Informazione
14 Gennaio 2014
di Socorro Gomes, presidente del Consiglio Mondiale della Pace | da www.vermelho.org.br
È questo l’eloquente titolo dell’intervento della compagna Socorro Gomes, presidente del Consiglio Mondiale della Pace, che ha partecipato alla 19ª Conferenza Rosa Luxemburg (Berlino, 11 gennaio 2014), organizzata dai movimenti pacifisti e da altri movimenti sociali tedeschi, a cui hanno preso parte tra gli altri Denis Goldberg, attivista per i diritti sociali e compagno di lotta dell'ex presidente Nelson Mandela, Michel Chossudovsky, l’ex il Ministro degli Affari Esteri jugoslavo Zivadin Jovanovic, Bernd Riexinge, esponente del Partito della Sinistra tedesca (Die Linke), Monty Schädel, leader dell'Associazione tedesca per la Pace, e Jamal Hart, fratello del giornalista detenuto politico statunitense Mumia Abu-Jamal che ha letto un messaggio indirizzato alla conferenza.
L’intervento della compagna Gomes è un appello alla mobilitazione contro il militarismo, i piani aggressivi ed espansionistici dell’imperialismo e le tendenze alla guerra che, in corrispondenza con l’aggravarsi della crisi economica, si fanno sempre più preoccupanti.
La costruzione di una lotta di massa è nella nostra epoca particolarmente complessa, poiché – come ha affermato Socorro – “riflette la complessità del mondo contemporaneo, i cambiamenti nella relazioni delle forze politiche suscitati dai cambiamenti geopolitici degli ultimi due decenni. Riflette anche i cambiamenti sociali ed economici, lo sviluppo delle forze produttive e i nuovi fenomeni della società contemporanea.”
Allo stesso tempo si estende il campo delle forze sociali e dei popoli colpiti dalle politiche imperialistiche. L’insieme di queste due condizioni rende necessaria e possibile una lotta per la pace vasta e unitaria che coinvolga sul piano internazionale interi paesi e popoli e settori sempre più vasti della società.
Segue il testo integrale della dichiarazione di Socorro Gomes:
Compagne e compagni, signore e signori,
Quest’anno ricorre il centenario di uno dei più sanguinosi conflitti militari della storia, che ha fatto pagare un altissimo prezzo all'Umanità. Cento anni fa, il 31 luglio 1914, è stata dichiarata la Prima guerra mondiale, una carneficina che ha provocato la morte di circa 10 milioni di persone, un numero triplo di feriti, e ha generato un grande danno economico, con la devastazione dei campi e la distruzione delle industrie. In Germania, due grandi rivoluzionari ebbero il coraggio di denunciare la guerra e si rifiutarono di sostenerla. Erano Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg.
Per Rosa, la Prima guerra mondiale fu il risultato di un conflitto interimperialisticico, che poteva portare a due risultati diversi: la fine del capitalismo o la regressione della civiltà umana, per cui divenne famosa la sua frase: “socialismo o barbarie”.
Quella guerra fu la conseguenza dei gravi problemi economici, sociali e geopolitici nelle principali nazioni europee, in un’epoca in cui il capitalismo raggiungeva una nuova fase, l'imperialismo, caratterizzato dal capitalismo monopolistico, dal dominio del capitale finanziario, dall'esportazione di capitali, dal saccheggio di materie prime, dall’accaparramento dei mercati, da una sempre più intensa concorrenza e da una lotta feroce tra le potenze politiche e militari per la spartizione del mondo.
Le classi dominanti dell’epoca, a fronte di diversi nazionalismi, competevano per il dominio delle risorse, dei mari, dei continenti e dei popoli del pianeta.
Più i paesi europei erano industrializzati, più forte era la lotta tra loro, non solo per il dominio dell'Europa, ma anche per modernizzare le proprie economie a scapito delle altre nazioni.
Una competizione feroce per le fonti di materie prime e il mercato mondiale ha portato i paesi imperialisti a investire ingenti risorse nella tecnologia di guerra e nella produzione di armi, costruendo così potenti eserciti. Queste potenze svilupparono le cosiddette politiche delle alleanze, la diplomazia segreta e firmarono trattati politici e militari che divisero i paesi in blocchi. La divisione vedeva da un lato la Germania, l'Italia e l'Impero Austro-ungarico, che formavano un primo blocco, e un altro blocco fra Inghilterra, Francia e Russia, che crearono la Triplice Intesa.
“Lottare per la pace è la più sacra delle lotte”, disse Jean Jaurés, uno dei leader più vivaci del movimento per la pace del 20esimo secolo, assassinato il giorno stesso in cui fu dichiarata la Prima guerra mondiale. Ricordando la sua azione pacifista e il suo martirio nel preludio dello scoppio della Prima guerra mondiale, riaffermiamo il nostro impegno e la nostra concezione quanto alla priorità di questa lotta per il destino dell'umanità.
Incessantemente, come Consiglio Mondiale della Pace e organizzazioni affiliate, sommiamo i nostri sforzi - e dobbiamo farlo sempre di più - a quelli di tutte le donne e gli uomini progressisti, di tutti gli attivisti sociali e politici nel condannare gli atti di guerra, interventismo, gli attacchi, l'uso della forza, il militarismo, le alleanze politiche tra paesi imperialistici contro le nazioni più deboli. Siamo solidali con i popoli e le nazioni attaccate, difendiamo la cooperazione internazionale, l'autodeterminazione dei popoli, il principio della sovranità nazionale e del non-intervento, la risoluzione pacifica dei conflitti e delle differenze tra gli Stati e l’esercizio di un ruolo attivo in questa direzione da parte di istituzioni internazionali credibili, democratiche, multilaterali e veramente legate al diritto internazionale.
Non illudiamoci, però. La vera pace non sarà raggiunta, finché perdureranno le relazioni di dominio e di oppressione, di classi e tra nazioni, finché vivrà e crescerà il sistema imperialista, che impone relazioni sociali ed economiche ingiuste, come politiche basate sulla forze e sulle aggressioni. La pace può solo prendere forma solo con la vittoria della lotta dei popoli di tutto il mondo un nuovo ordine politico, economico e sociale con caratteri profondamente diversi da quelli oggi prevalenti, ossia con la costruzione di una nuova società.
L'esperienza storica, non solo della Prima guerra mondiale che ho citato qui, ma anche della Seconda guerra mondiale, scoppiata pure in un contesto di conflitti interimperialistici e nel tentativo di distruggere il socialismo in Unione Sovietica, dimostra che le guerre non sono frutto del caso o della decisione personale di presidenti, generali, sovrani e dittatori.
Le guerre derivano dallo sviluppo di leggi economiche e sociali oggettive, sono un fenomeno connesso con l'imperialismo. Tuttavia, non siamo fatalisti. La guerra non è inevitabile, nonostante le tendenze aggressive delle potenze imperialiste. È possibile invertire il corso degli eventi ed evitare tragedie ulteriori se i lavoratori e i popoli lotteranno per i propri diritti, per l’autodeterminazione e la pace, e quindi impediranno il concretizzarsi dei piani imperialisti.
La dominazione imperialista, volta a ottenere il massimo profitto a favore dei monopoli e dell'oligarchia finanziaria, comporta necessariamente l'uso della forza bruta, la conquista di nuovi territori, fonti di materie prime e mercati per l'esportazione di capitali e merci. Nell'epoca dell'imperialismo, dopo che le grandi potenze capitaliste si sono divise tra loro il dominio del mondo, qualsiasi modifica dei rapporti di forze tra loro porta alla lotta per una nuova spartizione del mondo, che in genere produce la guerra.
Compagne e compagni, signore e signori,
Il mondo di oggi vive una situazione completamente diversa dai periodi della prima e della seconda guerra mondiale, ma l'essenza dell'imperialismo non cambia.
L'attuale congiuntura internazionale è fortemente segnata da una profonda crisi economica, che mette in evidenza la natura predatrice e oppressiva del sistema capitalista-imperialista.
La grande borghesia monopolistica-finanziaria e governi al suo servizio muovono una brutale offensiva contro i diritti dei lavoratori e dei popoli e saccheggiano sfrenato della ricchezza dei paesi.
La crisi ha dei costi inestimabili per le masse, il cui tenore di vita e i cui diritti vengono attaccati. La disoccupazione, la fame e la miseria rappresentano uno scenario dantesco nei paesi capitalistici sviluppati o meno.
La crisi rende più acute le contraddizioni e la lotta tra le potenze imperialiste per i mercati, le materie prime, il controllo dei mari e degli oceani e delle regioni strategiche, che può essere ottenuto solo con l'aumento del militarismo, con la moltiplicazione delle basi militari, con gli interventi e gli atti di aggressione contro paesi e popoli sovrani. In questo contesto, è fondamentale notare che la crisi del sistema capitalista-imperialista aumenta il rischio di guerra, sia di guerre locali, sia di scontri su più vasta scala.
Compagne e compagni, signore e signori,
le minacce alla pace mondiale e all'autodeterminazione dei popoli provengono da una offensiva imperialista, militarista e antidemocratica brutale condotta dall'imperialismo degli Stati Uniti e di altre potenze, in particolare quelle che egemonizzano l'Unione europea e compongono la NATO.
Ci sono molte componenti di questa offensiva, così come sono diversi i focolai di guerra.
Esattamente tre anni fa, una coalizione di potenze imperialiste ha attaccato la Libia con il pretesto della democratizzazione del paese. Nuovi conflitti sono sorti nella regione a seguito della disgregazione causata dall'intervento in Libia, che, a sua volta, viene utilizzata come pretesto per nuovi interventi nel nord-ovest dell'Africa. Nel contesto dell'apertura di questi nuovi fronti di guerra in Africa, i paesi imperialisti sono impegnati nella creazione di AFRICOM, il Comando Africano per coordinare le ingerenze e le aggressioni militari.
La situazione in Medio Oriente continua a essere il principale obiettivo della strategia militarista e interventista degli Stati Uniti. Un bilancio dei principali problemi del Medio Oriente include, inevitabilmente, il ruolo di questa potenza come responsabile per le violenze e l’instabilità nella regione.
Continua il genocidio perpetrato dai sionisti israeliani contro il popolo martire della Palestina, vittima della lunga occupazione. Persiste l’aggressione imperialista contro la Siria, destabilizzando e alimentando il pericolo di un conflitto in tutta la regione; prosegue di fatto l’occupazione dell'Iraq, ora lacerata da un terribile guerra civile; l'Afghanistan e l'Iran continuano a essere sotto i riflettori dell'imperialismo.
Nel conflitto tra Israele e i palestinesi, nell'accordo nucleare con l'Iran, nel conflitto in Siria e nell'uso di droni per gli attacchi in Asia centrale, gli Stati Uniti sono attivamente coinvolti nelle questioni di maggiore rilevanza nella regione, giocando sempre un ruolo interventista e schierandosi sempre contro gli interessi dei popoli.
L'instabilità che domina la regione è chiaramente determinata dalle relazioni statunitensi, attraverso la loro alleanza incrollabile col sionismo e lo Stato aggressivo di Israele, così come con le monarchie autocratiche della regione, tra cui l'Arabia Saudita.
In Afghanistan, più di un decennio è passato dall'invasione criminale guidata dal governo dell’ex presidente George W. Bush.
La smilitarizzazione e l'indipendenza afghana sono le condizioni fondamentali per lo sviluppo di questo paese centro-asiatico. Il paese sta vivendo una situazione di estrema povertà e vulnerabilità. Eppure, gli Stati Uniti fanno pressione sul governo afghano per mantenere le loro truppe nel Paese oltre il 2014, termine concordato per il ritiro completo, al punto che il presidente del paese, Hamid Karzai, certo non sospetto di essere anti-imperialista, ha detto che gli Stati Uniti hanno atteggiamento colonialista.
In Egitto, le forze armate sono tornate al potere. La relazione delle classi dominanti egiziana con gli Stati Uniti, malgrado le contraddizioni, è un'eredità dagli accordi di Camp David del 1970, con Israele, che assicurarono all’Egitto il miliardario bilancio militare annuale degli Stati Uniti. Nelle prossime settimane, l’attuazione di un referendum per approvare la Costituzione - redatta da una commissione del governo ad interim, sostenuto dall'esercito - avrà ancora molti ostacoli da superare.
La dominazione e la spartizione colonialista in tutta la regione hanno lasciato segni profondi e hanno fatto sì che le divisioni settarie prevalessero, politicamente manipolate e strumentalizzate dalle potenze. L'amministrazione del presidente Barack Obama segue la tradizione, la lunga scia dell’ingerenza politica, “sottile” o aggressiva, che era stata intensificata dal presidente George W. Bush nella sua "guerra contro il terrorismo”.
Obama è stato attivamente impegnato nelle sanzioni contro l'Iran - una politica iniziata nel 1979, quando la Rivoluzione islamica rovesciò la monarchia autocratica sostenuto dagli Stati Uniti – e nel provocare un intervento militare contro la Siria, entrambe operazioni miseramente fallite, ma che hanno segnato un periodo importante dell’anno scorso. Obama rimase isolato mentre invocava un intervento militare in Siria, come i suoi sostenitori, il Regno Unito e la Francia; l’intervento militare è stato impedito dai loro stessi Parlamenti e dalle proteste civili, cui si sono aggiunte potenze come la Russia e la Cina che hanno esercitato pressione politica e diplomatica.
È stato in questo contesto che tanto nella questione del conflitto siriano quanto nel programma nucleare iraniano, il presidente degli Stati Uniti è stato costretto a sedersi al tavolo dei negoziati.
In Siria, come in Libano, le tensioni etniche sono intensificate. Diventa sempre più evidente che i conflitti armati sono qualcosa di costruito dall'esterno, da molti attori: gli Stati Uniti, Regno Unito, Arabia Saudita, Qatar, Turchia e Israele. L'ingerenza straniera nel paese è evidente su più fronti: politico, militare, finanziario e dei media.
La manipolazione delle informazioni, l'invio di mercenari, armi ed estremisti religiosi sono le strategie più evidenti, ma lo diventano ancora di più con l'aggressività dei discorsi di Obama e dei capi di Stato di Regno Unito e Francia e dei rappresentanti della monarchia saudita e del sionismo.
L'evento non ancora chiarito dell’attacco chimico nella regione di Ghutta, vicino a Damasco, che ha ucciso numerosi civili, sembrava il pretesto perfetto per le grandi potenze per intervenire con discorsi infuocati e messe in scena su una "linea rossa", con l'uso di armi chimiche; e resta un attacco la cui paternità non è ancora stata stabilita, nemmeno dagli ispettori internazionali, che indagano nel Paese su invito del governo.
Con un gesto diplomatico, la Siria ha ratificato la Convenzione per la proibizione delle armi chimiche, ha invitato gli ispettori internazionali per indagare e per accompagnare la distruzione del suo arsenale e della capacità di produrre armi chimiche, e ha poi proseguito, sollecitando l’opposizione a sedersi al tavolo delle trattative, definendo, con la partecipazione fondamentale di Russia, una data per la conferenza internazionale di Ginevra 2. Nel frattempo, i gruppi armati subiscono continue sconfitte militari.
Dall’altra parte, Israele mantiene uno stock di testate nucleari non dichiarate, si rifiuta di adottare la Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche e il Trattato di non proliferazione nucleare e continua a impedire la visita degli ispettori dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica (AIEA).
C'è più di un esempio di quello che praticamente solo l'alleanza con gli Stati Uniti è in grado di garantire allo Stato sionista: intraprendere discorsi e azioni aggressive, possedere armi nucleari e chimiche - e, in questo caso, usarli senza conseguenze, come è successo in Libano e nella Striscia di Gaza nelle guerre più recenti - e continuare così indisturbato.
L'allargamento del conflitto in Siria è evidente anche in Libano. Il paese tenta di rinnovare un governo dai contorni complessi, distribuito secondo la Costituzione tra le diverse linee religiose, ma le tensioni interne e l'instabilità regionale rendono questo un obiettivo impegnativo. Le forze destabilizzatrici, secondo la sinistra libanese, hanno impegnato sforzi decisivi per disgregare il paese, acuendo le principali divisioni politiche interne.
Il militarismo è inseparabile dalla strategia politica dell'imperialismo. I principali paesi membri della NATO hanno aumentato le loro spese militari. La NATO, dal tempo delle guerre che distrussero la ex Jugoslavia, ha accresciuto il suo ruolo e rafforzato il suo carattere di braccio armato dell'imperialismo USA e dell'Unione europea per consentire gli interventi armati nel continente europeo e fuori di esso, rafforzando intanto la militarizzazione dei blocchi politici ed economici.
La strategia militare dell'amministrazione di Barack Obama mantiene l'obiettivo di installare un sistema di difesa antimissilistico e di rafforzare il patto militare aggressivo della NATO. Questa strategia prevede la persecuzione e l’assassinio di persone "sospettate di praticare o di pianificazione atti terroristici". Ultimamente, il Pentagono ha accresciuto le motivazioni invocate in precedenza per intensificare le sue azioni militari col pretesto delle "minacce informatiche".
La "Dottrina Obama" conferma i piani di attacchi militari preventivi o le rappresaglie militari contro le minacce per la "sicurezza nazionale", i "diritti umani" e la “democrazia”.
Inoltre, l'imperialismo statunitense ha installato basi militari in tutti i continenti. Domina i mari, i continenti e lo spazio aereo, oltre ad essere la più grande potenza nucleare al mondo.
La militarizzazione è uno dei principali aspetti della situazione internazionale ed è l'aspetto essenziale della politica imperialista per opprimere i popoli e garantire i propri interessi. La NATO ha aumentato il numero dei suoi membri e ha ampliato la sua area di operazioni, aumenta costantemente la sua spesa militare e investe nella creazione di nuove armi. Partecipa a numerose operazioni militari in varie regioni. Pretesti come la "lotta al terrorismo" e l’instaurazione della "democrazia" sono stati ampiamente utilizzati nel tentativo di legittimare l'espansione delle operazioni militari della NATO in nuove aree geografiche.
L’America Latina e i Caraibi sono inclusi in queste concezioni e azioni militariste della Dottrina Obama e nell’obiettivo della sua offensiva destabilizzante. La Quarta Flotta della Marina di Guerra degli Stati Uniti, le 76 basi militari, la crescita delle forze armate e degli arsenali degli Stati Uniti per intervenire in qualunque parte della regione, il sabotaggio sistematico dei governi progressisti, il blocco a Cuba e i tentativi di sconfiggere la Rivoluzione Bolivariana, tutto questo è incluso nella Strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
Le provocazioni contro la Repubblica popolare democratica di Corea; le crescenti tensioni nei territori dell'ex Unione Sovietica contro la Federazione Russa, la militarizzazione del Sud Pacifico e le crescenti provocazioni rivolte contro la Cina - sono anche essi elementi della strategia aggressiva ed espansionista dell'imperialismo.
Compagne e compagni, signore a signori,
65 anni fa, quando l'umanità usciva dal buio del fascismo e conquistava la democrazia con la vittoria dei popoli e delle forze antifasciste nella Seconda guerra mondiale, il Consiglio Mondiale della Pace fu istituito per organizzare la lotta contro le minacce di una nuova guerra e la minaccia di catastrofe nucleare.
In quel momento, quando poi le forze oscurantiste dell'imperialismo rivelavano le loro mire egemoniche e la loro volontà di giungere fino alle estreme conseguenze per garantire i loro obiettivi, gli intellettuali e gli operai progressisti di tutto il mondo si riunirono per scongiurare i nuovi pericoli con cui si confronta l'umanità.
Meno di cinque anni prima sorsero le Nazioni Unite, il cui obiettivo principale era quello di creare e mettere in atto meccanismi che consentivano la sicurezza internazionale, lo sviluppo economico, la definizione del diritto internazionale, il rispetto dei diritti umani e il progresso sociale. Assicurare la pace globale, opporsi a qualsiasi conflitto armato, dirimere pacificamente le controversie tra Stati nazionali e garantire la piena sovranità nazionale e l'autodeterminazione dei popoli, sono stati e sono tuttora i nobili principi, gli ideali e gli obiettivi a cui aderiscono tutti gli amanti della pace nel mondo.
Nel corso della sua storia, il Consiglio Mondiale della Pace ha sostenuto questi principi e si è opposto con parole e azioni alle guerre imperialiste, alle violazioni del diritto internazionale, all'interventismo che tradisce e svia l'autodeterminazione dei popoli.
Il Consiglio Mondiale della Pace, con ancora maggiore ragione oggi e in considerazione della complessa situazione internazionale qui esposta, esprime la sua profonda e radicale opposizione alla crescente aggressività dell'imperialismo, un sistema che provoca guerre, miseria e distruzione per garantire i profitti del grande capitale e dei monopoli transnazionali.
È nostro principio inalienabile la completa solidarietà con i popoli che lottano contro tutti i tipi di minacce e interventi imperialisti, con i popoli sotto occupazione e con tutti i popoli che lottano per il diritto di determinare liberamente e democraticamente il proprio futuro.
Il Consiglio Mondiale della Pace sostiene in via di principio l'abolizione di tutte le armi nucleari e denuncia coloro che ammettono il loro utilizzo in un primo attacco. Facciamo nostro il motto dei nostri fondatori secondo cui in qualunque circostanza l'attacco nucleare dovrebbe essere evitato e l'uso delle armi nucleari è un crimine contro l'umanità.
Difendiamo la pace mondiale, così come la giustizia sociale, la distribuzione del reddito e della ricchezza, la democrazia, la sovranità nazionale e lo sviluppo.
Lottiamo per la pace nel mondo, contro le guerre di occupazione, in difesa della sovranità di tutti i popoli e di tutte le nazioni.
Denunciamo i crimini di guerra, i massacri di civili, la pratica aberrante della tortura e difendiamo i diritti umani;
Offriamo la solidarietà a tutti i popoli che lottano per i loro diritti sociali e politici e per la loro autodeterminazione.
Nel nome di questi principi e di questi impegni, il Consiglio Mondiale della Pace invita tutti a unire i loro sforzi per la pace come condizione per la libertà, la lotta alla povertà, la protezione della natura, lo sviluppo nazionale, la democrazia e l'indipendenza, rafforzando lo spirito di solidarietà con l'umanità intera.
L'umanità deve prendere coscienza della necessità urgente della pace nel mondo in modo da poter organizzare la vita delle persone e godere delle conquiste scientifiche che hanno arricchito la conoscenza umana.
In tutto il mondo i popoli manifestano contro le guerre, la violenza e le ingiustizie che sono state provocate da oligarchie che detengono il potere assoluto sul pianeta attraverso la concentrazione delle risorse economiche, politiche e militari. In difesa della democrazia, i popolo condannano l'autoritarismo crescente che li trasformano in schiavi dei diktat imperialisti.
La lotta per la pace è una lotta di tutti i popoli, una lotta dei lavoratori, dei giovani, delle donne, degli intellettuali, indipendentemente dalle ideologie, le organizzazioni politiche, le filosofie e i credi religiosi. Il Consiglio Mondiale della Pace si considera uno degli strumenti di questa lotta ed è disposto a lavorare con tutti coloro che si mobilitano per organizzare la lotta contro la guerra e i suoi fautori.
Una lotta di massa oggi è complessa, riflette la complessità del mondo contemporaneo, i cambiamenti nella relazioni delle forze politiche suscitati dai cambiamenti geopolitici degli ultimi due decenni. Riflette anche i cambiamenti sociali ed economici, lo sviluppo delle forze produttive e i nuovi fenomeni della società contemporanea.
La lotta per la pace si sviluppa in questo contesto ed è trasversale fra le altre lotte politiche, economiche e sociali. Il suo successo dipende dalla mobilitazione e dall’unità delle forze progressiste e di tutti i settori sociali suscettibili di unirsi e mobilitarsi, poiché il nemico è potente.
È per questa unione che ci rivolgiamo e facciamo appello a tutti, nella certezza che, nonostante la sua brutalità e la sua forza l'imperialismo non è invincibile e sarà sconfitto dall’unione e dalla lotta dei popoli.
L'INTERVISTA
Mihajlovic: «Vi racconto la mia Serbia,
prima bombardata e poi abbandonata»
L'intervento Nato dieci anni fa. Sinisa: dagli americani soltanto morte
Non rinnega, perché è fiero. Non ha vergogna, perché non c’è paura. Parlare di forza del gruppo, spogliatoio coeso non è il suo rifugio. Per star comodamente al mondo, anche in quello del calcio, basta dire ovvie banalità. Si fa così, è il protocollo da conferenza stampa. Racconta niente, ma basta a sfamare tutti. Sinisa Mihajlovic no. Non la prende mai alla larga, non ci gira attorno. Va dentro il problema, lo spacca, lo analizza. Poi lo ripone daccapo, con un’altra domanda e una nuova ancora, finché sei tu a cercare risposte e a dover ricomporre certezze sgretolate. Mihajlovic è una persona forte, cresciuto sotto il generale Tito, svezzato da due guerre, indurito dall’orgoglio della sua Serbia. Gli storici sogni di grandezza del Paese sono scomparsi, resta a mala pena la voglia di farcela a sopravvivere. L’allenatore del Bologna è un «privilegiato», almeno così dice chi guarda da fuori. E in fondo è vero. Aveva notorietà e miliardi in tasca quando sulla sua casa piovevano bombe. Aveva tutto, ha ancora l’umiltà di non dimenticare da dove viene e chi è.
Il 24 marzo 1999 la Nato cominciò i bombardamenti sulla Federazione Jugoslava. Quando l’hai saputo? Dov’eri?
«In ritiro con la nazionale slava. La notte prima ci avvisarono che la guerra sarebbe potuta cominciare. Eravamo al confine con l’Ungheria, la Federazione ci trasferì in fretta a Budapest. La mattina dopo sulla Cnn c’erano già i caccia della Nato che sventravano la Serbia».
Qual è stata la tua prima reazione?
«Ho contattato i miei genitori, stavano a Novi Sad. Li ho fatti trasferire a Budapest, ma papà non voleva. Da lì siamo partiti per Roma (ai tempi giocava nella Lazio, ndr), ma dopo due giorni mio padre Bogdan ha voluto tornare in Serbia. Mi disse: "Sono già scappato una volta da Vukovar a Belgrado durante la guerra civile. Non lo farò ancora, non potrei più guadare i vicini di casa quando i bombardamenti finiranno". Prese mia madre Viktoria e se ne andarono. Ero preoccupato, ma fiero di lui».
Dieci anni dopo come giudichi quella guerra?
«Devastante per la mia patria e il mio popolo. A Novi Sad c’erano due ponti sul Danubio: li fecero saltare subito. Ci misero in ginocchio dal primo giorno. Prima della guerra per andare dai miei genitori dovevo fare 1,4 km, ma senza ponti eravamo costretti a un giro di 80 chilometri. Per mesi la gente ha sofferto ingiustamente. Bombe su ospedali, scuole, civili: tutto spazzato via, tanto non faceva differenza per gli americani. Sul Danubio giravano solo delle zattere vecchie. Come la giudico? Ho ricordi terribili, incancellabili, inaccettabili».
Ma la reazione della Nato fu dettata dalla follia [sic] di Milosevic. La storia dice [sic] che fu lui a provocare [sic] quella guerra.
«Siamo un popolo orgoglioso. Certo tra noi abbiamo sempre litigato, ma siamo tutti serbi. E preferisco combattere per un mio connazionale e difenderlo contro un aggressore esterno. So dei crimini attribuiti a Milosevic, ma nel momento in cui la Serbia viene attaccata, io difendo il mio popolo e chi lo rappresenta».
L’hai conosciuto?
«Ci ho parlato tre-quattro volte. Aveva una mia maglietta della Stella Rossa di Belgrado e mi diceva: Sinisa se tutti i serbi fossero come te ci sarebbero meno problemi in questa terra».
Il tuo rapporto con gli americani?
«Non li sopporto. In Jugoslavia hanno lasciato solo morte e distruzione. Hanno bombardato il mio Paese, ci hanno ridotti a nulla. Dopo la Seconda Guerra Mondiale avevano aiutato a ricostruire l’Europa, a noi invece non è arrivato niente: prima hanno devastato e poi ci hanno abbandonati. Bambini e animali per anni sono nati con malformazioni genetiche, tutto per le bombe e l’uranio che ci hanno buttato addosso. Che devo pensare di loro?».
Rifaresti tutto ciò che hai fatto in quegli anni, compreso il necrologio per Arkan?
«Lo rifarei, perché Arkan era un mio amico: lui è stato un eroe per il popolo serbo. Era un mio amico vero, era il capo degli ultras della Stella Rossa quando io giocavo lì. Io gli amici non li tradisco né li rinnego. Conosco tanta gente, anche mafiosi, ma non per questo io sono così. Rifarei il suo necrologio e tutti quelli che ho fatto per altri».
Ma le atrocità commesse?
«Le atrocità? Voi parlate di atrocità, ma non c’eravate. Io sono nato a Vukovar, i croati erano maggioranza, noi serbi minoranza lì. Nel 1991 c’era la caccia al serbo: gente che per anni aveva vissuto insieme da un giorno all’altro si sparava addosso. È come se oggi i bolognesi decidessero di far piazza pulita dei pugliesi che vivono nella loro città. È giusto? Arkan venne a difendere i serbi in Croazia. I suoi crimini di guerra non sono giustificabili, sono orribili, ma cosa c’è di non orribile in una guerra civile?»
Sì, ma i croati...
«Mia madre Viktoria è croata, mio papà serbo. Quando da Vukovar si spostarono a Belgrado, mia mamma chiamò suo fratello, mio zio Ivo, e gli disse: c’è la guerra mettiti in salvo, vieni a casa di Sinisa. Lui rispose: perché hai portato via tuo marito? Quel porco serbo doveva restare qui così lo scannavamo. Il clima era questo. Poi Arkan catturò lo zio Ivo che aveva addosso il mio numero di telefono. Arkan mi chiamò: "C’è uno qui che sostiene di essere tuo zio, lo porto a Belgrado". Non dissi niente a mia madre, ma gli salvai la vita e lo ospitai per venti giorni».
Hai nostalgia della Jugoslavia?
«Certo, di quella di Tito. Slavi, cattolici, ortodossi, musulmani: solo il generale è riuscito a tenere tutti insieme. Ero piccolo quando c’era lui, ma una cosa ricordo: del blocco dei Paesi dell’Est la Jugoslavia era il migliore. I miei erano gente umile, operai, ma non ci mancava niente. Andavano a fare spese a Trieste delle volte. Con Tito esistevano valori, famiglia, un’idea di patria e popolo. Quando è morto la gente è andata per mesi sulla sua tomba. Con lui la Jugoslavia era il paese più bello del mondo, insieme all’Italia che io amo e che oggi si sta rovinando».
Sei un nazionalista?
«Che vuol dire nazionalista? Di sicuro non sono un fascista come ha detto qualcuno per la faccenda di Arkan. Ho vissuto con Tito, sono più comunista di tanti. Se nazionalista vuol dire patriota, se significa amare la mia terra e la mia nazione, beh sì lo sono».
È giusta l’indipendenza del Kosovo?
«Il Kosovo è Serbia. Punto. Non si possono cacciare i serbi da casa loro. No, l’indipendenza non è giusta per niente».
Dieci anni dopo la guerra cos’è la Serbia?
«Un paese scaraventato indietro di 50-100 anni. A Belgrado il centro è stato ricostruito, ma fuori c’è devastazione. E anche dentro le persone. Oggi educare un bambino è un’impresa impossibile».
Perché?
«Sotto Tito t’insegnavano a studiare, per migliorarti, magari per diventare un medico, un dottore e guadagnare bene per vivere bene, com’era giusto. Oggi lo sapete quanto prende un primario in Serbia? 300 euro al mese e non arriva a sfamare i suoi figli. I bimbi vedono che soldi, donne, benessere li hanno solo i mafiosi: è chiaro che il punto di riferimento diventa quello. C’è emergenza educativa in Serbia. L’educazione dobbiamo far rinascere».
Sei ambasciatore Unicef da dieci anni e hai aperto una casa di accoglienza per gli orfani a Novi Sad.
«Sì è vero, ce ne sono 150, ma non ne voglio parlare. So io ciò che faccio per il mio Paese. Una cosa non ho mai fatto, come invece alcuni calciatori croati: mandare soldi per comprare armi».
L’immagine peggiore che hai della guerra?
«Giocavo nella Lazio. Apro Il Messaggero e vedo una foto con due cadaveri. La didascalia diceva: due croati uccisi dai cecchini serbi. Uno aveva una pallottola in fronte. Era un mio caro amico, serbo. Lì ho capito, su di noi hanno raccontato tante cose. Troppe non vere».
Guido De Carolis
23 marzo 2009(ultima modifica: 25 marzo 2009)
Da: "Coord. Naz. per la Jugoslavia"Oggetto: In merito alle affermazioni di Simone CristicchiData: 09 gennaio 2014 22:22:38 CET
LA REPLICA
Cristicchi: «Io e la mia compagnia siamo stati insultati»
Il cantante parla dalla sua pagina Facebook e risponde a chi contesta il suo spettacolo «Magazzino 18»
Da: Appello Anpi <sam.letteranpi(a)gmail.com>Oggetto: Lettera Aperta all'ANPI sul caso della "tessera onoraria" di Simone CristicchiData: 08 gennaio 2014 15:27:05 CETA: info(a)anpi.it, Comitato Nazionale ANPI, Segreteria ANPI, Ufficio Stampa ANPI, “Patria Indipendente”, Redazione “Patria”Cc: CNJ-onlus, Redazione Diecifebbraio.infoDi seguito il testo della nostra Lettera Aperta, già anticipata dalla stampa nazionale. In allegato, in formato PDF, lo stesso testo e l'elenco dei sottoscrittori. Per contatti: sam.letteranpi @ gmail.com-------
Cari Voi tutti, Membri del Comitato Nazionale ANPI, Membri dei Comitati Provinciali, Regionali e Soci dell’Associazione Nazionale PARTIGIANI d’Italia, con i suoi 120.000 iscritti,
in qualità di iscritti all’ANPI e quali antifascisti, figli e nipoti di antifascisti, democratici rispettosi della memoria storica della Resistenza, manifestiamo la nostra preoccupazione ed il nostro stupore nell’apprendere che il Sig. Simone Cristicchi (secondo quanto lui stesso sostiene) è membro onorario dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia. Il Sig. Simone Cristicchi, nell’ambito del suo spettacolo teatrale “Magazzino 18”, che ha come tema la TRASPOSIZIONE di alcuni vissuti drammatici degli esuli d’Istria, di Fiume e Dalmazia, supportato da una direzione artistica, manageriale e da una regia di promozione istituzionale, sembra alimentare a livello mediatico e diffusivo a mezzo web una propaganda politica antipartigiana, che ancor più gravemente si mostra priva di analisi storica, riportando interpretazioni che riteniamo falsino fatti e circostanze, con un esito di palese natura strumentale. La strumentalizzazione delle vicende umane a supporto di idee nazionaliste è resa ancora più insopportabile per il coinvolgimento di minori in scene di violenza, che ci appare presunta ed esagerata.
Evidenziamo inoltre che le tesi, le congetture, i toni delle polemiche, l’accettazione di messaggi e manifestazioni di scherno ed offesa rivolte alla memoria storica della Resistenza sia italiana che jugoslava, presenti nel profilo facebook e in altri siti gestiti dal cantautore, non ci appaiono politicamente ed ideologicamente espressioni vicine alla storia e rispettose dei principi ispiratori dell’ANPI.
Il rifiuto di un confronto scientifico, manifestato da Cristicchi in diverse occasioni e nei diversi spazi di dialogo con il pubblico, molti dei quali gestiti dallo stesso in piena discrezionalità (facilmente reperibili e noti) e il suo apprezzamento verso personaggi quali Maria Pasquinelli* contrapposto ad una continua opera di criminalizzazione della lotta di liberazione del popolo jugoslavo dall’oppressore nazifascista in particolare, costituiscono un’offesa all’Associazione stessa, lo Statuto della quale, nel suo oggetto sociale (art. 2) e soprattutto nel profondo rispetto ed in virtù dell’art. 22 e dell’art. 23, recita:
“Possono essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta:
a) coloro che hanno avuto il riconoscimento della qualifica di partigiano o patriota o di benemerito dalle competenti commissioni;
b) coloro che nelle formazioni delle Forze Armate hanno combattuto contro i tedeschi dopo l’armistizio;
c) coloro che, durante la Guerra di Liberazione siano stati incarcerati o deportati per attività politiche o per motivi razziali o perché militari internati e che non abbiano aderito alla Repubblica Sociale Italiana o a formazioni armate tedesche.
Possono altresì essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta, coloro che, condividendo il patrimonio ideale, i valori e le finalità dell’A.N.P.I., intendono contribuire, IN QUALITÀ DI ANTIFASCISTI, sensi dell’art. 2, lettera b), del presente Statuto, CON IL PROPRIO IMPEGNO CONCRETO ALLA REALIZZAZIONE E ALLA CONTINUITÀ NEL TEMPO DEGLI SCOPI ASSOCIATIVI, CON IL FINE DI CONSERVARE, TUTELARE E DIFFONDERE LA CONOSCENZA DELLE VICENDE E DEI VALORI CHE LA RESISTENZA, CON LA LOTTA E CON L’IMPEGNO CIVILE E DEMOCRATICO, HA CONSEGNATO ALLE NUOVE GENERAZIONI, COME ELEMENTO FONDANTE DELLA REPUBBLICA, DELLA COSTITUZIONE E DELLA UNIONE EUROPEA E COME PATRIMONIO ESSENZIALE DELLA MEMORIA DEL PAESE.”
Per questo, auspichiamo che sia ritirata la tessera di socio ANPI al Sig. Simone Cristicchi, il cui operato e la cui espressione politica non sono riconoscibili in alcun modo nell’essenza dei valori e della cultura della Resistenza partigiana, di ieri e di oggi.
Fraterni saluti
LA POLEMICA
Cristicchi «infoibato». I partigiani si dividono
Sullo show degli esuli istriani l’Anpi nel caos. Si punta a ritirare la tessera al cantautore
Da: Vito Francesco PolcaroOggetto: Caso CristicchiData: 09 gennaio 2014 16:51:10 CET
ho ricevuto la vostra lettera relativa al “caso Cristicchi”.
Pur se non è costume dell’ANPI dare seguito a “lettere aperte” ed “appelli” che tendano ad influenzarne la linea politica, dato che L’ANPI è una struttura organizzata, con le proprie regole democratiche di formazione delle decisioni e le proprie strutture che sono perfettamente in grado di farle rispettare, rispetto al caso in questione mi preme informarvi che:
1) Il Sig. Cristicchi NON risulta iscritto all’ANPI nella Provincia di Roma
2) La “tessera onoraria” non è mai stata prevista dallo Statuto dell’ANPI. In passato, questa forma è stata in alcune occasioni utilizzata come riconoscimento per una qualche iniziativa che ha dato un contributo alla memoria della Resistenza e della Guerra di Liberazione, ma doveva essere intesa solo come una sorta di premio relativo all’iniziativa in questione e non come una prova di effettiva appartenenza all’Associazione, se ad essa non avesse poi fatto seguito una regolare richiesta di una tessera ordinaria, approvata dal Comitato Provinciale competente per territorio. In ogni caso, il Regolamento Nazionale entrato in vigore nel 2012 non prevede tali riconoscimenti e quindi le “tessere onorarie” concesse in precedenza non esistono più. Non esistendo, non possono neppure essere ritirate.
3) L’UNICA POSIZIONE UFFICIALE DELL’ANPI riguardo al caso in questione è quella espressa dal Presidente Nazionale dell’ANPI, Prof. Carlo Smuraglia, nell’intervista rilasciata al “Tempo” in data 8 gennaio 2014.
Cordiali saluti
Vito Francesco Polcaro
Presidente del Comitato Provinciale ANPI di Roma
Da: Daniel Salvatore Schiffer
Data: 06/01/2014 14.04
Ogg: ma tribune sur BHL et Sarajevo
Bonjour,
J'ai le plaisir de vous informer que le site du magazine "BH Info.fr", publié en France mais lié aux informations en provenance de la Bosnie-Herzégovine, a mis très objectivement à la "une" de sa dernière édition hebdomadaire la tribune, intitulée "La Bosnie rêvée, plus que réelle, de Bernard-Henri Lévy", que le site de la RTBF (Radio-Télévision Belge Francophone) m'a fait l'honneur de publier le 23 décembre dernier.
Par ailleurs, les sites des journaux en ligne français "Mediapart" et "Agoravox" ont également publié, les jours derniers, cet article, qui se trouve aussi sur mon blog ("La Vérité des Masques") du Nouvel Observateur. Cet article, apparemment, fait du bruit!
Bonne année à vous!
Daniel Salvatore Schiffer
dimanche 5 janvier 2014 par BH Info
Le site Internet de la RTBF a publié le 23 décembre 2013 un article signé Daniel Salvatore Schiffer, considéré comme pro-serbe, critiquant fortement le discours prononcé lors de la dernière visite à Sarajevo par Bernard-Henri Lévy qui l’a consacré citoyen d’honneur. Un discours que le philosophe juge "truffé d’erreurs de jugement et d’inexactitudes" et "emplie d’approximation et de contre-vérités".
Le 25 novembre dernier, il y a donc un mois presque jour pour jour, Bernard-Henri Lévy se voyait décerner le titre de citoyen d’honneur de Sarajevo, en guise de remerciement, selon les autorités politiques et administratives de cette ville, pour ses " témoignages des souffrances du peuple bosnien pendant la guerre intercommunautaire de 1992-1995 ". Soit : tant mieux pour Lévy, qui se trouve ainsi gratifier, fût-ce de manière exagérée, de cette prestigieuse récompense. Le discours qu’il prononça, lors de cette très protocolaire cérémonie, était d’ailleurs assez beau, empli des plus nobles idéaux de l’humanisme quoique truffé d’inexactitudes et même si son ego hypertrophié ne put certes l’empêcher d’en profiter, une fois de plus, pour mettre sa propre personne en évidence, tout en écornant, par la même occasion, celle de François Mitterrand, dont il ne craignit pas de déclarer là, au mépris de toute réalité, qu’il avait en fait " voté contre la Bosnie-Herzégovine et contre Sarajevo asphyxiée par un siège de plus de mille jours. "
Révisionnisme historique
Il est vrai que BHL, philosophe aussi médiatisé que discrédité en France, n’en est plus, n’en déplaise aux autorités de la ville de Sarajevo, à une imposture près. Car il faut avoir une bien frauduleuse vision de l’histoire, doublée d’un encore plus retors sens de la vérité, pour oser affirmer, comme il le fit lors de ce discours, que la Bosnie-Herzégovine est " l’héritière ", depuis les " années 1940 ", des " partisans ", et Sarajevo, la " mémoire ", aujourd’hui, des " antifascistes ". C’est en effet là pur, bien que paradoxalement du plus mauvais aloi, révisionnisme historique !
Devrais-je donc rappeler à cet amnésique Lévy que ces partisans qu’il glorifie à juste titre furent le glorieux lot, au contraire de ce que son manichéisme caractérisé soutient ici de manière éhontée, de la Serbie, laquelle fut la plus héroïque et résolue, au sein de ce magnifique ensemble multiethnique et pluriconfessionnel que constitueront ensuite les républiques de l’ex-Yougoslavie, dans son combat, aux côtés de la France et des Alliés, contre les nazis, qui avaient alors envahi aussi bien la Croatie, dont les tristement célèbres oustachis d’Ante Pavelic s’avérèrent les disciples les plus zélés des Allemands, que la Bosnie-Herzégovine, où sévissaient, en plein cœur de Sarajevo, la division SS " handzar ", que dirigeait alors, d’une main de fer, le grand Mufti de Jérusalem ? C’était, en cet obscur temps-là, l’impitoyable et très cruelle alliance, au point qu’elle effraya parfois jusqu’aux nazis eux-mêmes, entre le fascisme noir et le fascisme vert, contre les résistants serbes et monténégrins.
C’est, du reste, pour ce même motif, pour rendre justice à la résistance serbe, que le chef des partisans, le maréchal Tito (lequel était par ailleurs d’origine croate), fit de Belgrade, et non de Zagreb ou de Sarajevo, la capitale de la Yougoslavie.
Davantage : c’est en mémoire de ces Résistants, précisément, que l’un des plus grands clubs de foot et de basket de la Serbie contemporaine s’appelle, encore aujourd’hui, " Partizan Belgrade " !
Mystification
Mais il y a pis encore, si cela est possible, dans le révisionnisme historique, concernant ce passé bien peu reluisant de la Bosnie, de Bernard-Henri Lévy. Il a trait, cette fois, à ce portrait dithyrambique que ce mystificateur hors pair n’a jamais cessé de dresser, comme il le fit encore tout récemment dans un de ses " bloc notes " (intitulé Le Discours de Sarajevo, paru le 24 octobre dernier) de l’hebdomadaire " Le Point " , d’Alija Izetbegovic, premier Président de la Bosnie indépendante, mais, surtout, fondamentaliste musulman dont la fameuse " Déclaration Islamique ", parue à Istanbul dès 1970 avant que d’être republiée à Sarajevo en 1990, affirme textuellement, niant là les valeurs de nos sociétés laïques, qu’ " il n’y a pas de paix ni de coexistence entre la religion islamique et les institutions sociales et politiques non islamiques ". Et encore, ces mots terribles, dignes de l’intégrisme religieux le plus dangereux pour la sauvegarde de nos démocraties mêmes, sinon du sens de la fraternité entre les peuples : " Avant le droit de gouverner lui-même et son monde, l’islam exclut clairement le droit et la possibilité de la mise en œuvre d’une idéologie étrangère sur son territoire. Il n’y a donc pas de principe de gouvernement laïc, et l’Etat doit être l’expression et le soutien de concepts moraux de la religion ". Édifiante, cette étrange et contradictoire conception de la tolérance chez BHL !
C’est dire si ce que soutient BHL, dans son Discours de Sarajevo, se révèle tout simplement faux lorsqu’il y écrit qu’Alija Izetbegovic fut " l’infatigable héraut " de l’ " islam modéré " et que, plus ahurissant encore, il " refusa " les " brigades internationales " et autres " fous de Dieu " que " certains de ses amis lui proposaient " pour venir en aide à son armée. Une preuve irréfutable en est le documentaire, remarquable d’objectivité journalistique et de déontologie professionnelle, que France 3 diffusa, le 12 novembre 2012, dans le cadre de ses reportages ayant pour très emblématique titre " Docs Interdits ". J’écrivis d’ailleurs à ce à propos, dans la foulée, une chronique, intitulée " Bosnie-Kosovo, quand Allah s’en allait en guerre ".
Erreur de jugement
Conclusion ? J’ai bien peur que cette Bosnie dont Bernard-Henri Lévy s’évertue, depuis maintenant plus de vingt ans, à nous vanter les prétendus mérites historiques, après avoir en outre passé son temps à diaboliser aussi systématiquement qu’outrageusement les Serbes (dont les chefs politiques et militaires, lors de cette sanglante guerre en ex-Yougoslavie, ne furent certes pas eux non plus, la nuance étant ici de mise, des anges), ne soit rêvée plus que réelle, comme surgie des fantasmes d’une subjectivité toute narcissique : ce séduisant mais illusoire miroir cérébral déformant toute perspective et, comme tel, induisant les faits à se plier, comble du narcissisme, au gré de son propre et seul imaginaire personnel. Le résultat, extrêmement dommageable pour la raison, en est une énorme erreur de jugement.
Aux philosophes épris d’honnêteté intellectuelle (ce nécessaire mixte de ce que le grand sociologue allemand Max Weber nomma jadis, dans un essai intitulé Le Savant et le Politique, " l’éthique de conviction " et " l’éthique de responsabilité ") de rétablir donc, à ce douloureux et important sujet, la vérité historique !
par Daniel Salvatore Schiffer, philosophe
*Philosophe, auteur de plusieurs ouvrages dont " Requiem pour l’Europe – Zagreb, Belgrade, Sarajevo " L’Âge d’Homme, 1993 et " Critique de la déraison pure – La faillite intellectuelle des " nouveaux philosophes " et de leurs épigones " François Bourin Editeur, 2010 est un intellectuel engagé qui est intervenu à plusieurs reprises lors de la guerre en ex-Yougoslavie. Considéré à l’époque comme un défenseur des positions serbes, il dénonce régulièrement les crimes des différents camps.
=== Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS https://www.cnj.it/ http://www.facebook.com/cnj.onlus/ === * ===
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