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A: Cnj interna
Il Partito Comunista di Ucraina chiede ai dirigenti dell'Unione Europea di reagire immediatamente alle dichiarazioni provocatrici del co-presidente della sua missione nel paese, Aleksandr Kwasniewski che, nella sua intervista sul giornale polacco Rzeczpospolita, ha apertamente invitato l'opposizione a usare la forza per impadronirsi del potere in Ucraina.
Il Partito Comunista esige anche di sapere dalla cancelliera Angela Merkel con quale diritto e a nome di chi il ministro degli Affari esteri tedesco Guido Westerwelle si sia recato in Piazza dell'Indipendenza per incontrare i rappresentanti dell' “opposizione”.
Il Partito Comunista invita il Ministro degli Affari Esteri a reagire nei confronti dell'ingerenza diretta di dirigenti di Stato stranieri negli affari interni del paese.
Si cerca di negare al popolo ucraino il diritto di disporre del proprio destino. Si cerca di negare il suo diritto a prendere decisioni in base ai propri interessi, e non a quelli del capitale internazionale.
Oggi, la pseudo-opposizione, come nel 2004, rappresenta la quinta colonna che sacrifica l'interesse nazionale sull'altare delle multinazionali. Sono praticamente gli stessi attori, le stesse promesse, gli stessi metodi.
Ecco perché il Partito Comunista invita tutti i cittadini, il popolo dell'Ucraina a cercare la risoluzione della crisi politica attuale con i soli strumenti legali.
In caso contrario, noi ci dirigeremo verso una “balcanizzazione” del paese, verso la distruzione dell'Ucraina come Stato.
Partito Comunista di Ucraina | solidnet.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
L'8 dicembre 2013, l'intero mondo civilizzato ha assistito all'atto vandalico e sacrilego, perpetrato sotto il pretesto dei valori europei, quando una folla festante di brutale estremismo distruggeva il monumento di Lenin nel centro di Kiev.
I principali canali televisivi mondiali hanno diffuso i filmati scioccanti dei rappresentanti del partito fascista "Libertà" guidato da Oleg Tyagnibok mentre come invasati abbattevano il monumento, minacciando che il prossimo obiettivo sarebbe stato il Presidente dell'Ucraina Viktor Yanukovych. La cosiddetta "Opposizione" in Ucraina esige apertamente la punizione dei funzionari governativi, mentre sovverte l'ordine pubblico, a partire dal pogrom di Kiev, dalle barricate, con il centro della capitale ucraina praticamente paralizzato.
Allo stesso tempo, i ministri degli esteri di Polonia, Lituania e Svezia, nonché alcuni leader politici dell'Unione europea, non hanno esitato a surriscaldare ulteriormente la situazione in Ucraina. Rappresentanti del Partito Popolare europeo hanno palesato approvazione per la situazione in Ucraina. Molti ambasciatori dell'Unione europea nei loro commenti hanno espresso anch'essi esplicita approvazione per il tentativo di rovesciamento del governo ucraino, infrangendo il saldo principio di non interferenza del mondo diplomatico.
Per converso è inimmaginabile una situazione in cui disordini in paesi come la Francia o la Svezia, ricevano il plauso dei politici di altri paesi per le azioni di una folla aggressiva, allo stesso modo è impossibile immaginare interferenze negli affari di un altro stato da parte del corpo diplomatico.
I tragici eventi in Ucraina vengono presentati sotto il pretesto di una lotta per i valori europei, ma di quali valori stiamo parlando, se al posto di un monumento demolito viene issata la bandiera dell'Unione europea, quando viene posta, in nome dei valori europei, la richiesta di distruzione fisica delle autorità?
I valori europei non possono essere chiamati a discolpa delle gravi percosse di una folla aggressiva ai danni di centinaia di funzionari di polizia disarmati dell'amministrazione del presidente dell'Ucraina, molti restati gravemente feriti.
Noi crediamo che le azioni della cosiddetta "opposizione" e del partito fascista "Libertà", che distruggono monumenti, commettono enormi provocazioni contro i funzionari di polizia e i dipendenti pubblici, occupano numerose istituzioni statali in Kiev, in nessun modo siano da considerarsi valori europei.
Sfortunatamente, i media filo-occidentali mostrano solo una parte della verità. I fatti reali che dovrebbero essere descritti da un punto di vista neutrale, sono taciuti. Il pubblico europeo è indotto a credere che, apparentemente, "tutto il popolo ucraino difende la scelta europea". In realtà c'è una traslazione di concetti: invece della retorica europea in Ucraina si inscena un colpo di stato.
Vi chiedo per sostenere le forze della sinistra in Ucraina. La situazione attuale nel paese rappresenta la continuazione di un serie di colpi di stato nel mondo arabo, con caratteristiche europee. Vi chiedo di condannare severamente il partito "Libertà". Vi chiedo di chiamare l'élite politica di tutto il mondo al boicottaggio del leader del partito "Libertà" e dei suoi deputati nel Parlamento di Ucraina. Vi chiedo di far appello alla Comunità mondiale per una sobria valutazione della situazione reale in Ucraina e per prevenire ulteriori estremismi e azioni provocatorie della cosiddetta "Opposizione" e di "Libertà" il partito guidato da Oleg Tyagnibok. Vi chiedo di chiamare tutti i deputati nei vostri parlamenti nazionali di tutti i livelli e i funzionari dei vostri partiti per sostenere con ogni mezzo la posizione del Partito comunista di Ucraina.
Di ogni vostra iniziativa informate il Dipartimento Internazionale del CC del Partito Comunista di Ucraina, in modo che possiamo rendere nota la vostra posizione in merito alla società ucraina. Credo sinceramente nel vostro sostegno.
Cordiali saluti
Il Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista di Ucraina, capogruppo dei comunisti nel Parlamento ucraino, membro della delegazione permanente ucraina nell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, Petro Symonenko
http://www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/21661-le-ragioni-della-battaglia-per-lucraina.html
KIEW/BERLIN (Eigener Bericht) - Enge Verbündete Berlins in der Ukraine intensivieren ihre Zusammenarbeit mit einer erstarkenden Partei der extremen Rechten, um eine prowestliche Politik in Kiew zu erzwingen. Mitte Mai haben die zwei größten ukrainischen Oppositionsparteien "Batkiwschtschina" und "UDAR" einen formellen Wahlpakt mit der rassistisch-antisemitischen Partei "Swoboda" geschlossen. Damit führen sie ihre bereits letztes Jahr eingeleitete Kooperation fort, die unter anderem die gemeinsame Wahl eines Swoboda-Abgeordneten zum Vize-Präsidenten des ukrainischen Parlaments beinhaltete. Batkiwschtschina wie auch UDAR gelten als prowestlich, arbeiten mit Berlin zusammen und werden von der CDU und deren Stiftung unterstützt. Swoboda beruft sich auf Tradition von NS-Kollaborateuren und hat bei den letzten Parlamentswahlen mehr als zehn Prozent der Stimmen erzielt. Die Partei hetzt gegen eine "Moskau-jüdische Mafia" und will, wie Batkiwschtschina und UDAR, den russischen Einfluss weitestgehend zurückdrängen. Sie arbeitet mit der deutschen NPD zusammen…
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58617
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58464
BERLIN/KIEW/MOSKAU (Eigener Bericht) - Der Kampf Berlins und Brüssels gegen Moskau um den dominierenden Einfluss auf die Ukraine spitzt sich zu. Der deutsche RWE-Konzern weitet seine Erdgaslieferungen an das osteuropäische Land seit Ende 2012 systematisch aus; Ziel ist es, Kiews Abhängigkeit von russischem Gas zu brechen - mit Hilfe der Umpolung bestehender Pipelines und umfangreichen Gaslieferungen aus Richtung Westen. Allerdings kommen die Bemühungen, die unter anderem vom deutschen EU-Energiekommissar Günter Oettinger gefördert werden, nicht schnell genug voran. Berichten zufolge beschweren sich prowestliche Kreise in der Ukraine, die Slowakei, ohne deren Pipelines ein Durchbruch kaum möglich sei, sperre sich gegen das Vorhaben. Brüssel müsse daher Druck auf sie ausüben, da Eile geboten sei: Die ukrainische Regierung hat letzte Woche ein Memorandum unterzeichnet, das als wichtiger Schritt zu ihrer Einbindung in die von Russland dominierte Eurasische Wirtschaftsgemeinschaft gilt, deren Gründung gegenwärtig vorbereitet wird. In Berlin gilt die ukrainische Teilnahme daran als unvereinbar mit der Integration Kiews in EU-Strukturen. Mit der neuen Zuspitzung nähert sich ein Streit der Entscheidung, der im Grundsatz seit 20 Jahren geführt wird…
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58616
KIEW/BERLIN (Eigener Bericht) - Eine Partnerorganisation der NPD gehört zu den tragenden Kräften der Pro-EU-Demonstrationen in der Ukraine. Dies bestätigen Berichte aus Kiew und Lwiw. Demnach werden die gegenwärtigen Proteste, mit denen die ukrainische Opposition die Regierung des Landes zwingen will, das Assoziierungsabkommen mit der EU zu unterzeichnen, von der Partei Swoboda mitorganisiert. In deutschen Medien wird Swoboda derzeit meist als "rechtspopulistisch" etikettiert. Tatsächlich hat Parteiführer Oleh Tiahnybok einst als Ziel seiner Partei angegeben, man wolle die Ukraine von einer "Moskau-jüdischen Mafia" befreien, um sie nach Europa zu führen - ein Beispiel für den krassen Antisemitismus der Organisation. Über enge Beziehungen nach Deutschland verfügen auch die anderen Parteien, die die aktuellen Pro-EU-Demonstrationen tragen. So kooperiert die Partei Batkiwschtschina der inhaftierten Politikerin Julia Timoschenko mit der CDU. Die Partei UDAR des Profi-Boxers Vitali Klitschko ist nach Auskunft eines CDU-Politikers im Auftrag der Konrad-Adenauer-Stiftung (CDU) gegründet worden. Batkiwschtschina und UDAR arbeiten seit letztem Jahr eng mit der Antisemiten-Partei Swoboda zusammen - in einer Art Bündnis für die Anbindung der Ukraine an die EU…
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58743
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58744
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58700
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58751
KIEV/BERLIN (Own report) - An influential publicist and former Head of the German Defense Ministry's Planning Staff is criticizing the "expansive ambitions" of Germany's current policies toward the Ukraine. The power struggle over Kiev, bombastically presented to the western public as a struggle "for self-determination," is "in reality" nothing more than a "big geopolitical game," writes Theo Sommer, longtime "Editor at Large" of the German weekly "Die Zeit." The EU Association Agreements - one of which is supposed to be signed by the Ukraine - are "reeking of expansive ambitions." Sommer's reference to "geopolitics" brings to mind Germany's more than a century old power struggle over the Ukraine - a country "interposed" between the two poles of power, Berlin and Moscow - in the course of Berlin's ongoing eastward expansion. The German Reich succeeded for only a short time in incorporating the Ukraine into its hegemonic sphere - during the spring and summer of 1918. Following Germany's defeat in WW I, German strategists continued to pursue their efforts and the objective is being sought by the Federal Republic of Germany still today…
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58703
KIEW/BERLIN (Eigener Bericht) - Eine ausführliche Analyse aus Kiew bestätigt die Absicht, die geplante Anbindung der Ukraine an die EU mit einer Nutzung ukrainischer Truppen für deutsch-europäische Kriege zu verbinden. Wie es in einer Untersuchung heißt, die die CDU-nahe Konrad-Adenauer-Stiftung gemeinsam mit dem Kiewer "Center for Army, Conversion and Disarmament Studies" veröffentlicht hat, gehe es bei der zur Debatte stehenden EU-Assoziierung "unzweifelhaft" auch um die Integration der Ukraine "in die Sicherheitskomponente der EU", die "Gemeinsame Sicherheits- und Verteidigungspolitik" (GSVP). Seit 1991 hat Kiew regelmäßig mit der NATO kooperiert und auch Soldaten in NATO-Kriege entsandt. Der NATO-Beitritt des Landes ist jedoch unter anderem auf deutsches Betreiben verhindert worden. Inzwischen werden ukrainische Militärs zunehmend in EU-Truppen (Battle Groups) und EU-Interventionen (Atalanta) eingesetzt. Jenseits des Nutzens für deutsch-europäische Kriege weisen US-Spezialisten darauf hin, dass die militärpolitische Anbindung der Ukraine an die EU und ihre Lösung von Russland strategisch hohe Bedeutung hat: Ohne die Ukraine sei Russland, heißt es, nicht zu verteidigen…
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58755
Das Auswärtige Amt hat sich mit dem ukrainischen Oppositionellen Vitali Klitschko über Sanktionen gegen Kiew ausgetauscht…
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58463
KIEW/BERLIN (Eigener Bericht) - Die Bundesregierung will den Box-Champion Witali Klitschko als Präsidentschaftskandidaten in der Ukraine platzieren und ihn in Kiew an die Macht bringen. Dies geht aus Medienberichten hervor. Demnach soll die Popularität des ukrainischen Oppositionspolitikers durch gemeinsame öffentliche Auftritte beispielsweise mit dem deutschen Außenminister gemehrt werden. Auch sei aus PR-Gründen ein Treffen zwischen Klitschko und Bundeskanzlerin Merkel beim nächsten EU-Gipfel Mitte Dezember geplant. Tatsächlich erhalten Klitschko sowie seine Partei UDAR nicht nur massive Aufbauhilfe von der Konrad-Adenauer-Stiftung; UDAR sei 2010 sogar im unmittelbaren Auftrag der CDU-Stiftung gegründet worden, berichtet ein CDU-Politiker. Schilderungen des Verlaufs von Stiftungsmaßnahmen, die dem Aufbau der Klitschko-Partei dienen, lassen erkennen, wie die deutsche Seite über UDAR Einfluss auf die innere Entwicklung in der Ukraine nimmt. In zunehmendem Maße wird inzwischen Polen für die Berliner Ukraine-Politik herangezogen. Die extrem rechte ukrainische Partei Swoboda ("Freiheit"), mit der Berlin und Warschau dabei kooperieren, steht in der Tradition von NS-Kollaborateuren, die im Zweiten Weltkrieg 100.000 Polen christlichen wie jüdischen Glaubens massakrierten…
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58754
Ucraina: Klitschko, Yatseniuk e Thyanubok gli eredi di Timoshenko
Un pugile. Un tecnocrate. Un estremista di destra. Chi sono i nuovi leader di Kiev. Che sfidano Yanukovich. E Putin.
Le tende in piazza dell’Indipendenza a Kiev non si vedevano dal 2004. Il dicembre di quell’anno fu fatale a Viktor Yanukovich, spazzato via dall’onda arancione guidata da Viktor Yushchenko e Yulia Timoshenko.
Allora la Maidan contagiò mezzo mondo nella festa dei suoi eroi. Sarebbero passati pochi mesi a riportare tutti con i piedi per terra.
LA RIVOLUZIONE FALLITA. La rivoluzione di 10 anni fa naufragò appena iniziata a causa dei dissidi tra i suoi protagonisti, d’accordo solo negli slogan populisti e nel voler mandare a casa i vecchi governanti, ma senza uno straccio di programma comune per gestire un Paese in mano all’oligarchia.
Oggi le facce sono cambiate, ma lo schema rimane lo stesso.
IL TRIO ANTI-YANUKOVICH. A guidare le proteste contro Yanukovich non è stavolta una coppia, ma un trio di soli uomini. Come dire che il gioco si fa più duro, con tutto il rispetto per l’eroina della Rivoluzione arancione che è finita fuori gioco, isolata dietro le sbarre a Kharkiv.
La piazza di Kiev è ora in mano a tre signori che vogliono spodestare dal piedistallo il presidente e rivoltare il Paese come un guanto, spezzando anche il legame con la Russia di Vladimir Putin. Come avrebbero voluto fare allora Yushchenko e Timoshenko.
NON C'È UN PROGRAMMA. Oggi sono il campione di pugilato Vitaly Klitschko, l’ex delfino di Yushchenko Arseni Yatseniuk e il leader del partito nazionalista Svoboda Oleg Thyanubok a guidare la crociata anti-regime.
Una troika colorata che ha raccolto le istanze di cambiamento di buona parte della popolazione, senza però avere un programma concreto da offrire.
Klitschko è il vero leader della troika dell'Ucraina
In Germania, praticamente la sua seconda patria, ha ottimi contatti con il partito della cancelliera, attraverso la Fondazione Konrad Adenauer.
La sua è una formazione europeista e moderata, che raccoglie consensi in tutto il Paese, trasversalmente. Secondo i sondaggi la sua popolarità è analoga a quella di Yanukovich e alle elezioni presidenziali del 2015 sarebbero proprio loro due a contendersi il successo in caso di ballottaggio.
C'È ANCHE UN TECNOCRATE. Accanto a Klitschko, c'è Yatseniuk che con la faccia da bravo scolaretto perde chiaramente il duello del carisma. Ma l’ex governatore della Banca nazionale ed ex ministro dell’Economia è un tecnocrate con una strategia ben precisa.
Prima alla testa del Fronte del cambiamento ha promosso la fusione con Patria, il partito di Timoshenko, dopo che quest’ultima è finita in galera. Ora ha assunto le redini del partito, accusato tra l’altro, dai fedelissimi dell’ex premier, di non aver fatto abbastanza per la sua liberazione.
Vuole coagulare l’elettorato moderato, il popolo arancione che aveva creduto nel suo mentore Yushchenko, ma non essendo un trascinatore di folle, avrebbe la peggio nello scontro diretto contro Yanukovich.
THYANIBOK IL POPULISTA. Di ben altra pasta è fatto invece il terzo alfiere dell’opposizione: Thyanibok.
Anima nazionalista con il cuore spostato un po’ troppo a destra, accusato di antisemitismo, è stato sdoganato alle elezioni parlamentari del 2012, quando Timoshenko diede la benedizione all’alleanza tra Patria e Svoboda, suscitando le critiche delle organizzazioni ebraiche di mezzo mondo.
Entrato trionfalmente in parlamento con un manipolo di deputati, Thyanibok ha fatto del populismo la sua arma migliore. Il programma del suo partito, in realtà eurocritico come quello dei movimenti analoghi nell’Europa occidentale, stona con le regole di buona educazione nei rapporti con Bruxelles che si sono dati Klitschko e Yatseniuk, ma al momento nessuno ci fa caso, in Ucraina come altrove.
L’importante per la troika che vuole mandare al tappeto Yanukovich è l’unione di intenti, poi si vedrà. Una strategia che il Paese ha già pagato caro, ma che può essere il punto di partenza per cercare una vera svolta.
Martedì, 03 Dicembre 2013
Jahren stützt, um ihre Interessen in dem Land durchzusetzen, schließt nicht nur konservative Parteien, sondern auch Kräfte der extremen Rechten ein. Hintergrund ist deren Stärke vor allem in der Westukraine, die sich in dem Kult um einstige NS-Kollaborateure manifestiert. Im nationalistischen Milieu, das er prägt, ist derzeit insbesondere die Partei "Swoboda" fest verankert. Ihr Anführer ruft in diesen Tagen in Kiew zu einer "Revolution" auf…
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/58748
Il mondo sta rendendo il giusto omaggio a Nelson Mandela, una grande figura di rivoluzionario e alfiere dell’emancipazione del suo popolo dai lacci del razzismo, che è uno storico corollario del colonialismo e dell’imperialismo.
Purtroppo più che commemorare Mandela per quello che è stato e per come è stato il circo mediatico non può sfuggire alla necessità di edulcorare la sua figura di combattente e così al posto di Mandela si cerca di offrire al pubblico un santino evirato e sostanzialmente innocuo.
Mandela viene giustamente ricordato come un campione della lotta contro il regime razzista dell’apartheid ma è il contesto della sua lotta che viene abilmente taciuto.
Egli ha fatto interamente parte di quel movimento di liberazione dei popoli di colore dal suprematismo bianco e dall’imperialismo occidentale che ha scosso il mondo dalla fine del secondo conflitto mondiale in poi, portando alla decolonizzazione di interi continenti che nel giro di pochi decenni, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, erano stati completamente spartiti, predati e riorganizzati dalle potenze capitalistiche avanzate in base ai loro esclusivi interessi.
Quello di Mandela è il capitolo di una storia di riscossa e rinascita che affonda le proprie radici a partire dalla rottura del fronte dei paesi imperialisti a seguito della Rivoluzione d’Ottobre, rivoluzione che generò un nuovo potere statuale sulle macerie della Russia zarista. Potere che per primo si pose l’obiettivo di saldare la lotta di classe per l’emancipazione degli sfruttati nelle metropoli capitalistiche e la lotta di liberazione nazionale dei popoli che erano asserviti dall’imperialismo.
Il richiamo che la Russia sovietica, il Komintern e l’intero movimento comunista internazionale esercitarono sui popoli di colore e l’impatto del loro appoggio alla causa della liberazione dal giogo coloniale e imperialistico fu enorme. Dal secondo congresso del Komintern Lenin annunciò l’alleanza strategica del movimento comunista con le correnti del nazionalismo rivoluzionario. E i militanti nazionalisti di quello che più tardi si sarebbe chiamato Terzo Mondo presero a guardare con fiducia e simpatia verso Mosca, sicuri di aver trovato una sponda cui appoggiarsi per lottare contro l’oppressione occidentale.
Alcuni militanti nazionalisti maturarono poi convinzioni che li portarono a diventare comunisti, altri non giunsero a tanto, ma compresero l’importanza dell’Ottobre e videro nell’Unione Sovietica e nel movimento comunista internazionale un naturale alleato nella lotta antimperialista. Ancor più dopo che la costruzione della potenza sovietica permise di sconfiggere il nazifascismo e il suo ambizioso tentativo di imporre i disumani metodi di dominio e sopraffazione che le potenze imperialiste avevano già applicato nelle colonie allo stesso continente europeo, fino a progettare lo sterminio sistematico di intere popolazioni.
Il crollo della Germania e del Giappone aprì una nuova fase della storia dei popoli di colore. Anche gli imperi coloniali che erano usciti vincitori dalla guerra tremarono. Iniziava la decolonizzazione. Fu il momento della rivoluzione cinese, di quella coreana, della sconfitta dei francesi a Dien Bien Phu ad opera dei vietnamiti. Fu l’inizio della sollevazione dell’Indocina, dell’Algeria. Fu l’annuncio della rinascita araba e anche di quella dei popoli africani.
Mandela ha fatto parte di questa storia. Insieme a Nkrumah, a Lumumba, a Kabila, a Nyerere, a Neto, a Cabral, a Sankara e a Mugabe, per non citare che i nomi di alcuni protagonisti della riscossa dell’Africa nera.
In questi giorni quel foglio reazionario che risponde al nome di “Repubblica” ha riproposto, per il lavaggio del cervello dei suoi incauti lettori, un articolo tratto dal “New York Times”1. E’ noto che gli Stati Uniti appoggiarono fino all’ultimo il regime sudafricano dell’apartheid e che trattarono Mandela alla stregua di un feroce terrorista. Per quanto sia di cattivo gusto proporre un ricordo di Mandela da parte di uno degli organi di stampa ufficiali della politica statunitense alcuni rilievi dell’articolo meritano che ci si soffermi e che si abbia il coraggio di guardare il fondo della latrina.
L’articolo di Bill Keller congettura sull’appartenenza o meno di Mandela al partito comunista sudafricano. Ma poi, a ben guardare, si sente in dovere di scagionarlo da tale ipotetica macchia sottolineando che in fondo il leader sudafricano è stato molte cose: “un nazionalista nero e un anti-razzista, si dichiarò contrario alla lotta armata e giustificò la violenza, fu una testa calda e diede prova di calma olimpica, fu divoratore di opuscoli marxisti e ammiratore della democrazia occidentale, stretto alleato dei comunisti e, durante la sua presidenza, partner dei potenti capitalisti sudafricani”. In fondo fu compagno di strada dei comunisti solo per avere degli alleati e l’aiuto più grande glielo diedero quando crollò il campo socialista, disinnescando il pericolo rappresentato dall’ANC in Sudafrica agli occhi di Washington, perché ormai la guerra fredda era finita. Questa la tesi. Una tesi che sembra suggerire, tra le altre cose, non senza suscitare involontariamente una certa ilarità, che se non ci fosse stato il pericolo sovietico sarebbero stati gli Usa a mettersi alla testa dei movimenti rivoluzionari e di emancipazione del pianeta.
In realtà l’articolista può smetterla di arrovellarsi: Mandela è stato membro del SACP e membro del suo Comitato Centrale per giunta, come ricordato dai comunisti sudafricani nel loro necrologio ufficiale2.
Successivamente, da leader dell’African National Congress, è stato un alleato fedele del partito comunista nella lotta di liberazione contro il regime dell’apartheid, tessendo un’alleanza che dura ancora, e non a caso.
Mandela ha guardato al movimento comunista, come moltissimi altri con lui in ogni continente, perché il movimento comunista è stato il più grande fattore dei processi di liberazione ed emancipazione della storia contemporanea. E’ stato ad oggi l’unica dottrina politica che è riuscita a fondere le due questioni cardinali della nostra epoca: la questione sociale e la questione nazionale. E’ stata una proposta politica che come poche altre ha concorso a trasformare in soggetti attivi masse disperate, fino ad allora oggetto del gioco di altri. Ha innescato il più grande processo di liberazione della storia umana. Nessun altro movimento ha ottenuto e realizzato di più. Coloro che lo criticano o lo deridono fanno riferimento a culture e movimenti politici che non sono arrivati nemmeno alle anche del movimento comunista internazionale.
Certamente quello innescato dal movimento comunista è stato un fenomeno e un processo di liberazione che, come tutto ciò che ha a che fare con la materialità e la concretezza della realtà e non solo con il mondo astratto delle idee declamate nei salotti, ha avuto anche un andamento complesso, non privo di contraddizioni. Ma come ogni movimento e fenomeno storico concreto va colto nelle sue caratteristiche e nei suoi effetti salienti. Chi ne parla a partire dal gulag, senza peraltro minimamente contestualizzarlo, pretende di iniziare un pasto a partire dal caffè.
Tra l’altro il processo di emancipazione innescato dall’Ottobre continua, a dispetto dei capricci della sinistra sinistrata occidentale, convertita o meno al liberismo, sia nella sua variante liberal che in quella radical. Continua nell’ascesa dei paesi emergenti, trainati dalla Cina, continua nel nuovo corso imboccato dall’America Latina e in mille altri processi e movimenti antimperialisti, pur di altri colori e di altre estrazioni ideologiche, che stanno cambiando i rapporti di forza su scala mondiale e il volto stesso della modernità. Continua nell’erosione della supremazia statunitense e occidentale, verso le quali, anche in tempi recenti, Mandela ebbe parole durissime.
Non è dunque frutto del caso l’alleanza strategica tra Mandela, l’ANC e i comunisti. Ed è un dato di fatto che fa onore tanto a Mandela e ai nazionalisti sudafricani che al movimento comunista nel suo complesso. Ma accettare questo fatto, comprenderlo, implicherebbe il ribaltamento della ideologia “liberal” e americanista fatta propria dal fogliaccio di Scalfari e da quella porzione del panorama politico e culturale che vi vede un riferimento. Allora crollerebbe il castello di colossali frottole costruite per l’immaginario della sinistra sinistrata negli ultimi decenni, immaginario propedeutico al disarmo totale e all’integrale accettazione nel sistema valoriale del pensiero unico e del suo blocco di interessi.
Mandela, proprio come i suoi compagni di lotta comunisti, non è stato tenero in un’epoca e contro un nemico con il quale teneri non si poteva essere. Non siamo solo noi a scegliere, a volte sono altri a spingerci verso determinate scelte, come sa chiunque abbia un minimo di dimestichezza con le reciprocità che caratterizzano un sistema di interazioni.
Allora andrebbe anche contestualizzato il regime dell’apartheid e il suo operato. Il suo battesimo nel 1948 e il patto d’acciaio “per la giustizia” con lo Stato d’Israele, suo eterno alleato. Un alleato che avrebbe fornito al Sudafrica tutti i sistemi d’arma di cui questi abbisognava3 (dai missili Jericho in poi) per condurre una spietata guerra contro i suoi vicini dell’Africa australe. Un particolare su cui i media, a partire da “Repubblica”, edizione italiana del “Jerusalem Post”, sorvolano volentieri.
Il Sudafrica razzista non fu feroce solo con la propria popolazione nera, fu feroce anche con i paesi limitrofi che aggredì e occupò a più riprese. La decomposizione dell’impero coloniale portoghese in Africa australe e l’affermarsi di movimenti di liberazione nazionale di ispirazione marxista in Angola e in Mozambico erano visti dal regime sudafricano come il fumo negli occhi. Le fiamme della lotta di liberazione stavano incendiando la prateria e il fuoco attizzava il risveglio della popolazione della Namibia (occupata dal Sudafrica dalla fine della prima guerra mondiale) e della stessa popolazione nera sudafricana in tumulto.
In quell’angolo di mondo la guerra fredda divenne calda, come ha scritto con dovizia di particolari Vladimir Shubin, in un saggio che ricostruisce quella guerra e che incredibilmente non ha ancora trovato un editore italiano4. Da una parte il regime sudafricano appoggiato da Israele, dagli Usa e dalla Gran Bretagna e affiancato sul terreno dalle contras costituite dalle bande armate controrivoluzionarie dell’UNITA e dalla RENAMO; dall’altro campo l’Angola, il Mozambico, i partigiani namibiani della SWAPO sostenuti dai volontari cubani e dagli aiuti diretti dell’Unione Sovietica, che inviò uomini e materiali in un gigantesco sforzo logistico.
E’ una guerra la cui storia meriterebbe ben altra trattazione. Una guerra in cui la divisione degli schieramenti già dice tutto, più di mille parole. Una guerra della quale non si parla volentieri.
Una guerra che finisce allorquando il Sudafrica subisce una disfatta militare irreparabile a seguito della battaglia di Cuito Cuanavale nei primi mesi del 1988, la più grande battaglia della storia africana dopo quelle del secondo conflitto mondiale. Determinante l’aiuto cubano all’Angola. Determinante la solidarietà internazionalista tra i movimenti di liberazione dell’Africa australe. Determinante, per il risvolto sudafricano della vicenda, il patriottismo con cui Mandela e l’ANC sono andati fino in fondo senza mai arrendersi alle avversità.
Dopo Cuito Cuanavale diviene chiaro che il regime razzista dell’apartheid non può vincere e che non ha più prospettive. Il compromesso che sta alla base della liberazione di Mandela e della nascita del nuovo Sudafrica è a quel punto un risultato strappato con le unghie e con i denti e accettato, per realpolitik, come il male minore dagli Usa, che però impongono al paese la rinuncia all’arma atomica, progettata in comunione con Israele.
Mandela ha riconosciuto il peso determinante avuto dagli eventi angolani e soprattutto dall’impegno cubano nel conflitto australe nell’avergli aperto le porte della prigione: “Cuito Cuanavale segna la virata nella lotta per la liberazione del continente africano e alla sferza dell’apartheid nel nostro paese […] La sconfitta dell’esercito razzista a Cuito Cuanavale diede la possibilità all’Angola di godersi la pace e consolidare la propria sovranità […] permise al popolo combattente della Namibia di conquistare finalmente la propria indipendenza […] e servì da ispirazione al popolo combattente del Sudafrica”5.
Il Sudafrica di oggi resta un paese attraversato da molte contraddizioni, che si trova nell’esigenza di approfondire il suo percorso di liberazione. Ma è un paese migliore. Saldamente ancorato nel fronte antimperialista anche tramite la scelta di aderire al gruppo BRICS con la Cina, il Brasile, l’India e con la Russia di Putin. Un altro elemento su cui molto ci sarebbe da riflettere, infierendo sulla visione astratta del mondo fatta propria da “Repubblica” e dalla sinistra sinistrata liberal e radical.
Oggi Mandela ci viene presentato come un santino senza storia. Lo si mette volentieri nel pantheon dei benpensanti e del politicamente corretto. Magari accanto a Gandhi e a quel predicatore visionario, generoso e un po’ fanatico di Martin Luther King. E’ fargli un torto. Accostarlo a Obama, che si era recato come un avvoltoio in Sudafrica già tempo fa per sfruttare mediaticamente l’evento della morte del grande rivoluzionario per lustrare un po’ la sua immagine, alquanto ammaccata nonostante la santificazione di cui è oggetto da parte della sinistra-destra occidentale, è fargliene due.
Sarebbe meglio ricordarlo con le sue parole:
“Se c'è un paese che ha commesso atrocità indicibili nel mondo, questi sono gli Stati Uniti d'America. A loro non importano gli esseri umani […] l'atteggiamento degli Stati Uniti d'America è una minaccia per la pace nel mondo6."
Ma non pretendiamo che lo faccia “Repubblica”.
Forse dovremmo essere indulgenti con questi alfieri della sinistra che sta in fondo a destra e che più che sconfitte storiche e leader farlocchi non hanno contribuito a confezionare. Ma è più opportuno tenere a mente quanto diceva Gramsci quando ammoniva a non comprare i giornali antioperai, perché ogni soldo dato dal lavoratore per comprare il giornale del nemico di classe è una pallottola nel fucile della reazione puntato contro il movimento operaio:
“[…] l’operaio deve negare recisamente qualsiasi solidarietà col giornale borghese. Egli dovrebbe ricordarsi sempre, sempre, sempre, che il giornale borghese (qualunque sia la sua tinta) è uno strumento di lotta mosso da idee e da interessi che sono in contrasto coi suoi. Tutto ciò che stampa è costantemente influenzato da un’idea: servire la classe dominante, che si traduce ineluttabilmente in un fatto: combattere la classe lavoratrice. E difatti, dalla prima all’ultima riga, il giornale borghese sente e rivela questa preoccupazione.
Ma il bello, cioè il brutto, sta in ciò: invece di domandare quattrini alla classe borghese per essere sostenuto nell’opera di difesa spietata in suo favore, il giornale borghese riesce a farsi pagare …dalla stessa classe lavoratrice che egli combatte sempre. E la classe lavoratrice paga, puntualmente, generosamente.
Centinaia di migliaia di operai, danno regolarmente ogni giorno il loro soldino al giornale borghese, concorrendo così a creare la sua potenza. Perché? Se lo domandate al primo operaio che vedete nel tram o per la via con un foglio borghese spiegato dinanzi, voi vi sentite rispondere: ‘perché ho bisogno di sapere cosa c’è di nuovo’. E non gli passa neanche per la mente che le notizie e gli ingredienti coi quali sono cucinate possono essere esposti con un’arte che diriga il suo pensiero e influisca sul suo spirito in un determinato senso. [...] E non parliamo dei fatti che il giornale borghese o tace, o travisa, o falsifica, per ingannare, illudere, e mantenere nell’ignoranza il pubblico dei lavoratori.
Malgrado ciò, l’acquiescenza colpevole dell’operaio verso il giornale borghese è senza limiti. Bisogna reagire contro di essa e richiamare l’operaio all’esatta valutazione della realtà. Bisogna dire e ripetere che quel soldino buttato là distrattamente nella mano dello strillone è un proiettile consegnato al giornale borghese che lo scaglierà poi, al momento opportuno, contro la massa operaia”7.
Sono in molti a dare ancora credito alla “Repubblica” in quanto giornale di riferimento del centrosinistra (nonostante quello che è concretamente oggi il centrosinistra) o addirittura “di sinistra”. Un credito ampiamente immeritato, come mostrano gli articoli su quasi tutti i temi più importanti: dalla glorificazione di Monti prima e Napolitano poi, alle prese di posizione sulla politica estera nei riguardi della Russia, dei recenti avvenimenti golpisti in Ucraina, della tragedia libica e di quella siriana. Tutti argomenti sui quali “Repubblica” si è mostrata addirittura più retriva e reazionaria del “Giornale” di Berlusconi.
La sua magnificazione di Obama, del mito americano e di questa Unione europea avida e tirannica e del miraggio cosmopolita col quale far digerire un futuro di emigrazione e miseria per i nostri figli costituiscono ormai il suo distintivo. Anche in merito allo snaturamento dei riferimenti storici della sinistra svolge assai bene il suo ruolo e disgraziatamente la figura di Mandela non poteva sfuggire al trattamento.
NOTE
1 “La Repubblica”, 9 dicembre 2013
2 Per il comunicato del SACP si veda: http://www.marx21.it/internazionale/africa/23245-i-comunisti-sudafricani-rendono-omaggio-a-nelson-mandela.html
3 http://www.medarabnews.com/2010/05/25/israele-e-l%E2%80%99apartheid-un-matrimonio-di-convenienza-e-di-potenza-militare/
4 V. Shubin, The Hot Cold War: the USSR in Southern Africa; London Pluto Press, 2008
5 http://www.granma.cu/italiano/esteri/25marz-Cuito.html
6 http://rt.com/news/mandela-sharp-quotes-media-860/
7 A. Gramsci, I giornali e gli operai; in: “Avanti!” ed. piemontese, 22 dicembre 1916