Informazione


CLAMOROSO! 

A Como la giunta di centrosinistra ha revocato all'ANPI e all'Istituto di Storia Contemporanea la concessione della sala della Circoscrizione per una iniziativa dedicata alla Giornata della Memoria dell'Olocausto - 27 gennaio - cedendo alle intimidazioni dell’organizzazione di estrema destra Militia.

Alessandra Kersevan vi era stata invitata a parlare dei lager fascisti italiani.

L'INIZIATIVA SI TERRA' COMUNQUE DOMANI IN UNA DIVERSA SALA:
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Lager italiani, pulizia etnica e campi di concentramento fascisti: incontro con Alessandra Kersevan

La sezione Anpi “Perugino Perugini” di Como, in collaborazione con l’Istituto di storia contemporanea Pier Amato Perretta,  è lieta di invitarvi alla

CONFERENZA PUBBLICA
con la ricercatrice storica 
Alessandra Kersevan
autrice del libro
LAGER ITALIANI
pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943

l'incontro si terrà
sabato 1° febbraio 2014 ore 15.30
[…]

Tra il 1941 e l’8 settembre del 1943, il regime fascista e l’esercito italiano misero in atto un sistema di campi di concentramento in cui furono internati decine di migliaia di jugoslavi: donne, uomini, vecchi, bambini, rastrellati nei villaggi bruciati con i lanciafiamme. Lo scopo di Mussolini e del generale Roatta, l’ideatore di questo sistema concentrazionario, era quello di eliminare qualsiasi appoggio della popolazione alla Resistenza jugoslava e di eseguire una vera e propria pulizia etnica, sostituendo le popolazioni locali con italiani.
Alessandra Kersevan, grazie al suo percorso di ricerca storica è in grado oggi di illustrare la realtà del sistema repressivo fascista, spesso allo stesso livello, in termini di brutalità, del ben più indagato sistema concentrazionario nazista.


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Comunicato stampa/Incontro con Alessandra Kersevan

L’incontro con Alessandra Kersevan trasferito al Salone Bertolio in via Lissi dopo che il sindaco Mario Lucini ha negato l’uso della Circoscrizione n. 1 a seguito delle pretestuose proteste dell’organizzazione di estrema destra Militia

L’incontro con la storica Alessandra Kersevan, organizzato dalla sezione di Como dell’ANPI e dall’Istituto di Storia Contemporanea “Pier Amato Perretta” per domani sabato 1° febbraio alle ore 15.30 è stato spostato al salone Bertolio in via Lissi 6 (sopra la Cooperativa) dopo che nella tarda mattinata di oggi, venerdì 31 gennaio, il sindaco di Como, Mario Lucini, ha ritirato il permesso all’uso della sala della Circoscrizione, già concessa nei giorni precedenti, in seguito all’intervento dell’organizzazione di estrema destra Militia che sulla sua pagina fb ha definito la Kersevan “nota per lo spiccato negazionismo che la contraddistingue sul dramma delle Foibe”.
Com’è evidente dal programma, l’incontro non era centrato sulle foibe, ma sulle responsabilità del fascismo italiano riguardo alla persecuzione delle popolazioni jugoslave nel periodo dell’occupazione nazifascista. I lavori di approfondimento storico di Alessandra Kersevan non hanno mai negato il fenomeno delle foibe, ma si sono rivolti a cercare di ricostruire le reali dimensioni e le ragioni di tali tragici fatti, spesso usati a puri fini propagandistici senza alcun rapporto con la loro reale drammaticità.
Senza ragione, il Comune di Como ha fatto propria un’accusa irriguardosa del serio lavoro di approfondimento che la studiosa e le organizzazioni promotrici svolgono su questi temi da molti anni, come hanno riconosciuto pubblicamente anche alcuni esponenti – quelli meno ideologicamente prevenuti – dei profughi giuliano-dalmati.
L’unica possibile spiegazione di questa grave decisione è una sorta di “parità di trattamento” tra le associazioni antifasciste e quelle filofasciste e filonaziste cui nei giorni scorsi non era stato concesso l’uso della circoscrizione di Camnago Volta per un incontro celebrativo di un esponente del nazismo!
Per rispetto alle drammatiche vicende che intorno al “confine orientale” ebbero luogo negli anni prima e dopo la seconda guerra mondiale e la fine del fascismo, le organizzazioni promotrici dell’incontro hanno deciso di mantenere l’appuntamento, spostandolo al Salone Bertolio, e rivolgono l’invito di partecipazione a tutta la popolazione.

Associazione Nazionale Partigiani d’Italia - sezione di Como "Perugino Perugini"
Istituto di Storia Contemporanea “Pier Amato Perretta” di Como



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Il Sindaco Pd di Como si arrende alle richieste di Militia

L’incontro con la storica Alessandra Kersevan, organizzato dalla sezione ANnpi di Como e dall’Istituto di Storia Contemporanea “Pier Amato Perretta” (sabato 1° febbraio ore 15.30) ha subito un forzato trasloco. Si svolgerà nel salone Bertolio (vicino alla sede di Rifondazione Comunista) dopo che oggi 31 gennaio il sindaco Pd di Como, Mario Lucini, ha ritirato il permesso all’uso della sala della Circoscrizione 1 concessa nei giorni precedenti, in seguito all’intervento dell’organizzazione di estrema destra Militia che sulla pagina Facebook ha definito la Kersevan “nota per lo spiccato negazionismo che la contraddistingue sul dramma delle Foibe”.
L’incontro non è centrato sulle foibe, ma sulle responsabilità del fascismo italiano nelle persecuzioni delle popolazioni jugoslave durante l’occupazione nazifascista. I lavori di approfondimento storico di Alessandra Kersevan non hanno mai negato il fenomeno delle foibe. 
Senza ragione, il Comune di Como ha fatto propria l’accusa irriguardosa del serio lavoro di approfondimento che la studiosa e le organizzazioni promotrici svolgono su questi temi da molti anni, come per altro hanno riconosciuto pubblicamente anche alcuni esponenti dei profughi giuliano-dalmati.
L’unica possibile spiegazione che potrebbe arrivare dall’amministrazione PD-SEL-liste civiche di Como per giustificare questa gravissima decisione è una sorta di “parità di trattamento” tra le associazioni antifasciste e quelle filofasciste e filonaziste cui nei giorni scorsi non era stato concesso l’uso di una Circoscrizione per un incontro celebrativo di un esponente del nazismo!
Per rispetto alle drammatiche vicende che intorno al “confine orientale” ebbero luogo negli anni prima e dopo la seconda guerra mondiale e la fine del fascismo, le organizzazioni promotrici dell’incontro hanno deciso di mantenere l’appuntamento, spostandolo al Salone Bertolio. Rifondazione Comunista di Como solidarizza con Anpi e Istituto di Storia Contemporanea “Pier Amato Perretta”, stigmatizzando il comportamento della Giunta comunale di Como.

Guido Capizzi

in data:31/01/2014





Iniziative segnalate

- BRUGHERIO (MB) 30 GENNAIO: “ERAVAMO IN TANTI“. Diario partigiano di Eros Sequi

- MEL (BL) 1 FEBBRAIO: Inaugurazione mostra "TESTA PER DENTE". Esposizione fino al 9 febbraio

- VASTO (CH) 1 FEBBRAIO: PARLIAMO DI FOIBE


=== BRUGHERIO (MB), 30 GENNAIO ===

Giovedì 30 Gennaio 2014
alle ore 21,00, presso il Lucignolo Cafè - Piazza Togliatti, 11, Brugherio (MB)

L' Angolo del Lettore ”Augusto Daolio” e l’Associazione Culturale “Il Lucignolo”, in collaborazione con l'A.N.P.I. Provinciale di Monza e Brianza con il patrocinio del Comune di Brugherio hanno il piacere di invitarLa alla presentazione di:

“ERAVAMO IN TANTI“
Diario partigiano di Eros Sequi

Questa sera al Lucignolo è di scena la storia, presenteremo infatti il libro, rieditato dall'Associazione Cultural Box, “eravamo in tanti” diario partigiano di Eros Sequi combattente nell’Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo durante la Resistenza.

Ne parleranno
Luigi Lusenti, scrittore e giornalista, curatore del Libro 
Carlo Cifronti dell’Anpi provinciale di Monza e Brianza.

Dalla nota del curatore del libro:

la storia di Eros Sequi è la storia di tanti italiani che restarono a vivere in Jugoslavia per costruirvi il potere popolare. Le cose andarono poi diversamente e per questi uomini si costruì una storia silenziosa, di cui poco si sa e che invece, insieme alle ragioni di chi fece una scelta opposta – i trecentomila italiani dell’esodo –potrebbero aiutarci moltissimo, a ricostruire, fuori da fanatismi di parte, non tanto una verità univoca, ma comprensioni e ripensamenti su quello che è stato il secolo delle grandi illusioni” 

La Sua partecipazione sarà particolarmente gradita. Si ringrazia per una conferma. 

“IL CAFFÈ LETTERARIO” 
LUCIGNOLO CAFE'
Piazza Togliatti, 11, Brugherio (MB)
tel 0395251261, mobile 3493047796 lucignolocafe@...
www.comune.brugherio.mb.it 

Lucignolo Cafè è un locale no-slot aderente a www.senzaslot.it




=== MEL (BL), 1 FEBBRAIO ===

Mel (Belluno), 1 febbraio 2014
ore 17:30, presso: Palazzo delle Contesse

INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA "TESTA PER DENTE"

con gli interventi di:
PAOLO CONSOLARO    Curatore della mostra
DARIO MATTIUSSI    Relatore del Centro isontino di ricerca “Leopoldo Gasparini”

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ESPOSIZIONE DELLA MOSTRA FOTOGRAFICA E DOCUMENTALE

“TESTA PER DENTE” – L’OCCUPAZIONE ITALIANA DELLA JUGOSLAVIA 1941-1943

A MEL (BL)- PALAZZO DELLE CONTESSE – DALL’1 AL 9 FEBBRAIO 2014

INAUGURAZIONE: SABATO 1 FEBBRAIO 2014 – ORE 17.30

Interventi:

PAOLO CONSOLARO    Curatore della mostra

DARIO MATTIUSSI    Relatore del Centro isontino di ricerca “Leopoldo Gasparini”

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Orari:

da lunedì a venerdì dalle 18 alle 20

sabato e domenica dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 19

INGRESSO LIBERO




=== VASTO (CH), 1 FEBBRAIO ===

Vasto (CH), sabato 1 febbraio 2014
ore 17.30 presso SALA CONFERENZE EX PALAZZI SCOLASTICI
C.so Nuova Italia (a ridosso di Piazza Rossetti)

Contro il revisionismo storico e neo-irredentista, l'Anpi di Vasto, con il patrocinio del Comune di Vasto, organizza un incontro-dibattito con
CLAUDIA CERNIGOI, giornalista triestina, autrice dell'importante ricostruzione storica "Operazione foibe. Tra storia e mito":

PARLIAMO DI FOIBE. In difesa della memoria antifascista.

Come ogni anno, a ridosso del 10 febbraio nascono iniziative tese a mettere sullo stesso piano Shoah e foibe, alimentando l'ideologia irredentista e revisionista.
L'incontro non avrà il carattere di "negazionismo delle foibe", ma di ricostruzione storica tesa a dimostrare, prove alla mano, che - come afferma Claudia Cernigoi - "sulla questione delle foibe sono state dette tante falsità e che queste falsità sono diventate una 'leggenda metropolitana', un 'mito', che vengono utilizzate in chiave antipartigiana" e neo-irredentista.
Alla luce dei materiali d'archivio che Claudia Cernigoi ha analizzato, si può dimostrare che nessuna politica di sterminio o pulizia etnica è stata condotta da parte dei partigiani jugoslavi contro gli italiani.





(english / italiano)

Usare le parole giuste nella Giornata della Memoria

1) Marco Rovelli, Moni Ovadia, Idea Rom Onlus: Una parola giusta per lo sterminio dei Rom
2) Tatiana Sirbu: The Deportation of Roma to Transnistria


=== 1 ===

Sullo stesso argomento: 
La memoria che verrà - di Jovica Jović
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Sterminio dei rom, cerchiamo un’altra parola

sabato 25 gennaio 2014

di Marco Rovelli e Moni Ovadia 
per il Fatto Quotidiano 

Il Giorno della Memoria è stato istituito nel giorno in cui 69 anni fa i soldati dell’Armata Rossa abbatterono i cancelli del lager di Auschwitz e vi entrarono rivelandone l’orrore. E sacrosanto è stato aver stabilito un giorno in cui ricordare quell’abisso incancellabile. Ma, come per ogni ritualizzazione, quella ferita sanguinante si scontra con il rischio della museificazione da una parte e della falsa coscienza dall’altra. Le attività e le manifestazioni di questa Giornata riguardano in maniera soverchiante la shoah, ovvero lo sterminio degli ebrei, al punto da oscurare quasi gli eccidi e le sofferenze subite dalle altre vittime della ferocia nazista: i rom, gli omosessuali, i menomati, gli antifascisti a vario titolo, i testimoni di Geova, gli slavi, i militari italiani che rifiutarono di servire il governo fantoccio di Salò. Ricordare l’unicità della shoah non può essere l’alibi per dimenticarsi degli altri. I rom, in particolare, sono stati per lunghissimo tempo misconosciuti nel loro status di vittime: e se oggi non c’è quasi un politico occidentale che non voglia mostrarsi amico degli ebrei e soprattutto degli israeliani, quasi nessuno di essi è disposto ad identificarsi con i rom. Nessuno dei rappresentanti politici dei paesi occidentali ha il coraggio di uscire da una visita al lager di Auschwitz dichiarando: “mi sento rom”; molti, però, si affrettano ad affermare: “mi sento israeliano”. Ora sia chiaro, nessuno vuole ignorare o sottovalutare lo specifico antisemita del nazifascismo e sminuire l’immane dimensione della Shoah. Ciò che è inaccettabile è il deliberato sottacere delle sofferenze dei rom e dei sinti anch’essi destinati al genocidio. È intollerabile che si discrimini fra le sofferenze di esseri umani che subirono la stessa tragica sorte. I rom sono vittime secolari dell’occultamente della loro identità e della loro memoria, oltre che essere vittime di un’antichissima persecuzione. Essi non hanno terra, non hanno un governo potente che parli per loro, sono tuttora gli “zingari” reietti: perché mai dunque riconoscere piena dignità alle loro inenarrabili sofferenze? La cultura orale dei rom, del resto, diversamente dalla cultura ebraica fondata sulla Scrittura, ha facilitato il compito della dimenticanza: non c’è stato che un soffio di vento, niente più che questo, nulla che sia conservato e degno di conservazione. Solo con fatica si è imposto il nome dello sterminio nazista dei rom: Porrajmos. Il merito di questo va al grande intellettuale rom inglese Ian Hancock, linguista e fra le altre cose rappresentante del popolo rom presso le Nazioni Unite. Il termine “Porrajmos”, nella lingua di alcuni romanì, “devastazione”. Ma la lingua romanes ha molte articolazioni, corrispondenti alla disseminazione dei suoi numerosissimi gruppi e sottogruppi: perciò capita che un significante abbia significati diversi per diversi rom. Da Jovica Jovic, grande fisarmonicista rom serbo, abbiamo appreso che quel termine, nel “suo” romanes, ha un significato sessuale osceno. Così per Jovica quel termine è inusabile, e offensivo: impossibile per lui ricordare i suoi zii morti ad Auschwitz con quel termine. Una vicenda paradossale, questa, direttamente legata alla dispersione e alla secolare marginalizzazione e inferiorizzazione dei rom. Per rispetto nei confronti dei rom come Jovica crediamo dunque che dovremmo cominciare a trovare un altro termine, che non sia l’ennesimo affronto alla memoria proprio là dove la memoria dovrebbe essere sacralizzata e conservata. Samudaripen è il termine alternativo che molti rom propongono: significa “tutti morti”, e non ha implicazioni imbarazzanti per nessuno. Domani le associazioni 21 luglio e Sucar Drom hanno organizzato un convegno a Roma intitolato proprio Samudaripen: può essere un buon inizio, per avere finalmente un nome, e un nome giusto, per l’Orrore dimenticato.

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Idea Rom Onlus

PORRAJMOS o SAMUDARIPEN

Il termine Porrajmos ha un significato controverso nelle numerose varianti della lingua Romanì. Alcuni rifiutano il termine Porrajmos a causa del significato della parola tra i Rom Kanjaira e, a sfumare, in altre comunità provenienti dai balcani. Ma fra le altre comunità Rom, anche provenienti dai balcani e coesistenti negli stessi territori dei Kanjaira, il significato si diversifica in tante direzioni: aprire, strappare, stuprare, divorare mostrano i denti, sbadiglio, abbagliamento, fissare, urlare, imbrogliare , piantare la tenda, lacerare, spalancare gli occhi o la bocca, forza smisurata e violenta, divorare, aprire gli occhi, aprire la bocca, apertura, seduta con le gambe sui fianchi, violentare, disturbare, ampliamento di un'apertura, libertà, accesso, allungare, allargare, estendere, fagocitare... Il termine è stato contestato a causa di alcuni possibili significati, in particolare per il suo uso come un eufemismo per "stupro". Ma questa ulteriore interpretazione , insieme a "gridare" e "bocca aperta" e "strappare a pezzi", aggiunge semplicemente forza al significato simbolico della parola, per quello che il genocidio ha fatto al nostro popolo. Ora abbiamo quattro parole diverse per l'Olocausto dei Rom, ma questo è abbastanza in linea con l'imprecisione complessiva sui Rom in generale, una vaghezza a cui noi stessi stiamo contribuendo. Tuttavia, il riconoscimento internazionale e l'uso della parola Porrajmos si sta diffondendo. Google ha oltre 80.000 voci di testo per Porrajmos / Porraimos / Porraimos / Poraimos e migliaia di immagini. La parola Porrajmos, per quanto controversa, ha dato un'identità e un nome al più tragico evento in tutta la nostra storia. Ovviamente non sappiamo se in futuro sarà ancora questa o un'altra parola a descriverlo ma, per il momento, crediamo che la priorità sia impegnarci per il riconoscimento, la memoria e la lezione di quei tragici eventi.


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January 23, 2014

DEPORTATION OF ROMA TO TRANSNISTRIA

In the 40s all of sudden so called “Gypsy issue” was raised in Romania. It had nothing to do with the traditional attitude of Romanian authorities to this population. From the day of their liberation from slavery in the middle of the XIXth century up to the time when regime of Antonescu came to power Gypsies did not enjoy any special attention of any government. Thus, this “Gypsy issue” refers primarily to evolution of Romanian nationalism and modification of political order of Romania in the political context of 1940, and on the other hand this was an influence from the West, where back at the beginning of the 30s deportations to concentration camps began and severe repressive measures were applied as a result of deepening of racist prejudices, of so called “Gypsy issue”.

This situation began in 1929 with the enactment of a law stipulating certain limitations for Roma including freedom of movement of specially equipp
ed carts and caravans, forcing young people who have reached the age of 16 and are not working anywhere to work for two years in internment camps.

Later, when Hitler came to power in 1933 these measures became more stringent. In the country the main slogan of which was Arbeit macht frei (“Work makes a person free”), any person without documents could be announced a parasite. Therefore Roma, who could not confirm their German nationality were deported from the country. Soon concentration camps were opened and among their prisoners who were the enemies of the regime Jews and Roma were also kept there as criminals.

If real measures were taken against Gypsies in pre-war Hitlerite Germany, only some attempts of scientific analysis of relations between Romanians and national minorities were made at that time in Romania. This approach was based in biopolitics researches of other countries, especially of German science. Later this scientific area became an autonomous part of such subjects as biopolitics and eugenics. The basis for biopolitics was laid by Cluj professor Iulie Moldovan.

On the basis of this particular point of view the “Gypsy issues” was reviewed in Cluj Institute of Social Hygiene representatives of which are actually the “authors” of this notion. They are the authors of such notions as “ethnic purity”, “lower race”, “mixed ethnos”. They believed that there were national minorities in Romania that caused “bioethnic danger”, so called “minorities of non-European origin” or “ballast-minorities”, such as Gypsies, Jews and others.

With certain decisiveness it was stated that “the Gypsy issue” was completely resolved by the political regime proclaimed when general Ion Antonescu came to power, when Romania joined political and ideological orbit of Hitlerite Germany. Since then measures against people speaking different languages were transformed into the state policy.

Ion Antonescu was that very person who raised the issue on the measures against Gypsies at the sitting of the Government on February 7, 1941. After one inspection in Bucharest when he revealed gross violations of the way the city is disguised he required deportation of all Gypsies from the city. This was the beginning of the policy of Antonescu’s regime towards the Gypsies.

As Ion Antonescu declared at the court trial held in 1946 deportation of Gypsies to Transnistria was carried out at his personal order. It is worth mentioning that not a single order of Antonescu concerning Gypsies was signed by him or was officially published. These were oral instructions to the ministers and to the General Inspection of Gendarmerie. Antonescu was closely tracking how his orders were executed, so the policy towards the Gypsies carried out in Romania and Bessarabia during the war times can be considered as creativity of Antonescu himself.

As we have already mentioned the most important part of Antonescu’s policy towards the Gypsies was their deportation to Transnistria in summer and early autumn of 1942. 25 thousand Gypsies were deported to Transnistria, all nomadic Gypsies and some of settled Gypsies.

If we want to understand why Gypsies and Jews were deported to the territory between the Dniester and the Bug rivers which before its occupation by German and Romanian armies in 1941 was the Soviet territory, it should be mentioned that Adolph Hitler and Ion Antonescu exchanged letters and German-Romanian agreement was signed in Tighina on August 30, 1941 in conformity with which this territory fell under administration of Romania and the final status of the territory was to be decided after the war. Romanian administration of Transnistria headed by Gheorghe Alexeanu was dealing with economic and social life of this territory. This administration ruled until January 29, 1944 when it was changed by a military administration because of the developments at the front. Transnistria became the place where in 1941 and 1944 Romanian authorities were deporting Jews of Bessarabia and Bucovina, as well as the Gypsies living in the country.

We will speak about the Gypsies deported from Bessarabia to Transnistria. This issue has not been studied in a single special research. We shall make an attempt to tell about these events on the basis of archive materials and to complete the real picture of Bessarabian Roma deportation to Transnistria.

Basing on the analysis of these materials Roma deportation to Transnistria can be divided into several stages. During the first stage that lasted from June 1 to August 15, 1942 there were deported nomadic Gypsies and those who were causing difficulties. For instance, from June 1 to August 1, 1942 135 persons (4 tents) were deported from urban and rural territories of Chisinau inspection [6] and 33 person, including 19 women and 11 men from Balti region.

At the second stage (from September 12 until early October of 1942) settled Gypsies qualified as extremely dangerous and without any employment were deported. Deportation of settled Gypsies was going on in all Bessarabian inspections – Chisinau, Balti, Cahul, and Orhei.

During this period dangerous and unemployed Roma were deported. For instance, 51 persons – 14 women, 16 men and 21 children were deported from Cahul and Leova regions. We do not know whether there existed lists of the Gypsies dangerous for public order and unemployed Roma in other regions [2, file 552].

We only know about the records that were kept about the Gypsies who were in prisons at that moment, but these people were not deported as they could avoid deportation measures that had been carried out before.

But when they were freed from the prison and those who ran away during deportation were caught an authorization for their deportation to Transnistria was requested from the Main Department.

We believe it is important to mention that certain law enforcement bodies (gendarmerie and police) were intimidating other categories of Roma not subject to deportation to Transnistria with the aim of obtaining certain material benefits as a result of confiscation of the property owned by Roma. [1, file 121].

This can explain the fact that later the ministry and the Council of Ministers received a large number of complaints that many Gypsies were deported in violation of the established procedure and that the lists were not drawn up accurately and thoroughly. Later there was expected retrial of certain cases especially of the families of the Gypsies who were at the front. Implementation of these measures required additional transportation costs and authorities were very unhappy about that. [1, file 258].

From the same document we can find out that other complaints forwarded to the Ministry of Internal Affairs were simply not reviewed and general explanation was given that in each particular case deportation was carried out by mistake or at the request of the people being deported.

At certain stage the Ministry found itself in such situation when it had to return all the Roma and Jews back to their homes, as the latter managed to establish certain connections and demanded the right to be returned home.

In conformity with the order of Chisinau regional police inspectorate Nr. 20371 of September 3, 1942 wired to Balti local police it was necessary to select all local Roma. There were found 24 Roma men who hade previous convictions for various offences and crimes, others were deemed dangerous elements and persons without permanent employment as they were making their living by thefts and other types of fraud [3, file 596].

Thus, 51 persons (both men and women) with 63 children were gathered. Their deportation was organized by Balti Gendarmerie Inspection. On September 15, 1942 they were put into three railroad cars at Balti-Slobodzeia station for further transportation to Transnistria. Property of the deported people was confiscated and transferred to the Property Administration of Balti.

In accordance with the same wire order Nr. 20371 of September 3, 1942 to Ismail local police (Nr. 10371) Roma of this region were to be deported. 44 Gypsies dangerous for public order (16 families) were transferred to the gendarmerie legion on September 5, 1942 [4, file 61].

No instruction on finding and deportation of previously convicted Gypsies was made to this region. Therefore it was not specified what particular categories of Roma must be deported to Transnistria. In other words, assumption that the first category of Roma is dangerous for the public order is not justified, especially if we take into consideration that not only people with previous convictions were deported, but also innocent people, women and children.

List of Roma subject to deportation to Transnistria can serve as convincing example here. For instance, five families were deported from Chisinau region, 16 families (52 persons) from Cahul region, 1 family (2 persons) from police station in Chilia Noua [4, files 61-67].

During the third stage which began after October 13, 1942 (on this date the Council of Ministers made decision on refrain from new deportations) only few Roma were deported to Transnistria, primarily those who avoided summer deportation.

Settled Roma were deported three months later, except for several categories, such as mobilized both at front and at the enterprises executing orders for the front, invalids of war and their close relatives. As far as the mechanism of the orders execution, the information on deportation of nomadic Roma from capital can be considered the most precise one.

As we have already mentioned, some of the people deported at the second stage reached Transnistria because they were not aware of the ministerial order on their liberation from deportation. As a result in the course of the last months of 1942 and at  he beginning of 1943 many Roma who found themselves in such situation and filed written solicitations were returning home.

At the same time many Roma who did not fall into the category of the persons subject to deportation, concealed their previous convictions either with the aim of joining their relatives, or believing that in Transnistria their situation could be better than at home. The Ministry of Internal Affairs set up three commissions that were reviewing their complaints in Transnistria, but each time the authors stated that they had written absolute truth. But since they did not provide any documents in confirmation of their declarations the General Gendarmerie Inspectorate required new field inspection.

In many cases the General Gendarmerie Inspectorate allowed servicemen to visit their families deported to Transnistria, covered their transportation expenses, but did not allow to return home for the simple reason that they allegedly did not request that. Solicitations of Roma were still reviewed by the authorized bodies until March 1943.

For example order Nr. 20771 of January 20, 1943 instructed that no deportations were to be carried out because of typhus epidemic in Transnistria. Later order Nr. 71265 of February 18, 1943 issued by the same department instructs that all solicitations to return from Transnistria shall not be reviewed.

Archive materials do not contain any information about deportation of Roma to Transnistria from such regions as Orhei, Soroca and Tighina. In this respect we have our own assumptions made on the basis of archive researches.

In several documents drawn up soon after the establishment of the Soviet power in this territory we have read that in the village of Cosuati, Soroca region, two pits of different sizes were discovered, the first one is 6 meters wide, 4 meters long and 3 meters deep and another one is 7 meters long, 9 meters wide and 3 meters deep. 20 skeletons were exhumed from the area of 1,28 m2 [5, fund 67]. At the depth of 3 meters 10-12 levels of corpses were laid. According to rough estimations 6000 persons were buried there.

Similar case was registered in the village of Straseni where there were discovered 11 graves 2 meters long and 1 meter wide, and next to them another grave 5 meters long and 4 meters wide. The latter grave obviously became the place of shooting of a large group of civilians. According to estimations about 350 persons were shot there. It is presumed that this happened in July, 1942 [5, fund 63].

We can assume that Roma were also among those victims and thus we can explain lack of lists of Roma of Soroca and Orhei regions subject to deportation to Transnistria.

Orders of the Ministry of Internal Affairs do not provide for clear reasons that caused Romanian authorities to deport Roma. It is supposed that the order on their deportation is based on the idea that major part of Roma caused danger for the public order, especially during civil defence trainings, when Roma were stealing and committing other offences causing damage to state and private property. We do not know the number of Roma deported during the first two stages, but we have information from many regions about people deported to Transnistria in September of 1942. However we cannot be sure that this information is accurate and final.

Thus, the policy carried out by Ion Antonescu set up the lowest status for this category of population and later led to extermination of large number of Roma.

Historian Billing differentiates various types of genocide, such as genocide by means of reproduction prevention and alienation from children, genocide by means of deportation, genocide by means of homicide [7, page 146].

It is worth mentioning that Ion Antonescu chose the second type of genocide by violating human rights proclaimed in the Constitution of 1923.

Therefore the fourth decade of the last century became terrible for a great number of Roma. In November of 1940 at the recommendation of the Ministry of Health Care because of typhus epidemic the Ministry of Internal Affairs prohibited movement of nomadic Roma. Next year results of secret census showed that 208 700 Roma lived in Romania, these were the people who were considered to infect “Romanian race”. In 1942 a Royal decree was issued defining theft tendencies and criteria for Roma deportation. That decree had tragic consequences for Romanian Gypsies.

Instead of conclusions we would like to note that because this drama was not thoroughly studied it is not possible to completely restore the events preceding Roma Holocaust and to systematize statistic data about deportation of Bessarabian Roma to Transnistria.

By Tatiana SIRBU,
Master of History.

Notes:

1. National Archive of the Republic of Moldova (NARM), fund 679, list 1, file 7239.
2. NARM, fund 680, list 1, file 4473.
3. NARM, fund 680, list 1, file 4570.
4. NARM, fund 680, list 1, file 4578.
5. NARM, fund 1026, list 2, file 18.
6. Arhivele Statului, Bucuresti, fond Inspectoratul General al Jandarmeriei, dos. 147/1942.
7. Myriam Novich, Genocid: de la Auschwitz la Bug, //Rromanothan. Studii despre romi, 1997, vol. 1, nr.2.



(english / italiano)


La UE sta causando la guerra civile in Ucraina


Possibile?? Mentre in Italia e nella gran parte dei paesi UE cresce l'anti-europeismo, o almeno il malcontento verso le politiche dell'Unione, in Ucraina viceversa pare che esistano schiere di "europeisti radicali", "disposti a tutto", anche a morire in piazza, per farsi schiavi della tecnocrazia di Bruxelles!
Forse le cose non stanno proprio così… Forse gli esagitati della piazza di Kiev sono una minoranza, ma una minoranza che dispone di spaventosi megafoni e di potentissimi appoggi. Certo è che, come è già successo nel caso jugoslavo, anche in Ucraina le pressioni verso la cosiddetta "integrazione europea" sono causa di gravi contrasti nel corpo sociale. Se proseguirà lo sforzo delle diplomazie occidentali per far vincere a tutti i costi l'opzione annessionista, il paese potrebbe spaccarsi in due: da una parte l'ovest a prevalenza cattolica e uniate (ortodossa filo-cattolica), annesso per l'appunto alla Unione Europea; dall'altra l'est dove è prevalente la componente russofona e ortodossa. 
"Europeisti" furono già, nel senso indicato da Hitler e Mussolini, i collaborazionisti seguaci di Bandera, protagonisti di spaventosi pogrom contro la popolazione ortodossa e contro gli ebrei durante la II Guerra Mondiale. Proprio nella Giornata della Memoria, ritrovare nella piazza di Kiev certa teppaglia razzista con le croci uncinate dovrebbe preoccupare chiunque abbia un po' di buon senso; e invece, l'inviata di RaiNews24 Annamaria Esposito sbraita in diretta televisiva, senza alcun contraddittorio, che le offerte di Janukovic "non si possono più accettare" perché "siamo andati troppo oltre" e "la piazza" è orgogliosamente "pronta a tutto"… RaiNews24, dunque, di nuovo con l'elmetto. Come sempre. (A cura di Italo Slavo)


1) Denunciamo il carattere fascista della nuova “rivoluzione colorata” in Ucraina (Mauro Gemma)
2) L'Ucraina sta precipitando in una guerra civile provocata da forze fasciste e neo-naziste, con il sostegno della NATO e dell'Unione europea (Fausto Sorini)
3) Media Disinformation: What’s Really Going On in Ukraine? (Andy Dilks)
4) Ucraina: conservatori e fascisti uniti nella destabilizzazione filo-occidentale (Fabrizio Verde)
5) Lettera aperta del leader del Partito Comunista Petro Simonenko al Presidente dell’Ucraina Viktor Yanukovich
6) LE NOTIZIE DI "VOCE DELLA RUSSIA": Lavrov avverte gli USA di non interferire in Ucraina / Yanukovich nota stranieri armati a Kiev / I radicali stanno continuando ad impadronirsi del potere in Ucraina
7) Ucraina: la storia non raccontata (Brian Denny)


LINKS:


On the Offensive (Germany and the protests in Ukraine)

Serbian scenario unfolding in Ukraine? Nebojsa Malic' interview

Russia Warns West Not To Encourage Ukrainian Violence (Stop NATO, January 25, 2014):
1) Moscow urges West not to encourage Ukrainian militants' actions
2) Lavrov criticizes Europeans for inappropriate reaction to events in Ukraine
3) Protesters piling up firearms at Kyiv City Administration building - Ukrainian interior minister 
4) Protesters blockade Ukraine's Energy Ministry
5) Buildings of four regional state administrations remain seized in Ukraine
6) Crimean parliament urges Yanukovych to declare state of emergency
7) Lawmakers from ruling party banned from travel to U.S.
8) Policeman shot dead in Kyiv, another policeman sustains knife wound - Ukrainian interior ministry

Pro-Western Ukrainian opposition stokes up civil war


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Denunciamo il carattere fascista della nuova “rivoluzione colorata” in Ucraina

20 Gennaio 2014

di Mauro Gemma

Alcuni nostri lettori e compagni dell'Europa orientale ci hanno chiesto, con appelli accorati, di contribuire a far conoscere il livello inaudito che hanno raggiunto le violenze scatenate dai fascisti ucraini nelle manifestazioni che, ormai da molte settimane, si propongono di sovvertire con un vero e proprio colpo di Stato le istituzioni della repubblica ex sovietica e che da noi una indegna campagna mediatica continua a presentare come la pacifica espressione della volontà di un popolo ansioso di entrare nell'Unione Europea, che sarebbe vittima di una feroce repressione.

Va detto, per fare chiarezza, che questo “popolo”, che occupa la piazza principale della capitale e tanto osannato dal nostro sistema di comunicazione dominante, è costituito prevalentemente da bande di teppisti, alla cui testa si trova  "Svoboda", un partito che mantiene legami "fraterni" anche con “Forza Nuova”, nostalgico del collaborazionismo con le SS, che ha tra i suoi "maestri" i criminali di guerra che si distinsero per lo zelo con cui parteciparono ai massacri di centinaia di migliaia di ebrei, comunisti e inermi civili nella Seconda Guerra Mondiale.
Costoro sono fautori dell'apartheid nei confronti delle decine di milioni di ucraini di etnia russa e russofoni. Si sono opposti con rabbia (insieme a quella Julia Timoshenko che, sebbene sia stata condannata per crimini economici, è stata proclamata “eroina dell'Occidente”) alla concessione al russo dello status di lingua ufficiale del paese. Nella parte occidentale dell'Ucraina questi gruppi di teppisti si sono resi responsabili di assalti alle sedi comuniste, di aggressioni ai veterani dell'Armata Rossa, di oltraggio ai monumenti che ricordano il periodo socialista. Sono gli stessi che, poco tempo fa, con furia vandalica hanno abbattuto la statua di Lenin nel centro di Kiev. Va detto senza incertezze: sono veri e propri fascisti. Fascisti che hanno trovato la solidarietà persino di esponenti del Partito Democratico, come il vicepresidente del parlamento europeo, Gianni Pittella, che, con un'inammissibile ingerenza negli affari interni di un paese sovrano, non ha avuto alcuna vergogna ad arringare e a farsi applaudire (insieme ad altri esponenti di questa Unione Europea che sta massacrando il nostro stato sociale e le prospettive di futuro per i nostri figli) da una folla che sventolava le bandiere di "Svoboda".

A fronte della campagna mediatica di sostegno a questi delinquenti fa riscontro, purtroppo, il silenzio mantenuto dalle forze più coerentemente di sinistra del nostro paese. E' ora di darsi una mossa, compagne e compagni. Con i venti gelidi di fascismo che soffiano in Europa, la denuncia e la mobilitazione sono oggi più che mai doverose. Il silenzio non ha più giustificazioni.


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L'Ucraina sta precipitando in una guerra civile provocata da forze fasciste e neo-naziste, con il sostegno della NATO e dell'Unione europea

26 Gennaio 2014 

di Fausto Sorini, responsabile esteri PdCI, segreteria nazionale

Una sovversione violenta e reazionaria, organizzata e guidata da gruppi paramilitari fascisti e neo-nazisti ucraini e da professionisti al soldo dei gruppi dominanti dell'Unione europea e della NATO sta cercando di rovesciare le istituzioni democratiche elette dal popolo ucraino in libere elezioni. Elezioni riconosciute dagli osservatori internazionali e dalle Nazioni Unite.
Nelle regioni in cui la sovversione reazionaria ha preso il sopravvento in queste ore, sono già stati dichiarati "fuorilegge" il partito comunista ed altri partiti al governo.
Facciamo appello all'ANPI e alle forze antifasciste (non solo a parole) presenti nel Parlamento italiano ed europeo affinchè facciano sentire la voce in una situazione che sta trascinando l'Ucraina in una guerra civile sanguinosa, che minaccia la pace nel cuore dell'Europa. Chi ha ancora la volontà e la possibilità di influire sulla situazione, lo faccia. Oppure sarà corresponsabile di una gravissima connivenza con questo nuovo fascismo risorgente. - 


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Media Disinformation: What’s Really Going On in Ukraine?

Global Research, January 27, 2014

You’d be forgiven for knowing very little about the unrest in Ukraine – the violence, the rioting on the streets, the armed protesters storming government buildings amidst plumes of thick black smoke rising from makeshift barricades. Most of the public have once again been Beibered by the mainstream media – the arrest of this precocious, spoilt physical embodiment of crass corporate culture proving newsworthy enough for an MSNBC host to interrupt an interview with a member of Congress discussing the true scale of NSA spying.

In this climate of superficial distractions and media inanity, you’d be equally forgiven for not really knowing why there is political unrest in Ukraine. Most of the explanations for the violence offered by the mainstream media present the information in simplistic soundbytes – talking points without the relevant wider political and historical context which renders current events coherent.

The following article from The Independent provides us with a brief overview of the media’s presentation of recent events in Ukraine:

In November President Viktor Yanukovych decided to pull out of a treaty with EU, an agreement many felt would have paved the way for the Ukraine to join the union. It looked like he was going to sign the agreement before performing a U-turn, which has made Ukrainian disappointment all the sharper. However the government would rather stay friendly with Putin in return for favourable treatment. The protesters think it would benefit ordinary people far more to be aligned with the EU and consider Yanukovych a man who only represents the interests of the richest.

The article goes on to define the demonstrations as “more than a pro-EU movement”, one which represents popular resentment towards perceived government corruption and violent repression towards peaceful activists.

President Viktor Yanukovych’s government forces are certainly guilty of using excessive force against the rioters, and accusations of torture appear to be well-founded and should not be excused. But condemnation is certainly clouded when you consider the level of violence from the rioters. By the same token, when mobile phone users near the scene of the riots received text messages from the state reading, “Dear subscriber, you are registered as a participant in a mass riot” it brought to home just how omnipresent - and ominous - surveillance technology in the 21st century has become. 

The problem with the “popular protests against the government and for integration into the EU” narrative is that it omits crucial information regarding the role of the West is fomenting and orchestrating demonstrations such as these; a role which illuminates broader geopolitical objectives in the region and the extent to which intelligence agencies and their offshoot organizations meddle in the affairs of sovereign nations. Understanding the nature of soft power – the use of coercion and bribery – and the subversion and infiltration of grassroots political movements by NGOs and other organizations backed either directly or indirectly by the US government, helps us to more broadly understand why the unrest in Ukraine is reaching such a fever pitch.

The seemingly spontaneous 2004 Ukrainian “Orange Revolution”, sparked by alleged electoral fraud and allegations of voter intimidation, was led largely by a number of grassroots movements tied to political activists and student groups. Many of the groups involved, however, were funded and trained by organizations intimately linked to the US government. The foreign donors of these groups included the US State Department, USAID, the National Democratic Institute for International Affairs, the Open Society Institute and the National Endowment for Democracy. 

The candidate who emerged victorious in the wake of these widespread orchestrated protests, Viktor Yushchenko, was not only endorsed by the same institutions which wielded their influence over the protest movements themselves, he was also supported by the International Monetary Fund. A central banker by profession, Yushchenko was a firm advocate of implementing IMF monetary reforms and, equally crucially, an advocate of NATO membership. Before entering into Ukrainian politics he had worked at the US State Department,the Reagan White House, the U.S. Treasury Department, and the Joint Economic Committee of Congress. In short, it’s safe to say that he was a product of Washington, an image only exacerbated by his hostility towards Russia.

It is tempting to automatically assume that the same process is taking place in Ukraine at the moment. Certainly, intelligence agencies have historical form when it comes to covert operations and the manipulation of activists via social media – similar US-backed “Colour Revolutions” have taken place in Georgia, Yugoslavia and elsewhere. The widespread political support for the protesters in Ukraine and the lack of condemnation for their use of violence would certainly add to the view that these protests are at least tacitly backed by the West, if not outright orchestrated. While none of this constitutes “proof” of outside interference, at the very least it is enough to raise suspicions. On the other hand, without firm evidence it is perhaps equally plausible that the support for the protesters is simply a case of making political capital out of the situation, stoking the flames of an already lit fire.

As the violence on the streets of Kiev continues, already spreading away from the capital, the Russian State Duma recently passed a resolution slamming foreign politicians and other players for interfering in Ukrainian internal affairs in an attempt to escalate the conflict. It’s a marked contrast to the rhetoric emerging from Washington and the EU, both of whom have expressed the possibility of intervening, with the US adopting a stance which hints at another planned “regime change” on Russia’s doorstep.

Perhaps the most damning indictment of the West’s stance over Ukraine and their support for what they refer to as a “pro-democracy protest movement” is the profoundly anti-democratic leanings of the violent protestors at the vanguard of the assault on the Ukrainian authorities. Anyone familiar with the crisis in Syria and the attempts to topple President Assad will be all too familiar with the US’s willingness to get into bed with extremists of the worst possible nature in order to achieve their objectives.

In Ukraine today it appears that very little has changed. Just as the Western-backed Syrian rebels with intimate ties to al-Qaeda were presented in our media as “pro-democracy” organizations, so too are many of those protesting in Ukraine drawn from far-right and fascistic groups such as the opposition Svoboda party, whom John McCain was more than happy to appear on stage with in December 2013 and offer his – and by extension America’s – support.

Yet it would also be wrong-headed to characterize the protests in Ukraine as being led by far-right extremists – many protesters are taking to the streets through genuine and legitimate grievances with the current government. The danger lies in these moderate protesters allying themselves with those on the far-right – combined with tacit support from the US for the likes of the Svoboda party, it could be a concoction which would set the stage for a dictatorship far more corrupt and repressive than those currently clinging onto power.

With the geopolitical stakes as high as they are, not least with the potential for a broader NATO influence in the region, it would be wise to view the situation in Ukraine through the wider prism of the global balance of power and all that this entails. Equally, we should be wary of simplistic media narratives which seek to paint any conflict in black and white/good vs. evil terms, particularly when the “good guys” are being backed by the US government and her allies. All too often this amounts to little more than propaganda designed to rouse support for opposition movements favourable to “regime change”, and by now it should be very clear how little this has to do with vague, idealistic notions of “democracy”, and how much it has to do with regional – and ultimately global – hegemony.


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Ucraina: conservatori e fascisti uniti nella destabilizzazione filo-occidentale

23 Gennaio 2014 
di Fabrizio Verde per Marx21.it

Giungono ancora una volta notizie di duri scontri da Kiev, dove i manifestanti anti-governativi e filo-europei, hanno tentanto di sfondare i cordoni dei reparti antisommossa per assaltare il parlamento ucraino. Ancora una volta i media nostrani danno conto di quanto accade nell'ormai nota piazza Maidan di Kiev, messa a ferro e fuoco, argomentando con la consueta capziosità. 

La narrazione degli eventi è, come di norma accade in questi casi, manichea: da una parte i manifestanti democratici, filo-europeisti e ovviamente amanti della libertà. Dall'altra il governo guidato da Yanucovich, vicino alle posizioni della Russia, quindi per convenzione nemico giurato della libertà e autoritario. Insomma, una sorta di regime repressivo e dispotico a prescindere. 

Peccato, che praticamente nessuno si sia preso la briga di andare oltre le veline occidentali. Di provare a inquadrare quanto avviene alle porte della Russia - un territorio dunque strategicamente importante – dove più che una dura protesta per la mancata associazione con L'Unione Europea e contro le politiche del governo, sembra essere in atto una vera e propria destabilizzazione – portata avanti del classico stile delle rivoluzioni colorate – mirante a dirottare il paese nell'orbita Ue e Nato. 

Eppure sarebbe bastato non fermarsi alla superficialità degli eventi e provare ad andare più fondo, magari abbozzando un analisi su quel coacervo di forze eterogenee che rappresentano l'opposizione filo-europea, dove spiccano gli «iper-democratici» nazisti di Svoboda, per fare quantomeno un minimo di chiarezza sulla questione. 

Il ruolo di Canvas

Uscendo dalla versione edulcorata e manichea impostata dai media nostrani, troviamo chi come il giornalista statunitense ed esperto di questioni geopolitiche William Engdahl, ha raccolto informazioni sul ruolo giocato in Ucraina da Canvas (ex Otpor), Organizzazione non Governativa serba attiva dalla fine degli anni 90', che risultò poi essere il fulcro dell'opposizione filo-occidentale al presidente Slobodan Milosevic. 

Fonti ucraine hanno infatti spiegato al giornalista statunitense che vi sono autobus fatti convogliare su Kiev da tutti gli angoli del paese. Bus pieni zeppi di studenti e disoccupati ingaggiati per le proteste. Vengono inoltre distribuiti in piazza Maidan - cuore della contestazione - opuscoli identici ( http://12160.info/photo/photo/show?id=2649739:Photo:1376645 ) a quelli diffusi nel 2011 nella ormai celebre piazza Tahrir. Luogo simbolo e teatro delle manifestazioni di protesta che portarono al rovesciamento di Hosni Mubarak. Spalancando le porte del governo ai Fratelli Musulmani, ovviamente sponsorizzati da Washington.  

A questo punto è necessario, oltre che interessante e istruttivo, fare un passo indietro per ripercorrere a grandi linee la storia di questa organizzazione, già attiva nel tentativo di «rivoluzione arancione» in Ucraina del 2004. 

L'attuale e influente Center for applied nonviolent action and strategies (Canvas) discende dalla vecchia Otpor!, organizzazione che si forma e acquista consensi durante i bombardamenti Nato sulla Yugoslavia, allorquando diede vita a una forte campagna politica e mediatica volta al rovesciamento del presidente serbo Milosevic. Divenendo così il cuore dell'opposizione filo-occidentale. Una volta ottenuta la caduta di Milosevic, l'organizzazione nel 2001 tenta la trasformazione in partito politico presentandosi alle elezioni del 2001. Ma l'operazione fallirà, con la lista che si ferma a un misero 1.65%. 

A questo punto i leader di Otpor abbandonano l'idea della trasformazione in partito politico, decidendo di dedicarsi alla «consulenza». Si trovano così a ricoprire un ruolo di primo piano, mettendo a disposizione le proprie «competenze», oltre a una considerevole quantità di dollari, durante le cosiddette rivoluzioni colorate negli stati ex-sovietici. Movimenti d'opposizione come Kmara in Georgia e Pora in Ucraina, tra il 2003 e il 2004, potranno contare sull'appoggio dei leader dell'ormai ex Otpor, che di lì a breve diverrà Canvas. 

L'organizzazione Canvas, però, raggiunge la ribalta delle cronache internazionali durante la cosiddetta «primavera araba», dove i movimenti di protesta tramite i social network ammettono non solo d'ispirarsi all'esperienza dell'ex Otpor, ma di avvalersi della loro consulenza. Della vecchia Otpor, il movimento egiziano 6 aprile mutuerà anche il simbolo. Dalle rivoluzioni colorate alle primavere arabe, per Otpor - Canvas il passo è stato decisamente breve, ma significativamente sempre rivolto nella stessa direzione. Quella che conduce verso gli interessi Usa-Nato sullo scacchiere internazionale. 

Attualmente Canvas si dichiara una fondazione educativa a cui sarebbe «proibito ricevere fondi da governi o altre fondazioni». In realtà è dato acclarato e mai smentito, che Canvas riceva regolarmente ingenti finanziamenti da svariate realtà quali: la Fondazione Andenauer, l'Open Society Institute di George Soros, l'International Renaissance Foundation, il National Democratic Institute di Madeleine Albright e l'Ong statunitense Freedom House (il cui budget è coperto per ben l'80% dal governo federale degli Stati Uniti) che ha addirittura assunto due componenti di Otpor come consulenti per i movimenti in Ucraina e Bielorussia. 

I nomi dei finanziatori ci portano direttamente a chi si cela dietro i tentativi, odierni e passati, di destabilizzazione dell'Ucraina: Unione Europea e Stati Uniti. Gli stessi Usa che ebbero un ruolo fondamentale nell'addestramento degli attivisti serbi sui metodi di combattimento nei disordini di piazza. Un ex funzionario Cia, Robert Helvey, fu infatti incaricato di radunare a Budapest e addestrare i membri dell'allora Otpor. Il tutto, finanziamenti e ingerenza Cia, confermato da un'inchiesta condotta da Limes all'indomani della cacciata di Mubarak.  

L'Unione Europea, L'Udar di Klitschko e i nazisti di Svoboda

Una volta appurato il ruolo di Canvas, che evidentemente si muove nel solco di quanto viene stabilito in quel di Washington, diventa interessante andare a scoprire le connessioni tra l'eterogenea schiera della cosiddetta opposizione filo-occidentale e l'Unione Europea. Oltre agli immancabili Stati Uniti d'America come abbiamo constatato in precedenza. 

Figura paradigmatica, esemplare in tal senso, è quella dell'ex campione di pugilato Vitaly Klitschko.  Uomo forte del partito di destra Udar, capace di incassare il consenso e il sostegno statunitense ed europeo. L'ex pugile attualmente indicato come leader della variegata opposizione, viene sostenuto da Victoria Nuland (incontro tra Klitschko e Nuland: http://www.youtube.com/watch?v=0miz548u0WY ). Già rappresentante statunitense presso la Nato sotto Bush, che attualmente ricopre il ruolo di Segretario di Stato per gli Affari Europei ed Euroasiatici dell'amministrazione Obama. Ma la Nuland può vantare solidi legami presso gli ambienti neoconservatori: suo marito è Robert Kagan, noto falco nonché stretto collaboratore dell'ex vicepresidente Usa Dick Cheney. 

Per quanto riguarda il versante europeo, è invece il quotidiano teutonico Bild a informare che il Cancelliere tedesco Angela Merkel di concerto con il PPE (conservatori europei), avrebbe indicato apertamente Klitschko come candidato filo-europeo da appoggiare in vista delle elezioni in programma per il 2015. Già da tempo l'Unione Cristiano Democratica di Germania (CDU) partito del Cancelliere tedesco – insieme al PPE - offre supporto economico e logistico ai membri di Udar. Provvedendo anche all'addestramento politico degli esponenti del partito di destra ucraino. 

Addirittura l'europarlamentare conservatore tedesco Elmr Brok, recatosi a Kiev, si è spinto sino a chiedere ai dirigenti dell'opposizione ucraina di essere pronti a morire per instaurare un nuovo corso pro-europeo.

Chiudiamo questo parziale resoconto sull'opposizione ucraina, che ancora alle nostre latitudini viene definita «pro-democrazia» - quando in realtà si tratta di un coacervo di forze conservatrici e fasciste - con Svoboda. Diretta derivazione del Partito Socialista Nazionale Ucraino (SNPU), prenderà l'attuale denominazione nel 1998, dopo l'elezione del suo leader Oleh Tiahnybok al Parlamento ucraino. Di  viene ricordato un aberrante discorso tenuto sulla tomba di un nazista ucraino, dove ha inveito contro «la mafia ebraica di Mosca». 

Questo partito sciovinista e nazista i cui militanti sono stati indicati dal New York Times come i più «temibili» tra i manifestanti, autori «delle iniziative più provocatorie come l'occupazione di edifici e il blocco degli uffici governativi», è fautore del culto di Stepan Bandera. Il fondatore dell'Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini che nel giugno del 1941 unì le proprie forze a quelle dei nazisti durante l'invasione dell'Unione Sovietica. Lo sdoganamento di Svoboda (Libertà) è avvenuto grazie al partito filo-tedesco Batkivshina della malversatrice Julia Tymoshenko, attualmente detenuta per appropriazione indebita e frode, che nell'ultima tornata elettorale ha stretto un'alleanza con i nazisti decisamente fruttuosa per questi ultimi che hanno ottenuto ben 37 seggi. Mentre la loro influenza aumenta sempre più, grazie anche al ruolo preminente nelle violente proteste in atto. 

Disinformazione dei media mainstream e «abbagli» di una certa sinistra      

Per descrivere il ruolo mistificatore dei media mainstream in questa vicenda, possiamo ricorrere a quanto espresso dall'autorevole dirigente comunista Pietro Secchia attraverso le colone del settimanale «Rinascita» nel 1950. 

«Non da oggi – scriveva Secchia - la stampa è un potente strumento di cui si serve la classe dominante per mantenere la sua dittatura. Il grande capitale non domina solo con le banche, i monopoli, il potere finanziario, il tribunale e la polizia, ma con i mezzi quasi illimitati della sua propaganda e della corruzione ideologica. Mai, però, come oggi, il malcostume della stampa capitalista si è manifestato in forme così volgari e abiette. Vi fu un’epoca, agli inizi

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