Informazione
4 febbraio 2014
Rifondazione invita una revisionista
il Ricordo delle foibe diventa un caso
“La storica (…) che definisce “mistificazione” i “massacri tra il 1943 ed il 1945”; poi sono definita “revisionista” (che di per se stesso sarebbe anche un termine corretto, dato che ho rivisto buona parte delle affermazioni prive di riscontro storico che da decenni vengono ribadite come se fossero oro colato, ma nel contesto dell’articolo assume un significato negativo dei miei lavori di ricerca), “riduzionista”, come se mi fossi limitata a “ridurre” qualcosa invece di analizzarlo criticamente.
Così inoltre nel testo si legge che Cernigoi “riduce i massacri delle foibe” a “mistificazione storica, trasmessa dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo”.
Mi domando: il giornalista ha letto qualcosa di quanto ho scritto oppure si è limitato a copiare (non correttamente, tra l’altro) il sottotitolo del mio primo studio sulle foibe, risalente ancora al 1997, “Operazione foibe a Trieste”, il cui sottotitolo esatto era “come si crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo”.
La mistificazione storica riguarda la propaganda creata intorno a questo periodo storico, non le “foibe” in quanto tali, come si comprende benissimo leggendo quanto ho scritto, ed ancora meglio è spiegato nello studio successivo “Operazione foibe tra storia e mito”, pubblicato nel 2005. Viene riferito come dato di fatto incontrovertibile l’intervento di Riccardo De Corato (è uno storico? un ricercatore?) che “nelle foibe” sarebbero morte migliaia di persone “con la sola colpa di essere italiane”, e non le 400 che avrei detto io. A parte che io non “vado ripetendo” che gli infoibati sarebbero stati 400 (nei miei studi ho spiegato i termini della questione, che non sto qui a ripetere per motivi di spazio) ma non comprendo perché il giornalista abbia pubblicato quanto detto da altre persone e non mi abbia contattata per chiarimenti, come era rimasto d’accordo con gli organizzatori dell’incontro, prima di scrivere frasi che presentano negativamente il mio lavoro, che è frutto di decennali ricerche negli archivi italiani ed esteri, di analisi accurata di quanto pubblicato in precedenza e di interviste con testimoni dei fatti.
Chiedo pertanto che il quotidiano da Lei diretto mi dia l’opportunità di chiarire quanto su di me pubblicato in modo non corretto e sminuente del mio lavoro, che sembra finalizzato a giustificare la negazione dell’uso della sala per un’iniziativa culturale, come se io fossi una persona non degna di parlare di determinati argomenti.
Ringraziando per la cortese attenzione, attendo riscontro
Cordiali saluti
Claudia Cernigoi
Iscrizione n. 262 d.d. 2/6/1981 albo giornalisti Friuli Venezia Giulia.
Como: il sindaco Pd obbedisce ai fascisti di Militia e sfratta l’Anpi
La notizia è di quelle gravi, gravissime. E la dice lunga sulla degenerazione di un partito che solo in campagna elettorale continua a predicare un antifascismo strumentale che poi nega ogni giorno.
Sabato pomeriggio la locale sezione dell’Anpi di Como e l’Istituto di Storia contemporanea “Pier Amato Perretta” avevano organizzato un incontro pubblico con la storica Alessandra Kersevan all’interno della sala delle conferenze della Circoscrizione 1. Un incontro all’insegna di quel recupero della memoria storica che lo stato italiano afferma di promuovere e difendere addirittura attraverso l’istituzione di giornate ad hoc. L’incontro mirava a ricordare che “Tra il 1941 e l’8 settembre del 1943, il regime fascista e l’esercito italiano misero in atto un sistema di campi di concentramento in cui furono internati decine di migliaia di jugoslavi: donne, uomini, vecchi, bambini, rastrellati nei villaggi bruciati con i lanciafiamme. Lo scopo di Mussolini e del generale Roatta, l’ideatore di questo sistema concentrazionario, era quello di eliminare qualsiasi appoggio della popolazione alla Resistenza jugoslava e di eseguire una vera e propria pulizia etnica, sostituendo le popolazioni locali con italiani”.
Ma ai fascisti di Militia l’iniziativa volta a ricordare le responsabilità del regime fascista italiano nelle persecuzioni dei popoli della Yugoslavia occupati ed aggrediti durante l’invasione italiana e tedesca non è piaciuta. Niente di nuovo, si dirà. Senonché il sindaco di Como Mario Lucini, espressione di una giunta di coalizione tra Partito Democratico, Sel (!) e alcune liste civiche ha deciso di obbedire al diktat di quelli di Militia – che accusano Kersevan di “spiccato negazionismo sul dramma delle foibe” – e quindi decide di sfrattare l’iniziativa negando il salone della circoscrizione.
L’amministrazione di Como si è nascosta dietro una sorta di par condicio tra associazioni partigiane e antifasciste ed organizzazioni di estrema destra. Siccome nei giorni scorsi il salone della circoscrizione era stato negato ad una iniziativa di celebrazione di un esponente del regime nazista allora non lo si può concedere neanche alla “parte avversa”.
Di qui il forzato trasloco della conferenza, che alla fine si è tenuta nel salone Bertolio con qualche elemento in più di consapevolezza sull’attualità dei valori dell’antifascismo.
Sul loro sito quelli dell'Associazione Culturale Militia cantano vittoria.
MERCOLEDÌ 05 FEBBRAIO 2014
La lettera di un docente del Volta e quelle morti oltraggiate dalla ricercatrice
Gentilissimi, non so se faccio bene a scrivervi, ma se non lo avessi fatto sentirei di aver mancato a un mio dovere professionale.
Sono un insegnante di storia e filosofia del Liceo classico Alessandro Volta di Como, cultore di storia e autore di alcuni testi divulgativi. La conferenza di Alessandra Kersevan non era sulle foibe e il libro che ha scritto non parla di foibe, dunque come si spiegano le pagine di notizie polemiche di ieri e oggi? Come mai sul giornale di oggi non c’è la cronaca della conferenza ma solo la foto? Ho assistito alla conferenza come faccio sempre quando arriva a Como qualcuno che parla di storia, soprattutto del Novecento, e ho anche registrato col mio Ipod l’intero intervento della Kersevan, perciò sono in grado di provare quello che affermo. Sarei grato di avere spiegazioni, citazioni o fonti in cui si possa leggere che la Kersevan, apparentemente una persona pacata e obiettiva (nel senso dell’obiettività storica), neghi le foibe, le riduca a fenomeno marginale o offenda i caduti sotto i colpi della violenza titina.
Cordialmente,
Paolo Ceccoli
Gentile professore, ha fatto benissimo a scriverci, tanto che la sua lettera merita la dovuta attenzione. E qualche risposta.
La prima è relativa all’oggetto della conferenza organizzata da Anpi e Istituto Perretta. Come potrà accertare rileggendo l’articolo pubblicato sul “Corriere di Como” di sabato scorso, nessuno ha mai scritto che Alessandra Kersevan avrebbe parlato delle foibe. Al contrario, era specificato in maniera inequivocabile che il titolo, e dunque il contenuto dell’intervento, avrebbero riguardato altro argomento. Per questo motivo, ossia per il fatto che l’evento in sé esulava dai dati di cronaca, centrati sull’aspra polemica che la figura stessa della Kersevan suscita in una notevole parte dell’opinione pubblica sul tema specifico delle foibe, non è stato dato resoconto puntuale della conferenza in sé.
Chiariti questi due punti, veniamo alle “tesi” di Alessandra Kersevan sulle foibe.
Chi scrive, legge per esempio in questa frase dell’autrice - “Commemorare i morti nelle foibe significa sostanzialmente commemorare rastrellatori fascisti e collaborazionisti del nazismo. Per gli altri morti, quelli vittime di rese dei conti o vendette personali, c’è il 2 Novembre” - un oltraggio indegno alle centinaia di civili italiani e non (ma se fossero decine non cambierebbe nulla) gettati nelle fosse carsiche dai soldati comunisti di Tito. Di più: in quelle parole si coglie una disumana e inaccettabile divisione tra morti di serie A e morti di serie B, che va ben al di là dei torti e delle ragioni che pure la Storia ha già affermato. E che, invece, insinua nemmeno velatamente il concetto che un cadavere, o persino un prigioniero di guerra in vita, possa tutto sommato “meritare” o meno ogni oltraggio a seconda della divisa che indossava.
Aggiungo. Sul sito “diecifebbraio.it” è riportato il titolo di un’intervista concessa il primo febbraio scorso dalla Kersevan all’emittente radiofonica “Radiazione” (con contenuto scaricabile). Ebbene, il titolo - riferito alla ricorrenza del 10 Febbraio - è questo: “Il giorno della menzogna”. Proprio come la peggiore propaganda negazionista della Shoah titola molti dei suoi più ignobili scritti. Ecco, chi scrive pensa che - al di là di un revisionismo storico legittimo, quando serio - coloro che aderiscono senza battere ciglio a una qualunque iniziativa che bolli in maniera apodittica e preconcetta i drammi delle foibe o della Shoah con la parola “menzogna” possano fare una cosa sola: vergognarsi.
Emanuele Caso
Nella foto:
La ricercatrice storica Alessandra Kersevan, contestata da più parti perché ritenuta revisionista, quando non proprio negazionista, delle foibe
seconda parte: http://www.youtube.com/watch?v=V4exkreWJ8w
terza parte: http://www.youtube.com/watch?v=pgrBvSFP4rw
Nonostante un'allucinante campagna mediatica ampiamente disinformativa e nonostante l'incompresibile negazione all'ultimo momento da parte del sindaco di Como della sala della Circoscrizione n. 1, oltre centoventi persone hanno assistito con attenzione ed interesse alla conferenza con la storica Alessandra Kersevan di sabato 1 febbraio dal titolo: Lager italiani - pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943
Ringraziamo la relatrice prof.essa Kersevan, l'Istituto di Storia P.A. Perretta per la collaborazione e il comitato soci Coop per aver messo a disposizione la sala.
Mentre a Cantù si è data ospitalità ad un gruppo di nazifascisti a Como si vieta uno spazio pubblico per un' iniziativa dal contenuto informativo e culturale voluta dall'Istituto di Storia nella pienezza del suo compito e dall'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia nella legittima funzione rivolta a tenere viva la memoria. Chi non è venuto all'incontro ha perso una lezione sulla storia che riguarda noi italiani.
I contenuti di questa conferenza sono apparsi culturalmente interessanti e didatticamente formativi. La storia del confine orientale con la ex Jugoslavia si rivela, nei saggi della Kerseveran, complessa e piena di dettagli inediti e documentati.
Si dovrebbero incentivare iniziative come questa in modo da contrastare l'ipocrito atteggiamento di nascondere i crimini fascisti e lasciare, i più, nell'ignoranza di credere che "Mussolini aveva bonificato l'Agro Pontino" e "Costruito pochi chilometri di autostrada", sottacendo le atrocità commesse nei confronti di altri popoli per una assurda voglia di conquista mai, per altro, realizzata e mai giudicata sino in fondo.
Anpi sezione di Como "Perugino Perugini"
Kersevan / Una grande lezione di storia
Nel salone Bertolio della Cooperativa di via Lissi a Rebbio la storica Alessandra Kersevan ha ricostruito in un’approfondita conferenza nel pomeriggio di sabato 1 febbraio le vicende connesse all’occupazione fascista delle regioni della ex Yugoslavia, legate soprattutto all’internamento di un numero grandissimo di civili, uomini e donne, vecchi e bambini, in campi di concentramento italiani tra 1941 e 1943.
L’incontro, organizzato dalla Sezione di Como dell’Anpi e dall’Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Perretta, avrebbe dovuto tenersi – com’è noto – alla Circoscrizione n. 1 di Albate se il Comune non avesse ritirato all’ultimo momento la concessione della sala. Il trasferimento non ha nuociuto alla partecipazione, anzi: oltre cento persone hanno affollato il salone Bertolio. Un pubblico attento e partecipe, intenzionato a capire.
E se alle persone presenti si fosse aggiunto anche qualcuno di quelli che in questi giorni hanno accusato la studiosa di “negazionismo” riguardo alla vicenda delle foibe, avrebbe avuto la misura di quanto si è sbagliato.
Dopo le parole di premessa di Nicola Tirapelle della Sezione di Como dell’Anpi e l’attenta introduzione di Elisabetta Lombi, dell’Istituto di Storia Contemporanea, che ha fornito i dati essenziali del volume Lager italiani – recentemente pubblicato appunto dalla studiosa -, Alessandra Kersevan ha ricostruito la storia dell’area intorno al “confine orientale” dalla prima guerra mondiale fino a tutta la vera e propria occupazione fascista. Una regione estremamente complessa, in cui era evidente una realtà plurinazionale (italiana, slovena, croata, ma anche tedesca e rumena) e che l’annessione all’Italia cercò subito di omologare a una pretesa italianità. Su queste vicende ha operato una profonda rimozione, quando non una vera e propria censura: Alessandra Kersevan ha ricordato solo due esempi, ma estremamente significativi: il documentario della Bbc Fascist legacy, realizzato alla fine degli anni Ottanta, acquistato e tradotto dalla Rai ma mai trasmesso, e poi soprattutto il documento finale della commissione storica italo-slovena istituita dai governi dei due Paesi e che avrebbe dovuto essere ratificato dai rispettivi governi, cosa che è avvenuta per la Slovenia ma non per l’Italia.
La data cardine per le specifiche vicende legate ai campi di internamento italiani è il 6 aprile 1941, con l’inizio della aggressione al regno di Yugoslavia e la seguente occupazione, che fu gestita con ossessiva attenzione alla repressione delle vere e presunte forme di resistenza da parte degli abitanti. L’intera città di Lubiana, per esempio, venne trasformata nella notta tra 22 e 23 febbraio 1942 in un immenso campo di concentramento con la costruzione di un reticolato tutt’intorno all’abitato, lungo ben 32 kilometri, e la suddivisione del territorio urbano in zone divise da filo spinato. Si procedette quindi all’internamento dei maschi adulti che vennero “selezionati” per categorie, a cominciare dagli studenti, evidentemente ritenuti i più pericolosi. A seguito di questa vera e propria pulizia etnico-politica i luoghi di detenzione sul posto si dimostrarono rapidamente insufficienti e vennero quindi allestiti veri e propri campi di concentramento in Italia (in Friuli – in primo luogo a Gonars -, in Veneto, ma poi anche in Liguria, in Umbria, in Toscana, in Lazio) e sulle isole dalmate. Alla fine, in condizioni disumane, furono circa 120 mila le persone slovene, croate, montenegrine deportate e internate, di queste non meno di 4500 (secondo le stime più prudenti), ma forse almeno 7000, morirono.
Alessandra Kersevan ha raccontato questi accadimenti in una narrazione pacata, ma implacabile: ha citato cifre, mostrato immagini provenienti dagli archivi militari italiani, smontato false attribuzioni e interpretazioni, letto messaggi inviati dall’interno dei campi e documentati dalle commissioni provinciali della censura fascista, ricostruito un contesto storico che dovrebbe essere noto e che invece è stato artatamente occultato dall’ufficialità.
Ha poi risposto alle domande del pubblico, attento e partecipe, come si è detto. Non si è sottratta nemmeno al pretesto delle polemiche che purtroppo l’accompagnano da tempo e che l’hanno accolta anche a Como: il tema delle foibe. A proposito del quale, ha allargato il contesto di spiegazione, sottolineando che in quella regione la guerra è stata particolarmente dura, fin dal primo conflitto mondiale, e che la guerra non può lasciare che strascichi di guerra e violenza (come è stato sottolineato anche dall’intervento di Celeste Grossi). Lungi dal ridimensionare la drammaticità delle vicende legate alle foibe, ha chiesto uno sforzo di approfondimento, di studio, un impegno anche da parte delle istituzioni per chiarire le reali dimensioni del fenomeno, tuttora oggetto di forzature polemiche, per riuscire a sottrarlo definitivamente a istanze nazionalistiche (e di nuovo ha richiamato la paradossale vicenda della commissione di storici italo-slovena istituita e poi “abbandonata” dal governo italiano) e soprattutto per riuscire a inquadrarlo in una prospettiva storica che non può essere chiusa sul solo periodo seguente alla seconda guerra mondiale e alla fine del fascismo.
Alla fine, tra tutte le persone presenti, è stata forte la consapevolezza di aver imparato molte cose. [Fabio Cani, ecoinformazioni]
Kersevan/ Intervista
Abbiamo chiesto alla storica Alessandra Kersevan di ribattere alle accuse e agli oltraggi alla sua professionalità di ricercatrice che sono derivati dalla paradossale vicenda della conferenza per la quale il sindaco di Como ha negato a Anpi e Istituto Perretta una sala comunale. Leggi nel seguito del post l’intervista rilasciata, prima della conferenza di sabato 1 febbraio, dalla Kerservan a Jlenia Luraschi.
C’è chi la accusa di revisionismo, cosa risponde? Credo che la storia, quando è ricerca storica, debba sempre fare un opera di revisionismo rispetto ai risultati precedenti, altrimenti la ricerca non avrebbe senso, e detta in questo senso la parola revisionista non mi darebbe fastidio. Il problema è che negli ultimi decenni la parola revisionismo è stata usata in un modo politico e di solito veniva usata dalla storiografia resistenziale nei confronti della storiografia di destra che tendeva a reinterpretare la storia della seconda guerra mondiale con la tendenza a rivalutare il fascismo e a trovare responsabilità a carico dei partigiani. Io in questo senso revisionista non posso essere.
Solo che la storiografia di destra e i politici di destra sono esperti e bravi nel ribaltare il significato delle parole. Hanno fatto delle affermazioni sulla storia del confine orientale, affermazioni esagerate e non corrispondenti alla verità storica ed alla documentazione. Coloro che invece sono stati attivi sul piano della ricerca e hanno scoperto che i dati che venivano dati sulle Foibe erano sbagliati vengono adesso definiti revisionisti. Evidentemente l’essere revisionisti deriva dal fatto che altri prima sono stati “affermazionisti” senza essersi adeguatamente documentati.
Il problema è poi che i giornalisti travisano a loro volta queste parole affiancando un significato morale o moralistico e fanno credere che la parola revisionista sia una parola offensiva. Credo che su tutto questo bisogna fare una grande chiarezza
Sulle vicende del confine orientale di cui io mi occupo sono state in questi anni, in particolare dagli anni 90 in poi, fatte ricostruzioni tendenti alla negazione delle responsabilità che il fascismo ha avuto nell’aggressione alla Jugoslavia, nel razzismo verso gli slavi e nei campi di concentramento creati per la popolazione. Quindi si tratta di ristabilire la verità.
Ho smesso di preoccuparmi delle definizioni che mi vengono date e preferisco andare alla sostanza delle cose. Certo che quando i giornali mi attribuiscono frasi che non ho mai pronunciato diventa preoccupante.
Cosa risponde a chi vorrebbe rappresentarla come un’esponente politica e non come una storica? Questa accusa è ingiusta e deriva da esponenti di destra e di estrema destra che sostanzialmente attribuiscono agli altri quello che invece fanno loro. Ho dimostrato con i miei libri, quelli che ho scritto personalmente e quelli che ho pubblicato e quelli del gruppo di ricerca di resistenza storica di cui faccio parte, volumi documentati, basati su una rigorosa e approfondita ricerca, quello che sono. Naturalmente, come tutti gli storici ci assumiamo la responsabilità dell’interpretazione dei dati e dei documenti. Il problema è che da parte dei miei detrattori non viene fatto un necessario e legittimo confronto storiografico, ma viene attuata una vera e propria persecuzione e censura. A me il confronto piace, e mi sono trovata a confrontarmi con chi ha un’altra visione e interpretazione dei documenti, e in questo caso è anche interessante discuterne. Se venissero presentati documenti che mettono in discussione le mie affermazioni, non avrei problemi ad ammetterlo, il fatto è che in tutti questi anni non è mai successo e non è mai stato presentato nulla di nuovo, non sono state fatte reinterpretazione, è stata solo attuata nei nostri confronti una vera persecuzione.
Purtroppo in questa azione di censura nei confronti di una ricostruzione storica seria come quella del confine orientale non sono solo coinvolte espressioni della destra, ma anche una parte della sinistra che, soprattutto negli ultimi anni, ha accettato le versioni che nazisti e fascisti avevano già dato nel 43 e nel 45. [Jlenia Luraschi, ecoinformazioni].
Presidio Antifascista per la Pace, la Democrazia e la verità storica
Invitiamo tutti cittadini, le associazioni e i soggetti politici che condividano i valori della Resistenza e della Costituzione.
Esposizione mostre fotografiche:
- "Fascismo, foibe, esodo" dell'ANED - Associazione Nazionale Ex Deportati Politici dei lager nazisti
- "Testa per dente" del Coordinamento 10 Febbraio
Musica, vin brulè, the caldo
Difendiamo la memoria contro tutti i neofascismi
Presenta
Sala Benjamin - Via del Pratello, 53
Venerdì 14 Febbraio 2014, alle h. 20,30.
Foibe: un’interpretazione storica
Questioni del confine orientale italiano
Discussione e dibattito con:
Ermenegildo Bugni – Segretario Provinciale Anpi Bologna
Alessandra Kersevan e Sandi Volk – Storici
A corredo della discussione:
TESTA PER DENTE
antifascista e internazionalista
gentilmente concessa da CNJ (Coordinamento Nazionale Jugoslavia)
Lo scopo della mostra è fornire un piccolo strumento didattico e culturale che serva da stimolo per colmare un grave vuoto di in-formazione nella memoria storica collettiva, soprattutto presso i giovani” in occasione della Giornata del Ricordo
Da: "Comitato antifascista e per la memoria storica-Parma" <comitatoantifasc_pr @ alice.it>Oggetto: contromanifestazione antifascista il 10 febbraio a ParmaData: 02 febbraio 2014 20:28:01 CET
Manifestazione antifascista alternativa alla celebrazione del "giorno del ricordo delle vittime delle foibe" il 10 febbraio 2014 a Parma, al cinema "Astra", organizzata da ANPI, ANPPIA, Comitato antifascista e per la memoria storica. La manifestazione, quest'anno alla nona edizione, prevede proiezione di filmati, conferenza, presentazione di libro. Con inizio alle 20.30 sarà proiettato un filmato sul campo di concentramento fascista per jugoslavi di Chiesanuova (Padova) 1942/'43, quindi si parlerà del contributo jugoslavo alla Resistenza Italiana con la presentazione, da parte di Gabriella Manelli presidente ANPI provinciale e di Roberto Spocci presidente ANPPIA provinciale, del libro "I partigiani jugoslavi nella Resistenza Italiana" di Andrea Martocchia segretario del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, e del contributo italiano alla Resistenza Jugoslava con la conferenza di Eric Gobetti, ricercatore di storia contemporanea, sulla "Divisione Italiana Partigiana Garibaldi". Sulla Divisione Garibaldi saranno pure proiettati filmati a cura dello stesso Gobetti, autore anche di un programma sull'argomento trasmesso da RAI Storia. Ingresso libero.
ore 20:30, presso il Cinema Astra - Piazza Volta, 3
FOIBE E FASCISMO (IX edizione)
* filmato sul campo di concentramento di Chiesanuova (PD)
* presentazione del libro I PARTIGIANI JUGOSLAVI NELLA RESISTENZA ITALIANA
di A. Martocchia, segretario Coord. Naz. per la Jugoslavia
con l'Autore, G. Manelli (pres. ANPI) e R. Spocci (pres. ANPPIA)
* filmato sulla Divisione Italiana Partigiana Garibaldi combattente in Jugoslavia
* conferenza: I PARTIGIANI ITALIANI NELLA RESISTENZA JUGOSLAVA
di E. Gobetti, ricercatore indipendente di Storia contemporanea
organizzano
A.N.P.I. -- A.N.P.P.I.A. -- COM. ANTIFASCISTA E PER LA MEMORIA STORICA
ingresso libero
Artículo publicado por Vicenç Navarro en la columna “Pensamiento Crítico” en el diario PÚBLICO, 27 de noviembre de 2013
Este artículo critica la selectividad de Bernard-Henri Lévy en sus posturas pro derechos humanos, que siempre coinciden con la política internacional promovida por el gobierno federal de EEUU y la Unión Europea. El artículo también indica el gran silencio de este autor sobre la situación de Libia, que él contribuyó a crear.
Bernard-Henri Lévy tiene muy buena prensa en España, apareciendo con gran frecuencia en las páginas de El País predicando la moralidad de sus causas, que requieren con gran frecuencia intervenciones militares, lo cual explica que algunos intelectuales de la izquierda estadounidense lo califiquen como el moralizador de las guerras, en general, contra el Islam (ver Ramzy Baroud “France’s Sham Philosopher” en CounterPunch, 20.11.13). Presentado frecuentemente en los medios españoles como “el filósofo de Francia”, articula siempre posturas promovidas por el establishment político francés, rodeado siempre de grandes cajas de resonancia que explican su gran visibilidad mediática.
La última gran hazaña de este señor fue su liderazgo (que El País definió como moral) para que la OTAN interviniera en Libia para deponer al coronel Gadafi (basándose en una interpretación tergiversada y manipulada de la famosa Resolución 1973 de Naciones Unidas del 17 de marzo de 2011, que no permitía dicha intervención). Esta intervención se justificó por el supuesto apoyo de los Estados intervencionistas por vía militar (que incluyó desde bombardeos que afectaron a poblaciones civiles, hasta la transferencia de armas) para deponer a un dictador y sustituirlo por fuerzas democráticas que deseaban instaurar una democracia. Considerando la enorme evidencia que existe mostrando el apoyo de tales Estados (EEUU y Francia incluidos) a dictaduras casi medievales en la misma región, esta justificación carecía de credibilidad. Pero ello no inhibió ni frenó al filósofo de Francia en la utilización de dicha justificación. Y lo que es notorio es que repitió constantemente tal justificación con toda seriedad y contundencia, apelando a la moralidad democrática que según él debe caracterizar el comportamiento de las naciones civilizadas. Bernard-Henri Lévy (BHL) utiliza una narrativa llena de imágenes altisonantes, preñadas de gran pomposidad, como corresponde a uno de los intelectuales franceses más galardonados en Francia. El poder es siempre muy cariñoso y agradecido con sus sirvientes. Al servicio de su causa, BHL se trasladó a Libia con todo el aparato mediático y parafernalia teatral “en defensa de las fuerzas democráticas”. Y la intervención militar derrotó al dictador Gadafi.
¿Y qué ha pasado en Libia desde entonces? Gadafi fue un dictador como muchos de los dictadores que hoy existen en aquella parte del mundo, donde la democracia no existe ni siquiera a nivel de ensayo. Pero comparado con Arabia Saudí, Qatar y otros regímenes feudales, Gadafi no era, definitivamente, peor que los gangster que dominan aquellos otros países. La diferencia era que los últimos son fieles sirvientes de EEUU y de la UE, y Gadafi no lo era. Ni que decir tiene que el gran filósofo moralista BHL no prestaba atención a tales detalles, considerados insignificantes en la lucha entre el bien (que él representaba) y el mal (que eran todos los demás).
Pero analizaremos ahora lo que ocurre en Libia. Cualquier observador mínimamente objetivo debe concluir que Libia no es, en absoluto, una democracia, y que la situación actual es un desastre, con unos conflictos entre distintas facciones, entre las cuales están fuerzas de Al Qaeda, que se ha convertido en una de las fuerzas determinantes de los quehaceres de aquel país. Bandas armadas, sin ningún tipo de control democrático, gobiernan los distintos territorios, con asesinatos políticos y con una represión brutal hacia las voces y manifestaciones en contra de la dictadura de esas milicias armadas. Solo en un día (15 de noviembre) 31 personas fueron asesinadas y 235 heridas en una represión contra una manifestación en la ciudad de Trípoli que protestaba contra este régimen de taifas controlado por bandas armadas que atemorizan a la población a fin de defender sus propios intereses.
Y mientras todo esto está ocurriendo, el gran filósofo de Francia (y de El País) permanece callado. En realidad, y tal como señala Ramzy Baroud, lo más parecido a este filósofo son los intelectuales neocons de EEUU, que siempre alientan y exigen intervenciones militares “para defender la democracia”, detrás de cuyo noble objetivo hay intereses financieros y energéticos muy concretos que pronto aparecen, mostrándose como lo que son. Lo cual no inhibe a estos intelectuales a continuar moralizando sobre el deber de los países democráticos de ayudar a las fuerzas democráticas alrededor del mundo, cuando la realidad es precisamente lo contrario de lo que predican. Los mal llamados “gobiernos democráticos” han sido históricamente, y continúan siéndolo, los mayores soportes de los regímenes más dictatoriales existentes en el mundo.
La incoherencia de tales intelectuales, incluyendo “el filósofo de Francia” aparece con toda su crudeza no solo en el caso de Libia, sino también en el caso de Israel. BHL es un gran admirador de las fuerzas armadas de Israel, a las que clasifica como las más morales y democráticas existentes hoy en el mundo, apoyando siempre sus intervenciones militares. Es extraordinario que estas declaraciones se hicieran después de una de las intervenciones militares mas sangrientas e inmorales (de las muchas que han hecho tales fuerzas armadas) en la zona de Gaza en los años 2008-2009 y 2012. La ceguera moral e incoherencia intelectual de Bernard-Henri Lévy no tiene límites, lo cual no es obstáculo para que BHL aparezca, una vez más en El País, moralizando sobre la necesidad de intervenir militarmente en algún lugar del mundo árabe para “defender la democracia”.
Vicenç Navarro
Bernard-Henri Lévy a très bonne presse en Espagne. Il occupe plus souvent qu'à son tour les colonnes de El País pour prêcher la moralité des causes qu'il défend et qui pourtant impliquent très souvent des interventions militaires, ce qui lui vaut d'avoir été baptisé par certains intellectuels de la gauche américaine le moralisateur des guerres – généralement contre l'islam (1). Présenté dans les médias espagnols comme "le philosophe de France", il ne fait qu'articuler des postures soutenues par l'establishment politique français en exploitant les grandes caisses de résonances pour s'assurer une bonne visibilité médiatique.
Le dernier exploit de BHL a été son rôle de chef de file (qualifié de moral par El País) pour la promotion d'une intervention de l'OTAN en Libye ayant pour but de renverser le colonel Kadhafi (sur la base d'une interprétation biaisée et tendancieuse de la Résolution 1973 des Nations Unies du 17 mars 2011, qui ne permettait pas une telle intervention). L'intervention a consisté dans l'aide militaire supposée fournie par les États interventionnistes (dont des transferts d'armes ou des bombardements qui ont atteint des populations civiles) pour renverser un dictateur et le remplacer par des forces démocratiques souhaitant instaurer une démocratie. Compte tenu du soutien évident apporté par ces États (y compris les États-Unis et la France) à des dictatures quasi-moyenâgeuses de la même région, cette justification n'était pas crédible. Or, loin de se rétracter, le "philosophe de France" l'a répété encore et encore avec le plus grand sérieux et la plus grande conviction, invoquant la moralité démocratique, qui doit caractériser le comportement de tout pays civilisé qui se respecte. BHL recourt à une rhétorique pleine d'images grandiloquentes et pompeuses, comme il sied à l'un des intellectuels français les plus décorés. Le pouvoir est toujours très affectueux et très reconnaissant envers ses serviteurs. Pour sa cause, BHL s'est déplacé en Libye entouré de tout l'appareil médiatique et de toute la pompe théâtrale "pour la défense des forces démocratiques". L'intervention militaire a effectivement mis à bas Kadhafi.
Et depuis ? Que s'est-il passé en Libye ? Kadhafi était un dictateur comme on en trouve beaucoup aujourd'hui dans cette région où la démocratie n'existe même pas sous forme d'ébauche. Il n'était en définitive pas pire que les gangsters qui dirigent l'Arabie saoudite ou le Qatar, pour ne citer qu'eux, mais contrairement à ces régimes féodaux, il n'était pas à la botte des États-Unis et de l'UE. Inutile de dire que le grand philosophe moralisateur n'accordait pas la moindre attention à ce genre de détails insignifiants pour la lutte entre le bien (qu'il incarnait en personne) et le mal (représenté par tous les autres).
N'importe quel observateur un tant soit peu objectif admet que la Libye n'a rien d'une démocratie et que la situation a tourné au désastre. Des conflits font rage entre différentes factions, dont les forces d'Al-Qaïda, un mouvement qui est devenu l'une des forces déterminantes dans les activités de ce pays. Des bandes armées affranchies de tout contrôle démocratique gouvernent les divers territoires et commettent des assassinats politiques doublés d'une répression brutale à l'encontre des voix et des manifestations hostiles à la dictature qu'elles exercent. À la seule date du 15 novembre, 31 personnes ont été assassinées et 235 blessées à Tripoli dans les manœuvres répressives contre une manifestation de protestation contre ce régime de taifas dirigé par des bandes armées qui terrorisent la population dans le but de défendre leurs propres intérêts.
Et pendant ce temps, le grand philosophe de France (et de El País) ne pipe mot. En vérité, comme le remarque Ramzy Baroud, BHL ressemble grandement aux intellectuels néo-conservateurs américains qui préconisent et exigent sans relâche des interventions militaires "pour défendre la démocratie", un noble projet qui cache des intérêts financiers et énergétiques des plus concrets, lesquels apparaissent soudain au grand jour pour se faire voir tels qu'ils sont. Ces intellectuels ne cessent pour autant de faire la morale à propos du devoir des pays démocratiques de venir en aide aux forces démocratiques dans le monde entier, alors que les faits les désavouent. Historiquement, les bien mal nommés "gouvernements démocratiques" ont été et restent les principaux supports des régimes les plus dictatoriaux.
L'incohérence de ces intellectuels saute aux yeux non seulement dans le cas de la Libye, mais également dans celui d'Israël. En grand admirateur des forces armées de ce pays, qu'il a déclaré être les plus morales et les plus démocratiques du monde, BHL soutient inconditionnellement toutes leurs interventions. A noter que ses déclarations ont été faites au lendemain d'une des interventions les plus sanglantes et immorales menées dans la bande de Gaza en 2008, 2009 et 2012 – et elles ont été nombreuses. La cécité morale et la confusion intellectuelle de Bernard-Henri Lévy n'ont pas de limites, ce qui ne l'empêchera nullement de continuer à noircir les colonnes de El País de ses sermons moralisateurs sur l'urgence d'une intervention militaire quelque part dans le monde arabe pour "défendre la démocratie".
Note : voir Ramzy Baroud "France’s Sham Philosopher" à CounterPunch, 20.11.13
Traduction : Collectif Investig'Action
Source : http://www.vnavarro.org/?p=10239