Informazione


Recensioni a "Magazzino 18" di S. Cristicchi

1) Samantha Mengarelli
2) Stefano Crippa (Il Manifesto)


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Recensione sullo spettacolo “Magazzino 18”, rappresentazione del 22/12/2013 al teatro Sala Umberto di Roma


Lo spettacolo non è piaciuto, sotto vari punti di vista: artistico, storico-culturale e morale.

Ha confermato purtroppo in modo ancor più deludente le aspettative, senza dubbio influenzate dalla serie di impressioni ed opinioni maturate nel corso dei mesi scorsi, durante la promozione dello stesso. Promozione durante la quale si sono succedute corrispondenze e brevi confronti con Simone Cristicchi (coautore) ed altri suoi collaboratori, non sempre purtroppo adeguatamente argomentati.

Nonostante ciò, ci si è sforzati di assistere alla rappresentazione in modo “imparziale”, immersi nel coinvolgimento della sala e del momento. 

Lo spettacolo è risultato noioso, pesante e capzioso. In una scenografia statica che forse non rende il movimento proprio della drammaticità di una migrazione, qual vorrebbe raccontare. Apre e chiude la scena “lo spirito delle masserizie”, che piace evidentemente tanto agli autori, forse per il tocco di esoterismo e di indubbia matrice borghese, di cui viene accentuata una legittima nostalgia dei beni materiali a cui si da un’anima, che da un lato personalizza con un certo individualismo le perdite, però poi nello spettacolo la tragedia e la sfortuna di chiunque diventa la più grande tragedia di tutti. Una diffusa, abile e pericolosa arte della generalizzazione, che tradisce però il bisogno di obiettività storica, di cui lo spettacolo stesso intende farsi portavoce, come si evince in vari momenti della sua rappresentazione.

I testi dei dialoghi appaiono miseri, tendenti al patetico, inseriti in un monologo in cui il cantautore/attore si destreggia non male, con buona interpretazione, dei vari ruoli, ma dimostra più di un’ incertezza, specie laddove sembra siano state apportate modifiche, rispetto alle repliche in Istria e a Trieste. Con il tono sarcastico ed il tentativo di sdrammatizzare alcune vicende, il distratto archivista Persichetti dall’accento romano (e non romanesco) non alleggerisce nulla, ma ha l’effetto di rendere forse banali e riduttivi i delicati temi trattati. Non compaiono altri attori sulla scena. Stavolta non sono fisicamente sul palco i bambini che cantano “la buca” (testo violento, evocante le uccisioni nelle foibe, con il colpo in testa) e che accompagnano in coro, con un bastone in mano, “noi siam la classe operaia”, nel racconto della vicenda dei lavoratori Monfalconesi. L’immagine sfocata dei minori che cantano è proiettata su un grande schermo calato sullo sfondo. Sul palco fa ingresso soltanto una bambina, nella rievocazione della tragedia sulla spiaggia di Vergarolla, a seguito dello scoppio delle mine insabbiate in tempo di guerra (ma insabbiate da chi? non viene detto). La bambina è tenuta in braccio dal protagonista dopo la morte scenica, a mo’ di pietà religiosa. Il racconto di questa strage di civili nello spettacolo è in fila alle rappresaglie antifasciste per mano jugoslava, si richiama la sua natura di attentato, che si allude di origine partigiana. Nella realtà, non si conoscono i mandanti.

La Jugoslavia di Tito e dei “partigiani con la stella rossa” (così il protagonista li richiama spesso) ne escono demonizzati, non c’è alcun dubbio. Il peggior comunismo della storia appare quello di Tito. E’ dichiarato piuttosto esplicitamente quando si accenna all’uscita della Jugoslavia dal COMINFORM. Vicenda storico-politica complessa su cui lo spettacolo ironizza, semplifica e non argomenta abbastanza.

Tale lettura è dimostrata dal fatto che il protagonista riporta una “testimonianza storica” quale la presunta confessione di un collaboratore di Tito, Milovan Gilas, identificato come il suo braccio destro, che lo accusa di aver dichiaratamente fatto propaganda anti-italiana, ordinando la cacciata dalle terre d’Istria, per il progetto di invasione della grande Jugoslavia. Di qui, le accuse di pulizia etnica addossate ai partigiani di Tito, come gli unici colpevoli degli orrori delle foibe e delle stragi della rappresaglia antifascista, secondo un piano di strategia del terrore, ampiamente richiamato nello spettacolo. Ma quali sono le fonti?

E’ anche per questo, che l’obiettivo dello spettacolo, mascherato da una veste che pretende di essere equilibrata per il solo fatto di introdurre in non più di dieci minuti l’antefatto fascista, citando i campi di concentramento in Italia come Rab e richiamando con buonismo le vittime (come la bambina slovena) di tutte le guerre, risulta invece di evidente sapore nazionalista, antipartigiano e anticomunista. Non può pertanto vantare oggettività storica e imparzialità politica, poiché alcune delle parti in causa, ne escono offese e snaturate e questo può ricevere consensi, ma non è intellettualmente onesto

In questa rappresentazione a Roma, differendo da precedenti, all’antifascismo è fatta qualche concessione in più. Non è stato riproposto il commento di sdegno e di biasimo dato alla voce degli esuli, rivolto all’ex Presidente Sandro Pertini, in occasione del riconoscimento degli onori ai partigiani jugoslavi ed al Presidente e generale Tito. Sono state invece introdotte delle parti di testo, anche a seguito di corrispondenza polemica con membri dell’ANPI e dell’associazione CNJ onlus. Viene citata l’ invettiva di Mussolini: “Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava, non si deve seguire la politica che da lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche [”  parafrasando e rendendo il concetto di evidente razzismo con l’espressione: “per ogni dente italiano una testa slava” e poi ironizzando sul mito “Italiani Brava gente”, a cui si allude con un connotazione fortunatamente condivisibile. Verso la fine si parla dei “rimasti” in Istria, considerati le vittime per eccellenza sia degli italiani fascisti che degli slavi comunisti titini. Ma, il biasimo più grande viene reso a Tito, estrapolando e interpretando un suo discorso sull’accoglienza e sul rifiuto del riconoscimento della condizione di esuli ai “dirigenti fascisti”, additandolo di paradossale intolleranza, nutrita (e non è vero) verso tutti gli esuli. I “rimasti” in Istria, appaiano i disadattati nel regime comunista jugoslavo o gli accusati di fascismo; è proprio così?

E quindi accade che, anche la citazione sopra riportata di Mussolini riguardante gli Slavi, nel corso dello spettacolo sembra far gioco alla legittimazione del giudizio di barbarie e crudeltà delle truppe partigiane titine, che risultano incriminate di tutte le tragedie personali rappresentate, come la storia di Norma stuprata e buttata nelle foibe, la storia del postino, che risale la buca, la storia dell’attentato di Vergarolla, la storia della bambina che muore di freddo nel campo profughi di Patriciano, la storia dei Monfalconesi portati nel campo di prigionia di Goli Otok, le rappresaglie violente antifasciste, la storia dell’esodo della famiglia di Ferdinando Biasol e delle sue “cose” nel Magazzino 18, al Porto Vecchio di Trieste.

Uno degli azzardi più impropri è il paragone tra gli emigranti italiani del dopo guerra e gli esodati istriani, dove viene evidenziata la diversa condizione dei primi motivati secondo gli autori, solo dal sogno “dell’andar a cercare fortuna” e dei secondi, cacciati dalla loro terra dalle politiche di conquista della “Grande Jugoslavia”. Questa approssimazione non rende verità storica e umana ne’ agli uni ne’ agli altri; è infatti nota la disperazione, la povertà di base degli emigranti italiani del dopo guerra, e la realtà delle politiche di economia industriale del Piano Marshall. Così come è noto e documentato che le ondate degli esodi degli Istriani hanno avuto carattere diverso, e contava fascisti militanti, borghesi regnicoli e Italiani meno abbienti, spinti dalla miseria. Lo stesso protagonista dello spettacolo restituisce invece immagini di molti degli esuli che perdono le loro belle case con panorama sulle sponde dell’Adriatico dell’Istria, per migrare in Italia. Forse, i paragoni non sono così semplici… Le condizioni di partenza e le ragioni non sono sempre uguali e tanto meno i risvolti.

L’Istria viene commemorata come terra Italiana da sempre. E quindi trova consensi emotivi tra i molti disinformati (loro malgrado) che ascoltano e rivivono legittimamente vicende proprie o riportate. I vissuti sono preziosi, ma la storia non dovrebbe mentire e dovrebbe interpretarli con un certo distacco per rispettarli.

Lo spettacolo mostra quindi, purtroppo, ignoranza storica e politica, con vari momenti propagandistici.

Come la vicenda dei 2000 Monfalconesi che il protagonista definisce “in controesodo” ridicolizzati sulla scena, col fazzoletto rosso sventolato ironicamente ed il bastone…, perchè partono per la Jugoslavia mossi dall’ideale del socialismo comunista e poi invece vengono spediti a Goli Otok, per l’espulsione del “Tito eretico” dal Cominform: così viene definito dal protagonista interpretato da Cristicchi, in tono ambiguo tra il sarcastico e l’accusatorio.

E che ruolo viene dato ai numeri e alle fonti della storia? nello spettacolo si parla dell’importanza dei dati, ma si citano solo questi numeri: 350.000 esuli, 10 campi profughi, 28 morti a Vergarolla, 2000 Monfalconesi in controesodo, spediti a Goli Otok. Sui dati degli infoibati si ironizza, si sposta il piano del giudizio, evidenziando che gli storici giocano sui numeri, da cinquecento a svariate migliaia, ma che ciò non ha importanza, di fronte alle tragedie umane. Ma non è l’archivista Persichetti al telefono con l’Ufficio esuli del Ministero degli Interni ad affermare che i dati sono importanti? Si fa un uso molto scenico, di questi dati (ammesso che siano esatti), quando servono li diciamo, quando no, meglio tacere. Artisticamente è legittimo, storicamente no.

Perciò il rischio di mistificazione è facile e lo spettacolo non si esime, nella sua promiscuità di piani su cui viene affrontata una vicenda complessa e dibattuta. E così l’esodo degli Istriani è definito in esso come un fenomeno di proporzioni “bibliche”, varie volte, come “uno dei più grandi mai accaduti” e la violenza delle foibe un’atrocità di dimensioni improprie, perché non dimostrate.

L’ultima scena dello spettacolo: una decina di sedie in fila alla ribalta, dove vengono fatti sedere gli spiriti di alcuni personaggi famosi che appaiono anch’essi vittime dell’esodo, come il cantautore Sergio Endrigo, l’attrice Laura Antonelli, Alida Valli, perché ovviamente, qualche nome noto fa comodo spolverarlo per rafforzare il messaggio ed i consensi. Tali personaggi siedono accanto agli spiriti dei protagonisti delle storie più tragiche raccontate, vissuti per i quali non si ha la percezione di ciò che è “autentico” e di ciò che è romanzato.

Per concludere, lo spettacolo sembra sortire il suo scopo, che appare quello di un’operazione politica ben commercializzata, un’opera su commissione. Ma di chi e perché? Una propaganda demagogica poco intelligente ed alquanto populista, che fa leva sull’ignoranza ma soprattutto spera forse nella pigrizia di un pubblico variegato, anche di intellettuali di parte, che probabilmente non si andrà mai a verificare criticamente la storia rappresentata e qui giudicata, ma comodamente tornerà a casa e soprattutto nelle scuole, a dire ai propri figli che finalmente qualcuno racconta delle verità storiche nascoste dai comunisti per 70 anni. E non funziona così, proprio no.

Ma fortunatamente c’è anche chi, con un po’ più di senso critico, non vorrebbe trovarsi questo “spettacolo dei sentimenti” o delle “emozioni” (definizione dell’autore Cristicchi) come bibliografia o come capitolo dei libri di storia dei nostri figli di oggi e di domani, dove fascisti e antifascisti si minestrano troppo superficialmente, favorendo distorsioni storiche e politiche gravi. Le distorsioni alimentano non verità e conflittualità, e soprattutto non restituiscono di certo giusta commemorazione e rispetto ai vissuti dolorosi di chi non c’è più, o di chi è sopravvissuto ed in una storia più onesta può al limite sperare, per meglio elaborare e trovare un po’ di pace.

Samantha Mengarelli


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Magazzino 18. Cristicchi e la storia secondo un archivista ‘distratto’

Stefano Crippa, 27.12.2013

Teatro. Il monologo, con la regia di Antonio Calenda, a rischio di revisionismo


Cen­ti­naia di sedie una sopra l’altra, vec­chi mobili, camere da letto, oggetti lasciati dagli esuli ita­liani nel Porto Vec­chio di Trie­ste. Tutti acca­ta­stati nel Magaz­zino 18, anche titolo dello spet­ta­colo di Simone Cri­stic­chi per la regia di Anto­nio Calenda, che ha debut­tato lo scorso otto­bre al Poli­teama di Trie­ste e sta girando i tea­tri della peni­sola. Al cen­tro l’esodo degli ita­liani dalle terre d’Istria, Fiume e Dal­ma­zia e il dramma delle foibe, uno spac­cato di sto­ria com­pli­cato e mai risolto che Cri­stic­chi — memore di sue espe­rienze pas­sate sul pal­co­sce­nico (come Li romani di Rus­sia), riprende in un mono­logo a metà fra il reci­tato e la canzone.

Nella mes­sin­scena Cri­stic­chi è un archi­vi­sta romano, inviato al Magaz­zino 18 dal mini­stero dell’interno per fare un grande inven­ta­rio. Anda­tura dinoc­co­lata, sopra­bito e vali­getta, un gua­scone che si rifà alla mito­lo­gia dell’uomo medio incar­nato da Sordi in tanti film: arruf­fone, egoi­sta, ma che nella fin­zione passa da un disin­te­resse totale a una più decisa con­sa­pe­vo­lezza. Un rac­conto inter­val­lato da una sorta di com­pen­dio veloce dei fatti sto­rici che scon­vol­sero quelle terre dai primi del Nove­cento al ’47, cer­cando di con­te­stua­liz­zarne le vicende. E qui Cri­stic­chi inciampa rovi­no­sa­mente, met­tendo in scena uno spet­ta­colo che si basa quasi esclu­si­va­mente sul testo di Ian Ber­nas Ci chia­ma­vano fasci­sti. Era­vamo Ita­liani, e pro­pone un’interpretazione di que­gli acca­di­menti par­ziale, se non univoca.

Così la sto­ria tutto ingoia e omo­loga, senza per­met­tere allo spet­ta­tore di valu­tare le ragioni e i com­por­ta­menti che sono stati alla base di que­gli eventi; avvi­ci­nando anzi peri­co­lo­sa­mente le due ideo­lo­gie con­trap­po­ste, comu­ni­smo e fasci­smo, per omo­lo­garle. E gene­rando con­fu­sione nel pub­blico: per­ché non si pos­sono dedi­care tre minuti tre di «rias­sunto» alle ter­ri­bili sof­fe­renze por­tate dal fasci­smo in Slo­ve­nia; lo ster­mi­nio di oltre 350 mila slo­veni, croati, serbi mon­te­ne­grini, slavi nelle regioni occu­pate e/o annesse dal 3 aprile 1941 al set­tem­bre del 43, le 35 mila vit­time uccise da fame e malat­tie in oltre 60 campi di inter­na­mento per civili sparsi dal nord al sud Ita­lia, che sono fon­da­men­tale per com­pren­dere la suc­ces­sione degli avvenimenti.
«Non mi inte­ressa la poli­tica — rac­conta in un’intervista al Pic­colo il can­tau­tore — Mi inte­res­sano le sto­rie, e mi inte­ressa con­ti­nuare a svi­lup­pare, sia a tea­tro che con le mie can­zoni un’operazione didat­tica della memo­ria». Ma per rico­struire una suc­ces­sione di eventi così com­plessa — e dichia­ra­ta­mente con «fini didat­tici» — serve un lavoro diverso. Non basta limi­tarsi a costruire can­zoni o, peg­gio, riu­ti­liz­zare uno strug­gente pezzo di Ser­gio Endrigo come 1947, facen­dolo pas­sare per un’irredentista. Altri­menti — e ci dispiace per­ché in pas­sato Cri­stic­chi ha dato prova di sen­si­bi­lità nel par­lare di disa­gio men­tale — si pre­sta solo il fianco al revi­sio­ni­smo sto­rico che avve­lena il tes­suto sociale di que­sto paese da troppo tempo.




Inoltriamo il seguente messaggio, ricevuto dai promotori della Lettera Aperta riprodotta più sotto, alla quale hanno già aderito un centinaio di firmatari.
Per aderire scrivere a: sam.letteranpi@... 
specificando NOME, COGNOME, CITTA', e indicando eventualmente la appartenenza all'ANPI o il ruolo svolto nell'associazionismo antifascista.
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Cari  tutti, questa in allegato è una lettera che speriamo possa ricevere la vostra attenzione e conseguente adesione.

 

Riguarda la vicenda del cantautore Simone Cristicchi e dello spettacolo “Magazzino 18” di cui è co-autore.

L’iniziativa specifica è partita in seno a CNJ onlus, ma raccoglie adesione di singoli.

L’obiettivo è politico e culturale. E’ importante, per la storia partigiana dell’Italia, della Jugoslavia e dell’Europa tutta.

 

Lo spettacolo di questo cantautore e del suo co-autore, lo storico Jan Bernas, sta già ricevendo tra il pubblico le scuole dell’Istria e sta proseguendo il suo giro per la penisola.

Le rappresentazioni di "Magazzino 18" in Istria sono state realizzate con il contributo del ministero degli Affari Esteri italiano e probabilmente anche della FederEsuli.

Non vorremmo trovarci questo “spettacolo dei sentimenti” o delle “emozioni” (definizione dell’autore) come bibliografia o come capitolo dei libri di storia dei nostri figli di oggi e di domani, dove fascisti e antifascisti si minestrano troppo superficialmente, favorendo distorsioni storiche e politiche gravi. Le distorsioni alimentano non verità e conflittualità.

 

Sulla pagina facebook di “Magazzino 18”, Cristicchi stesso si esprime e fa conversazione sul tema. Molti soci CNJ, ma anche altri, hanno postato commenti e tentato di aprire un confronto storico-scientifico, con il risultato di vedere i propri post cancellati. Il suo biasimo verso Pertini, che ha riconosciuto sempre i meriti della resistenza partigiana jugoslava, è una delle “perle” espresse dal cantautore, che riserva repliche talvolta d’effetto, ma che dimostrano poca capacità e/o volontà di argomentazione.

 

Riepiloghiamo di seguito una breve ma non esaustiva rassegna sulla questione, in parte già circolata, all’origine della lettera.

 

Questo è uno dei primi scambi ad agosto 2013, tra Cristicchi ed il CNJ, ma sulla questione si sono mossi anche altri. Cristicchi ha intimato al CNJ la rimozione della pagina, attraverso il suo avvocato:

https://www.cnj.it/documentazione/IRREDENTE/cristicchi.htm

 

L’Unione degli Istriani ha approvato il copione modificato andato in scena il 21/10/2013 nelle prove generali, pare con una sorta di ricatto:

http://www.unioneistriani.it/news/comunicati-stampa/200-m18 

 

Di seguito il colloquio con Simone Cristicchi - in occasione del lancio del suo spettacolo "Magazzino 18", con Claudia Cernigoi e Carlo Oliva, RadioTre - trasmissione Fahrenheit di venerdì 1/11/2013

Il file audio (28'): http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2013/11/Fahrenheit-CRISTICCHI.mp3

 

Sul debutto a Trieste nel corrente mese di dicembre 2013:

http://ilpiccolo.gelocal.it/cronaca/2013/12/08/news/magazzino-18-di-cristicchi-sbarca-nei-teatri-dell-istria-1.8261697

 

Questo è un comunicato del partito socialista dei lavoratori croato nel merito, pubblicato da varie testate on line e girato in lista cnj:

http://www.marx21.it/internazionale/europa/23285-comunicato-del-partito-socialista-dei-lavoratori-croato-in-merito-allo-spettacolo-teatrale-magazzino-18-di-simone-cristicchi-in-programma-in-croazia-e-slovenia.html

 

Dal 17 al 22 dicembre lo spettacolo è stato rappresentato a Roma. Di seguito l’intervista pubblica a Cristicchi di una giornalista de Il Piccolo di Trieste, dura 4 minuti circa:

http://www.youtube.com/watch?v=cBLamBKxIyk

 

L’intervento ci sembra confermare le critiche mosse fino ad ora allo spettacolo: Cristicchi dichiara che è stato realizzato per far conoscere un pezzo di storia, ma allo stesso tempo, sostiene che non pretende di raccontare la storia ma di essere ascoltato attraverso la rappresentazione di alcuni drammi personali dell’epoca. Afferma inoltre una non verità, nel richiamare fonti storiografiche variegate di destra e di sinistra, a cui avrebbe fatto riferimento, ed invece la fonte principale citata è solo Jan Bernas. La confusione dei piani di lettura si rivela uno strumento di propaganda perfetto, che gioca sull’apparente ingenuità dell’ “artista” sfuggente ed ignaro, un po’ per davvero, un po’ per finta.

 

Ultima notizia, è uscito il libro + CD (si veda il link sotto, nel sito curato dal partito umanista di TS) http://www.freaksonline.it/freaks/magazzino-18-libro-e-cd.html

 

Contiamo che questa lettera, nella sua veste di appello, possa aprire un dibattito o chiarisca la posizione di certi soggetti anche istituzionali.

 

Per comunicare le vostre adesioni e tutte quelle che raccoglierete per la lettera in allegato, Vi preghiamo pertanto di rispondere a questo indirizzo sam.letteranpi@...   indicando:

NOME, COGNOME, CITTA’, EVENTUALE ISCRIZIONE ANPI (SI/NO e sezione), ALTRO (facoltativo: es. professione, qualifica, stato occupazionale etc…)

Grazie a tutti per la collaborazione e un grande saluto

 

Samantha


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LETTERA APERTA ALL'ANPI SU CRISTICCHI

Cari Voi tutti, Membri del Comitato Nazionale ANPI, Membri dei Comitati Provinciali, Regionali e Soci dell’Associazione Nazionale PARTIGIANI d’Italia, con i suoi 120.000 iscritti,

in qualità di iscritti all’ANPI e quali antifascisti, figli e nipoti di antifascisti, democratici rispettosi della memoria storica della Resistenza, manifestiamo la nostra preoccupazione ed il nostro stupore nell'apprendere che il Sig. Simone Cristicchi (secondo quanto lui stesso sostiene) è membro onorario dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.

Il Sig. Simone Cristicchi, nell’ambito del suo spettacolo teatrale “Magazzino 18”, che ha come tema la TRASPOSIZIONE di alcuni vissuti drammatici degli esuli d’Istria, di Fiume e Dalmazia, supportato da una direzione artistica, manageriale e da una regia di promozione istituzionale, sembra alimentare a livello mediatico e diffusivo a mezzo web una propaganda politica antipartigiana, che ancor più gravemente si mostra priva di analisi storica, riportando interpretazioni che riteniamo falsino fatti e circostanze, con un esito di palese natura strumentale. La strumentalizzazione delle vicende umane a supporto di idee nazionaliste è resa ancora più insopportabile per il coinvolgimento di minori in scene di violenza, che ci appare presunta ed esagerata.

Evidenziamo inoltre che le tesi, le congetture, i toni delle polemiche, l'accettazione di messaggi e manifestazioni di scherno ed offesa rivolte alla memoria storica della Resistenza sia italiana che jugoslava, presenti nel profilo facebook e in altri siti gestiti dal cantautore, non ci appaiono politicamente ed ideologicamente espressioni vicine alla storia e rispettose dei principi ispiratori dell’ANPI.

Il rifiuto di un confronto scientifico, manifestato da Cristicchi in diverse occasioni e nei diversi spazi di dialogo con il pubblico, molti dei quali gestiti dallo stesso in piena discrezionalità (facilmente reperibili e noti) e il suo apprezzamento verso personaggi quali Maria Pasquinelli* contrapposto ad una continua opera di criminalizzazione della lotta di liberazione del popolo jugoslavo dall'oppressore nazifascista in particolare, costituiscono un'offesa all'Associazione stessa, lo Statuto della quale, nel suo oggetto sociale (art. 2) e soprattutto nel profondo rispetto ed in virtù dell’art. 22 e dell’art. 23, recita:

Possono essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta:
a) coloro che hanno avuto il riconoscimento della qualifica di partigiano o patriota o di benemerito dalle competenti commissioni;
b) coloro che nelle formazioni delle Forze Armate hanno combattuto contro i tedeschi dopo l’armistizio;
c) coloro che, durante la Guerra di Liberazione siano stati incarcerati o deportati per attività politiche o per motivi razziali o perché militari internati e che non abbiano aderito alla Repubblica Sociale Italiana o a formazioni armate tedesche.

Possono altresì essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta, coloro che, condividendo il patrimonio ideale, i valori e le finalità dell’A.N.P.I., intendono contribuire, IN QUALITÀ DI ANTIFASCISTI, sensi dell’art. 2, lettera b), del presente Statuto, CON IL PROPRIO IMPEGNO CONCRETO ALLA REALIZZAZIONE E ALLA CONTINUITÀ NEL TEMPO DEGLI SCOPI ASSOCIATIVI, CON IL FINE DI CONSERVARE, TUTELARE E DIFFONDERE LA CONOSCENZA DELLE VICENDE E DEI VALORI CHE LA RESISTENZA, CON LA LOTTA E CON L’IMPEGNO CIVILE E DEMOCRATICO, HA CONSEGNATO ALLE NUOVE GENERAZIONI, COME ELEMENTO FONDANTE DELLA REPUBBLICA, DELLA COSTITUZIONE E DELLA UNIONE EUROPEA E COME PATRIMONIO ESSENZIALE DELLA MEMORIA DEL PAESE.

Per questo, auspichiamo che sia ritirata la tessera di socio ANPI al Sig. Simone Cristicchi, il cui operato e la cui espressione politica non sono riconoscibili in alcun modo nell’essenza dei valori e della cultura della Resistenza partigiana, di ieri e di oggi.


Per aderire: sam.letteranpi@... 




SIRIA: TUTTE LE BUFALE CHE VI HANNO RACCONTATO NEL 2013








Ibai Trebiño: “El marxismo en un acto de antiimperialismo debe apoyar la soberanía nacional”


dic 3rd, 2013 | By Boltxe kolektiboa | Category: Albiste garrantzitsuenak


Ibai Trebiño es una de las personas que mejor conoce los conflictos que se dieron en la ex Yugoslavia, que como recordaremos, explosionó en los 90, dando lugar a varias guerras cuyas imágenes aun nos estremecen al recordarlas.

Yugoslavia fue un estado socialista la cual el socialismo no llegó exportado sino que los y las comunistas tomaron el poder tras una valerosa y heroica guerra de liberación, liderada por Tito y que logró expulsar de su territorio a los nazis y construir una experiencia socialista propia. Pero mejor que sea Ibai quien nos hable de estas cuestiones y de las guerras de los 90.

B- Ibai, no cabe duda que la experiencia socialista yugoslava, fue original y propia, es decir el socialismo no era calco de otros…algunos marxistas eso lo critican, porque afirman que el alejamiento de la entonces URSS favoreció objetivamente al imperialismo ¿Qué lecturas nos haces de estas opiniones?

I- Bueno esta es una cuestión absolutamente complicada. Tito rompe con la Unión Soviética en 1948 y desde entonces se le considera un traidor desde algunos paises del pacto de Varsovia involucrándole incluso en el plan Marshall. No voy a entrar a valorar dicha ruptura, pero si diré que cualquier división entre socialistas favorece al imperialismo y se puede o se debe interpretar así.

Desde mi posición de gran simpatía hacia la URSS y como yugoslavista convencido siento profundamente que se produjese esta ruptura, no sólo porque debilitó al socialismo sino porque además tambien afectó, por ejemplo, a la relación entre Albania y Yugoslavia o Bulgaria y Yugoslavia, lo que impidió que estas repúblicas fueran integradas en el proyecto yugoslavo -aunque los albaneses no sean eslavos, si en cambio los búlgaros- y creó una cierta tensión en la zona que hoy día afecta directamente a cuestiones como la kosovar.

A pesar de no ser un marxista-leninista de la vieja escuela como lo fue Enver Hoxha (quien también liberó Albania del yugo fascista italiano mediante la lucha guerrillera) Tito fue impulsor del movimiento de paises no-alineados y tejió grandes relaciones de amistad con otros pueblos como la Jamahiriya Libia, la Egipto de Nasser o la Siria de Hafez Al Assad, haciendo objetivamente una gran aportación al antiimperialismo mundial.

B- En Yugoslavia convivían 6 repúblicas y multitud de comunidades y religiones..¿Piensas que el socialismo yugoslavo solucionó la cuestión nacional en unos parámetros razonables?

I-Si, absolutamente. De hecho creo que fue uno de los mayores logros del socialismo yugoslavo y con el cual más identificado se siente, aunque pueda parecer extraño, un abertzale como yo.

Tenemos que pensar que los balcanes han sido lugar de paso para muchas civilizaciones, una zona en continuo conflicto que ha sufrido invasiones imperiales durante siglos. De ello se deriva una composición étnica muy particular y especial, y donde una república federal yugoslava daba solución, en parte, a esa complicada cuestión nacional. De hecho, fue en 1918 cuando los eslavos del sur consiguen el primer estado independiente y soberano de la historia tras expulsar definitivamente a los imperios otomanos y austrohúngaros que durante siglos había masacrado y saqueado a los pueblos eslavos del sur de Europa. Es en 1943, bajo el socialismo y tras expulsar a los nazis, cuando la soberanía e independencia nacional de los eslavos católicos, musulmanes y ortodoxos adquiere su mayor explendor, abordando además, la problemática de otras nacionalidades no-eslavas en el territorio (italianos, albaneses, húngaros, etc) y dando un estatuto de absoluta igualdad a todas las etnias y religiones independientemente de la república yugoslavas de origen.

Además por primera vez en la historia del territorio el adquiere una independencia politico-económica total.

B-Esta claro que el imperialismo durante los años de Tito y después instigó odios entre las republicas ¿No piensas que el gobierno de Yugoslavia estuvo poco atento a estos hechos?

I-En primer lugar debemos entender que luna manera eficaz de someter a un pais de semejantes características fue mediante el divisionismo y la sectarización (claro ejemplo de ello es la Siria de hoy en día) y el endeudamiento forzoso con el FMI. Todos estos elementos crean un cócktel de inestabilidad “made in USA”. Los imperialismos norteamericano y alemán armaron e instigaron una de las guerras más criminales del siglo pasado. Tambien debemos tener en cuenta la traición de algunos dirigentes políticos del Partido Comunista Yugoslavo como Franjo Tudjman y las diferentes disidencias internas que desde dentro del partido contribuyeron al colapso de Yugoslavia. Lo que me resulta indudable es que sin injerencia extranjera hubiera sido imposible dividir el pais.

B-Cuando Croacia y Eslovenia se separan ¿Piensas que existía una reclamación de independencia real en las masas o fue instigado por el imperialismo para destruir Yugoslavia?

I-Te respondo con otra pregunta, ¿Existia una demanda real de la población para el desmantelamiento de la URSS o fue una traición dirigida por los burócratas del PCUS? ¿Hubo algún referéndum donde se diera a elegir entre socialismo y capitalismo a los paises del este de europa?

La muerte de Josip Broz “Tito” (Croata de nacimiento) crea un clima de desconfianza entre las diferentes etnias y naciones que formaban Yugoslavia, que más tarde es aprovechado por los intereses extranjeros para crear el caldo de cultivo perfecto para poder desmembrar el pais.

Es innegable que en todos los paises del mundo existe disidencia política, pero no creo que existieran condiciones objetivas (misería, pobreza, etc) ni una demanda popular real para que se desarrollase un proceso sececionista. No fueron los croatas y los eslovenos quienes eligieron ser dependientes a Alemania, sino las élites económicas. Hoy dia la hegemonía política (y las imposiciones de ella derivadas) sigue estando en manos del nacionalismo “democrático” neo-ustacha, a pesar de que la gran mayoría de la población es contraria a la adhesión a la UE y añora abiertamente Yugoslavia (según las encuestas).

B-Desde los más-media siempre se ha tenido a Serbia como la gran culpable de las guerras balcánicas, pero quizás nos puedas rebatir esa tesis….

I-Serbia (junto a Montenegro) se llevó la peor parte por negarse a firmar el acuerdo de disolución de Yugoslavia. Es a raíz de su negativa a disolver la República lo que genera la demonización, sobretodo mediática, de los serbios. Para hacernos una idea, las grandes limpiezas étnicas en los balcanes son atribuidas a los serbios (Srebrenica en Bosnia o Racak en Kosovo) pasando por alto y legitimando incluso los crimenes de guerra croatas, albaneses o bosniacos instigados por occidente. Solo hace falta ver cuantos Serbios han sido juzgados y condenados en el Tribunal de La Haya y cuantos croatas o Albaneses.

No voy a negar que las tropas serbias (en referencia de las milicias serbias no al JNA -Ejercito Nacional Yugoslavo-) cometieran excesos, pero tambien otras etnias cometieron excesos y limpiezas étnicas que no solo no han sido juzgadas sino que además han sido aplaudidas por los políticos occidentales y silenciadas y/o manipuladas por los medios de comunicación occidentales (ej: operación tormenta, limpieza étnica contra los serbios del enclave croata de Krajina). Años despues hemos sabido que el bombardeo del mercado de Sarajevo (que motivó la participación de la ONU en el conflicto bosnio) no fue obra de los serbios, la masacre de Racak (pretexto utilizado por la OTAN para invadir Kosovo) fue farseada como lo es hoy día la supuesta masacre de Ghouta en Siria. Por suerte actualmente contamos con medios suficientes, redes sociales y otros sitios donde la información se maneja al instante.

Otro de los factores claves para comprobar el “odio antiserbio” es el lenguaje mediático hegemonista que utilizan los mass-media y cuyo único objetivo es difundir la idea y señalar a Serbia como único culpable y responsable de la guerra (lo que en Euskal Herria conocemos como vencedores y vencidos).

B-El colofón fue la guerra de Kosovo y los bombardeos contra Belgrado, vayamos por parte ¿Qué piensas acerca de Kosovo, sobre si es parte de Serbia o por el contrario parte de Albania y como valoras la imposición imperialista de crear ese estado títere y pro-yanquee?

I- El año pasado tuve la suerte de visitar Kosovo y conocer un poco in-situ la situación. En primer lugar debo decir que el principal banco del Kosovo “independiente” es un banco austriaco y eso llama bastante la atención. Una de las primeras cosas que hizo occidente al invadir Kosovo fue robar y saquear la industria nacional para luego privatizarla. Esto para daros una idea de cual ha sido la principal motivación para la fuerzas occidentales para seguir manteniendo bajo ocupación este maravilloso territorio. A los nortemericanos de la base de Camp-bondsteel les importa bien poco los propios albaneses de Kosovo. En Kosovo no existe un proceso de autodeterminación ni de independencia, sino por lo contrario un proceso de saqueo colonial y sometimiento.

Respondiendo a la cuestión de si Kosovo es Serbia o Albania, en primer lugar debo decir que Kosovo no es una nación y quisiera desmontar esta absurda teoría y matizar que tanto Albania como Serbia son naciones con estado propio. No vale por tanto la teoria basado en “los derechos de la nación kosovar” de la que tanto han alardeado los humanistas OTANistas, simplemente porque la nación kosovar no existe.

Otra cosa a matizar es que Serbia no ha sido una fuerza invasora en Kosovo, es decir, el esquema ocupado-ocupante que manejamos con otras cuestiones nacionales (la vasca o la irlandesa por ejemplo) no es válido para este caso porque Kosovo es un territorio multiétnico actualmente ocupado por la OTAN, e historicamente sometido a la invasión de los sucesivos imperios y cuya única independencia ha sido bajo la Yugoslavia de Tito. Podriamos, si acaso, calificar a Kosovo como un territorio en disputa entre Serbia y Albania (cada uno exgrime sus razones históricas), porque así lo fue durante la época yugoslava, pero tampoco sería muy exacto ya que excluiriamos al resto de etnias que historicamente han habitado Kosovo (gitanos, turcos, goranis, judios, etc) y que son igualmente legítimos pobladores de Kosovo.

Todas la etnias no-albanesas han sido desposeidas de sus derechos nacionales y civiles en el actual Kosovo, donde han pasado de ser ciudadanos de pleno derecho a ser ciudadanos de segunda en su propio pais. Para entender porque la mayoria de la población era etnicamente albanesa a finales del siglo XX, debemos atender a algunas circustancias demográficas y sociales como la emigración de la población serbia, o una elevada tasa de natalidad entre la comunidad Albanesa. Estos factores beneficiaron a los albaneses (Esto sin contar los planes expansionistas del nacionalismo albanés) rompiendo el equilibrio étnico existente y convirtiéndoles en mayoria con más de la mitad de la población. . Todo esto sucedió antes de la guerra de 1999.

Hoy en día los albaneses representan el 96% de la población kosovar, lo que demuestra que las fuerzas paramilitares nacionalistas albanesas han cometido una grave limpieza etnica en el territorio. Los serbios ahora sólo representan un 3% de la población y viven marginados por las instituciones de Pristina. Tambien los Goranis (eslavos musulmanes que habitan en las montañas) han denunciado un proceso de asimilación contra ellos, la imposición de la lengua albanesa contra su voluntad y la persecución a la que son sometidos por razones étnicas o culturales. No sólo ellos, tambien los propios albaneses (por motivos políticos o religiosos) han sido victimas del expansionismo y la imposición albanesa (a través de los fanáticos fascistas pro-occidentales del UCK). En Kosovo casi todas la expresiones culturas o religiosas no-albanesas han sido eliminadas.

Si abordamos la cuestión desde un punto de vista cultural, Kosovo representa para los serbios la cuna de su nación y su cultura. Podiamos definirla para lector vasco como la “nafarroa de los serbios”. Kosovo-Polje (cerca de Pristina) es para los serbios su particular orreaga o stalingrado, donde en 1389, tras una dura batalla contra el imperio otomano (que a la postre supuso el principio de la dominación otomana en los balcanes) los serbios, con menos efectivos y armas, y con el principe Lazar a la cabeza, cayeron derrotados tras una heroica resistencia. Esta legendaria batalla, junto a otras razones históricas y religiosas, hace que Kosovo sea para los serbios la cuna de su identidad nacional. Dicho esto, la invasión por parte de la OTAN de Kosovo representa para los serbios una humillación histórica sin precedentes.

En mi humilde opinión y asumiendo que Kosovo es un territorio multiétnico, la cuestión se tiene que abordar desde un punto de vista político, es decir, es necesario (tal y como exigimos para Euskal Herria) reconocer el derecho de Serbia a existir como nación -multiétnica-, su derecho a la soberanía e independencia nacional y que su territorialidad sea respetada. La invasión de Kosovo supuso una flagrante violación de la ley internacional. Ahí esta la clave del conflicto y es el principal motivo por el que creo que Kosovo pertenece al pueblo serbio y no a la OTAN.

B- ¿Qué lectura haces de la persona de Milosevic que todo apunta a que fue asesinado en prisión por el imperialismo? Obviamente no era comunista, dicho por el mismo….

I-No se trata de que Milosevic sea comunista o no para denunciar que haya sido asesinado por un tribunal criminal. Milosevic no era comunista, pero tampoco un nacionalista radical como vendió la prensa. La familia Milosevic era una familia comunista de origen humilde y “Slobo” fue puesto en el punto de mira del imperialismo por su negativa a disolver la Yugoslavia socialista.

Ahí la explicación a semejante campaña anti Milosevic: dicen que su discurso en Kosovo Polje fue el detonador étnico en kosovo, pero si se analiza bien ese discurso uno se da cuenta que en ningún momento hace alusiones de índole nacionalista, asi que partiendo de esta base creo que Milosevic es un “mártir” más del imperialismo. Milosevic seguramente tuviera fallos como todo ser viviente, pero tuvo que lidiar con decisiones difíciles, en primer lugar porque decidió suspender la autonomía de la república serbia de Kosovo que otorgaba plenos derechos a los albaneses de Kosovo, pero debemos entender en que situación se encontraba Yugoslavia para entender este tipo de decisiones.

Serbia y Montenegro fueron victimas de bombardeos criminales por parte de la OTAN, su economia resultó dañada por un embargo criminal, el presidente montenegrino Djukanovic le abandonó a su suerte en plenos bombardeos de la OTAN, la comunidad internacional le obligó a firmar tratados de paz (donde la república que presidía salía perdiendo) y que ni tan siquiera se han cumplido (perjudicando a los serbios) y por si esto fuera poco, la CIA a través del movimiento fascista OTPOR montó una “revolución” (de las que hoy en día estan montando en Ucrania) para desalojarle del poder en detrimento de fuerzas pro europeas y dar así vía libre al saqueo económico. La política económica de la serbia de Milosevic fue más progresista que cualquier pais “democrático” de Europa, como lo es hoy día la política de Yanukovich en Ucrania o Lukashenko en bielorrusia.

El marxismo revolucionario en un acto de antiimperialismo coherente debe apoyar sin fisuras la soberanía nacional y los gobiernos legítimos que la ejercen frente al golpismo made in CIA.

El final de Milosevic todos lo conocemos: fallece repentinamente mientras un tribunal de criminales al servicio de la OTAN le juzgaba por crímenes contra la humanidad. Por desgracia gran parte de la izquierda sigue en silencio frente a las farsas judiciales de un tribunal de excepción como es el Tribunal Pena Internacional de La Haya. Lo hemos visto tambien en Irak o Libia.

B-Sabemos que formas parte de una asociación que toma parte de este tipo de cuestiones, háblanos un poco de ella

I-Efectivamente estoy trabajando junto a otra gente en una asociación cultural llamada Ivo Andric, en homenaje al escritor yugoslavo, premio nobel de literatura en 1961.

Tenemos la idea de presentar la asociación muy pronto y de momento estamos trabajando en tema de comunicación, traducciones de documentales (“the weight of chains” de Boris Malagurski) o incluso hemos hecho una aportación económica para una pelicula del mismo Boris. En principio nuestra intención es difundir la cultura balcánica y yugoslava en Euskal Herria, es decir un trabajo única y exclusivamente cultural. Politicamente somos partidarios de la unión de los eslavos del Sur en forma de estado.

De todas formas podeis seguir nuestras actividades y conocer mejor la asociación a través de las redes sociales y de nuestro blog (http://ivoandricelkartea.wordpress.com/)

B- Para acabar si que te quisiéramos pedir que 20 años después de todo lo ocurrido nos digas, tu que conoces esa parte de Europa, cual es la realidad de allí, hoy día

I-De todos mis viajes a la ex-yugoslavia he vuelto con una sensación muy positiva en el plano emocional (los balcánicos son gente espectacular, amables y hospitalarios) y algo negativa y escéptica en el plano político, derivado de la situación actual.

En primer lugar porque la OTAN sigue presente y Alemania sigue saqueando sin piedad a los pueblos balcánicos. En segundo lugar porque las problemáticas de los serbios en Croacia, Kosovo o Bosnia siguen sin solucionarse debido a que los serbios son ciudadanos de segunda en terroritorios que llevan habitando desde hace siglos. Creo que cada etnia necesita un estatus de igualdad civil y nacional real y práctica en cada territorio que habitan y eso sólo existia bajo la República Socialista Federal de Yugoslavia. Hablas con la gente y te das cuenta lo querido que fue Tito y sus políticas sociales y nacionales. En Bosnia o Macedonia Tito sigue siendo un auténtico “ídolo de masas”.

Mi conclusión es que la unión de los eslavos del sur es más necesaria que nunca, desde un punto de vista étnico, cultural, político y social. Además la historia demuestra que el único periodo de independencia nacional del territorio fue bajo esa unidad. Los periodos anteriores y posteriores a Yugoslavia han sido y son parte de la historia de saqueo, dominación, asesinato y sometimiendo hacia los pueblos balcánicos.

Creo que la defensa de la unidad de Yugoslavia como estado multiétnico va ligado dialécticamente al concepto de derecho de autodeterminación de los pueblos y es bajo la falsa bandera del divisionismo y la secesión lo que es realmente antagónico a la independencia. Es un concepto que en Euskal Herria es difícil de entender, debido en parte al desconocimiento y tambien a la manipulación y a la simplificación política del conflicto que hacemos,. Cualquier paralelismo entre Euskal Herria y la ex-yugoslavia es un planteamiento erroneo .

El derecho de autodeterminación es un término muy amplio que puede implicar una unidad territorial entre diferentes naciones (por lo menos en el caso balcánico) no sólo se trata del hecho de tener una bandera y una moneda común europea.

Pues nada más…eskerrik asko por tus aclaraciones y un gusto haber charlado con tigo acerca de estos temas que tantas pasiones y debates crearon en la década de los 90

Un placer, gracias a vosotros