedere, in quella terza puntata, le immagini preziose del 21 settembre 1983 a Pljevlja, in Montenegro, quando fu inaugurato il monumento alla Divisione Italiana Partigiana Garibaldi, alla presenza di Sandro Pertini e di Giulio Andreotti.
Alleati del nemico. L'occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943)
casa editrice: Laterza
anno di pubblicazione: 2013
collana: Quadrante Laterza
pagine: 208
prezzo: 19,00 euro
disponibile anche in formato Ebook
Vittorio Filippi 15 maggio 2013
“Le forze di occupazione si trovano a dover combattere con un movimento di resistenza forte ed efficace (i partigiani, nda) e in questo contesto, gli italiani si macchiano di crimini che non sono diversi da quelli che riguardano la Wehrmacht – sottolinea Purini -. Com’era il caso con gli occupatori tedeschi, anche quelli italiani fanno il conteggio delle vittime, uccidendo dieci jugoslavi per un italiano. Vengono distrutti e incendiati interi villaggi, istituiti campi di concentramento…”, aggiunge lo storico, ricordando che, nonostante le reiterate richieste del governo jugoslavo nel dopoguerra, questi crimini di guerra non sono stati mai processati, grazie all’amnistia richiesta da Togliatti. Purini sottolinea un altro aspetto interessante che viene analizzato nel libro, ossia il sistema delle alleanze che gli italiani instaurarono con la parte più conservatrice dei movimenti esistenti nei territori occupati, avviando collaborazioni con gli ustascia e i cetnici, per nominare soltanto quelli più rilevanti.
L’autore ha esordito affermando che l’occupazione italiana dell’ex Jugoslavia non è un tema marginale, anche se nel corso dei decenni è stato sempre sminuito dall’opinione pubblica sia jugoslava sia italiana. “Si è preferito parlare dell’occupazione tedesca, mentre quando si faceva riferimento all’Italia venivano menzionati sempre altri fronti di guerra dai quali il Belpaese è sempre uscito sconfitto. Nel caso jugoslavo, invece, l’Italia è un occupatore vincente, con addirittura 300mila soldati disseminati in questi territori. Per fare un paragone, in Russia vengono mandati appena 60mila uomini”, ha puntualizzato Gobetti, soffermandosi sul tema del collaborazionismo nei territori occupati. Dal 1941 al 1943, il comando di Tito e il movimento partigiano si rafforzano, mentre al contempo si sviluppano i movimenti collaborazionisti (primi fra tutti gli ustascia croati e i cetnici serbi).
“L’aspetto del collaborazionismo è significativo da tutti i punti di vista. Gli italiani stabiliscono alleanze che spesso risultano delle contraddizioni che si trascinano in tutto il periodo di occupazione. L’alleanza con gli ustascia inizia già nel 1929, quando Ante Pavelić è in esilio in Italia. Ed è proprio lì che nasce il movimento ustascia, che raggiunge il suo apice nel 1941, quando Pavelić diventa dittatore dello Stato croato indipendente (NDH). Ma l’alleanza tra l’Italia e gli ustascia manifesta un’incoerenza interna. Infatti, gli ustascia sono fascisti e al contempo nazionalisti, per cui vogliono governare lo stesso territorio che è occupato dall’Italia (la Dalmazia). Quindi, questa è una contraddizione che porta gli italiani a stabilire un’alleanza con i cetnici, che sono filoinglesi, in quanto il loro governo si trova in esilio a Londra; di conseguenza si trovano in guerra con l’Italia. Una situazione paradossale.
Lo scrittore Giacomo Scotti, nel commentare quanto esposto da Gobetti, ha definito il volume ”Alleati del nemico. L’occupazione italiana in Jugoslavia 1941-1943” come un libro coraggioso perché analizza un aspetto scomodo e sottaciuto della storia italiana. “Il fascismo ha gettato l’onta sul popolo italiano, per cui ammiro il coraggio di Gobetti, che ha messo in luce i delitti fascisti, rimasti coperti da troppo tempo”.
Al termine della presentazione abbiamo voluto sapere dallo storico Gobetti in che modo venga insegnata la Seconda guerra mondiale nelle scuole italiane. “In Italia è diffuso il concetto di ‘Norimberga mancante’, in quanto non c’è mai stato un processo simile in Italia. Questo ha favorito lo stereotipo dell’‘italiano buono’ e l’impressione che sia stato meno peggiore degli altri. Di conseguenza, nelle scuole superiori non si insegna la storia dell’Italia nella Seconda guerra mondiale e non si parla assolutamente dell’occupazione balcanica. Quest’ultima non si insegna nemmeno nelle università”, ha fatto notare Eric Gobetti.
Helena Labus Bačić
La « Responsabilité de protéger » (R2P) comme instrument d’agression
Traduction
Dominique Arias
[1] Common Courage, 2005, Ch. 11 et 15.
[2] Cf. Manufacturing Consent, Ch. 2 : « Worthy and Unworthy Victims ».
[3] Ndt : En tant que membre permanent du Conseil de Sécurité de l’ONU, les USA ont droit de veto sur toutes les décisions de l’ONU ; or toute décision d’intervention ou de sanction passe nécessairement par le Conseil de Sécurité
[4] L’International Crisis Group : officiellement, ONG engagée dans la prévention et le règlement des conflits internationaux, financée par George Soros.
[5] Cf. John Pilger “East Timor : a lesson in why the poorest threaten the powerful,” April 5, 2012, pilger.com.
di Manlio Dinucci
La Farnesina informa che a Tripoli sono in corso violenti scontri tra milizie anche con armi pesanti e che sono stati danneggiati numerosi edifici, per cui la sicurezza non è garantita nemmeno nei grandi hotel della capitale. Non solo per gli stranieri, ma anche per i membri del governo: dopo il rapimento un mese fa del primo ministro Ali Zeidan dalla sua residenza in un hotel di lusso, domenica è stato rapito all’aeroporto il vicecapo dei servizi segreti Mustafa Noah. E mentre nella capitale miliziani di Misurata sparano su cittadini disarmati esasperati dalle violenze, a Bengasi prosegue senza soluzione di continuità la serie di omicidi di matrice politica.
Che fare? Il presidente Obama ha chiesto al premier Letta di «dare una mano in Libia» e questi ha subito accettato. La sua affidabilità è fuori discussione: nel 2011 Enrico Letta, allora vicesegretario del Pd, è stato uno dei più accesi sostenitori della guerra Usa/Nato contro la Libia. Sarà ricordata sui libri di storia la sua celebre frase: «Guerrafondaio è chi è contro l'intervento internazionale in Libia e non certo noi che siamo costruttori di pace».
Ora, mentre la Libia sprofonda nel caos provocato dai «costruttori di pace», è arrivato il momento di agire. L’ammiraglio William H. McRaven, capo del Comando Usa per le operazioni speciali, ha appena annunciato che sta per essere varata una nuova missione: addestrare e armare una forza libica di 5-7mila soldati e «una unità più piccola, separata, per missioni specializzate di controterrorismo».
Specialisti del Pentagono e della Nato sono già in Libia per scegliere gli uomini. Ma, data la situazione interna, questi verranno addestrati fuori dal paese, quasi certamente in Italia (in particolare in Sicilia e Sardegna) e forse anche in Bulgaria, secondo un programma agli ordini del Comando Africa del Pentagono.
L’ammiraglio McRaven non nasconde che «vi sono dei rischi: una parte dei partecipanti all’addestramento può non avere la fedina pulita». È molto probabile quindi che tra di loro vi siano criminali comuni o miliziani che hanno torturato e massacrato (elementi che, una volta in Italia, potranno circolare liberamente). E tra quelli addestrati in Italia vi saranno anche i guardiani dei lager libici in cui vengono rinchiusi i migranti.
Per il loro addestramento e mantenimento non basteranno i fondi già stanziati per la Libia nel decreto missioni all’esame del parlamento: ne occorreranno altri molto più consistenti, sempre attinti dalle casse pubbliche.
L’Italia contribuirà in tal modo alla formazione di truppe che, essendo di fatto agli ordini dei comandi Usa/Nato, saranno solo nominalmente libiche: in realtà avranno il ruolo che avevano un tempo le truppe indigene coloniali. Scopo della missione non è quello di stabilizzare la Libia perché torni ad essere una nazione indipendente, ma quello di controllare la Libia, di fatto già balcanizzata, le sue preziose risorse energetiche, il suo territorio strategicamente importante.
Ci permettiamo di dare un consiglio al governo Letta: l’Expo galleggiante della Cavour, rientrando nel Mediterraneo ad aprile dopo il periplo dell’Africa, potrebbe fare tappa anche in Libia per pubblicizzare i prodotti del Made in Italy. Come il cannone a fuoco rapido Vulcano della Oto Melara che, in mano ai libici che oggi mitragliano i barconi dei migranti, potrebbe risolvere il problema dell’emigrazione clandestina.